N usicalmente Anno 9 - Numero 2 Marzo - Aprile 2013 .BHB[JOFEFMMq0SDIFTUSBEB$BNFSBEJ.BOUPWB BEETHOVEN CELEBRATIVO Trevor Pinnock “I nuovi orizzonti della mia carriera” Umberto Benedetti Michelangeli “Una vita con l’Ocm” Tariffa R.O.C. “Poste Italiane Spa” - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (Conv. In. L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, DCB Mantova In collaborazione con EDITORIALE di Andrea Zaniboni NONA SINFONIA: culto o rivelazione? Dopo aver ascoltato, anzi, riascoltato, la Nona Sinfonia saremo davvero più felici? O avremo semplicemente adempiuto ad un rito, quello secondo il quale al capolavoro di Beethoven non si sfugge per una forma di dovere sociale che nell’ambito circoscritto dei più intransigenti musicofili è addirittura un obbligo? Difficile mantenere un obiettivo, asciutto rapporto con le opere d’arte più frequentate e celebrate: la nostra risposta, quale che sia ed apparentemente impulsiva, si sovrappone ad una serie breve o infinita di esperienze, letture, influenze intellettuali, reazioni emotive, convinzioni maturate nel tempo, e perfino alle regole di un mercato poco visibile ma presente, che tratta l’arte e tanto altro come un prodotto, talvolta di lusso, talvolta popolare, ma sempre come un prodotto in vendita di probabile, o meglio, certa soddisfazione. Di sicuro poi, sempre a proposito di questo astratto rapporto, occorrerà distinguere fra l’ascolto solitario, che avviene fra le mura di casa nostra con l’aiuto di un disco o con il tramite d’una trasmissione radiofonica o televisiva, e ciò che produce in noi la partecipazione diretta e desiderata ad un evento pubblico. Ammessa la possibilità di un confronto, poco probabile in una città di provincia, solitamente esclusa dai circuiti della tivù musicale, le due versioni del medesimo avvenimento non potranno in ogni caso che essere ben diverse: la presenza del filtro co- municativo del media e, nel caso della ripresa video, l’aggiunta di un linguaggio sovrapposto, cioè quello definito da una regia delle immagini, forse risponderà al compiersi della partitura ed alla sua struttura, ma di certo non al nostro personalissimo rapporto con il vivo, diretto prodursi dell’opera, fatto anche di vicinanza fisica e di realtà sonora: degli interpreti e di chi come noi partecipa con il senso dell’attesa. Che un grande, intoccabile capolavoro come la Nona Sinfonia di Beethoven possa paradossalmente mettere in crisi il concetto di funzione dell’arte, lo possiamo dare per scontato: la Nona è una sorta di indistinto bagno collettivo, e perciò almeno parzialmente inconsapevole, nonché indotto dal suo fitto replicarsi in ogni luogo. Un bagno in una bellezza misteriosa ed universale che, per vie magiche, riconcilia con noi stessi e con il mondo, rendendo credibile l’utopia di un vivere pacifico, saldo nei principi fondamentali, percorso da energie antiche ma necessarie. La Nona è un mito, e come tutti i miti, sfuggendo ad una catalogazione ordinaria, chiede fede e restituisce amore. In ciò sta la sua sacralità, che per qualcuno sarà gioia, quella cantata da Schiller, e per talaltro uno strano processo purificatorio, dalle conseguenze ignote. Ma di questo Beethoven immortale, comunque andrà, se ne sente molto il bisogno, in questi tempi soffocati dalla sfiducia. Una relazione obiettiva con le musiche più celebrate è difficile. E così entra in crisi il concetto di funzione dell’arte L’ultima Sinfonia di Beethoven è una sorta di bagno collettivo, di una bellezza misteriosa e universale che, per vie magiche, riconcilia con noi stessi ed il mondo musicalmente 3 Marzo - Aprile 2013 SOMMARIO 10 6 Beethoven secondo noi Nel segno della Nona Sinfonia 7 Le affinità elettive. Intervista a Umberto Benedetti Michelangeli di Anna Barina N 6 IN COPERTINA 10 12 12 Avventure della Gioia Breve storia politica di Alessandro Taverna Cura Ludwig: Beethoven al cinema di Claudio Fraccari 13 13 di Emenuele Salvato 16 23 17 Gl’irriverenti consigli degli under 14 I CONCERTI 16 Festa barocca a Madama DoRe 17 In quattro. Con il pianoforte 25 d Gian Paolo Minardi 23 Happy birthday Britten! Appuntamenti da non perdere di Luca Ciammarughi 25 N usicalmente .BHB[JOFEFMMq0SDIFTUSBEB$BNFSBEJ.BOUPWB STAMPA: Sel Srl CREMONA - via De Berenzani, 6 - Tel. 0372-443121. Registrazione al Tribunale di Mantova n. 10/2004 del 29/11/2004 musicalmente di Emanuele Battisti TIRATURA 4.000 copie DIRETTORE RESPONSABILE: Andrea Zaniboni COORDINAMENTO EDITORIALE E RESTYLING: Anna Barina GRAFICA: Elena Avanzini REDAZIONE: Valentina Pavesi HANNO COLLABORATO: Paola Artoni, Michele Ballarini, Emanuele Battisti, Alice Bertolini, Giovanni Bietti, Simonetta Bitasi, Luca Ciammarughi, Roberto Codazzi, Azio Corghi, Claudio Fraccari, Gian Paolo Minardi, Emanuele Salvato, Luca Segalla, Giorgio Signoretti, Alessandro Taverna EDITRICE: Associazione Orchestra da Camera di Mantova SEDE LEGALE, DIREZIONE, REDAZIONE: MANTOVA, Piazza Sordello, 12 Tel. 0376 368618 - E-mail: [email protected] 4 Pinnock, pioniere della Early Music IN ORCHESTRA a cura di Valentina Pavesi 27 Inedite sintonie. Prossimi appuntamenti targati Ocm 29 Engelbert Thies Due volte sostenitore RUBRICHE 30 35 AMICI Parolenote tra Britten e Beethoven MUSICA & ARTE Wagner, potenza artistica che va oltre la sfera musicale di Paola Artoni 31 36 QUADERNO DI VIAGGIO Organi storici, eccellenza italica di Guido Mario Pavesi 32 di Giorgio Signoretti 37 COLONNA SONORA Se Britten esalta Wes Anderson 38 GRAMMOFONO Gulli, poeta del violino di Michele Ballarini 34 LEGGERE Madame Sousatzka maternità musicale di Simonetta Bitasi di Claudio Fraccari 33 ALTRA MUSICA Il debito del jazz per la “forma estesa” IN PLATEA Pier Mario Vello, amore al primo ascolto con Vivaldi di Alice Bertolini CD - DVD Una Bohème sfacciatamente moderna di Luca Segalla Emanuele Battisti Alessandro Taverna Gian Paolo Minardi Dopo aver conseguito una Laurea in Lettere Moderne e un diploma in pianoforte ed in organo, Battisti ha ottenuto un Master in Composizione elettroacustica negli Stati Uniti, e un Master in Informatica Musicale in Francia. Da alcuni anni vive a Parigi, dove lavora come musicista e produttore. Nell’aprile 2012 ha fondato un’etichetta, attiva nel settore della musica elettroacustica e di improvvisazione, e attorno alla quale gravita un collettivo internazionale di compositori e musicisti. Alessandro Taverna si è laureato in Lettere e Filosofia all’Università di Bologna. Ha collaborato stabilmente alle pagine di cultura e spettacoli dei quotidiani emiliani del gruppo Finegil-L’Espresso e attualmente è il critico musicale per l’edizione di Bologna del Corriere della Sera. Oltre a collaborare con Rai Radio Tre, dal 1996 al 2002 ha curato e condotto la trasmissione quotidiana All’Opera! dal Teatro Comunale di Bologna, con il plauso della Corte dei Conti. Si occupa di temi musicali sulle principali riviste di settore. È nato e ha compiuto i suoi studi a Parma, dove ha insegnato quale professore associato di Storia della musica moderna. Oltre a numerosi articoli su riviste italiane e straniere e ad alcune collaborazioni alla stesura di enciclopedie musicali, ha pubblicato alcuni volumi. Svolge attività critica per Amadeus, Opéra International, Classic Voice. Dal 1973 è critico musicale della Gazzetta di Parma È stato consulente artistico di alcune iniziative musicali, tra cui il Festival Mozart di Salsomaggiore. musicalmente 5 BEETHOVEN secondo noi Tempo d’Orchestra chiude con una tre giorni dedicata alla “Nona Sinfonia”. Coinvolgendo bimbi e adulti, curiosi e appassionati. Si inizia il 24 aprile 6 musicalmente IN COPERTINA Le AFFINITÀ elettive. Una vita con l’Ocm Umberto Benedetti Michelangeli racconta il suo lungo rapporto con l’orchestra che ha contribuito a crescere e che ora torna a guidare nel segno di Beethoven di Anna Barina Umberto Benedetti Michelangeli. Sotto, il musicista bresciano con l’Orchestra da Camera di Mantova Un ritorno, per celebrare insieme a quella che è anche una sua creatura il ventennale di Tempo d’Orchestra. È Umberto Benedetti Michelangeli, direttore ma prima di tutto «musicista», come lui ama definirsi, a chiudere le celebrazioni di questa stagione concertistica che ha visto l’Orchestra da Camera di Mantova festeggiare le sue venti primavere. Il grande artista bresciano, nipote del leggendario Arturo e figlio del violinista Umberto, salirà venerdì 26 aprile sul palco del Teatro Sociale per dirigere la monumentale Sinfonia n. 9 in re minore op.125 di Ludwig van Beethoven alla cui esecuzione partecipano il Coro da Camera Ricercare Ensemble diretto da Romano Adami e i solisti Olga Senderskaya soprano, Franziska Gottwald mezzosoprano, Thorsten Büttner tenore e Günes Gürle basso. Un legame a doppio filo quello tra Umberto Benedetti Michelangeli e l’Ocm. «Una scelta di vita» sottolinea lui, perchè non solo è uno dei direttori che più volte è salito sul podio dell’ensemble mantovano, ma è colui che, insieme al violinista Carlo Fabiano ne ha pensato e condiviso il percorso, umano e musicale, sin dagli albori. A lei l’onore di chiudere le celebrazioni per il XX di Tempo d’Orchestra. Un rapporto, quello con l’Ocm, lungo e solido che ha portato anche al Premio Abbiati. Come definirebbe questi “quasi” vent’anni insieme? «Ho conosciuto Carlo Fabiano proprio nel 1984 e abbiamo cresciuto insieme l’Orchestra da Camera di Mantova. Il mio con l’Ocm è un rapporto di appartenenza a tutti i livelli, un legame di assoluta e perfetta complementarietà. Negli ultimi anni abbiamo seguito percorsi diversi ma questo ha reso il nostro vincolo ancora più indelebile, ognuno di noi porta sempre dentro un pezzo degli altri. Credo che questo tipo di incontri avvengono perchè uno li ha già dentro e creano affinità elettive che nel tempo diventano un privilegio per tutti. Perchè non si tratta di una semplice collaborazione tra un direttore, un musicista e un’orchestra, ma della scelta di percorre insieme un cammino partendo da una radice comune che poi si sviluppa e ramifica. Questi vent’anni, insomma, sono senza dubbio l’esperienza più importante della mia vita. Una scelta che mi ha portato a rinunciare, per molto tempo, al normale percorso seguito da ogni direttore d’orchestra. Ho voluto fosse così perchè ho trovato le persone, i musicisti, l’ambiente, il modo di lavorare che inconsciamente avevo sempre cercato, qualcosa che è andato oltre il semplice rapporto funzionale ma anche oltre la musica che è l’unica situazione in cui io riesco ad essere me stesso». Beethoven è stato l’autore guida di un progetto iniziato nel 2001. Con l’Ocm ne ha percorso Sinfonie, Concerti ed opere sinfonico-corali. Ora torna a dirigere l’ultimo capolavoro sinfonico del maestro di Bonn, summa del suo mondo interiore e della sua concezione filosofica. Possiamo dire anche culmine della sua intesa artistica con l’Ocm? musicalmente 7 IN COPERTINA IL CORO Il coro Ricercare Ensemble con l’Ocm nel 2011 «Già dodici anni fa l’esecuzione della Nona era stata un vertice assoluto di comunanza e intensità, frutto di un lavoro sempre condiviso con l’Ocm e Carlo Fabiano. Una sera dopo l’altra, una città dopo l’altra, ne realizzammo sette: una maratona ricca di tale gioia che credo saremmo andati avanti a farne altrettante. Quello che mi auguro è che non accada nulla di troppo diverso da allora perchè, da un punto di vista interiore, sottoscrivo in pieno quell’interpretazione. Un tipo di consonanza assoluta che accade solo quando un evento si colloca totalmente fuori dalla dimensione temporale. Speriamo, oggi, di uscire dal tempo, di ritornare nello stesso luogo, ritrovare Beethoven e il suo mondo e attraverso la musica riconoscere anche noi stessi nel nostro rapporto». Sarà un Beethoven classico o attualizzato sulla scia di Mahler e Wagner? «Rispondo citando un’affermazione di Mahler stesso, secondo cui “la tradizione non è il culto delle ceneri ma la custodia del fuoco”. Intendo dire che il modificarsi del gusto non ha alcuna importanza, l’unica cosa da cancellare con orrore è l’idea di chinare il capo al passato e continuare a rievocare immagini di un tempo già andato: si tratterebbe di necrofilia e non di arte. Ben venga invece tutto ciò che esula da questo». Lei porta il cognome e il sangue di uno dei più grandi pianisti del secolo scorso, Arturo Benedetti Michelangeli. Un’eredità anche scomoda o piuttosto uno stimolo? «Ho avuto la fortuna di crescere in una tale libertà interiore che quando sono davanti al pubblico il mio ultimo pensiero è il mio cognome, che ho sempre vissuto con estrema naturalezza. Siamo in una società dove il nepotismo non difetta ma la verità è che nessuno della mia famiglia, volutamente, ha mai fatto qualcosa per agevolarmi o proteggermi, anzi, mi sono sempre sentito ripetere che ciascuno deve trovare la propria strada con le sue sole forze. E qui entriamo nel vivo della questione perché questo, semmai, costituisce un problema per chi pensa che io abbia avuto chissà quali facilitazioni. Da questo punto di vista posso dire che l’essere nipote o figlio di mi ha creato qualche svantaggio ma sono felice sia stato così perchè l’indipendenza di pensiero non si compra». Le difficoltà che attraversa l’Ocm, quasi a rischio sopravvivenza come molte altre realtà musicali italiane, è palese. Lei che lavora anche all’estero, come vive la situazione e quali spiragli avverte per il futuro? «È incredibile che in una nazione civile una realtà come l’Orchestra da Camera di Mantova, che da più di vent’anni è riconosciuta da tutti per 8 musicalmente Il nome del Ricercare Ensemble si è già legato in molte occasioni a quello dell’Orchestra da Camera di Mantova ed alla storia di Tempo d’Orchestra. La vicinanza fisica tra queste realtà ha avuto un peso in tante collaborazioni fortunate, dato che il Ricercare è il più rappresentativo insieme vocale mantovano; ma indubbiamente le esperienze d’ascolto degli ultimi anni hanno svelato anche belle sintonie d’intenti, particolarmente efficaci nel repertorio classico, con Mozart e Beethoven in primo piano. Coro di lunga esperienza e di vasto repertorio, sviluppato nell’ultimo ventennio sotto la guida di Romano Adami, il Ricercare rinnova, ora, il contributo decisivo che la celeberrima Nona Sinfonia beethoveniana richiede, contributo già apprezzato in occasione della passata “integrale” del ciclo sinfonico dedicato al maestro di Bonn. Riprendendo un filo in realtà mai interrotto. (a.z.) “Già a suo tempo la Nona era stato un vertice assoluto. Speriamo, oggi, di uscire dal tempo, ritornare nello stesso luogo, ritrovare Beethoven e il suo mondo e attraverso la musica riconoscere noi stessi nel nostro rapporto” “Ho avuto la fortuna di crescere in una tale libertà interiore che davanti al pubblico il mio ultimo pensiero è il mio cognome. Che mi ha tutt’al più creato qualche svantaggio. D’altra parte l’indipendenza di pensiero non si compra” IN COPERTINA “In Italia si rischia la morte della musica. Siamo di fronte ad una catastrofe epocale e per andare avanti è necessario inventare un nuovo e radicale modo di pensare” Benedetti Michelangeli la sua eccellenza, sia quasi costretta a chiedere l’elemosina. Lavoro fuori dall’Italia quel tanto che basta ad osservare con occhio critico quanto accade nel nostro Paese. Il problema vero è che qui, come in buona parte del mondo occidentale, è stato ucciso il Sacro, e con esso l’arte, e sostituito con l’esasperazione della razionalità, con l’uso esagerato della tecnologia, con la pretesa di razionalizzare e ricondurre ogni esperienza ad una sfera puramente mentale. La nostra civiltà non è in via di decadimento, è già putrefatta. I fenomeni a cui assistiamo non sono i sintomi ma gli effetti di un’entità morente. L’arte non c’è più e il rovescio della medaglia sono gli atteggiamenti isterici di adesione di massa a qualsiasi cosa, bella o brutta. In Italia stiamo pesantemente rischiando la morte della musica. C’è da non aver parole, ovunque ci si volta si trova un disastro nonostante altrove, dove le cose funzionano, non si faccia altro che rimpiangere le qualità musicali degli italiani, il loro senso naturale della musica, del canto, dell’arte e della bellezza in generale. La cultura è una conseguenza della coltivazione dello spirito, altrimenti significa solo leggere un libro che è la pratica dietro cui si rifugiano generalmente i mediocri per far vedere che capiscono, ma conoscere non significa capire. Siamo di fronte ad una catastrofe epocale e per andare avanti è necessario inventare un nuovo e radicale modo di pensare. Vorrei poter dire una parola di speranza ma in questo