salvezza della vita e della storia dell'uomo…), per rimanere sostanzialmente un argomento di
competenza della Apologetica, non della dogmatica.
Nell'Apologetica come stavano le cose?
[si deve tener presente il contesto del razionalismo del XIX secolo che spingeva da un lato ad
argomentare in favore della ragionevolezza di credere in base ad evidenze storiche; dall'altro non si poteva
rinunciare ad affermare che la sola ragione non basta per cogliere la Rivelazione nel suo contenuto di
mistero, la cui verità supera le forze della ragione rendendo necessaria la fede].
La Risurrezione di Gesù era vista soprattutto come certificazione della pretesa di Gesù di
essere inviato da Dio (questa parte del trattato di Apologetica era detta demonstratio christiana, o
De Christo legato divino; l'altra parte era la demonstratio catholica, riguardo alla verità della Chiesa
cattolica) e quindi della verità dei suoi insegnamenti. La Risurrezione era considerata –insieme
agli altri segni operati da Gesù –la sua persona, le profezie e i suoi miracoli– come garanzia che in
Gesù si compiva davvero la Rivelazione. La Risurrezione era vista come il "miracolo" per
eccellenza, che testimonia il "fatto" della Rivelazione (il fatto che la Rivelazione si sia data
davvero in Gesù).
Ma quanto al "contenuto" della Rivelazione, la Risurrezione aveva poco da dire… I
contenuti essenziali della fede (Trinità e Incarnazione, ecc) si ricavavano da altri luoghi, in primis
dagli insegnamenti di Gesù).
Si trattava in realtà di una visione che riguardava la Rivelazione in generale: una visione che
non valorizzava tanto la storia (della salvezza; di Cristo in particolare) quanto la verità espressa
nelle affermazioni e negli insegnamenti. La Rivelazione era vista essenzialmente come
"istruzione" dell'umanità espressa in verità universali.
Così la Risurrezione, come evento carico di mistero, come evento di rivelazione, risultava
piuttosto svuotato di contenuto.
La Risurrezione, in quanto storica, era "fondamento" della fede (un fatto verificabile, su cui la
ragione poteva appoggiarsi in modo da rendere ragionevole l'atto di fede) e in quanto rivelata era
"oggetto" della fede. Tuttavia il "contenuto" di rivelazione era assai scarno, mentre era
preponderante l'attenzione data alla dimostrazione della sua storicità.
Sarà soprattutto a partire dalla metà del XX secolo, che avverrà un recupero del contenuto
della Risurrezione come evento di Rivelazione, inscindibile dalla morte di Gesù ma non riducibile
ad una conferma del valore di quella morte. Un evento carico di un significato salvifico
notevolissimo, tanto che la fede cristiana autentica non può essere altro che una fede pasquale.
1.2 Il significato della Risurrezione nella teologia recente
La ripresa di una considerazione maggiore del contenuto di rivelazione e salvifico della
Risurrezione è avvenuto nell'ambito del più generale clima di rinnovamento della teologia iniziato
nella prima metà del XX secolo (biblico, patristico, liturgico, teologico). In particolare l'impulso è
venuto dagli studi storico-biblici e dal movimento liturgico.
5
Già dagli anni Venti, in campo protestante, K. Barth cominciò ad affermare la centralità della
R., che per lui si caratterizza come:
Azione "nuova" e reale di Dio: nuova rispetto agli altri Suoi interventi nella vita di Gesù,
poiché in essa manca qualunque componente umana, è azione esclusiva di Dio. La R. «non è
dunque un "miracolo" che accredita Gesù Cristo, ma è la rivelazione di Dio in lui… la forma
singolare, esemplare, originaria della rivelazione di Dio in Gesù Cristo, cioè della rivelazione in
generale»1.
"Nuova" anche rispetto all'evento della croce. Non è solo –come per Bultmann con cui
polemizza– il risvolto noetico della croce. La R. è conferma del valore dell'obbedienza del Figlio;
risposta di Dio alla sua morte e rivelazione del suo valore salvifico e sua spiegazione; verdetto
(Urteil) del Padre sulla scelta operata da Gesù, sulla sua decisione di annientamento fino alla croce.
