il giorno della memoria

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Istituto tecnico per Geometri
Guarino Guarini
Torino
Anno scolastico 2004-2005
Traccia n. 2
La memoria degli orrori che si consumarono nei campi di concentramento nazisti, di cui ricorre nel 2005 il
60.mo della liberazione di Auschwitz, è un valore fondante per la moderna coscienza europea, simbolo di un
comune e condiviso sentire. Il 27 gennaio 2005 segna, dunque, più solennemente che negli anni passati, la
Giornata della Memoria. Ripensare Auschwitz a sessant’anni di distanza richiede uno sforzo supplementare
di attenzione e una più meticolosa indagine sul ruolo che la memoria deve assumersi nella società
contemporanea. Pensare Auschwitz non può essere un’azione scontata: l’unicità di questa riflessione non è
un dato acquisito da molti anni, ma è il frutto di una continua e ininterrotta rielaborazione critica.
In Italia proprio l’istituzione di una Giornata della Memoria ha favorito la riflessione sul rapporto fra
memoria e storia, sullo statuto dell’una e dell’altra, sulle diverse potenzialità e sui limiti dell’analisi del
passato. Provare a svolgere una piccola ricerca sulla stampa, locale e nazionale, di questi ultimi quattro o
cinque anni, cioè del periodo compreso fra quando, nel 2001, è stata istituita la Giornata della Memoria a
oggi; raccogliete le riflessioni più interessanti e stimolanti – sul tema della memoria e della storia, sulla
unicità e sulla comparabilità della Shoah, sul ruolo del testimone- e provate a stabilire un legame fra quegli
eventi e l’idea che voi stessi intendete costruirvi sulla necessità del ricordo, sulla “banalità del Male”e sulla
“Banalità del Bene” a cui alludono le opere di seguito citate in bibliografia, e sulle dimensioni, reali o
apparenti, di quell’area intermedia che Levi definiva “zone grigia”.
Classe IV A sp
Marco Bellino
Emanuele Campo
Rosario Ciampa
L'insegnante:
Antonella Filippi
1
INDICE
1. Introduzione…………………………………………………………………p. 3
2. Il Giorno della Memoria……………………………………………………..p. 4
3. “Fare i conti con il passato” La memoria della shoah nelle scuole………….p.11
4. La memoria cancellata……………………………………………………….p.23
5. La post-memoria……………………………………………………………..p.32
2
INTRODUZIONE
Tra i vari percorsi suggeriti dalla traccia, noi abbiamo concentrato il nostro lavoro sulla memoria
dei lager.
Partendo da un breve percorso intorno alla istituzione della “Giornata della memoria” ci siamo
ben presto trovati ad affrontare il problema opposto, e cioè il difficile percorso della
sedimentazione del ricordo del lager nelle civiltà occidentali. Abbiamo così imboccato la strada,
peraltro suggeritaci dalla lettura del testo di Bensoussan, di analizzare come in questi sessant’anni
la storia della deportazione sia sovente incappata nei “trabocchetti della memoria” 1 .
Anche Primo Levi ricorda nelle prime pagine de I sommersi e i salvati che “la memoria umana è
uno strumento meraviglioso ma fallace” 2 ; se questo vale per la memoria individuale è ancora più
vero per la memoria collettiva di un popolo.
Abbiamo considerato che la scuola, come luogo deputato a passare la memoria alle giovani
generazioni, sia il banco di prova per verificare lo stato delle cose.
Nell’affrontare il rapporto fra scuola e memoria della shoah, abbiamo verificato come il percorso
educativo sia andato di pari passo con la crescita della consapevolezza politica e culturale del
gruppo sociale; in ogni stato coinvolto nel conflitto mondiale, la memoria della deportazione ha
raggiunto la sua maturazione solo nell’ultimo decennio e di conseguenza anche la scuola ha aperto
le porte a questo argomento solo ultimamente. Anzi possiamo dire che siamo solo agli inizi.
E’ stato interessante questo percorso a ritroso perché ci ha insegnato come sia stato difficile
prendere consapevolezza a livello storico e intellettuale, di quanto di più inumano gli uomini
possano avere concepito e messo in atto nella società contemporanea. Auschwitz è vicinissima a
noi, è il prodotto della società industriale, ha ucciso persone che sarebbero ancora oggi tra noi, noi
sentiamo e parliamo con i sopravvissuti. Eppure ci sembra che Auschwitz appartenga all’indicibile.
Seguendo il filo della non-memoria abbiamo fatto ricorso alla nostra esperienza di viaggio sui
luoghi dello sterminio; dal lager di Mauthausen abbiamo portato a casa l’orribile e stridente
immagine delle villette costruite sui sottocampi di Gusen e di Ebensee, come segno della volontà di
cancellare il ricordo. A questo proposito abbiamo fatto una nostra ricerca per cercare di
ricostruire la storia della costruzione dei memoriali che sono stati voluti dagli ex deportati e
“strappati” alla lottizzazione del terreno del lager diventato edificabile. Ne sono venute fuori delle
cose interessanti e ci sembra che varrebbe la pena di ricostruire la storia dei memoriali dei lager,
per capire il difficile percorso della memoria in questi ultimi sessant’anni.
La nostra ricerca è alla fine un lavoro sulla “non-memoria” fatto per dare maggiore valore alla
memoria stessa nella misura in cui il rischio dell’oblio è più vicino di quanto immaginiamo. Forse
più che celebrare ed imporre la memoria, credo valga la pena insegnare ai nostri giovani che è
facile manipolare il ricordo collettivo e allora la strada è sempre la stessa, quello dello studio e
della conoscenza.
Torino, gennaio 2005
L’insegnante
1
2
Georges Bensoussan, L’eredità di Auschwitz, Einaudi, 2002, p.12.
Primo Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, 1996, p. 13.
3
IL GIORNO DELLA MEMORIA
4
Condividiamo l’impegno ad incoraggiare lo
studio dell’Olocausto in tutte le sue
dimensioni. Promuoveremo l’educazione
sull’Olocausto nelle nostre scuole, nelle
università, e nelle nostre comunità e la
favoriremo presso altre istituzioni.
Condividiamo l’impegno a commemorare le
vittime dell’Olocausto e ad onorare coloro
che vi si opposero. Incoraggeremo nei
nostri paesi forme appropriate di ricordo
dell’Olocausto, inclusa la ricorrenza
annuale del Giorno della Memoria.
Condividiamo l’impegno a far luce sui lati
ancora oscuri dell’Olocausto. Compiremo
tutti i passi necessari per facilitare
l’apertura degli archivi, per assicurare
che tutti i documenti che abbiano
rilevanza
siano
disponibili
per
i
ricercatori.
E’
giusto
che
questa
conferenza
internazionale, la prima importante del
nuovo millennio, dichiari il suo impegno a
porre i semi di un futuro migliore nel
terreno
di
un
amaro
passato.
Partecipiamo alla sofferenza delle vittime
e ci ispiriamo alla loro lotta. Il nostro
impegno deve essere quello di ricordare
le vittime che sono morte, rispettare i
sopravvissuti che sono ancora con noi e
riaffermare
l’aspirazione
comune
dell’umanità alla reciproca comprensione e
alla
giustizia.” 3
“L’Olocausto ha sostanzialmente sfidato i
fondamenti della civiltà. Il carattere
senza precedenti dell’Olocausto avrà
sempre significato universale. Dopo
mezzo secolo, resta ancora un evento
così vicino nel tempo che ci sono ancora
sopravissuti
che
possono
dare
testimonianza
degli
orrori
che
attanagliarono il popolo ebraico.
Anche la terribile sofferenza di molti
milioni di altre vittime dei nazisti ha
lasciato una ferita indelebile in tutta
l’Europa.
L’ampiezza dell’Olocausto pianificato e
realizzato dai nazisti deve essere
impressa per sempre nella nostra
memoria collettiva.
Devono anche restare impressi nei nostri
cuori i sacrifici disinteressati di coloro i
quali sfidarono i nazisti e talvolta
sacrificarono la vita per proteggere o
salvare le vittime dell’Olocausto.
La profondità dell’orrore e gli apici
dell’eroismo
possono
essere
pietre
angolari della nostra comprensione della
capacità umana di fare il male e il bene.
Di fronte ad un’umanità ancora segnata
dal genocidio, dalla pulizia etnica, dal
razzismo, dall’antisemitismo e dalla
xenofobia, la comunità internazionale
condivide una responsabilità solenne nella
lotta contro questi mali. Insieme
dobbiamo mantenere viva la terribile
verità dell’Olocausto contro coloro che la
negano. Dobbiamo rafforzare l’impegno
morale dei nostri popoli e quello politico
dei nostri governi, per avere la certezza
che le future generazioni possano
comprendere le cause dell’Olocausto e
riflettere sulle sue conseguenze.
Ci impegniamo a moltiplicare gli sforzi
per promuovere l’educazione, il ricordo e
la ricerca relative all’Olocausto, sia in
quei nostri paesi che hanno già fatto
molto, sia in quelli che hanno deciso di
unirsi a questo sforzo.
Dichiarazione del Foro internazionale
sull’Olocausto - gennaio 2000.
3
5
La Dichiarazione del Foro internazionale sull’Olocausto del gennaio 2000 ci sembra il modo
migliore per iniziare il nostro lavoro, perché è una splendida elaborazione di intenti e perché è
sovra- nazionale, riguarda paesi anche lontani geograficamente ma uniti dalla comune intenzione di
mantenere viva la memoria dello sterminio nei lager nazisti.
La Task force for international cooperation on Holocaust education remembrance and research
è un’organizzazione internazionale fondata a Stoccolma nel 1998 su iniziativa della Svezia.
Questa organizzazione è stata creata con lo scopo di promuovere, nei paesi Europei, progetti,
iniziative culturali, didattiche e accademiche diretti a mantenere viva la memoria collettiva della
Shoah per evidenziarne l'unicità nel contesto della sofferenza universale e promuovendo ricerche e
studi sull'argomento 4 .
Oggi i paesi che fanno parte di questa organizzazione sono cresciuti e si sono estesi anche a stati
fuori dal continente dove la Shoah fu messa in atto; essi sono attualmente 18:
Argentina, Austria, Repubblica Ceca, Danimarca, Francia, Germania, Israele, Italia, Lettonia,
Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Stati Uniti d'America, Svezia,
Ungheria.
La presidenza è esercitata dai paesi membri con rotazione annuale, da febbraio a febbraio.
In questo corrente anno, dal febbraio 2004 al febbraio 2005, la Presidenza è esercitata dall’Italia.
Per il periodo 2005-2006 sarà affidata alla Polonia.
In conseguenza degli intenti sottoscritti con la partecipazione alla International Task force, in questi
ultimi anni abbiamo assistito ad un progressivo interessamento rispetto alla storia dello sterminio,
che si è reso concreto nella istituzione della “Giornata della memoria” in Italia come in altri paesi, e
nel bisogno di rendere collettivo il ricordo della Shoah.
In Germania e in Inghilterra era già stato scelto il 27 gennaio, mentre la Francia ha fissato il 16
luglio in ricordo della tragica retata nazista del 16/17 luglio 1942 5 . In Israele si ricorda
l’insurrezione del ghetto di Varsavia del 1943.
Il 27 gennaio 1945 i Russi entrarono in Auschwitz: non fu una grande vittoria, non fu una vera
liberazione. I campi di Auschwitz erano già stati abbandonati da 10 giorni: le terribili “marce della
morte” che caratterizzarono la storia della evacuazione di tutti i campi fino alla caduta dell’ultimo
lager, il 5 maggio 1945 6 , erano già partite verso ovest con il loro carico di morte.
I tedeschi avevano incominciato a smantellare Birkenau dalla fine del 1944, e prima di partire
fecero saltare le camere a gas e i forni crematori, fecero sparire gran parte della meticolosa
burocrazia del lager. Quando i Russi arrivarono ad Auschwitz trovarono la morte ovunque, ma non
il campo in piena attività: Primo Levi descrive molto bene nelle ultime pagine de Se questo è un
uomo e nelle prime de la tregua la sorte di quel migliaio di uomini ammalati, che i nazisti
abbandonarono nel campo 7 .
4
http://taskforce.ushmm.org/missionf.html. Nel sito si trovano indicazioni e materiali sui diversi paesi partecipanti.
Tra il 16 e il 17 luglio 1942 i nazisti misero in atto la retata di Vel’d’Hiv, azione decisa dai tedeschi e interamente
diretta dalla polizia francese, che porterà in un giorno e mezzo all’arresto di circa tredicimila persone. Condotte al
Velodrome d’Hiver (Vel’ d’Hiv) a Parigi o a Drancy o ancora nei campi di Loret (Pithiviers o Bearne la Rolande), la
maggior parte delle persone arrestate verranno deportate nelle settimane seguenti ad Auschwitz.
6
Il campo centrale di Mauthausen fu liberato il 5 maggio; il sottocampo di Ebensee il 6 maggio 1945.
