Capitolo I
La translatio iudicii tra le giurisdizioni
SOMMARIO: 1. La translatio iudicii nell’ordinamento italiano. – 2. Translatio iudicii e giudice
amministrativo: profili problematici. – 3. Il principio dell’unità della giurisdizione. – 4.
(segue). La progressiva affermazione della natura giurisdizionale della IV Sezione del
Consiglio di Stato. – 5. L’ unità della giurisdizione nella Costituzione. – 6. Il progetto di
riforma del 1997. – 7. Il principio di incomunicabilità tra le giurisdizioni. – 8. La trasmigrabilità del processo. – 9. La tesi della riassunzione del processo. – 10. Le tesi alternative: la riproposizione della domanda giudiziale. – 11. La domanda giudiziale tra mutatio
libelli ed emendatio libelli alla luce della recente giurisprudenza della Corte di Cassazione. – 12. I limiti alla riformulazione della domanda alla luce dei rapporti tra giurisdizioni.
– 13. La trasmigrazione dell’azione risarcitoria tra giudice ordinario e giudice amministrativo.
1. La translatio iudicii nell’ordinamento italiano
La translatio iudicii è uno dei tradizionali strumenti processuali esistenti
nell’ordinamento processuale italiano.
Lo strumento della translatio iudicii, originariamente pensato per il processo
civile, ha subito nel corso del tempo una notevole evoluzione di pari passo con
l’elaborazione giurisprudenziale e le progressive innovazioni introdotte a livello
normativo nel nostro sistema di giustizia.
In particolare, l’evoluzione del nostro ordinamento in un sistema articolato
che, pur sancendo il principio dell’unità della giurisdizione oggi stabilito ex artt.
102 e 111 Cost., ammette la presenza di giudici speciali, ha progressivamente
offerto alla translatio iudicii nuovi ambiti di applicazione.
La disciplina della translatio iudicii trova il suo fine nella necessità di garantire l’effettività della tutela giurisdizionale.
Nel vigente quadro normativo, tale strumento opera sia quale rimedio rispetto alla erronea identificazione del giudice competente all’interno di un plesso
giurisdizionale sia nelle ipotesi in cui, in ragione della complessità degli attuali
criteri di riparto della giurisdizione, previsti dagli artt. 102 e 103 Cost., vi sia
una pronuncia che dichiari il difetto relativo di giurisdizione del giudice adito.
Per il vero, se l’applicazione dell’istituto in parola per la risoluzione dei con-
2
Processo amministrativo e translatio iudicii
flitti di competenza appare se non sempre agevole, sufficientemente lineare, in
ragione della prolungata elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria e dei numerosi interventi legislativi, nell’ipotesi del conflitto di giurisdizione l’applicazione delle disposizioni in materia di translatio iudicii ha, tradizionalmente, incontrato alcune difficoltà.
Le disposizioni che disciplinano nell’ordinamento italiano la translatio iudicii
hanno il fine di evitare che un errore nell’identificazione del giudice competente
o munito di giurisdizione possa compromettere la tutela dei diritti ed interessi
dei terzi ritenuti degni di tutela.
L’applicazione della translatio iudicii per la riassunzione (o, come si vedrà,
per la riproposizione) di un processo avviato dinanzi ad un giudice non munito
di giurisdizione è, tuttavia, limitata in ragione delle diverse regole processuali
che disciplinano l’accesso al giudice ordinario ed al giudice amministrativo.
L’ipotesi dell’applicazione della translatio iudicii nell’ambito dei conflitti di
giurisdizione è non priva di rilevanti profili problematici, in alcuni casi derivanti
da circostanze da lungo tempo dibattute in dottrina e giurisprudenza.
La translatio iudicii, cioè la trasmigrabilità di un procedimento giurisdizionale, è uno strumento processuale che è nato ed è stato inizialmente applicato all’interno della giurisdizione ordinaria nelle ipotesi di incompetenza del giudice
adito.
La trasmigrabilità del giudizio dal giudice incompetente a quello competente
può avvenire, di regola, sia a seguito della declaratoria di incompetenza del giudice adito e successiva riassunzione del processo dinanzi al giudice competente
(translatio iudicii orizzontale) 1 sia per l’effetto di una pronuncia sulla competenza da parte di una giurisdizione superiore (translatio iudicii verticale) 2.
La translatio iudicii trova origine in un quadro normativo molto diverso rispetto a quello attuale; nel periodo statutario il codice di procedura civile del
1865 non prevedeva uno specifico strumento per consentire la trasmigrabilità
dell’azione proposta dinanzi al giudice incompetente.
Non esistevano, in tale fase storica, strumenti che consentissero ad un giudice di indicare autonomamente, in sede di rilievo del difetto di competenza, quale fosse il giudice competente; in tale periodo la translatio iudicii in senso orizzontale non sembra potersi considerare operante.
1
Sulla Translatio iudicii orizzontale, con riferimento all’ipotesi del conflitto di giurisdizione, v.
R. GIORDANO, Translatio iudicii c.d. orizzontale in tema di giurisdizione: considerazioni de iure
condito e de iure condendo, in Giur. merito, 2009, p. 913 e ss.; C. CONSOLO-M. DE CRISTOFARO,
Evoluzioni processuali tra translatio iudicii e riduzione della proliferazione dei riti e dei ritualismi, in
Corr. giur., 2007, p. 745 e ss.
2
In merito alla distinzione tra translatio iudicii verticale ed orizzontale, con riferimento
all’ipotesi del difetto di giurisdizione, v. Corte di Cassazione 23 maggio 2007 n. 4109; la citata sentenza precisa che, in caso di declinatoria di giurisdizione da parte di un giudice di merito (translatio iudicii orizzontale), il giudice investito della controversia non è obbligato a adeguarsi al provvedimento che lo individua come il soggetto munito di giurisdizione.
La translatio iudicii tra le giurisdizioni
3
Al contrario, esisteva nell’ordinamento processuale allora vigente una ipotesi
di translatio iudicii verticale.
Infatti, l’unica ipotesi di translatio iudicii prevista dalle disposizioni contenute nel codice del 1865 era quella dell’art. 544 c.p.c. che consentiva l’applicazione
di tale strumento processuale a seguito della pronuncia della Corte di Cassazione che avesse cassato la decisione di merito per motivi di competenza; per
l’effetto di tale sentenza, l’azione doveva essere rinviata al giudice dichiarato
competente dalla Cassazione. Nel codice di procedura civile vigente la translatio
iudicii è ammessa dall’art. 50 c.p.c. che precisa come, a seguito di una pronuncia
da parte del giudice ordinario che dichiari la propria incompetenza ai sensi dell’art. 44 c.p.c., le parti possono riassumere 3 il giudizio dinanzi al giudice competente entro un termine massimo di tre mesi dalla comunicazione dell’ordinanza
della Corte di Cassazione che decide sul regolamento di competenza o dell’ordinanza del giudice che dichiara la propria incompetenza 4.
Va rilevato come, prima della novella introdotta con l’art. 45, comma 6, lett.
a) della legge n. 69 del 2009, l’art. 50 c.p.c. precisasse che la pronuncia in merito
alla competenza dovesse essere una sentenza.
Il testo dell’art. 50 c.p.c. precedente al 2009 infatti stabiliva che «se la riassunzione della causa davanti al giudice dichiarato competente avviene nel termine fissato nella sentenza dal giudice e, in mancanza, in quello di sei mesi dalla
comunicazione della sentenza di regolamento o della sentenza che dichiara
l’incompetenza del giudice adito, il processo continua davanti al nuovo giudice.
Se la riassunzione non avviene nei termini indicati, il processo si estingue».
A seguito della riforma del 2009 l’art. 50 c.p.c. è stato modificato ed oggi, in
luogo della sentenza, la pronuncia in materia di competenza assume la forma
dell’ordinanza, a voler rimarcare come il processo oggetto di trasmigrazione
continui dinanzi al giudice competente e che l’atto di riassunzione non introduce un nuovo procedimento.
Un analogo meccanismo è oggi previsto dall’art. 16 del codice del processo
amministrativo in materia di conflitti di competenza; dalla lettura di tale disposizione, come si vedrà, emergono sia una ipotesi di translatio iudicii orizzontale,
in caso di riassunzione a seguito dell’ordinanza del giudice del T.a.r. che declina
la competenza indicando a sua volta il giudice competente, sia una ipotesi di
translatio iudicii in senso verticale, nell’ipotesi della riassunzione del processo
dinanzi al giudice competente in ragione della pronuncia del Consiglio di Stato
sul regolamento di competenza.
3
In merito alla riassunzione la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha chiarito che «l’atto
di riassunzione del processo non introduce un nuovo procedimento, ma esplica esclusivamente la
funzione di consentire la prosecuzione di quello già pendente» (Cass., 27 ottobre 2011, n. 22436).
4
La competenza del giudice adito va considerata non come presupposto di validità della domanda, bensì quale condizione di legittimità del provvedimento giudiziale in tal senso, si esprime
V. ANDRIOLI, Bilancio della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1965,
p. 1644.
4
Processo amministrativo e translatio iudicii
Per quanto riguarda l’ipotesi di applicazione dell’istituto della translatio iudicii nei casi di conflitto di giurisdizione, va rilevato che tale strumento assume un
più ampio rilievo a seguito di una serie di provvedimenti normativi che, a partire dal 1865, ridisegnano il sistema della giurisdizione in Italia per far fronte ai
problemi sorti a seguito dell’unità territoriale raggiunta.
A seguito di tali interventi normativi, infatti, lo strumento della translatio iudicii non trova applicazione solo all’interno della sfera di attribuzioni del giudice
ordinario, in ragione dell’evoluzione del nostro sistema di giustizia e della nascita di giudici speciali che operano in ambiti specifici.
L’ambito di applicazione della translatio iudicii si è ampliato con un inevitabile aggravarsi delle problematiche legate al suo utilizzo da parte della Suprema
Corte, in sede di definizione dei conflitti sorti tra giudice ordinario e amministrazione prima e, successivamente, tra giudice ordinario, amministrazione e
giudici speciali.
La normativa vigente in materia di translatio iudicii ammette l’applicazione
dell’istituto anche e soprattutto in materia di conflitto di giurisdizione, non senza diverse difficoltà in relazione ai limiti ed alle modalità applicative nell’ambito
del processo.
2. Translatio iudicii e giudice amministrativo: profili problematici
La translatio iudicii è uno strumento processuale che nella sua applicazione
nell’ambito della giurisdizione amministrativa ha presentato, tradizionalmente,
diverse difficoltà applicative.
Per lungo tempo si è dibattuto in merito all’applicazione dell’istituto alla
problematica del difetto di giurisdizione non trovando la dottrina un unanime
posizione circa l’applicazione analogica delle disposizioni, dettate nel codice di
procedura civile, in materia di translatio iudicii ed in relazione al difetto di competenza del giudice adito.
Sebbene il problema della fonte normativa applicabile in caso di conflitto di
giurisdizione possa dirsi risolto a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 104 del 2010 che, all’art. 11, disciplina l’ipotesi della translatio iudicii
con riferimento alla giurisdizione 5, l’armonizzazione dell’istituto della translatio
iudicii con le norme processuali che regolano il processo amministrativo continua ad essere non sempre agevole.
Le difficoltà non sorgono solo nell’ipotesi delle questioni attinenti alla giurisdizione ma anche nelle fattispecie connesse alla risoluzione delle questioni di
competenza.
5
Sul punto v. C. CONSOLO, La translatio iudicii tra giurisdizioni nel nuovo art. 59 della legge di
riforma del processo civile, in Riv. dir. proc., 2009, p. 1267 e ss.; P. VITTORIA, Lo statuto della questione di giurisdizione davanti al giudice ordinario e la disciplina della translatio iudicii nella l. n. 69
del 2009, in Giust. civ., 2010, p. 105 e ss.
La translatio iudicii tra le giurisdizioni
5
Un primo problema, nell’ambito della trasmigrabilità per difetto di competenza, si verifica in relazione all’applicazione dell’istituto della translatio iudicii
in alcune ipotesi di competenza funzionale.
Il principio della non applicabilità della translatio iudicii nell’ipotesi della
c.d. competenza funzionale inderogabile del giudice dell’impugnazione è stato
ribadito anche dalla recente giurisprudenza amministrativa 6.
Tuttavia, va rilevato come tale orientamento, che prende in esame la competenza del giudice dell’impugnazione, trovando la propria giustificazione in una
ricostruzione della competenza intesa come funzionale e non come territoriale,
presenti alcuni elementi di perplessità.
Infatti, l’orientamento citato sembra ignorare le ipotesi di competenza funzionale dei giudici amministrativi di primo grado, con la conseguenza che, in ragione del principio di diritto che emerge da tale linea giurisprudenziale, in caso
di erronea individuazione del giudice di primo grado funzionalmente competente non si dovrebbero applicare le disposizioni che consentono la riassunzione
del processo.
Una interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni che regolano il diritto dei cittadini all’accesso alla giurisdizione sembrerebbe favorevole
all’applicazione della translatio iudicii anche nell’ipotesi dell’erronea individuazione del giudice dell’impugnazione (funzionalmente) competente anche e sopratutto in ragione del silenzio delle norme che regolano il difetto di competenza ed il regolamento di competenza.
In relazione all’ipotesi dell’erronea individuazione del giudice munito di giurisdizione su una data controversia, è noto il problema derivante dall’armonizzazione dell’istituto della translatio iudicii con le disposizioni che dettano il termine breve di impugnazione previsto per il giudice amministrativo.
Le disposizioni dettate dalla legge n. 69 del 2009 e dal codice del processo
amministrativo hanno risolto il problema solo in parte.
Un primo fondamentale problema che si rinviene nell’applicazione della
translatio iudicii consiste nella necessità di adeguare la domanda proposta dinanzi al giudice individuato erroneamente come quello munito di giurisdizione
alle peculiarità della giurisdizione di rinvio.
I limiti a cui deve sottostare l’apprezzamento del giudice a cui la domanda
viene riproposta rappresentano un evidente difficoltà nella ridefinizione della
domanda; la domanda giudiziale, infatti, pur rimanendo nella sostanza la medesima, volta alla tutela del medesimo interesse sostanziale di cui il proponente
dell’azione è titolare, nondimeno deve adattarsi alle regole processuali ed ai limiti interni ed esterni del sindacato previsti dall’ordinamento giuridico per la
giurisdizione di rinvio.
6
V. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 22 aprile 2014 n. 12; v. anche M.G. PULVIRENTI, La translatio iudicii per questioni di competenza inderogabile tra esigenze di giustizia e garanzie del contraddittorio, in Foro amm.-C.d.S., 2010, p. 1684 e ss.
6
Processo amministrativo e translatio iudicii
Un ulteriore problema nell’applicazione della translatio iudicii va rinvenuto
nell’obbligo del giudice amministrativo di verificare che applicare la translatio
iudicii non sia un mezzo per superare la mancata impugnazione degli atti amministrativi nel termine perentorio.
La soluzione del problema va individuata nella corretta determinazione delle
ipotesi di errore scusabile, ai fini del riconoscimento ai privati della rimessione
in termini prevista dalle disposizioni in materia di translatio iudicii.
Appare evidente come l’applicazione in senso restrittivo dell’istituto translatio iudicii finisce per ledere i diritti dei cittadini che vendono limitate l’applicazione delle disposizioni che consentono la riassunzione (o, più precisamente,
la riproposizione) del processo quando sia accertata la giurisdizione del giudice
amministrativo.
Inoltre, le peculiarità del processo cautelare nella giurisdizione amministrativa finiscono per determinare altre difficoltà nell’applicazione della translatio iudicii al processo amministrativo.
Viene, infatti, da chiedersi cosa possa avvenire nel caso di provvedimenti cautelari che vengano eseguiti dall’amministrazione quando questi siano concessi da
giudici che successivamente sono dichiarati privi di giurisdizione o incompetenti.
Una visione formale del processo amministrativo e del carattere strumentale
della tutela cautelare dovrebbe condurre a considerare caducato tutto quanto
fatto dall’amministrazione in sede di esecuzione della misura cautelare a seguito
della declinatoria di giurisdizione. Al contrario, una visione sostanziale del processo amministrativo e della funzione del provvedimento cautelare dovrebbe
condurre a ritenere valida l’esecuzione da parte dell’amministrazione avendo il
giudice, pur se dichiarato successivamente incompetente o non munito di giurisdizione, apprezzato la sussistenza degli elementi sostanziali richiesti dalla normativa. Vi è, poi, il problema dei mezzi di prova da riproporre dinanzi al giudice munito di giurisdizione; in tale ipotesi non solo bisogna confrontarsi con la
previsione dell’art. 11 c.p.a. che fa salve le eventuali prescrizioni e decadenze
intervenute nell’originario giudizio erroneamente avviato dinanzi al giudice non
munito di giurisdizione, ma bisogna anche affrontare il problema del diverso regime delle prove ammesse dinanzi a giudici di ordini differenti. Infine, vi è il
problema del rapporto tra giudizio di ottemperanza e translatio iudicii, alla luce
della natura mista, anche di cognizione, di tale procedimento giurisdizionale.
