Città di Torino Servizio Centrale Consiglio Comunale Centro di Documentazione L’INIZIATIVA DEL CONSIGLIERE COMUNALE NELLA LEGISLAZIONE, IN DOTTRINA ED IN GIURISPRUDENZA Torino, lì 27 marzo 2009 Indice sommario I. Il diritto di concorrere alla convocazione del Consiglio II. Il diritto di presentare proposte di deliberazione III. Il diritto di presentare interrogazioni IV. Il diritto di presentare interpellanze V. Il diritto di presentare mozioni VI. Il diritto di iniziativa per fatto personale ed onorabilità VII. Il diritto di concorrere alla richiesta di sottoposizione al controllo delle deliberazioni di Giunta e di Consiglio: mancata attuazione VIII. Il diritto di ottenere le informazioni utili allo svolgimento del mandato e di prendere visione di documenti VIII. a. Il diritto di ottenere tutte le notizie ed informazioni utili allo svolgimento del mandato VIII. b. Il diritto di prendere visione dei documenti del Comune, nonché delle aziende e degli enti da esso dipendenti VIII. b. 1. La disciplina legislativa VIII. b. 2. Casi pratici VIII. c. Il diritto di prendere visione dei documenti di società, non dipendenti dal Comune, affidatarie di servizi pubblici locali IX. Il diritto di impugnazione dei provvedimenti adottati dal proprio ente IX. a. Principi generali IX. b. Casi pratici I. Il diritto di concorrere alla convocazione del Consiglio Costituisce un principio consolidato dell’ordinamento degli enti collegiali la facoltà di autoconvocazione straordinaria, che è affidata agli stessi componenti dell’assemblea, al fine di sollecitare il Presidente del collegio a convocare l’organo per la discussione di questioni di rilevante interesse, che il Presidente stesso non ha avuto l’avvertenza o l’opportunità di valutare nella loro significanza. È per questi motivi che la legge dispone un termine entro il quale il Consiglio deve essere convocato dal Presidente. Tale termine è fissato in venti giorni, entro i quali è da ritenere che debbano ricomprendersi le operazioni di convocazione e di riunione, in quanto la disposizione di cui all’art. 39, comma 2, del decreto legislativo n. 267 del 2000 e s.m.i., recante il Testo Unico dell’Ordinamento degli Enti Locali (TUEL), dispone che il Presidente, compreso il Sindaco che svolga tale ufficio, sia tenuto a riunire, e non semplicemente a convocare, il Consiglio. Il termine di convocazione in parola, che decorre dal giorno in cui la relativa istanza perviene alla segreteria comunale, non è considerato perentorio, ma l’inosservanza di esso può determinare il successivo intervento, previa diffida, del Prefetto, ai sensi dell’art. 39, comma 5, del TUEL1. L’istanza per la convocazione straordinaria del Consiglio è indirizzata al Presidente del collegio, con atto sottoscritto dal quinto dei Consiglieri. Tale quorum deve intendersi ragguagliato al numero dei componenti effettivamente in carica, in quanto il TUEL, quando ha invece inteso riferirsi ai Consiglieri assegnati ex lege all’organo consiliare, lo ha fatto espressamente. Inoltre, occorre stabilire se nel computo debba essere incluso il Sindaco, che è considerato Consigliere. Tale inclusione, tuttavia, è da evitarsi, in quanto danneggerebbe la minoranza, di cui il Sindaco non è espressione: sono infatti da preferirsi quelle soluzioni che risultino conformi al principio generale dell’ordinamento giuridico, volto alla tutela dell’opposizione, nella partecipazione attiva alla vita consiliare2. La richiesta di convocazione in esame deve poi contenere gli oggetti specifici, di cui si chiede la discussione e che costituiscono il contenuto del relativo ordine del giorno. Invero, il Presidente è tenuto a convocare e riunire il Consiglio nei prescritti termini, inserendo all’ordine del giorno le questioni richieste. È altresì possibile che non sia convocata un’adunanza ad hoc, ma si inseriscano le questioni, richieste dai Consiglieri istanti, all’ordine del giorno di una seduta già convocata. Molto dibattuto è il problema relativo alla sindacabilità o meno, da parte del Presidente del Consiglio, dei motivi che determinano i Consiglieri a chiederne la convocazione. Premesso che il Presidente non ha, in merito, alcun potere di valutare discrezionalmente la domanda di convocazione, deve tuttavia riconoscersi allo stesso la facoltà di giudicare sulla congruità delle ragioni addotte a sostegno dell’iniziativa dei Consiglieri e di respingerla, con adeguata motivazione, allorché essa sia diretta a scopi diversi da quello per il quale è formalmente proposta3. La dizione legislativa del già citato art. 39, comma 2, del TUEL, stabilendo l’obbligo del Presidente di riunire il Consiglio su iniziativa di convocazione dei Consiglieri, prevede espressamente che, all’ordine del giorno della seduta, siano inserite le ‘questioni’ richieste dagli istanti. L’ampio termine utilizzato dal legislatore farebbe dunque ritenere che, oggetto della convocazione, possano essere anche ‘questioni’ urgenti ed improrogabili, in quanto tali sostanziantisi in interpellanze, interrogazioni e mozioni4. 1 Cfr. Giovenco-Romano, L’ordinamento comunale, Milano, 1999, pag. 544. Cfr. Maggiora, Il Consigliere comunale, Milano, 2000, pag. 268. 3 Cfr. Sanviti, Note sulla sindacabilità della richiesta di convocazione del Consiglio comunale su domanda di un terzo dei consiglieri, in Riv. trim. dir. pubbl., 1969, pag. 303. Cfr. altresì TAR Piemonte, Sez. II, 24 aprile 1996, n. 266, secondo cui sarebbe precluso al Presidente del Consiglio, assistito dalla Conferenza dei Capigruppo, verificare la legalità della convocazione e l’ammissibilità delle questioni da dibattere, sempreché non si tratti di oggetto che, in quanto illecito, impossibile o per legge manifestamente estraneo alle competenze dell’assemblea, in nessun caso potrebbe essere posto all’ordine del giorno. 4 Per la trattazione di tali istituti, cfr. infra. 