7
In Se questo è un uomo, l’ultimo capitolo: “Storia di dieci giorni”. Ne La tregua il primo capitolo: “Il disgelo”.
“La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945. (…) Erano quattro
giovani soldati a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungo la strada che limitava il
campo. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide, e volgendo sguardi
legati da uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, e su noi pochi vivi. (…) Non
salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche,
e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo. (…) Per tutto il resto della giornata non avvenne nulla.” Primo Levi, La
Tregua, Einaudi Tascabile, 1996, p. 157,158,159.
5
6
La vera tragedia era iniziata il 17 gennaio quando partirono verso ovest le interminabili file di
uomini e donne verso altri campi 8 .
Il 27 gennaio più che storia di una liberazione è dunque un simbolo di qualcosa che in quel giorno
ha incominciato a cambiare, non è finito lo sterminio in quel 27 gennaio, ma il campo
industrialmente organizzato per sterminare milioni di persone, non era più sotto il controllo nazista.
E’ quanto basta per fare di questa data un simbolo.
In Italia il nostro Parlamento aveva preso in considerazione un’altra data drammatica, quella della
eliminazione del ghetto di Roma il 16 ottobre 1943 una data tutta italiana che segnò l’inizio di una
delle tragedie che toccarono anche agli italiani dopo l’8 settembre, quella della deportazione nei
lager tedeschi.
La scelta del 27 gennaio, presentata nel disegno di legge Colombo, ha un respiro più europeo,
proprio perché è il simbolo dell’inizio della fine del potere nazista.
L’intenzione di proporre una giornata della memoria era già partita nel 1997 e sostenuta da gruppi
politici diversi.
Nel marzo del 2000 si discusse alla Camera la proposta di legge firmata dai deputati: Furio
Colombo(Ds), Elio Palmizio(Fi), Simone Gnaga (An), Maria Chiara Acciarini (Ds) e Vittorio
Voglino (Ppi).
Furio Colombo presenta il testo nell’aula di Montecitorio atribuendogli con il significato simbolico
di dovere cancellare un’altra legge votata in quella stessa aula il 17 novembre1938: la vergogna
italiana delle leggi razziali. Sessantadue anni dopo si discute l’istituzione di un giorno della
memoria per ricordare lo sterminio e le persecuzioni dovute all’insana e criminale ideologia razzista
su cui si basava lo stato nazista. Grazie a quel razzismo che gli italiani fecero proprio a partire dalla
guerra in Etiopia nel 1935 e che resero ufficiale con le leggi sulla razza del 1938, la deportazione
ebraica nei lager fu facilitata, favorita, resa possibile fin nei minimi particolari, perché gli ebrei
erano tutti schedati, anche le coppie miste, e alle SS bastò usare (con l’appoggio solerte dei fascisti)
le liste già pronte. La vergogna delle leggi sulla razza è tutta italiana: in Europa fu la legislazione
razzista più dettagliata dopo le leggi di Norimberga 9 .
La proposta di legge fu approvata alla Camera dei Deputati il 28 aprile 2000 con 443 voti favorevoli
e – unico caso di questa legislatura – nessuno contrario. Quattro astenuti. 10
Al Senato il cammino fu più tortuoso perché a palazzo Madama si stavano già discutendo due
proposte di cui una del Polo in cui si ricordavano “tutte le repressioni, politiche, religiose e razziali”
e una presentata da Athos De Luca (Verdi). 11 La prima discussione del 5 aprile si bloccò 12 e riprese
dopo le elezioni Regionali.
8
Si può leggere la marcia della morte partita da Auschwitz il 17/18 gennaio e giunta allo scalo ferroviario di Gleiwtz il
19/20 gennaio in: Elie Wiesel, La notte, Giuntina, 2000, da p. 83 a p. 95 e in: Pio Bigo, Il triangolo di Gliwice,
Edizioni dell’Orso, 1998, da p. 93 a p. 100.
9
«Nessuna attenuante dal punto di vista etico o politico può essere invocata a favore del fascismo italiano. (…) Dopo le
leggi di Norimberga del 1935 la legislazione italiana fu l’apparato normativo più esteso e analitico che fosse introdotto
nel mondo. Non se ne può valutare la sostanza valutandolo in senso più blando al confronto con la legislazione e la
prassi nazista; lo si deve valutare in base alla lesione che recò ai diritti civili e umani e al tentativo di imbarbarimento
del popolo italiano che con esso fu compiuto». Da: E.Collotti, La soluzione finale, Tascabili economici Newton, 1995,
pag. 17.
10
Goffredo De Pascale, Viaggio di una legge, da: “Diario”, supplemento al n. IV, 27 gennaio 2001, p. 16.
11
Goffredo Di Pascale, op. cit. p.16.
12
A questo proposito, sull’Unità del 7 aprile Michele Sarfatti commenta: “Tutto questo gran daffare ha un’origine
precisa: la volontà di alcuni di pervenire ad un testo approvabile da tutti o quasi i parlamentari. E, a ben vedere, proprio
questa volontà è ciò che ha guastato e continuerà a guastare la legge. (…) Il testo approvato alla Camera afferma con
nettezza l’esistenza della Shoah e i suoi caratteri speciali. Anch’esso però paga un evidente pedaggio alla suddetta
ricerca del voto unanime: non contiene il termine fascismo, né quello di Repubblica Sociale italiana.” op. cit. p.18.
7
Il 5 luglio anche il Senato approvò il testo passato alla Camera modificato con le proposte
presentate da Athos de Luca e dai senatori del Polo. La legge n. 211 è pubblicata sulla Gazzetta
ufficiale il 20 luglio 2000:
Art.1:
La Repubblica Italiana riconosce il 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di
Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo
ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che
hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in
schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio e a rischio della propria vita
hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.
Il primo articolo della legge riconosce la memoria a tutti coloro che hanno subito la deportazione e
dunque anche ai deportati politici, coloro che furono catturati perché antifascisti, perché partigiani,
perché scioperanti nel marzo 1944, perché renitenti alla leva della Repubblica di Salò; e ancora a
coloro che furono deportati perché caduti in un “rastrellamento”o perché denunciati da un vicino di
casa.
La legge ricorda anche coloro che si opposero al progetto di sterminio, coloro che singolarmente o
in organizzazione, misero a repentaglio la propria vita per salvare i perseguitati. Negli ultimi anni
abbiamo fortunatamente scoperto molti casi di donne e uomini che hanno avuto il coraggio di
“aiutare”: alcuni di loro sono stati riconosciuti “Giusti delle nazioni”, altri rimangono
nell’anonimato ma sono in tanti, e questo ci consola, soprattutto noi giovani.
Art.2:
In occasione del "Giorno della Memoria" sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e
momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole
di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e
politici italiani nei campi nazisti, in modo da conservare nel futuro dell'Italia la memoria
di un tragico e oscuro periodo della storia del nostro Paese ed in Europa e affinché simili
eventi non possano più accadere.
Nel secondo articolo emerge l’invito, quasi perentorio, a ricordare la deportazione e lo sterminio
con ogni mezzo di comunicazione 13 , soprattutto nelle scuole “affinché simili eventi non possano più
accadere" .
Su questo argomento vorremmo aggiungere alcune riflessioni.
1
La memoria collettiva quando è “imposta” o indotta dall’alto, per legge, è difficilmente assimilabile
ad un livello di coscienza collettiva. Non basta dire: “Ricordate, ricordiamo” perché questo sia.
Non basta fare un minuto di silenzio a scuola per costruire una coscienza civica e morale ai giovani.
13
Il 27 gennaio 2004 è stata fatta anche una partita di calcio “per non dimenticare”, trasmessa per televisione.
8
Non bastano nemmeno le celebrazioni episodiche e retoriche sovente buttate lì, senza basi, per
creare una memoria dell’orrore per il nazifascismo.
E’ difficile parlare della Shoah alle nuove generazioni. Dice Micaela Procaccia: “Lo sa bene chi va
a parlare nelle scuole il 27 gennaio. Si parla, si racconta, ma quante volte si legge negli occhi degli
studenti che ci stanno davanti la domanda inespressa, perché dobbiamo continuare a parlarne?” 14
Anche gli adulti esprimono sovente, troppo sovente, la stessa domanda.
2
Uno dei limiti dell’”uso pubblico” della memoria è quello di credere che la memoria possa, da sola,
svolgere un ruolo educativo: e cioè che il ricordo di quanto è avvenuto basti ad evitare nel futuro gli
errori del passato.
“Ricordiamo affinché quanto è accaduto non succeda più”.
Ma la memoria collettiva non ha valore pedagogico: la memoria di un gruppo non insegna a non
rifare lo stesso errore. Abbiamo come esempio le due guerre mondiali; alla fine della “Grande”
guerra si ripeteva che non sarebbe mai più successo. Fin che non vengono estirpati i meccanismi
che portano agli orrori causati dagli uomini, la memoria non è sufficiente a fermarli.
“Le vicende umane ci hanno insegnato, in modo incontrovertibile, che la storia non è maestra di vita
e di conseguenza anche la memoria non può esserlo” 15
3
Quando la memoria diventa una celebrazione, rischia di essere solo più l’espressione moralmente
corretta di una società; se non entriamo nella storia, se non aiutiamo i giovani a conoscere, ad
interiorizzare, c’è il rischio che la giornata della memoria rimanga solo più un luogo comune, usata
perché “politicamente corretta”. La memoria dovrebbe invece contribuire a formare l’identità di un
gruppo sociale partendo dal bisogno dei singoli di capire, indagare, riconoscere, fino ad
interiorizzare ciò che è successo.
-------------------------------------------------------
Proviamo a conclude, ma non con le nostre parole.
Noi siamo stati capaci di pensare alla memoria un po’ più criticamente di quanto sentiamo dire e
ripetere da quattro anni con parole che a volte a noi paiono vuote.
Ma non sappiamo dare risposte per come migliorare il rapporto con la memoria collettiva della
Shoah, soprattutto se pensiamo, in prospettiva, al rischio della ripetitività del giorno della memoria.
Citiamo alcune nostre letture che ci sembrano dare qualche risposta.
“ L’obbligo morale di tenere viva la memoria, di trasmettere i racconti delle atrocità commesse
non può assurgere a dovere educativo di massa e, di conseguenza, a obbligo.
Siamo consapevoli che la conoscenza collettiva del genocidio e delle atrocità prodotte dal fascismo
in Europa obbedisca oggi piuttosto ad una sorta di conformismo che vuole che la maggioranza ,
senza un buon livello di conoscenza interiorizzato, si dichiari a favore della memoria: un modo per
esorcizzare il male e liquidare la questione della colpa, per banalizzare l’Olocausto, come è
accaduto recentemente sul piano cinematografico come sul piano letterario.
14
Micaela Procaccia è responsabile della Vice-direzione del Sistema Archivistico Nazionale per il Ministero per i beni
e le attività culturali ed attualmente rappresentante italiana della Shoah Foundation. Da: “Il sonno della ragione”, Qol
102-103, p.7
15
Gianpaolo Anderlini, Le fratture ricomposte della memoria, in Qol, 110, p. 18.
9
Ricostruire una identità personale e collettiva a partire da Auschwitz è un compito che si colloca al
di fuori della portata delle grandi masse e di una cultura immediatamente di consumo.(…)
La memoria non può che essere una scelta consapevole, la dichiarazione di che afferma: d’ora in
avanti mi interessa solo di comprendere il mondo, per quel che mi sarà possibile, e forse anche
trasformarlo, ben consapevole che questo mondo racchiude in sé la possibilità di Auschwitz” 16
“Un amaro scetticismo non concede più credito all’antico motto <Historia magistra vitae>. La
storia, si dice, non può guidarci, perché gli eventi, se pure si ripetessero, appaiono in contesti
sempre inediti. Eppure quando invochiamo, e giustamente, la memoria di Auschwitz <perché
l’orrore non si ripeta >, di nuovo invochiamo la storia come maestra, come avvertimento. Certo, la
scrittura di storia non è tutt’uno con la memoria: almeno nelle intenzioni, la storiografia tenta di
ricostruire con obiettività gli eventi in quanto passati, mentre al contrario la memoria –individuale o
collettiva –seleziona soggettivamente i fatti che percepiamo come attuali per noi, in qualunque
tempo si siano verificati, seleziona ciò che avvertiamo agire sul nostro presente, sulla nostra identità
e coscienza in atto, e sprofonda il resto nell’oblio.(…) La storia è maestra quando sappiamo tradurla
nei termini della nostra memoria, interiorizzandola come nostra esperienza e coscienza.” 17
Abbiamo elaborato in una tabella le iniziative del territorio della città di Torino per il “Giorno della
memoria” dal 2001 al 2004.
Dal primo anno in cui si sono mosse soprattutto le istituzioni, si è passati progressivamente ad una
partecipazione sempre più vasta che ha visto interessate le circoscrizioni, i cinema, i teatri e le
scuole.