La R. rivela: la fedeltà del Padre come Creatore e Signore che riconcilia l'uomo e le cose nel disegno
originario tracciato nel Figlio, e la fedeltà del Padre nei confronti del Figlio, rivelando l'amore che è
l'originaria elezione, da tutta l'eternità, del Figlio incarnato e confermando la nostra
predestinazione in Gesù. Nella risurrezione, inoltre, lo Spirito del Risorto può irradiarsi nella
nuova creazione. Infine, Barth vi legge anche la "giustificazione" del Padre stesso, che porta a
compimento il disegno di predestinazione in Cristo.
La R. istituisce il Crocifisso nella sua perenne validità per la storia degli uomini: Egli è dunque
contemporaneo a ogni tempo, presente e attuale per ogni uomo. La sua mediazione rimane
operativa, e vale per tutti gli uomini di tutti i tempi.
Infine, per Barth la R. è "storica", ma non documentabile come gli altri eventi. Non è chiaro
inoltre (almeno a me) cosa la R. abbia comportato realmente per la persona di Cristo e la sua
corporeità.
In ambito cattolico è stato importante il libro di F. X. Durrwell (La résurrection de Jésus mystère
de salut, Paris 1950), che sottolinea l'unità del mistero pasquale e correggendo l'eccessiva
concentrazione della teologia precedente sul valore della morte di Gesù come causa della
redenzione, intesa come remissione del peccato. L'approccio di Durrwell è di tipo biblicodogmatico. Il suo pensiero –segnato anche da aspetti problematici– afferma soprattutto: 1) la
profonda unità del mistero pasquale di morte e Risurrezione; 2) il valore salvifico proprio della
Risurrezione, consistente nell'effusione dello Spirito, sia in Cristo a cui dona la vita di Risorto, sia
sui credenti (mettendo poi in luce diversi effetti della Risurrezione nella vita Chiesa e nel mondo,
per concludere con la consumazione finale della R. nella Parusia).
La teologia cattolica, come la protestante, è stata in seguito ricca di apporti, non privi di
aspetti problematici, ma capaci di mettere in luce aspetti della Risurrezione che superano la
semplice considerazione del suo valore apologetico, come garanzia della pretesa messianica di
Gesù. Ne accenniamo alcuni tra i più significativi:
Citazione di Barth tratta da F. G. BRAMBILLA, La risurrezione di Gesù mistero di salvezza, «Laa Scuola
Cattolica» 121 (1993) 53-133, qui 70.
1
6
K. Rahner (1904-1984) ha sviluppato la comprensione della Risurrezione soprattutto con una
riflessione teologico-fondamentale2.
Per il teologo tedesco, la teologia della pasqua richiede una adeguata "teologia della morte".
La morte è sia disfatta, sia un compimento attivo che l'uomo fa di sé, prendendo possesso della
propria persona: «evento nel quale l'uomo diventa il proprio definitivo sé». Rahner impiega la
descrizione dell'essere dell'uomo che fa Heidegger, ma poi va oltre, poiché per Heidegger il senso
dell'essere è "esserci", e la morte elimina l'essere nel mondo. Privo di strutture heideggeriane di
riferimento, Rahner prende quindi elementi classici, scolastici, per descrivere la morte di Gesù: la
morte è separazione tra corpo e anima. Il corpo terreno ci inserisce nel mondo, ma al tempo stesso
limita la nostra presenza: dopo la morte lo spirito umano non esce dal mondo, ma entra in una
relazione senza limiti con il cosmo, una relazione che Rahner definisce in qualche modo concreta,
ontologica con l'intero mondo.
La persona diventa pancosmica attraverso la morte e potrebbe influire direttamente
all'interno del mondo. Ciò vale in modo irripetibile per la morte di Gesù. Nella morte egli
diviene il cuore, il centro più profondo di tutta la realtà creata. La risurrezione, allora cosa è? Se la
morte è vista già in termini così positivi che spazio rimane? Effettivamente poco… Per Rahner «la
risurrezione di Cristo non è un altro evento dopo la passione e la morte», ma «la manifestazione di
quello che è accaduto nella morte di Cristo». Si nota qui una forte analogia con la posizione
bultmanniana (cui accenneremo a breve).
Eppure Rahner si differenzia da Bultmann, poiché dice che la risurrezione opera anche
qualcosa di specifico. La risurrezione ha specifici effetti salvifici e di rivelazione.