momento vedo molte tenebre, l’unica luce arriva dai nuovi talenti che, nonostante tutto, continuano a veder nascere. E speriamo siano anche dei nuovi profeti della musica». QUATTRO VOCI SOLISTE, UNA SCELTA PONDERATA «I problemi che crea la Nona per le voci sono ben noti sia per i solisti che per il coro, perchè è scritta in maniera talmente scomoda che anche nei casi migliori si possono manifestare situazioni imbarazzanti. Uno dei modi per cercare di limitare i “danni” che questa scrittura provoca è cercare di scegliere delle voci più morbide possibili». Così Umberto Benedetti Michelangeli parla della Sinfonia n. 9 in re minore op.125 di Ludwig van Beethoven che venerdì 26 aprile dirige al Teatro Sociale di Mantova per la XX Stagione di Tempo d’Orchestra, raccontando come ha selezionato personalmente il quartetto di voci soliste. «Franziska Gottwald ha un lungo rapporto di amicizia e collaborazione con l’Orchestra da Camera di Mantova. Ha preso parte a diversi progetti tra cui, dal 2004 al 2007, il ciclo incentrato sulla produzione sacra di Wolfgang Amadeus Mozart. È un meraviglioso mezzosoprano specialista del repertorio barocco, ma non solo, ha un voce intonatissima di una morbidezza straordinaria. Il soprano, Olga Senderskaya, è a mio giudizio una delle più belle voci per questo repertorio. Poco conosciuta in Italia, possiede una vocalità omogenea e duttile in tutta la tessitura. Con il tenore Thorsten Büttner non ho mai lavorato prima d’ora ma l’ho sentito un paio di anni fa e mi ha incantato per le stesse ragioni, morbidezza H LQWRQD]LRQH ,O EDVVR *QHü *UOH q di origine turca ma lavora al Teatro di Düsseldorf in Germania. Un paio d’anni fa ho diretto lì un Ratto del Serraglio di Mozart dove lui interpretava Osmin, ed ha una voce nobilissima tanto che secondo me il suo repertorio perfetto è anche Beethoven. Mi auguro che questa scelta favorisca la compattezza e l’armonialità tra le voci che, a parer mio, è auspicabile in qualsiasi repertorio ma in particolare nel caso della Nona Sinfonia dove le spigolosità vocali hanno bisogno di essere attenuate». (a.b.) Dall’alto in senso orario: Olga Senderskaya, Günes Gürle (Photo Antwerpen), Thorsten Büttner e Franziska Gottwald musicalmente 9 IN COPERTINA G. Klimt, particolare del fregio di Beethoven (Palazzo della Secessione, Vienna, 1902) «Dipingere la gioia è una delle più grandi sfide e lo scacco è in agguato, pure nella totale riuscita dell’impresa». Parole di Esteban Buch, ad apertura di un libro – apparso in Francia per le edizioni Gallimard – dedicato alla Nona di Beethoven e alla sua storia politica. Sulla sorte dell’ultima opera sinfonica del genio di Bonn si sofferma il musicologo di origine argentina in un saggio dove si scorrono le vicissitudini di un capolavoro senza precedenti nella storia della musica occidentale. E la storia prende avvio molto prima di una sera di mezza primavera nel 1824 a Vienna al teatro di Porta Carinzia, quando Beethoven non sentì nulla, nemmeno gli applausi che scuotevano la sala cui lui voltava le spalle. Per Esteban Buch la storia comincia con il lungo percorso di avvicinamento all’ode scritta da Friedrich Schiller nel 1785. La scelta coincide col tempo degli inni politici delle moderne nazioni europee. L’Inno alla Gioia in un primo momento assurge a inno dell’Europa musicale che tributa un omaggio a Beethoven e successivamente a inno dell’Europa che celebra i propri valori attraverso la musica di Beethoven. L’Ode alla gioia è un totem già nel 1845, quando sull’ultimo movimento sembrano di Alessandro Taverna convergere le celebrazioni nella Avventure della GIOIA Le vicissitudini di un capolavoro senza precedenti nella storia della musica occidentale. Storia politica della più celebre delle Sinfonie e del suo suggestivo Inno 10 musicalmente IN COPERTINA La storia comincia con il lungo percorso di avvicinamento all’ode scritta da Friedrich Schiller nel 1785 Dell’Inno beethoveniano tutti hanno sentito il diritto di appropriarsi, dalla Società delle Nazioni al Terzo Reich città natale di Beethoven. L’esecuzione dell’Inno ruba la scena perfino all’erezione del monumento al musicista. Ancor più simbolicamente, la Nona accompagnerà, nel 1870, la posa della prima pietra del teatro di Bayreuth, quando Richard Wagner rivendica la stessa sinfonia come opera tedesca. Con l’ampio ciclo pittorico di Gustav Klimt, presentato nel padiglione della Secessione a Vienna nel 1902, la Nona acquista un altro primato: è la prima opera musicale cui si tributa un ritratto. «La giustapposizione dell’eroe dipinto con le fattezze di Mahler e del gorilla libidinoso - scrive Esteban Buch - illustra la capacità del mito beethoveniano di riflettere le tensioni dell’anima borghese esplorata da Freud». Nel 1924 la Società delle Nazioni eleggerà l’Inno beethoveniano a simbolo della fratellanza fra i paesi, in un’aspirazione a ideali pacifisti, presto frenati dagli eventi che precipiteranno il mondo nella seconda guerra mondiale. «Il bacio al mondo intero» lanciato da Beethoven aveva fatto in tempo a diventare nella propaganda del Terzo Reich un ambiguo abbraccio nazionalista. Nel secondo dopoguerra l’Inno alla Gioia diventa inno ufficiale dell’unione europea – perdendo le parole con la complicità di Herbert von Karajan che ne cura l’arrangiamento – o come liturgia per la caduta del Muro di Berlino – mutuando Freude in Freiheit, stavolta con la complicità di Leonard Bernstein. Altre avventure toccarono a una sinfonia di cui tutti hanno sentito il diritto di appropriarsi, in forza della sua enorme suggestione. Eppure aveva scritto Wilhelm Furtwängler che «nell’animo di Beethoven vive qualcosa dell’anima di un bambino innocente». Pensava proprio alla Nona il direttore d’orchestra, senza sapere che fra gli orrori di Auschwitz un bambino era rimasto colpito dal canto intonato da un gruppo di prigionieri raccolti nelle latrine del lager. Tornato libero, il ragazzo scoprirà con stupore che quel canto che lo aveva colpito era l’Inno alla Gioia. BREVE DISCOGRAFIA DELLA NONA Con una composizione famosa come la Sinfonia n. 9 op. 125 di Beethoven si rischia di perdersi letteralmente nella produzione discografica ad essa dedicata anche perché si tratta di scegliere fra direttori e orchestre ma anche fra i cantanti del celebre ultimo movimento. Nell’ambito delle “robuste” e storiche interpretazioni segnaliamo quella del 1955 alla Wiener Staatsoper (Orfeo C669051B) con i Wiener Philharkoniker diretti da Bruno Walter; la qualità audio è ovviamente legata all’epoca ma certo una conduzione come questa è assolutamente da non perdere anche perché fra i quattro solisti di canto abbiamo il basso Gottlob Frick e soprattutto il soprano Hilde Güden. Venendo a un’epoca più recente senza dubbio il riferimento negli anni Settanta – con un’infinità di ristampe – è quello di Herbert von Karajan che nel 1976 registrò la Nona con i Berliner Philharmoniker e il poderoso Coro dell’Opera di Berlino. È una registrazione (DG 4158322) che anche dal punto di vista del video (DG WHS e Dvd 0721333) ha grande importanza non solo perché Karajan ha a sua disposizione un’Anna Tomowa-Sintow al meglio delle sue capacità e un tenore come René Kollo, ma anche perché il celebre direttore tedesco cura personalmente la “scena” del concerto con un gusto per l’ordine, per la simmetria di strumentisti e di coristi che ha fatto scuola. Claudio Abbado si è misurato più volte con la Nona, ad esempio con l’edizione apparsa nel 2002 (DG 4714912) nella quale abbiamo voci particolarmente belle come quelle femminili di Karita Mattila e Violeta Urmana; un’edizione che bene compete con quella precedente, del 1987, sempre per DG Universal (4195982) dove le voci hanno ormai un’importanza davvero storica, visto che si tratta di Gabriela Benacková, Marjana Lipovsek, Gösta Winbergh ed Hermann Prey. Non si può chiudere questa necessariamente ridotta rassegna senza segnalare almeno l’edizione registrata in occasione della caduta del muro di Berlino nel 1989 (DG 4298612) in cui il grande Leonard Bernstein sostituisce la parola Freude, Gioia, con Freiheit, Libertà. E fra le più recenti edizioni quella di Barenboim (Warner Classics 2564639272) con la sua West-Eastern Divan Orchestra, musicisti palestinesi ed ebrei insieme in una fratellanza di cui la Nona è diventata uno straordinario simbolo. Luigi Fertonani Bruno Walter musicalmente 11 IN COPERTINA Cura LUDWIG: Beethoven al cinema Carrellata su opere di cineasti che hanno derivato dalla “Nona Sinfonia” suggestivi complementi sonori di Claudio Fraccari Malcom Mc Dowel in Arancia Meccanica Certo non senza ragione, Ludwig van Beethoven ha conosciuto un’incredibile fortuna al cinema. Si contano a decine le pellicole dedicate alla sua vita; ma, piuttosto che sulle discutibili ricostruzioni biografiche, conviene concentrarsi sull’abbondante impiego della sua musica come colonna sonora: sono addirittura centinaia i film, dei generi più disparati, che annoverano brani tratti dal fastoso repertorio del grande compositore tedesco. Citando alla rinfusa, si va dal cartoon Fantasia di Walt Disney del 1940 (vi compare la Pastorale) al fumettistico V per Vendetta (J. Mc Teigue ‘05: Sinfonia n. 5), dal sentimentale Amata Immortale (B. Rose ‘94: Sonata Kreutzer, oltre a estratti di varie sinfonie) al drammatico Elephant (G. Van Sant ‘03: Per Elisa, Sonata al chiaro di luna) o al fantascientifico Equilibrium (K. Wimmer ‘02: Sinfonia n. 9). La Nona Sinfonia, appunto; la sua notorietà ha fatto sì che molti cineasti ne abbiano ricavato un suggestivo complemento sonoro. Gli esempi più recenti sono Musikanten (F. Battiato ‘05), Departures (Y. Takita, ‘08), Basta che funzioni (W. Allen ‘09), fino a L’era glaciale 4 del 2012. Né si può passare sotto silenzio il pur controverso esordio al cinema dello scrittore (e melomane) Alessandro Baricco: il suo Lezione 21 del 2008 mette in dubbio l’artisticità della Nona, ricostruendo fantasiosamente le circostanze della sua composizione. Tuttavia, il titolo più illustre che si abbevera alla fonte di Beethoven e della Nona Sinfonia è senza dubbio Arancia meccanica che Stanley Kubrick girò nel 1971, anche perché la traccia musicale è davvero parte integrante del testo. Il giovane e violento protagonista Alex (a-lex, senza legge) al termine delle sue scorribande notturne ascolta il secondo movimento, quasi a sublimare con la musica i crimini compiuti. Catturato, viene sottoposto alla “cura Ludwig”, ossia è costretto a vedere tra l’altro un filmato sui lager nazisti il cui sottofondo sonoro è il quarto movimento. La conseguenza è che l’amato Beethoven, specialmente il cosiddetto Inno alla gioia, diviene per lui fonte di nausea, panico, sofferenza. Un perfetto capovolgimento, forse una catarsi. 12 musicalmente La locandina del film Departures IN COPERTINA Più MUSICA per favore, maestro! Gli irriverenti consigli degli under 14. Il pubblico di domani ci racconta come vive l’esperienza di “Madama DoRe” Agata e Francesca In due anni Madama DoRe (l’edizione 2012/13 si chiude il 25 aprile, al Sociale, con una grande festa e l’esecuzione dell’Inno alla Gioia della Nona di Beethoven), ciclo di concerti che l’Orchestra da Camera di Mantova ha pensato per tutta la famiglia, è stato capace di raggiungere risultati insperati. In questi tempi di tagli, dove la cultura - e la musica con lei - è stata eletta a vittima sacrificale per risanare i bilanci, proporre concerti di musica classica a un pubblico “diverso” da quello che una distorta percezione della realtà ha associato a questa espressione alta delle sette note, poteva sembrare un azzardo. Senz’altro una scommessa. Un rischio? Forse, ma chi non risica... E basta recarsi al Bibiena, sede principale degli appuntamenti di Madama DoRe, per capire che questa sfida l’Ocm l’ha vinta. Sala sempre gremita, pubblico attento e, soprattutto, tante famiglie a teatro. Cosa inusuale. Emoziona davvero vedere come la domenica mattina una sala importante come il Bibiena possa riempirsi di bambini, ragazzi, genitori, nonni, zii. E a loro, utilizzatori finali del programma musicale proposto, abbiamo chiesto cosa pensano di Madama DoRe, dei suoi concerti, della sua formula. Nel bene e nel male, pregi e difetti. Per capire, creare un più feeling ancora più spiccato con il cosiddetto “pubblico di domani” e continuare a perfezionare la proposta. Pierfrancesco ha tre anni e mezzo, è tra i frequentatori più piccoli della rassegna. A teatro ci va con mamma e papà. Ma ha le idee chiare per conto proprio: «Troppe parole, voglio più musica», risponde quando gli chiediamo cosa ne pensa dei concerti. Quello che gli è piaciuto di più è stato il primo appuntamento della stagione in corso, quello con la musica etnica Dagli Appennini alle Ande, perché lui adora le percussioni e in quella performance ce n’erano parecchie, anche di esotiche. La mam- di Emanuele Salvato Emanuele e Francesco al concerto con un amico ma Marialuisa conferma che «ai bambini piace ascoltare la musica e quando ci sono troppe spiegazioni si perdono, si distraggono». Sulla stessa lunghezza d’onda Nicola, che al Bibiena per Madama DoRe ci va con tutta la famiglia: la moglie Lorenza e i due figli Matteo e Arianna. «Se devo dare un consiglio agli organizzatori - spiega Nicola - allora suggerisco di non eccedere con le sovratrutture e la didattica. La musica va ascoltata». Detto ciò, considera la proposta di alto profilo e «unica a livello provinciale». I suoi ragazzi vengono volentieri, anche se, ci confessa, sono tuttora «convinti di andare ad ascoltare canzoni». Emanuele e Francesco (5 e 9 anni) non si perdono un appuntamento di Madama DoRe e ad accompagnarli sono papà Marco e mamma Cecilia. «Siamo affascinati dall’atmosfera che si crea in questo teatro quando c’è un concerto» dicono all’unisono i due ragazzini. A tirar fuori qualche neo è invece il papà, che elogia l’iniziativa, «unica e di altissimo livello», ma suggerisce di guardarsi dal musicalmente 13 IN COPERTINA TOGLIAMOCI I TAPPI DALLE ORECCHIE! rischio di finir per «peccare un po’ di presunzione, sciovolando talora verso programmi forse adatti a un pubblico più adulto». E proprio «un Madama DoRe per adulti» è quello che chiede Giacomo, che al teatro di via Accademia viene con il figlio Filippo, accompagnato dall’amico Francesco. «Mi rendo conto - dice Giacomo - che questi concerti forniscono anche a noi adulti strumenti per capire meglio ciò che ascoltiamo. Nonostante siano pensati per bambini. Credo sarebbe meravigliosa una versione senior di Madama DoRe, che ci consentisse di proseguire il percorso di apprendimento». Ai due figli, entrambi di 8 anni, piace tutto della rassegna ma a conquistarli è soprattutto l’atmosfera che si crea in un teatro unico come il Bibiena. Un’analoga testimonianza è quella di Agata (3 anni), che intimidita dall’intervista, parla alla mamma affidando alle sue parole pensieri ed emozioni: «È affascinata dal Teatro Bibiena ci racconta Francesca -, lo trova bellissimo e le piace stare qui. Cerca proprio la musica, più che le parole. Ha una passione per il violino e il suo suono: c’è rimasta male in occasione delle Due regine, quando ha visto che non era tra gli strumenti in scena. I suoni troppo forti, quelli, invece, la spaventano ancora». Virginia e Sharmila, 8 anni, compagne di scuola, pur più grandicelle, concordano con Agata: «Le due regine ci è piaciuto moltissimo. Con spettacoli così belli ti incuriosisci e non ti annoi. Quando parlano troppo, invece... (ridono, ndr)». Vorreste più musica e meno parole, insomma, suggeriamo. Annuiscono spiegandoci che «a volte le parole sono troppe, tolgono spazio allo spettacolo». Entrambe sono 14 musicalmente Dall’alto, in senso orario: Marialuisa e Pierfrancesco; Licia, Giulia, Paola e Marco; Virginia e Sharmila; Luigi, Marina, Giulia e Silvia Da Musicalmente mi viene la richiesta di scrivere un breve pezzo sull’importanza di fare arrivare la musica alle orecchie dei bambini. Importanza che indirettamente implica il concetto di libertà. Spesso si parla genericamente di libertà a livelli di comodo tornaconto. Tuttavia sappiamo che è soprattutto la cultura a rendere liberi da pregiudizi e falsi miti. In tal senso anche la cultura musicale può contribuire al raggiungimento dell’obiettivo. Non dobbiamo “subire” la musica come sfondo neutro alle azioni quotidiane ma “viverla” accogliendo il significato del messaggio che da essa proviene. Si può vivere la musica nelle forme di partecipazione più facili e immediate: cantando, ballando, suonando uno strumento oppure accogliendo l’emozione profonda suscitata all’ascolto. Purché