STIMA DELLA PROFONDITà DELLA MOHO NEI BALCANI

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GNGTS 2014
Sessione 3.2
Stima della profondità della Moho nei Balcani occidentali
da osservazioni di gravità del satellite GOCE
D. Sampietro
GReD s.r.l., Como
Introduzione. L’area dei Balcani occidentali, ovvero la zona che si estende tra la Bulgaria e
il Mar Adriatico, è una delle regioni europee più complesse e attive dal punto di vista tettonico.
L’area si trova in corrispondenza della collisione tra la placca africana e quella eurasiatica ed
è caratterizzata dalla presenza della cintura orogenetica alpino-himalayana e dall’apertura del
bacino pannonico. Infatti, la spinta della placca Adriatica nella litosfera europea, ha causato
la formazione di importanti catene montuose come le Alpi, le Dinaridi e le Albanidi. Secondo
studi più recenti, basati principalmente sull’analisi delle velocità da reti GNSS permanenti,
e da metodi di sismica passiva la placca Adriatica può essere suddivisa in una serie di due o
anche tre unità più piccole in movimento verso nord con velocità dell’ordine di 35 mm/anno
(Herak et al., 2005; Ivančić et al., 2006). Al contrario la parte meridionale dei Carpazi e la
parte orientale della penisola balcanica mostrano un movimento orientato verso sud di circa
3 mm/anno. Oltre che per l’estrema complessità geologica i Balcani occidentali rappresenta
anche una zona interessante anche da un punto di vista “storico”: infatti i primi studi sulla
litosfera e in particolare sulla determinazione della Moho sono stati condotti in questa regione
da Mohorovičić che per primo, studiando il terremoto avvenuto nella valle di Kupa nel 1909
(Mohorovičić, 1992), individuò la presenza di una discontinuità tra crosta e mantello terrestre,
la cosiddetta discontinuità di Mohorovičić o Moho. Nel suo lavoro Mohorovičić, sulla base
delle registrazioni di una serie di terremoti, osservava la presenza di due distinte coppie di
onde P e S una delle quali generata a una discontinuità strutturale sotto la superficie della Terra.
Nel suo articolo Mohorovičić stimò la profondità di questa discontinuità nella zona croata in
circa 54 km. Da allora sono stati condotti molti altri studi per comprendere meglio la struttura
litosferica sotto i Balcani occidentali: a partire dai lavori di Dragaševií e Andric (1968) che
utilizzarono due profili di sismica profonda lungo le Alpi Dinariche, al lavoro di Aljinović et
al. (1984) che suggerisce, sulla base di altri tre profili sismici che vanno dalla costa adriatica al
continente in direzione sud est-nord ovest, uno spessore della crosta di 45 km sotto le Dinaridi
rapidamente decrescente fino ad arrivare a soli 20 km nel bacino pannonico e in corrispondenza
del mar Adriatico.
In aggiunta è importante ricordare qui l’analisi della velocità di propagazione delle onde
sismiche nella regione circum adriatica di Herak e Herak (1995) che ha mostrato uno spessore
crostale media di 40 km nelle Dinaridi crescente verso sud-est e fino a raggiungere 55 km
nella loro parte più meridionale, il lavoro di Van der Meijde et al. (2003) e di Stipčević et al.
(2011) che hanno analizzato i tempi d’arrivo delle onde sismiche in corrispondenza di stazioni
sismologiche per stimare modelli semplici della struttura della crosta terrestre.
In particolare in Van der Meijde et al. (2003) due stazioni lungo la costa croata sono stati
indagate stimando uno spessore crostale di 47 e 41 km, con una incertezza dell’ordine di 1.6
km mentre in Stipčević et al. (2011), una serie di 8 stazioni è stata utilizzata per trovare uno
spessore medio della crosta sotto le stazioni dell’Adriatico settentrionale in linea con i risultati
pubblicati dai recenti esperimenti DSS [profilo Alp07: Šumanovac et al. (2009)], mentre nelle
Dinaridi centrali e nel nel sud della Croazia hanno osservato una Moho significativamente più
profonda delle stime precedenti.