Effetti Salvifici:
a) in essa, Dio «adotta irrevocabilmente la creatura come realtà sua propria»;
b) l'uomo Cristo è divinizzato e trasfigurato in modo tale che la sua risurrezione è il «principio
finale della glorificazione e della divinizzazione dell'intera realtà». (Il mondo è una unità in senso
fisico, spirituale e morale; perciò la decisione di Gesù nella morte è tale da costituire
ontologicamente, e non solo per disposizione giuridica di Dio, irreversibilmente e come in
embrione, l'inizio che ha in sé il fine della glorificazione e divinizzazione dell'intera realtà.
c) Nella risurrezione si esprime il significato redentivo della vita di Cristo: il Signore esaltato è
ora l'accesso al Padre permanente e perenne, in un processo che ci coinvolge e ci fa passare dalla
grazia alla gloria definitiva.
Effetto di rivelazione: la risurrezione è il climax della rivelazione: «Dio comunica se stesso al
mondo nel Figlio che la risurrezione definitivamente identifica e riconosce».
Dal punto di vista della fede pasquale nostra, Rahner osserva che la testimonianza dei
discepoli per noi può avere effetto, pur essendo eventi diversi da qualunque nostra possibile
esperienza3, perché in noi portiamo una speranza trascendentale nella risurrezione, ossia un
La sintesi che presentiamo qui, anche per ciò che riguarda le citazioni testuali di opere di Rahner, è in
buona parte ricavata da O’COLLINS, Gesù risorto. Un’indagine biblica, storica e teologica sulla risurrezione di
Cristo, Queriniana, Brescia 1989, 91-101. Alcuni degli scritti fondamentali di Rahner sulle questioni qui
trattate sono: K. RAHNER, Il significato perenne di Gesù Cristo nel nostro rapporto con Dio, in Saggi di cristologia e
mariologia, Paoline, Roma 1965, 239-258; Ibidem, Questioni dogmatiche sulla devozione pasquale, 335-358; Voce
Morte, in Sacramentum mundi, Morcelliana, Brescia 1974-1977; Sulla teologia della morte, Morcelliana, Brescia
1972.
3 Sulle apparizioni: Rahner non si preoccupa di definire la loro storicità, come farà invece Pannenberg.
Secondo lui, per definizione di "essere glorificato", le apparizioni non possono essere eventi sensoriali.
2
7
orientamento implicito verso un compimento totale e definitivo della nostra esistenza. La fede
pasquale emerge perciò come risultato di tre fattori: la testimonianza storica dei discepoli; la nostra
trascendentale speranza nella risurrezione; l'aiuto interiore dello Spirito Santo.
Bultmann (1884-1976, teologo luterano): lo citiamo per la sua influenza, soprattutto nel suo
approccio ai testi del NT (demitizzazione) che condiziona fortemente la comprensione dell'evento
pasquale (anche per l'impostazione esistenzialista di Bultmann, debitore nei confronti di
Heidegger). "Risurrezione" indica il valore salvifico della croce. Essa è un mito da reinterpretare in
chiave esistenziale: la croce è una realtà sempre presente che ci sfida a morire insieme a Cristo.
Con il termine "risurrezione" si deve intendere per lui solo «la fede nella croce come
avvenimento di salvezza»4. Ciò che è storico in altri termini è solo la croce di Gesù, ma in essa Dio
ha voluto rivelarci la salvezza, il suo giudizio sul mondo e la possibilità di una vita autentica
mediante la fede: in questo senso nella croce si manifesta la risurrezione. Evidentemente non nel
senso della risurrezione corporea di Gesù. Per Bultmann è questo ciò che va letto nel kerigma
apostolico. I racconti sul sepolcro vuoto e le apparizioni sono a suo parere leggende sorte per
motivi apologetici, dogmatici o cultuali.
In notevole contrasto con una visione destoricizzata come quella di Bultmann, è la teologia di
W. Pannenberg (1928-2014, teologo luterano). Egli interpreta la Risurrezione di Gesù soprattutto
in termini di escatologia e rivelazione. In essa si rende manifesto il significato della storia. Essa
tuttavia è assolutamente un evento particolare, storico. Storici sono per lui i «fatti effettivamente
acceduti in un tempo definito nel passato»5. E tali sono, per lui, sia la risurrezione, sia le
apparizioni del Risorto. La realtà della risurrezione, tuttavia, implica una vita nuova, trasformata,
che non ha una collocazione spazio-temporale e che può essere descritta solo metaforicamente,
come un "sorgere dal sonno".