la comunicazione avvenga attraverso la conoscenza del linguaggio della cultura d’appartenenza. Ed è proprio questo punto di riferimento, nel momento dell’attuale globalizzazione, ad aprire la mente all’incontro con altre forme e modi di comunicare. Purtroppo nella nostra scuola dell’obbligo (lo vado ormai ripetendo da anni!) la musica non rientra fra le materie formative di una coscienza storico-critica del cittadino. Parallelamente osserviamo che la contaminazione fra generi artistici differenti (musica, pittura, balletto, cinema, televisione, nuove tecnologie elettroniche) sviluppa nei bambini altre istintive forme di comunicazione. Allora ben venga la lodevole iniziativa dell’Orchestra da Camera di Mantova intesa a favorire, all’interno di una condivisione generazionale fra bambini e genitori, l’avvicinamento al linguaggio della musica. A questo punto la qualità dell’offerta è d’obbligo: con i bambini non è possibile bluffare! Al riguardo è sufficiente scorrere il programma dell’iniziativa Madama DoRe per prendere atto della validità e serietà della impostazione. Resta da aggiungere che, per affrontare seriamente anche in Italia il problema dell’educazione musicale, occorre invitare i “nonni” - investiti da responsabilità politiche e legislative – a… “togliersi i tappi dalle orecchie”. Così, come nel lieto fine di ogni fiaba, anche la musica potrà arrivare più facilmente alle orecchie dei bambini. Azio Corghi IN COPERTINA APPUNTAMENTO IL 25 APRILE PER SCOPRIRE I SEGRETI DELLA REGINA DELLE SINFONIE Bimbi, genitori e nonni: tutti insieme concerto Un appuntamento davvero da non perdere, quello di lgiovedì 25 aprile al Teatro Sociale di Mantova (ore 11): insieme e con l’Orchestra da Camera di Mantova diretta da Umberto Benedetti Michelangeli, quattro grandi solisti e il Coro Ricercare Ensemble andremo a scoprire i segreti dell’Ode alla Gioia che conclude la Nona Sinfonia di Beethoven, il brano musicale più famoso di tutti i tempi. La Nona è, in tutti i sensi, un vertice, artistico ed umano: è la più lunga Sinfonia composta fino a quel momento (1824), le sue dimensioni e la complessità del linguaggio musicale oltrepassano di molto tutto ciò che era stato creato in precedenza. Ma la Nona ha un significato morale altrettanto importante: dieci anni dopo il Congresso di Vienna e l’inizio della restaurazione, Beethoven volle infatti mettere in musica nel Finale l’Ode alla Gioia di Schiller, un testo che canta la fratellanza tra gli uomini e l’”abbraccio” di tutti i popoli della Terra. Non a caso l’Ode alla Gioia beethoveniana è stata scelta come inno europeo, riconoscendone Sopra Nicola, Lorenza, Arianna e Matteo. A destra Filippo, Francesco e Giacomo l’altissimo valore musicale e simbolico, il messaggio di unione tra i popoli e le culture. L’incontro è dedicato proprio al quarto movimento di questa Sinfonia, in cui il compositore utilizza per la prima volta le voci umane, soli e coro, rompendo la tradizione esclusivamente strumentale del genere sinfonico. Utilizzando un linguaggio semplice ed accessibile, e con l’aiuto di moltissimi esempi musicali dal vivo, vedremo, passo dopo passo, il modo in cui Beethoven costruisce questo immenso edificio sonoro. Scopriremo come il significato della poesia di Schiller venga illustrato e amplificato dalla musica; sveleremo come il compositore utilizza l’orchestra, in che modo i diversi strumenti e le voci interagiscano nel creare l’effetto straordinario che ancora oggi lascia senza fiato gli ascoltatori di tutto il mondo; capiremo, infine, il senso di suprema sintesi della Nona, il modo in cui Beethoven fonde gli elementi più disparati per raggiungere un risultato davvero universale e sempre attuale. L’ultima tappa del nostro Madama DoRe 2013, insomma, ci permetterà davvero di scoprire il significato profondo e la grandezza di uno dei massimi capolavori mai realizzati da un artista. Ulteriore motivo per non mancare a questo appuntamento: l’incontro si concluderà con l’esecuzione integrale del Finale della Sinfonia. Giovanni Bietti già state a concerti serali, quelli “per adulti” - ci dicono e la loro preferenza va alle situazioni in cui l’orchestra è sul palco al gran completo. «Questa musica»: ci risponde, invece, Giulia, 8 anni, a teatro con mamma Paola, papà Marco e la sorellina minore, Licia di 6 anni, quando le chiediamo cosa le piace delle domeniche a concerto. La risposta è sintetica ma significativa. «Siamo abbonati da due anni e la scorsa stagione, tornate a casa da teatro, ha voluto a tutti costi che riascoltassimo in cd la Settima di Beethoven, tanto le era piaciuto ascoltarla dal vivo. Non solo, quest’anno ha voluto anche abbonarsi con me alla Serie Venere dei concerti serali di Tempo d’Orchestra e non ne vuole saperne di perdersene uno». Giulia e Marina hanno 7 anni, ex compagne d’asilo, entrambe alle prime armi con il pianoforte, grazie a Madama DoRe si sono ritrovate a teatro e, con una buona dose d’entusiasmo, ricordano concerti ascoltati e spettacoli visti. «La musica che ascoltiamo qui è bella e ci piace ascoltarla qui». Silvia, mamma di Giulia, ricorda come particolarmente indovinato l’appuntamento in cui la presentazione degli strumenti è stata veicolata attraverso l’associare dei loro suoni ad animali. «Apprezzo e trovo importante la scelta di non limitarsi a far ascoltare punto e basta, ma di spiegare, offrire una chiave di lettura. Certo, poi sta a noi genitori non lasciare che l’esperienza si concluda una volta usciti da teatro: l’ascolto anche a casa è fondamentale». «Condivido, iniziamoli alla musica vera, da subito», fa eco Luigi, papà di Marina. musicalmente 15 I CONCERTI Festa barocca a Madama DoRe Storia di un sovrano che amava danzare e di un cardinale che amava cantare. Correva l’anno 1700... ZEFIRO: RIFERIMENTO INTERNAZIONALE Festa barocca è il quarto appuntamento del ciclo Madama DoRe 2012/13. L’ideazione e realizzazione dello =DÀUR(QVHPEOH spettacolo porta la firma di Zefiro ensemble. Fondato nel 1989, dagli oboisti Alfredo Bernardini e Paolo Grazzi, e dal fagottista Alberto Grazzi, è complesso con organico variabile specializzato in quel repertorio del 700, in cui i fiati hanno un ruolo di primo piano. In questi anni Zefiro è diventato un punto di riferimento internazionale, per il repertorio di musica da camera del ’700 e ’800 con strumenti d’epoca. I biglietti per il concerto (5 euro fino ai 14 anni, 6 euro adulti accompagnatori, 8 euro adulti) sono in prevendita al botteghino della sede dell’Orchestra da Camera di Mantova (tel. 0376 1961640, [email protected]). 16 musicalmente Il dipinto La danza nuziale di Pieter Bruegel il Giovane È la storia di un re che amava danzare e di un cardinale che amava cantare, che si svolge intorno all’anno 1700, quella che domenica 10 marzo approda sul palcoscenico del Teatro Bibiena di Mantova (ore 11), nell’ambito della rassegna Madama DoRe - Musica formato famiglia dell’Orchestra da Camera di Mantova. In Francia, mentre Lully insegnava al Re Sole i passi delle gavotte e minuetti, si inventavano i nuovi strumenti a fiato, tra cui l’oboe ed il fagotto. In Italia, dove l’opera era di gran moda e persino i cardinali ne andavano matti anche se era a loro proibita, si perfezionavano il violino ed il violoncello. I tedeschi, prendendo di qui e di là, componevano nel loro stile misto, combinando danze gioiose, adagi melanconici con allegri brillanti. Il clavicembalo, amato in tutta l’Europa, gentilmente si prestava ad accompagnare tutti gli altri strumenti, ma poteva anche suonare delle splendide arie tutto da solo. Le partiture dei grandi Haendel, Bach, Telemann, Corelli, Vivaldi e Hotteterre sono sopravvissute fino ai nostri giorni e ci permettono di rivivere quelle emozioni come se tutto stesse accadendo ancora oggi. Questo, nel dettaglio, quanto l’Enzemble Zefiro, specialista tra i più apprezzati nel repertorio, proporrà con Festa barocca: Passacaglia dalla sonata op.5 n.4 in sol maggiore di Haendel, Allemande, grave e gigue dalla suite op.5 n.3 in do maggiore di Hotteterre, La Follia op.5 n.12 (selezione) di Corelli, Aria dalle Variazioni Goldberg BWV 988 per cembalo solo di Bach, Triste, dalla sonata in fa minore per fagotto e basso continuo di Telemann, Allegro dalla sonata RV 41 in fa minore per violoncello e basso continuo di Vivaldi e Andante, gavotta e hornpipe dalla Sonata op.5 n.1 di Haendel. Alfredo Bernerdini, oboe dell’ensemble, farà da narratore, offrendoci una chiave di lettura di quanto si andrà ad ascoltare anche grazie ad Alberto Grazzi, fagotto, Nicholas Robinson, violino, Gaetano Nasillo, violoncello, Anna Fontana, clavicembalo. I CONCERTI Alexander Lonquich La sempre richiamata definizione goethiana del quartetto d’archi, «una conversazione tra quattro persone ragionevoli», sembra dissolvere il senso di assolutezza che racchiude l’essenza dello stile classico se spostiamo l’osservazione ad un altro quartetto, dove il mirabile equilibrio tra i quattro strumenti sembra come turbato dall’ingresso del pianoforte al posto del secondo violino (come si ascolterà il 12 marzo al Bibiena di Mantova, ndr). Inevitabile lo stacco tra l’intuizione dello spirito nuovo che Haydn aveva impresso ad un genere strumentale fino allora avvolto entro la trama della consuetudine e l’impressione, appunto, che tale consuetudine mantenga le sue ragioni nell’altra produzione cameristica, nata per soddisfare nella stessa varietà di combinazioni strumentali le istanze di una società di conoscitori, Kenner und Liebhaber, che si apriva alla musica con una nuova spinta comunicativa. Andava così definendosi una distinzione tra un genere “dotto”, quello del quartetto d’archi, e un altro legato all’intrattenimento concertistico, in cui figuravano organici differenziati, con una presenza non occasionale del pianoforte. Naturalmente trascende tale distinzione la voce ineffabile di Mozart che i due versanti abbraccia entrambi con la sua sempre sorprendente circolarità; se mai i due mirabili quartetti con pianoforte sembrano occhieggiare al mondo, dai lui prediletto, del concerto. Certo l’entrata in scena del pianoforte nel calibrato spazio cameristico segna un fatto nuovo, per il carattere proprio e per la connotazione sociale dello strumento che, espressione di una cultura borghese, si apprestava a diventare un protagonista dell’età romantica aprendo le vie poco praticate del virtuosismo. Una vocazione, quella virtuosistica, che si intrecciava con compiaciuta eleganza entro le trame di quel discorrere musicale non ancora sublimato in una superiore cifra stilistica. Sono le tentazioni offerte da quello di Gian Paolo Minardi che verrà chiamato Biedermeier e che L’entrata in scena del pianoforte nel calibrato spazio cameristico segna un fatto nuovo anche per la connotazione sociale dello strumento In quattro. Con il PIANOFORTE Riflessioni sulla musica da camera con tastiera nella tradizione romantica tedesca in attesa del concerto del 12 marzo al Teatro Bibiena di Mantova musicalmente 17 I CONCERTI Mozart abbracciava i due versanti con la sua sempre sorprendente circolarità Punto culminante di tale genere è segnato da Brahms per la virtualità sinfonica del suo pianismo tocca non marginalmente anche la formula del quartetto con pianoforte. Si cimenterà con essa il quindicenne, scalpitante virtuoso, Beethoven con i tre Quartetti (WoO 36) che sembrano cogliere le ultime scintille dei divertimenti haydniani. Ma poi per Beethoven il quartetto sarà solo quello per archi, salvo l’occasionale riduzione a quattro, archi e pianoforte, del Quintetto per pianoforte e fiati op.16. Addirittura dodicenne Mendelssohn quando scriverà i tre Quartetti, rispettivamente op.1, 2, 3, l’ultimo con dedica a Goethe. E pure Schumann, che poi iscriverà nella categoria quella perla assoluta che è il Quartetto op.47, comporrà poco più che adolescente un Quartetto in do minore che nei lontani ricordi diaristici rievocherà come pagina romantica, quella che per la prima volta gli aveva svelato una nuova vita poetica. Una confessione che, avvalorata come meglio non si potesse dal Quartetto op. 47 e dal quasi gemello Quintetto op. 44, sta a indicare come - qualcuno ha parlato di redenzione – quella forma avesse del tutto lasciato alle spalle la propria origine cordiale e disimpegnata per aprirsi a interrogativi e a problematiche ben più ampie e coinvolgenti, nella stesso spessore del linguaggio riflettente spesso l’idea sinfonica. Punto culminante di tale “redenzione” è segnato da Brahms coi suoi tre Quartetti con pianoforte, proprio per la virtualità sinfonica del suo pianismo, come aveva subito presagito nel primo incontro col ventenne amburghese Schumann all’ascolto delle prime Sonate, “sinfonie mascherate” dirà nel profetico viatico Neue Bahnen. Una pratica cameristica quella che si dirama attivamente in quei decenni entro la quale il quartetto con pianoforte ritrova una propria vita: troviamo quelli di Reinecke e di Rheinberger, tre ne scrive Friedrich Kiel, due Reger, come pure Robert Fuchs e uno ne scriverà il giovane, talentoso Richard Strauss. Non manca neppure il nome di Mahler, con quell’unica pagina cameristica (Klavierquartettsatz) nata sui banchi di scuola e rimasta incompiuta, quasi segno di un destino che avrebbe oltrepassato altri più sconvolgenti orizzonti. QUATTRO STRAORDINARI CAMERISTI SI INCONTRANO AL BIBIENA Quattro straordinari cameristi per un appuntamento da non perdere, martedì 12 marzo (ore 20.45) al Teatro Bibiena di Mantova. Sono Alexander Lonquich, che davvero non necessita di presentazioni per il pubblico di Tempo d’Orchestra, Carolin Widmann, violino, Veronika Hagen, viola (che sostituisce Diemut Poppen, infortunata) e Enrico Bronzi, violoncello. Recentemente nominata Artista dell’anno agli International Classical Music Awards, la violinista tedesca Carolin Widmann ha compiuto gli studi musicali con Igor Ozim a Colonia, Michèle Auclair a Boston e David Takeno a Londra. È ospite regolare di rinomati festival sia in veste di camerista che di solista con importanti orchestre. Professoressa di violino al Conservatorio Felix MendelssohnBartholdy di Lipsia, incide, tra le altre, per l’etichetta Emc. Allieva di Helmut Zehetmair al Mozarteum di Salisburgo e di Hatto Bayerle alla Hochschule di Hannover, Veronika Hagen (viola) nel 1981, 18 musicalmente fonda con i fratelli Lucas e Clemens e Angelika il Quartetto Hagen, col quale, in oltre trent’anni di straordinari successi, tiene concerti in tutto il mondo. L’attività cameristica la vede anche collaborare con Elena Bashkirova, Joshua Bell, Gérard Caussé, Ivry Gitlis, Paul Gulda, Tatjana Grindenko, Steven Isserlis, Gidon Kremer, Heinrich Schiff. Protagonista, in parallelo, di un’importante carriera da solista, incide per Deutsche Grammophon. Come Lonquich, anche il violoncellista Enrico Bronzi è volto noto agli affezionati di Tempo d’Orchestra: fondatore dell’apprezzatissimo Trio di Parma, con questa formazione, con la quale è stato più volte ospite della rassegna mantovana, si è imposto nei concorsi internazionali di Firenze, Melbourne, Lione e Monaco di Baviera, ricevendo peraltro il “Premio Abbiati” della critica musicale italiana. Dal 2001, in seguito alle affermazioni al Concorso Rostropovich di Parigi e al Paulo Cello Competition di Helsinki, inizia un’intensa attività solistica. (va) Carolin Widmann Veronika Hagen Enrico Bronzi (foto Francesco Fratto) NOTE ALL’ASCOLTO di Andrea Zaniboni Alexander Lonquich Mantova | Teatro Bibiena Martedì 12 marzo 2013, ore 20.45 a INSERTO ESTRAIBILE G. Mahler, Klavierquartettsatz R. Schumann, Quartetto in mi bem. magg. op. 47 J. Brahms, Quartetto in sol min. op.25 Il “Tempo di quartetto con pianoforte” (1876), in la minore, è opera di un Mahler appena sedicenne e, all’epoca, ancora agli esordi. Si tratta del primo movimento di un lavoro rimasto incompiuto, noto a noi per un caso fortuito. Il ritrovamento è infatti relativamente recente, tanto che la prima esecuzione moderna risale al 1964. D’altronde, le pagine completate consentono di annotare la cifra di uno stile debitore sì di echi brahmsiani e schumanniani, eppure proiettato in un clima teso ed inquieto, profezia di ben altre tensioni, linguistiche e no, che appariranno con maggiore evidenza, in Mahler, di lì a poco. La forma-sonata, con esposizione, sviluppo e ricapitolazione finale, vi è liberamente trattata e volge ad un epilogo con progressivo spegnimento del suono. Ma non è solo questa insolita conclusione a rivelare un tono interrogativo. Può essere anche interessante rilevare il ripescaggio della formula (miniaturizzata) della cadenza