I dati in nostro possesso non sono ovviamente completi, per la difficoltà di reperire informazioni
che non siano ufficiali e che non siano state pubblicate.
Abbiamo completato la tabella con le iniziative della nostra scuola che si è impegnata fin dal primo
anno a celebrare il giorno della memoria e a organizzare un viaggio ogni anno per gli studenti nei
luoghi dello sterminio nazista con la guida di un ex deportato .
Bibliografia:
Diario, 27 gennaio 2001, supplemento al n° 4.
Qol, 110, 2004
Gadi Luzzatto Voghera, Ernesto Perillo, Pensare e insegnare Auschwitz, Franco Angeli, 2004.
Frediano Sessi, Non dimenticare l’Olocausto, Rizzoli, 2002
16
Frediano Sessi, Non dimenticare l’Olocausto, Rizzoli, 2002, p. 392,393.
Stefano Levi Della Torre, “Memoria del futuro”, in Gadi Luzzatto Voghera, Ernesto Perillo, Pensare e insegnare
Auschwitz, Franco Angeli, 2004, p. 65.
17
10
“FARE I CONTI CON IL PASSATO”
LA MEMORIA DELLA SHOAH NELLE
SCUOLE
11
“Vergangenheitsbewältigung”, che in italiano possiamo tradurre con “fare i conti con il passato”, è
un tema divenuto oggetto obbligatorio di insegnamento di letteratura tedesca, nelle scuole della
Germania e dell’Austria nel dopoguerra.
Mi sono sempre chiesto, da studente italiano, come si studia e come si ricorda nelle scuole dell’ex
terzo Reich, la storia del nazismo e soprattutto dello sterminio. Mi chiedo anche come vivono i miei
coetanei tedeschi il rapporto con i loro “nonni”, soprattutto oggi che si scoprono ancora, in seguito
ai nuovi processi avviati in Italia, ex nazisti ormai anzianissimi che hanno vissuto tranquillamente la
loro esistenza nascosti nell’anonimato, e che sono forse dei premurosi nonnini per i loro nipoti.
Non mi verrebbe il dubbio, se fossi un ragazzo tedesco o austriaco, nel guardare il sorriso benevolo
di mio nonno: che faceva durante la seconda guerra mondiale?
E’ ovvio che il discorso vale anche per l’Italia, dove abbiamo avuto il regime fascista e le leggi
razziali del 1938, dove abbiamo avuto la Repubblica di Salò e i nazifascisti. Ma da noi forse la
resistenza ha cancellato le tracce delle colpe; un’amnistia generale, anche delle coscienze, ci ha fatti
uscire dalla guerra.
Non è stato così per la Germania. E non poteva essere diverso, visto il macinio di colpe che quel
popolo si è ritrovato sulle spalle.
Nella Repubblica democratica tedesca, prima e dopo l’unificazione, come si è studiato lo sterminio
nazista nelle scuole?
Come si insegna la Shoah nelle scuole
Germania
Per circa vent’anni dopo il 1945 si è prestata poca attenzione nelle scuole allo sterminio ebraico,
tanto che il sistema scolastico tendeva per lo più ad ignorare o a trattare frettolosamente questi
eventi sui libri di testo. Fu deciso nel 1954 nella conferenza tenuta a Braunschweig18 tra tedeschi e
belgi, per la revisione dei libri scolastici di storia, di inserire l’insegnamento della storia del Terzo
Reich e della Seconda guerra mondiale; scelta modernissima se si pensa a quanto normalmente sono
vecchi i programmi scolastici, con questa decisione si sceglieva di studiare gli avvenimenti tragici
di solo 10 anni prima. Ma in questi encomiabili sforzi pedagogici, non compariva ancora la tematica
del “Campo di concentramento”.
Bisogna aspettare gli anni ’80 per trovare nei programmi e nelle scuole una maggiore attenzione al
campo di concentramento come parte fondante del progetto nazista.
La causa scatenante di questa “evoluzione”, non solo in Germania ma in tutta Europa, sembra sia
stato prima il processo del 1961 contro il criminale nazista Adolf Eichmann 19 , e nel decennio
successivo una trasmissione televisiva americana intitolata Holocaust 20 trasmessa in Europa nel
18
Yannis Thanassekos, “L’insegnamento della memoria dei crimini e dei genocidi nazisti. Per una pedagogia
dell’autoriflessione”, p. 22 in: AAVV, Insegnare Auschwitz, a cura di Enzo Traverso, Bollati Boringhieri, 1995.
19
Eichmann, Adolf (Solingen 1906 – Tel Aviv 1962), ufficiale nazista, fu responsabile dell’uccisione di milioni di ebrei
durante la seconda guerra mondiale. Eichmann entrò a far parte della polizia segreta nazista nel 1934 e nel 1938, in
occasione dell’annessione all’Austria da parte dei tedeschi, si occupò della deportazione degli ebrei austriaci, in accordo
con la politica antisemita dei nazisti.Durante la guerra venne incaricato della “soluzione finale del problema ebraico”
:gli ebrei dei paesi occupati dall’esercito tedesco vennero rastrellati e inviati nei campi di concentramento. Dopo la
guerra, Eichmann scomparve, ma nel 1960 alcuni agenti israeliani lo trovarono in Argentina, lo catturarono e lo
portarono in Israele: processato a Gerusalemme, venne giudicato colpevole di crimini contro l’umanità e condannato a
morte. Due anni dopo fu impiccato.
20
Nel 1979 comparve negli Stati Uniti un serial televisivo intitolato "Holocaust", tratto dall'omonimo romanzo di
Gerald Green pubblicato nel 1978. Il successo della fiction televisiva fu enorme tanto da venir trasmessa in Germania,
Francia, Gran Bretagna, Italia. Si trattava di un lavoro mediocre, privo di spessore storico. Seguendo le logiche della
comunicazione filmica di scuola statunitense si era prodotto un qualcosa che andava verso la spettacolarizzazione di
massa, verso la trivializzazione dell'evento. Ciononostante - pur attraverso lo specchio deformante della fiction - lo
12
1979 e ’80. Questi due forti avvenimenti, anche se di natura diversa, hanno fatto riaffiorare in tutta
la loro allucinante crudezza la tragedia dello sterminio nelle case degli europei.
Una maggiore sensibilizzazione era d’altronde già iniziata con la seconda generazione del
dopoguerra, che aveva ricominciato ad ascoltare testimonianze e a riprendere le ricerche.
Lo studio della storia del periodo nazista è stato però reso obbligatorio in tutte le scuole e a tutti i
livelli di istruzione soltanto dopo il 1990, ossia dopo la riunificazione delle due Germanie. E anche
se l’istruzione è di competenza dei singoli Lander, tuttavia vi sono alcuni aspetti, come la
definizione degli argomenti da trattare e degli obbiettivi dell’insegnamento che sono uguali in tutta
la nazione.
L’olocausto è inserito in tutte le scuole tedesche nei programmi di studio. Per superare l’esame di
stato gli studenti devono avere nel loro curriculum due anni di corso di storia, comprendente la
storia del ‘900, dunque il periodo nazista, la deportazione e i campi di concentramento.
Inoltre nel paese sono presenti sul territorio musei sui siti dove sorgevano i lager, e a Berlino è
aperto come museo, il palazzo di Am Grossen Wannsee 56/58 dove si tenne la tristemente famosa
conferenza in cui si decisero i termini della “ Soluzione finale”, nel 1942.
L’insegnamento della storia nell’attuale Germania si pone come obbiettivo quello di ampliare gli
orizzonti dei giovani al di là degli unici fatti storici, così da renderli coscienti dei pericoli, presenti
ancor oggi, che hanno permesso l’avvento del nazismo e di conseguenza dello sterminio ebreo,
come la discriminazione razziale e l’intolleranza nei confronti delle minoranze. Pertanto si cerca di
accennare all’argomento già dalle scuole inferiori, con l’educazione civica e degli argomenti
d’attualità, di religione e di etica, con particolare riferimento all’intolleranza di quel periodo.
Infine concludo accennando il tema centrale che è presente in ogni lezione, ossia che “Quando
viene a mancare un governo fondato sulla legalità le società democratiche rischiano di
disintegrarsi, fino al punto di ammettere il genocidio” 21 .
Austria
Diversa è la situazione per l’Austria che è stata invasa dai nazisti nel 1938 e che, pur avendo sul suo
territorio Mauthausen e i suoi sottocampi, catalogato come un campo di categoria III, ha potuto
trovare a livello psicologico collettivo una discolpa importante rispetto alla deportazione e allo
sterminio nei lager.
“L’Austria si è ricostruita un passato su misura che ne fa la prima vittima del nazismo. (…)La
memoria collettiva austriaca ha volontariamente cancellato la realtà del genocidio” 22
Seguendo lo stesso percorso temporale che abbiamo visto per la Germania, e per l’Europa in
generale, anche in Austria, con difficoltà e non ovunque sul territorio, si è incominciato a parlare di
insegnamento della Shoah a partire dagli anni ’80.
Il tema della “Vergangenheitsbewältigung” è diventato oggetto di studio anche nei programmi
austriaci; l’olocausto viene insegnato nelle lezioni di storia e di materie sociali all’ottavo anno,
dunque a ragazzi di 13 anni.
Il Ministero della Pubblica Istruzione permette alle “fondazioni” che si interessano dell’evento di
accedere alle scuole, fornendo anche materiali divulgativi sulla storia contemporanea,
sull’Olocausto, il nazionalismo e l’estremismo di destra contemporaneo; organizzando e
finanziando, inoltre, un programma di regolari incontri nelle scuole, con persone perseguitate sotto
il regime nazista.
sterminio degli ebrei d'Europa dopo più di trent'anni diventava visibile al grande pubblico.
21
22
AA.VV., Dizionario dell’olocausto, Einaudi, 2004, pg. 247-248
Georges Bensoussan, L’eredità di Auschwitz, Einaudi, 2002, p. 9.
13
Ciò ha permesso pertanto la nascita di una collaborazione tra uomini che hanno conosciuto in prima
persona i campi di concentramento e di sterminio e la scuola. Citiamo a questo proposito un brano
dell’intervento di Hermann Langbein 23 al convegno “Il dovere di testimoniare” tenutosi a Torino
nell’ottobre del 1983:
“Fortunatamente, già al sesto anno di scuola, abbiamo la possibilità - grazie ad un decreto del
Ministero della Pubblica istruzione – di accedere agli istituti scolastici e di discutere con gli allievi.
Discutiamo essenzialmente sul perché il nazionalsocialismo ha potuto compiere i suoi crimini,
senza che il popolo vi sia opposto fattivamente. (…) Alle discussioni hanno potuto spesso
partecipare sia testimoni diretti, sia esperti di storia contemporanea, cioè persone più giovani.
Inoltre (…) abbiamo già avuto la possibilità di organizzare seminari destinati agli insegnanti, ai
quali sono intervenuti – in qualità di testimoni – elementi fra i più qualificati dell’Istituto di storia
contemporanea dell’università austriaca e altri, come Marsalek, che hanno portato le loro esperienze
personali.(…)
Non vorrei che quanto ho detto vi induca a pensare che in Austria tutto è meraviglioso. Le cose non
stanno così: in primo luogo noi ci rechiamo solo nelle scuole dalle quali siamo stati invitati e
veniamo invitati solo dove il corpo insegnante ha – almeno in parte – un atteggiamento positivo nei
confronti di questi problemi.” 24
L’intervento di Langbein ci riconduce alla situazione italiana di quegli stessi anni, quando Primo
Levi iniziò la sua testimonianza nelle scuole.
Polonia
Un altro paese Europeo che deve fare i conti con lo sterminio nazista sul proprio territorio è la
Polonia. In questo territorio occupato nel 1939, i nazisti incominciarono a mettere in moto la
macchina dello sterminio ebraico con la reclusione nei ghetti, con i massacri messi in atto dalle
Einsatzgruppen 25 , e poi con la costruzione dei più terribili lager per lo sterminio della razza ebraica.
Il simbolo della Shoah, Auschwitz, è infatti a un centinaio di chilometri da Cracovia.
In Polonia esisteva un antisemitismo forte già prima dell’arrivo dei nazisti, come peraltro anche in
Estonia e Lituania e in Russia. In Polonia erano presenti, prima dell’occupazione tre milioni di
ebrei, a differenza dell’Italia, per esempio, dove se ne contavano qualche decina di migliaia.
I conti con lo sterminio e con i resti delle “industrie della morte” la Polonia li sta facendo solo oggi,
dopo il crollo del comunismo. Fino ad allora i riferimenti alle condizioni degli ebrei e ad
Auschwitz-Birkenau erano trattati quasi esclusivamente all’interno della propaganda antifascista,
permanendo nei regimi di area sovietica un forte antisemitismo. Solo nel 1990 gli storici polacchi
hanno cominciato a riconoscere le atrocità che si erano messe in moto con la macchina dello
sterminio e con la morte di 1,1-1,5 milioni di ebrei.