In una prospettiva più dogmatica, va menzionata l'opera di H. U. von Balthasar (1905-1988),
che si sforza di inquadrare il mistero pasquale di Gesù nell'ambito della relazione tra la Trinità e il
mondo6. La morte è vista come sostituzione vicaria: il Figlio assume la negazione radicale all'amore
divino ad opera degli uomini7.
La Risurrezione ha innanzitutto significato cristologico (per Gesù) e poi soteriologico (per
noi), ove il primo è possibilità e fondamento del secondo:
Cristologico:
- nella R. si esprime la libertà sovrana dell'uomo Gesù risorto, rivelazione della sua libertà
divina, prima nascosta nell'obbedienza al Padre. Gesù inoltre cessa di essere "subordinato"
Tuttavia sono incontri reali e oggettivi, nel senso di essere date ai discepoli "dal di fuori". Hanno carattere
peculiare: non sono "visioni"; sono concluse; fondano la fede della Chiesa.
4 Citazione tratta da B. RIGAUX, Dio l’ha risuscitato, Paoline, Cinisello Balsamo 1976, p. 402, ove si riporta
direttamente Bultmann.
5 W. PANNENBERG, Cristologia. Lineamenti fondamentali, Morcelliana, Brescia 1974, 99.
6 Per la breve sintesi qui offerta siamo debitori a F. G. BRAMBILLA, La risurrezione di Gesù mistero di
salvezza.
7 Un punto delicato della teologia di Balthasar, difficile da condividere, è come egli comprende tale
assunzione da parte della Trinità: per lui la "distanza empia" tra gli uomini e Dio ha il suo "presupposto" e
può essere collocata entro la "santa distanza" tra il Padre e il Figlio nella Trinità immanente.
8
allo Spirito, poiché nella R. egli dispone dello Spirito, per effonderlo sugli uomini. La sua
umanità risorta è ora in una relazione di immediatezza spontanea e libera con il Padre.
- La sua vicenda umana, storica, in cui si è caricato del peccato degli uomini, è stata
trasfigurata dall'azione dello Spirito (questo è il senso dell'espressione "corpo spirituale" del
Risorto) e perciò può ora dischiudere –mediante lo stesso Spirito- anche la nostra libertà
finita e peccatrice all'obbedienza al Padre. Qui vi è già un significato soteriologico della R.,
che possiamo esplicitare.
Soteriologico:
- Il Crocifisso risorto liberamente ci rende partecipi del suo dramma, e in concreto ci offre: la
con-figliolanza al Padre, mediante lo Spirito del Risorto; la giustificazione della nostra
libertà finita, nel duplice aspetto di liberazione dalla potenza del peccato e divinizzazione
(ossia partecipazione della filiazione di/in Gesù).
Altri autori si sono dedicati in modo specifico al tema della Risurrezione o hanno fornito
apporti riconosciuti come significativi nel dibattito teologico recente intorno a tale tema. Tra questi
H. Kessler, W. Kasper, J. Moltmann, J. Ratzinger, M. Bordoni, G. O'Collins, e in ambito
anglosassone M. J. Harris, S. T. Davis, e la loro riflessione merita di essere qui raccolta negli
elementi più importanti.
Nella risurrezione di Cristo si esprime la decisione definitiva di Dio nei confronti dell’uomo
e della creazione, la conferma del suo amore e della sua fedeltà all’alleanza, poiché viene
inaugurata nel Risorto la realtà della nuova umanità e della nuova creazione. La risurrezione di
Gesù è pertanto anticipazione escatologica: così nella visione cristiana si “cristologizza” la
speranza per la fine dei tempi. L’effetto della Risurrezione, inoltre, si fa già sentire in coloro che
accolgono Cristo attraverso la fede e il battesimo. Tale presenza del Signore risorto nella storia e
nei credenti, affermata da tutti gli autori, è relazionata da diversi di loro con la sua corporeità
glorificata, capace ormai di superare le barriere di spazio e di tempo.
La risurrezione dai morti non è pertanto solo un sì detto dal Padre a Gesù (aspetto, questo,
evidenziato praticamente da tutti i teologi): essa è anche un sì rivolto, in Cristo, ad ogni uomo.