Infatti, seppure non si può escludere che la translatio iudicii possa trovare
applicazione in sede di giudizio di ottemperanza, la trasmigrabilità del processo,
in tali ipotesi deve armonizzarsi con le peculiarità del giudizio di ottemperanza.
3. Il principio dell’unità della giurisdizione
Il principio dell’unità della giurisdizione nell’ordinamento italiano ha radici
profonde, che affondano in un periodo precedente alla nascita dello Stato unita-
La translatio iudicii tra le giurisdizioni
7
rio e si sviluppano in concomitanza con l’approvazione delle leggi di riorganizzazione della macchina statale successive all’unità territoriale.
Un sistema del contenzioso amministrativo era già previsto nel diciannovesimo secolo nel regno di Sardegna; tale sistema trovava il suo fondamento, in
primo luogo, nella concezione che sia la funzione giurisdizionale sia la funzione
amministrativa erano emanazione del Re e, in secondo luogo, nel principio della
separazione e divisione dei poteri 7.
I tribunali del contenzioso amministrativo esistenti nel Regno di Sardegna
erano parte dell’amministrazione ed erano gli unici organi competenti a dirimere controversie attinenti ai c.d. affari amministrativi.
Gli eventuali conflitti tra i magistrati ordinari e i tribunali del contenzioso sarebbero stati di competenza del Re.
A seguito dell’unità d’Italia vennero approvate una serie di leggi aventi lo
scopo di riordinare l’organizzazione dello Stato.
È con la nota legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, che nell’ordinamento giuridico italiano il principio dell’unità della giurisdizione trova, per la prima volta,
sebbene per poco tempo, la sua realizzazione sotto il profilo organico.
La legge soppresse i vecchi tribunali del contenzioso amministrativo esistenti
negli stati preunitari e, all’art. 2, introdusse un sistema a giurisdizione unica incentrato sui giudici ordinari cui vennero affidate tutte le controversie attinenti a
diritti civili e politici anche ove fosse coinvolta la pubblica amministrazione 8.
Gli “affari” non compresi tra quelli attribuiti alla giurisdizione ordinaria erano affidati alla pubblica amministrazione che avrebbe provveduto a seguito della presentazione da parte dei cittadini di un ricorso in opposizione o di un ricorso gerarchico.
Nella dottrina amministrativa sia osserva che il legislatore con la legge di
abolizione del contenzioso del 1865 abbia chiaramente stabilito la propria preferenza per un sistema a giudice unico 9.
Il modello qui esposto era improntato al rispetto del principio della separazione dei poteri; ciò appare confermato anche dai poteri che la legge attribuisce
al giudice ordinario nell’esercizio del sindacato su controversie che coinvolgessero atti della Pubblica Amministrazione.
La legge n. 2248 del 1865, allegato E, agli artt. 4 e 5, ha previsto che, dinanzi
ad un controversia che avesse ad oggetto la pretesa lesione di un diritto da parte
7
In merito v. A. PROTO PISANI, Appunti sul giudice delle controversie fra privati e pubblica
amministrazione, in E. FABIANI-A. TARTAGLIA POLCINI (a cura di) Sull’unità della giurisdizione,
Napoli, 2011, p. 89.
8
Cosi recita l’art. 2 della legge n. 2248 del 1865, all. E: Sono devolute alla giurisdizione ordinaria tutte le cause per contravvenzioni e tutte le materie nelle quali si faccia questione d’un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione, e ancorché
siano emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell’autorità amministrativa.
9
In merito v. M. NIGRO, Giustizia amministrativa, Bologna, 2014, p. 62 e ss.
8
Processo amministrativo e translatio iudicii
di un atto della pubblica amministrazione, il giudice potesse solo apprezzare incidentalmente il provvedimento amministrativo, senza poteri di annullamento o
revoca, ma fatto salvo l’obbligo della P.A. di conformarsi al giudicato 10.
In ragione dei limiti imposti al giudice ordinario in quella prima fase successiva al 1865 assunse rilievo centrale, per la tutela giurisdizionale l’istituto della
disapplicazione.
Il giudice ordinario dinanzi ad una controversia attinente ad un diritto civile
o politico, pure se questo fosse stato inciso dall’esercizio di un potere amministrativo, avrebbe comunque avuto giurisdizione, con il conseguente potere di
disapplicare gli eventuali atti contrari alla legge.
Ove, invece il giudice ordinario non rilevasse la sussistenza di un diritto civile
o politico avrebbe dovuto, ai sensi della legge del 1865, dichiarare la domanda
infondata.
La risoluzione degli eventuali conflitti che potessero sorgere tra giudici ordinari e amministrazione fu, inizialmente, di competenza del Consiglio di Stato 11 e
poi, a partire dal 1877 12, della Corte di Cassazione.
Tuttavia, come è noto, negli anni successivi all’approvazione della legge del
1865 l’interpretazione data dalla giurisprudenza alla nozione di «diritti civili e
politici” ivi contenuta si rivelò molto restrittiva arrivando ad escludere la giurisdizione ordinaria ogni qual volta che l’amministrazione agisse iure imperii nei
confronti di un privato.
Gli “affari” non rientranti, ai sensi nell’art. 3 della legge n. 2248 del 1865, all.
E, nel novero della giurisdizione ordinaria arrivarono a comprendere una ampia
ed eterogenea gamma di interessi talora molto rilevanti per i cittadini.
Ciò portò inevitabilmente ad un notevole vulnus di tutela per i privati; infat10
L’art. 4 della legge n. 2248 del 1865, all. E, afferma: «1. Quando la contestazione cade sopra
un diritto che si pretende leso da un atto dell’autorità amministrativa, i tribunali si limiteranno a
conoscere degli effetti dell’atto stesso in relazione all’oggetto dedotto in giudizio. 2.L’atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti autorità
amministrative, le quali si conformeranno al giudicato dei Tribunali in quanto riguarda il caso deciso. Il successivo art. 5, infine, disponeva: 1. In questo, come in ogni altro caso, le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi».
11
In merito al ruolo del Consiglio di Stato nel periodo tra il 1865 ed il 1877 v. S. BATTINI, La
Giustizia amministrativa in Italia: un dualismo a trazione monista, in Riv. trim. dir. pubbl., 2013, p.
54 e ss.
12
La legge n. 3761 del 1877 ha attribuito alla Corte di cassazione di Roma, a Sezioni Unite,
la giurisdizione in materia di conflitti, sia positivi che negativi, tra potere giudiziario e amministrazione e tra giudici appartenenti ad ordini diversi. Alla Cassazione fu attribuito anche il potere di decidere i ricorsi proposti contro le sentenze dei giudici speciali, impugnate per “incompetenza ed eccesso di potere”, v., in merito, F.G. SCOCA, La genesi del sistema delle tutele
nei confronti della pubblica amministrazione, in ID. (a cura di), Giustizia amministrativa, Torino,
2014, p. 6 e ss.; S. BATTINI, La Giustizia amministrativa in Italia: un dualismo a trazione monista, cit., p. 62 e ss.
La translatio iudicii tra le giurisdizioni
9
ti, in ragione dell’approccio restrittivo adottato dai giudici ordinari, risultavano
privi di tutela interessi molto rilevanti sebbene non riconducili ad una posizione
di diritto preesistente compressa dall’azione amministrativa o da espandere mediante l’adozione di un atto amministrativo.
La dottrina ha rilevato che tale sistema di giustizia si rivelò ben presto inadeguato 13, e che ciò porto rapidamente all’istituzione di un sistema di giustizia amministrativa 14.
Infatti, in risposta al vuoto di tutela che caratterizzava il sistema di giustizia
allora vigente basato sul giudice unico, venne adottata la legge n. 5992 del 31
marzo 1889, istitutiva della Quarta Sezione del Consiglio di Stato.
L’istituzione della Quarta Sezione del Consiglio di Stato segna, perlomeno
sotto il profilo organico, la fine del tentativo di mantenere l’unicità della giurisdizione, in favore di un modello dualistico.
Alla Quarta Sezione venne attribuita la giurisdizione di legittimità sulle controversie attinenti gli interessi diversi dai diritti civili e politici 15 che trovava attuazione mediante l’impugnazione con ricorso degli “atti e provvedimenti di un
autorità amministrativa”.
La legge del 1889, inoltre, attribuiva alla Quarta Sezione del Consiglio di Stato il potere di annullamento degli atti amministrativi ove viziati per incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere 16.
Il ruolo riconosciuto all’atto amministrativo nel sistema di giustizia così delineato, secondo la dottrina, è dovuto alla concezione dell’incompatibilità tra il
diritto soggettivo e l’esercizio del potere autoritativo da parte della P.A. 17.
Il provvedimento assume, di conseguenza, un ruolo fondamentale ai fini della determinazione della competenza della Quarta Sezione; ove vi sia attività autoritativa espressione di esercizio di potere pubblico, non possono sussistere posizioni di diritto in capo ai cittadini.
13
V. in merito E. GUICCIARDI, Giustizia amministrativa, Padova, 1954, p. 51 e ss.
14
Sul punto v. L. MAZZAROLLI, Giustizia amministrativa, in L. MAZZAROLLI-G. PERICU-A.
ROMANO-F.A. ROVERSI MONACO-F.G. SCOCA, Diritto amministrativo, vol. II, Bologna, 2005, p.
1817 e ss.; G. BALENA, In ricordo di Franco Cipriani. Il dilemma dell’unicità o pluralità delle giurisdizioni, in E. FABIANI-A TARTAGLIA POLCINI (a cura di), Sull’unità della giurisdizione, cit., p. 20.
15
La legge del 1889 all’art. 3, parla di “interessi d’individui o di enti morali giuridici”, sul punto v. F.G. SCOCA, La gestazione dell’interesse legittimo, in Studi in onore di Leopoldo Mazzarolli,
Milano, 2007, p. 294, secondo l’Autore, la legge del 1889 «assicurando una forma di tutela giuridica per interessi diversi dai diritti soggettivi, lasciava ipotizzare l’esistenza (o la creazione) di una
inedita (o ritenuta tale) categoria di interessi giuridicamente riconosciuti e protetti. Poneva in tal
modo le premesse necessarie per individuare una nuova situazione giuridica soggettiva», pur se in
base alle convinzioni dell’epoca ipotizzare l’esistenza di una situazione giuridica soggettiva diversa
dal diritto soggettivo appariva molto difficile.
16
In merito vedi S. BATTINI, La giustizia amministrativa in Italia: un dualismo a trazione monista, cit., p. 60 e ss.
17
A. TRAVI, Giustizia amministrativa, Torino, 2014, p. 31
10
Processo amministrativo e translatio iudicii
Il carattere giurisdizionale della Quarta Sezione fu oggetto di dibattito e non
fu immediatamente riconosciuto da parte della dottrina 18.
In particolare, in dottrina si è osservato che in sede di formulazione del testo
della legge del 1889 furono introdotte delle espressioni volte a attenuare gli
elementi che potevano far propendere per il riconoscimento della natura giurisdizionale della Quarta Sezione 19.
In merito va richiamato, in primo luogo, quanto affermato in ordine alla natura del contenzioso amministrativo dall’Orlando che osserva come per ottenere
tutela dinanzi alla IV Sezione del Consiglio di Stato i privati dovessero essere
titolari di un «interesse ingiustamente leso che debba dar luogo ad un riesame,
in via di contenzioso amministrativo, comprendente la questione di merito» 20.
La IV Sezione viene considerata, per lungo tempo, come avente natura amministrativa; in tal senso si esprime l’Orlando che qualifica le funzioni esercitate
dalla IV Sezione, in conseguenza della sua natura amministrativa, come una
forma di controllo della legalità oggettiva 21 dove la posizione vantata dal singolo
non è di diritto soggettivo ma un interesse “semplice”, privo di rilievo giuridico,
e le decisioni assunte non possono qualificarsi come sentenze 22.
In dottrina si è osservato che tale soluzione aveva consentito di superare il
problema di una tutela giudiziaria accordata in assenza di diritti soggettivi e cioè
ad interessi che all’epoca non avevano riconoscimento giuridico 23.
Un contributo determinante fu dato dalla Corte di cassazione che riconobbe
la natura giurisdizionale della IV Sezione in sede di giudizio su conflitto di attribuzioni.
In merito si osserva come nella pronuncia del 21 marzo 1892 la Suprema corte ha ammesso un ricorso in Cassazione contro una decisione della IV Sezione
«per eccesso di potere commesso mediante estensione della sua giurisdizione a
danno della giurisdizione dei tribunali ordinari».
Tale decisione riconobbe la natura giurisdizionale della IV sezione tutte le
18
V., in merito quanto affermato da S. SPAVENTA, Per l’inaugurazione della IV Sezione del
Consiglio di Stato, in ID., La giustizia nell’amministrazione, Torino, 1949, p. 86 e ss.
19
L. MAZZAROLLI, Giustizia amministrativa, in L. MAZZAROLLI-G. PERICU-A. ROMANO-F.A.
ROVERSI MONACO-F.G. SCOCA, Diritto amministrativo, cit., p. 1823.
20
V.E. ORLANDO, Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, cit., p. 666.
21
V.E. ORLANDO, Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, cit., p. 778. Nello
stesso senso si esprime S. SPAVENTA, Per l’inaugurazione della IV Sezione del Consiglio di Stato, in
ID., La giustizia nell’amministrazione, cit., p. 97.
22
In senso non dissimile si esprime prima del 1907 anche Santi Romano che non riteneva le
decisioni del Consiglio di Stato qualificabili come vere e proprie sentenze aventi natura di giudicato. V., in merito, S. ROMANO, I Giudizi sui conflitti delle competenze amministrative, in V.E. ORLANDO, Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, cit., p. 1259 e ss.
23
F.G. SCOCA, La genesi del sistema delle tutele nei confronti della p.a., in ID., Giustizia amministrativa, cit., p. 14.
La translatio iudicii tra le giurisdizioni
11
volte che questa fosse chiamata «a pronunziare giudizii, a risolvere formali contestazioni e a dire ciò che è legittimo e giusto in ordine alle materie riservate alla
sua cognizione».
Autorevole dottrina ha, tuttavia, continuato a sostenere la natura amministrativa della IV sezione fino alla legge di riforma del Consiglio di Stato 7 marzo
1907 n. 62 24.
Tale legge risolse definitivamente i contrasti in ordine alla natura della IV Sezione del Consiglio di Stato qualificando i ricorsi rivolti a tale organo come giurisdizionali.
Con l’affermarsi della natura giurisdizionale della IV Sezione avvenuto prima
su impulso delle pronunce della Corte di cassazione e poi con la legge n. 62 del
1907, il carattere oggettivo del controllo posto in essere dal giudice amministrativo viene meno, e il processo dinanzi al giudice amministrativo si configura
progressivamente come finalizzato alla tutela, seppure in via mediata, di una posizione giuridica soggettiva.
4. (segue). La progressiva affermazione della natura giurisdizionale della IV
Sezione del Consiglio di Stato
Con la riforma del 30 dicembre 1923 n. 2840, rapidamente seguita dal r.d. 26
giugno 1924, n. 1054, recante il testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato,
venne riconosciuta al giudice amministrativo, nelle controversie di sua competenza, anche la cognizione incidentale dei diritti.
Tale scelta del legislatore fu dettata dalla necessità di evitare che l’esame di
una questione pregiudiziale attinente a diritti soggettivi avesse sempre quale
conseguenza obbligata la sospensione del giudizio e la rimessione delle parti dinanzi al giudice ordinario.
Va rilevato che la medesima legge previde alcune ipotesi di giurisdizione
esclusiva, in cui il giudice amministrativo poteva decidere su controversie anche
attinenti a fattispecie di diritto soggettivo.
Nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva, il giudice amministrativo nelle controversie attinenti ai diritti soggettivi, era dotato degli stessi poteri di cognizione
e decisione che spettavano in caso di giurisdizione sugli interessi legittimi 25.
24
V. in merito V.E. ORLANDO, La giustizia amministrativa, in ID., Primo trattato completo di
diritto amministrativo italiano, cit., p. 758 e ss., in particolare p. 771. L’Orlando, anche dopo la
decisione della Corte di Cassazione del 21 marzo 1892 che ha riconosciuto la natura giurisdizionale della IV Sezione del Consiglio di Stato, sostiene che «se la materia di questa competenza riservata alla IV Sezione (sempre per l’art. 24) ha per sua caratteristica di non avere per contenuto un
diritto subiettivo, non può la competenza stessa qualificarsi per giurisdizionale da poi che, dove
non e in controversia un diritto, non vi può essere vera giurisdizione»
25
A. TRAVI, Giustizia amministrativa, cit., p. 38.
12
Processo amministrativo e translatio iudicii
Sulla base delle disposizioni di legge citate il sistema di giustizia vigente in
Italia nei primi decenni del ventesimo secolo si caratterizzava per alcuni aspetti
peculiari: a) la concentrazione in capo al Consiglio di Stato della giurisdizione di
legittimità sui provvedimenti amministrativi; b) l’attribuzione al Consiglio di
Stato della giurisdizione esclusiva in alcune materie con la specifica esclusione
delle questioni attinenti ai diritti patrimoniali consequenziali 26; c) la possibilità
di impugnazione della sentenze del Consiglio di Stato dinanzi alla Corte di Cassazione solo per motivi di giurisdizione; d) la possibilità per i giudizi amministrativi di decidere con efficacia limitata al giudizio, le questioni pregiudiziali
attinenti a diritti soggettivi e senza autorità di cosa giudicata 27.