Di pari passo anche il sistema scolastico ha iniziato a confrontarsi in modo più aperto ed esteso con
l’esperienza del paese sotto l’occupazione nazista durante la guerra 26 .
Oggi nelle scuole polacche la storia della seconda guerra mondiale è diventata programma
obbligatorio, così come la Shoah, entrambe vengono studiate con livelli di approfondimento
23
Hermann Langbein, viennese di nascita, partecipò alla Guerra di Spagna nelle Brigate internazionali; fu internato nei
campi di concentramento francesi, nel sud del paese, da cui fu deportato a Dachau e ad Auschwitz, dove rimase due
anni. Di questa sua lunga e dolorosa esperienza ha scritto: Uomini ad Auschwitz,pubblicato dalla Mursia.
24
Hermann Langbein, “Lotta al neonazismo: contatti con i giovani e con gli insegnanti”, p. 207-8 in : Atti del
Convegno internazionale Il dovere di testimoniare, Consiglio Regionale del Piemonte, Aned, 1984
25
Einsatzgruppen: commandi speciali formati da tremila volontari SS che tra la fine di giugno del 1941 e la fine del
1942 sterminano un milione e trecentomila ebrei nei territori occupati della Polonia e dell’Unione Sovietica, tramite
fucilazioni di massa. E’ il primo atto dello sterminio che verrà perfezionato nei lager orientali con la costruzioni delle
capienti camere a gas che permetteranno un’uccisione più rapida e più “asettica”.
26
AA.VV., Dizionario dell’olocausto, Einaudi, 2004, pg. 248
14
maggiori; a partire dai libri di testo che affrontano la persecuzione degli ebrei in modo più
equilibrato e approfondito e dalla possibilità di apprendere la storia attraverso la letteratura o,
attraverso le visite nei siti dove sorgevano i campi di sterminio.
Esistono poi altre iniziative promosse dal Centro Moderchai Anielewicz per lo studio e
l’insegnamento della storia e della cultura che ha sede presso l’università di Varsavia, come anche
le visite guidate al museo dell’ebraismo nella sinagoga di Cracovia, che introducono gli studenti
alla cultura e alla storia ebraica.
Allarghiamo ora la nostra ricerca sull’insegnamento della Shoah nelle scuole dei paesi che hanno
combattuto il nazismo e che sentono quindi da un altro punto di vista il peso dello sterminio. In ogni
caso, anche in questi stati, l’insegnamento della deportazione ed dello sterminio è legato allo
sviluppo della presa di coscienza storica della tragedia, che a sua volta dipende dalle vicende che
hanno legato il paese alla influenza/occupazione nazista.
Gran Bretagna
Lo studio del genocidio nazista degli ebrei, nelle scuole, divenne materia di studio obbligatoria solo
all’inizio degli anni Novanta, anche se prima non era del tutto ignorata. Molte furono, infatti, le
tesine che trattavano proprio la storia del XX secolo, la Germania nazista e la seconda guerra
mondiale. Inoltre i discorsi venivano, talvolta, affrontati nelle classi su iniziativa dei singoli
insegnanti.
Durante gli anni Ottanta si assisteva alla tendenza di discutere spesso l’argomento Shoah
nell’ambito delle lezioni di religione e di educazione civica; grazie soprattutto al razzismo indotto
dalla crescente immigrazione dalle ex colonie.
Lo studio della Shoah accompagna, oggi, lo studente inglese in tutta la sua adolescenza scolastica,
con livelli di approfondimento che aumentano con l’aumentare dell’età. Analogamente, nelle
università, sono aumentati i corsi sullo sterminio nazista e sulla storia dell’antisemitismo moderno
(in precedenza veniva affrontato solo nell’ambito di corsi sul Terzo Reich).
Stati Uniti
Solo a metà degli anni Settanta la Shoah diventa materia di insegnamento per merito di un gruppo
eterogeneo di persone: insegnanti, dipartimenti dell’istruzione, commissioni costituite a livello di
singole comunità, centri di documentazione sull’argomento e musei specializzati. E oggi,
nonostante nessuno abbia ancora provveduto a valutare i metodi di insegnamento della Shoah in
maniera qualitativa e quantitativa, comunque è un dato di fatto che negli Stati Uniti magliaia di
docenti, dalla scuola elementare all’università, sono impegnati a insegnarla nei suoi vari aspetti.
Dato, questo, confermato dal fatto che numerosi sono i programmi sull’argomento, ad esempio il
programma Facing History and Ourselves e il Teachers Summer Seminar on Holocaust and Jewish
Resistance 27 ; la creazione di importanti musei, come il Holocaust Memorial Museum di
Washington e il Beit Hashoah Museum of Tolerance, di Los Angeles; e perché numerosi sono i
centri di documentazione in materia.
Possiamo schematizzare l’evoluzione della ”educazione della Shoah” in tre fasi:
27
AA.VV., Dizionario dell’olocausto, Einaudi, 2004, p. 257
15
1) I primi anni che vanno dal 1945 fino al 1967, in cui il tema Shoah è oggetto di scarso interesse,
sia per la mancante informazione, sia per il disinteresse degli insegnanti.
D’altronde la comunità ebraica americana non aveva in quegli anni spazio nella società americana.
Parlare dell’olocausto e delle sofferenze passate era considerato imprudente: gli ebrei americani (tra
cui numerosi gruppi scappati dall’Europa nazista) temevano che il tradizionale patriottismo degli
USA usasse le loro storie di dolore per identificarli in un gruppo separato e difficilmente
assimilabile nella società. Anche in terra americana la comunità ebraica scelse il silenzio.
Solo a partire dalla metà degli anni Cinquanta si comincia a leggere Il Diario di Anna Frank che
apre in qualche modo le porte all’argomento.
L’interesse aumentò con la cattura e il processo ad Adolf Eichmann 28 , e in seguito con il ventesimo
anniversario della rivolta del ghetto di Varsavia. Allo stesso tempo un numero sempre maggiore di
sopravvissuti cominciò a raccontare le proprie esperienze individuali accrescendo l’interesse.
2)Il periodo di mezzo 1967-93.
Uno dei principali fattori che contribuì ad aumentare il livello di interesse per la Shoah fu la guerra
dei Sei Giorni, del 1967, che vide cambiare i rapporti politici dell’America con Israele 29 .Anche
l’ebraismo americano cambiò atteggiamento, sia per l’appoggio dello stato sia per l’emozione che la
guerra suscitò in coloro che avevano vissuto la shoah.
“Era finita l’era del riserbo e della prudenza, cominciava la fase in cui la comunità ebraica degli
Stati Uniti (la più grande nel mondo dopo quella sovietica) sarebbe stata sempre meno impacciata
dalle sue antiche paure e sempre più libera di sostenere Israele, ricordare il passato, denunciare
vecchie enuovi pregiudizi.” 30
Un altro fattore cha alla fine degli anni Settanta suscitò grande interesse intorno a questo tema fu la
trasmissione di una miniserie televisiva intitolata Holocaust, che ebbe un impatto molto forte sull’
opinione pubblica in termini di informazione sulle atrocità perpetrate e di creazione di interresse.
Nella scuola questi avvenimenti ebbero la loro ripercussione, forse ancora legata all’iniziativa del
docente; l’insegnamento della Shoah incomincia ad essere affrontato nella lezione di storia o di
studi sociali; in altri casi è stato affrontato tramite lo studio di libri importanti, La notte di Elie
Wiesel 31 . La discrezionalità dell’insegnante può essersi tradotto in alcune scuole in un impegno
superficiale, lasciando gli studenti privi di una reale conoscenza dei presupposti storici che hanno
condotto alla Shoah, per non parlare della realtà storica dello sterminio sistematico da parte dei
nazisti degli ebrei d’Europa e di milioni di altre persone come zingari, slavi, prigionieri di guerra
sovietici e oppositori politici.
3)Gli ultimi anni ( a partire dal 1993 ).
In questo periodo alcuni stati come – California, Florida, Illinois, New Jersey e New York – hanno
reso lo studio della Shoah obbligatorio nelle scuole pubbliche e altri dieci stati – Connecticut,
Georgia, Indiana, Tennessee, North Carolina, Ohio, Pennsylvania, South Carolina, Virginia e
Washington - si sono limitati ad invitare il personale docente ad insegnare l’argomento. Tuttavia
28
“Il processo ebbe due effetti. In primo luogo dimostrò che Israele aveva conti in sospeso e non avrebbe esitato a
regolarli: un atteggiamento assai diverso da quello schivo e riservato di cui il mondo ebraico aveva dato prova negli
anni precedenti. In secondo luogo proiettò su uno schermo gigantesco, durante i mesi del processo, la tragedia del
genocidio e lo rese familiare anche a chi ne aveva sottovalutato le dimensioni.” Sergio Romano, “Quando l’America
scoprì il flagello dell’antisemitismo”, in Corriere della Sera, 14.1.2005, p. 33.
29
La guerra dei Sei Giorni portò gli USA, preoccupati dal nazionalismo nasseriano e dalla crescente influenza sovietica
nell’area, a considerare lo stato ebraico come una base su cui fare affidamento nel Medioriente.
30
Sergio Romano, “Quando l’America scoprì il flagello dell’antisemitismo”, in Corriere della Sera, 14.1.2005, p. 33.
31
Elie Wiesel(1928). Scrittore e docente. Nato nella cittadina rumena do Sighet, annessa all’Ungheria prima della
seconda guerra mondiale, nel 1941 fu deportato con la famiglia ad Auschwitz, dove sua madre e la minore delle tre
sorelle vennero uccise col gas al loro arrivo. Wiesel e il padre furono poi trasferiti a Buchenwald, dove il padre morì.
Grazie ai suoi sforzi per mantenere vivo il ricordo dell’Olocausto, la sua opera è divenuta materiale di studio in molte
scuole americane. Wiesel ha ricevuto la Congressional Medal of Honor nel 1985 e il premio Nobel per la pace nell’86.
16
vari programmi sono stati adottati a livello delle singole città sul genocidio, ma alcuni pongono la
Shoah allo stesso livello degli altri genocidi, cancellandone, in tal modo, l’unicità legata alle
dimensioni, alla pianificazione e alla sistematicità con cui è stato attuato, quindi banalizzandolo.
Nel 1993, l’inaugurazione dell’Holocaust Memorial Museum 32 a Washington, la creazione del Beit
Hashoah Museum of Tolerance a Los Angeles e l’uscita del film di Steven Spielberg, Schindler’s
List, hanno suscitato una vasta ondata di interesse per la Shoah da parte dell’opinione pubblica
generale, degli insegnanti e degli studenti. Grazie appunto a questo aumento di interesse negli anni,
si sono moltiplicati i centri di documentazione e i musei, infatti nel 1999 esistevano negli Stati Uniti
circa cinquanta centri di documentazione, dodici memoriali e diciannove musei. Si sono inoltre
attuati programmi educativi molto influenti, come, per gli insegnanti, il Facing History and
Ourselves e, per gli studenti, il A Holocaust Curriculum: Life Unworthy of Life.
Sovente però l’esponenziale crescita dell’interesse da parte della comunità ha incontrato moltissimi
problemi per ciò che riguarda l’insegnamento dell’argomento, tra cui uno dei più importanti rimane
la mancanza di precisione e di attenzione per i dettagli che tende a portare ad una comprensione
solo superficiale o semplicistica della materia.
Francia
Un capitolo a parte deve essere dedicato allo studio della Shoah in Francia, a causa della storia
specifica di questo paese durante la II guerra mondiale.
La Francia visse per quattro anni , dall’occupazione tedesca dei primi mesi del 1940 fino allo sbarco
in Normandia del giugno del 1944, con i nazisti in casa sia al nord sia al sud con il governo
collaborazionista di Petain.
De Gaulle, fuggito in Inghilterra nel ’40, guidò la resistenza francese, e quando tornò vittorioso in
patria nel ’44, fece che cancellare dalla memoria del paese, la Repubblica di Vichy 33 in nome della
“riconciliazione nazionale”.
Ma durante quei quattro anni in Francia la deportazione ebraica fu “assecondata” dai politici e
anche in gran parte dalla popolazione; sul territorio francese erano presenti molti ebrei anche
provenienti dall’est, scappati alle persecuzioni naziste dopo le annessioni dell’Austria e della
Cecoslovacchia, e certamente la popolazione francese fece poco per salvare questa massa di
disperati. La polizia francese collaborò pienamente con i nazisti nella caccia all’ebreo e infatti c’era
32
Fu il risultato di quindici anni di sforzi per creare un luogo della memoria per le vittime dell’Olocausto. Nacque da
un’iniziativa comune del presidente degli Stati Uniti e del personale della Casa Bianca. Il presidente Jimmy Carter vide
nella creazione del museo un modo per esaltare il proprio impegno per la difesa dei diritti umani.