Considerando più da vicino il significato ed il valore della risurrezione di Cristo per l’uomo, Kessler
sottolinea che Dio si definisce definitivamente come il Dio di Gesù Cristo, la cui bontà preveniente
perdona i peccatori e dona la vita all’uomo, che non potrebbe attendersi che la morte. Dio ha
assunto nella risurrezione anche l’essere di Gesù per gli altri, e in lui raggiunge tutti con il suo amore,
afferma Kasper8. Per Moltmann la vittoria di Cristo sulla morte della natura apre la prospettiva
della risurrezione –vittoria sulla morte naturale, fisica, di ogni creatura mortale– per l’uomo e per
l’intero cosmo9. Nella risurrezione Ratzinger10 vede realizzarsi il desiderio dell’uomo di quel
dialogo con Dio –verità e amore– da cui solamente può ricevere la pienezza della vita, la vita eterna.
Si veda in particolare W. KASPER, Gesù il Cristo, Queriniana, Brescia 1981.
Cristo non ha trionfato solo sulla violenza di coloro che lo hanno messo a morte, cioè sulla «morte
storica», ma ha vinto anche sulla «morte tragica della natura». J. MOLTMANN, La via di Gesù Cristo. Cristologia
in dimensioni messianiche, Queriniana, Brescia 1991, 287.
10 Si veda specialmente J. RATZINGER, Eschatology. Death and Eternal Life, The Catholic University of
America Press, Washington, D.C. 1988.
8
9
9
Il corpo del Risorto è il compimento del “Corpo filiale crocifisso”, del “Corpo dato” per noi. Così
Bordoni11 vede nella risurrezione il compimento della “proesistenza” di Gesù –e in lui di Dio– a
favore degli uomini: il Signore risorto ci comunicherà nella Parusia non solo un’esistenza nuova,
ma anche la sua vita di relazione filiale con il Padre. Per O’Collins12 la forza all’origine della
risurrezione di Gesù è l’amore di Dio, la sua volontà di prendere e trasformare l’uomo e il mondo
materiale –è questo un fondamentale significato del sepolcro vuoto– con la sua storia di peccato e
di sofferenza.
Concludiamo questo paragrafo con un'espressione particolarmente felice di Hans Kessler circa
il significato della R. per l'uomo e il mondo, in quanto R. corporea. Il tema della corporeità sarà
oggetto di una riflessione specifica nel secondo capitolo di questo Corso. Tuttavia concludere
questa panoramica di posizioni riguardo alla Risurrezione e al suo significato sarebbe impossibile
senza fare almeno una considerazione su tale aspetto. Sebbene, curiosamente, di Kessler non sia a
nostro avviso condivisibile la concezione di corporeità del Risorto (su questo torneremo più
avanti), la seguente affermazione è una buona sintesi del valore teologico riconosciuto alla
Risurrezione in quanto corporea. Nella risurrezione corporea, afferma Kessler, «l’uomo portato a
compimento e salvo non è sganciato dal complesso della comunità, della storia e di tutte le
creature, ma viceversa ha acquisito un nuovo rapporto e una più profonda unione con esse. Solo
così tutto l’uomo ha un futuro e può essere come mai prima completamente se stesso, essere
l’immagine e la somiglianza di Dio. E così l’intenzione del Dio creatore raggiunge il suo fine. La
risurrezione del corpo è perciò espressione della fedeltà di Dio verso la sua creazione»13.
2. Il significato della Risurrezione di Gesù "per noi", alla luce dell'unità del suo mistero
pasquale di morte e Risurrezione
Le diverse prospettive degli autori sottolineano aspetti diversi ma complementari del mistero
di morte e risurrezione di Gesù. In generale, si può distinguere tra una valenza diciamo
cristologica della Risurrezione (la R. come azione di Dio in Gesù, nella sua persona: la R. "per
Gesù") e una valenza soteriologica (gli effetti della R. sugli uomini e sul mondo: la R. "per noi"). Su
questo vorremmo soffermarci a riflettere.
Una cosa è chiara: tutti gli effetti "per noi" sono fondati sulla R. in quanto operata "in Gesù".
Ciò è evidente nel pensiero di tutti gli autori. Tale ordine rispetta la realtà della R., e si può
riconoscere anche nell'esposizione del Catechismo della Chiesa Cattolica14. Tuttavia, nell'ordine
della finalità, si deve dire che tutto l'agire di Dio nella storia, e quindi anche nel suo culmine
Il tema della Risurrezione è trattato all'interno nell'ampia opera in tre volumi: M. BORDONI, Gesù di
Nazaret, Signore e Cristo, Herder – PUL, Roma 1982-1986.
12 O’COLLINS, Gesù risorto. Un’indagine biblica, storica e teologica sulla risurrezione di Cristo, Queriniana,
Brescia 1989.
