F. Ragusa, La risurrezione di Lazzaro. Riflessioni sulla morte

F. Ragusa, La risurrezione di Lazzaro. Riflessioni sulla morte
Fede & Cultura
La serafica santa Teresa d’Ávila esclamava: “Muoio perché non muoio” e santa Teresina
del Bambin Gesù, interrogata sulla sua rassegnazione a morire, rispose: «Io trovo che
non c’è bisogno di rassegnazione se non per vivere, per morire non provo che gioia».
Questo libro di don Fabio Ragusa è una riflessione sul mistero della morte, sulla fine
corporale umana, attivata da una profonda contemplazione del racconto evangelico della
Risurrezione di Lazzaro.
Permanendo come sfondo il testo biblico, questa meditazione sottopone al vaglio della
critica costruttiva il mistero che si aggira intorno allo scacco della morte, dando così la
soluzione a questo apparente e improvviso arresto della vita. Il Signore Gesù ha
sconfitto la morte. Essa è stata definitivamente abbattuta.
Dalla Presentazione di Mario Oliveri, vescovo di Albenga-Imperia:
Sono ben contento di presentare la meditazione, che Don Fabio ha fatto per sé e che
propone volentieri ad altri, sul racconto evangelico della risurrezione di Lazzaro. Non si
tratta di uno studio scientifico, che analizzi e spieghi il senso letterale del testo; il
procedere dei ragionamenti di Don Fabio non trascura tale senso dello scritto
evangelico, né lo ignora del tutto (come potrebbe, peraltro?), ma si concentra con
grande evidenza sul senso spirituale, che ogni gesto e parola descritti e riportati nel
racconto assumono per il nutrimento della fede e della vita spirituale, per la
comprensione del Mistero di Cristo e per l’ingresso della Grazia salvifica di tale Mistero
nella persona, nell’essere e nell’agire, del credente.
Il senso spirituale della Sacra Scrittura, oltre che illuminare sul Mistero di Cristo, indica
la via che l’uomo, il credente, deve percorrere per giungere alla vita, alla vita eterna;
indica dunque come deve essere l’agire dell’uomo, del credente; è un insegnamento
morale (ecco il “senso morale”, della Parola ispirata, senso che fa parte di quello
“spirituale”, di cui si è detto prima).
Il racconto evangelico della risurrezione di Lazzaro non ci dice soltanto che cosa è
davvero avvenuto per l’intervento divino di Cristo Signore, ma ci dice che Cristo è
davvero il Signore, che Egli è la Vita Eterna, che Egli è la Risurrezione e la Vita; ci dice
quale deve essere la fede in Lui e che senza la fede in Lui non è possibile diventare
partecipi della sua Vita, non è possibile giungere alla risurrezione ed alla vita eterna; ci
dice dunque anche quale deve essere il nostro rapporto con Lui, quale deve essere il
nostro agire se vogliamo essere suoi discepoli, stare con Lui, avere parte con Lui, avere
parte – nell’eternità – alla sua stessa Gloria.
Si addentri dunque volentieri il lettore credente nella meditazione dettata e scritta da don
Fabio; si addentri, con lo stesso spirito, nella meditazione di tutta la Sacra Scrittura.
Dall'Introduzione dell'autore:
La serafica santa Teresa d'Avila esclamava: “Muoio perché non muoio” e Santa Teresina
del Bambin Gesù, interrogata sulla sua rassegnazione a morire, rispose: “Io trovo che
non c'è bisogno di rassegnazione se non per vivere[…], per morire non provo che
gioia”. Dunque, questo il punto; “per morire non provo che gioia”. Il termine Vangelo
significa Buona Notizia, Lieta Novella.
Verrebbe subito da sottolineare se oggi il Vangelo sia effettivamente una notizia che
doni gioia. A dir il vero e osservando certi cristiani si direbbe proprio di no. Allora con
molta probabilità, il Vangelo non è stato ancora del tutto compreso a fondo dai più.
Questo piccolo lavoretto si presenta come un’Omelia un po’ ampliata. È frutto di
preghiera e meditazione personale che si vuol condividere, cosi semplicemente. Perciò
pur trovandosi manchevole di rigore scientifico e di tanto altro (occorre nondimeno che
il lettore ci metta del suo) lo si ritiene tuttavia utile sia per il sollievo dell’animo afflitto
dal peso della vita, sia per accogliere il Vangelo davvero come una notizia che rechi
letizia.