d’origine classica, in qualche modo in contrasto con lo spirito del camerismo. L’equilibrio tuttavia vi è ricercato con la differenzazione dei soggetti, pianoforte e violino, entrambi lontani da azioni decorative o superficialmente esibizionistiche. Di quella che Mahler considerò «la migliore cosa delle composizioni giovanili», restano anche poco più di venti battute attribuibili ad un movimento di “Scherzo” in sol minore, abbozzo che si esaurisce in una traccia improvvisamente interrotta, per sola tastiera. Su tale materiale, Alfred Schnittke (19341998) ha realizzato un Quartetto (1988) dove Mahler emerge come pura sollecitazione, senza dar luogo, dunque, ad intenti ricostruttivi. Incluso fra gli interpreti-guida del Romanticismo musicale, Schumann firma Carolin Widmann, violino Veronika Hagen, viola Enrico Bronzi, violoncello il suo Quartetto in mi bemolle sul finire del 1842, due mesi dopo aver concluso il celebre Quintetto con pianoforte op.44, lasciando un esempio entrato con pieno diritto nella storia della musica cameristica e nel cuore di quella che s’è definita musica poetica. Se la musica poetica («né gioco, né passatempo», nelle parole del compositore) fa vibrare l’essenza più nobile dell’invenzione, essa diviene, per forza di cose, l’alternativa più radicale a quella destinata a decorare i salotti borghesi ed aristocratici con bravure esteriori. L’elaborazione del linguaggio che si compie nello Schumann “da camera”, in senso generale, ha queste origini, affiancando la dimensione spirituale ad una sorta di missione moralizzatrice, con la quale ogni elemento della scrittura si pone al servizio dell’espressione ed in particolare di un lirismo che affonda le radici nel canto ed in quel suo capitolo, emblematico nell’area tedesca, che è il Lied, permeato di alta letteratura. Tutto ciò vibra con autenticità e splendore d’iispirazione nel Quartetto op.47, costituito da quattro intensi movimenti dai climi differenziati, ricchi di spunti originali anche sul piano formale. L’indomani della prima esecuzione privata, avvenuta nell’aprile del 1843 (la “prima” pubblica non sarebbe giunta che nel dicembre 1844), la moglie di Schumann, Clara, annotando l’evento, vi dedicava qualche parola di commento, dicendosi «realmente incantata da quest’opera, tanto fresca e tanto giovanile quanto una prima prova d’artista». Il primo dei tre quartetti con pianoforte firmati da Johannes Brahms venne compiuto entro il 1861 ed eseguito per la prima volta in pubblico l’anno seguente. Opera giovanile (il maestro tedesco, all’epoca, era un giovanotto ventotten- Mahler (1902) ne) ma non scaturita da particolari intenti imitativi dal momento che la tradizione ottocentesca del genere non può considerarsi primaria, nonostante il sostegno di esempi illustri, il Quartetto in sol minore emerge con una originalità di segno razionale, già caratteristica di un orientamento che in Brahms è tutt’altro che episodico. Conservatore nella scelta dell’etichetta esteriore, in realtà il compositore d’Amburgo sperimenta con successo una tecnica compositiva che tende a creare un fitto reticolo di relazioni tematiche e motiviche interne. Ne deriva quella che è stata indicata (da Carl Dalhaus) come una forma “logica”, distinta dalla forma “architettonica”. Un aspetto complesso, questo, che Brahms rende moderno con l’accentuazione dell’approccio speculativo, tramite una relazione finemente coltivata fra micro e macrostruttura. Detto questo, se i temi e le idee del Quartetto op. 25 non ambiscono ad un potere illustrativo, e né ad un sentimentalismo pago di sé stesso, il finale “alla zingarese” nella sua scrittura apparentemente improvvisatoria non nega tale indirizzo, ma anzi va a sottolinearlo con fenomenale abilità, dando luogo ad una «contaminazione dei generi che è una delle carte vincenti dell’Ottocento musicale» (G. Salvetti). Dominio esclusivo dei professionisti, questa musica da camera entra prepotentemente nelle sale da concerto, sciogliendo i legami storici con l’ambiente domestico. musicalmente 19 N NOTE ALL’ASCOLTO Orchestra da Camera di Mantova Viktoria Mullova, violino Carlo Fabiano, violino concertatore Nella dinamica evolutiva della musica europea, il Novecento inglese non occupa una posizione preminente. Ed il fatto che l’Inghilterra si sia saggiamente dotata di una diffusa cultura di base ha portato – anche per spontaneo attaccamento alle tradizioni – ad osservare ed assorbire, più che a osare sul terreno degli esperimenti più spericolati, in funzione di una relazione non astratta con la realtà. Rappresentante evidente di questa sensibilità è stato Benjamin Britten (1913–1976), il quale ha dimostrato ancora una volta come non sia necessario forzare il linguaggio per realizzare l’attualità dell’arte. Questa scelta espressiva, che per Britten ha significato il ripensamento delle maggiori correnti continentali, non ha ovviamente semplificato la forma comunicativa, e ha imposto una misura stilistica attentissima, proprio perché esposta ai rischi della citazione. Nell’ambito della sua produzione strumentale, piuttosto estesa – ma in Italia pressoché ignorata dalle istituzioni concertistiche – emerge la Simple Symphony (“Sinfonia semplice”) che gioca la sua credibilità sul magistero della scrittura per soli archi e sulla freschezza di un’ispirazione fremente. Fu scritta tra la fine del 1933 e l’inizio dell’anno seguente (prima esecuzione nel marzo del 1934) da un Britten soltanto ventenne eppure già chiaramente consapevole del proprio talento, venendo pubblicata come opera 4 dopo una Sinfonietta, un Fantasy Quartet ed una serie di variazioni per coro a cappella: i materiali tuttavia derivano in parte da opere ancor più giovanili, scritte nella pre-adolescenza, ripresi e ricollocati in una nuova dimensione di espressione e di forma. I titoli dei quattro concisi movimenti suggeriscono uno stilizzato neoclassicismo dal tono felicemente disimpegnato: per il primo, “Bourrée tumultuosa” (in forma-sonata, con temi prestati da una suite pianistica e da una pagina vocale); per il secondo “Pizzicato scherzoso” (anche qui due motivi 20 musicalmente Mantova, Teatro sociale | ore 20.45 Mercoledì 20 marzo 2013 B. Britten, Simple symphony B. Britten, Soirées musicales op. 9 (after Rossini) L.v. Beethoven, Concerto in re magg. per violino e orchestra op.61 Benjamin Britten di simile provenienza, a comporre una forma ternaria che centralmente insiste sul ritmo scandito dagli archi gravi); a seguire, una commossa “Sarabanda sentimentale” (qui i temi provengono da opere pianistiche) che è la sezione più estesa e di maggior spessore espressivo, ed il cui carattere oscilla tra patetismo e drammaticità; mentre la conclusione della Sinfonia è affidata ad uno stringato “Finale giocoso” di aperta vitalità, costruito su altri due temi ancora d’origine pianistica e vocale. Da un intento più pratico, legato alla commissione di musiche per organico da camera utilizzabili in una pellicola della tedesca Lotte Reininger (La dote, 1937), le Soirées musicales op.9, ricollocate, con questo titolo e con adeguato arricchimento strumentale in seguito anche in due balletti (l’uno coreografato da Anthony Tudor per un palcoscenico londinese e l’altro da George Balanchine per una tournée in America Latina, tra il 1938 ed il 1941), esplorano invece con tocco incantevole l’esercizio della trascrizione per orchestra, con una preziosa scrittura di cristallina trasparenza, saggio di una conoscenza strumentale certamente spiccata. I materiali rossiniani, che vengono riletti con pieno rispetto, provengono in buona parte dalla raccolta delle omonime Soirées musicales per canto e pianoforte, mentre l’iniziale “Marcia” è estratta dalle danze del Guglielmo Tell. Saggio di bravura di un purissimo talento creativo. Se si esclude un abbozzo giovanile risalente agli anni di Bonn, il Concerto in re maggiore per violino e orchestra si inserisce nell’elenco di opere beethoveniane come una sorta di novità isolata, tra l’altro rimasta sorprendentemente senza alcun seguito. Nel campo della scrittura per violino e orchestra Beethoven per la verità produce precedentemente le due note Romanze op.40 e op.50, ma dimensioni e carattere rendono conto di un atteggiamento che sfiora la disinvoltura, sebbene in entrambe si riscontri una pregevole eleganza di tratti; le Romanze infatti posseggono il tono dei lavori d’occasione, seppur confezionati con bella cura. Un impegno ben diverso sostiene invece l’unico Concerto, compiuto alla fine del 1806 ed eseguito il 23 dicembre dello stesso anno dal ventiseienne violinista viennese Franz Clementi, il cui gran talento precoce aveva ispirato la composizione dell’opera. La scrittura di questo importante lavoro in gran parte sottolinea, sviluppa e indaga l’elemento lirico inteso come fondamento poetico: non v’è frase o inciso, o passaggio, sia pure piegati alla decorazione virtuosistica, che sfugga al sacro principio della cantabilità, qui coltivato con sensibilità somma. L’ideale cantabile di Beethoven in questo senso rivela, o meglio riafferma, il primato del pensiero sulla manualità. Tale principio, evidente, sorregge l’ispirazione del Concerto collocando la bellezza purissima dei motivi e la fluidità della scrittura violinistica in primo piano. Mentre sullo sfondo, come da lontano, la tensione drammatica inquieta lo spirito beato tra le volute melodiche: una pulsazione velata ma febbrile, insinuata tra le effusioni del canto. Tal che il Concerto si trasfigura in itinerario spirituale, meditazione errabonda che soltanto nel gioioso finale ristabilisce quella tradizione consolatrice che è propria dei movimenti ultimi di quell’epoca. N NOTE ALL’ASCOLTO Trevor Pinnock Martedì 16 aprile 2012 Mantova, Teatro Bibiena | ore 20.45 Matthew Truscott, violino Jonathan Manson, viola da gamba Musiche di D. Buxtehude, D. Scarlatti, G.F. Haendel, J.P. Rameau, M. Marais, J.S. Bach Le due Sonate di Scarlatti scelte fra le oltre 500 catalogate (la edizione Ricordi firmata da Longo giunse nel 1906, mentre quella dell’americano Kirkpatrick, ricordato appunto dalla iniziale maiuscola puntata del suo cognome seguita dal numero progressivo attribuito ad ogni Sonata, venne pubblicata alla metà del Novecento) esprimono esempi probanti della vitalità e della estrosità inventiva del compositore napoletano, che una volta trasferitosi prima a Lisbona e poi in Spagna al seguito di Maria Barbara di Braganza (figlia del re Giovanni V del Portogallo e quindi moglie di Ferdinando di Borbone), riuscì nell’intento di realizzare un’arte di pronto consumo e di sicuro apprezzamento, pur nei confini della corte che l’aveva assunto con piena consapevolezza delle sue non comuni qualità. Le due Sonate, entrambe in re maggiore, rispondono ad una ipotesi di raggruppamento che il Kirkpatrick ebbe modo di affermare a suo tempo; secondo lui l’idea di Scarlatti fu proprio quella di stabilire, in molti casi, una consequenzialità fra le opere. Fra la K.490 e la K.492 il revisore collocò la K.491 – qui omessa – nella medesima tonalità, supponendone la concatenazione. Il possibile trittico ridotto a coppia suggerisce pertanto una semplice vicinanza secondo un’idea di contrasto: la Sonata K.490 (Cantabile) ha l’andamento di una danza lenta, con elementi capricciosi che ne esaltano l’originalità di disegno, mentre la K.492 (Presto) è una tipica pagina di virtuosismo, dal ritmo incalzante: due momenti d’una creatività che è spesso sublimazione di danza, di materiali popolari, sotto la luce di un continuo sfuggire alla banalità della citazione con l’ausilio di elementi sintattici colti, ed una sensibilità armonica modernissima. Pubblicate nel 1741, quando Rameau, eminente teorico e compositore francese era ormai prossimo ai sessant’anni d’età, le Pièces de clavecin en concerts rappresentano la unica sua produzione “da camera” imponendosi come prove di notevole e moderna originalità. Furono destinate ad un insieme di tre strumenti: oltre il cembalo, dalla presenza particolarmente elaborata, un violino (sostituibile con il flauto) e viola da gamba (o altro violino), utilizzati secondo ruoli paritari. In tal senso la rivoluzione di Rameau è quella – senza che ciò conduca a strutture polifoniche dominate dalla logica, come avviene nel caso di Sebastian Bach – di realizzare una scrittura che rende i tre protagonisti strettamente interconnessi, e proiettati verso un ideale sonoro ricco e luminoso, pulsante sul piano ritmico e liberamente fantasioso su quello della sintassi. Eleganza, forza e viva immaginazione sono le qualità di questi lavori (cinque in tutto) organizzati in forma di “suite” ed in cui ogni movimento viene provvisto di un titolo che si riferisce, di volta in volta, ad una persona, oppure ad una località o ad un carattere umano. Nel n.3 si veda appunto “La Pouplinière” (Le Riche de la Pouplinière fu un mecenate al quale Rameau dovette l’ingresso nella prestigiosissima Académie Royale de Musique di Parigi), o nel n.4 “La Rameau”, probabile omaggio del compositore alla moglie, MarieLouise Mangot. Marin Marais, è stato scritto, ha “fondato e fermamente stabilito l’impero della viola da gamba” ed è certamente una delle figure di spicco della scuola francese, appartenendo alla medesima generazione di Corelli, Purcell, Pachelbel, e precedendo di un ventennio Vivaldi e di un trentennio Bach. Nato a Parigi nel 1656 e nella stessa città scomparso a 72 anni alla fine di una carriera brillantissima, Marais, ancora ventenne, dopo essersi formato alla scuola di Sainte-Colombe, divenne “musicqueur de la Chambre du Roy”, ruolo in seguito praticamente più abbandonato, ed onorato con un numero impressionante di composizioni, circa settecento, in buona parte per viola da gamba e basso continuo, distribuite in cinque Livres e due altre raccolte. Le Labyrinthe è una densa, mirabile ed ar- ticolata pagina estratta dal quarto libro di Pièces de viole, pubblicato nel 1717, ed il suo titolo pare riconduca allo spettacolare labirinto della reggia di Versailles, in qualche maniera evocato da una espressiva scrittura dall’andamento bizzoso che solo nel finale assorbe, con una maestosa ciaccona, il principio del tema con variazioni. Le 6 Sonate che Bach dedicò al “Cembalo certato è violino solo, col Basso per Viola da Gamba accompagnata se piace” (questo il titolo originale) vennero scritte tra il 1717 ed il 1722, negli anni del servizio che egli prestò come “Ufficiale di casa” alla corte del principe Leopold di Anhalt-Cöthen, musicista dilettante di tutto rispetto che suonava il cembalo e la viola da gamba, e sapeva scegliere con la cura necessaria il personale destinato ai propri intrattenimenti, essenzialmente a carattere privato e destinati alla sottolineatura del potere e della benevolenza. La corrente titolazione delle Sonate (“per violino e clavicembalo”) pone in primo piano lo strumento ad arco facendo supporre il ruolo secondario della tastiera. In realtà i due strumenti sono utilizzati con ruoli paritari e reciprocamente complementari. Anzi, l’idea di Bach è quella di ricavare un dialogo fra tre parti, scomponendo in due linee indipendenti (mano destra e mano sinistra) la scrittura per cembalo. Il modello al quale egli si attiene in quasi tutti i casi (meno uno, l’ultimo) è quello della cosiddetta “sonata da chiesa”: quattro tempi, con alternanza di movimenti lenti e veloci secondo la formula corelliana precedentemente codificata, ed un mutamento di tonalità affidato al penultimo (nel caso la tonalità d’impianto sia in modo “maggiore” si crea novità con il relativo “minore” o viceversa). Fantasia, senso delle proporzioni, ricercata successione di differenti impronte di stile, aprono il fiume di un sapere organizzato e vivo da cui emerge una mirabile coniugazione fra lucidità di pensiero ed azione strumentale. musicalmente 21 N NOTE ALL’ASCOLTO Orchestra da Camera di Mantova Coro da Camera Ricercare Ensemble Olga Senderskaya, soprano Franziska Gottwald, mezzosoprano Thorsten Büttner, tenore Günes Gürle, basso Umberto Benedetti Michelangeli, direttore La Nona Sinfonia di Beethoven è divenuta, per una vera miriade di ragioni, uno dei miti assoluti della storia musicale: anche lo Stanley Kubrick dello scandaloso “Arancia meccanica”, sia pure tra l’orrore dei puristi, diede nell’ormai lontano 1971 il suo piccolo contributo alla vita moderna di questa partitura, che racconta la storia e miracolosamente ci indica il futuro con un atto di fede e di speranza utilmente autentico. Apice dell’esperienza sinfonica di Beethoven, la Nona è sublime prova d’arte ove rigurgitano idee e si manifestano