Il riconoscimento della natura giurisdizionale della IV e della V sezione del
Consiglio di Stato si era ormai definitivamente affermato.
Di pari passo con il riconoscimento della natura giurisdizionale della IV e V
Sezione si sviluppò il dibattito sulla natura degli interessi tutelati dinanzi a tali
organi giurisdizionali.
Va posto in rilievo come il riconoscimento della natura giurisdizionale della
IV Sezione ha avuto quale fondamentale presupposto concettuale il superamento del paradigma diritto soggettivo-azione.
Il rapporto stretto tra diritto soggettivo e azione e stato per lungo tempo sostenuto nella dottrina 28; a ciò si aggiunga che nella dottrina di inizio 900 non si
concepiva un azione proponibile al di fuori dell’ambito della giurisdizione
(all’epoca intesa solamente come giurisdizione ordinaria).
Con l’istituzione della Quarta Sezione il suddetto paradigma entra in crisi in
quanto il legislatore ha previsto una tutela contenziosa per interessi non riconducibili nel novero dei diritti soggettivi.
La dottrina dell’epoca cercò di elaborare alcune tesi volte a armonizzare la
tutela offerta dalla IV Sezione con lo schema diritto-azione-giurisdizione. Tali
posizioni, secondo autorevole dottrina, si distinguevano per il carattere indiretto
26
L’art. 30 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 disponeva che: «1. Nelle materie deferite alla
esclusiva giurisdizione del Consiglio di Stato, questo conosce anche di tutte le questioni relative a
diritti. 2. Restano, tuttavia, sempre riservate all’autorità giudiziaria ordinaria le questioni attinenti
a diritti patrimoniali conseguenziali alla pronunzia di legittimità dell’atto o provvedimento contro
cui si ricorre nonché le questioni pregiudiziali concernenti lo stato e la capacità dei privati individui, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio, e la risoluzione dell’incidente di falso».
27
In merito v. C. CACCIAVLILLANI, Cognizione incidentale e questioni pregiudiziali, in B.
SASSANI-R. VILLATA (a cura di), Il codice del processo amministrativo, Torino, 2012, p. 995 e ss.;
A. PROTO PISANI, Appunti sul giudice delle controversie fra privati e pubblica amministrazione,
cit., p. 94.
28
In merito v. quanto affermato da F.G. SCOCA, La “gestazione dell’interesse legittimo, in Studi
in onore di Leopoldo Mazzarolli, cit., p. 311 e ss.: l’Autore sottolinea come nella dottrina, di inizio
secolo, in particolare secondo Jhering, la definizione di diritto soggettivo fosse quella di un interesse protetto con l’azione. Una simile definizione non faceva che confermare lo stretto rapporto
intercorrente tra l’azione e la tutela del diritto soggettivo.
La translatio iudicii tra le giurisdizioni
13
o occasionale della tutela offerta agli interessi (privati) diversi dai diritti soggettivi e per la coincidenza di tali interessi con l’interesse pubblico che godeva di
una tutela diretta 29.
Al di fuori di tali ipotesi si pone Lodovico Mortara che tenta di ricostruire la
tutela offerta dalla IV Sezione del Consiglio di Stato agli interessi privati in termini di tutela di diritti soggettivi.
Mortara cercò di inquadrare la tutela garantita dalla IV Sezione in termini di
tutela di un diritto pubblico soggettivo alla legittimità degli atti e provvedimenti
amministrativi. Tale posizione aveva il merito di ricondurre la tutela offerta dal
giudice amministrativo nell’ambito dello schema tradizionale diritto-azionegiurisdizione.
La tesi del Mortara qualificava la tutela offerta dalla IV Sezione in termini
oggettivi essendo finalizzata a garantire la legittimità dell’azione amministrativa
rispetto alla legge.
La posizione giuridica riconosciuta in capo ai privati ha, secondo Mortara,
natura di diritto strumentale alla legittimità del provvedimento amministrativo,
e ciò a prescindere dall’interesse sostanziale di cui il privato e titolare 30.
Il Mortara ha affermato «sono convinto che la giustizia amministrativa, negli
Stati liberi, sia sempre una parte della funzione giurisdizionale civile, rappresenti cioè un adattamento ulteriore di questa funzione a bisogni nuovi nella evolventesi attività politico sociale. Né credo che al riconoscimento dell’esattezza di
questo principio possa fare impedimento la parziale o totale differenza degli organi investiti della giurisdizione civile ordinaria e della amministrativa» 31.
In ragione di tale ricostruzione della natura giurisdizionale del giudice amministrativo il Mortara afferma inoltre «dal fine di assicurare la integrità del diritto obiettivo privato deriva conseguenziale la protezione dei privati diritti subiettivi, alla stessa guisa che da quello di assicurare la integrità del diritto obiettivo pubblico nasce il risultato della difesa dei pubblici diritti subiettivi» 32.
Il superamento del paradigma diritto soggettivo-azione si deve al pensiero di
Giuseppe Chiovenda che ricostruì il diritto di azione come autonomo rispetto
alla posizione soggettiva oggetto di tutela.
Il Chiovenda osserva che «l’azione e un bene ed un diritto di per se stante.
Per lo più essa nasce pel fatto che colui che doveva conformarsi ad una norma
che ci garantiva un bene della vita, ha trasgredito la norma; cosi noi ne cerchiamo l’attuazione indipendentemente dalla sua volontà. Pure anche in questi casi
29
Sul punto, v. F.G. SCOCA, La “gestazione dell’interesse legittimo, in Studi in onore di Leopoldo Mazzarolli, cit., pp. 312-313.
30
Sulla tesi del Mortara v. F.G. SCOCA, La “gestazione dell’interesse legittimo, in Studi in onore
di Leopoldo Mazzarolli, cit., p. 314 e ss.
31
V. L. MORTARA, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, vol. I, Milano, 1923,
p. 34.
32
L. MORTARA, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, cit., p. 36.
14
Processo amministrativo e translatio iudicii
l’azione e staccata dal diritto soggettivo (reale o personale) derivante da quella
norma: i due diritti sono distinti, sebbene possano coordinarsi a uno stesso interesse economico; essi hanno vita e condizioni diverse e contenuto profondamente diverso» 33.
Secondo Chiovenda l’azione non è «un elemento ne una funzione del diritto
soggettivo ma un diritto distinto e autonomo» 34.
La posizione espressa dal Chiovenda ha rappresentato il presupposto per il
superamento della dicotomia diritto-azione fermo restando l’elemento della giurisdizione, ormai, dal 1889, articolata su organi diversi (giudice ordinario e amministrativo).
Svincolare il diritto di azione dal diritto soggettivo ha rappresentato uno degli elementi fondamentali per il progressivo affermarsi della figura dell’interesse
legittimo.
Allo stesso tempo, che il progressivo affermarsi del giudice amministrativo
come organo giurisdizionale preposto a tutela degli interessi legittimi sembra
confermare che il principio di unità della giurisdizione è stato accolto nell’ordinamento italiano solo sotto il profilo funzionale ma non sotto il profilo organico.
5. L’unità della giurisdizione nella Costituzione
Con la Costituzione repubblicana del 1948 il principio dell’unità della giurisdizione viene ad essere oggetto di forte dibattito in Assemblea costituente.
È nota, infatti, la proposta avanzata da Piero Calamandrei volta a sopprimere
le Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e affidare le controversie con le
pubbliche Amministrazioni alla giurisdizione ordinaria.
Il Calamandrei in particolare, a sostegno della sua proposta adduceva alcune
argomentazioni che, per alcuni aspetti, sono sorprendentemente attuali: «Indipendentemente dalle ragioni storiche a cui ha accennato, si domanda se fra queste funzioni giurisdizionali [amministrative] e quelle dei giudici ordinari vi sia
una demarcazione così netta da consigliare di continuare a mantener separati gli
organi che le esercitano. A suo giudizio tra le due funzioni vi sono tali legami e
tante sovrapposizioni di questioni che è difficilissimo capire esattamente dove
finisca il compito della Magistratura ordinaria e dove cominci quello delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato. La differenza tra diritto soggettivo ed
interesse legittimo, infatti, va diventando sempre più capillare e sottile. Una differenza sostanziale vi poteva essere, quando vi era una netta distinzione tra il diritto pubblico e il diritto privato; ma, quando, come avviene attualmente in una
quantità sempre maggiore di rapporti, gli istituti di diritto pubblico si vanno ri33
34
G. CHIOVENDA, Principii di diritto processuale civile, Napoli, 1928, p. 46.
G. CHIOVENDA, Principii di diritto processuale civile, cit., p. 47.
La translatio iudicii tra le giurisdizioni
15
vestendo di carattere privato e in istituti che erano prima di puro interesse privato si va sempre più infiltrando l’interesse collettivo, riesce difficilissimo vedere
fin dove arrivi il diritto soggettivo e dove invece cominci l’interesse occasionalmente protetto. La difficoltà di arrivare a distinguere tra queste due competenze, è stata talmente riconosciuta nella pratica, che ad un certo momento, con
una legge del 1923, si è incominciato ad assegnare al Consiglio di Stato anche la
tutela di alcuni diritti soggettivi che avrebbe dovuto rientrare nella competenza
della autorità giudiziaria ordinaria. Ciò è avvenuto sopra tutto nel campo del
pubblico impiego, dove è difficilissimo sapere quando l’impiegato abbia un diritto la cui tutela spetti ai giudici ordinari e quando trattisi di un interesse che
invece debba essere portato dinanzi al Consiglio di Stato» 35.
In base alla citata proposta del Calamandrei l’autorità giudiziaria avrebbe
dovuto fornire una tutela piena in ogni controversia con le pubbliche Amministrazioni 36.
Il giudice ordinario, secondo il progetto illustrato, avrebbe dovuto non solo
conoscere di ogni controversia che avesse come parte la P.A. ma avrebbe anche
potuto annullare gli atti amministrativi lesivi degli interessi dei cittadini.
Tuttavia, come è noto, la proposta di abolire il giudice amministrativo non fu
accolta ed il testo costituzionale confermò la duplicità delle giurisdizioni.
Anche l’unico elemento che aveva superato il vaglio della Commissione
chiamata ad elaborare il testo per l’Assemblea costituente, e cioè il ricorso in
Cassazione per violazione di legge avverso le sentenze del Consiglio di Stato, fu
eliminato in aula, di fatto riconfermando il sistema di giustizia previgente nel testo costituzionale.
Secondo la dottrina, dalla lettura delle norme costituzionali si evince che il
sistema di giustizia da esse delineato deriverebbe da quello formatosi a seguito
della legge del 1865 37.
In particolare, secondo la dottrina, la carta fondamentale, oltre a confermare
la duplicità delle giurisdizioni ed il criterio di riparto fondato sulla dicotomia
diritto soggettivo – interesse legittimo, pone il limite del controllo in Cassazione
delle decisioni del Consiglio di Stato per i soli motivi attinenti alla giurisdizione,
richiamando le disposizioni contenute nella legge 31 marzo 1877, n. 3761 38.
La Costituzione del 1948, tuttavia, non riprende il sistema di giustizia previgente in ogni suo elemento ma al contrario, introduce rilevanti innovazioni 39.
35
Verbale della seconda Sezione della seconda Sottocommissione della Commissione per la
Costituzione del 9 gennaio 1947.
36
In merito v. V. CERULLI IRELLI La giurisdizione amministrativa nella Costituzione in www.
astrid-online.it, 2009.
37
V. in merito A. PAJNO, Per una lettura “unificante” delle norme costituzionali sulla giustizia
amministrativa, in Giorn. dir. amm., 2006, p. 456 e ss.
38
V. CERULLI IRELLI La giurisdizione amministrativa nella Costituzione, cit., p. 3.
39
In merito al sistema di giustizia amministrativa delineato nella Costituzione v. M. NIGRO,
16
Processo amministrativo e translatio iudicii
Infatti, il principio dell’unità della giurisdizione costituisce il parametro fondamentale di organizzazione dell’ordine giudiziario seppur solo sotto il profilo
funzionale e non sotto quello organico.
In dottrina si è osservato come nel dibattito sulla unità della giurisdizione sia
sempre centrale la tensione tra gli artt. 24, 102 e 113 della Costituzione da un
parte e l’art. 103, che prevede la giurisdizione amministrativa, dall’altra; l’analisi
delle norme costituzionali è fondamentale per qualsiasi studio che voglia affrontare il tema della dualità della giurisdizione 40.
In tal senso, va letta la disposizione contenuta nell’art. 24 Cost.; tale norma,
infatti, non si limita a sancire che ai cittadini spetta la tutela dei propri diritti ed
interessi, ma è anche una norma regolante la giurisdizione.
Tale disposizione, che parifica la tutela dei diritti soggettivi e degli interessi
legittimi, è espressione dell’unità della funzione giurisdizionale; in dottrina si è
affermato che la norma costituzionale ex art. 24 rappresenta un radicale superamento della legge del 1865 in quanto, offrendo tutela sia a diritti soggettivi sia
agli interessi legittimi, conferma l’unitarietà e la completezza del sistema di tutela giurisdizionale che si estende a tutte le situazioni soggettive 41.
La Costituzione, d’altro canto, mantiene la divisione tra giudici ordinari e
giudici speciali.
Se, infatti, l’art. 102 Cost., in particolare, fa riferimento alla magistratura ordinaria come organo esercitante la funzione giudiziaria, il successivo art. 103
Cost. fa riferimento ai giudici speciali ammessi nell’ordinamento italiano, Consiglio di Stato ed altri organi della giustizia amministrativa, Corte dei Conti e
Tribunali militari.
Alcuni autori hanno affermato che l’art. 102 Cost. manchi di coerenza in ragione dell’attribuzione operata da tale norma del potere giudiziario in capo alla
magistratura ordinaria mentre il successivo art. 103 Cost. immediatamente sancisce il ruolo dei giudici speciali ed in particolare di quelli amministrativi, all’interno del sistema di giustizia 42.
L’art. 113 della Costituzione e alcuni problemi della giustizia amministrativa, in Foro amm., 1949,
p. 72 e ss.; V. BACHELET, La giustizia amministrativa nella Costituzione italiana, Milano, 1966; G.
SILVESTRI, Giudici ordinari, giudici speciali e unità della giurisdizione nella Costituzione italiana, in
Scritti in onore di M.S. Giannini, Milano, 1988, p. 709 e ss.; F. LEDDA, Principi costituzionali di
giustizia amministrativa, in Jus, 1997, p. 177 e ss.; E. FOLLIERI, La giustizia amministrativa nella
costituente tra unicità e pluralità delle giurisdizioni, in Dir. proc. amm., 2001, p. 911 e ss.; G. VERDE, L’unità della giurisdizione e la diversa scelta del costituente, in Dir. proc. amm., 2003, p. 343 e
ss.; V. CERULLI IRELLI La giurisdizione amministrativa nella Costituzione, cit., p. 3 e ss.; A. TRAVI,
L’unità della giurisdizione, in Jus, 2011, p. 363 e ss.
40
A. TRAVI, L’unità della giurisdizione, cit., p. 366.
41
A. PAJNO, Per una lettura “unificante” delle norme costituzionali sulla giustizia amministrativa, cit., p.459.
42
A. TRAVI, L’unità della giurisdizione e Costituzione, in E. FABIANI-A TARTAGLIA POLCINI (a
cura di), Sull’unità della giurisdizione, cit., p. 63.
La translatio iudicii tra le giurisdizioni
17
Secondo la Corte costituzionale, il principio dell’unità della giurisdizione
sancito dall’art. 102 Cost. non ammette altre deroghe al divieto di istituzione di
giudici speciali se non quelle esplicitamente disposte dalla Costituzione stessa.
In tal senso, si evidenzia quanto affermato dal giudice delle leggi nella sentenza n. 41 dell’11 marzo 1957: «Quale premessa di carattere generale, giova osservare che il principio della unità della giurisdizione, tradotto in formula legislativa nell’art. 102, primo comma, della Costituzione, sta ad indicare, secondo
la lettera e lo spirito della disposizione, che la funzione giurisdizionale dev’essere esercitata, salve le eccezioni introdotte nella stessa Costituzione, dai magistrati ordinari. Al lume di questo principio dev’essere inteso anche l’altro, di cui
al secondo comma dell’art. 102, in virtù del quale non possono essere istituiti
giudici straordinari o speciali, ma solo, per determinate materie, sezioni specializzate presso gli organi giudiziari ordinari. Di fronte alla lamentata molteplicità
di organi di giurisdizione speciale, quali si erano venuti creando nel tempo, questo è il principio direttivo che chiaramente si desume dalla norma costituzionale.