33
Governo di Vichy: regime politico instaurato in Francia durante la seconda guerra mondiale. All'attacco sferrato dai
tedeschi contro la Francia nel giugno del 1940, che portò in poche settimane alla conquista di Parigi, fece seguito
l'armistizio firmato a Compiègne dal maresciallo Philippe Pétain, capo del governo francese, in base al quale tre quinti
del territorio nazionale furono posti sotto il controllo diretto dei tedeschi; nella parte restante fu costituito un governo
collaborazionista, che stabilì la sua sede a Vichy ed ebbe come capo dello stato Pétain e come primo ministro Pierre
Laval. Il regime di Vichy improntò la sua azione secondo una linea antiparlamentare, tradizionalista e nazionalistica.
Stabilì una stretta cooperazione con i tedeschi, che si intensificò nel 1942 quando i funzionari del governo
collaborarono con gli occupanti nella cattura e nella deportazione degli ebrei francesi. Nel novembre del 1942 i tedeschi
occuparono tutta la Francia, come reazione allo sbarco alleato nel Nord Africa: a quel punto il governo di Vichy, pur
restando formalmente in carica, perse ogni residua autonomia e divenne uno strumento nelle mani di Hitler. Di fronte
all'avanzata degli Alleati, la sede del governo fu trasferita prima a Belfort, quindi a Sigmaringen in Germania, e i suoi
destini rimasero legati a quelli del Reich tedesco.
17
in Francia (a differenza che in Italia) da parte dei perseguitati, la chiara coscienza della fine che
spettava loro, e cioè il viaggio della morte verso Auschwitz 34 .
Nel dopoguerra seguì il silenzio, l’”oblio”: nei primi venticinque anni (1945-1970), il mito della
resistenza e la necessità della riconciliazione nazionale impedirono, in Francia, qualsiasi dibattito
pubblico o scolastico sulla sorte degli ebrei sotto il nazismo.
I deportati ritornati in patria fanno fatica a parlare, non trovano ascolto; ben presto si chiudono nel
silenzio e il paese si ricostruisce una sua storia “pulita” dalle macerie della guerra 35 .
Il cambiamento di percezione si ha negli anni ’70, per il cambiamento di clima politico, perché è
entrata nell’età adulta la generazione nata dopo la guerra, per la pubblicazione di testi di storici
stranieri 36 che rompevano il silenzio quasi totale degli storici francesi.
Anche la presa di coscienza ebraica ha tempi lenti e si risolleva negli anni ’60 in seguito ad alcuni
avvenimenti: nel 1961 con il processo ad Eichmann; nel 1967 con l’arrivo in massa di ebrei dalle ex
colonie, dalla Tunisia e dal Marocco e sempre nel 1967 con la guerra dei Sei Giorni. Quest’ultima
segna il momento della vera presa di coscienza, in Francia come negli USA, per la comunità ebraica
internazionale che si vede di nuovo minacciata nella sua esistenza.
Anche nelle scuole incomincia in quegli anni a muoversi qualcosa; nel dopoguerra solo qualche
cenno alla Seconda guerra mondiale era inserito nei programmi delle scuole inferiori.
Nel 1964 il Ministero dell’educazione nazionale promuove un “Concorso annuale della Resistenza e
della Deportazione”.
All’inizio degli anni ’70 il genocidio degli ebrei viene introdotto nei programmi delle classes de
troisième, per i ragazzi quattordicenni. Bisognerà aspettare il 1983 perché l’argomento venga
inserito nelle classi superiori.
D’altronde il clima politico cambiato, con la fine del gollismo, permette la scoperta storica del
regime di Vichy e il suo ruolo nella “soluzione finale”.
Nel 1979 i più prestigiosi storici francesi firmano una “dichiarazione sul genocidio degli ebrei”,
pubblicata su Le Monde. “Gli anni Ottanta vedono la costruzione progressiva della shoah come
oggetto di storia e parallelamente, l’emergere di una memoria collettiva nazionale che vuol essere
informata sul regime di Vichy e sulla collaborazione.” 37 In questo clima esce, nel 1985, il
monumentale film di Lanzmann, Shoah, che per il pubblico francese diventa un avvenimento.
Oggi nella scuola francese si studia la deportazione e il genocidio ebraico all’ultimo anno delle
superiori, a cui si dedica per programma alcune ore di lezione, e gli studenti per superare il
Baccalauréat, devono presentare una preparazione adeguata sulla persecuzione nazista e sullo
sterminio degli ebrei.
Dal 1993 la Repubblica Francese celebra il 16 luglio come data simbolo della memoria delle vittime
dei crimini antisemiti durante l’occupazione e nel 1994 si celebra per la prima volta un processo
contro un cittadino francese (Paul Touvier) per <crimini contro l’umanità>.
Questi ultimi avvenimenti danno il senso dell’avvenuta presa di coscienza della shoah nazistafrancese che, come dice Bensousson, “non è una scoperta degli ultimi vent’anni, è una
riscoperta.” 38
34
A questo proposito, di grande interesse ed attualità è la storia di Saul Friedländer, ebreo di Praga, unico superstite
della sua famiglia, perché bambino salvato da un istituto religioso cattolico in Francia. Saul Friedländer, A poco a poco
il ricordo, Einaudi, 1990.
35
Il silenzio dei testimoni è imputabile, come dice Gorges Bensoussan, alla difficoltà di ascoltare; in Francia tra il 1945
e il ’48 vengono pubblicati 114 opere di testimonianza della deportazione, 71 delle quali solo tra il ’45 e il ’46. Dopo il
1948 non si pubblica più sulla deportazione, gli editori non accettano più i manoscritti. (Georges Bensoussan, L’eredità
di Auschwitz, Einaudi, 2002, p. 17)
36
Pubblicato nella Germania occidentale: Jäckel, Frank-reich in Hitlers Europa ,1966; negli USA: Paxton, Vichy
France: old guard and new order 1940-1944, 1972.
37
Georges Bensoussan, L’eredità di Auschwitz, Einaudi, 2002, p. 31.
38
Op cit., p.19
18
Italia
L’insegnamento della Shoah nelle scuole italiane ha una sua storia e un suo percorso, legati, anche
per il nostro paese, alle specifiche vicende storiche degli anni della guerra e all’interiorizzazione
della tragedia della deportazione.
L’Italia fu un paese vinto e “vincitore” dove vi fu una resistenza antifascista forte, appoggiata dal
movimento popolare, dalla quale è nata la Repubblica; l’Italia fu un paese fascista e poi in parte
nazifascista, dal ’43 al ’45; in Italia venne applicata fin dal 1938 la legislazione razziale abrogata
solo nel 1945.
Tutto questo ha avuto conseguenze sulla percezione sociopolitica della persecuzione ebraica, sulla
storiografia e sulla divulgazione e in ultimo sull’insegnamento dell’argomento nelle scuole.
Sicuramente solo negli ultimi dieci anni si può parlare di un’attenzione per la shoah nella scuola, a
livello di programmi e di libri di testo; l’insegnamento della deportazione era affidato alle iniziative
singole degli insegnanti, non sempre approvate da tutti.
Vediamo in sintesi il percorso della consapevolezza della shoah, parallelamente, nella società, nella
editoria e nelle scuole.
Dal dopoguerra fino agli anni ’60 cala il silenzio sui campi di sterminio. I libri di testimonianza che
vengono scritti nell’immediatezza del ritorno dai lager, sono pubblicati quasi sempre a spese
dell’autore, circolano poco e la gente si dimostra poco interessata, quasi infastidita
dall’argomento 39 . Il lager è assimilato agli orrori della guerra che tutti hanno patito, fame,
bombardamenti, ecc…
I sopravvissuti non trovano ascolto e infatti ben presto smettono di raccontare 40 .
A partire dagli anni ’70 si incomincia a riconoscere un ruolo, storico e intellettuale, alla
deportazione e si attribuisce al lager nazista il ruolo cruciale nella storia contemporanea.
Ma nelle scuole rimane l’iniziativa personale e i libri di testo non aiutano minimamente: sui
manuali di storia usciti sul finire degli anni ’60, pur impostati in un’ottica di moderna storiografia,
scarsissime sono le informazioni sull’argomento ed alcune volte presentano anche errori gravi.
Citiamo alcuni esempi significativi.
Dal manuale di Armando Saitta, del 1967, nel capitolo sulla seconda guerra mondiale:
“La Germania domina ormai su più di metà del continente europeo, applicandovi il più spietato e
sistematico terrorismo: gli ebrei, ma non soltanto essi, sono deportati in massa, torturati, seviziati,
infine uccisi con raffinato sadismo nei campi della morte di Buchenwald, di Dachau, di
Mauthausen.” 41
39
A questo proposito è emblematica la vicenda editoriale di Se questo è un uomo, manoscritto del 1947 rifiutato da
Natalia Ginzburg per conto dell’Einaudi, perché giudicato opera di scarso valore e interesse.
40
Dal testo di Anna Bravo e Daniele Jalla, Una misura onesta, Milano, Franco Angeli, 1994, abbiamo elaborato, nella
ricerca del 2001-02, la bibliografia cronologica delle memorie sulla deportazione italiana; ne riportiamo qui i dati
riassuntivi.
1. Le memorie sono numerose nel '45, (9 testi) e tendono ad aumentare nel '46 (12 testi), per poi diminuire
drasticamente nel '47.
2. Gli scritti tendono a risalire di numero negli anni '50 (7 testi) e a crescere decisamente negli anni '60 (24 testi)
3. Nei primi anni, i testi sono tutti pubblicati da piccole case editrici, più che altro tipografie, e le edizioni tendono ad
essere a carattere privato.
4. Il primo testo pubblicato dalla Mondatori è del 1947, ma è un romanzo.
5. I primi testi pubblicati da grandi case editrici sono degli anni '60, per i tipi della Feltrinelli e dell'Einaudi ( per
Primo Levi)
41
Armando Saitta, Il cammino umano, Corso di storia ad uso dei licei,Vol.III, La Nuova Italia, 1967, p. 568.
19
Dal manuale di Rosario Villari, del 1969, sull’ideologia razzista del nazionalsocialismo e sulle leggi
razziali italiane troviamo: “ il lancio in grande scala della campagna anti-ebraica, cui si associò
Mussolini emanando un decreto razzista, il 14 luglio 1938.”
Sono citati, come esempio, solo tre lager, quelli di cui in Europa in quegli anni si conosceva meglio
l’esistenza, non c’è riferimento né ad Auschwitz né allo sterminio sistematico effettuato nelle
camere a gas; la non-conoscenza storica dell’argomento è impressionante. Anche il razzismo è
liquidato in poche righe e con un errore: il 14 luglio 1938 è la data della pubblicazione del
“Manifesto” degli scienziati razzisti, il Regio decreto legge n° 1728 sulla difesa della razza ariana
italiana è del 17 novembre 1938.
Nelle scuole l’unica lettura sulla shoah fu per anni il Diario di Anna Frank, tradotto in italiano nel
1954, che in ogni caso non parla della deportazione e dei lager, ad essi prelude e coinvolge ragazzi e
bambini perché scritto da un’adolescente; è comunque una buona lettura per capire la “caccia
all’ebreo” che avrà come epilogo la morte della protagonista e della sua famiglia (solo il padre
tornerà dai lager).
Nel 1958 l’Einaudi pubblica Se questo è un uomo; ma è solo con l’uscita, nel 1963, de La tregua
che Primo Levi entra nelle scuole; il libro diventa una lettura scolastica diffusa, anche se
l’argomento del ritorno dal lager non è sempre preceduto dalla conoscenza dell’universo
Auschwitz.
Con la lettura dei suoi libri, Primo Levi entra nelle scuole anche come testimone; è l’inizio di un
periodo nuovo per i sopravvissuti dei campi di sterminio, molti prendono forza e ricominciano a
parlare, Primo Levi insegna a i suoi compagni ad essere solo dei “testimoni”, a raccontare solo
quello che hanno visto per essere creduti.
Negli anni ’80 incominciano a prendere corpo lavori di archivi di memorie e in Piemonte vengono
raccolte da alcuni ricercatori universitari con l’appoggio dell’Aned, 200 interviste che saranno
trascritte e unite in un’antologia che esce nel 1988 dopo quasi cinque anni di lavoro 42 .