ideali; perciò si può affermare che la spettacolarità appartenente all’evento esecutivo è un fatto qui perfettamente proprio e non un inutile e gratuito gesto pletorico. Originando da «una lotta di carattere grandioso fra l’anima che aspira alla gioia e la pressione della potenza ostile che si interpone fra noi e la felicità terrena» (così Wagner intese il primo movimento) per giungere alla piena riconciliazione con il mondo, l’ultima Sinfonia beethoveniana ebbe una lunga gestazione, derivando anche da riflessioni, schizzi e intenzioni risalenti persino agli anni giovanili, e deve indubbiamente molto della sua universale celebrità al senso di protagonismo concesso alla massa: pubblico, insiemi strumentali e corali, sono tutte parti attive di un atto comunicativo che ha per oggetto l’uomo, l’ideale della armoniosa convivenza nel segno della Gioia, bella scintilla di Dio. Perciò questo capolavoro mette d’accordo credenti e non credenti e sopravvive con il suo ruolo simbolico di faro per l’umanità. La Nona fu presentata al Teatro di Porta Carinzia a Vienna, alle 19 del 7 maggio 1824 (in Italia approdò molto più tardi, nel 1878 a Milano diretta da Franco Faccio, noto interprete verdiano) in un programma completato da tre parti della Missa solemnis e dalla Ouverture per la rappresentazione mitologica La consacrazione della casa. Chi realmente abbia diretto questa prima esecuzione ancora non è certo, e nemmeno lo studio dei cosiddetti “quaderni 22 musicalmente Mantova, teatro sociale | ore 20.45 Venerdì 26 aprile 2013 L.v. Beethoven, Sinfonia n. 9 in re minore op. 125 “Corale” Statua di Friedrich Schiller di conversazione”, utilizzati per ovviare in qualche modo alla sordità di Beethoven, ha fornito risposte inequivocabili. Si può solo affermare che ufficialmente, O die Zeitung des Ganzen, ossia la direzione dell’insieme, fu affidata a Michael Umlauff, maestro di cappella all’Opera di Corte. Sul ruolo di Beethoven, annunciato con un impreciso “prenderà parte”, non v’è documentazione inoppugnabile: dunque rimane leggenda il Beethoven che dal podio fallisce clamorosamente il suo compito coordinatore, tradito dall’udito compromesso. Quali che siano stati i ruoli, comunque la Nona ottenne a Vienna un gradimento straordinario (non così altrove, suscitando anzi commenti severissimi, rivolti in particolare all’ultimo movimento) del quale sappiamo attraverso le parole dell’amico e biografo di Beethoven, Anton Schindler. «Non ho mai sentito in vita mia un applauso così furioso eppure così cordiale. Il secondo tempo della Sinfonia fu una volta letteralmente interrotto dai battimani e avrebbe dovuto essere ripetuto. L’accoglienza fu più che imperiale, perché quattro volte proruppe il pubblico e alla fine si gridò ‘Vivat’ e quando stava per cominciare la quinta salve di applausi il commissario di polizia gridò: silenzio! Ma a Corte si applaude solo tre volte: Beethoven, invece, cinque». Su questo dato di curiosa cronaca si erge il monumento della Nona, che sul finale trova il sostegno della poesia nell’ultra-citato Inno alla Gioia di Frie- drich Schiller, in realtà solo una sezione, liberamente ricomposta, dell’ode nella sua stesura originale, risalente al penultimo decennio del Settecento: portatrice di un sogno innovatore che «mirava a sostituire la politica con l’etica e la cultura, il reale con l’ideale; di qui l’enfasi oratoria che spesso si coglie nella lirica» (Vincenzo Terenzio). Ispirato da questo testo si articola il complesso finale corale, annunciato dal recitativo del baritono solista: O amici, non più questi suoni; altro e più grato cantico leviamo. Finale ancor oggi difficilissimo, in particolare per le voci, ed al suo tempo non perfettamente compreso nel significato più profondo. Se la “Gioia”, come sembra suggerirci l’impervia scrittura, va conquistata con l’impegno della coscienza, questa Sinfonia, più che celebrare un dato acquisito, si pone come messaggio, come dubbio che si trasforma in anelito: nel primo Ottocento, adottare un simile testo con un taglio musicale fortemente innovativo (anche se altri lavori sinfonici con epilogo corale erano già apparsi sulla scena, non ultima la Fantasia opera 80 dello stesso Beethoven) era il segnale di una sensibilità che voleva porre un diaframma critico tra l’artista e il suo tempo e che, soprattutto, intuiva e suggeriva un’alternativa nel segno del progresso. L’attualità della Nona sinfonia sta nell’intatto valore di questo principio di fondo, di fronte al quale l’umanità sente il dovere d’interrogarsi. I CONCERTI Happy birthday BENJAMIN! Gli anniversari di Verdi e Wagner stanno oscurando il centenario della nascita di Britten. Fortunatamente non ovunque. Ecco una mappa degli appuntamenti da non perdere per riscoprire la sua geniale opera Gli anniversari di Verdi e Wagner hanno oscurato non poco un’altra ricorrenza di estrema rilevanza, in questo 2013: i cento anni dalla nascita di Benjamin Britten. Ciò che colpisce immediatamente, osserdi Luca Ciamarrughi vando i cartelloni delle stagioni operistiche di tutto il mondo, è il “gran rifiuto” del Metropolitan e della Scala: soprattutto dal Teatro milanese, che tanto ha fatto in questi ultimi anni per riportare sui palcoscenici le opere più note del britannico, ci saremmo aspettati almeno un titolo. Il modo più autentico per scoprire la musica di Britten è recarsi ad Aldeburgh, luogo in cui il compositore fondò un festival ancor oggi rinomato. Passare alcuni giorni ad Aldeburgh significa molto più che assistere a concerti e opere: c’è, nelle infinite solitudini delle spiagge del Suffolk, su cui si staglia un cielo vastissimo e mutevole, l’idea di un paesaggio musicale che dovette attrarre Benjamin Britten quando, parzialmente incompreso dai Benjamin Britten londinesi, scelse nel 1948 questo borgo di pescatori per il suo buen retiro. Il compositore inglese era nato non lontano da Aldeburgh e la scelta di questo luogo significava al contempo un ritorno alle origini e un gesto ardito: da un lato, faceva leva l’attrazione del magnifico e amniotico mare della costa est; dall’altro vi si contrapponeva la diffidenza degli abitanti locali, che videro arrivare Britten nientemeno che insieme al suo compagno di vita Peter Pears (una coppia che, se a Londra era a malapena tollerata, in provincia suscitava raccapriccio e disgusto). La scelta si rivelò lungimirante: nato con l’idea principale di farvi rappresentare proprie opere che a Londra non trovavano spazio, il Festival diventò progressivamente un rendez-vous dei maggiori musicisti del tempo. L’edizione 2013, sotto la direzione artistica di Pierre-Laurent Aimard, si svolgerà dal 7 al 23 giugno e permetterà davvero di farsi un’idea più che ampia della produzione britteniana: oltre a quattro opere, fra cui tre di raro ascolto (Curlew Rider, The prodigal son, The Burning fiery farnace), ci sarà spazio per la musica sinfonica e da camera, con una spiccata presenza di Songs, interpretati dalle voci esperte di Sandrine Piau, Mark Padmore e Ian Bostridge. Se Aldeburgh offre una versione da concerto di Peter Grimes, per godersi scenicamente l’opera bisogna Il musicista è al centro del programma che l’Orchestra da Camera di Mantova e Viktoria Mullova propongono il 20 marzo al Sociale di Mantova e la sera successiva al Ponchielli di Cremona musicalmente 23 I CONCERTI L’OCM AL PONCHIELLI RIACCENDE UN ANTICO FEELING Tra Mantova e Cremona il legame – sul filo della musica – è sempre stato forte. Basti pensare al caso emblematico di Claudio Monteverdi, il cremonese che alla corte mantovana dei Gonzaga “inventò” il teatro musicale, il genere espressivo che ha reso l’Italia unica al mondo. Per venire al nostro tempo, tra le due città si è instaurato un legame forte negli anni Duemila grazie ai diversi cicli musicali elaborati dall’Orchestra da Camera di Mantova e ospitati nel corso di varie stagioni dal Teatro Ponchielli di Cremona, progetto nel cui sviluppo ha svolto un determinante ruolo di mediazione Arnaldo Bassini, già segretario e poi direttore artistico del Massimo di Cremona, prematuramente scomparso nel febbraio 2012. Un feeling iniziato nella stagione concertistica 2001/2002 e che prosegue tutt’ora, con il concerto che vedrà l’Ocm e Viktoria Mullova il 20 mar- zo al Sociale di Mantova e la sera successiva al Ponchielli di Cremona. Tutto è iniziato con l’integrale delle Sinfonie di Beethoven, nove concerti spalmati nel corso di tre stagioni: 2001/02 (14 e 28 febbraio 2002, 8 aprile 2002), 2002/03 (18 dicembre 2002, 28 gennaio e 10 aprile 2003), 2003/04 (18 dicembre 2003, 5 febbraio e 5 aprile 2004). Va detto che fu un progetto che all’inizio suscitò qualche pregiudizio, ma che strada facendo fugò ogni dubbio, finendo addirittura per entusiasmare gli appassionati per l’assoluta qualità esecutiva. Il concetto “nuovo” era questo: l’Ocm, diretta da Umberto Benedetti Michelangeli, riportò le Sinfonie del Titano alla loro originale dimensione cameristica, abituando e conquistando il pubblico con un’estetica improntata a una chiarezza di linguaggio, diversa dalle mille interpretazioni recarsi a Stoccolma (dal 4 maggio al 4 giugno). Ad Aldeburgh è però presente l’edificio a cui Britten si ispirò per la casa del protagonista: quasi un rifugio isolato sulla spiaggia, simbolo dell’estraneità di Peter rispetto al resto della comunità, che lo addita a mostro del villaggio. Le altre due opere fondamentali in cui Britten mette in scena i propri fantasmi interiori sono Death in Venice (composta proprio nel periodo in cui Visconti girava Morte a Venezia, ma del tutto indipendente e diversa dal film) e The turn of the screw (da Henry James): la rilettura novecentesca del motivo romantico di Amore e Morte, l’ambiguità dei rapporti fra giovani e adulti, l’attrazione pressoché scandalosa per gli asessuati e gli innocenti sono alcuni dei temi su cui Britten costruisce partiture in cui tradizione e provocazione sono in costante dialogo. Per The Turn of the screw, molto rappresentata quest’anno, segnaliamo in particolare le rappresentazioni al Comunale di Bologna (19-27 novembre); Death in Venice invece sarà in scena a Londra il 14 giugno e ad Amsterdam dal 3 al 7 luglio. Oltre all’appuntamento bolognese, le date italiane sono poche ma decisamente stimolanti: sia a Ravenna che a Trieste è possibile ascoltare The Rape of Lucretia, titolo raro, in cui Britten si cimenta con l’amato mondo dell’antichità classica. La fascinazione per la storia emerge anche in Gloriana, forse la più inglese fra le opere di un compositore che fu amico stretto della Regina Elisabetta II: e proprio per la sua incoronazione, nel 1953, Britten scrisse questo lavoro dal fascino arcaico, che possiamo ascoltare al Covent Garden di Londra dal 20 giugno al 6 luglio e, in nuovo allestimento, ad Amburgo (dal 24 marzo al 6 aprile). Sempre nella capitale inglese il Barbican Centre dedica l’intero mese di novembre a Britten. Torniamo in Italia, invece, per una meritoria rappresentazione all’Opera di Roma (27 giugno): James Conlon sul podio e Mario Martone alla regia daranno vita a Curlew River, la prima di tre “Parabole ecclesiastiche”, basata su un testo del teatro NO giapponese: protagonista è un folle, ancora una volta un diverso, un paria della società. Il tema della diversità è declinato in maniera comica, una volta tanto, nella più esplicitamente omoerotica fra le opere di Britten: Albert Herring, in scena all’opera di Sidney dal 16 al 30 agosto. Più velato, ma onnipresente, il tema si ripropone nel marinaresco Billy Budd, appuntamento imperdibile nell’agosto di Glyndebourne. 24 musicalmente che nel corso dei decenni hanno fatto leva sui “muscoli” e su organici orchestrali inutilmente sovradimensionati. Grazie a questo credito conquistato sul campo, l’Ocm è tornata a Cremona nelle stagioni 2004/05 e 2005/06 per sviluppare il Mozart Project, cinque splendidi appuntamenti che hanno celebrato il 250° della nascita del genio di Salisburgo attraverso l’esecuzione dei suoi principali Concerti pianistici con Alexander Lonquich direttore e solista, una musica fluida e fluente interpretata con sonorità cristalline. L’ultimo progetto, in ordine di tempo, è quello che ha sottolineato il 200° della morte di Haydn, tre concerti che hanno scandito le stagioni 2007/08 e 2008/09 e che hanno visto vari solisti affiancare l’orchestra guidata dal konzertmeister Carlo Fabiano nell’ennesimo gioiello esecutivo. Roberto Codazzi Ocm e Mullova I CONCERTI PINNOCK, pioniere della early music Il cembalista e direttore d’orchestra inglese Trevor Pinnock rappresenta un gradito ritorno a Tempo d’Orchestra. Assieme con Leonhardt, Harnoncourt e altri pionieri, Pinnock è stato in prima linea, con il suo English Concert (fondato e diretto dal 1972 al 2003) nella riscoperta della prassi esecutiva storica con strumenti d’epoca. Il cosiddetto “movimento della musica antica” — laddove l’espressione anglosassone Early Music, Musica Antica, indica una fase cronologica che include anche, e in posizione preminente, l’epoca barocca — è in realtà nato a fine Ottocento. Questo ambizioso progetto di ricostruzione filologica della prassi musicale ha tuttavia iniziato a trovare terreno fertile soltanto a partire dagli anni Settanta. A che punto siamo di questa evoluzione estetica e culturale? Abbiamo chiesto questo ed altro al maestro, che oltre a mostrarsi illuminante nelle sue risposte, ha mostrato una gentilezza e disponibilità per le quali ci sentiamo di ringraziarlo vivamente. Buongiorno Mr. Pinnock, anzi forse dovrei chiamarla Comandante... [nel 1992 è stato insignito del titolo di Commander of the British Empire, Comandante dell’Impero Britannico, ndr] «Si figuri, non è necessario!» So che Lei ha un calendario fitto di impegni. Quali sono i progetti su cui sta lavorando attualmente? «Sono appena rientrato da Houston, dove ho diretto il Don Giovanni, e sto già preparando un programma solistico, oltre ad un progetto molto interessante con alcuni studenti della Royal Academy of Music di Londra. C’è poi l’attività cameristica, naturalmente. Questa varietà di ruoli comporta uno sforzo mentale non indifferente. Cerco di organizzare il mio calendario in blocchi distinti, in modo da non sovrapporre le tre attività, solistica, cameristica e direttoriale. In questo modo posso utilizzare differenti parti della mente, per così dire. Per me si tratta dell’unica soluzione possibile: sono convinto che si tratti di operazioni co- Trevor Pinnock Il cembalista e direttore inglese torna al Bibiena in trio il 16 aprile. E qui ci racconta una formidabile carriera lunga mezzo secolo di Emanuele Battisti gnitive differenti, da tenere separate per quanto possibile. Ho peraltro la fortuna, in questa fase della mia carriera, di poter scegliere in piena libertà. Si tratta indubbiamente di una questione legata all’età [Pinnock ha 66 anni, ndr], e al fatto di essere stato sulla scena per così lungo tempo…» Il 16 aprile sarà al Bibiena di Mantova in trio, con Matthew Truscott al violino, e Jonathan Manson alla viola da gamba. Può raccontarci qualcosa circa la collaborazione con questi musicisti? «Sì, nel caso di Jonathan Manson, abbiamo suonato assieme per molti anni. Quest’anno abbiamo pensato di dedicarci ad un progetto cameristico, e abbiamo invitato Matthew Truscott, con cui avevamo peraltro già lavorato in occasione di una registrazione in studio col flautista Emmanuel Pahud. Abbiamo così pensato questo programma, che include brani di Buxtehude, Domenico Scarlatti, Händel, Rameau, Marais e Bach, e sono lieto che la risposta da parte dei festival sia molto positiva». Ecco, veniamo al programma, che spazia dal tardo barocco tedesco a quello francese e italiano. Vi è un’ambizione “programmatica”, per così dire, legata a questo accostamento di stili e aree geografiche così eterogenei? «Si tratta chiaramente di un programma centrato sul musicalmente 25 I CONCERTI Matthew Truscott contrasto tra gli stili, senza alcuna velleità didattica circa l’accostamento tra gli autori e le aree geografiche. La verità è che avevamo voglia di suonare quanta più musica possibile! La scelta è quindi caduta su opere molto diverse tra loro, nell’ottica di coinvolgere emotivamente il pubblico. Mi piace l’idea di agire come un architetto, durante un programma, e di accostare elementi differenti fino a creare una locandina variegata, ma alla stesso tempo solida e coerente. Un elemento determinante dell’esecuzione è l’energia. E non parlo soltanto dell’energia vitalistica, chiaramente percepibile nei movimenti veloci, ma anche e ancor più di quella che resta soggiacente nei movimenti lenti; in