2 1 II. Il diritto di presentare proposte di deliberazione L’art. 43, comma 1, del TUEL prevede che i Consiglieri abbiano diritto di iniziativa su ogni questione sottoposta alla deliberazione del Consiglio, con ciò significando che spetta ad essi presentare proposte di deliberazione da sottoporre all’esame del collegio. La disposizione, tuttavia, non sembra delle più precise, in quanto fa sorgere non pochi dubbi ermeneutici, in particolare sulla dizione ‘questione sottoposta alla deliberazione’. L’espressione in parola, infatti, può essere interpretata, sia come possibilità per i Consiglieri di presentare proposte soltanto sulle deliberazioni già iscritte all’ordine del giorno, sia come diritto autonomo, di cui ogni Consigliere è dotato, indipendentemente dal fatto che l’oggetto sia iscritto all’ordine del giorno. Ora, la dottrina prevalente è nel senso di ritenere preferibile questa seconda interpretazione, in base alle seguenti considerazioni5: - Innanzi tutto, perché il principio di iniziativa degli eletti del popolo è connaturato alla democrazia rappresentativa e trova espressione e ragion d’essere nella possibilità di sottoporre la più ampia proposta di deliberazione all’assemblea. - In secondo luogo, perché lo stesso TUEL ha inteso promuovere la partecipazione del cittadino alla formazione degli atti dell’Amministrazione, come si ricava dal relativo art. 8, comma 3, che prescrive l’obbligo statutario, in capo al Comune, di prevedere procedure per la presentazione di ‘proposte’ da parte dei cittadini, singoli o associati, per cui sarebbe incongruo negare al Consigliere ciò che è consentito al cittadino. Si conclude quindi per ritenere l’espressione ‘sottoposta alla deliberazione del Consiglio’ come riferita al diritto del Consigliere di ottenere l’iscrizione all’ordine del giorno di proposte di deliberazione, su tutti gli argomenti sottoponibili alla deliberazione del Consiglio. Ciò premesso, occorre comunque precisare che il diritto in parola non è illimitato. L’iniziativa, infatti, non concerne tutti gli affari di competenza comunale, ma è circoscritta agli oggetti che rientrano nelle attribuzioni del Consiglio, ossia a quelli indicati nell’art. 42 del TUEL, nonché nelle leggi speciali che hanno sottoposto determinate questioni alla potestà deliberativa dell’organo. È necessario, inoltre, chiarire altri problemi interpretativi, come quello relativo all’obbligo o alla mera facoltà, per il Presidente del Consiglio, di iscrivere all’ordine del giorno le proposte dei Consiglieri e, quindi, se sia o meno possibile esercitare poteri sindacatori sulla legittimità di queste ultime. Ora, in ordine al primo quesito, deve ritenersi operante l’obbligo della iscrizione, altrimenti il diritto del Consigliere non troverebbe attuazione. In ordine al secondo quesito, va da sé, analogamente a quanto rilevato a proposito delle richieste di convocazione del Consiglio da parte del quinto dei Consiglieri, che competa al Presidente il potere di sindacare le proposte e rifiutare motivatamente quelle che contengano oggetti estranei alle materie consiliari o che siano redatte in forme sconvenienti 6. Il diritto del Consigliere di presentare proposte di deliberazione, da sottoporre all’esame del Consiglio, può anche non comportare l’obbligo, per l’organo collegiale, di discuterle. Tale materia resta comunque demandata all’autonomia organizzativa del Comune, che ne prevede la disciplina nel proprio statuto e nel proprio regolamento consiliare. Si segnala infine che la proposta di deliberazione, redatta dal Consigliere, deve possedere i requisiti propri delle ordinarie deliberazioni del Consiglio, di regola compilate dagli uffici comunali. 5 Cfr.: Maggiora, Il Consigliere comunale, op. cit., pagg. 327-328; Piterà, Ordinamento delle autonomie locali, Torino, 1990, commento sub art. 43 del TUEL. 6 Cfr.:Princivalle, Gli organi elettivi del Comune e della Provincia, vol. II, Firenze, 1985, pag. 117. 2 III. Il diritto di presentare interrogazioni Il già citato art. 43, comma 1, del TUEL dispone che i Consiglieri abbiano il diritto di presentare interrogazioni. Tale diritto è ulteriormente disciplinato dal successivo comma 3 del medesimo articolo, il quale prescrive che il Sindaco, o gli Assessori da esso delegati, rispondano, entro trenta giorni, alle interrogazioni e ad ogni istanza di sindacato ispettivo, che siano presentate dai Consiglieri7. Secondo alcuni autori, è possibile fornire una definizione unitaria del contenuto dell’interrogazione, proposta dal Consigliere8. In base a questa dottrina, infatti, l’interrogazione consisterebbe nella specifica domanda, rivolta al Sindaco o alla Giunta, per sapere: se una determinata circostanza sia vera; se alcuna informazione sia pervenuta al Sindaco o alla Giunta e se tale informazione sia esatta; se il Sindaco o la Giunta intendano prendere alcuna risoluzione su oggetti determinati. Ai sensi dell’art. 43, comma 3, ultimo periodo, del TUEL, le modalità di presentazione delle interrogazioni e delle relative risposte, sono disciplinate dallo statuto e dal regolamento consiliare. Tale disciplina si applica ad ogni altra istanza di sindacato ispettivo, presentata dai Consiglieri. Il termine di trenta giorni, entro il quale deve essere fornita risposta (scritta od orale) all’interrogazione, deve essere inteso come ordinatorio, in quanto il suo mancato rispetto non è direttamente sanzionato; si tratta di un obbligo dell’esecutivo di fornire tutte le notizie utili alla conoscenza dei fatti, su cui si chiedono chiarimenti. Secondo certa dottrina9, non è da escludere, anzi la questione può essere disciplinata dal regolamento consiliare, che le interrogazioni, al pari delle interpellanze e delle mozioni, siano formulate in corso di seduta, come conseguenza della discussione di un determinato affare, salva la decisione, da parte della maggioranza del Consiglio, che le medesime formino oggetto di particolare dibattito in altra seduta, previa regolare iscrizione all’ordine del giorno. Nel regolamento del Consiglio, può essere altresì previsto che i proponenti chiedano che l’interrogazione sia trasformata in interpellanza, e sia quindi soggetta alla disciplina propria di tale istanza. Inoltre, il regolamento consiliare può prevedere che le interrogazioni siano rivolte ai responsabili dei servizi, i quali sono tenuti a fornire la risposta nei termini e con le modalità stabilite dalla normativa secondaria, appositamente dettata in merito. Può anche prevedersi che alle interrogazioni sia data risposta in sede di commissioni consiliari permanenti, qualora esse siano istituite nei Comuni. Generalmente, se all’interrogazione è data risposta in seduta consiliare, essa è letta al Consiglio e, se l’interrogante non è presente, può essere previsto, in via regolamentare, che l’istanza in parola debba intendersi ritirata oppure rinviata ad altra seduta, anche su preventiva richiesta del presentatore, che sia assente dall’adunanza per legittimi motivi. Dopo la risposta del Sindaco o dell’Assessore all’uopo delegato, il presentatore può replicare per dichiarare di ritenersi o meno soddisfatto e per quali ragioni. Nel caso in cui l’interrogazione sia presentata da più Consiglieri, si può stabilire che alla replica proceda il primo firmatario o, in sua assenza o rinuncia, uno degli altri sottoscrittori. 