Scrive Primo Levi nell’introduzione: “ …perché solo ora? Perché così tardi? Tardi, sì; se la raccolta
e la registrazione di queste storie di vita fosse stata intrapresa prima, la memoria degli intervistati
sarebbe stata più fresca, ed il loro numero maggiore: molti nostri compagni ex deportati sono
scomparsi per via. Tardi per ragioni organizzative, ma anche perché solo in tempo recente, e non
unicamente in Italia, è maturata la consapevolezza che la deportazione politica di massa, associata
alla volontà della strage e al ripristino dell’economia schiavistica, è centrale nel nostro secolo, alla
pari con il tragico esordio delle armi nucleari.” 43
Nel 1973 prende il via l’iniziativa del Consiglio Regionale del Piemonte di organizzare viaggi al
lager di Mauthausen e ai suoi sottocampi, accompagnati dai superstiti e destinati a studenti ed
insegnanti. Nel 1977 si decide di riservare i viaggi solo ai docenti e il progetto, che si ripeterà in
questa forma fino al 1980, avrà una enorme ricaduta sulla scuola e sulla conoscenza e diffusione
dell’insegnamento della deportazione; anche per gli ex deportati il viaggio nel lager è un modo per
entrare in contatto con gli insegnanti che permetterà loro di entrare nelle scuole come testimoni 44 .
E’ un salto qualitativo enorme, purtroppo ancora affidato all’iniziativa dei singoli insegnati che
hanno avuto modo di entrare nel mondo del “lager” e che approfondiscono l’argomento e chiamano
a scuola un testimone a parlare con i ragazzi.
42
Anna Bravo, Daniele Jalla (a cura di), La vita offesa, Storia e memoria dei Lager nazisti nei racconti di duecento
sopravvissuti, Franco Angeli, 1988
43
Op. cit., p 7.
44
“In tre anni 270 insegnati medi visitano così i principali lager della deportazione italiana”( Lucio Monaco, “Didattica
della storia, etica della memoria” in Viaggi di Erodoto, n.23, 1994, p.41)
20
Nel 1982 prende il via il concorso regionale che premia i migliori lavori degli studenti delle scuole
medie superiori con un viaggio nei lager accompagnati dai testimoni. 45
Ai viaggi, il Consiglio Regionale del Piemonte affianca convegni di studi a cui partecipano
testimoni, storici, studenti ed insegnanti a cui seguono utili e fondamentali pubblicazioni per la
storia della deportazione. Quella piemontese è sicuramente un’iniziativa di alto impegno che
permette finalmente di riempire i vuoti istituzionali e i vuoti didattici che continuano esistere nei
libri di testo fino alla fine degli anni ’90.
Solo con il 1996, infatti, su iniziativa del Ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer, si è
reso obbligatorio lo studio della storia del ‘900 nell’ultimo anno delle superiori, e la shoah ha
incominciato ad acquisire un posto e un’attenzione particolare. Anche le case editrici hanno dovuto
rivedere i manuali scolastici, mettendo maggiore attenzione sulle tematiche riguardanti il razzismo,
il progetto di sterminio, la deportazione europea ed italiana.
E’ contemporaneamente partito il progetto “Storia del Novecento” finalizzato al rinnovamento
didattico della storia con particolare riguardo alla contemporaneità; in questo ambito sono stati
realizzati diversi progetti-pilota, con la collaborazione dell’Università, dell’Istituto Luce, della Rai,
del Centro di documentazione ebraica contemporanea, che hanno coinvolto docenti di diverso
ordine e grado. In questo ambito è stata avviata una riflessione educativa sul tema della Shoah, da
cui sono nate iniziative educative interessanti, legate però ancora all’interesse e alla sensibilità
dell’insegnante per l’argomento.
Una svolta importante è stata quella del 60°anniversario delle leggi razziali, nel 1998. Per iniziativa
del Presidente della Camera dei Deputati, Luciano Violante, e del Ministro della Pubblica Istruzione
è stato lanciato nelle scuole un progetto nazionale <I giovani e la memoria> che ha avuto un
congruo finanziamento e ha suscitato interesse e partecipazione. I temi di approfondimento
individuati erano: a) la contestualizzazione storica della shoah; b) le ricerche negli archivi scolastici
per ricostruire le vicende di studenti e di insegnanti ebrei cacciati dalla scuola (e in molti casi
scomparsi nei lager); c) la ricerca sulle fonti orali; d) la ricerca dei luoghi della memoria.
Negli anni 1999 e 2000 si sono organizzati due convegni nazionali, con il patrocinio del Presidente
della Camera Luciano Violante, su <Nuove forme di discriminazione> e su <L’Italia repubblicana>.
In questi anni sono stati organizzati sul territorio nazionale iniziative rivolte alla formazione dei
docenti: ricordiamo nel 2001 il seminario di Varese sui totalitarismi, nel 2002 quello di Latina su
<La discriminazione>, nel 2002/3 il seminario nazionale itinerante sui <Luoghi della memoria>.
La legge del 2000 sulla istituzione della “Giornata della memoria” ha sicuramente completato a
livello istituzionale il nuovo e rinato interesse sulla storia della shoah e della deportazione nei lager.
Dal 2002 il Ministero della Pubblica istruzione con l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica
in collaborazione con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane bandisce annualmente un concorso
“I giovani ricordano la Shoah” riservato all’istruzione primaria e secondaria; i giovani vincitori
sono ricevuti dal Presidente della Repubblica e celebrano a Roma, con le massime autorità dello
Stato, il “giorno della memoria”.
Nel biennio 2004/2005 l’Italia esercita la Presidenza della Task force for international cooperation
on Holocaust education remembrance and research di cui abbiamo parlato nel 1° capitolo del
nostro lavoro e il Ministero sta raccogliendo a livello nazionale tutte le iniziative delle scuole sulla
shoah.
45
Per una valutazione più approfondita di questa iniziativa vedi:
Lucio Monaco, “Didattica della storia, etica della memoria” in Viaggi di Erodoto, n.23, 1994.
Federico Cerea e Brunello Mantelli, “Le ricerche sulla deportazione e sulla Resistenza promosse dal Consiglio
Regionale e dalle province piemontesi nell’ambito del concorso regionale <Visite di studio ai campi di sterminio>”in:
Insegnare Auschwitz. Questioni etiche, storiografiche, educative della deportazione e dello sterminio, a cura di Enzo
Traverso, Bollati Boringhieri, 1995.
21
In questi ultimi cinque anni si è dunque arrivati a dare piena legittimità di studio nelle scuole
all’argomento, si sono moltiplicate anche le pubblicazioni scolastiche e nei libri di testo attuali, in
forme più o meno approfondite, si dedica uno spazio alla shoah.
Parallelamente si è compresa la “centralità di Auschwitz” nel progetto di sterminio e si sono
moltiplicate le pubblicazioni che hanno per titolo “insegnare Auschwitz” e che riflettono su come
insegnare la shoah e su come passare ai giovani l’orrore dello sterminio.
Bibliografia:
Enzo Traverso (a cura di), Insegnare Auschwitz. Questioni etiche, storiografiche, educative della
deportazione e dello sterminio, Bollati Boringhieri, 1995.
Gadi Luzzatto Voghera, Ernesto Perillo, Pensare e insegnare Auschwitz, Franco Angeli, 2004
AAVV, Dizionario dell’Olocausto, Einaudi, 2004
Storia vissuta. Dal dovere di testimoniare alle testimonianze orali nell’insegnamento della storia
della II° Guerra mondiale,(Atti del convegno internazionale 1986) Franco Angeli, 1988.
Georges Bensoussan, L’eredità di Auschwitz, Einaudi, 2002.
22
LA MEMORIA CANCELLATA
23
Ciò che resta dei campi di concentramento di Gusen ed Ebensee
In questo capitolo vogliamo riflettere su un aspetto che purtroppo tocca il rapporto memoriasterminio, e cioè il tentativo più volte messo in atto nel corso del dopoguerra di cancellare la
memoria dei campi di concentramento.
Alla frase che ormai sentiamo ripetere sovente “ ricordare perché non si ripeta” e che pare ovvia
davanti agli orrori del nazismo, dobbiamo contrapporre e studiare con attenzione quanto è stato
fatto per cercare di nascondere, a guerra finita i crimini perpetrati.
Gli esempi a questo proposito sono tanti, dai criminali nazisti che sfuggirono alla giustizia e che
ripresero tranquillamente la loro vita di buoni padri di famiglia, al revisionismo storico che cercò di
negare lo sterminio.
Noi vogliamo partire da una nostra esperienza e dalle nostre riflessioni.
Nello scorso anno scolastico, nell’ambito del “Progetto memoria” del nostro Istituto, un gruppo
della nostra classe ha partecipato al viaggio della memoria al campo di Mauthausen, con una guida
straordinaria, Pio Bigo, che ci ha dato sui luoghi stessi della deportazione la sua preziosa
testimonianza 46 .
L’impatto con il lager-fortezza di Mauthausen è stato per tutti noi fortissimo, perché si respira
ancora il terrore delle SS, dei Kapò e anche se le baracche sono state in parte ricostruite e gran parte
del lager non esiste più, la memoria è pienamente preservata.
Molto significativi sono i monumenti-memoriali47 che ogni paese d’Europa che ha avuto dei
deportati nel lager, ha costruito; noi ci siamo fermati in raccoglimento davanti al memoriale delle
vittime italiane che è composto da una simbolica gabbia di filo spinato contro un muro del pianto
coperto di fotografie e lapidi dei defunti fornite dalle famiglie, sulle quali sono incisi i nomi di
alcuni nostri compatrioti.
All’impatto fortissimo della “scala della morte” è seguito l’incontro con il sottocampo di Gusen.
Gusen è nella memoria degli ex deportati il “campo degli italiani” perché in questo sottocampo 48 di
Mauthausen furono portati la maggioranza dei partigiani che vennero catturati dopo l’invasione
nazista dell’Italia, gli operai delle fabbriche del nord Italia arrestati per gli scioperi del marzo 1944,
gli oppositori politici. Gli Italiani arrivarono a Gusen a partire dal marzo del 1944, e, come
ricordano i deportati francesi che erano nel campo fin dal 1942, gli Italiani morivano come mosche.
Le testimonianze orali e scritte sull’inferno di Gusen sono giunte fino a noi con i loro terribili
resoconti.
46
Pio Bigo è stato deportato nel marzo del 1944, come prigioniero politico, a Mauthausen; trasferito dopo una settimana
nel campo di Gusen, vivrà in seguito altri lager in un tragico percorso che lo porterà ad Auschwitz e, in seguito alla
marcia della morte verso ovest, a Buchenwald, dove vedrà la liberazione nell’aprile del 1945. Nel suo lungo calvario
Pio Bigo ha vissuto il passaggio in sette lager.
47
I memoriali rappresentano dei punti fissi, sui quali vari gruppi possono proiettare simboli condivisi in modo da
rafforzare le proprie concezioni d'orgoglio collettivo, di eredità comune, di potere e di sé. Molti memoriali sono stati
costruiti sui resti di quelli che una volta erano i campi di concentramento. Queste inquietanti rovine di solito erano
costituite da filo spinato, torri di sorveglianza, fondamenti di pietra delle baracche in legno ormai scomparse, crematori,
celle di detenzione, binari ferroviari coperti di ruggine, lapidi spezzate e fosse comuni. Nonostante le ingiurie del
tempo, l’abbandono e perfino i tentativi deliberati di distruggerli, questi siti continuano a ricordarci il passato con la
loro presenza fragile e sommessa; a mano a mano che gli avvenimenti sbiadivano sempre più nel ricordo assumendo le
sembianze del mito, il paesaggio e il territorio hanno subito inevitabili trasformazioni: sono state costruite nuove strade,
i terreni circostanti sono stati adibiti ad altri usi e le strutture storiche sono andate distrutte. Spesso i visitatori non
riescono a distinguere i resti degli ex campi di concentramento dalle sovrapposizioni successive. Il solo fatto di
conservare questi siti nel loro aspetto originario, rappresenta un atto di memorializzazione. Da: AAVV, Dizionario
dell’Olocausto, Einaudi, 2004, p. 454 /459.
48
I sottocampi di Mauthausen costruiti a Gusen erano tre: Gusen I costruito a partire dal 1940; Gusen II (St. Georgen)
che fu iniziato nel marzo del 1944 e Gusen III nel dicembre dello stesso anno.
24
Ebbene, a Gusen ci sono oggi tante ridenti villette, con giardinetto e piscina per bimbi: il territorio
è occupato dall’edilizia residenziale.
L’unica traccia del campo la si “legge” nella facciata di una villa che il proprietario ha avuto il buon
gusto di costruire intorno all’arco dell’edificio dell’ingresso al lager. La si vede dalla strada ed è
sorvegliata da diverse telecamere che preservano il proprietario dall’ingresso di coloro che vengono
a visitare quel che resta del campo.
Riportiamo qui di seguito due foto dell’epoca e un’immagine di oggi, perché forse le parole non
bastano a descrivere l’impressione che ha avuto su di noi.
25
Ci siamo tutti chiesti come si possa vivere con quelle pietre sulla testa, come si sia potuto costruire
una casa preservando l’entrata nel lager, e qualche brivido di orrore e di indignazione è corso in tutti
noi.
Questo, oltre ad un altro edificio dell’ingresso al lager è tutto ciò che rimane del campo di
concentramento di Gusen I, a differenza di Gusen II e Gusen III di cui non è rimasto neanche
questo.