13 H. KESSLER, La risurrezione di Gesù Cristo. Uno studio biblico, teologico-fondamentale e sistematico,
Queriniana, Brescia 1999, 305.
14 CCC 272: «Nella Risurrezione e nella esaltazione di Cristo [R. "in" o "per Gesù"] il Padre ha dispiegato
“l’efficacia della sua forza” e ha manifestato “la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi
credenti” (Ef 1,19-22)». Il CCC inoltre, presenta, nella sua esposizione, prima la realtà storica e trascendente
della R. in se stessa, come opera della Trinità in Gesù, poi il suo significato salvifico (per noi).
11
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costituito dalla vicenda terrena del Figlio incarnato, è orientato al bene dell'uomo, alla sua
salvezza. Pertanto anche la R. è essenzialmente "per noi". Così, il fatto che in essa si esprima il
"verdetto" di Dio (Barth) o che sia "conferma" divina dell'agire di Cristo, va compreso come una
"conferma per noi".
Ciò non contrasta con la verità che la gloria della risurrezione nella persona di Gesù
corrisponde ad una logica di amore e quasi di giustizia, per cui Dio esalta il servo obbediente, che
ha accettato l’umiliazione, fino alla morte di croce15. Ma quest’uomo, Gesù, è il Figlio di Dio e come
tale non ha bisogno di alcuna “conferma” della predilezione del Padre che eternamente lo ama
nello Spirito Santo, nella comunione intratrinitaria. Né, tantomeno, in quanto Persona divina, ha
alcuna necessità di ricomporre e portare a perfezionamento la propria umanità, dopo la morte,
conferendole quella nuova partecipazione alla vita dello Spirito che si rivela nel suo corpo risorto e
glorioso. Tutto ciò, invece, ha valore –e grande! – per noi.
La convinzione che qui esprimiamo è una presa di distanza da concezioni che, a partire
dall’economia della redenzione, operata mediante la Croce, si spingono a comprendere in modo
dialettico o kenotico l’immanenza trinitaria, la relazione tra il Padre e il Figlio. Ci riferiamo ad
esempio alla teologia trinitaria elaborata da Moltmann a partire dal grido di abbandono di Gesù
sulla croce, in cui legge una vera separazione in Dio: «La croce del Figlio separa Dio da Dio, fino
alla più totale indifferenza» (J. MOLTMANN, Il Dio crocifisso (1972), Queriniana, Brescia, 1982, 180).
Una simile interpretazione ci sembra inaccettabile, poiché la solidarietà di Cristo con l’uomo non
può comportare una frattura nella comunione trinitaria. Pur con notevoli differenze, anche von
Balthasar riconduce il dolore e la morte di Gesù in croce al dinamismo intrinseco dell’amore
trinitario, che sarebbe kenotico in se stesso. (Cfr. Teodrammatica, vol. IV, 295-336)16. Analoga per certi
versi è la concezione di Durrwell: «Nel suo essere umano il Figlio di Dio non è nient'altro che
uomo. La miseria della carne ha preso talmente corpo in lui che la salvezza del mondo è diventata
la storia del suo stesso destino. Ridotto allo stato dell'umana miseria (Eb 2,14), al punto da divenire
"la bocca della nostra natura", egli deve chiedere per se stesso che "sia annientato il potere della
Tale logica viene delineata sia nell’AT che nel NT: «Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si
sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità. Perciò
io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha consegnato se stesso alla morte ed
è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori» (Is 53,
11-12); «… apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di
croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome…» (Fil 2, 7-9).
Anche san Tommaso osserva che il primo motivo per cui fu necessaria la risurrezione è la giustizia nei
confronti di Gesù, che è stato disposto ad umiliarsi per amore e obbedienza a Dio. Cfr. SAN TOMMASO
D’AQUINO, Summa Theologiae, III, q. 53, a. 1, r.
16 Lo svuotamento di sé da parte di Cristo –visibile massimamente nella Croce– viene interpretato come
rivelazione di uno svuotamento che l’amore implicherebbe per sua natura e che caratterizzerebbe la stessa
relazione tra le Persone divine. Con parole di Kasper, «dalla croce in poi, pensare a Dio in modo trinitario
significa pensare ad un Dio che al suo interno lascia spazio all’altro se stesso. […] Dio è in se stesso kenotico.