Da quei principi sarebbe sicuramente derivata la cessazione del funzionamento
delle giurisdizioni speciali se altrimenti non fosse stato precisato che non alla automatica soppressione doveva addivenirsi, sibbene alla loro “revisione”, ad opera del legislatore ordinario. La precisa volontà di procedere gradualmente, in
tempi diversi, a questa opera di revisione delle giurisdizioni speciali esistenti, si
ricava infatti, indirettamente, dagli articoli 103 e 111 della Costituzione nei quali
si fa espresso riferimento ad organi di giurisdizione speciale e quindi alla loro
sussistenza: l’art. 103, che mantiene il Consiglio di Stato, parla di “altri organi di
giurisdizione amministrativa”, che sono anch’essi mantenuti».
In dottrina, sulla base di una lettura combinata degli artt. 24 e 103 Cost., si è
affermato che, l’art. 103 Cost. 43 esige che siano comunque concentrate dinanzi
ai giudici tutte le tecniche processuali utili a garantire una piena protezione delle diverse situazioni soggettive.
Il riparto tra giudici di ordini diversi posto in essere dalla Costituzione sulla
base delle situazioni soggettive è stato, negli anni successivi all’approvazione
della carta fondamentale, oggetto di critica in dottrina.
In particolare, Giannini ha criticato la citata separazione tra provvedimento
amministrativo (in quanto espressione di potere pubblico) e diritto soggettivo,
43
Sull’art. 103 Cost. ed il sistema della giustizia amministrativa da esso delineato v. V. BACHELa giustizia amministrativa nella Costituzione italiana, cit., p. 25 e ss.; l’autore sottolinea come
a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione il sistema dualistico era ormai cristallizzato e
“non più opinabile”. In senso analogo v. G. MIELE, La giustizia amministrativa, Relazione al Congresso sul centenario delle leggi di unificazione amministrativa,1965, oggi in Scritti giuridici, vol.
II, Milano 1987, p. 1062 e ss. A favore di una giurisdizione unica si sono invece espressi G. SILVESTRI, Giustizia e giudici nel sistema costituzionale, Torino, 1997; A. ORSI BATTAGLINI, Alla ricerca
dello Stato di diritto: per una giustizia “non amministrativa”, Milano, 2005; G. VERDE, Ma che cos’è
questa giustizia amministrativa?, in Dir. proc. amm., 1993, p. 587 e ss.; ID., L’unità della giurisdizione e la diversa scelta del costituente, in Dir. proc. amm., 2003, p. 343 e ss.
LET,
18
Processo amministrativo e translatio iudicii
ritenendola convenzionale e non un elemento intrinsecamente necessario 44.
In dottrina, tuttavia, si è precisato che la critica del Giannini alla nozione di
interesse legittimo non ha quale conseguenza l’istituzione di un giudice unico;
questo, infatti, è solo uno dei modelli di giustizia possibili e non necessariamente il più opportuno 45.
L’art. 111 Cost., ult. comma, sancisce il limite al controllo della Corte di Cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato; infatti, il ricorso avverso tali decisioni è ammesso «per i soli motivi inerenti alla giurisdizione».
La tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione, inoltre, ai sensi dell’art. 113, comma 1, è sempre ammessa per la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.
Ai sensi del comma 2 dell’articolo citato, tale tutela non può essere «esclusa
o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti».
Infine, l’art. 113, ult. comma, attribuisce alla legge il potere di determinare
«quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica Amministrazione nei casi e con gli effetti stabiliti dalla legge stessa».
L’unità della giurisdizione ha, di conseguenza, carattere funzionale ma non
organica 46, in quanto la Costituzione non attribuisce ad un unico ordine giudiziario l’esercizio del potere giurisdizionale.
6. Il progetto di riforma del 1997
Il problema dell’unità della giurisdizione, non solo sotto il profilo funzionale
ma anche organico, e l’eventuale modifica del sistema di giustizia vigente rientrano nel novero del più ampio dibattito sulle riforme costituzionali.
In passato diversi progetti di riforma del sistema di giustizia sono stati avanzati in concomitanza con proposte più ampie di riforma dell’organizzazione costituzionale dello Stato.
In particolare, un progetto di riforma dell’attuale sistema di giustizia, che
sotto il profilo organico vedeva la coesistenza di giudici ordinari ed amministra44
M.S. GIANNINI, Discorso generale sulla giustizia amministrativa, in Riv. dir. proc., 1964, p. 1
e ss., ora in M.S. GIANNINI, Scritti, vol. V, Milano, 2004, p. 223 e ss.
45
V. A. TRAVI, L’unita della giurisdizione, cit., p. 68; l’Autore ha affermato che: «Se l’ostacolo
era rappresentato soltanto dalla debolezza della nozione dell’interesse legittimo, la giurisdizione
unica rappresentava solo una delle opzioni prospettabili; se ne dovevano ammettere anche altre,
forse meno traumatiche, come l’assegnazione al giudice amministrativo di tutte le controversie in
cui fosse parte l’amministrazione, sulla linea di certi modelli stranieri di contenzioso amministrativo».
46
In merito v. F.G. SCOCA, La genesi del sistema delle tutele nei confronti della p.a., in ID. (a
cura di), Giustizia amministrativa, cit., p. 35 e ss.
La translatio iudicii tra le giurisdizioni
19
tivi, è stato proposto in occasione del progetto di riforma della Costituzione ad
opera della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali istituita con
la legge costituzionale n. 1 del 24 gennaio 1997.
La commissione, che operò tra il 1997 ed il 1998, elaborò varie bozze di modifica degli artt. dal 99 al 113 e dal 134 al 139 Cost.
Diversi progetti furono presentati in commissione sia dai Consigli regionali
sia da parlamentari.
I progetti presentati dalle Regioni si caratterizzavano non per un tentativo di
eliminare il giudice amministrativo ma, bensì, per una diversa organizzazione
della giustizia amministrativa che, pur mantenendo la duplicità del sistema di
tutela, eliminasse le funzioni giurisdizionali di appello del Consiglio di Stato, affidandole ad un Tribunale federale di nuova istituzione.
A tal fine i progetti in parola prevedevano tutti l’inserimento in Costituzione
di un art. 103 bis che avrebbe dovuto affermare, al comma 1, «la giurisdizione
amministrativa è esercitata da Tribunali amministrativi della Regione e dal Tribunale amministrativo federale» 47.
Le disposizioni relative al ruolo del Consiglio di Stato nel sistema di giustizia
amministrativa di cui agli artt. 100 e 103 Cost. avrebbero dovuto essere modificate, cancellando tali attribuzioni e lasciando al Supremo consesso amministrativo solo le funzioni consultive 48.
Altri disegni di legge, a firma di parlamentari, prevedevano di attribuire al
Consiglio di Stato solo funzioni consultive 49 o, in un caso, solo giurisdizionali 50;
alcuni progetti, inoltre, affidavano la tutela amministrativa al giudice ordinario
mediante l’istituzione di sezioni specializzate 51.
Infine, una serie di proposte, di origine parlamentare, prevedevano il mantenimento delle attuali competenze del Consiglio di Stato, con poche modificazioni, o addirittura il loro ampliamento 52.
47
Per una ricostruzione dei lavori della bicamerale v. C. TAGLIENTI, La giurisdizione amministrativa nelle prospettive di riforma costituzionale, relazione al convegno di Roma del 16 maggio
1997, organizzato dall’A.N.M.A., su “Il sistema delle garanzie nelle proposte di riforma costituzionale; la giustizia amministrativa”.
48
Similmente disponevano i disegni di legge proposti del Sen. Cimmino (atto Senato 2048) e
dall’On. Volontà (atto Camera 3096).
49
Proposta a firma dei Sen.ri Pera, Grillo e Greco (atto Senato 2027).
50
Proposta a firma dell’On. Pisapia (atto Camera 3089) nello stesso senso si esprime S. PANUNZIO nella sua relazione al convegno su “La giustizia amministrativa nella prospettiva di riforma
della giustizia costituzionale”, Roma, 2 aprile 1998.
51
Proposte a firma degli On.li Calzi ed altri (atto Camera 3077) avente ad oggetto l’istituzione
di sezioni specializzate del giudice ordinario; Proposta a firma del Sen. Rotelli (atto Senato 2030)
avente ad oggetto l’istituzione di una giurisdizione unica articolata in sezioni civili, penali e amministrative.
52
Alcune proposte ampliavano le funzioni del Consiglio di Stato, prevedendo a livello costituzionale la consulenza sui disegni di legge, contemplando altresì l’istituzione di tribunali ammini-
20
Processo amministrativo e translatio iudicii
In dottrina si è osservato come dall’idea di una giurisdizione unica, non solo
sotto il profilo funzionale ma anche sotto il profilo organizzativo, il dibattito in
sede di commissione bicamerale si sia gradatamente spostato verso il mantenimento di un sistema unitario a livello funzionale ma dualistico sotto il punto di
vista organico.
In merito si rinvia a quanto affermato alla relazione sul sistema della garanzie
a firma del relatore On. Marco Boato allegata al progetto di legge costituzionale:
«Nel corso dei lavori del Comitato, successivamente alla presentazione della
prima ipotesi di articolato il 3 aprile 1997 e a seguito della conseguente nuova
fase di dibattito, era tuttavia prevalsa un’ulteriore ipotesi, che è stata denominata di unità funzionale della giurisdizione. Si tratta di una differente impostazione, per effetto della quale continua a sussistere la distinzione tra giurisdizione
ordinaria ed amministrativa, le quali vengono in ogni caso ricondotte ad un più
ampio grado di coordinamento e di unitarietà nei termini che meglio verranno
illustrati di seguito. Prendendo doverosamente atto di tale orientamento divenuto prevalente, a partire dal 15 aprile sono stati conseguentemente predisposti
diversi articolati improntati a tale principio dell’unità funzionale della giurisdizione, che caratterizza quindi anche il testo approvato dalla Commissione. Non
posso, tuttavia, sottacere che il relatore avrebbe continuato a preferire l’ipotesi
dell’unità sostanziale della giurisdizione, la cui approvazione avrebbe potuto determinare una più compiuta svolta storica e istituzionale nel mondo della giurisdizione e avrebbe forse facilitato i suoi rapporti con i cittadini».
In ragione di ciò, l’attenzione dei membri della commissione si è, nel tempo,
incentrata sulle funzioni del Consiglio di Stato, e sull’opportunità che tale organo conservasse funzioni sia giurisdizionali che consultive.
Sul punto, la relazione a firma dell’on. Boato citata precisa che «si deve preliminarmente rammentare e sottolineare che l’opinione del Comitato era stata
unanime nel ritenere che un qualsivoglia giudice non può (e non deve) comunque svolgere sia funzioni consultive (o funzioni di controllo), sia funzioni giurisdizionali. Tale opinione, peraltro, è stata condivisa dalla Commissione, che ha
approvato un testo di revisione dell’articolo 100 della Costituzione vigente (ora
corrispondente all’articolo 83 del progetto di legge costituzionale approvato nella seduta del 30 giugno) coerente con il principio esposto, respingendo emendamenti diretti a mantenere in capo ad un unico organo istituzionale (rispettivamente Consiglio di Stato e Corte dei conti) funzioni consultive o di controllo
accanto a funzioni giurisdizionali».
La commissione bicamerale in merito alla riforma del sistema di giustizia
strativi di secondo grado (proposta Lisi, atto Senato 1979; proposta Brancati, atto Camera 3078).
Alcune proposte, poi, pur lasciando al Consiglio di Stato entrambe le funzioni attualmente svolte,
prevedevano che la legge dovesse assicurare una netta separazione tra le sezioni giurisdizionali e
quelle consultive (Proposte a firma dei Sen. Salvi, Villone ed altri, atto Senato 2047; proposta a
firma degli On.li Mussi, Soda, Folena ed altri, atto Camera 3071).
La translatio iudicii tra le giurisdizioni
21
esaminò due ipotesi; la prima attribuiva al Consiglio di Stato solo funzioni consultive, mentre la giurisdizione amministrativa veniva affidata ai tribunali amministrativi regionali ed alla Corte di giustizia amministrativa, un organo, quest’ultimo, nuovo e privo di qualsiasi legame o rapporto con il governo, riconoscendo
ai giudici amministrativi lo stesso status e la stessa indipendenza riservati ai giudici ordinari.
Una seconda ipotesi prevedeva la permanenza in capo al Consiglio di Stato
delle funzioni consultive e giurisdizionali e il rinvio alla legge ordinaria per assicurare la separazione delle funzioni.
Tale orientamento, emerso durante i lavori del Comitato per il sistema della
garanzie istituito in seno alla Commissione bicamerale, ipotizzava la costituzionalizzazione delle sezioni del Consiglio di Stato e delle loro funzioni, rinviando
alla legge il compito di assicurarne la separazione 53.
Il progetto di legge, definitivamente approvato dalla Commissione accolse la
prima ipotesi e prevedeva, all’art. 119, una giustizia amministrativa articolata sui
tribunali regionali di giustizia amministrativa e sulla Corte di giustizia amministrativa; il Consiglio di Stato ai sensi dell’art. 83 del disegno di legge 54, avrebbe
dovuto essere privato delle funzioni giurisdizionali 55.
Secondo la Commissione, infatti, «la proposta recata dall’ipotesi di modifica
53
In merito si rinvia al verbale del Comitato per il sistema della garanzie della commissione
bicamerale del 7 maggio 1997, ove si legge: «una ipotesi di modifica dell’articolo 103 (ipotesi di
modifica n. 2, secondo comma), che recepisce talune indicazioni emerse nel corso dei lavori del
Comitato, prevede in sostanza e in ultima analisi la costituzionalizzazione delle sezioni del Consiglio di Stato, rinviando alla legge il compito di assicurare la separazione tra funzioni consultive e
giurisdizionali (è inoltre affidato, in questa ipotesi n. 2, espressamente al Consiglio il compito di
esprimere pareri su schemi di atti normativi del Governo). Tale scelta suscita tuttavia qualche
permanente perplessità, non solo perché la prevista costituzionalizzazione delle funzioni consultive e giurisdizionali, a suo avviso, manterrebbe ancora in Costituzione un equivoco irrisolto, ma
anche perché appare difficile attribuire lo status di magistrato a soggetti, quali i componenti delle
sezioni consultive, che non svolgerebbero in nessun caso funzioni giurisdizionali».
54
L’art. 83, comma 1, recitava: «Il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico-amministrativa del Governo».
55
Nella relazione allegata al progetto di legge costituzionale si legge «si deve preliminarmente
rammentare e sottolineare che l’opinione del Comitato era stata unanime nel ritenere che un qualsivoglia giudice non può (e non deve) comunque svolgere sia funzioni consultive (o funzioni di
controllo), sia funzioni giurisdizionali. Tale opinione, peraltro, è stata condivisa dalla Commissione, che ha approvato un testo di revisione dell’articolo 100 della Costituzione vigente (ora corrispondente all’articolo 83 del progetto di legge costituzionale approvato nella seduta del 30 giugno) coerente con il principio esposto, respingendo emendamenti diretti a mantenere in capo ad
un unico organo istituzionale (rispettivamente Consiglio di Stato e Corte dei Conti) funzioni consultive o di controllo accanto a funzioni giurisdizionali. Coerentemente con questa scelta, il nuovo
articolo 83 (già articolo 100), attribuisce al Consiglio di Stato ed alla Corte dei Conti solo funzioni
rispettivamente consultive e di controllo, collocando tali istituti esclusivamente nell’ambito della
nuova sezione III (“Autorità di garanzia e organi ausiliari”) del nuovo Titolo III (“Il Governo”)
della seconda parte della Costituzione».
22
Processo amministrativo e translatio iudicii
n. 1, invece, presenta caratteri di maggiore coerenza e determina un sistema più
equilibrato, nel quale le diverse situazioni istituzionali sono ricondotte a sistema
in un quadro, appunto, di maggior equilibrio tra le funzioni svolte dai poteri
dello Stato, coerente e non determinato da rapporti di forza tra i vari organi (o,
peggio, tra le varie giurisdizioni) e dalle rispettive capacità di pressione. La proposta indicata all’ipotesi di modifica n. 1 prevede quindi l’istituzione, in luogo
del Consiglio di Stato, di una Corte di giustizia amministrativa, alla quale, evidentemente, verrebbero affidate solo funzioni giurisdizionali, mentre quelle
consultive resterebbero in capo al Consiglio di Stato (articolo 100, comma 1).
Con questa scelta costituzionale si eviterebbe di far svolgere ad un organo giurisdizionale funzioni che nulla hanno a che vedere con la giurisdizione, il cui esercizio per più versi potrebbe anche indurre a ritenerne diminuita la terzietà nello
svolgimento delle funzioni giudicanti» 56.
Infine, nel progetto di riforma, l’attribuzione delle competenze giurisdizionali tra giudici ordinari e amministrativi era determinata, nel citato art. 119, non in
base alla situazione giuridica soggettiva vantata dal privato ma per materia 57.