Tra le gioiose villette sorge un edificio fuori dal contesto del paesaggio, esso è grigio, di cemento
armato, squadrato, privo di rifiniture. E’ il memoriale voluto dagli italiani, costruito con i soldi
dell’associazione ex deportati sul progetto dell’architetto Lodovico Barbiano di Belgiojoso 49 , che
ha creato appositamente questa struttura per rappresentare il labirinto della morte che sono stati il
campo di sterminio di Gusen ed i suoi sottocampi, per tutti coloro che sono stati internati durante
l’attività del campo.
49
L’architetto Lodovico Barbiano di Belgiojoso , nato a Milano il 1 dicembre 1909, architetto, azionista, partecipa alla
resistenza. Arrestato nel marzo del 1944 è incarcerato a San Vittore e poi inviato a Fossoli. Deportato a Mauthausen,
dove arriva il 7 agosto 1944, viene poi trasferito nei sottocampi di Gusen I e Gunskirchen.
Pubblica nel 1986 una raccolta di poesie (Non mi avrete, Venezia, edizioni del Leone) scritte tra il 1940 e il 1986; sedici
sono i testi scritti nel lager, tra il novembre del 1940 e il maggio del 1945, uno dei rarissimi esempi, insieme a quelli del
pittore ed amico Aldo Carpi, di scritti nel campo di concentramento. Da: Anna Bravo e Daniele Jalla, Una misura
onesta, Franco Angeli, 1994, p. 116 e p. 413.
26
L’entrata a labirinto simboleggia l’ultimo percorso di coloro che subirono questo martirio e allude
ai “ labirinti” delle installazioni sotterranee del sottocampo Gusen II, ad esso è riferito anche il
simbolo della struttura in calcestruzzo priva di rifiniture rappresentante il sistema di gallerie nelle
quali perirono gran parte degli internati costretti a lavorare in condizioni più che disumane per
favorire l’industria. L’interno è costituito da un’unica stanza nel cui mezzo è stato collocato un
forno crematorio custodito come simbolo eclatante per ricordare ciò che migliaia di persone hanno
subito attraverso la deportazione ed il successivo internamento nei campi di sterminio nazisti 50 .
La storia di questo memoriale è interessante dal punto di vista della preservazione della memoria,
perché non fu facile per le associazioni degli ex-deportati “strappare” il terreno alla lottizzazione
urbanistica delle civili abitazioni.
Per interessamento dell’Amicale de Mauthausen, che raccolse nel 1960, 98.551 franchi francesi, fu
acquistato nel 1961, tramite Ermete Sordo che aveva avuto un fratello sacerdote morto a Gusen,
un’area di 1750 metri che si affaccia sulla strada.
Negli anni successivi fu progettato dall’architetto Belgiojoso con il Prof. Enrico Peresutti, il
memoriale che vediamo oggi: la sua costruzione fu terminata nel 1965, a vent’anni dalla liberazione
del KZ di Mauthausen e senza che l’Austria desse nemmeno un piccolo contributo alla sua
realizzazione 51 .
50
Riportiamo qui di seguito le parole di Belgiojoso al convegno “Il dovere di testimoniare” tenutosi a Torino nel 1983.
(L’intervento era corredato da diapositive a cui le parole dell’autore fanno riferimento):
“ Questo è invece il monumento che abbiamo realizzato, sempre per opera del nostro studio, a Gusen, dove io ho
vissuto per quasi un anno e dove purtroppo ho avuto occasione di vedere molto spesso dei compagni morti bruciati nel
crematorio. Il crematorio è racchiuso in questo muro. Il monumento è ritagliato in uno spazio che oramai è stato
circondato da un cantiere di case di abitazione, che ha cancellato quasi completamente la struttura del campo. Il
monumento è pensato, e lo si vedrà poi meglio nelle foto successive, come una specie di labirinto, in cui uno spazio di
una certa dimensione, saranno 8-10 m., diventa sempre più stretto, sempre più stretto, rappresentando così l’angoscia di
chi viveva nei campi, e poi, tutto ad un tratto, si passa ad un grandissimo spazio che, nello stesso tempo, è morte e
liberazione.”
AAVV, Il dovere di testimoniare, Consiglio Regionale del Piemonte, Aned, 1984, p.190.
51
www.gusen.org
27
La seconda giornata del nostro viaggio della memoria è stata dedicata alla visita del campo di
concentramento di Ebensee.
Giunti sul posto, a Ebensee, con indescrivibile sgomento abbiamo constatato che anche qui sul
terreno su cui sessant’anni fa era situato il campo, oggi è presente un vero e proprio centro
residenziale composto da villette, negozietti, parchi giochi, campi da calcio. A confermare il nostro
sospetto di indifferenza sull’argomento da parte degli abitanti è stata l’immagine di un uomo che
prendeva tranquillamente il sole nel giardino della sua villa confinante con l’appezzamento di terra
nel quale sono stati eretti i memoriali del campo.
A questa sconcertante vista è immediatamente scattato in noi l’impulso di porci la seguente
domanda: come fanno queste persone ad abitare e svolgere indifferentemente tutte le azioni di vita
quotidiane pur sapendo di trovarsi sopra un campo di sterminio in cui morirono in condizioni
ignobili migliaia di persone?
L’Austria si è ricostruita un passato che ne fa la prima vittima del nazismo. Essa ha rielaborato la
propria memoria basandosi sul principio livellatore banalizzante che “tutti hanno sofferto a causa
della guerra”, e quindi invocando le vittime e i danni dei bombardamenti alleati del 1943-1945. Se
“tutti hanno sofferto”, “con quale diritto” gli ebrei potrebbero invocare, più degli altri, la loro
sofferenza passata? Come gli altri, ci dicono, hanno avuto in Europa la loro “parte di sventura”…
La memoria collettiva austriaca ha volontariamente cancellato la realtà del genocidio 52 .
Le parole di Bensoussan diventano illuminanti davanti ai monumenti che noi abbiamo visto a Gusen
ed a Ebensee.
Ricostruiamo brevemente la storia della cancellazione-preservazione della memoria, così come è
stata vissuta ad Ebensee.
Quando gli ex-deportati tornavano sui luoghi del dolore, nell’immediato dopoguerra, trovavano
progressivamente sempre di meno; e d’altronde Ebensee era ed è una ridente cittadina votata al
turismo (già all’epoca dei nazisti che avevano qui le loro ville di vacanza), e certamente quei segni
orrendi deturpavano il paesaggio. Qui più che altrove si sentiva il lager come un evento orribile ma
estraneo alla cultura del luogo, venuto da fuori, imposto dall’invasore nazista.
Significativa a tal proposito è il ricordo dell’ex-deportato polacco Ladislau Zuk 53 , rimasto ad
Ebensee dopo la sua liberazione, che ha dovuto convivere per molto tempo con questo stratagemma
di rimozione di un passato indecoroso e ignobile.
Negli anni successivi alla guerra, il sindaco Zieger di Ebensee fece di tutto per eliminare le
baracche e togliersi dal suo territorio quella vergogna. Il comune non fece nulla per conservare un
segno della memoria.
Nel 1947 iniziarono i lavori preparatori e le trattative giuridiche per l’insediamento abitativo. Nel
1949 si iniziarono a costruire le prime case, utilizzando materiali del lager e le condutture idriche
dello stesso.
Quando il campo di Ebensee fu liberato il 6 maggio1945 dalle truppe USA, si costruì un cimitero,
ed insieme ad esso venne eretto un monumento marmoreo con l’iscrizione : “ A eterna vergogna del
popolo tedesco”. La scritta fu però in seguito eliminata a causa dell’insistenza di turisti tedeschi
che minacciavano l’Austria di essere privata del guadagno turistico fornito soprattutto dai tedeschi.
In seguito il cimitero fu trasferito nel luogo in cui oggi è situato il memoriale.
Il memoriale è sorto grazie all’opera della signora Hilda Lepetit.
Alla liberazione, vicino al Revier 54 e al crematorio fu trovata una fossa comune con 1179 cadaveri.
La signora Lepetit, il cui marito era morto nel campo di Ebensee, presentò nel 1947 la domanda per
potere erigere a sue spese un monumento. Essa trovò non poche difficoltà e molte resistenze da
52
Georges Bensoussan, L’eredità di Auschwits, Einaudi, 2002, p. 9-10-11.
Deportato polacco, arrivato da Auschwitz in seguito alle tremende evacuazioni del 1945, e rimasto ad Ebensee.
Ancora oggi fa da guida ai gruppi in visita a quel che resta del campo e alle gallerie.
54
Revier: nel linguaggio del campo era l’”ospedale”, luogo di morte e non di cure.
53
28
parte delle autorità locali 55 . Il progetto fu dell’architetto Karl Winter di Ebensee e l’inaugurazione
avvenne il 4 maggio 1948.
Il monumento è composto da una grande lapide di marmo su cui sono scritte le seguenti parole: “Al
marito qui sepolto, compagno eroico di mille morti, che insieme riposano e dei milioni di altri
martiri di ogni terra e di ogni fede, affratellati dallo stesso tragico destino, una donna italiana
dedica, pregando perché così immane sacrifizio portì bontà nell’animo degli uomini”.
La costruzione del monumento facilitò lo smantellamento del primo cimitero, dove era situata
l’originaria croce, e nel 1951 lo stato Austriaco rilevò il terreno intorno al monumento Lepetit dove
venne adibita una piccola area a cimitero e a memoriali 56 .
55
Riportiamo al fondo del capitolo la fotocopia della lettera della Sig.ra Lepetit in data 1958 inviata al Ministero
Austriaco A.C.V.G. (Combattenti e vittime della guerra).
56
Attualmente nel cimitero-memoriale vi sono monumenti per le vittime lussemburghesi, ucraine, polacche, francesi,
tedesche, ungheresi, italiane, russe, cecoslovacche, iugoslave e di tutte quelle ebraiche.
29
In quegli stessi anni incominciò la lottizzazione del terreno del lager e si riuscì a malapena a salvare
il primo portone d’ingresso del campo nonostante l’opposizione degli abitanti che sostenevano che
deturpasse il paesaggio.
Solo negli anni Ottanta, con il cambio di generazione, in Austria ed anche ad Ebensee, si ebbe un
cambiamento di prospettiva rispetto al periodo nazista: nel 1988 fu fondato il Museo della
Resistenza, che è sito nel centro della cittadina ed è molto attivo nel curare la memoria dello
sterminio nazista.
Dal 1996 è possibile vedere le gallerie scavate nella roccia dai deportati dentro le quali lavoravano
alla costruzioni di armi belliche e dentro le quali avrebbero dovuto morire migliaia di deportati
prima dell’arrivo degli americani, secondo un comando arrivato dai vertici delle SS che intendevano
murare i deportati dentro le gallerie e farli saltare con la dinamite.
Il comune austriaco di Ebensee, nel 1987, è gemellato con il comune italiano di Prato. Il
gemellaggio Prato-Ebensee è stato voluto come esempio di uno scambio a molti strati, personali,
culturali e formativi, tra persone di un ex KZ austriaco e una delle regioni di provenienza di
numerosi deportati di quel campo.
“ Le città di Prato e di Ebensee si impegneranno a sostenere tutte le iniziative che contribuiscono a
far conoscere gli avvenimenti del KZ Ebensee “
La caratteristica di questa cooperazione sta nel fatto che non si limita , come nella maggior parte dei
gemellaggi, a visite reciproche da parte di autorità politiche aventi di mira soprattutto interessi
economici o turistici. Si tratta del contratto tra due società differenti, che hanno una loro propria
memoria regionale riguardo al periodo nazista e fascista. Il contraente austriaco, che non è
responsabile della costituzione di un suo villaggio, ma che si sente ancora spesso come prima
vittima di Hitler e aveva rimosso il Lager dalla sua memoria regionale, si è impegnato ad agire
attivamente per la memoria e di sentirsi responsabile in questo senso. 57
Il gemellaggio modifica così anche la memoria regionale e contribuisce in misura determinante a
integrare il lavoro di istituire la memoria nell’autocoscienza della cittadina, inoltre esso ha stimolato
57
Il gemellaggio “ Prato-Ebensee “ nel Convegno berlinese sui memoriali.
30
interessanti impulsi per quello che riguarda gli scambi di scolaresche e la presenza di abitanti di
Ebensee e di Prato sui luoghi di memoria, rappresentanti una “ sfida “ per questi due comuni.
Lo spunto che diede concretezza alla realizzazione di questo gemellaggio fu il fatto che spesso
erano sorti legami tra le regioni di provenienza di ex deportati e i luoghi di detenzione dei
sopravvissuti, ma che con lo scomparire dei testimoni questo punto di contatto viene meno poco per
volta. Oggi così come qualche anno dopo la lottizzazione del terreno, agli ex deportati, alle loro
famiglie, ai turisti, Ebensee si presenta come un luogo di villeggiatura perfetto, un luogo di vacanze
ideale, dimostrando la riuscita dell’intento dei suoi abitanti di “mascherare, offuscare” le prove del
passato.