Balthasar parla della kenosi originaria e di una “divisione” all’interno di Dio. Ma in questo suo essere
kenotico, Dio non rinuncia a se stesso, non si trasforma in qualcosa di diverso, non abbandona la propria
divinità. In questa sua esistenza kenotica, Dio è Dio» (W. KASPER, La croce come rivelazione dell’amore di Dio,
«Lateranum» 72 (2006), 432). Di qui, di nuovo si torna alla croce trovando conferma di una simile concezione
di Dio: «la croce è dunque la forma più esterna dell’amore divino che si dà, è la forma più esterna dell’amore
costitutivo di Dio» (ibidem, 432).
15
11
morte e che riprenda forza la vita"»17. In simili concezioni, la Risurrezione è vista come una
conferma diretta, e quasi necessaria, in primo luogo a Cristo stesso.
Di fatto, invece, il termine "conferma" riguardo all'azione di Dio nella R. di Cristo è impiegato
nel CCC solo nel senso di una conferma "per noi" dell'identità e della missione divina di Cristo.
Vista nella sua valenza salvifica (il suo essere "per noi"), la Risurrezione di Cristo appare come
un nuovo ed a priori inatteso, sorprendente, gratuito comunicarsi di Dio agli uomini, nell’atto di
unire definitivamente l’umanità alla sua Persona divina. Possiamo trovare categorie teologiche che
rendano parzialmente comprensibile questo mistero, ma esso resta, radicalmente, un gratuito autodonarsi di Dio all’umanità, che suscita stupore e gratitudine: «Cristo vive. Questa è la grande verità
che riempie di contenuto la nostra fede. Gesù, che morì sulla Croce, è risorto […] Cristo vive. Gesù
è l’Emmanuele, Dio con noi. […] Dio si delizia ancora di stare tra i figli degli uomini»18. Nella
risurrezione di Cristo, come osserva Schmaus, appare chiaramente dove si dirigeva
l’autocomunicazione divina dall’atto della creazione del mondo fino alla venuta di Cristo: alla
trasfigurazione di Gesù19.
La gratuità della decisione trinitaria che il Figlio continui ad essere per sempre anche uomo
manifesta la risurrezione di Cristo come un sì rivolto all’uomo: il sì che corona e manifesta il senso
ultimo di tutta l’opera salvifica. Proprio in quanto opera di Dio "per l'uomo", è allora logico che,
nel corpo umano di Gesù gloriosamente trasformato, ci venga dato il segno di ciò che Dio ha in
serbo per ognuno di noi. In tal senso, parafrasando Bordoni, il corpo del Risorto, compimento del
corpo dato per noi, si rivela essere corpo dato a noi, come promessa. In lui Dio rivela l’umanità
compiuta: tale umanità –proprio quella e non una diversa– è la realizzazione della promessa. Il
corpo glorioso di Cristo è l’icona dell’uomo salvato e del suo destino di vita eterna.
Possiamo mettere in luce un secondo motivo per considerare la risurrezione di Gesù nella
prospettiva del per noi e del compimento della nostra umanità. Come la teologia recente ha
sottolineato con forza, specie a partire dalla metà del secolo scorso, Croce e risurrezione non
possono essere separati, ma vanno visti come momenti dell’unico mistero pasquale20. Essi fanno
parte di uno stesso movimento di comunicazione di Sé che Dio compie nei confronti dell’uomo.
Questa comunicazione, nella passione e nella Croce di Cristo, si manifesta come amore
incondizionato del Padre verso la sua creatura. Un amore che non è solo del Padre, ma anche del
F. X. DURRWELL, La risurrezione di Gesù, Mistero di salvezza, Città Nuova, Roma 1993 (tr. it. dell'edizione
francese interamente rifatta del 1976); le citazioni interne sono di Teodoreto e di Cirillo di Alessandria.
18 SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Cristo presente nei cristiani. Omelia pronunciata il 26.3.1967, in È Gesù che passa,
Edizioni Ares, Milano 1982, n. 102. Il corsivo è dell’originale. L’ultima frase si richiama al testo di Pro 8, 31.
19 Cfr. l’esposizione del pensiero di Schmaus in A. LÓPEZ AMAT, Cristo resucitado. La segunda fase del
misterio de Cristo, p. 110. Analogamente, per Bordoni, «il Cristo Risorto nel suo corpo glorioso è segno e presenza
escatologica della realtà trinitaria di Dio nell’umanità e nel mondo» (BORDONI, Gesù di Nazaret, Signore e Cristo, vol.