7 Oltre alle interrogazioni, rientrano nel concetto di ‘istanza di sindacato ispettivo’, anche le interpellanze e le mozioni, che saranno oggetto di esame nei successivi paragrafi. 8 Cfr.: Maggiora, Il Consigliere comunale, op. cit., pag. 330; Giovenco-Romano, L’ordinamento comunale, op. cit., pag. 550. 9 Cfr. Princivalle, Gli Organi elettivi del Comune e della Provincia, op. cit., pag. 133. 3 IV. Il diritto di presentare interpellanze L’art. 43 del TUEL non contempla espressamente l’istituto dell’interpellanza, largamente in uso nelle assemblee elettive e tradizionalmente disciplinato dai regolamenti sulle adunanze dei Consigli Comunali. Esso può farsi rientrare nell’ampio diritto di presentare ‘ogni altra istanza di sindacato ispettivo’, che il citato art. 43 del TUEL conferisce a ciascun Consigliere. Per cui, in assenza di una specifica normativa del regolamento consiliare in tema di interpellanza, potrebbe sostenersi che trovi applicazione la disciplina regolamentare prevista per le interrogazioni, avuto riguardo, in particolare, al termine entro cui debba essere fornita risposta all’istanza10. Secondo alcuni autori11, come per l’interrogazione, è del pari possibile fornire una definizione unitaria del contenuto dell’interpellanza, proposta dal Consigliere. In base a questa dottrina, infatti, l’interpellanza consisterebbe in specifiche domande, rivolte al Sindaco o alla Giunta: circa i motivi e gli intendimenti della loro azione su una determinata questione, ovvero circa quali provvedimenti intendano essi assumere in ordine a talune situazioni di particolare rilevanza. In base alla normativa comunale, la dottrina riscontra che le interpellanze sono indirizzate al Presidente del Consiglio, redatte per iscritto, firmate dai presentatori ed inviate al Sindaco, per essere poi oggetto di trattazione e risposta, in adunanza del Consiglio o dell’apposita Commissione consiliare permanente12. La stessa dottrina osserva che, in linea generale, a differenza delle interrogazioni, per le quali vige usualmente la regola della risposta scritta, alle interpellanze è data risposta verbale13. L’orientamento dottrinario in parola14 osserva inoltre che le interpellanze possono essere presentate anche oralmente, durante la seduta del Consiglio, ma, in tal caso, la loro discussione è differita alla successiva adunanza, a meno che il Sindaco o gli Assessori competenti non siano già in grado di fornire ogni delucidazione in merito. Infine, in attuazione di un confronto democratico, si consente di norma all’interpellante (o ad uno dei sottoscrittori, quando ve ne sia più di uno) di illustrare l’istanza nel tempo previsto dal regolamento consiliare e di replicare, dopo la risposta da parte del Sindaco o dell’Assessore competente, per dichiarare di ritenersi o meno soddisfatto. V. Il diritto di presentare mozioni Il più volte citato art. 43, comma 1, del TUEL, conferisce al Consigliere il diritto di presentare ‘mozioni’. Esse sono intese dalla dottrina prevalente come inviti rivolti al Sindaco o alla Giunta e diretti a promuovere un’ampia discussione su un argomento di particolare importanza, anche se ha già formato oggetto di interrogazione o di interpellanza15. Ai sensi di quanto previsto dalle singole normative comunali, si osserva che gli inviti in parola possono anche essere diretti a provocare l’attività deliberativa della Giunta o del Consiglio, o, ancora, a dettare i criteri direttivi per l’attività amministrativa dell’ente locale. La mozione, dunque, pare avere carattere e natura di un atto di sindacato politico sull’operato dell’esecutivo e tende ad incidere, mediante le indicazioni in essa contenute, sul merito del programma amministrativo espresso dal Sindaco e dalla Giunta16. Tale atto assume poi 10 Cfr. Maggiora, Il Consigliere comunale, op. cit., pag. 332. Cfr.: Maggiora, Il Consigliere comunale, op. cit., pag. 332; Giovenco-Romano, L’ordinamento comunale, op. cit., pag. 552. 12 Cfr. Maggiora, Il Consigliere comunale, op. cit., pagg. 332-333. 13 Cfr. Maggiora, Il Consigliere comunale, op. cit., pag. 333. 14 Cfr. nota precedente. 15 Cfr., e.g., Landi-Potenza-Italia, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 1999, pag. 706. 16 Approfondendo questo rilievo circa la natura della mozione, puramente tesa ad influire sull’indirizzo politicoamministrativo di Sindaco e Giunta, senza l’autoritarietà di imporre unilateralmente modificazioni nella sfera giuridica dei destinatari, una certa giurisprudenza si è spinta a ritenere che l’atto in parola non abbia la forza giuridica propria di un provvedimento amministrativo, nemmeno quando si traduca in una votazione (cfr. TAR Abruzzo, Pescara: 20 febbraio 1991, n. 166; 11 novembre 1994, n. 570). 11 4 particolare rilevanza, qualora sia finalizzato a far decadere il Sindaco e la Giunta, cioè quando sia presentata una mozione di sfiducia, istituto che, per la gravità degli effetti prodotti, è singolarmente disciplinato dalla normativa di cui all’art. 52 del TUEL. Analizzando i regolamenti consiliari dei principali Comuni, la dottrina17 osserva che, salvo il caso in cui siano avanzate oralmente nel corso della seduta del Consiglio, le mozioni sono presentate per iscritto e firmate dai Consiglieri che le propongono. Sono indirizzate al Presidente del Consiglio ed iscritte all’ordine del giorno, per essere discusse e messe in votazione, con le modalità e nei termini previsti dal regolamento. Infine, nelle normative comunali, sono anche denominate con il termine ‘mozioni’ quelle iniziative dei Consiglieri, con cui si chiede al Presidente di richiamare l’osservanza del regolamento che disciplina lo svolgimento delle sedute consiliari. Si tratta, in questo caso, delle cosiddette mozioni d’ordine, che possono essere presentate per ogni oggetto in discussione. VI. Il diritto di iniziativa per fatto personale ed onorabilità Alla luce di quanto previsto nei principali regolamenti consiliari, la dottrina18 definisce ‘fatto personale’ l’essere censurato nella propria condotta o il sentirsi attribuire fatti non veri od opinioni contrarie a quelle espresse. In tal caso, il Consigliere presente all’adunanza può chiedere la parola, in qualunque