L’unità della giurisdizione, sotto il punto di vista funzionale, nel progetto di
legge di riforma era espressamente enunciata nell’art. 118 che affermava, al
comma 1, che: «la funzione giurisdizionale è unitaria ed è esercitata dai giudici
ordinari e amministrativi istituiti e regolati dalle norme dei rispettivi ordinamenti giudiziari».
In dottrina, in merito, si è posto in rilievo come tale disposizione se da un lato esprimeva con chiarezza il principio dell’unità della giurisdizione 58 dall’altro
affermava in modo netto la dualità delle giurisdizioni sotto il profilo organico.
Peraltro, tale conclusione trova conferma nella relazione allegata al progetto
di legge che parla esplicitamente di unità funzionale del sistema di giustizia previsto dal progetto di riforma della Costituzione.
Il progetto di riforma del 1997 si è, quindi, indirizzato verso un modello che,
pur separando nettamente l’esercizio della funzione giurisdizionale dall’esercizio
di altre e diverse funzioni, non innovava nell’ambito della dualità delle giurisdizioni sotto il profilo organico, continuando a prevedere una divisione tra giudice
amministrativo e giudice ordinario sulla base, in questo caso, di un criterio di
riparto per materia sostanzialmente affidato alla volontà del legislatore alla luce
della non elevata chiarezza dell’art. 119 che faceva solo generico riferimento alle
materie «riguardanti l’esercizio di pubblici poteri».
56
V. verbale del Comitato per il sistema della garanzie del 7 maggio 1997.
V. art. 119 del disegno di legge costituzionale A.C. 3931-A e A.S. 2583-A.
58
B. SORDI, Unità della giurisdizione: uno sguardo retrospettivo, in E. FABIANI-A TARTAGLIA
POLCINI (a cura di), Sull’unità della giurisdizione, cit., p. 27.
57
La translatio iudicii tra le giurisdizioni
23
7. Il principio di incomunicabilità tra le giurisdizioni
L’accoglimento in Costituzione del principio dell’unità della giurisdizione
sotto il profilo funzionale ma non organico, ha avuto come conseguenza il permanere nell’ordinamento italiano, del principio di incomunicabilità tra plessi
giurisdizionali differenti.
Tale principio e stato applicato nell’ordinamento giuridico italiano per lungo
tempo e il suo superamento ha richiesto lunghi periodi di elaborazione. Tradizionalmente, si è ritenuto in dottrina che in assenza, fin dall’inizio del processo,
di uno dei presupposti processuali quali la giurisdizione e la competenza, non
fosse possibile giungere ad una sentenza di merito 59.
Ove si fosse erroneamente proposta un azione dinanzi al giudice non munito
di giurisdizione o incompetente si riteneva che il giudizio non potesse che concludersi con una sentenza declinatoria senza possibilità di riassunzione del processo dinanzi al giudice correttamente individuato. Da ciò si desumeva il carattere non comunicante delle giurisdizioni esistenti nell’ordinamento italiano 60.
L’incomunicabilità tra le giurisdizioni trova il proprio fondamento nel principio Kompetenz-Kompetenz secondo il quale ogni giudice è l’unico soggetto
deputato a decidere sulla propria competenza senza che un giudice di pari grado possa obbligarlo a dichiararsi competente in ordine ad una data controversia
e a giudicare nel merito.
La sentenza declinatoria della competenza, non poteva vincolare il nuovo
giudice dinanzi al quale la domanda fosse stata eventualmente riproposta.
Tale principio fu oggetto di critiche da parte del Chiovenda che pose in rilievo come il principio Kompetenz-Kompetenz avesse avuto un senso nella vigenza
della c.d. concezione patrimoniale del potere giurisdizionale e cioè all’epoca in
cui il potere giurisdizionale era attribuito al capo politico ed era ereditario.
Sul punto, il Chiovenda ha osservato come nello Stato moderno il potere giurisdizionale spetta allo Stato stesso ed è uno degli elementi che ne caratterizzano
la sovranità; in uno Stato moderno i giudici sono funzionari ed il principio di
non comunicabilità non ha ragione di essere applicato.
Per tali ragioni, il Chiovenda nel progetto di riforma del codice di procedura
civile del 1920 aveva previsto, all’art. 73, una forma di riassunzione del processo
dinanzi al giudice competente.
In merito nella relazione relativa al progetto del 1920 si legge che «in materia
di competenza è principio fondamentale della legge attuale che la decisione del
giudice che si dichiara incompetente non vincola alcun altro giudice: di modo
che si assiste non di rado alla riproduzione successiva della questione di compe59
In tal senso si esprime G. CHIOVENDA, Principii di diritto processuale civile, cit., p. 291 e ss.
V. F. CIPRIANI, Riparto di giurisdizione e “Translatio iudicii”, in Riv. trim. dir. e proc. civ.,
2005, p. 731.
60
24
Processo amministrativo e translatio iudicii
tenza davanti a giudici diversi, in prima e in seconda istanza. Accade così che la
causa va errando d’uno in altro tribunale, prima di trovare il suo giudice, con
singolari complicazioni processuali. Né pone rimedio a questo male l’istituto del
regolamento di competenza, a cui non può farsi ricorso, se non quando la causa
penda contemporaneamente davanti a diverse autorità giudiziarie, o quando si
siano ottenute due decisioni entrambe positive o negative sulla competenza
(artt. 108 e 115 cod. proc. civ.). La Commissione ha consentito col relatore in
una proposta di apparente arditezza, che, di fronte al vantaggio certo di affrettare la determinazione definitiva della competenza, non sembra nascondere alcun
reale pericolo. L’autorità giudiziaria (non il giudice speciale) che si dichiara incompetente, dovrà insieme, se una parte ne faccia istanza, rimettere le parti innanzi l’autorità giudiziaria competente, ove questa possa essere determinata; divenuta definitiva la sentenza, la causa si considererà senz’altro come pendente
davanti l’autorità giudiziaria a cui le parti furono rimesse, e questa dovrà conformarsi alla decisione data sulla questione della competenza» 61.
Va posto in rilievo che, come è stato osservato in dottrina, riconoscere al
giudice ordinario il potere di vincolare alla propria decisione sulla competenza il
giudice a cui le parti dovevano essere rimesse scardina il principio della Kompetenz-Kompetenz che non consente ad un giudice di vincolare con le proprie decisioni sulla competenza un altro giudice 62.
Il progetto di riforma del 1920 non venne portato a compimento; tuttavia, va
posto in rilievo che, nonostante la riforma fosse rimasta incompiuta, il Chiovenda ritenne sulla base dell’interpretazione dell’art. 2125 c.c. che il processo anche
dopo la sentenza declinatoria della competenza, potesse considerarsi ancora
pendente.
Secondo tale orientamento, per il vero minoritario, in ragione dell’effetto interruttivo della prescrizione determinato dalla prima citazione, che perdurava
secondo il Chiovenda anche a seguito della sentenza declinatoria della competenza 63, la domanda giudiziale risultava essere «tutt’ora pendente, per quanto
alla prima citazione risalga il solo effetto relativo all’interruzione della prescrizione» 64.
61
G. CHIOVENDA, Relazione sul progetto di riforma del procedimento civile elaborato nel 1920
dalla Commissione per il dopo guerra, in ID., Saggi di diritto processuale civile, Roma, 1931, ora Milano, 1993, p. 86.
62
F. CIPRIANI, Il regolamento facoltativo di competenza, in Riv. dir. proc., 1976, p. 517.
63
Con riguardo agli effetti della sentenza declinatoria della competenza v. L. MORTARA,
Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, cit., p. 302. Secondo l’Autore la decisione di incompetenza, “additava il giudizio competente” consentendo alla parte attrice di trasferire l’istanza dinanzi al giudice competente correttamente individuato nella decisione declinatoria.
64
G. CHIOVENDA, Rapporto giuridico processuale e litispendenza, in ID., Saggi di diritto processuale civile, cit., p. 388.
La translatio iudicii tra le giurisdizioni
25
Dal permanere della litispendenza derivava la possibilità di continuare il
processo dinanzi al giudice competente, senza necessità di riproporre nuovamente la domanda.
Per il vero, la disciplina processuale dell’epoca prevedeva alcune eccezioni al
principio Kompetenz-Kompetenz; si pensi, ad esempio, alla disciplina dettata
dall’art. 544 c.p.c. che prevedeva l’efficacia vincolante della individuazione del
giudice competente operata dalla Corte di cassazione ove una sentenza fosse
cassata per violazione delle norme di competenza.
A seguito della decisione della Corte di cassazione le parti avevano l’onere di
riprendere il processo secondo le modalità dell’art. 546 c.p.c., entro il termine
prescritto per la perenzione di istanza.
Tuttavia, il problema del superamento del principio Kompetenz-Kompetenz
rimaneva sentito in dottrina, in particolare con riferimento alle problematiche
che potevano derivare dalla limitata efficacia giuridica della sentenza sulla competenza, non in grado di vincolare il giudice indicato come competente 65.
L’esigenza di risolvere le problematiche legate alla impossibilita di trasmigrazione del giudizio furono sentite anche a livello governativo; in merito, oltre che
al già illustrato progetto di Riforma del 1920 che vide la partecipazione del
Chiovenda, si rinvia al progetto di riforma del codice di procedura civile del
Ministro Solmi.
In tale progetto, il regolamento di competenza poteva essere esperito contro
la sentenza dichiarativa di incompetenza, e in tale ipotesi era l’unico mezzo di
impugnazione proponibile avverso la sentenza.
Contro la sentenza che decideva la causa nel merito dichiarandosi competente, il regolamento di competenza avrebbe dovuto essere un mezzo di impugnazione facoltativo.
Il progetto Solmi ammetteva, inoltre, il regolamento di competenza d’ufficio.
Competente a decidere sul regolamento avrebbe dovuto essere la Corte
d’appello: la competenza della Corte di cassazione era prevista soltanto nel caso
in cui il regolamento avesse ad oggetto la competenza di giudici appartenenti a
diverse Corti di appello.
Il progetto di riforma, anch’esso rimasto incompiuto, prevedeva che il regolamento di competenza venisse deciso con una ordinanza (non più con una sentenza), che avrebbe dovuto regolare la competenza, individuando definitivamente l’autorità giudiziaria competente a conoscere della domanda.
Con la medesima ordinanza, inoltre, si sarebbero dovuti disporre i provvedimenti occorrenti per la prosecuzione della causa con la fissazione di un termine perentorio per la riassunzione a pena di estinzione del processo.
L’ordinanza in questione avrebbe dovuto essere vincolante per il giudice di-
65
G. CHIOVENDA, Relazione sul progetto di riforma del procedimento civile elaborato nel 1920
dalla Commissione per il dopo guerra, in ID., Saggi di diritto processuale civile, cit., p. 87.
26
Processo amministrativo e translatio iudicii
nanzi al quale le parti erano rimesse, anche se fosse stata pronunciata da un giudice di merito quale la Corte di appello.
Il primo vero intervento che ha, seppur limitatamente alla competenza, attenuato la portata del principio di incomunicabilità è quello del legislatore del
1940 che con il nuovo codice di procedura civile agli artt. dal 44 al 50 ha riscritto la disciplina della competenza dinanzi al giudice ordinario.
L’esame di tale disciplina, per quanto in relazione al tema di ricerca, sarà affrontato nei capitoli successivi; tuttavia, alcune considerazioni appaiono opportune.
Mediante la disciplina dettata nel 1940 il principio Kompetenz-Kompetenz
vede attenuarsi la propria portata.
Ai sensi dell’art. 44 c.p.c., nella formulazione del 1940, il giudice incompetente adito erroneamente dall’attore, nel dichiarare la propria incompetenza,
non si limita ad affermare la carenza del proprio potere di trattare e decidere la
causa nel merito, ma dovrà anche indicare il giudice competente, in deroga al
principio Kompetenz-Kompetenz 66.
La attenuazione del principio Kompetenz-Kompetenz, tuttavia, non ha avuto
conseguenze in merito all’applicazione del principio di incomunicabilità
nell’ambito della erronea individuazione del giudice munito di giurisdizione; tale problema, come si vedrà, non troverà ancora per lungo tempo soluzione.
Il superamento del principio di incomunicabilità si dovrà prima degli interventi legislativi del 2009, principalmente all’elaborazione della giurisprudenza
ordinaria e costituzionale, prendendo le mosse dal nuovo quadro normativo posto dalla Costituzione.
8. La trasmigrabilità del processo
L’applicazione del principio dell’incomunicabilità tra giurisdizioni nell’ordinamento giuridico italiano, a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione, è
stata oggetto di critiche crescenti in ragione dei principi posti a tutela degli interessi dei cittadini.
La principale conseguenza legata all’accoglimento del principio di incomunicabilità tra le giurisdizioni è stata rappresentata dal sacrificio degli interessi dei
cittadini che, ove avessero erroneamente determinato il giudice dotato di giurisdizione, vedevano, in molti casi, compromessa la tutela dei loro diritti ed interessi non potendo riproporre la domanda dinanzi al giudice correttamente individuato.
Tale circostanza si verificava quasi sempre nell’ipotesi di mancata presentazione della domanda dinanzi al giudice amministrativo munito di giurisdizione
66
A. CALAMANDREI, Istituzioni di diritto processuale civile secondo il nuovo codice, Padova,
1944, p. 155 e ss.
La translatio iudicii tra le giurisdizioni
27
in ragione della mancanza di una norma che consentisse la prosecuzione del
giudizio dinanzi al giudice munito di giurisdizione, superando la prescrizioni e
decadenze intervenute.
Va rilevato che le critiche al principio della incomunicabilità non hanno trovato, per lungo tempo, accoglimento da parte del legislatore; in tal senso, si ricorda come la legge istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali 6 dicembre
1971, n. 1034 non avesse originariamente previsto alcuna disposizione che, in
caso di erronea identificazione del giudice dotato di giurisdizione, consentisse di
fare salvi gli effetti delle domande proposte dagli interessati.
In questo quadro si inseriscono le pronunce della Corte di Cassazione n. 4109
del 2007 e la sentenza della Corte Costituzionale n. 77 del 2007 che hanno aperto
alla applicazione dell’istituto della translatio iudicii nell’ordinamento italiano.
La sentenza n. 77 del 2007 ha precisato che alla luce del quadro delle disposizioni costituzionali che tutelano le situazioni soggettive dei cittadini non è
ammissibile che la molteplicità della giurisdizioni si traduca in una minore effettività o in una mancanza della tutela giurisdizionale.
La Corte, in particolare afferma che: «Se è vero, infatti, che la Carta costituzionale ha recepito, quanto alla pluralità dei giudici, la situazione all’epoca esistente, è anche vero che la medesima Carta ha, fin dalle origini, assegnato con
l’art. 24 (ribadendolo con l’art. 111) all’intero sistema giurisdizionale la funzione
di assicurare la tutela, attraverso il giudizio, dei diritti soggettivi e degli interessi
legittimi. Questa essendo la essenziale ragion d’essere dei giudici, ordinari e speciali, la loro pluralità non può risolversi in una minore effettività, o addirittura
in una vanificazione della tutela giurisdizionale.»
Alla luce di quanto enunciato nella sentenza n. 77 del 2007, il principio
dell’incomunicabilità tra le giurisdizioni deve cedere il passo rispetto a quello,
ribadito dall’art. 24 Cost., dell’effettività della tutela giurisdizionale.
La sentenza n. 77 del 2007 della Corte costituzionale inoltre ha ribadito
l’idoneità del principio dell’unità della giurisdizione sotto il profilo funzionale a
garantire l’effettività della tutela giurisdizionale dei cittadini.
La translatio iudicii, rappresenta lo strumento che il giudice delle leggi ritiene
idoneo per assicurare l’unità funzionale della giurisdizione e con esso l’effettività
della tutela giurisdizionale.
Più recentemente, il principio è stato ribadito nuovamente anche dalla Corte
di cassazione che ha affermato che: «i principi costituzionali di effettività e certezza della tutela giurisdizionale impongono che la funzione di dare giustizia,
pur articolata secondo il sistema della Costituzione, attraverso una pluralità di
ordini giurisdizionali, non sia da questo ostacolata» 67.
I successivi interventi legislativi avutisi con l’art. 59 della legge n. 69 del 2009
e con l’art. 11 c.p.a. sembrano, avere accolto l’orientamento della Corte costituzionale.
67
Cass., Sez. Un., 5 aprile 2011, n. 9130.
28
Processo amministrativo e translatio iudicii
La translatio iudicii, fermo restando il quadro costituzionale che prevede la
molteplicità delle giurisdizioni sotto il profilo organico, è un istituto processuale
che funge da elemento di raccordo che armonizza le disposizioni di cui agli art.
24 Cost con quanto disposto dagli artt. 100, 102 e 103 Cost.
Il presupposto logico dell’istituto della translatio iudicii è rappresentato dal
principio dell’unità della giurisdizione sotto il profilo funzionale che consente di
superare l’incomunicabilità tra giudici appartenenti a ordini diversi.