un Adagio, infatti, l’energia richiesta all’esecutore è ancora maggiore, poiché si tratta di tenere assieme una struttura musicale fragile, che in qualsiasi momento rischia di frammentarsi, proprio per la maggiore difficoltà a percepirne la pulsazione temporale durante l’ascolto». Parlando di energia, nonostante i tanti impegni, riesce a trovare il tempo anche per progetti didattici. «In passato si trattava di una parte molto limitata della mia attività. Ora invece sono arrivato ad un punto della mia vita in cui sento la responsabilità di trasmettere ai giovani musicisti la mia esperienza e le mie conoscenze. Come dicevo in precedenza, vi sono vari progetti in corso con la Royal Academy of Music. A volte dirigo l’orchestra giovanile, talora metto in atto progetti speciali con gli studenti migliori della scuola. In particolare vi è un progetto centrato sui concerti privati organizzati a inizio Novecento da Arnold Schönberg, nei quali venivano eseguiti degli arrangiamenti cameristici di opere orchestrali d’epoca». Credo che questo interesse per il repertorio tardo-romantico e primo-novecentesco possa sorprendere i suoi tanti ammiratori... «La verità è che sono sempre stato aperto ad epoche e stili differenti. Non ho mai veramente cercato l’esclusività storica nelle mie scelte, e in particolare adesso, che il percorso di lavoro sulla musica antica si può dire compiuto, mi sento libero di esplorare nuovi orizzonti della mia personalità musicale». Ecco, a quarant’anni dalla fondazione dell’English 26 musicalmente Jonathan Manson Concert, lei crede quindi che il movimento della musica antica sia ormai oggi giunto a compimento? «Direi di sì. All’epoca si trattava di esplorare un terreno inusitato, scoprire, quasi reinventare il modo di suonare. Ma oggi, dopo quarant’anni, si può affermare che la pratica esecutiva filologica su strumenti d’epoca sia universalmente accettata. Ovviamente vi è un lato positivo in tutto ciò, ma anche un rischio, anzi due: il primo è rappresentato dalla cristallizzazione dello stile interpretativo, una sorta di nuovo accademismo conservativo, del tutto chiuso ad ogni ipotesi di cambiamento. Il pericolo opposto è rappresentato dall’ossessione di escogitare sempre e comunque qualcosa di nuovo, per differenziarsi dagli altri. È bene cercare un equilibrio tra questi due opposti, entrambi fuorvianti». Un’osservazione conclusiva: alla sua quinta partecipazione a Tempo d’Orchestra, possiamo dire che tra lei e Mantova vi sia un feeling particolare... «Assolutamente! La mia stima per l’Orchestra da Camera e per il maestro Fabiano è ormai di lunga data, ed è sempre un grande piacere ritornare a Tempo d’Orchestra. Il programma di concerto è ricco e non vediamo l’ora di proporlo al sempre attento pubblico mantovano». E Mantova non vede l’ora di riascoltarla, maestro! “A Mantova costruiremo un programma centrato sul contrasto tra gli stili, senza alcuna velleità didattica. La verità è che avevamo voglia di suonare quanta più musica possibile!“ IN ORCHESTRA a cura di Valentina Pavesi OCM-SOPRINTENDENZA: A MAGGIO AL DUCALE FESTIVAL INTERNAZIONALE DI MUSICA DA CAMERA A BERGAMO, BRESCIA, MILANO, PISA E CATANZARO I PROSSIMI CONCERTI DELL’OCM Inedite SINTONIE Palazzo Ducale ospiterà a maggio una nuova iniziativa tagrata Ocm. Nella foto un momento della “Due giorni a tutta classica” dello scorso settembre (foto Nicola Malaguti) L’Orchestra da Camera di Mantova inaugurerà ad aprile (27 e 28 rispettivamente al Teatro Donizetti di Bergamo e al Grande di Brescia) la 50esima edizione del Festival pianistico internazionale di Brescia e Bergamo con la Nona Sinfonia di Beethoven, sotto la guida di Umberto Benedetti Michelangeli. La produzione - che coinvolge anche il Coro Ricercare Ensemble e i cantanti Senderskaya, Gottwald, Büttner, Gürle - approderà quindi a Pisa, nell’ottobre 2013. Il mese di settembre registrarà due concerti con il pianista Aldo Ciccolini al Festival Mito, uno a Milano (12) e l’altro a Torino (13). A ottobre è, invece, prevista una ripresa del progetto Anni ruggenti, melodie struggenti (ascoltato lo scorso autunno a Tempo d’Orchestra) che vede l’Ensemble dell’Orchestra da Camera di Mantova affrontare un repertorio di musiche da film e canzoni del primo Novecento italiano, sotto la direzione di Antonio Ballista (Festival d’autunno, 5 ottobre, Catanzaro). musicalmente 27 in breve In collaborazione con la Soprintendenza per i beni storici e artistici, l’Orchestra da Camera di Mantova lancia un inedito Festival internazionale della Musica da Camera nel Palazzo Ducale di Mantova. Nel fine settimana del 24, 25 e 26 maggio, le sale di Corte Gonzaga - già in precedenti occasioni sede di apprezzati appuntamenti concertistici - accoglieranno la musica più raffinata. Il programma è in via di definizione. Le prime indiscrezioni annunciano la presenza di un importante artista residente e di performance dei musicisti dell’Orchestra da Camera di Mantova e di altri gruppi cameristici emergenti. Un concerto dell’Orchestra da Camera di Mantova con l’artista residente, chiuderà la manifestazione. Presto sul sito Ocm (www.ocmantova.com) tutti i dettagli. 28 musicalmente IN ORCHESTRA Un momento della presentazione dell’iniziativa, lo scorso settembre a Palazzo Castiglioni. Sotto Engelbert Thies (foto Nicola Malaguti) Due volte SOSTENITORE Primo a rispondere presente all’iniziativa di tesseramento presentata lo scorso settembre, Engelbert Thies ci parla “d’impegno morale ma anche materiale” Engelbert Thies, mantovano d’adozione, ex dirigente d’azienda in pensione, è il primo Sostenitore dell’Orchestra da Camera di Mantova. Da oltre un decennio si abbona regolarmente alla stagione concertistica Tempo d’Orchestra, segue l’attività dell’Orchestra da Camera di Mantova, talora anche fuori sede, e risponde alle sollecitazioni dell’Associazione Amici dell’Ocm, sottoscrivendone puntualmente la tessera. Quest’anno, ha deciso di fare ancora di più. In quest’intervista ci spiega le ragioni di una scelta che è, insieme, come lui stesso spiega, «morale e materiale». «Sono un pensionato che ha la fortuna di poter seguire e coltivare i propri interessi, culturali e musicali. Sono anche un convinto ed entusiasta sostenitore del progetto Orchestra da Camera di Mantova - ci racconta -. Visto come stanno andando le cose nel pubblico, con finanziamenti alla cultura in larga parte venuti meno e comunque assegnati, nella parte restante, secondo logiche distributive, a mio avviso deleterie, che finiscono per mettere le eccellenze sullo stesso piano di iniziative di ben altro respiro, personalmente avverto l’urgenza di correre attivamente ai ripari». Ridimensionare la proposta musicale non è soluzione accettabile, a suo dire: «Adagiarsi su una sorta di minimalismo, rassegnandosi al “più di così non si riesce a fare”, espone al rischio d’estizione di un progetto cultural-musicale di cui per oltre vent’anni abbiamo tutti beneficiato. È venuto il momento, a mio giudizio, che la società civile (e con ciò intendo riferirmi a noi cittadini che in oltre 700 ci abboniamo alla stagione dell’Ocm) s’impegni direttamente a sostegno del progetto, da un punto di vista morale ma anche materiale», spiega. Quando gli chiediamo quali punti di forza intraveda nell’iniziativa di tesseramento lanciata lo scorso set- tembre, in sede di presentazione ufficiale dell’edizione del ventennale della stagione Tempo d’Orchestra, ai complimenti per l’idea di fondo abbina una parziale tirata d’orecchie, suggerendo una modalità operativa che gli promettiamo di prendere in seria considerazione: «L’idea e la presentazione della stessa mi sono parse davvero molto buone. Tanto che ho aderito. Mi sarei però atteso - commenta - un impegno maggiore a favore della promozione e del radicamento del progetto. Mi spiego: credo serva un gruppo di lavoro che si prenda in carico un’opera di diffusione e insieme di sensibilizzazione, composto, magari, da volontari e collaboratori Ocm insieme». «Se continuiamo a lasciar andare le cose nella direzione che hanno preso in questi anni Mantova si ritorverà, e non accadrà tanto in là nel tempo, senza una stagione sinfonica di qualità. E perdere qualità significa insegnare alla gente a farne a meno e, una volta che lo avrà imparato, tentare di ricostruire sarà durissima, se non impossibile. Non lasciar morire la musica a Mantova è un dovere di tutti noi, oggi. A tal proposito, un altro discorso che mi preme - prosegue Thies - riguarda le molteplici forze attive sul nostro territorio. Ciascuno secondo le sue potenzialità e le sue prospettive. Bene, tutte queste individualità, in questo momento critico, dovrebbero unire le energie, collaborare a un progetto comune, coordinato, per la città. Certo sarebbe anche bello avere a Mantova un Auditorium dall’ottima acustica, ma questo sarebbe oggi un di più. Ce la caviamo comunque. Abbiamo un Bibiena meraviglioso e piccole strutture sul territorio che garantiscono buone condizioni d’ascolto. Ora quello che urge è salvare il salvabile, una ricchezza costruita e coltivata in venti e passa anni. Per questo dobbiamo agire, in prima persona: questa la mia forte convinzione». (v.p.) musicalmente 29 AMICI Parolenote: tra BRITTEN e Beethoven Lunedì 18 marzo e mercoledì 24 aprile: sono le date di Parolenote da segnare in agenda per la primavera 2013. Date affidate a volti noti e voci (ove voci sta per teste pensanti) gradite al pubblico mantovano. La prima vedrà lo storico Stefano Patuzzi proporre, in Sala Norlenghi (ore 18, ingresso libero) una conferenza di avvicinamento all’ascolto del concerto che il 20 marzo porterà al Teatro Sociale di Mantova l’Orchestra da Camera di Mantova con la violinista Viktoria Mullova (in programma musiche di Beethoven e Britten). Stefano Patuzzi si concentrerà sul maestro inglese, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita (e al quale, questo numero di Musicalmente, dedicati gli articoli di pagina 19 e di pagina 32, ndr). La seconda conferenza porterà al Teatro Bibiena (ore 18, ingresso libero) una nuova lezione di musica di Giovanni Bietti, comunicatore della musica e voce di Radio3 Suite, pensata a introduzione del concerto conclusivo della stagione Tempo d’Orchestra, anch’esso affidato all’Ocm che, diretta da Umberto Benedetti Michelangeli e in collaborazione con il Coro Ricercare Ensemble e quattro ottime voci soliste, eseguirà la celeberrima Nona sinfonia di Beethoven (Teatro Sociale, 26 aprile, ore 20.45). Come si ascolta la Nona? Stefano Patuzzi dedica una conferenza al maestro inglese, mentre Giovanni Bietti porta al Bibiena una lezione di musica sulla “Nona” Stefano Patuzzi e Giovanni Bietti Quale la struttura dell’opera sinfonica più famosa e amata? Di questi e altri interrogativi si nutrirà la conferenza di Giovanni Bietti, con il relatore al pianoforte pronto e propenso a servire al pubblico esempi e citazioni. L’edizione 2012/13 di Parolenote si congeda così dando appuntamento agli appassionati di classica al prossimo autunno, per un nuovo percorso attraverso le musiche, i grandi maestri e la storia (v.p.) PAROLA D’AMICO Francesca Agostini Cara Musica, ti scrivo... Cara Musica, avevo voglia di scriverti queste poche righe perchè ormai è più di un anno che ci conosciamo, in questo periodo mi hai dato davvero tanto e mi sembra giusto esprimerti la mia gratitudine. Ho l’occasione di farlo in questo spazio, che appartiene ad un ambiente a me familiare, l’ambiente che in fondo ci ha fatto conoscere! Come sai da una vita mi piace l’Arte, in particolar modo quella greca: il canone di Fidia, Policleto, Prassitele, Il Bello, quello Classico appunto, espresso nell’armonica perfezione delle linee, mi hanno sempre affascinato. Non pensavo che la nostra amicizia potesse regalarmi qualcosa di altrettanto incantevole, ma in fondo ti chiami Classica, perchè stupirmi!? Ti ho sempre sentito nei carillon di bambina, quando Mozart suonava, o in molte pubblicità odierne; ma non ti ho mai ascoltato! Quanto tempo perso, l’importante è esserci incontrate. Ti ricordi quando timidamente ascoltavamo le prove dell’Ocm? Era splendido sentirle ‘a sezione’, come piace al maestro Fabiano. Così la memoria uditiva, durante il concerto, riesce a distinguere meglio le classi di strumenti! E quando sono entrata a far parte di un coro?! Lì sì che finalmente ho imparato la tua lingua. Lì, solo quando ho potuto esprimermi con te, ho potuto ascoltare la mia voce, ho capito quanto il tuo linguaggio sia bello, puro, perfetto, come un’opera antica! Grazie, grazie per avermi presentato tante belle persone, dal mio migliore amico al mio maestro di coro. Grazie davvvero. 30 musicalmente QUADERNO DI VIAGGIO di Guido Mario Pavesi Organi storici, eccellenza tutta ITALICA C’è un museo che, anche in un momento di crisi come l’attuale, registra un costante incremento di visitatori. Vero è che si tratta di un fenomeno di nicchia, ma il risultato appare confortante per la cultura musicale. È il Museo degli Organi “Santa Cecilia” di Massa Marittima, in provincia di Grosseto: una preziosa selezione di strumenti antichi collocati all’interno della ex Chiesa di San Pietro all’Orto. Un curioso e fortunato intreccio di circostanze ha determinato la connessione tra la rara collezione di strumenti simbolo dell’eccellenza italiana e il fascino di questo edificio del 1197 in cui si è ricreata la mistica atmosfera di una delle chiese medievali più significative della Maremma toscana. Artefice del fortunato connubio artistico è Lorenzo Ronzoni che, grazie alla sua inesauribile passione, ha realizzato quest’esposizione permanente, frutto di oltre cinquant’anni di inL’esposizione Lorenzo Ronzoni al lavoro PER VISITARE IL MUSEO Il Museo degli Organici “Santa Cecilia” si trova a Massa Marittima, privincia di Grosseto, in corso Diaz al civico 28. Chiuso il lunedì e martedì e dal 15 gennaio al 28 febbraio, osserva i seguenti orari di visita: 10.30-13 e 15.30-19, in estate e 10.30-12.30 e 15-18, durante l’inverno. Il biglietto d’ingresso costa 4 euro (3 euro il ridotto). Per informazioni: T. + 39 0566 940 282, Cell. +39 347 0854024, [email protected], www.museodegliorgani.it. cessanti ricerche. Grazie alle quali, dagli anni Sessanta a oggi, è riuscito a salvare un consistente numero di organi antichi dall’inesorabile oblio, conseguenza diretta dell’illusorio rinnovamento delle dotazioni musicali di tante chiese del nostro Paese. Calore ed entusiasmo animano il raccontare di Lorenzo Ronzoni mentre ci accompagna in visita al museo e ci spiega storia e tecnica, mostrandoci le caratteristiche sonore degli strumenti. Sorpresa e ammirazione guidano il percorso che si snoda tra pregevoli esemplari, rappresentativi delle molteplici scuole italiane - lombarda, umbra, emiliana, molisana, campana e siciliana -, firmati Carlo e Domenico Traeri, Luigi Boselli, Liberatore Pallotti, Domenico Mancini, Gaetano Platania. «Gli organi che presento provengono da varie regioni italiane, prodotti tra il Seicento e l’Ottocento, e offrono un’autentica testimonianza del prestigio e della genialità dei nostri antenati. Quello che amo di più è un organo seicentesco di otto registri, trovato a Parma: un vero esempio d’organo italiano. Noi abbiamo sempre costruito strumenti di piccole dimensioni, perfetti per la moltitudine di chiese dei nostri territori e per gli usi liturgici legati alla tradizione cristiana». Modenese, originario di Campogalliano, giunto alla naturale conclusione Massa Marittima della sua attività di insegnante di lettere, Lorenzo Ronzoni scelse Massa Marittima per la suggestiva bellezza di questa gemma del Medioevo, per la di perfetta armonia tra natura e architettura. Ottenuto l’affidamento dei locali di San Pietro all’Orto, con la collaborazione della moglie, in due anni di intenso lavoro e di approfondite indagini storiche, ha riportato alla luce le meraviglie di una chiesa dismessa da secoli. I suoi sforzi sono stati premiati dalla bellezza di quanto ora vi si può ammirare cui ha concorso la scoperta di affreschi attribuiti ad Ambrogio Lorenzetti: il maestro della scuola senese del Trecento vi lavorò dipingendo una Maestà ad ornamento dell’altare. Il Museo degli Organi offre anche una mirata selezione di strumenti a tastiera che testimoniano dell’evoluzione del clavicembalo verso il pianoforte, attraverso i primi esempi di fortepiano mozartiano e proseguendo fino a quelli dell’epoca di Beethoven. E le sorprese non finiscono: rarità strumentali, stampe originali e migliaia di pubblicazioni parlano dell’entusiasmo con cui Lorenzo Ronzoni porta il suo ammirevole contributo alla causa