III, 591; il corsivo è dell’autore).
20 Basti ricordare come Rahner, ad esempio, concepisca la risurrezione «in Gesù, come il termine
perfetto e perfezionante della morte, ed entrambi i momenti dell’avvenimento-uno si condizionano e si
interpretano mutuamente» (K. RAHNER, Auferstehung Christi, in Lexikon für Theologie und Kirche, 1 (1957) 1039;
la traduzione è nostra). La stessa idea si ritrova, con sfumature diverse, nel pensiero di numerosi teologi,
come abbiamo visto in precedenza.
17
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Figlio fatto uomo: Gesù vuole ciò che vuole il Padre, e in quanto il Padre lo vuole21. Proprio in
quanto incondizionato, tale amore lascia che siano le esigenze del destinatario –l’uomo caduto,
peccatore– a determinare il modo in cui dovrà raggiungerlo: nella Croce Dio si mostra disponibile
a portare tutto il peso della sua creatura, ad essere ferito suo rifiuto, al fine di ottenerne un cenno
di apertura del cuore e cioè, per quanto informe e incipiente, di amore22.
Il termine dell’amore salvifico di Dio, però, non è ancora la Croce. In essa il Padre ha percorso
fino in fondo, nel Figlio incarnato e amato nello Spirito Santo, il cammino di avvicinamento
all’uomo nella sua condizione di peccatore. Ma, sebbene la volontà divina di perdonare fino alla
fine (cfr. Gv 13, 1) sia già manifesta nelle parole di Gesù «Padre, perdonali, perché non sanno quello
che fanno» (Lc 23, 34), non è ancora evidente quale sia il bene che Dio ha in serbo per la sua
creatura riconciliata. Tale bene rifulge proprio nella risurrezione e in particolare nell’umanità
gloriosa del Risorto. Si tratta di un ulteriore atto d’amore divino, ma nella stessa linea della
passione e della Croce, cioè nella linea dell’autocomunicazione di Sé all’uomo. Con la risurrezione
di Cristo, Dio dichiara che non lascia l’umanità al suo destino, non la rigetta per la sua durezza di
cuore; le dona invece quel futuro di pienezza di vita che si rivela nel Cristo risorto23.
Siamo dunque spinti a guardare con interesse all’umanità del Signore che si manifesta nella
sua Risurrezione come compimento della Rivelazione, realizzazione anticipata in Gesù della
promessa di salvezza rivolta a ogni uomo.
La volontà divina è unica e condivisa dalle tre Persone; ma anche la volontà umana di Cristo, in uno
sforzo che l’orazione del Getsemani rivela in tutta la sua intensità, viene da lui orientata allo stesso fine,
proprio per amore del Padre e nella carità dello Spirito. Tra i Padri della Chiesa che hanno messo in luce
l’esistenza di due volontà in Cristo –l’una divina e l’altra umana– pienamente concordi nel volere la salvezza
dell’uomo attraverso la Croce, va ricordato san Massimo il Confessore, con le sue riflessioni sull’agonia di
Cristo nell’Orto degli ulivi (raccolte e tradotte a cura di A. Ceresa-Gastaldo in SAN MASSIMO IL CONFESSORE,
Meditazioni sull’agonia di Cristo, Città Nuova, Roma 1985). Qui egli mostra che «la salvezza che l’eterno Figlio
vuole da sempre ‘in unione col Padre e con lo Spirito Santo’, in quella circostanza Cristo la volle in quanto
uomo» (R. L. WILKEN, Alla ricerca del volto di Dio. La nascita del pensiero cristiano, Vita e Pensiero, Milano 2006,
p. 108). Sul tema si può vedere anche il bel commento all’orazione di Gesù nell’orto degli ulivi in J.
ECHEVARRÍA, Getsemaní, Planeta, Barcelona 2005, in particolare le pp. 127-129.
22 Una riflessione più approfondita su questo punto si trova in M. VANZINI, La Croce di Cristo come dialogo
tra Dio e l'uomo, in R. DÍAZ DORRONSORO, M. VANZINI (a cura di), Egli manifestò la sua gloria, Edusc, Roma
2015, 175-193.
23 Potremmo dire che, se la Croce fa capire fin dove si abbassa (per amore) la Trinità nel pronunciare il suo
sì all’uomo, nella risurrezione si vede fino a dove arriva questo sì.
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