Mediante tale strumento processuale, infatti, si supera sotto il profilo sostanziale della garanzia dell’effettività della tutela la problematica legata alla dualità
della giurisdizione in base alle diverse situazioni soggettive.
La translatio iudicii, in quanto espressione del principio di unità della giurisdizione e del principio di effettività della tutela giurisdizionale, può ormai considerarsi pienamente affermata nell’ordinamento giuridico italiano per l’effetto
dell’art. 59 della legge n. 69 del 2009 e dell’art. 11 c.p.a.
Tuttavia, tale strumento processuale presenta diverse difficoltà applicative
dovute, da un lato da un lato, all’obbligo di garantire la trasmigrabilità della
domanda giudiziale tra giudici appartenenti a ordini diversi e, dall’altro lato, all’obbligo di rispettare la disciplina sostanziale e processuale che regola la presentazione delle azioni giurisdizionali dinanzi alle diverse giurisdizioni.
Tenuto fermo l’obiettivo di garantire la piena tutela del singolo, finalità che è
senza dubbio individuabile nella disciplina vigente in materia di translatio iudicii
in caso di difetto di giurisdizione, sorge la necessità di individuare, ove possibile
dei criteri che consentano di adattare la domanda giudiziale alle regole processuali cui il giudice munito di giurisdizione deve sottostare.
Va chiarito che il problema non è riferito al permanere degli effetti sostanziali e processuali della domanda giudiziale, che la normativa vigente in materia di
translatio iudicii già assicura.
Il profilo oggetto della presente riflessione è, invece, quello legato alla necessità di garantire l’effettività della tutela, modificando, ove necessario, la domanda giudiziale in armonia rispetto alla disciplina processuale operante dinanzi al
giudice ad quem.
In merito, la dottrina ha precisato come, secondo la normativa, pur ammettendo che la domanda giudiziale riproposta debba essere identica a quella originariamente presentata, questa deve comunque rispettare la normativa processuale che regola il giudizio dinanzi al nuovo giudice munito di giurisdizione 68.
In questo senso lo strumento della riassunzione del processo non appare
idoneo a garantire l’effettiva tutela della posizione di cui il singolo è titolare.
Se per un verso sotto il profilo concettuale la riassunzione è lo strumento più
idoneo a garantire la prosecuzione del giudizio per altro verso i limiti posti alla
modifica della domanda giudiziale in tale sede finiscono per far propendere per
una soluzione diversa ai fini di garantire l’efficacia della translatio iudicii.
68
C. ASPRELLA, La translatio iudicii, Milano, 2010, p. 172.
La translatio iudicii tra le giurisdizioni
29
Nel presente lavoro si analizzeranno i diversi orientamenti elaborati dalla
dottrina in ordine ai meccanismi mediante i quali garantire la trasmigrazione
della domanda giudiziale con particolare attenzione al profilo della garanzia di
tutela dell’interesse del privato che tali tesi assicurano.
In merito si pongono due profili problematici; in primo luogo, occorre definire quali siano i limiti alle modifiche alla domanda giudiziale oggetto di trasmigrazione; ciò, alla luce della più volte ribadita necessità di adattare la domanda
rispetto alla disciplina processuale operante dinanzi al giudice ad quem.
In questo senso le nozioni di mutatio libelli ed emendatio libelli, a seguito
della elaborazione della più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione,
vengono in aiuto nel definire i concetti di riassunzione e riproposizione della
domanda giudiziale nelle ipotesi di translatio iudicii.
In secondo luogo, le modifiche alla domanda giudiziale iniziale pur quando
siano ritenute ammissibili, determinano in alcuni casi problemi in ordine
all’ammissibilità e alla valutazione delle azioni riproposte dinanzi ad un giudice
appartenente ad un ordine diverso.
La necessità di garantire l’effettività della tutela della posizione del singolo,
seppur nel rispetto delle differenti modalità e dei diversi presupposti che tale
protezione assume dinanzi a giudici di ordini diversi, impone di verificare ove
ed in quale contesto la riproposizione della domanda giudiziale possa essere oggetto di limitazioni dovute alle regole processuali vigenti dinanzi al giudice ad
quem.
In merito, va rilevato che il problema si pone, fondamentalmente, nell’ipotesi
della trasmigrabilità della domanda dalla sede ordinaria a quella amministrativa
e cioè nel passaggio da un giudizio di tipo cognitorio ad un giudizio che ha natura cognitoria ed impugnatoria.
Interpretare il meccanismo della tramigrabilità in modo rigido, intendendo la
riproposizione ex art. 59 della legge del 2009 alla stregua di riassunzione del
processo avviato dinanzi al giudice non munito di giurisdizione, dando rilievo al
principio di conformità della domanda, può condurre ad un vulnus di tutela
giurisdizionale.
In relazione al secondo profilo, il passaggio da un giudizio cognitorio ad un
giudizio, si cognitorio, ma anche impugnatorio presenta notevoli difficoltà di
armonizzazione soprattutto in relazione alla necessità di rispettare le norme
processuali vigenti dinanzi al giudice amministrativo e alla necessaria riformulazione della causa petendi e del petitum che a tale obbligo si accompagnano.
9. La tesi della riassunzione del processo
L’art. 59 della legge n. 69 del 2009 e l’art. 11 c.p.a. prevedono che la domanda giudiziale proposta dinanzi a un giudice erroneamente individuato come
munito di giurisdizione possa essere riproposta, fatti salvi gli effetti sostanziali e
30
Processo amministrativo e translatio iudicii
processuali della stessa, dinanzi al giudice munito di giurisdizione.
Come è noto, la formulazione delle disposizioni in materia di translatio iudicii e in particolare dell’art. 59 citato, ha dato luogo ad intensi dibattiti in dottrina e giurisprudenza, soprattutto in relazione a cosa debba intendersi per riproposizione della domanda giudiziale.
La formulazione dell’art. 59 della legge n. 69 del 2009 non particolarmente
felice, non aiuta nel tentativo di definire chiaramente i limiti posti alla nozione
di riproposizione della domanda giudiziale rispetto alla nozione di riassunzione 69.
È noto infatti che entrambi i termini sono usati senza una chiara distinzione
nella norma citata.
Nel tentativo di definire il meccanismo mediante cui garantire la trasmigrabilità della domanda giudiziale si sono avanzate diverse interpretazioni della norma citata.
Alcuni autori hanno ritenuto che il meccanismo individuato dall’art. 59 della
legge n. 69 del 2009 fosse quello della riassunzione della domanda giudiziale 70.
È evidente che tale tesi, come precedentemente affermato, ha il vantaggio di
porre la domanda giudiziale trasmigrata dinanzi al giudice ad quem in termini di
prosecuzione del processo iniziale erroneamente proposto dinanzi al giudice
non munito di giurisdizione.
La tesi che identifica nella riassunzione il meccanismo attraverso cui attuare
la translatio iudicii consente di ricondurre nel novero dell’ipotesi della prosecuzione del giudizio la disciplina dettata dall’art. 59 della legge del 2009 relativa
alla prescrizioni e decadenze intervenute.
È di tutta evidenza che trattandosi del medesimo processo la disposizione
che prevede il mantenimento delle prescrizione decadenze intervenute dinanzi
al nuovo giudice appare perfettamente razionale.
A favore della tesi che identifica nella riassunzione il meccanismo processuale per garantire la trasmigrabilità della domanda giudiziale, è stata richiamata la
giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia di riassunzione.
La Suprema Corte ha affermato in merito che: «La riassunzione della causa
dinanzi al giudice di rinvio instaura un processo chiuso, nel quale è preclusa alle
parti, tra l’altro, ogni possibilità di proporre nuove domande, eccezioni, nonché
conclusioni diverse» 71.
La Suprema Corte ha in un prima fase supportato la tesi a favore della rias69
Sul punto si rinvia a M.P. GASPERINI, Decisione delle questioni di giurisdizione e translatio
iudicii, in A. DIDONE, Il processo civile competitivo, Torino, 2010, p. 136 e ss.; M. MAZZAMUTO,
Per una doverosità costituzionale del diritto amministrativo e del suo giudice naturale, in Dir. proc.
amm., 2010, p. 143 e ss.
70
Vedi in merito alla tesi a favore della riassunzione G. BALENA, La nuova pseudo-riforma della
Giustizia civile, in Giusto proc. civ., 2009, p. 749 e ss.
71
Cass., Sez. lav., 15 dicembre 2008, n. 29320.
La translatio iudicii tra le giurisdizioni
31
sunzione della domanda giudiziale a seguito di translatio iudicii ritenendo che
dal dato letterale dell’art. 59, comma 4 della legge n. 69 del 2009 si potesse trarre in modo chiaro l’intenzione del legislatore di applicare il meccanismo della
riassunzione 72.
Peraltro, la Corte di Cassazione ha ritenuto che per la riassunzione della domanda giudiziale la parte interessata si possa attivare senza dover attendere il
passaggio in giudicato della pronuncia che declina la giurisdizione.
Infatti, secondo l’esposto orientamento il temine di tre mesi decorrenti dal
passaggio in giudicato della sentenza che declina la giurisdizione ha carattere di
termine finale.
Non solo, secondo la Suprema corte la riassunzione della domanda giudiziale
ai sensi dell’art. 59 citato non precluderebbe la possibilità di proporre appello;
la riassunzione infatti, non comporterebbe acquiescenza alla sentenza declinatoria di giurisdizione con la conseguenza che potrebbe esservi la pendenza di due
distinti processi: quello dinanzi al giudice iniziale, ormai giunto in sede di appello, e quello dinanzi al giudice ad quem.
In tali ipotesi, secondo la Suprema Corte, sarebbe comunque l’esito del giudizio di appello a prevalere, ove la sentenza del giudice di primo grado declinatoria della giurisdizione venga riformata.
Tale tesi, tuttavia presenta notevoli difficoltà applicative che rendono difficile garantire l’effettività della tutela.
È noto infatti che il meccanismo della riassunzione non consente di modificare la domanda giudiziale iniziale; la riassunzione presuppone la conformità
della domanda giudiziale rispetto a quella originariamente proposta.
Tale limite, ove la trasmigrazione della domanda debba avvenire verso giudici appartenenti a plessi giurisdizionali differenti, può portare a notevoli problemi.
Appare evidente che in tal caso, stante i limiti della riassunzione che non
consente mutamenti della domanda giudiziale nel passaggio da un giudice ad un
altro appartenente ad un diverso ordine, la prosecuzione del giudizio difficilmente potrebbe avere luogo stante la necessità di adeguare la domanda alle regole sostanziali e processuali vigenti dinanzi al giudice ad quem.
Infatti, nella riproposizione della domanda giudiziale si deve necessariamente
tenere conto delle norme sostanziali e processuali poste dall’ordinamento giuridico per la presentazione delle azioni dinanzi a giudici appartenenti a ordini diversi.
Parte della dottrina ha sottolineato le difficoltà che possono sorgere se si individua nel meccanismo della riassunzione lo strumento per dare attuazione alla
72
V. in merito Cass., Sez. Un., 8 febbraio 2010, n. 2716; nello stesso senso si esprime Cass.,
Sez. Un., 22 novembre 2010, n. 23596: «La riproposizione della domanda davanti al giudice indicato dalla sentenza declinatoria come dotato di giurisdizione, se effettuata nel termine di mesi tre
dal passaggio in giudicato della pronunzia, costituisce certamente una riassunzione, come emerge
espressamente dalla L. n. 69 del 2009, art. 59, comma 4».
32
Processo amministrativo e translatio iudicii
translatio iudicii; ciò proprio in ragione della inidoneità di tale strumento ad assicurare le modifiche necessarie affinché la domanda giudiziale sia idonea a garantire la tutela giurisdizionale 73.
Nelle ipotesi di translatio iudicii per motivi di giurisdizione la differenza tra
gli ordinamenti processuali e il diverso regime giuridico che regola le fattispecie
di fatto può non consentire di riproporre la domanda giudiziale nella sua forma
originaria.
In merito in dottrina la tesi che identifica il meccanismo per la trasmigrazione della domanda nella riassunzione è stata oggetto di critiche in quanto si è posto in rilievo come difficilmente un atto di mero impulso processuale quale la
riassunzione potrebbe essere idoneo a risolvere i problemi che possono sorgere
nei rapporti tra giurisdizioni 74.
Secondo tale dottrina, voler interpretare la disposizione di cui all’art. 59 in
termini di riassunzione, ignorando l’uso del termine riproposizione di cui al
comma 2 della disposizione citata, non è coerente con il dettato normativo; né
tale orientamento si armonizza con l’inciso di cui al comma 2 che prevede la salvezza degli effetti che la domanda giudiziale avrebbe prodotto se il giudice di
cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall’instaurazione del
primo giudizio 75.
Inoltre, non può ignorarsi che il comma 4 dell’art. 59 della legge n. 69 del
2009 sembra differenziare le due ipotesi della riassunzione e della prosecuzione
del processo.
Sebbene tale disposizione sia stata certamente formulata in modo non felice
non sembra potersi dubitare che nell’intenzione del legislatore il meccanismo
per la trasmigrabilità della domanda giudiziale non possa ricondursi alla riassunzione ove questa si risolva nell’adozione di un modello che non consente
modifiche alla domanda giudiziale.
La trasmigrazione della domanda giudiziale inquadrata nei termini della riassunzione è stata fortemente criticata da parte della dottrina, non solo e non tanto in relazione al meccanismo di attuazione prescelto, ma bensì rispetto all’idea
stessa di introdurre tale istituto nell’ordinamento giuridico italiano ed alla luce
dei supposti svantaggi applicativi che l’art. 59 della legge n. 69 del 2009 comporta; in tal senso si è proposta, al fine di risolvere le problematiche legate alla
immodificabilità della domanda giudiziale in sede di riassunzione, in senso forse
73
Si veda, in merito alla tesi sulla riassunzione, quanto affermato da C. CONSOLO, Translationes giurisprudenziali sulla « riassunzione »(?) intergiurisdizionale ex art. 59, nota a Cass., Sez. un.,
21 aprile 2011, n. 9130, in Giusto proc. civ., 2011, p. 798 e ss.; l’Autore parla di potenziale trappola per l’attore che non potrebbe apportare le necessarie modifiche alla domanda al fine di tutelare
il bene della vita oggetto di controversia.
74
A. SQUAZZONI, Declinatoria di giurisdizione e effetto conservativo del termine, Milano, 2013,
p. 381.
75
ID., Declinatoria di giurisdizione e effetto conservativo del termine, cit., p. 382.
La translatio iudicii tra le giurisdizioni
33
volutamente provocatorio, la proposizione di azioni double face caratterizzantesi
per una domanda subordinata, supportata da diversi motivi, adeguati rispetto al
quadro sostanziale operante dinanzi al plesso giurisdizionale cui appartiene il
giudice ad quem 76.
Parte della dottrina ha avvertito il problema della immodificabilità della domanda giudiziale in sede di riassunzione, inquadrandolo in un contesto più ampio, ed ammettendo siano comunque possibili delle modifiche per adeguare la
domanda al diverso regime processuale e sostanziale 77.
Il meccanismo della riassunzione non appare idoneo, se applicato rigidamente alla stregua di strumento di mero impulso processuale, a garantire la tutela
del interesse del privato dinanzi a plessi giurisdizionali regolati da disposizioni
differenti rispetto a quelle vigenti dinanzi al giudice di provenienza
10. Le tesi alternative: la riproposizione della domanda giudiziale
A fronte dei problemi applicativi derivanti dalla tesi che individua nella riassunzione in meccanismo applicativo della translatio iudicii parte della dottrina
ha ritenuto che l’art. 59 della legge n. 69 del 2009 e l’art. 11 c.p.a. andassero interpretati in senso diverso.
È stato infatti rilevato in dottrina come la translatio iudicii se applicata in
modo restrittivo, senza garantire elasticità nella formulazione della domanda in
sede di riassunzione, da luogo ad un processo chiuso e finisce per non garantire
l’effettività della tutela giurisdizionale 78.
Come precedentemente chiarito, la tesi che subordina l’applicazione della
translatio iudicii alla riassunzione della domanda giudiziale proposta inizialmente delinea un sistema chiuso che non consente di adeguare la domanda alla disciplina sostanziale e processuale che il giudice ad quem è tenuto ad applicare.
Al contrario, un diverso orientamento sostiene che le norme citate prevedano
non la riassunzione della domanda giudiziale inizialmente proposta al giudice
76
M. MAZZAMUTO, Per una doverosità costituzionale del diritto amministrativo e del suo giudice
naturale, cit., p. 182.
77
In questo senso si veda A. SALETTI, La riassunzione del processo civile, Milano, 1977, p. 241 e
ss.; l’A. parla di riassunzione modificativa intendendo in questo senso ammettere la possibilità di
modifiche anche in sede di riassunzione della domanda ove la tipologia di tutela erogata dinanzi al
giudice ad quem sia non omogenea rispetto al regime dinanzi al giudice che ha declinato la giurisdizione.