momento della discussione, la quale è temporaneamente sospesa dal Presidente. Questi, uditi i motivi della richiesta, decide sulla sussistenza o meno del fatto personale. La normativa secondaria, inoltre, può prevedere che, qualora il Consigliere non si ritenga soddisfatto, abbia facoltà di chiedere che della questione sia investito il Consiglio, il quale deve deliberare in merito. Secondo la dottrina19, quando, nel corso di una discussione, il Consigliere sia accusato di fatti che ledano la sua onorabilità, egli può chiedere al Presidente del Consiglio di nominare, sentiti eventualmente i Capigruppo, una Commissione d’inchiesta, la quale indaghi e giudichi il fondamento dell’accusa. La Commissione, nel termine prefissato o, qualora si renda necessario un supplemento di indagine, in quello prorogato, presenta al Presidente le sue conclusioni, che, data la delicatezza della questione, sono comunicate al Consiglio nella seduta immediatamente successiva alla presentazione delle stesse. VII. Il diritto di concorrere alla richiesta di sottoposizione a controllo delle deliberazioni di Giunta e Consiglio: mancata attuazione L’art. 127, comma 1, del TUEL prevede formalmente la sottoponibilità a controllo di alcune deliberazioni della Giunta e del Consiglio. E ciò quando vi sia la richiesta di un quarto dei Consiglieri, nei Comuni con più di 15.000 abitanti, ovvero di un quinto dei Consiglieri, nei Comuni con popolazione sino a 15.000 abitanti, entro dieci giorni dall’affissione all’albo pretorio dell’atto da controllare. Qui si tratterebbe di un controllo eventuale, esercitabile facoltativamente, grazie al quale si tenderebbe a realizzare un mezzo giuridico per dare alle minoranze consiliari maggior valore ai loro interventi, soprattutto in ordine alla legittimità delle deliberazioni adottate dalle Giunte. La richiesta di controllo è astrattamente limitata alle ipotesi in cui, nei confronti di deliberazioni aventi ad oggetto una delle materie elencate nel comma 1 del citato articolo, si ritenga di riscontrare una violazione di legge, da intendersi in senso di infrazione ad una disposizione normativa, sia essa legislativa, statutaria o regolamentare. Lo stesso art. 127, comma 1, del TUEL prevede poi che la richiesta di controllo, scritta e motivata, rechi ‘l’indicazione delle norme violate’ e che l’operato dell’organo di controllo si eserciti ‘nei limiti delle illegittimità denunciate’. Infine, si 17 Cfr. Marsilio, in AA.VV., Nuovo ordinamento degli enti locali e status degli amministratori, Rimini, 1999, pag. 216. Cfr. Marsilio, in AA.VV., Nuovo ordinamento degli enti locali e status degli amministratori, op. cit., pag. 217. 19 Cfr. Maggiora, Il Consigliere comunale, op. cit., pag. 335. 18 5 dispone che il controllo sia esercitato dal Comitato Regionale ad esso preposto (CO.RE.CO.) oppure, ove esistente, al Difensore Civico. Tuttavia, la disciplina riportata si considera oggi implicitamente abrogata, a seguito dell’avvenuta abrogazione espressa, a monte, dell’art. 13020 della Costituzione, originariamente dedicato ai controlli della Regione sugli atti degli enti locali . Pertanto, gli atti dei Comuni non sono più sottoposti ad alcun controllo di legittimità da parte di soggetti esterni, essendosi così portato a compimento un processo, iniziato negli anni novanta e teso via via a limitare i controlli esterni sugli atti degli enti locali. Ora, l’abolizione del controllo preventivo di legittimità, in precedenza operato dai CO.RE.CO., è stata anche giustificata con il fatto che, nella prassi, spesso, tale tipo di controllo sconfinava in un’indagine di merito. Va però del pari sottolineato come i Consiglieri comunali, abolito il predetto controllo, siano stati per l’effetto privati della facoltà di sottoporre, al vaglio di un’autorità esterna ed indipendente, i provvedimenti deliberativi assunti dalla Giunta o anche dal Consiglio stesso, ma con il loro dissenso. Per trovare una soluzione al problema, e cercare di tutelare le prerogative di vigilanza dei Consiglieri, la dottrina21 ha proposto la possibilità che il Comune, nell’ambito della propria autonomia normativa ed organizzativa, prevedesse un sistema di controllo interno di legittimità sugli atti dei propri organi. Sarebbe in tal caso possibile che lo statuto dell’ente locale demandasse l’attuazione del controllo in parola ad un organo interno di garanzia, eletto dal Consiglio Comunale e a questo rispondente. Il modello di riferimento potrebbe agevolmente rinvenirsi in alcuni ordinamenti regionali22, che all’uopo già prevedono l’istituzione delle Consulte statutarie, organi di controllo interno sugli atti, in grado di agire, sia di propria iniziativa, sia su impulso di un determinato quorum di Consiglieri. VIII. Il diritto di ottenere le informazioni utili allo svolgimento del mandato e di prendere visione di documenti VIII. a. Il diritto di ottenere tutte le notizie ed informazioni utili allo svolgimento del mandato L’art. 24 della legge n. 816 del 1985 sanciva il diritto per i Consiglieri di avere dal Comune tutte le informazioni necessarie all’esercizio del mandato, quali documenti, dati conoscitivi, pareri, ecc.; ossia tutto quanto potesse essere utile al Consigliere per consentirgli di acquisire piena conoscenza di un dato provvedimento, dei suoi precedenti e dello stato di maturazione di una determinata iniziativa del Comune. Con maggiore precisione, l’attuale art. 43, comma 2, del TUEL, estende il diritto di ottenere le notizie e le informazioni, non solo dagli uffici del Comune, ma altresì dalle aziende e dagli enti da esso dipendenti, precisando che i Consiglieri sono tenuti al segreto d’ufficio, nei casi specificamente determinati dalla legge. Si tratta di un diritto il cui esercizio può dare luogo ad eccessi, sia da parte dei Consiglieri, qualora le loro richieste siano in numero tale da paralizzare gli uffici, sia da parte degli uffici stessi, che potrebbero rifiutare o procrastinare sine die, con motivazioni pretestuose, il rilascio delle informazioni. Per evitare che il diniego di informazione sia motivato con l’esigenza di rispettare il segreto d’ufficio, si dispone che i Consiglieri siano parimenti tenuti essi stessi al segreto d’ufficio; con ciò, nessuna notizia deve ritenersi ad essi preclusa. Occorre tuttavia che la materia sia oggetto di apposita regolamentazione da parte del Comune, così da definire le modalità per la formulazione delle richieste di notizie ed informazioni e per il rilascio delle stesse. 