È importante notare che tutti questi studi derivanti da osservazioni sismiche soffrono ancora
di mancanza di osservazioni nella regione delle Dinaridi e nelle aree circostanti, che si traduce
inevitabilmente in elevate incertezze nelle stime della profondità Moho. Infatti, mentre la
struttura crostale del bacino pannonico è ragionevolmente ben conosciuta grazie all’esplorazione
delle compagnie petrolifere, si veda ad esempio Dolton (2006) la disponibilità di osservazioni
in Croazia e nella vicina Bosnia-Erzegovina è abbastanza limitata.
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Nel presente lavoro i dati di gravità, e in particolare la quinta release del modello di gravità
globale ottenuto da osservazioni GOCE applicando il metodo Time-Wise (Pail et al., 2010)
sono stati utilizzati per dedurre informazioni sulla struttura crostale e sulla profondità della
Moho nei Balcani occidentali. La procedura può essere divisa in due fasi principali: la prima
consiste nel riconoscere e isolare le diverse province geologiche nell’area di studio sfruttando
le informazioni provenienti dal modello globale del campo gravitazionale stesso, mentre la
secondo consiste nell’invertire il campo gravitazionale per stimare la profondità della Moho e
alcune informazioni sulla densità della crosta.
Nel secondo capitolo l’algoritmo e i risultati della classificazione in province geologiche
saranno descritti e discussi, mentre nel terzo capitolo verrà presentato l’algoritmo di inversione.
Infine nell’ultimo capitolo verranno esposti e analizzati i principali risultati numerici.
Definizione delle province geologiche. Per poter stimare la profondità della Moho da
osservazioni del campo gravitazionale è necessario conoscere le principale variazioni di
densità all’interno della crosta e nei primi strati del mantello. Infatti una volta che tali variazioni
sono note è possibile calcolarne l’effetto in termini di campo gravitazionale e quindi isolare e
rimuovere dai dati il segnale dovuto alla discontinuità di Mohorovičić. Per questo è necessario
modellizzare la geometria e la densità dei sedimenti, della crosta cristallina, di eventuali mari o
ghiacci presenti e del mantello superiore. Per quanto riguarda la crosta cristallina, una possibilità
per modellizzare almeno le principali variazione di densità laterali, studiata e applicata
recentemente a livello globale in Reguzzoni e Sampietro (2014), consiste nel suddividere la
crosta in regioni geologicamente omogenee, ognuna delle quali classificate come una di otto
tipi di crosta (i.e. scudi, piattaforma continentale, bacini sedimentari, crosta in estensione, zone
orogenetiche, crosta oceanica, ridge oceanici e province ignee). Per ogni classi di crosta viene
quindi definita una funzione empirica [basata sul lavoro di Christensen and Mooney (1995)]
che descriva variazioni di densità rispetto a variazione di profondità. È importante notare che
tali funzioni sono richieste oltre che per la riduzione dei dati anche per definire il contrasto di
densità tra crosta e mantello terrestre necessario per l’inversione del segnale gravitazionale
residuo.
In questo contesto la definizione dei limiti geografici delle province geologiche è un tema
cruciale per ridurre correttamente i dati e invertire il segnale residuo. Nel presente lavoro
è proposto un approccio bayesiano per classificare a partire da un funzionale del campo
gravitazionale, la regione indagata in province geologiche.
In dettaglio consideriamo una griglia di anomalie di gravità δg ad una certa altitudine h
costante, possibilmente vicina alle masse topografiche, ottenuta applicando un operatore di
Fig. 1 – Mappa delle province geologiche a-priori digitalizzata a 1°x1° (a) e risultato dell’algoritmo di classificazione
proposto (b).
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sintesi armonica (Moritz, 1980) a un modello di campo gravitazionale globale e supponiamo di
conoscere un modello approssimato, ad esempio da una mappa a-priori delle province geologiche
(Exxon, 1995), di province geologiche Gi per ogni nodo i della griglia. In generale, Gi può
assumere n valori dove n è il numero delle province geologiche nella zona di interesse. Si veda
ad esempio la mappa delle province geologiche dei Balcani occidentali con una risoluzione
di 1°x1° ottenuta digitalizzando la mappa delle province geologiche sviluppata dall’U.S.
Geological Survey riportata in Fig. 1. Dal momento che solo quattro province geologiche sono
presenti, n = 4, Gi può assumere solo un valore nel set delle province disponibili, i.e. : G1, G2,
G3, G4.