L’esegesi presente è di carattere allegorico (allos-altro, agoréuo-dire). Alla base
dell’introspezione allegorica tuttavia vi si trovano fatti storici e dunque concreti. Occorre
puntualizzare che l’interpretazione allegorica non esclude aprioristicamente la possibilità
di ricavare un senso dottrinale dai racconti evangelici. Non si tratta perciò qui solo di
attribuire un significato diverso da quello letterale immediato, ma l’intenzione è quella di
andar oltre un primo livello letterale delle cronache evangeliche, per approdare a un
possibile insegnamento, funzionale all’edificazione della fede.
È possibile infatti, (imbattendosi in alcuni oscuri temi trattati dalla Scrittura), correre il
rischio di interpretare (fraintendere) le parole e i gesti di Gesù alla maniera di Nicodemo;
il quale durante un segreto e notturno colloquio con il Cristo che gli affermava, “in
verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio”
(Gv 3,3), rispose: “Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare
una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?” (Gv 3,4).
Per evitare questi malintesi dunque porremo la nostra attenzione al senso mistico – pur
presente – delle Scritture Sacre (in fondo Gesù quando si esprimeva soprattutto in
parabole, non intendeva forse “dire altro” rispetto a ciò che riferiva?). L’autore sacro nel
capitolo undicesimo del quarto Vangelo desidera annunciarci che Dio nel mistero
dell’Incarnazione del Figlio, si è fatto prossimo all’uomo per liberarlo dalla morte. Non
da una morte biologica, ben inteso, ma più precisamente da una vita morta, vissuta nel
segno della morte.
Il Signore ci ha affrancati dall’aspetto drammatico, funesto della morte, da questo
scandalo quotidiano, da un’esistenza contrassegnata – inoltre – dal sub-dolo timore della
morte che ci fa vivere da schiavi rattristati. È venuto a riscattarci non dalla morte ma
nella morte, e in un crescendo di sapienza diremmo che Gesù è disceso non per liberarci
dalla morte ma per donarci la vita eterna già qui e ora.
Sconfiggendo l’asprezza della fine corporale Gesù ha reso possibile all’uomo
un’esperienza meravigliosa, stra-ordinaria su questa terra: morire vivi (non è scontato; la
morte potrebbe risultare infatti solo il compimento di una vita in apparenza viva, ma in
realtà già morta. Si pensi alla morte degli animali. Che cos’è? L’uomo deve morire da
uomo, da figlio di Dio, allora morirà davvero vivo, anzi “non morirà in eterno”), come
una farfalla – mi si conceda la metafora – che si affranca definitivamente dalle spoglie
ormai morte della sua larva; così muore il vero cristiano.
D’altra parte dobbiamo ricordarci a nostra grande consolazione ciò che ci trasmette san
Paolo mentre scrive la sua stupenda lettera agli Ebrei: “Non abbiamo quaggiù una città
stabile, ma andiamo in cerca di quella futura” (Eb 13,14). Il racconto che l’evangelista
Giovanni ci riporta è tra le narrazioni più sorprendenti dell’intera Sacra Scrittura. Esso
offre, infatti, la soluzione al più pressante e pernicioso dilemma della vita umana: la
morte!
Questa risoluzione poi risulta essere, finalmente, nel segno del definitivo, in quanto
portata con forza da Gesù, il Figlio di Dio. Questa definitività è realizzata appunto
perché a parlare e ad agire qui non è un filosofo, un genio o una mente umana colma di
cultura – uomini introspettivi e intelligenti, ma di certo pur sempre uomini – ma il
divino in persona. Pare, a ragione accorta, che la vita smentisca questa notizia
evangelica? E se fosse il Vangelo invece a smentire – meglio a svelare – la vita, ponendo
il giusto punto di vista per interpretarla correttamente? Ossia nella verità e secondo Dio?
Il Vangelo altro non è infatti che il punto di vista del Divino Creatore, sulla vita
dell’uomo in questa terra. Gesù porterà a compimento ciò che era già stato predetto da
Dio nelle Scritture antico testamentarie: ”Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio
asciugherà le lacrime su ogni volto” (Is 25,8). E così ancora san Paolo: “Ecco, io vi
annuncio un mistero; noi tutti non moriremo, ma tutti saremo trasformati” (1Cor
15,51a).
Dunque: “Per questo gioisce il mio cuore ed esulta la mia anima; anche il mio corpo
riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo
fedele veda la fossa. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra” (Sal 16,9-11).
Di tal genere il portato spirituale, preziosissimo del Vangelo. Di tal genere il portato
dell'undicesimo capitolo del Vangelo di Giovanni. Personalmente ritengo che questo sia
il solo frutto veramente degno dell’opera del Figlio di Dio. Per di meno Gesù non ci
sarebbe morto. O meglio è proprio per questo che vi è morto. Questo il presupposto,
l’avvertenza, che introduce al cuore del messaggio evangelico.