della musica. «Io, se comandassi, punterei tutto sul bello, perché la bellezza vince sempre. Purtroppo, di questi tempi non si riesce nemmeno a distinguere il vero dal falso e così il degrado appare inevitabile. La bellezza è storicamente un nostro retaggio, ma abbiamo bisogno di uomini di autentica cultura che sappiano guidare le istituzioni e coltivare il gusto della gente». musicalmente 31 COLONNA SONORA di Claudio Fraccari Se BRITTEN esalta Wes Anderson Eccentrico è l’aggettivo giusto. In effetti, il cinema dell’americano Wes Anderson è lontano da ogni centro – quanto a storia, luoghi, tempi, generi. L’esempio più recente è Moonrise Kingdom, una commedia che sfiora di continuo il grottesco e il dramma, ove l’occhialuto dodicenne Sam, letteralmente figlio di nessuno, decide una personale fuga d’amore con la coetanea Suzy. L’ambientazione su un’isoletta del New England, nel remoto 1965 già presago di venti rivoluzionari, acuisce lo straniamento. Se il piccolo Sam organizza minuziosamente il suo piano, lasciando nottetempo il campeggio e la compagnia degli altri scout (che non lo amano di certo), altrettanto fa la sua partner che pianta in asso genitori e fratelli. La fuga dei due innamorati, sulle cui tracce si mette un’eterogenea e variopinta umanità, è minacciata anche da un ciclone in arrivo sull’isola, allegoria fin troppo eloquente dell’urgenza della natura. Gli inseguitori riusciranno a riacciuffare i fuggitivi, anche se ormai il loro gesto si è impresso indelebilmente nella coscienza della comunità, cambiando per sempre tutti: il padre e la madre di Suzy, alternativi quanto disfunzionali, l’imbranato capo scout, la spietata rappresentante dei Servizi Sociali (la sigla SS non è casuale), il dubbioso e malinconico sceriffo del posto. Che poi il cast annoveri molti attori ben noti in ruoli di fatto marginali (Bill Murray e Frances McDormand, Bruce Willis e Tilda Swinton, Edward Norton e Harvey Keitel), ottiene un ironico rovesciamento delle aspettative. I giovanissimi Jared Gilman e Kara Hayward assurgono così a un protagonismo non solo nominale: è alla loro recitazione naif che il regista affida il più e il meglio della vicenda, non- 32 musicalmente I TENENBAUM di Wes Anderson Erano bambini prodigio, ma crescendo hanno deluso le aspettative. Tocca al padre, che se ne era andato anni prima, tornare per salvare quel che resta della genialità dei suoi tre figli. La poetica fantasmagorica e incline al grottesco di Wes Anderson qui si dispiega al massimo nel dimostrare che i personaggi, più che disadattati, sono semplicemente inadatti alle convenzioni esistenziali. Musiche, tra gli altri, di Mark Mothersbaugh e Lou Reed. (Usa 2001) LE AVVENTURE ACQUATICHE di Wes Anderson Wes Anderson ché il discorso sotteso di emancipazione fantastica, che è l’esatto contrario della sindrome di Peter Pan – la volontà di crescere, cercando l’isola che c’è. E benché la colonna sonora sia affidata a Alexandre Desplat, ad esaltare il tutto arriva un doppio omaggio al grande compositore britannico Benjamin Britten (1913-1976), di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita. Oltre alla sua suite didattica Young Person’s Guide to the Orchestra del 1946 (la gustosa presentazione dei vari strumenti che compongono un’orchestra), dal sottotitolo assai significativo di Variazioni e fuga su un tema di Purcell, il film ospita una paradigmatica finzione dentro la finzione: la scuola locale mette in scena uno spettacolo ispirato all’opera L’Arca di Noé (scritta da Britten nel 1958), con i bambini travestiti da animali. È davvero esplicito il suggerimento di Wes Anderson, coadiuvato in sceneggiatura da Roman Coppola: orchestrare e drammatizzare sono operazioni consustanziali alla regia cinematografica. Nel nome di Britten, appunto. L’oceanografo e documentarista del titolo parte con la sua variopinta nave per dare la caccia allo squalo-giaguaro che gli ha ucciso l’amico. Quando lo troverà, non avrà il coraggio di eliminarlo, docile e gentile com’è. La trama per una volta lineare non esclude tocchi di cultura pop, costumi bizzarri, invenzioni surreali. Alle musiche di Mark Mothersbaugh, Sigur Rós, David Bowie, Iggy Pop, vanno aggiunti i rimandi a Yellow Submarine e al cantante Harry Belafonte. (Usa 2004) IL TRENO PER IL DARJEELING di Wes Anderson Tre fratelli viaggiano in treno per l’India: nel tentativo di recuperare il rapporto interrotto un anno prima alla morte del padre, prospettano di raggiungere la madre, ritiratasi in un convento sull’Himalaya. Le cose non vanno come previsto. Nel composto instabile dell’umorismo andersoniano cadono gocce velenose di dolore. Il variegato soundtrack contempla musiche rock anni Settanta (Kinks), colonne sonore di film indiani, la Suite Bergamasque di Debussy. (Usa 2007) GRAMMOFONO di Michele Ballarini GULLI, poeta del violino Lontano dalle luci dello star system seppe distinguersi per la sua straordinaria attualità stilistica Se esploriamo il mondo discografico dei decenni passati ci renderemo conto di come l’attività discografica di molti complessi e solisti italiani ha avuto modo di svilupparsi per mezzo di importanti case – Emi, DG, Philips, Decca – con registrazioni che hanno dato popolarità mondiale ad artisti come Michelangeli, Accardo e il Quartetto Italiano solo per nominarne alcuni. Si tratta ovviamente di grandissimi artisti che hanno ricevuto giustamente una diffusione universale e un plauso pressoché unanime per le loro interpretazioni, lontani da quelle proposte di dubbio valore che a volte si “costruiscono” per motivi extra-musicali e utili solo a incrementare le vendite. Esistono però anche altri artisti di grande valore il cui lascito discografico appare più celato o lontano dalle cosiddette luci dello star system; è questo il caso di Franco Gulli (1926-2001) uno dei più eminenti rappresentanti della scuola violinistica italiana. Alcuni ricordi personali lo rivedono docente all’Accademia Chigiana di Siena ed esecutore in duo assieme alla moglie, la pianista Enrica Cavallo. Quello che si può dire con la sicurezza di essere nel vero è che in Gulli trovavano un perfetto equilibrio doti virtuosistiche d’eccezione e una passione profonda e sincera per l’esecuzione di un repertorio sia cameristico che solistico che spaziava dal barocco al Novecento storico. Una passione che, unita al fascino dell’interprete, “tagliava” l’atmosfera della sala da concerto arrivando a rendere esecuzioni trascinanti ma sempre filtrate da questa sua meravigliosa signorilità. Anche nell’insegnamento questa dedizione si stemperava nel voler trarre dall’allievo tutto il suo potenziale mettendogli a disposizione un magistero tecnico e di esperienza artistica e umana che aveva ben pochi confronti, ma tutto ciò senza voler assolutamente sovrapporre la sua personalità a quella dello studente. Un rispetto e un amore per la musica che non potevano non filtrare nelle numerose incisioni che Gulli effettuò durante tutta la sua lunga carriera: interpretazioni contrassegnate da un pensiero musicale che attraverso il violino si esprime con semplicità e nel contempo con infinita poesia, messaggio questo sempre comunicato con stupefacente perfezione anche attraverso i più impervi ed acrobatici virtuosismi. Un vasto repertorio, si è detto, che nelle incisioni ha modo di manifestarsi attraverso i più grandi capolavori della letteratura violinistica in letture che avvincono, oltre che per i motivi di cui sopra, anche per una straordinaria attualità stilistica che ancor oggi non pare assolutamente intaccata dagli anni. LA MUSICA NEL SANGUE QUELLE INCISIONI MEMORABILI CHICCHE NELL’ARCHIVIO RAI Nato a Trieste nel 1926 è allievo del padre e rivela doti musicali e violinistiche eccezionali; successivamente studia con Arrigo Serato e Joseph Szigeti, intraprendendo una carriera concertistica che lo vedrà solista nelle principali sale di tutto il mondo e camerista con Enrica Cavallo e il Trio Italiano d’Archi. Importantissima anche l’attività didattica in prestigiose sedi quali l’Accademia Chigiana e l’Università dell’Indiana a Bloomington (USA) città dove è scomparso nel novembre del 2001. Franco Gulli incise per varie etichette, molte delle quali hanno oggi cessato la loro attività; sul sito italiano di Amazon sono disponibili sia in cd che in download parecchie importanti registrazioni ripubblicate più recentemente come le Stagioni di Vivaldi, le Sonate di Beethoven, il Concerto di Chausson e l’integrale dei Concerti di Mozart. Bellissimo anche un cd della casa Dynamic con autori eseguiti dal Nostro su altrettanti violini di grandi liutai: grandi esecuzioni su strumenti meravigliosi! Esistono anche parecchie registrazioni nell’archivio della Rai tra cui il Concerto n. 1 di Bartok e quello di Berg purtroppo al momento non disponibili: di grande bellezza un cd pubblicato dall’Istituto Discografico Italiano contenente i Concerti Primo e Quinto di Paganini; un altro contributo Rai ascoltabile su Youtube è il Primo Concerto di Prokofiev in coppia con Sergiu Celibidache, lettura affascinante dove momenti di pirotecnico virtuosismo si alternano ad altri di intensa cantabilità. Il violinista Franco Gulli musicalmente 33 CD - DVD di Luca Segalla Una BOHÈME sfacciatamente MODERNA È una strana periferia parigina, squallida eppure senza polvere, quella in cui Damiano Michieletto ambienta La Bohème andata in scena la scorsa estate a Salisburgo. Un po’ circo un po’ videogame. La vicenda si snoda nel sottobosco urbano degli anni Novanta del XX secolo tra prostitute, clochard e graffitari. All’osteria di Momus i personaggi, dai vestiti volgarmente sgargianti, sono immersi in una piantina della città a tre dimensioni; la Barriera d’Enfer è sostituita da un casello autostradale, Rodolfo e Mimì duettano davanti a Puccini, un chiosco di panini. Vocalmente superba è la Mimì La Bohème. di Anna Netrebko, privo di autentici slanci il Rodolfo Wiener Philhardi Piotr Beczala, convincente il resto del cast, in parmoniker; D.Gatti, ticolare la Musetta di Nino Machaidze. Quest’ultima direttore; Damiano è isterica e antipatica: Michieletto legge la vicenda Michieletto, regia. con il cinismo del modello di Puccini, il romanzo di 1 dvd. Deutsche Henri Murger. In realtà La Bohème è l’opera della noGrammophon stalgia (del compositore, non solo del pubblico) per (00440 073 4773) la giovinezza perduta e la nostalgia, in questo allestimento, poco si avverte. Lo stesso Gatti guida i Wiener con puntillistica precisione senza immergersi fino in fondo nel languore dell’invenzione melodica e armonica pucciniana. Il direttore milanese, però, si fa ammirare per la definizione timbrica delle atmosfere, soprattutto nella celebre alba innevata all’inizio del terzo quadro. BEETHOVEN SENZA FRONZOLI Torna disponibile, opportunamente restaurata, l’integrale in video delle Sonate beethoveniane (5 DVD) realizzata all’inizio degli anni Ottanta dall’allora quarantenne Daniel Barenboim. Un Beethoven compassato, nei gesti come nelle sonorità. Alta la temperatura drammatica dei movimenti lenti (il Largo e mesto dell’Op. 10 n. 3, la Marcia funebre dell’Op. 26), rifiniti i dettagli. La retorica è meno esplicita rispetto al Barenboim di oggi, la tecnica più solida. Daniel Barenboim. Beethoven, Sonate per pianoforte nn. 7-13. 1 DVD Euroarts (2066488). IL GIRO DI VITE A cento anni dalla nascita, Benjamin Britten (1913 1976) si conferma uno dei grandi del Novecento. Anche quando sceglie un soggetto lontano dalla sensibilità attuale, come la storia di fantasmi raccontata da Henry James ne Il giro di vite (1898). Possiamo rivedere questo capolavoro operistico del 1954 nel fascinoso film-opera realizzato nel 2005, con pregevole sensibilità pittorica, dalla regista inglese Katie Mitchell. Nella parte della governante una straordinaria Lisa Milne. City of London Orchestra; direttore: Richard Hickox; regia: Katie Mitchell. 1 DVD Opus Arte (0907 D). 34 musicalmente INVITO ALL’ASCOLTO Les Indes galantes quaranta minuti di musica superba «Noi avevamo nell’opera di Rameau una pura tradizione (…) fatta di tenerezza delicata e incantevole, di giusti accenti, di una rigorosa declamazione del recitativo (…) rincresce che la musica francese abbia percorso troppo a lungo strade che perfidamente l’allontanavano da quella chiarezza nell’espressione, da quella precisione e concisione nella forma che sono qualità particolari e significative del genio francese». Questa l’opinione di Claude Debussy all’inizio del Novecento, quasi due secoli dopo la presentazione del “balletto eroico” Les Indes galantes, lavoro che rappresenta oggi una delle più interessanti prove teatrali di Rameau. Debussy - che avrebbe ricordato Rameau anche nelle sue celebrate Images pianistiche del 1905, che contengono un “Hommage” - in quel proprio scritto non si riferiva a Les Indes galantes, bensì a Castor et Pollux che appartiene invece al genere della “tragédie lyrique”. Ma non importa: la ricca “opéra –ballet” presentata nel 1735 all’Accadémie Royale de musique et danse di Parigi val bene un invito all’ascolto teso a scoprire come, da uno spettacolo barocco così complesso che in origine mescolava recitazione, canto, danza e musica, possa estrarsi, anche soltanto avvicinandone le pagine strumentali, il profilo di un maestro capace di trasformare la tradizione in un caleidoscopio di raffinatissime prove d’arte, incisive, moderne e di un fascino sottile e intramontabile. Molte le registrazioni discografiche reperibili, tra le quali, quella firmata da Philippe Herreweghe alla guida della Chapelle Royale per conto dell’etichetta Harmonia Mundi. Quaranta minuti di musica superba, vera gioia per lo spirito. (a.z.) MUSICA & ARTE di Paola Artoni WAGNER, potenza artistica che va oltre la sfera musicale Fortuny, Ciclo Wagneriano: l’abbraccio di Siegmund e Sieglinde L’esposizione curata dalla Ferretti evidenzia la capacità del compositore di influenzare le arti visive in Italia tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 Fortuny, Ciclo Wagneriano: 3DUVLIDOHOH)DQFLXOOH¿RUH IN MOSTRA AL FORTUNY La ricorrenza del bicentenario della nascita di Richard Wagner non poteva non essere celebrata anche a Venezia, la città lagunare dove egli scomparve nel 1883. E quale migliore sede se non quella di Palazzo Fortuny per ricordare l’influenza che la musica del grande compositore ebbe sulle arti visive in Italia? Proprio alla mano dell’artista Mariano Fortuny (1871-1949) si deve infatti uno splendido ciclo wagneriano (presentato per la prima volta al pubblico), composto da quarantasette dipinti, che nella mostra si va ad affiancare ad alcuni capolavori di altri autori come Lionello Balestrieri, Giuseppe Palanti, Cesare Viazzi, Eugenio Prati, Gaetano Previati, Alberto Martini e Adolfo Wildt, sempre ispirati a Wagner. L’esposizione, impreziosita dall’allestimento di Daniela Ferretti, diventa un’affascinante occasione per mostrare l’esito di un lungo lavoro di ricerca svolto intorno all’influenza, sia a livello iconografico sia estetico, che il grande mu- sicista e compositore tedesco e che il wagnerismo ebbero sulle arti visive in Italia tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Come hanno sottolineato gli organizzatori e il curatore Paolo Bolpagni, «il wagnerismo fu un’autentica moda culturale che, nelle sue varie espressioni (letterarie, musicali, pittoriche), godette di una diffusione vasta e penetrante. Nel campo delle arti visive, fu una delle manifestazioni più tipiche del gusto estetico a cavallo tra XIX e XX secolo, fra tardo-naturalismo, Simbolismo e Liberty». La mostra, in corso sino al prossimo 8 aprile, realizzata anche con la collaborazione dell’Associazione Amici di Wagner di Venezia, Città di Lipsia, Klingen Forum, Richard Wagner-Verband Leipzig, è allestita con garbo tra il piano terra, il primo e il secondo piano nobile del palazzo, presentando oltre 150 opere tra dipinti, incisioni, disegni e sculture, più una sezione documentaria con libri, riviste, illustrazioni e cartoline. Tra le curiosità L’esposizione Fortuny e Wagner. Il wagnerismo nelle arti visive in Italia è inserita nel contesto degli eventi “Inverno a Palazzo Fortuny” ed è allestita a Venezia nello splendido Palazzo Fortuny, (San Marco 3780 – San Beneto). Apertura sino all’8 aprile 2013, tutti i giorni dalle 10.00 alle 18.00 (biglietteria aperta dalle 10.00 alle 17.00); chiuso il martedì. Biglietto intero: 10 euro, ridotto 8 euro, offerta per le scuole: 5 euro a persona. Per maggiori informazioni: fortuny.visitmuve.it, [email protected], tel. 848 082 000. esposte vi è una rara gouache di Mario de Maria, bozzetto