Per ogni pixel i inoltre viene selezionato un intorno Δi, ad esempio formato dagli 8 pixel
adiacenti a quello considerato. La probabilità a priori che Gi assuma un certo valore Gk con k =
1,2,…,n, cioè P(Gi = Gk) è calcolata per mezzo di una matrice peso W:
dove
(1)
La matrice dei pesi W è definita in base alla distanza tra ciascun pixel in j = {i,Δi} e il pixel
i. Ad esempio, supponendo che in un intorno di un certo pixel i il modello a priori abbia solo
due province geologiche con la geometria e la matrice dei pesi W di Fig. 2 le due probabilità a
priori sono   e .
Per calcolare la likelihood, i.e. P(δgi|Gi = Gk)
supponiamo che la crosta sia in perfetto equilibrio
isostatico (secondo il modello di Airy) è che
l’effetto gravitazionale ad ogni nodo della griglia
sia in prima approssimazione dovuto ad una slab
di Bouguer con spessore pari allo spessore della
crosta. Considerando queste approssimazioni è
possibile scrivere una relazione lineare tra δgi e la
densità della crosta ρGii. A questo punto, partendo
Fig. 2 – Esempio di matrice dei pesi. Il pixel i è posto
dal modello a-priori di province geologiche è
nel centro della matrice.
possibile stimare ai minimi quadrati ρ̂Gii per ogni
provincia geologica e la relativa varianza σ̂ 2ρGii. Infine per ogni pixel la likelyhood è calcolata
come la probabilità che la densità di un certo pixel i appartenga a una distribuzione normale
con media ρ̂Gii e varianza σ̂ 2ρGii. La probabilità a posteriori è calcolata applicando il noto teorema
di Bayes come il prodotto tra la probabilità a-priori e la likelihood. La provincia geologica del
singolo pixel i è quindi scelta in modo da massimizzare la probabilità a posteriori.
A questo punto due osservazioni sono necessarie: in primo luogo è importante sottolineare
che le approssimazioni introdotta dall’ipotesi di crosta perfettamente isostatica e dal calcolo del
segnale gravitazionale utilizzando la semplice plate di Bouguer non consentono una corretta
determinazione della densità crostale, tuttavia questa prima fase ha come scopo finale solamente
quello di individuare regioni omogenee (dal punto di vista della struttura della crosta) all’interno
dell’area di studio. In secondo luogo va anche notato che l’uso della plate di Bouguer permette
di considerare Gi come una realizzazione di un campo di Markov con correlazione significativa
solo con i vicini più prossimi permettendo l’applicazione di un metodo come il Gibbs sampler
per massimizzare la probabilità a posteriori (Smith e Roberts, 1993; Sansò et al., 2011) e quindi
facilitando notevolmente la classificazione delle zone omogenee.
Il metodo è stato applicato per migliorare la modellazione dei principali confini delle
province geologiche nei Balcani occidentali. In particolare è stato utilizzato come punto di
partenza dell’algoritmo di classificazione il modello a priori mostrato in Fig. 1, considerando
come osservazioni una griglia di gravity disturbances sintetizzate dal modello globale GO_
CONS_GCF_2_TIM_R5 (Pail et al. 2010) ad una quota di 3000 m con risoluzione di 1’ e
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considerando una matrice peso W (come in Fig. 2) definita da α = 0.3 e β = γ = (1 – α)/8.
Va sottolineato come questa configurazione della matrice dei pesi obblighi l’algoritmo a
scegliere la provincia geologica per il pixel i solo tra le province geologiche adiacenti andando
quindi a modificare solamente i confini tra due (o più) province.
Il risultato finale è mostrato in Fig. 1 dove si può vedere come il metodo sia in grado di
modificare correttamente i confini delle province geologiche ottenendo una mappa molto più
dettagliata rispetto a quella di partenza e sostanzialmente guidata solamente dalle osservazioni
del campo gravitazionale.
Stima della Moho. L’algoritmo di inversione si basa sulla soluzione locale sviluppata
all’interno del progetto GEMMA (GOCE Exploitation for Moho Modeling and Applications)
finanziato dal programma dell’Agenzia Spaziale Europea Support To Science Element (STSE).