20 Cfr. Bayma, Consiglieri Comunali e Provinciali, Bologna, 2000, pag. 51. L’abrogazione espressa dell’art. 130 della Costituzione ha avuto luogo nell’ambito della riforma del Titolo V, Parte II, della Carta Fondamentale. La riforma in parola è stata ratificata con referendum, svoltosi il 18 ottobre 2001, ai sensi dell’art. 138, comma 2, della Costituzione, ed è stata introdotta nell’ordinamento con legge costituzionale n. 3 del 2001. 21 Cfr. Bayma, Consiglieri Comunali e Provinciali, op. cit., pagg. 54-55. 22 Cfr., sul punto, gli statuti delle Regioni: Calabria, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana ed Umbria. 6 Il diritto di informazione è stato tenuto distinto dal diritto, ad esso peraltro connesso, di prendere visione dei provvedimenti e degli atti preparatori, in quanto la richiesta informativa comporta spesso un lavoro di indagine e selezione, da parte dell’ufficio destinatario della richiesta. L’espletamento del diritto di prendere visione, invece, si concreta nel porre a disposizione del Consigliere gli atti di ufficio o nel rilasciargli copia conforme dell’atto di cui egli chiede l’esibizione23. Anche per l’esercizio del diritto di avere notizie ed informazioni dagli uffici comunali e dalle aziende ed enti dipendenti dal Comune, si pone il problema della necessità o meno di un atto autorizzativo per poter ottenere quanto richiesto. È da ritenere che, anche in considerazione del processo di semplificazione dell’attività amministrativa, il diritto di avere notizie ed informazioni sia soggetto alla disciplina dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990 e s.m.i., per cui è sufficiente che il Consigliere rivolga al titolare dell’ufficio la richiesta. Essa si intende accolta qualora, nel termine previsto dal regolamento consiliare, non se ne comunichi motivatamente il rigetto, da adottarsi dal Sindaco o dal competente Assessore, e non da parte del responsabile dell’ufficio, in quanto si tratta di un provvedimento che coinvolge il diritto pubblico del Consigliere nell’espletamento del mandato amministrativo24. VIII. b. Il diritto di prendere visione dei documenti del Comune, nonché delle aziende e degli enti da esso dipendenti VIII. b. 1. La disciplina legislativa Il citato art. 43, comma 2, del TUEL, si limita a richiamare il diritto dei Consiglieri di ottenere dal Comune, nonché dalle aziende e dagli enti da esso dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del mandato. Tale formula è da ritenersi comprensiva anche del diritto di prendere visione di atti e documenti25. Il Consiglio Comunale dovrà altresì adottare apposito regolamento, che disciplini le modalità del diritto dei Consiglieri di prendere visione dei provvedimenti del Comune, delle aziende e degli enti da esso dipendenti, nonché di avere copia degli atti stessi, al pari dei cittadini26. Dopo molte incertezze interpretative, ha trovato soluzione la questione relativa al pagamento dei costi sostenuti dall’ente, per il rilascio delle copie degli atti e dei documenti richiesti dai Consiglieri, con il riconoscimento della piena gratuità, sia per quanto riguarda i costi di riproduzione, sia per quanto concerne i diritti di visura e ricerca. Ciò in quanto l’esercizio del diritto di accesso attiene alla funzione pubblica, di cui è portatore il Consigliere Comunale stesso, e non al soddisfacimento di un suo interesse individuale privato27. Né parrebbe doversi far luogo alla corresponsione dei diritti di segreteria, poiché l’allegato D alla legge n. 604 del 1962 esclude la riscossione dei diritti in parola ‘in tutti quei casi ove le leggi e i regolamenti dispongano che il rilascio del documento debba essere eseguito senza spesa’, come nel caso de quo. VIII. b. 2. Casi pratici Si è affermata una giurisprudenza ormai consolidata, che ha riconosciuto al Consigliere ampia facoltà di accesso agli atti ed ai documenti del Comune, nonché degli enti da esso dipendenti. Tra questi ultimi, in particolare, si annoverano le società erogatrici di servizi pubblici locali (trasporto, raccolta e smaltimento di rifiuti, fornitura di acqua, ecc.), nelle quali l’Amministrazione Comunale ha una partecipazione assoluta o di maggioranza. Orbene, i Consiglieri, nell’esercizio del 23 Cfr. infra, paragrafo successivo. Cfr. Maggiora, Il Consigliere comunale, op. cit., pag. 336. 25 Cfr. Maggiora, Il Consigliere comunale, op. cit., pag. 337. 26 La materia de qua potrebbe anche essere disciplinata nel regolamento del Consiglio Comunale. 27 Cfr.: Cons. di Stato, Sez. V, 8 settembre 1994, n. 976; TAR Toscana, Sez. I, 2 luglio 1996, n. 603. 24 7 diritto d’accesso in parola, non devono rivolgere richieste indeterminate, ma hanno l’obbligo di consentire una sia pur minima identificazione dei supporti documentali, che intendono consultare e che sono connessi all’espletamento del loro ruolo di rappresentanti dell’elettorato28. Sul diritto di accesso del Consigliere alla documentazione amministrativa, nella forma del rilascio di copie, è stato deciso che non costituisce ostacolo a tale rilascio la mancata emanazione dei regolamenti comunali attuativi in materia, atteso che il Consigliere è tenuto al segreto su notizie riservate, sotto la propria personale responsabilità29. Sempre in tema di rilascio di copie, è stato ritenuto illegittimo il provvedimento del Sindaco, che dispone il divieto per i Consiglieri di estrarre copie degli atti e dei documenti di loro interesse, violando così, in particolar modo, le norme regolamentari comunali, che riconoscono espressamente ai Consiglieri la facoltà di ottenere copia degli atti, con esenzione dal pagamento dei correlati diritti30. Circa l’estensione del diritto di accesso ai documenti del Comune e degli enti da esso dipendenti, si è affermata un’interpretazione giurisprudenziale evolutiva, che ritiene tale diritto non limitato alle sole materie di competenza del Consiglio. Infatti, le norme vigenti in materia, facendo riferimento all’espletamento del mandato, non hanno specifico riguardo alle competenze amministrative del Consiglio, nel senso cioè che le informazioni acquisibili debbano riguardare solo le materie attribuite a detto organo. Le norme in parola hanno piuttosto considerato l’esercizio in senso ampio del munus, di cui ciascun Consigliere è individualmente investito, in quanto membro del Consiglio. Ebbene, questo munus comprende senza dubbio la possibilità, per ciascun Consigliere, di