78
V. in merito M. MAZZAMUTO La translatio iudicii si “schiude”?, in Dir. proc. amm., 2012, p.
660. L’autore in particolare afferma che: «se dà luogo ad un processo “chiuso”, una translatio
estesa al di fuori di un contesto omogeneo, più che una “salvezza”, diviene infatti un’autentica
“prigione”, ed in definitiva un trabocchetto nefasto per chi, spinto dalle vulgate, pensa così di tutelare meglio il proprio interesse, rispetto al percorso tradizionale, cioè quello di ricorrere ad una
nuova azione di fronte al giudice che ha giurisdizione».
34
Processo amministrativo e translatio iudicii
non munito di giurisdizione ma, bensì, la sua riproposizione 79.
La riproposizione consente di superare i limiti posti dalla riassunzione e di
adeguare la domanda giudiziale alle disposizioni processuali e sostanziali che regolano il giudizio dinanzi al giudice ad quem.
La domanda riproposta, infatti, potrà presentare quelle modificazioni necessarie anche nei suoi elementi fondamentali quali il petitum e la causa petendi ove
ciò sia opportuno per la continuazione del processo dinanzi al giudice munito di
giurisdizione.
L’art. 59 della legge n. 69 del 2009 secondo tale ricostruzione, ammette la
possibilità della riproposizione quando precisa che la domanda si ripropone con
le modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in
relazione al rito applicabile.
Orbene, mentre con l’atto di riassunzione, il giudizio prosegue e le prescrizioni intervenute rimangono ferme in quanto il giudizio riassunto è il medesimo
precedentemente instaurato dinanzi al giudice non dotato di giurisdizione, senza alcuna modificazione, con la riproposizione del giudizio ex art. 11 c.p.a., secondo parte della la dottrina si da il via ad un giudizio nuovo.
Il tal senso, il giudizio proposto dinanzi al giudice che ha declinato la giurisdizione si estinguerebbe ma gli effetti processuali e sostanziali verrebbero retrodatati se il giudizio viene riproposto dinanzi al giudice ad quem nel termine
di tre mesi.
In dottrina si è rilevato che ove il termine di tre mesi non fosse rispettato la
seconda domanda sarebbe oggetto del sindacato del giudice senza alcun riconoscimento degli effetti retrodatati 80; in tale ipotesi è più che probabile che la domanda riproposta sia in alcuni casi, inammissibile cosa che avverrebbe certamente nel caso di trasmigrazione dalla giurisdizione ordinaria a quella amministrativa.
È stato osservato come la vicenda sostanziale rimanga la stessa mentre a
cambiare è, ovviamente, la qualificazione giuridica dei fatti oggetto di controversia 81, pur mantenendo fermo il c.d. petitum mediato.
A maggior conferma della differente natura della riproposizione del giudizio
rispetto alla riassunzione è stato, inoltre, osservato come nella disposizione di
cui all’art. 11 c.p.a. sono state espunti i riferimenti alla riassunzione 82 sebbene la
giurisprudenza spesso riconduca a tale strumento processuale l’atto con cui si
ripropone il giudizio dinanzi al giudice munito di giurisdizione.
79
E.F. RICCI, La nuova disciplina della declinatoria di giurisdizione tra intuizioni felici e confusione di idee, in Riv. dir. proc., 2009, p. 1537 e ss.
80
A. SQUAZZONI, Declinatoria di giurisdizione e effetto conservativo del termine, cit., p. 384.
81
M.P. GASPERINI, Decisione delle questioni di giurisdizione e translatio iudicii, cit., p. 139.
82
In senso contrario v. M. CORRADINO-S. STICCHI DAMIANI, Il processo amministrativo, Torino, 2014, p. 113. Gli autori qualificano l’atto necessario per l’applicazione dell’istituto della translatio iudicii in termini di riassunzione.
La translatio iudicii tra le giurisdizioni
35
In dottrina, infatti, è stato posto in rilievo che a fronte della disposizione di
cui all’art. 11 c.p.a., che ha espunto ogni riferimento al concetto di riassunzione,
si riscontra in giurisprudenza il frequente utilizzo di tale termine con riferimento all’atto di riproposizione nel processo amministrativo 83.
Un ulteriore tesi avanzata in dottrina ha individuato il meccanismo per
l’attuazione della translatio iudicii alla stregua di rinnovazione sanante della domanda giudiziale; la rinnovazione avrebbe l’effetto di sanare i vizi della domanda proposta dinanzi al giudice non munito di giurisdizione ove questa venga riproposta nel termine decadenziale di tre mesi; è stato rilevato che il meccanismo
previsto dall’art. 59 della legge n. 69 del 2009 ha le medesime caratteristiche della rinnovazione con gli effetti della domanda riproposta decorrenti dalla originaria presentazione della stessa dinanzi al giudice non munito di giurisdizione 84.
Va poi rilevato come siano state avanzate in dottrina e giurisprudenza alcune
ipotesi intermedie tra quella della riassunzione e quella della riproposizione della domanda giudiziale.
In merito si è espressa anche la Corte di cassazione che con la sentenza delle
sezioni unite 21 aprile 2011, n. 9130 ha in parte accolto le tesi che identificano
nella riproposizione del giudizio il meccanismo applicativo della translatio iudicii, quantomeno in relazione al passaggio dal giudizio ordinario a quello amministrativo.
Nell’ipotesi di trasmigrazione della domanda tra plessi giudiziari non omogenei la Suprema Corte ammette la riproposizione della domanda.
Tale pronuncia ha precisato che: «qualora un giudice abbia declinato la propria giurisdizione, l’atto che determina la prosecuzione del giudizio va diversamente regolato a seconda che debba essere proposto davanti ad un giudice la
cui giurisdizione abbia o meno le medesime caratteristiche della prima. Pertanto, ove si passi da un giudizio di tipo prevalentemente impugnatorio ad un giudizio esclusivamente di cognizione sul rapporto, o viceversa, l’atto di prosecuzione deve avere la forma di una riproposizione della domanda, stante il necessario adattamento del “petitum”; qualora, invece, il giudizio prosegua verso un
giudizio con le medesime caratteristiche, l’atto di prosecuzione assume la forma
di un atto di riassunzione, regolato dall’art. 125-bis disp. att. del codice di procedura civile».
La decisione della Corte di Cassazione, discostandosi dalla precedente giurisprudenza che individuava nella riassunzione lo strumento per la trasmigrabilità
della domanda giudiziale, delinea un sistema in cui a seconda delle caratteristiche de giudizio è utilizzabile lo strumento della riassunzione o quello della riproposizione della domanda.
83
In merito v. G.A. PRIMERANO, La translatio iudicii tra questioni vecchie e nuove: da potere del
giudice a diritto del cittadino, Foro amm.-C.d.S., 2012, p. 2535 e ss.
84
A SQUAZZONI, Declinatoria di giurisdizione e effetto conservativo del termine, cit., p. 385.
36
Processo amministrativo e translatio iudicii
Va rilevato che anche in dottrina è stata avanzata una tesi avente natura dualistica.
Il citato orientamento, precedente alla sentenza della Cassazione del 2011,
ricostruisce la disciplina legislativa in materia di translatio iudicii secondo uno
schema dualistico, che ammette la convivenza di entrambi gli strumenti processuali della riassunzione e della riproposizione del giudizio iniziale 85.
Tale schema si differenzia dalla ricostruzione operata dalla Corte di Cassazione in quanto l’ammissibilità di entrambi i meccanismi processuali non trova
la propria giustificazione nel diverso quadro normativo entro cui opera il giudice ad quem ma nel passaggio in giudicato della sentenza declinatoria di giurisdizione.
Sulla base di tale tesi, infatti, la riassunzione della domanda giudiziale sarebbe ammissibile soltanto prima del passaggio in giudicato della sentenza declinatoria di giurisdizione.
La riproposizione, invece, sarebbe ammissibile nei tre mesi dal passaggio in
giudicato della sentenza declinatoria, e avrebbe il solo fine di consentire la retrodatazione degli effetti della domanda giudiziale 86.
La tesi in parola, sembra considerare la riassunzione quale il meccanismo ordinario di applicazione della translatio iudicii, senza peraltro ignorare i problemi
che possono sorgere a seguito della trasmigrazione del giudizio dinanzi ad un
giudice appartenente ad un diverso ordine.
La riproposizione della domanda viene vista come uno strumento che potremmo definire straordinario in quanto può operare soltanto a seguito del passaggio in giudicato della sentenza declinatoria di giurisdizione.
Avverso tali tesi che potremmo definire intermedie si è espressa parte della
dottrina che ha rilevato come dal dato letterale dell’art. 59 della legge n. 69 del
2009 non sembra che si possa evincere una differenziazione tra le ipotesi della
riassunzione e quella della riproposizione del giudizio 87.
Non sembra potersi scindere il riferimento al termine di tre mesi riferendolo
alla sola ipotesi della riproposizione del giudizio.
In particolare, con riferimento ala sentenza delle Sezioni Unite della Suprema
Corte del 2011, si è affermato in dottrina che il tentativo di individuare diverse
forme di riassunzione (la riproposizione della domanda viene definita dalla suprema corte riassunzione emendativa) a seconda del giudice dinanzi a cui la do85
V. G. TROPEA La translatio iudicii si “schiude”, ma l’abuso “per omissione” di attività processuale paralizza la pretesa risarcitoria, in Dir. proc. amm., 2015, p. 1422.
86
G. VERDE, Ancora sulla pendenza del procedimento arbitrale, in Riv. arbitrato, 2009, pp. 219220; G. RUFFINI, Difetto di giurisdizione e translatio iudicii fra confusione del legislatore ed equivoci
degli interpreti, in Giur. it., 2013, p. 214 e ss.
87
V. in merito C. CONSOLO, La questione di giurisdizione tra rilievo officioso in primo grado e
translatio, in B. SASSANI-R. VILLATA (a cura di), Il Codice del processo amministrativo. Dalla giustizia amministrativa al diritto processuale amministrativo, cit., p. 335 e ss.
La translatio iudicii tra le giurisdizioni
37
manda vada ripresentata è stata ritenuta non in armonia con il dettato normativo 88.
Dalla lettura dell’art. 59 della legge del 2009, non si evincerebbe una netta
separazione tra la nozione di riassunzione e quella di riproposizione del giudizio
iniziale 89.
In dottrina si è posto in rilievo come i termini riassunzione e riproporre sono
usati in senso generale, senza alcun tentativo di definire concetti differenziati 90.
Un ulteriore orientamento ricostruisce la disciplina di cui all’art. 59 citato in
termini sostanzialmente differenti rispetto a quelli finora prospettati 91.
Secondo tale tesi sia il meccanismo della riassunzione sia quello della riproposizione non sono idonei a garantire la translatio iudicii.
La riassunzione, infatti, non potrebbe operare in tale ipotesi in quanto la
translatio è ammessa solo a seguito del passaggio in giudicato della sentenza declinatoria di giurisdizione con i conseguenti effetti estintivi del primo processo;
la trasmigrazione dello stesso rapporto processuale da un plesso giurisdizionale
ad un altro non sarebbe consentita in tal caso.
La riproposizione, parimenti, non sarebbe ammissibile quando con tale termine si intenda la presentazione al giudice ad quem di una domanda nuova.
Secondo l’ultimo orientamento citato, infatti, la domanda giudiziale oggetto
di trasmigrazione, ove correttamente riproposta, non andrebbe considerata
nuova in quanto sarebbe la medesima presentata inizialmente.
L’orientamento in oggetto identifica il meccanismo per la trasmigrazione della domanda in un tertium genus differente rispetto alle ipotesi della riassunzione
e della riproposizione di una domanda nuova.
Tale impostazione infatti, ritiene che la riproposizione della domanda entro i
termini del comma 2 non comporti l’instaurazione di un nuovo processo ma la
presentazione della stessa domanda dinanzi ad un nuovo plesso giurisdizionale,
pur se adattata al regime processuale ed alla disciplina sostanziale applicabile
dinanzi al giudice ad quem.
In merito è opportuno chiarire in dottrina non vi è univocità di vedute in relazione a che cosa si debba intendere per giudizio nuovo a seguito della riproposizione della domanda giudiziale.
Secondo parte della dottrina, infatti, con la riproposizione della domanda
giudiziale si avvia un vero e proprio giudizio nuovo rispetto a quello iniziale 92.
88
M. MAZZAMUTO, La translatio iudicii si “schiude”?, cit., p. 661.
In merito v. le osservazioni critiche di C. CONSOLO, La nuova disciplina della translatio iudicii (art. 59, L. 18 giugno 2009, n. 69) tra ambiguità nella formulazione (riassunzione, non riproposizione). Problemi applicativi e proposte di riscrittura più efficiente, in www.ipsoa.it.
90
M. MAZZAMUTO, La translatio iudicii si “schiude”?, cit., p. 660.
91
V. in merito C. GLENDI, La circolarità dell’azione tra le diverse giurisdizioni dell’ordinamento
nazionale, in Corr. trib., 2009, p. 2655 e ss.
92
V. in merito M. BOVE, Giurisdizione e competenza nella recente riforma del processo civile, in
Riv. dir. proc., 2009, p. 1301 e ss.
89
38
Processo amministrativo e translatio iudicii
Tuttavia, è stato osservato da altra parte della dottrina come l’art. 59 della
legge del 2009 parli di prosecuzione del giudizio e tale previsione non si giustificherebbe se il giudizio riproposto non fosse una continuazione di quello iniziale 93.
11. La domanda giudiziale tra mutatio libelli ed emendatio libelli alla luce
della recente giurisprudenza della Corte di Cassazione
Le nozioni di mutatio libelli e di emendatio libelli sono emerse e sono state
sviluppate all’interno del processo civile ed in particolare nello studio da parte
della dottrina dell’art. 183, commi 5 e 6, c.p.c.
Il contesto in cui si sono sviluppati gli orientamenti dottrinari e giurisprudenziali su tali nozioni è quindi molto diverso da quello dell’applicazione dell’istituto della translatio iudicii.
Tuttavia, i concetti di emendatio libelli e di mutatio libelli vengono in soccorso ove si affronti il problema di differenziare tra i due possibili meccanismi formali per realizzare la translatio iudicii: la riassunzione di una domanda giudiziale
o la sua riproposizione dinanzi ad un giudice appartenente ad un diverso ordine
giudiziario.
In dottrina ed in giurisprudenza si è affermato, infatti, che per emendatio libelli vada intesa la precisazione e la modificazione della domanda originaria
mentre per mutatio libelli vada intesa la proposizione di una domanda radicalmente diversa e nuova.
Più precisamente, secondo l’orientamento più risalente della giurisprudenza
si avrà emendatio libelli in presenza di modificazioni della domanda introduttiva che non incidono né sulla causa petendi (ma solo sulla interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto) né sul petitum (se non nel
senso di meglio quantificarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo
soddisfacimento della pretesa fatta valere); si avrà invece, mutatio libelli in caso
di modificazioni della domanda che costituiscono una pretesa obiettivamente
diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum diverso e
più ampio oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima, ed in particolare su di un fatto costitutivo differente, così ponendo al giudice un nuovo tema d’indagine e spostando i termini della controversia 94.
Secondo tale ricostruzione, le nozioni di emendatio libelli e mutatio libelli
configurano, di conseguenza due differenti ipotesi.
Un primo caso si verifica quando in cui le modificazioni della domanda non
93
94
M. P. GASPERINI, Decisione delle questioni di giurisdizione e translatio iudicii, cit., p. 137.
V. ex multis, Cass. 28 gennaio 2015, n. 1585; 27 luglio 2009, n. 17457.
La translatio iudicii tra le giurisdizioni
39
mutano gli elementi fondamentali quali la causa petendi ed il petitum; un secondo caso, invece si verifica quando al contrario, la domanda proposta ha caratteri
tali da configurarsi come autonoma rispetto a quella originaria.
Nel contesto in cui tali nozioni sono state sviluppate, all’interno del processo
civile, la mutatio libelli andava ritenuta inammissibile in quanto radicalmente
modificativa della domanda originaria.
Va precisato che ricondurre nel novero della mutatio libelli o dell’emendatio
libelli le nozioni di riassunzione e riproposizione della domanda giudiziale non è
del tutto agevole.
In linea di principio alla luce delle tradizionali nozioni di emendatio libelli e
mutatio libelli la riproposizione, ove determini modifiche alla causa petendi o un
petitum diverso rispetto alla domanda inizialmente presentata dinanzi al giudice
munito di giurisdizione andrebbe qualificata come mutatio libelli; nello stesso
senso, e sempre in linea generale, la riassunzione della domanda giudiziale potrebbe essere ricondotta nel novero della emendatio libelli in quanto risulterebbero ammesse di regola solo modifiche non fondamentali.
Va rilevato che il problema dell’ammissibilità o meno della mutatio libelli
non appare rilevante in tale sede alla luce della disciplina in materia di translatio
iudicii.
Al contrario, le due nozioni di mutatio libelli ed emendatio libelli aiutano a
differenziare la riassunzione rispetto alla riproposizione della domanda, con alcune conseguenze in particolare in ordine all’inquadramento della domanda
giudiziale quale prosecuzione del giudizio avviato dinanzi al giudice non munito
di giurisdizione o quale giudizio nuovo.