Nel seguito sono riportati solamente i concetti principali, rimandando il lettore a consultare
Sampietro (2011), Reguzzoni e Sampietro (2012) e Sampietro et al. (2014) per dettagli.
Prima di descrivere l’algoritmo di inversione è importante sottolineare il sistema di
riferimento utilizzato nel presente studio. Essendo l’area di interesse abbastanza ridotta la
soluzione si basa su un’approssimazione planare del problema. Infatti è stato dimostrato che
per regioni con estensione inferiore a 10°x10° la differenza tra l’approssimazione planare e
l’approssimazione sferica è trascurabile essendo inferiore a 0.5 km in termine di profondità
della Moho (Sampietro, 2011). La prima operazione consiste quindi nel mappare il sistema di
riferimento globale geodetico (i.e. latitudine, longitudine e quota ellissoidica) in un sistema di
coordinate cartesiane locali. Questo mapping è definito dalle seguenti equazioni:
(2)
dove ϕ, λ e h sono la latitudine, longitudine e altezza ellissoidica, rispettivamente, di un certo
–
nodo della griglia delle osservazioni, ϕ– e λ e sono la latitudine e la longitudine del centro della
regione considerata, R è il raggio della sfera locale e infine x, y, e z sono le coordinate mappate.
Si noti che questa operazione è solo un cambiamento di coordinate e che il nuovo sistema
di riferimento è solo approssimativamente quello definito da una terna locale con origine nel
centro della griglia e tangente all’ellissoide (Sansò, 2006).
Considerando il sistema di riferimento di cui sopra, è possibile applicare l’algoritmo di
inversione basato su un processo di deconvoluzione di Wiener nel dominio delle frequenze
che filtra gli errori delle osservazioni e rende numericamente efficiente la risoluzione del
problema [per dettagli si veda Reguzzoni e Sampietro (2012)]. L’unicità della soluzione
è garantita dall’approssimazione della struttura crosta-mantello con un semplice modello
a due strati (Sampietro e Sansò, 2012), quest’approssimazione è resa valida rimuovendo, a
monte dell’inversione del campo gravitazionale, gli effetti dovuti alle principali variazioni
di densità (e.g. topografia, batimetria, sedimenti e mantello superiore). La soluzione è stata
quindi migliorata adattando la strategia globale proposta in Reguzzoni e Sampietro (2014)
all’inversione locale. In sintesi tale miglioramento permette, conoscendo informazioni derivanti
ad esempio da profili sismici, di stimare la profondità media della Moho, un fattore di scala
per la funzione profondità-densità di ogni provincia geologica e di considerare nella soluzione
eventuali variazioni di profondità della densità della crostale.
Per quanto riguarda la riduzione del segnale gravitazionale è stato utilizzato il modello
ETOPO1 (Amante e Eakins, 2009) per la topografia e la batimetria, un modello di sedimenti
a 1°x1° (Laske e Master, 1997) e il modello GyPSuM per il mantello superiore (Simmons et
al., 2010). Come informazione sismica per la stima della profondità media della Moho è stato
utilizzato il modello CRUST1.0 (Laske et al., 2013 ). I risultati dell’inversione in termini di
profondità della Moho sono presentati in Fig.3
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Conclusioni. La Moho stimata sembra
presentare tutte le caratteristiche note
in letteratura quali l’elevato spessore in
corrispondenza delle maggiori regioni
orogenetiche e la riduzione dello spessore
della crosta in corrispondenza della placca
adriatica e dei bacini sedimentari. Lo
spessore della crosta in corrispondenza
della Pannonia, compreso tra 20 e 30 km è
consistente con diversi modelli di crosta (e.g.
Grad e Tira, 2009). Questi risultati mostrano
in primo luogo la capacità dell’osservazioni
della missione GOCE di classificare regioni
omogenee di crosta terrestre anche in
presenza di geologie complesse. Inoltre
dimostrano la bontà dell’algoritmo di
Fig. 3 – Stima della profondità della Moho (in km) nell’area
di studio.
inversione utilizzato e l’elevata accuratezza
e risoluzione che si può ottenere sfruttando
localmente le osservazioni globali del campo gravitazionale.
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