compiere un’attenta valutazione in ordine alla correttezza ed all’efficacia dell’operato dell’Amministrazione Comunale, attraverso la visione di provvedimenti e l’acquisizione di informazioni, senza limiti di materie31. Infine, nell’ottica di precisare i requisiti del diritto di accesso dei Consiglieri ai documenti del Comune e degli enti da esso dipendenti, deve segnalarsi una recente pronuncia giurisprudenziale del TAR Calabria32. La decisione sostiene la legittimità del diniego espresso da un Comune, in merito ad un’istanza di accesso agli atti, avanzata da alcuni Consiglieri, nel caso in cui detta istanza, da un lato, sia finalizzata ad ottenere copia di un elevato ed indiscriminato numero di atti amministrativi, e, dall’altro, non rechi la dimostrazione, in alcun modo, di quale sia l’interesse diretto, concreto ed attuale ad ottenere i documenti, nell’ambito dell’esercizio del mandato politico dei Consiglieri medesimi. Nella fattispecie de qua, infatti, l’istanza ostensiva doveva ritenersi verosimilmente ed inammissibilmente rivolta ad effettuare un controllo generalizzato sull’attività di tutti i settori del Comune, ed, in quanto priva di idonea e circostanziata motivazione, non poteva di per sé considerarsi correlata allo svolgimento del mandato politico del Consigliere. In particolare, il TAR Calabria ha osservato che la circostanza per cui il TUEL abbia riconosciuto la particolare forma di accesso del Consigliere agli atti del Comune e degli enti da esso dipendenti, per l’esercizio del mandato del quale l’amministratore locale è attributario, non possa portare allo stravolgimento dei principi generali in materia di accesso ai documenti. Tale circostanza, quindi, non può comportare che, attraverso uno strumento, quale l’accesso agli atti, dettato dal legislatore per il corretto svolgimento dei rapporti tra cittadino e Pubblica Amministrazione, il primo, servendosi del baluardo del mandato politico, ponga in essere strategie ostruzionistiche o di paralisi dell’attività amministrativa. Situazione, quest’ultima, che si verifica appunto allorché il Consigliere faccia proprie istanze d’accesso che, a causa della loro continuità e numerosità, determinino un aggravio notevole del lavoro negli uffici cui sono rivolte e comportino 28 Cfr. TAR Veneto, 30 marzo 1995, n. 489. Cfr.: in dottrina, Bayma, Consiglieri Comunali e Provinciali, op. cit., Capitolo 3, passim; in giurisprudenza, TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 18 settembre 1992, n. 536. 30 Disposizione, quest’ultima, confermata in giurisprudenza: cfr. TAR Campania, Salerno, 15 marzo 1996, n. 186. 31 Si consideri infatti che detta facoltà è utile, non solo per poter esprimere un voto maggiormente consapevole sugli affari di competenza del Consiglio, ma anche per promuovere, nell’ambito di quest’ultimo, le varie iniziative che l’ordinamento consente ai singoli membri del collegio (cfr., in giurisprudenza: Cons. di Stato, Sez. V, 21 febbraio 1994, n. 119; TAR Liguria, 28 giugno 1994, n. 289). 32 Cfr. TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 27 novembre 2008, n. 1535. 29 8 un sindacato generale sull’attività dell’Amministrazione, ormai vietato dall’art. 24, comma 3, della legge n. 241 del 1990 e s.m.i.33. Inoltre, la particolare disposizione del TUEL, in tema di accesso del Consigliere agli atti del Comune e degli enti da esso dipendenti, deve coordinarsi con l’art. 22 della legge n. 241 del 1990 e s.m.i., cosicché anche l’amministratore locale deve essere portatore di un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento per il quale richiede l’accesso. Nel caso concreto, al contrario, i Consiglieri ricorrenti non avevano dimostrato in alcun modo quale fosse l’interesse diretto, concreto ed attuale, ad ottenere i documenti richiesti. Per giunta, secondo il TAR Calabria, le numerose istanze, che tendevano ad ottenere la documentazione di tutti i settori dell’Amministrazione, nella specie apparivano più rivolte a compiere un sindacato generalizzato sull’attività degli organi decidenti, deliberanti ed amministrativi dell’ente, piuttosto che ad esplicare il corretto esercizio del mandato politico consiliare. Quest’ultimo, infatti, per potersi addurre quale reale giustificazione di un’istanza d’accesso da parte del Consigliere, deve finalizzarsi ad un organico progetto conoscitivo, in relazione a singole problematiche che, di volta in volta, l’elettorato porti all’attenzione dell’amministratore. VIII. c. Il diritto di prendere visione dei documenti di società, non dipendenti dal Comune, affidatarie di servizi pubblici locali Per quanto riguarda le società affidatarie di servizi pubblici locali, nelle quali il Comune abbia una partecipazione di minoranza, ovvero non ne possieda alcuna, è evidente come non si possa, ovviamente, parlare di dipendenza, ai fini dell’accesso di cui al citato art. 43, comma 2, del TUEL. Prima facie, sembrerebbe quindi che i Consiglieri non possano rivendicare l’accesso ad alcuna notizia od informazione, detenuta dalle società medesime. Tuttavia, una più attenta analisi, porta innanzi tutto a considerare come la giurisprudenza abbia espressamente riconosciuto che la particolare forma di accesso del Consigliere, disciplinata dall’art. 43, comma 2, TUEL, non fa comunque venir meno i principi generali in materia di accesso ai documenti, di cui alla legge 34 n. 241 del 1990 e s.m.i. . In particolare, l’art. 23 di tale legge prevede che il diritto di accesso possa essere esercitato, oltre che nei confronti delle pubbliche amministrazioni, delle aziende autonome e speciali e degli enti pubblici, anche verso i gestori dei pubblici servizi. E questi ultimi, essendo esplicitamente individuati ex lege quale fattispecie aggiuntiva alle altre poc’anzi elencate, non possono non comprendere anche i soggetti privati: scelta normativamente 35 condivisibile, alla luce della concezione oggettiva di servizio pubblico attualmente prevalente in dottrina . Infatti, ciò che rileva, al fine di considerare la natura pubblicistica di un servizio, è se esso risulti essere rispondente al perseguimento di pubblici interessi, e cioè destinato a soddisfare l’esigenza di benessere e sviluppo della società, a prescindere dal fatto che sia un ente pubblico o privato l’incaricato al suo esercizio. Ne consegue allora che, nei confronti dei gestori privati di un servizio pubblico, i cittadini possano esercitare i propri diritti alla tutela degli interessi, ad essi spettanti come collettività istituzionalmente amministrata, con le stesse modalità ed i medesimi presupposti che sono necessari per rapportarsi alle pubbliche amministrazioni. Tali considerazioni sono state confermate dalla giurisprudenza, che ha definitivamente ribadito l’accessibilità dei documenti amministrativi, in possesso dei gestori di servizi pubblici e relativi al loro incarico gestorio, da parte di soggetti 36portatori di un interesse rilevante e dunque qualificato all’accesso, ai sensi della legge n. 241 del 1990 e s.m.i. . Preso atto di ciò, e considerato che i Consiglieri godono di un diritto di accesso rafforzato rispetto ai cittadini, in quanto il loro interesse giuridico risiede innanzi tutto nell’espletamento del proprio mandato, pare 33 Il citato disposto normativo recita testualmente: ‘Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni’. 