Bibliografia sui memoriali:
Gusen:
www.gusen.org
www.deportati.it
Ebensee:
www.ebensee.org
Wolfang Quatember, “Die geschichte der kz-gedenkstatte Ebensee”, in Betriff Widerstand, Verein
Widerstands Museum, 1996.
Ringraziamo:
la Prof.sa Eleonora Vincenti per le traduzioni dal tedesco che ci hanno permesso di utilizzare le
fonti
Andreas Schmoller, Direttore pedagogico del Museo di storia contemporanea e del memoriale KZ
Ebensee, che ci ha fornito articoli e fonti direttamente dal Museo di Ebensee.
Alleghiamo la fotocopia della lettera della Sig.ra Lepetit, indirizzata ai Sig.ri Charvet ( Controllore
del Ministero A.C.V.G) e Wolf ( Incaricato alla missione A.C.V.G.in Austria) e scritta in francese
nel 1958, cortesemente concessaci per la nostra ricerca da Andreas Schmoller.
31
LA POST-MEMORIA
32
In questo breve ultimo capitolo vogliamo concentrare la nostra attenzione su un problema che sarà
di triste attualità fra qualche anno: la naturale scomparsa dei testimoni e le conseguenze sulla storia
della deportazione e dello sterminio.
Tra storia e testimonianza c’è ovviamente una differenza fondamentale che passa attraverso le
strutture stesse su cui si fonda la ricostruzione storica e la memoria personale-soggetiva di chi
racconta la propria vicenda.
Le fonti orali sono storicamente trattate come tali e non possono di fatto diventare una fonte storica
se non accertate da indagini e documentazioni.
Per quanto riguarda le memorie dei sopravvissuti dei lager il problema dovrà essere posto, a breve,
in altri termini: con la morte dell’ultimo testimone, quale valore assumeranno, da un punto di vista
storico, le testimonianze sulla deportazione?
La consapevolezza del problema è già viva da tempo, da quando cioè, a ogni livello, dalla
esperienza scolastica fino a quella delle fondazioni americane, si cerca in tutti i modi di rincorrere il
tempo e fermare su carta, con immagini, con registrazioni, quante più possibili testimonianze si
riescono ancora a raccogliere.
A noi sembra che oggi, a 60 anni dalla liberazione dei campi, il vero problema sia questo: l’urgenza
di fermare per sempre la testimonianza.
Citiamo gli esempi più famosi:
1. la Spielberg Foundation 58 , per la quale il registra lavora da anni per fermare le immagini dei
testimoni.
2. Il sito del museo dell’Olocausto di Gerusalemme 59 che ha messo nel mese di novembre del 2004
tre milioni di schede di ebrei morti nei campi di sterminio.
Anche noi, nel nostro piccolo, come istituzione scolastica, abbiamo filmato e registrato la
testimonianza di Pio Bigo a Mauthausen 60 , consapevoli di quanto essa possa essere preziosa oggi e
domani. E possiamo immaginare che ogni scuola che lavori seriamente a progetti sulla memoria,
tenda a fermare la memoria delle testimonianze raccolte.
L’urgenza di una corsa quasi contro il tempo è fenomeno di oggi.
Della “testimonianza” sui lager potremmo ormai fare un percorso storico: dai primi anni del ritorno
in cui si impose il silenzio, perché nessuno più voleva ascoltare “storie di guerra”, agli anni’60 con
la pubblicazione nell’Einaudi del libro di Primo Levi, fino al passaggio fondamentale degli anni
’80, in cui i sopravvissuti dei lager hanno avuto via libera nelle scuole italiane. In questa fase si è
incominciato a parlare del “dovere di testimoniare” 61 e sono stati pubblicati nuovi testi di
58
Voluta da Steven Spielberg, fondata insieme con James Moll e June Beallor nel 1994, la Shoah Foundation
rappresenta un prezioso archivio storico degli eventi dell’Olocausto: la missione della “Survivors of the Shoah Visual
History Foundation” é registrare e conservare le testimonianze oculari dei sopravissuti all’Olocausto, in modo da
permettere alle generazioni future di imparare qualcosa dagli errori e dagli orrori commessi in quel devastante periodo
della nostra storia. Le pubblicazioni, i cd-rom e i filmati interattivi prodotti dalla Fondazione in anni di lavoro e con
l’appoggio di quattromila volontari sono un’iniziativa anticonvenzionale per stimolare soprattutto i giovani nel ricordo
della tragedia del popolo ebraico. I fatti sono raccontati quasi sempre in prima persona dagli stessi protagonisti.
L’archivio viene utilizzato come strumento di istruzione globale sull’Olocausto e come mezzo per diffondere la
tolleranza razziale, religiosa, etnica e culturale. Fino ad oggi, sono state raccolte più di 50.000 interviste filmate, che
sono state registrate in cinquantuno paesi diversi, in trentuno lingue differenti. Il materiale raccolto sarà messo a
disposizione di almeno cinque musei, dallo Yad Vashem di Israele a quello dell’Olocausto a Washington, con
un’attenzione particolare a tutte le istituzioni in memoria del genocidio con sede a Berlino e Bonn.
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www.yadvashem.org (Da una prima nostra indagine sembra però che i dati italiani siano molto imprecisi, al punto
tale che non risulta comparire il nome di Primo Levi e i dati su Natalia Tedeschi presentano alcuni errori grossolani.
Forse la documentazione su cui hanno lavorato al museo non è aggiornata).
60
Filmato: “Per non dimenticare. Mauthausen e Gusen” anno scolastico 2001/2002. ITG Guarino Guarini, Torino
61
“Il dovere di testimoniare” è il titolo del convegno tenutosi a Torino il 28-29 ottobre del 1983, il cui sottotitolo è il
significativo motto: “ perché non vada perduta la memoria dei campi di annientamento della criminale dottrina
nazista”. Atti del Convegno, a cura del Consiglio regionale del Piemonte e dell’Aned, Torino, 1984.
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memorialistica e molti ex-deportati hanno preso il coraggio di dire quello che avevano tenuto nella
loro memoria.
Negli anni ’90 si registra ancora un altro passaggio, quello ad un ritorno alla prima stagione del
ricordo, la testimonianza per non dimenticare.
In questi ultimi 20 anni la testimonianza è diventata anche una necessità per fermare le tesi
negazionistiche; l’urgenza sentita da tutte le vittime della deportazione ancora in vita di parlare per
sé e per i compagni morti contro coloro che hanno cercato di negare lo sterminio, le camere a gas, il
progetto scientifico-industriale della soluzione finale.
Ma quando le voci testimoniali scompariranno, a noi che cosa rimarrà?
Un vuoto.
E lì si porrà il problema del rapporto tra testimonianza e storia. Quando i testimoni oculari non ci
saranno più e quei racconti non avranno più “voce” diretta, a noi rimarrà una mole di storie che
racconteranno e ricostruiranno scenari, situazioni, dolori, paure, ecc. Che farne? Come usarle
correttamente? Come passare quella mole di testi alla memoria delle nuove generazioni?
E’ in quel momento che si porrà la dimensione della “post-memoria” 62 . Bisognerà far parlare quelle
“voci” come documenti e non solo più come prove.
I problemi che si pongono non sono pochi.
Nessuno di coloro che “agiranno” sulle testimonianze avrà vissuto direttamente né la deportazione
né la guerra. Dovrà sapere usare i testi, le immagini, i filmati. Ma ormai la memoria sarà
necessariamente “mediata”, di seconda generazione.
Nell’articolo di David Bidussa 63 , abbiamo trovato un’interpretazione che ci pare interessante.
Secondo l’autore, il film di Spielberg, Schindler’s List, ha già determinato un passaggio
irreversibile tra testimonianza, storia e memoria. Il regista appartiene alla generazione di chi non ha
vissuto la guerra, e ha a sua disposizione una mole enorme di materiale documentario; elabora le
“fonti” in un contesto in cui è importante narrare oltre la dimensione diretta dei sopravvissuti.
Rispetto a film come Nuit et Brouillard di Alain Resnais 64 e Shoah di Claude Lanzmann 65 , legati
soprattutto ad un’esigenza documentaristica, e segnati dall’indicibilità della shoah, con Schindler’s
List assistiamo al passaggio alla “narrazione” e alla rappresentabilità: “per far questo la Shoah cessa
di essere ente metafisico per divenire dimensione che si rintraccia in storie di individui, attraverso
azioni e approcci che ne rendano in qualche modo sopportabile il peso.” 66
E’ questo, per così dire, un uso diverso della memoria: le storie vengono usate e dalla loro
narrazione emerge il dramma del lager. Ma lo sterminio non è raccontato e documentato: il registra
si ferma prima.
Emblematiche a questo proposito ci paiono le scene di Auschwitz: il treno che arriva nella nebbia, i
cani, gli aguzzini, le donne di Schindler che guardano quasi dal di fuori l’”incredibile” realtà di
Auschwitz e noi spettatori che, come loro, non riusciamo ad “entrare” in Auschwitz.
Il treno riparte e, dal punto di vista narrativo, questo è il momento catartico del film, quello in cui
tutti gli spettatori tirano un sospiro di sollievo; ma ad Auschwitz si moriva nella melma del fango,
nelle camere a gas, si moriva per un “destra o sinistra”, nella bestialità più assoluta. Il film si ferma
prima, un attimo prima, quasi inspiegabilmente, perché resta inspiegabile come un gruppo così
62
David Bidussa, “Testimonianza e storia. Verso la post-memoria”, da QOL, Reggio Emilia, numero 110, 2004, p. 3 e
seg.
63
Op.cit, p.4,5.
64
Nuit et brouillard, di Alain Resnais, 1956 (32’): documentario sullo sterminio commissionato a Resnais dal Comité
d'Histoire della Seconda Guerra Mondiale in cui i materiali attinti agli archivi storici delle forze alleate si alterna a
sequenze a colori girate sui luoghi della deportazione. Commento di Jean Cayrol, musica di Hanns Eisler.
65
Nel 1985 Claude Lanzmann dirige "Shoah" un film-documentario imponente per impegno e durata (570’). Il film ha
un taglio cinematografico opposto a quello di "Holocaust": i testimoni - i veri testimoni - sono al centro della
narrazione, è un film basato sul dialogo, sulla memoria. Nulla di più distante dalla idea filmica americana
66
Op. Cit., p 4.
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numeroso di donne ebree sia potuto uscire da Auschwitz. Abbiamo la spiegazione della facile
corruzione delle SS, e forse ci sentiamo meglio a poterlo pensare.
Ma il messaggio più profondo è che Auschwitz oggi, non possiamo rappresentarlo: rimano un buco
nero.
Anche secondo Alberto Cavaglion il film di Spielberg ha segnato un’epoca, un modo di
rappresentare la Shoah. Ma secondo l’autore è già superato; il suo “magniloquente pedagogismo
(…) che nella memoria-dovere trovava la propria ragion d’essere”, quella che ha segnato l’era del
testimone, è stato superato dal regista Polanski con il suo film Il Pianista.
“Nella rappresentazione della Shoah – nella letteratura come nel cinema – la linea discriminante
passa fra chi ponendosi nelle vesti del pedagogo attribuisce alla memoria un valore assoluto e chi
invece, come già Resnais ed oggi Polanski, rappresenta gli orrori di cui l’uomo è capace nella
prospettiva di un mondo a venire in cui il ricordo stesso degli orrori divenga inutile. La normalità è
data dal fatto che alla fine lo spettatore è persuaso che si possa di nuovo suonare in diretta
radiofonica Chopin, senza bisogno di sentire rombanti motori di carri armati mentre scorrono i titoli
di coda. (…) La gratitudine che si deve al registra consiste nel non averci voluto affidare nessun
messaggio sul Bene che trionfa sul Male, ma di averci semplicemente fatto osservare che cosa
significa vivere la quotidianità di un crimine assurdo.” 67
Dopo questo breve percorso di riflessione nella memoria del dopo-testimone, noi ancora una volta
non possiamo dare risposte: che ne sarà, nella storia della “letteratura” sulla Shoah, della
testimonianza?
Come ci comporteremo di fronte a quelli che verranno, noi che abbiamo ascoltato i testimoni diretti
della deportazione?
Come useremo le immagini, le registrazioni, gli scritti?
Per il momento possiamo solo registrare il passaggio odierno, scandito dalla consapevolezza che tra
breve le “voci” dei testimoni non ci saranno più e che ci porta a documentare il più possibile tutto
ciò che rimane registrabile.
67
Alberto Cavaglion, “Una grammatica di ordinarie virtù”, in Gadi Luzzatto Voghera, Ernesto Perillo, Pensare e
insegnare Auschwitz, Franco Angeli, 2004, p. 42.
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