La più recente giurisprudenza, tuttavia, sembra aver cambiato orientamento
affermando che la differenza tra emendatio libelli e mutatio libelli non stia in
modifiche idonee ad incidere sulla causa petendi e sul petitum, consentendo alle
parti maggiore flessibilità nella tutela del loro interesse.
La Corte di cassazione ha infatti analizzato il concetto di domanda nuova
precisando come questa sia non ammissibile quando sia aggiuntiva o ulteriore
rispetto alla domanda iniziale.
Per altro verso, invece, secondo la suprema Corte le domande iniziali, pur se
modificate in alcuni elementi fondamentali quali petitum e causa petendi o anche
quando siano sostituite da domande diverse, che non si aggiungono a quelle iniziali ma le sostituiscono, e si pongono in un rapporto di alternatività, non rappresentano domande nuove e inammissibili 95.
Secondo la Cassazione infatti, «La modificazione della domanda ammessa a
norma dell’art. 183 c.p.c., può riguardare anche uno o entrambi gli elementi
identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sem95
In merito le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella pronuncia 15 giugno 2015, n.
12310 parla della presentazione di una domanda “alternativa” o “complanare rispetto a quella
inizialmente proposta.
40
Processo amministrativo e translatio iudicii
pre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio» 96.
Naturalmente, secondo la suprema Corte, la domanda modificata deve pur
sempre riguardare la medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l’atto
introduttivo o comunque essere a questa collegata.
Si tratta di un approccio che predilige la tutela dell’interesse sostanziale del
privato consentendone la tutela attraverso l’introduzione di una notevole flessibilità in sede di definizione dei contenuti della domanda giudiziale.
Va in merito rilevato che nella dottrina amministrativistica 97, le problematiche legate all’ammissibilità delle modificazioni della domanda giudiziale ed alla
conseguente definizione delle ipotesi di emendatio libelli e di mutatio libelli, sono state superate alla luce di istituti, quali i motivi aggiunti, il ricorso incidentale
e la capacità del giudice amministrativo ex art. 32 c.p.a. di modificare la domanda giudiziale.
Tali istituti, infatti, possono incidere sul petitum senza peraltro determinare
per ciò stesso problemi di ammissibilità della domanda.
Tale posizione sembra rispecchiare l’illustrato orientamento della Corte di
Cassazione in merito alle possibili modificazioni della domanda giudiziale a
maggior tutela dell’interesse sostanziale del privato, sebbene tale ulteriore protezione venga realizzata attraverso i diversi strumenti processuali previsti nella
giurisdizione amministrativa.
Orbene, alla luce della posizione della Corte di Cassazione, il dibattito tra
riassunzione e riproposizione della domanda potrebbe venire superato.
Infatti, in base ai principi indicati dalla Suprema Corte nell’ipotesi di translatio iudicii dal giudice ordinario al giudice amministrativo, la modificazione della
domanda iniziale nei suoi elementi fondamentali quali la causa petendi ed il petitum non darebbe a origine ad una domanda nuova in quanto le modifiche ricadrebbero nell’ipotesi di emendatio libelli consentendo la riassunzione o comunque un ipotesi di riproposizione che si caratterizza per essere una prosecuzione
del giudizio avviato dinanzi al giudice non munito di giurisdizione.
L’elemento di collegamento tra la domanda proposta davanti al giudice non
munito di giurisdizione e la domanda dinanzi al giudice ad quem, modificata nei
suoi aspetti fondamentali ma non qualificabile come nuova, è rappresentato
dall’intenzione di tutelare la medesima vicenda sostanziale.
Tale conclusione trova conferma non solo alla luce dell’esposto orientamento
della Suprema Corte con riferimento al processo civile ma anche alla luce degli
istituti che pur con le loro peculiarità, riconoscono la possibilità di modificare
gli elementi fondamentali della domanda all’interno del processo amministrativo.
96
97
Corte di Cassazione, Sez. Un., 15 giugno 2015, n. 12310.
G.P. CIRILLO, Il nuovo Dir. proc. amm., Milano, 2014, p. 237, in particolare nota 17.
La translatio iudicii tra le giurisdizioni
41
In ragione di tali circostanze non sembra esservi motivo ostativo alla riformulazione (rectius riproposizione) della domanda nell’ipotesi di translatio iudicii.
La riproposizione della domanda iniziale con le opportune modifiche, che
trova la sua giustificazione nella necessità di garantire adeguata tutela all’interesse del privato all’interno di un diverso quadro normativo sostanziale e processuale, non comporta la presentazione di una domanda nuova ma rappresenta
effettivamente la continuazione del processo dinanzi al nuovo giudice.
12. I limiti alla riformulazione della domanda alla luce dei rapporti tra giurisdizioni
Posto che la riproposizione della domanda giudiziale, intesa come presentazione di una domanda che pur indirizzata a tutelare il medesimo interesse sostanziale venga adeguata nella ricostruzione del fatto e dei motivi di diritto e nel
petitum al quadro processuale e sostanziale operante dinanzi al giudice ad quem
sembra essere la soluzione più adeguata a garantire la translatio iudicii occorre
verificare in concreto quali siano le difficoltà ed i limiti di tale sistema.
La riproposizione della domanda giudiziale, intesa come riformulazione della
stessa con le necessarie modificazione della causa petendi e del petitum, seppure
ammissibile per l’effetto delle disposizioni in materia di translatio iudicii non è
per ciò solo agevole.
Le disposizioni di cui all’art. 59 della legge n. 69 del 2009 e dell’art. 11 c.p.a.
seppure ammettono in linea generale la riformulazione della domanda giudiziale non possono naturalmente affrontare i diversi problemi applicativi che ne
derivano.
Se da un lato è pur vero che le norme tendono a far salvi gli effetti della domanda giudiziale inizialmente proposta dinanzi al giudice non munito di giurisdizione tale elemento non è di per sé sufficiente a garantire la automatica prosecuzione del giudizio dinanzi al giudice ad quem.
Ciò vale a maggior ragione nelle ipotesi di trasmigrazione della domanda dalla giurisdizione ordinaria a quella amministrativa.
Se, infatti è vero che la riproposizione consente di apportare tutte le modifiche necessarie per garantire la tutela dell’interesse sostanziale del privato, la riqualificazione giuridica dei fatti e del rapporto oggetto di controversia può portare a delle difficoltà tali da compromettere la effettività della tutela.
Ciò si verifica, in primo luogo, in tutti i casi in cui la trasmigrazione della
domanda comporta il passaggio da un giudizio di tipo cognitorio ad un giudizio
di tipo cognitorio ma anche impugnatorio.
Il passaggio dalla giurisdizione ordinaria alla giurisdizione amministrativa
può presentare diverse difficoltà.
Preliminarmente, prima di analizzare come la domanda giudiziale possa esse-
42
Processo amministrativo e translatio iudicii
re riformulata nel passaggio tra le giurisdizioni, occorre affrontare le problematiche che sorgono dall’art. 59, comma 2 della legge n. 69 del 2009 che, come ben
noto, fa salve le prescrizioni e decadenze intervenute dinanzi al primo giudice
anche nel processo dinanzi al giudice ad quem.
Quanto alle decadenze, la posizione della dottrina appare concorde; le decadenze di cui al citato comma 2 dell’art. 59, legge n. 69 del 2009, non possono
che essere relative all’esercizio di poteri pre-processuali sui cui la salvezza degli
effetti della domanda non può avere alcun effetto 98.
In merito, invece, alla portata della norma citata in relazione alla preclusioni
vi è in dottrina ampio dibattito; l’analisi di tali posizioni appare particolarmente
rilevante se si considera che il tema si interseca con quello dei limiti alla riformulazione della domanda in sede di riproposizione della stessa dinanzi al giudice ad quem.
In merito alla portata delle disposizioni in tema di prescrizioni la dottrina ha
cercato di chiarire la ratio della norma, per la verità non particolarmente chiara.
Un primo orientamento ha opportunamente sottolineato che il riferimento
alle preclusioni appare superfluo in quanto queste potrebbero scattare solo dinanzi al giudice ad quem in base alle disposizioni vigenti dinanzi ad esso 99; se si
segue tale impostazione, le preclusioni intervenute nella precedente fase processuale stante il differente regime vigente dinanzi al giudice ad quem sarebbero
non rilevanti.
Secondo un diverso orientamento, invece, il giudice ad quem deve tener conto delle prescrizioni intervenute nel corso del giudizio dinanzi al giudice non
munito di giurisdizione in ossequio alla disciplina processuale vigente davanti a
questi 100.
Avverso la seconda tesi parte della dottrina ha acutamente osservato, che la
translatio iudicii sembra operare in modo da far regredire il processo alla fase
iniziale 101; alla luce ti tale condivisibile osservazione diviene evidente che non
avrebbe senso mantenere ferme, a seguito della translatio, le preclusioni intervenute nel corso del processo dinanzi al giudice non munito di giurisdizione.
Un ulteriore obiezione che è stata avanzata è relativa alla circostanza che a
seguito della riproposizione la domanda giudiziale deve necessariamente essere
riformulata ove necessario anche nella causa petendi e nel petitum.
La necessità di adeguamento della domanda al nuovo regime processuale con
la presentazione di nuovi motivi e di un nuovo petitum secondo la citata dottri-
98
M.P. GASPERINI, Decisione delle questioni di giurisdizione e translatio iudicii, cit., p. 140.
C. CONSOLO, La translatio iudicii tra giurisdizioni nel nuovo art. 59 della legge di riforma del
processo civile, cit., p. 1268.
100
M.P. GASPERINI, Decisione delle questioni di giurisdizione e translatio iudicii, cit., in particolare v. p. 141.
101
A. SQUAZZONI, Declinatoria di giurisdizione ed effetto conservativo del termine, cit., p. 436.
99
La translatio iudicii tra le giurisdizioni
43
na non può essere condizionata dalla preclusioni intervenute in una fase sottoposta ad un regime sostanziale e processuale differente 102.
Ciò che emerge dalle suddette tesi è che la riproposizione della domanda
giudiziale si concretizza nella presentazione dinanzi al giudice ad quem di una
domanda nuova, opportunamente riformulata per rispondere al nuovo regime
processuale e sostanziale vigente davanti a questi 103.
Posto tale punto fermo, va precisato che le preclusioni intervenute nel corso
della prima fase processuale, anche in base agli orientamento esposti, non sembrano incidere in modo profondo sulla riformulazione della domanda giudiziale
in sede di riproposizione ai sensi dell’art. 59 della legge n. 69 del 2009.
Diversa appare invece la capacità di incidere sulla domanda delle eventuali
decadenze intervenute nella fase pre-processuale 104.
Le decadenze, infatti, con particolare riferimento alla trasmigrazione della
domanda giudiziale verso il giudice amministrativo, potranno essere superate
solo mediante la disciplina relativa all’errore scusabile, ove ciò sia possibile in
base alle circostanze di fatto e di diritto che sottendono alle specifiche controversie.
Alla luce delle suddette considerazioni va, infine, esaminata la problematica
dei limiti alla riformulazione della domanda che emergono in ragione, in primo
luogo, delle tecniche di tutela a disposizione dei giudici appartenenti ad ordini
differenti e, in secondo luogo dai diversi regimi che regolano azioni della stessa
specie all’interno delle diverse giurisdizioni 105.
In questo senso, ci si soffermerà in alcune considerazioni che hanno carattere
102
M.P. GASPERINI, Decisione delle questioni di giurisdizione e translatio iudicii, cit., p. 138;
in merito l’A. asserisce che: «se la nuova domanda è resa necessaria dall’esigenza di adeguamento della medesima alla tipologia del controllo e dei poteri spettanti al giudice ad quem ed è
quindi conseguenziale alla trasmigrazione del giudizio davanti ad una diversa giurisdizione non
può certo considerarsi improponibile per l’effetto di una preclusione maturata nel giudizio a
quo, posto che tale domanda, cosi come riformulata dinanzi al giudice munito di giurisdizione,
non sarebbe stata proponibile davanti al giudice adito per primo e dichiaratosi privo di potere
decisorio».
103
In tal senso si esprime anche A. SQUAZZONI, Declinatoria di giurisdizione ed effetto conservativo del termine, cit., p. 437.
104
Sul punto v. C. CONSOLO, La legge di riforma 18 giugno 2009, n. 69: altri profili significativi
a prima lettura, in Corr. giur., 2009, p. 886. L’A. Sottolinea che «la sancita salvezza degli effetti
processuali e sostanziali della domanda inizialmente proposta non si produrrà se questa, una volta
individuato il giudice avente giurisdizione al riguardo, risulti – per le regole proprie di quella giurisdizione – tardivamente proposta allorché iniziò a pendere il processo. La domanda così proposta verrà dichiarata necessariamente inammissibile».
105
Tali problematiche sono state lucidamente individuate da A. SQUAZZONI, Declinatoria di
giurisdizione ed effetto conservativo del termine, cit., p. 438. L’A. sottolinea come il problema sia
particolarmente complesso e richieda per un’analisi completa il superamento del criterio della ripartizione secondo la posizione soggettiva come discrimine circa della necessità di riformulazione
della domanda giudiziale.
44
Processo amministrativo e translatio iudicii
generale per poi affrontare alcune ipotesi particolari che sono emerse in sede
giurisprudenziale e dottrinaria.
In primo luogo, va ribadito come nel passaggio tra giurisdizioni la riformulazione della domanda in molti casi non possa che essere ampia e tocchi necessariamente causa petendi e petitum.
Con specifico riferimento al passaggio dalla giurisdizione amministrativa a
quella ordinaria va rilevato come in dottrina vi è stato chi ha acutamente posto
in rilievo come, in ragione delle tecniche di tutela previste dinanzi a giudici appartenenti a plessi giurisdizionali differenti, i limiti alla modifica della domanda
in caso di riproposizione appaiono più elastici di quanto possa sembrare in un
primo momento.
Ciò in ragione degli effetti della sentenza amministrativa che oltre a quelli
demolitori determina anche effetti ripristinatori ed effetti conformativi 106 Ciò
consente, in sede di riproposizione della domanda dinanzi al giudice ordinario,
la presentazione di diverse differenti domande, in apparenza non proposte dinanzi al g.a., rimanendo tuttavia nell’ambito della riproposizione della domanda
giudiziale 107.
Con riferimento alla trasmigrazione della domanda giudiziale dalla giurisdizione ordinaria a quella amministrativa va posto il rilievo che in ragione della
natura impugnatoria del giudizio, dinanzi al g.a., del regime sostanziale che caratterizza l’attività di diritto pubblico, con le conseguenti peculiari ipotesi di illegittimità, ma anche e soprattutto alla luce delle tecniche di tutela a disposizione del giudice amministrativo, la domanda giudiziale va spesso riformulata in
modo marcato e ciò pure in quelle ipotesi, quali le azioni a fini risarcitori, che a
prima vista sembrerebbero non richiederlo.
106
Sugli effetti delle domande di annullamento v. M. NIGRO, Giustizia amministrativa, cit., p.
225 e ss.; M. CLARICH, Art. 29, in A. QUARANTA-M. LOPILATO (a cura di), Il processo amministrativo, Milano, 2011, p. 263 e ss.; C. CACCIAVILLANI, Il giudicato, in F.G. SCOCA, Giustizia amministrativa, cit., p. 589; A. MEALE, L’annullamento condizionato dei provvedimenti amministrativi e
l’effetto conformativo della sentenza, in Urb. e app., 2013, p. 53 e ss.; S. FOÀ, Annullamento ex
nunc e condanna dell’amministrazione ad un facere specifico, in Urb. e app., 2012, p.708 e ss.; A.
GIUSTI, La ‘nuova’ sentenza di annullamento nella recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, in
Dir. proc. amm., 2012, p. 293 e ss.; C.E. GALLO, I poteri del giudice amministrativo in ordine agli
effetti delle proprie sentenze di annullamento, in Dir. proc. amm., 2012, p. 260 e ss.; M. ANDREIS,
L’attività successiva alla sentenza di annullamento tra acquiescenza e principio di assorbimento, in
Dir. proc. amm., 2003, p. 1198 e ss.; A. CASSATELLA, Effetti dell’annullamento giurisdizionale e giudizio di ottemperanza, in Giorn. dir. amm., 2008, p. 528 e ss.; G. MONTEDORO, Il giudizio amministrativo fra annullamento e disapplicazione (ovvero dell’«insostenibile leggerezza» del processo impugnatorio), in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2008, p. 519 e ss.
107
V. in merito A. SQUAZZONI, Declinatoria di giurisdizione ed effetto conservativo del termine,
cit., in particolare p. 445. L’A. afferma che, viste le caratteristiche delle pronunce di annullamento
che includono effetti restitutori e conformativi oltre che demolitori, in sede ordinaria si potrebbero fare rientrare nell’ambito del meccanismo della riproposizione anche domande di adempimento, di consegna, o restitutorie «rimanendo nel perimetro della riproposizione con tutto ciò che ne
segue».