34 Cfr. supra, paragrafo precedente. 35 Cfr. Bayma, Consiglieri Comunali e Provinciali, op. cit., pag. 21. 36 Cfr. Cons. di Stato, Sez. riunite, 5 settembre 2005, n. 5. 9 arduo poter sostenere che, ciò che è consentito ad un qualsiasi soggetto portatore di un interesse privato, sarebbe negato ad un pubblico amministratore. In ogni caso, per fugare eventuali ipotesi di contenzioso, potrebbe essere opportuno prevedere norme precise nel contratto di servizio, che il Comune stipula con la società privata, affidataria della gestione del servizio pubblico locale. Come noto, infatti, gli artt. 112-123 del TUEL prevedono il contratto di servizio come lo strumento unico, con il quale si regolano i rapporti tra ente locale e gestore del servizio. In effetti, l’art. 113, comma 11, del TUEL recita: “I rapporti degli enti locali con le società di erogazione del servizio e con le società di gestione delle reti e degli impianti sono regolati da contratti di servizio allegati ai capitolati di gara, che dovranno prevedere i livelli dei servizi da garantire e adeguati strumenti di verifica del rispetto dei livelli previsti”. Ben si potrà, quindi, inserire, nel contratto di servizio, clausole specifiche a tutela del diritto di accesso dei Consiglieri. E tale diritto dovrà naturalmente riferirsi a quelle notizie ed informazioni, correlate alla gestione del servizio pubblico locale, affidato alla 37 società in questione dal Comune cui il Consigliere richiedente appartiene . IX. Il diritto di impugnazione dei provvedimenti adottati dal proprio ente IX. a. Principi generali Sulla dibattuta questione relativa all’impugnabilità, da parte del Consigliere, dei provvedimenti adottati dal proprio Comune, la giurisprudenza è pervenuta ad alcune conclusioni, che costituiscono, ormai, orientamento consolidato. Di regola si afferma l’inammissibilità, per difetto di legittimazione attiva, del ricorso proposto da membri di un organo collegiale deliberante, contro un provvedimento dell’ente o del singolo collegio di cui essi fanno parte, nel caso i ricorrenti non siano portatori di una situazione soggettiva, avente carattere specifico, che si aggiunga alla qualità di componente il collegio stesso. E cioè nel caso in cui essi non deducano la lesione della potestà della quale, in seno al collegio, sono titolari, né alleghino la violazione di norme procedimentali, per cui non siano stati posti in condizione di svolgere regolarmente il proprio ufficio di membri dell’organo, in occasione dell’adozione del provvedimento impugnato38. Di conseguenza, il Consigliere è legittimato ad impugnare le deliberazioni comunali e consiliari, qualora lamenti una lesione dei poteri e diritti che gli competono quale componente dell’organo collegiale cui appartiene, come la facoltà di promuovere la convocazione del Consiglio o di prendere parte alla votazione39. Se ne ricava che il Consigliere ha la legittimazione ad impugnare la deliberazione, allorquando alleghi vizi che attengano al procedimento, di talché egli non sia posto in condizione di poter svolgere regolarmente l’ufficio di cui è investito40. Fuori dai casi in cui il Consigliere abbia subito una lesione diretta delle potestà, dei diritti e delle facoltà di cui è dotato, egli non ha un interesse personale ad impugnare la deliberazione consiliare, nella cui votazione sia semplicemente rimasto in minoranza. Nel qual caso, in assenza del predetto interesse ad impugnare, il Consigliere potrà piuttosto far rilevare l’eventuale illegittimità della deliberazione in seno al Consiglio. Ai fini della legittimità dell’impugnazione, 37 Cfr. Bayma, Consiglieri Comunali e Provinciali, op. cit., pag. 22. Cfr., ex multis: TAR Campania, Napoli, Sez. II, 17 novembre 1987, n. 474; TAR Lazio, Sez. II, 17 settembre 1990, n. 1650. 39 Cfr. Amorth, Impugnativa di deliberazioni collegiali da parte dei componenti del collegio, in Riv. amm., 1960, pag. 533. 40 Cfr., in giurisprudenza: TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 30 maggio 1986, n. 149; TAR Campania, Napoli, Sez. II, 22 settembre 1986; TAR Piemonte, Sez. I, 8 gennaio 1985, n. 1; TRGA Trentino-Alto Adige, 31 maggio 1988, n. 211; Cons. di Stato, Sez. V, 27 settembre 1990, n. 696; TAR Emilia-Romagna, Bologna, Sez. II, 21 giugno 1990, n. 277; TAR Lombardia, Brescia, 20 giugno 1996, n. 705; TRGA Trentino-Alto Adige, 23 luglio 1993, n. 262; TAR Abruzzo, L’Aquila, 9 gennaio 1992, n. 1, che ha tuttavia precisato i casi d’impugnabilità, escludendo quest’ultima nell’ipotesi in cui si contesti la mera violazione di norme attinenti al procedimento, fra cui quelle che stabiliscono l’acquisizione di pareri obbligatori, preventivamente rispetto all’emanazione del provvedimento finale; TAR Lazio, 28 settembre 1993, n. 1371, il quale puntualizza che i Consiglieri sono abilitati esclusivamente ad impugnare le deliberazioni che alterino l’autonomia e la funzionalità del collegio o che incidano sulla regolarità dei lavori. 