preparatorio per il famoso ritratto perduto della figliastra di Wagner, oltre alla maquette del Teatro di Bayreuth, realizzato da Fortuny nel 1903 e recentemente oggetto di un delicato intervento di restauro finanziato da Venice Foundation. Una sezione imperdibile è infine quella dedicata all’influsso dell’immaginario wagneriano anche sugli artisti contemporanei, con una selezione di opere di importanti autori internazionali come Joan Brossa, Anselm Kiefer, Antoni Tàpies e Bill Viola. musicalmente 35 ALTRA MUSICA di Giorgio Signoretti BLACK, BROWN AND BEIGE DI ELLINGTON LA FORMA CANZONE DI TANKIAN Black, Brown and Beige, scritta da Ellington su commissione per il concerto del 23 gennaio 1943 alla Carnegie Hall, ebbe il grande merito di togliere definitivamente la musica afroamericana dalle paludi dell’esotismo e dell’intrattenimento. Meglio, forse, ascoltarla nella versione del 1958 con Mahalia Jackson (Columbia Sony). Ma, restando in tema di suite, la forma estesa preferita nel jazz, non si dimentichino la delicatissima Western Suite di Jimmy Giuffre (1955, Atlantic) e la stupefacente New York N.Y. di George Russell (1959, ora su Impulse), inno definitivo alla multietnica metropoli del nuovo jazz postbellico. Che la forma canzone, regina indiscussa della seconda metà del Novecento, sia ben lontana da ogni crisi, lo dimostrano i modi della partecipazione ai concerti rock più qualitativi. Come quello tenuto lo scorso 15 ottobre all’Alcatraz di Milano da Serj Tankian, leader della band di culto System of a Down. Un pubblico eterogeneo e devoto non meno di quello di Dylan ha cantato ogni parola del suo ultimo felicissimo cd (Harakiri, 2012), dettagliato atto d’accusa verso le logiche che stanno spingendo il pianeta verso catastrofi ecologiche, finanziarie e sociali. Come ai tempi di Woody Guthrie, la canzone sa dire con sintetica chiarezza cose che molti giornali preferiscono tacere. Il debito del JAZZ per la “forma estesa” Aspettando Beethoven, potrebbe essere interessante ripercorrere sinteticamente il rapporto originale e creativo che il jazz ha saputo sviluppare con le suggestioni della cosiddetta “forma estesa”. Conviene ricordare che, a differenza di altre culture musicali che privilegiano un forte controllo “a priori” sull’esecuzione, il jazz nasce e cresce intorno a forme che possono anche diventare estese, ma solo in quanto “estensibili” attraverso la ripetizione ciclica di segmenti strutturali piuttosto brevi e ben noti agli improvvisatori. Saranno le complesse alchimie relazionali tra questi ultimi a determinare quanto estesa sarà la forma finale dell’esecuzione. Se la pratica (decisamente “folk”) della ripetizione circolare di un modulo base ha reso poco percorribile la strada dello “sviluppo” in senso compositivo del materiale iniziale, l’ascoltatore acuto ha imparato ben presto a cogliere altri (e non meno interessanti) tipi di sviluppo: dinamico, agogico, timbrico, ritmico, intervallistico, armonico, semantico, per individuarne alcuni. Modalità tanto incisive da arrivare ad erodere i caratteri della stessa struttura di fondo o addirittura (come di- 36 musicalmente rebbe Pierre Bourdieu) la sua stessa funzione originaria. Cosa che accadde ad esempio per il blues al tempo del Bebop o per la canzone nelle “parodie free” di Roswell Rudd o Lester Bowie. A settant’anni dalla presentazione della suite orchestrale Black Brown and Beige, la più celebre composizione estesa di Duke Ellington e dell’intera musica afroamericana, il bilancio per questo tipo di materiale è piuttosto deludente: i musicisti preferiscono ancora mettere alla prova la propria capacità di produrre poetiche attraverso strutture brevi e circolari, flessibili e polifunzionali, folgoranti come aforismi ed essenziali come haiku. Unica differenza: se un tempo si cercava la propria anima tra le sontuose armonie di Cole Porter o Jerome Kern, oggi riesce più naturale farlo sulle strutture neo-modali di Jimi Hendrix o Kurt Cobain, reincarnazione energetica del blues, la musica da cui tutto nacque. Duke Ellington Se un tempo i musicisti cercavano la propria anima nelle armonie sontuose di Porter e Kern oggi è più naturale ritrovarsi in Hendrix e Cobain LEGGERE di Simonetta Bitasi IL “BRITTEN PENSIERO” SULLA MUSICA Il volume, curato da Luca Scarlini, raccoglie alcuni dei testi più importanti del più importante compositore britannico del Novecento, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita. La sua visione della creazione musicale come parte della rappresentazione della società è uno dei fili più importanti della sua poetica, come emerge da Peter Grimes. Oltre ai testi teorici nella raccolta viene presentata un’appassionata difesa di Mahler. La musica non esiste nel vuoto, di Benjamin Britten, Castelvecchi marzo 2013, pp. 96, 7,50 euro. NELL’ANNO WAGNERIANO UN’IMPERDIBILE PRINCIPE Con l’arrivo dell’anno wagneriano non esiste alcun progetto di vere e proprie monografie sui drammi musicali di Richard Wagner. La serie La spada della dualità, che si apre con il dramma Lohengrin, propone i 14 libretti dei drammi wagneriani nella nuova traduzione di Quirino Principe, insieme con una monografia, scritta da Principe stesso, che coniuga capacità comunicativa e esattezza scientifica, filologica e storica. Wagner e noi di Quirino Principe, Jaca Book 2012, pp. 120, 10 euro. ASPIRANTI MUSICISTI ECCO IL LIBRO CHE FA PER VOI Per i musicisti di tutti i livelli, che suonano o aspirano a suonare in una band, ecco il libro con dvd che rivela tutti i segreti della dinamica di un gruppo. Il Senso della Band va oltre la tecnica strumentale e il talento artistico per svelare come si crea l’alchimia che rende speciale suonare insieme. Lo straordinario dvd è registrato interamente live e coinvolge quattordici musicisti della scena mondiale. Il Senso della Band di Marco Bazzi, Edizioni Curci 2013, pp. 200, 21 euro. Madame SOUSATZKA maternità musicale «Suonerà il Quarto Concerto di Beethoven», annunciò madame Sousatzka. «Non importa quello che suonerà», disse Manders, «Come si vestirà? Conta di più quello… Per quanto riguarda il Quarto Concerto di Beethoven, lo so bene, quasi tutti i miei pianisti lo suonano – ma non credo che Marcus, sì insomma non penso che sia abbastanza maturo. Credo che un po’ di Mozart sarebbe più adatto. Una doppia immagine di bambini prodigio», disse. «E dopotutto, Mozart è molto più facile per un giovanetto». Madame Sousatzka esplose di fronte a questa ignoranza abissale. «Lei lo vuole maturo? Anche io lo volere maturo. E quando è maturo suonerà Mozart. Prima no. Lei pensa che suonare pianoforte è solo tecnica. E dunque lui può suonare Mozart, crede lei. Semplice. Signor Manders, la musica non sono solo note bianche e nere. Per Mozart tu devi essere grande musicista, devi avere vissuto e sofferto, provato e fallito. Tu devi conoscere gioia, odio, tradimento. Mio Marcus è un bambino... E a me non importa quanti dei suoi bambini suonano il Beethoven. Mio Marcus lo suonerà meglio». Marcus, undici anni, una madre povera e ambiziosa ha un indubbio talento per il pianoforte. Approda così nella colorata e anticonformista casa di Madame Sousatzka, un inglese incerto e un metodo di insegnamento non convenzionale. Ma è amore a prima vista tra il simpatico e sensibile Marcus e la stravagante insegnante, tanto da innestare la gelosia della madre del ragazzo. Il romanzo di Madame Sousatzka di Bernice Rubens, traduzione di Marina Morpurgo, Astoria 2012, pp. 232, 16 euro Bernice Rubens è sicuramente permeato di musica, ma è anche un commovente racconto sulla maternità e le sue varie sfumature, e una riflessione intensa sul rapporto tra il talento e l’età anagrafica. Non mancano poi i momenti comici, grazie alla casa al 132 di Vauxhall Mansions e alla variegata umanità che la abita. E che accoglie e coccola Marcus come un figlio. O per merito della madre di Marcus, che vive in simbiosi con un orrendo cappello marrone, le calze filo di scozia e la borsa della spesa che non abbandona mai e che fa vergognare il piccolo musicista. E Marcus? Come dice madame Sousatzka è un bambino e quindi ha ancora la capacità di vedere il buono di ogni situazione e anche di dimenticare chi gli ha voluto bene. musicalmente 37 IN PLATEA Business e poesia. Due universi lontani convivono nella persona di Piero Mario Vello. Il Segretario generale della Fondazione Cariplo affianca alla formazione economica (Master all’Università Bocconi di Milano, dove oggi è membro del Cda) una irrinunciabile passione per gli studi umanistici, come dimostrano la laurea in filosofia teoretica e anche recenti pubblicazioni di testi in versi, con titoli suggestivi come La casa sonora (Arcolaio). In più c’è l’amore per la musica, soprattutto quella italiana del Settecento, di cui accetta di parlare per la prima volta in questa intervista. Dottor Vello, ci racconta com’è stato folgorato sulla via di Vivaldi? «Quello per Vivaldi è stato amore al primo ascolto: nella sua musica ci sono i colori di Venezia e dell’Oriente, luci e ombre in un equilibrio di assoluta perfezione formale. Non mi stanco mai di ascoltare le Quattro Stagioni, ma anche altri autori dell’epoca come Benedetto Marcello». Quando ha cominciato ad ascoltare musica? «Al liceo. Merito, come spesso accade, di un insegnante illuminato». Oltre a Vivaldi, quali autori ascolta più volentieri? «Mi piace anche la lirica, in questi giorni sto riascoltando Turandot, una delle mie opere preferite». Nel bicentenario della nascita di Verdi e di Wagner lei per chi fa il tifo? «Confesso di non amare Wagner: il suo linguaggio ha un’espressività troppo esasperata per i miei gusti». Viva Verdi, allora? «Non c’è dubbio. Rigoletto, per restare alla sua opera più famosa, è un capolavoro di perfezione formale». Lasciamo un momento da parte la musica? Banche e fondazioni bancarie sono nell’occhio del ciclone, non posso non chiederle un commento. «Per quanto riguarda le accuse alle fondazioni bancarie di detenere quote delle banche, posso dire che la fondazione Cariplo ha una quota davvero minima (il 4,8 per cento), il resto è investito in attività diversificate, i cui proventi vanno ai progetti filantropici, ad esempio in campo educativo. Il Monte dei Paschi di Siena è finito nel mirino per una gestione discutibile che però in Italia non è la regola: nel nostro Paese ci sono molte fondazioni che lavorano bene, sostenendo la cultura e il terzo settore». Chiudiamo la parentesi e torniamo all’arte dei suoni. Lei suona qualche strumento? «Purtroppo no, anche se mi piacerebbe il violino per suonare la musica di Vivaldi. In compenso ho una figlia che ha cominciato con il pianoforte quando aveva 6 anni e che continua a esercitarsi dopo vent’anni, anche se soltanto come un hobby». Come si trasmette l’amore per la musica ai figli? «Incoraggiandoli e senza mai forzarli: la musica dev’essere una loro scelta libera, non un’imposizione. E suonare uno strumento dev’essere un’esperienza piacevole e gratificante, non una gara di bravura per compiacere i genitori». 38 musicalmente di Alice Bertolini Pier Mario Vello Con Vivaldi è stato amore al primo ASCOLTO Pier Mario Vello, segretario generale di Fondazione Cariplo, racconta di passioni e convinzioni. Tifa Verdi e invita a non fare delle fondazioni bancarie un solo fascio LA FILOSOFIA DEL MANAGER Dal 2006 Pier Mario Vello è il segretario generale di Fondazione Cariplo (che da anni sostiene l’Orchestra da Camera di Mantova). Laurea in Filosofia teoretica a Torino e master in economia e gestione aziendale alla Bocconi, Vello ha ricoperto posizioni dirigenziali in aziende di rilevanza internazionale, fino a alla carica di Chief executive officer e direttore generale di importanti società italiane della distribuzione. Da sempre è attento in particolare ad aspetti legati ai fattori umani e ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti tra cui i premi “Paul Harris Fellow” della Fondazione Rotary International e “Great Place to Work”. La sua gestione manageriale è caratterizzata anche da una forte sensibilità verso la promozione della cultura e della filantropia. Questa pagina, destinata agli operatori musicali, ospita i progetti che l’Ocm propone per la prossima stagione Prosposte artistiche 2013/2014 Orchestra da Camera di Mantova ESTRO, TECNICA E RAFFINATEZZA: CON L’OCM C’E’ PATRICIA KOPATCHINSKAJA Patricia Kopatchinskaja, violino Orchestra da Camera di Mantova NUOVO TOUR EUROPEO CON ALEXANDER LONQUICH Alexander Lonquich, pianoforte Orchestra da Camera di Mantova Dal 22 al 28 ottobre 2013, l’Orchestra da Camera di Mantova si presenta al fianco di Patricia Kopatchinskaja. Violinista tra le più richieste del panorama internazionale, collabora con orchestre quali Wiener Philharmoniker, Staatskapelle di Berlino e Deutsche Kammerphilharmonie di Brema. Nata in Moldovia, ha studiato tra Vienna e Berlino. Nel 2000 ha vinto il Concorso Szeryng in Messico e nel 2002 l’International Credit Suisse Group Young Artist Award. Nel 2004 ha ricevuto il Premio Ebu (European Broadcasting Union) e nel 2006 si è aggiudicata il Premio speciale della Radio Tedesca. Disponibilità: 22, 23, 26, 27 e 28 ottobre 2013 In collaborazione con Resia Artists Il febbraio e il maggio 2014 vedranno l’Orchestra da Camera di Mantova impegnata in un tour europeo con il pianista Alexander Lonquich, straordinario artista col quale la compagine stringe da anni un sodalizio particolarmente apprezzato. Insieme hanno dato vita a progetti monografici dedicati a Mozart, Chopin e Beethoven, che hanno incontrato il pieno consenso di pubblico e critica. Il prossimo febbraio insieme approdano al Concertgebouw di Amsterdam, quindi a maggio dano vita a un nuovo tour europeo. UNA VIRTUOSA PER L’OCM: RACHEL KOLLY D’ALBA UMBERTO BENEDETTI MICHELANGELI DIRIGE LA PIU’ CELEBRE DELLE SINFONIE Rachel Kolly D’Alba, violino Orchestra da Camera di Mantova Disponibilità: febbraio 2014, maggio 2014 e su richiesta In collaborazione con Lorenzo Baldrighi Artists Management Orchestra da Camera di Mantova Coro da Camera Ricercare Ensemble Romano Adami, maestro del coro Umberto Benedetti Michelangeli, direttore L.v. Beethoven, Sinfonia n. 9 in re minore op.125 Un nuovo sodalizio per l’Orchestra da Camera di Mantova, che nella primavera-estate 2013 si presenta al fianco della giovane solista Rachel Kolly d’Alba, considerata oggi la violinista svizzera di maggior talento. La ricchezza e varietà del suo vibrato è paragonato ai grandi violinisti del passato così come la sua forte personalità, l’eleganza e poetica del fraseggio e il virtuosismo mai fine a se stesso. Si è imposta nei principali concorsi svizzeri e nel 2005 ha vinto il Primo Premio all’International Competition “Julio Cardona”, nonchè il Premio per la migliore interpretazione di un lavoro contemporaneo. Disponibilità: primavera-estate 2014 In collaborazione con Resia Artists Umberto Benedetti Michelangeli torna a dirigere l’Orchestra da Camera di Mantova nella Nona Sinfonia di Beethoven, la partitura più ammirata del Genio di Bonn: innovativa e riassuntiva, drammatica e lirica, e dotata di una forza di coinvolgimento collettivo forse insuperata. Disponibilità: Dal 12 al 17 ottobre 2013, dal 12 al 19 dicembre 2013 e su richiesta In collaborazione con Resia Artists A BAYREUTH CON L’ARPISTA ISABELLE MORETTI BALLISTA DIRIGE L’ENSEMBLE OCM Isabelle Moretti, arpa Orchestra da Camera di Mantova Il 13 marzo 2014 l’Orchestra da Camera di Mantova torna sui palcoscenici europei insieme con la raffinata arpista francese Isabelle Moretti. Brillante, appassionata e di grande temperamento, interpreta il suo strumento con stile unico, generosità, sincerità e tocco aristocratico. Premiata nelle competizioni internazionali per arpa di Ginevra, Monaco e Israele, viene regolarmente invitata dalle principali sale da concerto in tutto il mondo. Il repertorio per strumento solista di Isabelle Moretti è particolarmente vasto e spazia dalla musica del diciottesimo secolo e dalle prime sonate per arpa a pedali fino alle piu’ complesse opere contemporanee in prima mondiale. Disponibilità: marzo 2014 In collaborazione con Konzertagentur Dagmar Korner Antonio Ballista, direttore Ensemble dell’Orchestra da Camera di Mantova Lorna Windsor, voce Anni ruggenti, Melodie struggenti vede Antonio Ballista dirigere l’Ensemble dell’Ocm, nell’interpretazione di meravigliose musiche da film del cinema americano e straordinarie canzoni italiane degli Anni 1910-50, elaborate e strumentate dal compositore Alessandro Lucchetti. Disponibilità: dall’1 al 10 ottobre 2013 e su richiesta In collaborazione con Parma Concerti