38 10 inoltre, non è rilevante che il Consigliere abbia votato a favore di un determinato provvedimento, dovendosi piuttosto ritenere legittimante il fatto che egli riceva da quest’ultimo una lesione personale e diretta. E ciò vale, sia nel caso in cui il Consigliere agisca in qualità di membro di un organo operante nell’interesse pubblico, sia nel caso in cui esperisca il mezzo di gravame in qualità di privato, che intende tutelare l’interesse proprio41. IX. b. Casi pratici Venendo ad un’elencazione esemplificativa di casi concreti d’impugnazione, è stato riconosciuto che: - I Consiglieri Comunali non hanno interesse a ricorrere contro la deliberazione che concede al Sindaco ed agli Assessori l’indennità di carica, non essendo il provvedimento de quo pregiudizievole dei loro diretti interessi42. - I Consiglieri hanno interesse a ricorrere contro il provvedimento di approvazione, ad opera del Sindaco, anziché della Giunta, del bilancio preventivo e della relativa relazione previsionale e programmatica, quando risulti dedotto un vizio concernente la predisposizione dello schema di bilancio medesimo. Tale conclusione è tratta in base al presupposto per cui la predisposizione dello schema di bilancio, ad opera della Giunta, si pone, per volontà del legislatore, come atto necessario ed insostituibile del complesso procedimento, destinato a concludesi con la successiva approvazione del bilancio stesso da parte del Consiglio. Si tratta dunque di un elemento di conoscenza e valutazione indispensabile per procedere all’approvazione, da parte dei Consiglieri Comunali, del documento finale43. - La deliberazione consiliare di surrogazione di un Consigliere Comunale dimissionario, investendo la composizione del relativo organo assembleare, è idonea ad incidere sulla posizione soggettiva dei singoli Consiglieri. Questi, pertanto, sono legittimati ad impugnare la deliberazione stessa44. - I Consiglieri Comunali sono legittimati a proporre ricorso giurisdizionale, per reclamare competenze del Consiglio in materie che essi assumono essere state illegittimamente disciplinate da altri organi comunali45. - I Consiglieri Comunali sono legittimati ad impugnare gli atti di nomina dei rappresentanti del Comune in seno al Consiglio di Amministrazione di una IPAB46. - I Consiglieri Comunali sono legittimati a proporre ricorso giurisdizionale nelle ipotesi in cui siano dedotti vizi propri del subprocedimento di deliberazione consiliare, che si concretino in violazioni procedurali direttamente lesive del munus rivestito dall’amministratore locale (ad es., irritualità della convocazione dell’organo, violazione dell’ordine del giorno, difetto di costituzione del collegio, etc.), interferenti sul corretto esercizio del mandato elettorale47. 41 Cfr. Cons. Giust. Amm. Sic., 25 maggio 1989, n. 226. Ampliando l’oggetto d’indagine, pare opportuno segnalare che è stata pure ritenuta ammissibile l’impugnativa, svolta dal Consigliere Comunale, nei confronti di atti statali che ledano il suo ius in officio, come nel caso dei decreti di scioglimento del Consiglio Comunale, che sono appunto impugnabili dai componenti del disciolto organo (cfr., in dottrina, Bartole-Mastragostino-Vandelli, Le autonomie territoriali, Bologna, 1984, pag. 245). 42 Cfr., Cons. di Stato, Sez. V, 29 settembre 1965, n. 995. 43 Cfr.: TAR Emilia-Romagna, 21 giugno 1990, n. 279; TAR Lazio, Sez. II, 27 ottobre 1998, n. 1712, il quale riconosce il diritto di impugnazione in parola ai Consiglieri di minoranza, qualora non abbiano avuto a disposizione il testo dello schema di bilancio predisposto dalla Giunta, coi relativi allegati, per l’intero periodo previsto dal regolamento comunale di contabilità. Nel caso di specie, infatti, risulta leso l’interesse dei Consiglieri al preventivo esame della documentazione contabile, necessario al fine di poter presentare eventuali emendamenti allo schema di bilancio da approvarsi. 44 Cfr. TAR Piemonte, Sez. II, 3 giugno 1993, n. 221. 45 Cfr.: TAR Lombardia, Milano, 28 giugno 1996, n. 884; TAR Puglia, Lecce, Sez. II, 15 gennaio 2004, n. 317. 46 Cfr. TAR Veneto, Sez. I, 16 dicembre 1996, n. 2168. 47 Cfr. TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 23 aprile 2004, n. 1387. 11 - - - - Deve ritenersi sussistente la legittimazione in giudizio, da parte di singoli Consiglieri Comunali, per l’impugnazione di atti che essi assumano essere stati adottati in violazione di prerogative consiliari, trattandosi di lesione del diritto all’ufficio, che non appartiene soltanto all’organo collegiale nel suo insieme, ma anche personalmente e separatamente a ciascun Consigliere, in relazione alla titolarità dei rispettivi uffici48. I Consiglieri Comunali sono legittimati ad impugnare una deliberazione consiliare di modifica dello statuto comunale, che attribuisca alla Giunta le variazioni o dismissioni di quote partecipative, ancorché non determinanti ai fini del controllo delle società nelle quali il Comune ha una partecipazione. Ciò in quanto tale modifica viene comunque ad incidere direttamente sull’esplicazione del mandato dei singoli Consiglieri, che si vedono così annullate, con riferimento a tali argomenti, le loro prerogative di iniziativa, di partecipazione alle sedute consiliari, di espressione delle proprie opinioni nell’ambito dell’organo collegiale e di esercizio delle altre funzioni previste dalla legge49. La legittimazione dei Consiglieri Comunali ad impugnare le deliberazioni del Consiglio dinanzi al Giudice Amministrativo, non può ritenersi astrattamente limitata ai soli casi in cui vengano formalmente in rilievo atti incidenti, in via diretta, sul diritto all'ufficio e quindi su un diritto spettante alla persona investita della carica di Consigliere, ma anche con riferimento all'impugnazione di delibere destinate ad avere ricadute particolarmente significative, sia sulla consistenza patrimoniale dell’ente territoriale, sia sulla storia e sulle radici culturali dell’intera comunità in esso rappresentata50. Sussiste la legittimazione attiva di un Consigliere Comunale ad impugnare la deliberazione con la quale il Consiglio ha approvato il bilancio di previsione, nel caso in cui tale approvazione sia avvenuta senza che siano stati esaminati gli emendamenti dal medesimo Consigliere presentati, e senza che sugli stessi sia stato espresso il parere del Collegio dei Revisori dei Conti. È evidente, infatti, in tal caso, la lesione dello ius ad officium del Consigliere, che non ha ottenuto, come era suo diritto, che la deliberazione del Consiglio Comunale si pronunciasse sugli emendamenti dallo stesso presentati51. 48 Cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 6 maggio 2004, n. 1622. Cfr. Cons. di Stato, Sez. V, 3 marzo 2005, n. 832. 50 Cfr. TAR Puglia, Bari, Sez. I, 10 luglio 2008 n. 1724: tale sentenza, ancorché isolata, pare ampliare i casi di legittimazione attiva all’impugnazione, da parte del Consigliere Comunale, anche ad ipotesi in cui non sia addotta una lesione diretta del suo ius ad officium. 51 Cfr. TAR Liguria, Sez. II, 17 ottobre 2008, n. 1813. 49 12