2013 | Anno 9 | numero 2 - Orchestra da Camera di Mantova

N
usicalmente
Anno 9 - Numero 2
Marzo - Aprile 2013
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BEETHOVEN
CELEBRATIVO
Trevor Pinnock
“I nuovi orizzonti
della mia carriera”
Umberto Benedetti
Michelangeli
“Una vita con l’Ocm”
Tariffa R.O.C. “Poste Italiane Spa” - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (Conv. In. L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, DCB Mantova
In collaborazione con
EDITORIALE
di Andrea Zaniboni
NONA SINFONIA:
culto o rivelazione?
Dopo aver ascoltato, anzi, riascoltato, la Nona Sinfonia saremo
davvero più felici?
O avremo semplicemente adempiuto ad un rito, quello secondo il
quale al capolavoro di Beethoven
non si sfugge per una forma di dovere sociale che nell’ambito circoscritto dei più intransigenti musicofili è addirittura un obbligo?
Difficile mantenere un obiettivo,
asciutto rapporto con le opere
d’arte più frequentate e celebrate: la nostra risposta, quale che
sia ed apparentemente impulsiva, si sovrappone ad una serie
breve o infinita di esperienze, letture, influenze intellettuali, reazioni emotive, convinzioni maturate nel tempo, e perfino alle
regole di un mercato poco visibile ma presente, che tratta l’arte
e tanto altro come un prodotto,
talvolta di lusso, talvolta popolare, ma sempre come un prodotto in vendita di probabile, o meglio, certa soddisfazione.
Di sicuro poi, sempre a proposito di questo astratto rapporto,
occorrerà distinguere fra l’ascolto solitario, che avviene fra le
mura di casa nostra con l’aiuto di
un disco o con il tramite d’una
trasmissione radiofonica o televisiva, e ciò che produce in noi la
partecipazione diretta e desiderata ad un evento pubblico.
Ammessa la possibilità di un confronto, poco probabile in una
città di provincia, solitamente
esclusa dai circuiti della tivù musicale, le due versioni del medesimo avvenimento non potranno
in ogni caso che essere ben diverse: la presenza del filtro co-
municativo del media e, nel caso
della ripresa video, l’aggiunta di
un linguaggio sovrapposto, cioè
quello definito da una regia delle immagini, forse risponderà al
compiersi della partitura ed alla
sua struttura, ma di certo non al
nostro personalissimo rapporto con il vivo, diretto prodursi
dell’opera, fatto anche di vicinanza fisica e di realtà sonora:
degli interpreti e di chi come noi
partecipa con il senso dell’attesa.
Che un grande, intoccabile capolavoro come la Nona Sinfonia di
Beethoven possa paradossalmente mettere in crisi il concetto di
funzione dell’arte, lo possiamo
dare per scontato: la Nona è una
sorta di indistinto bagno collettivo, e perciò almeno parzialmente inconsapevole, nonché indotto dal suo fitto replicarsi in ogni
luogo. Un bagno in una bellezza
misteriosa ed universale che, per
vie magiche, riconcilia con noi
stessi e con il mondo, rendendo
credibile l’utopia di un vivere pacifico, saldo nei principi fondamentali, percorso da energie antiche ma necessarie.
La Nona è un mito, e come tutti
i miti, sfuggendo ad una catalogazione ordinaria, chiede fede e
restituisce amore.
In ciò sta la sua sacralità, che per
qualcuno sarà gioia, quella cantata da Schiller, e per talaltro uno
strano processo purificatorio,
dalle conseguenze ignote. Ma di
questo Beethoven immortale, comunque andrà, se ne sente molto il bisogno, in questi tempi soffocati dalla sfiducia.
Una relazione
obiettiva con le
musiche più celebrate
è difficile. E così
entra in crisi
il concetto
di funzione dell’arte
L’ultima Sinfonia
di Beethoven
è una sorta di bagno
collettivo, di una
bellezza misteriosa
e universale che,
per vie magiche,
riconcilia con noi
stessi ed il mondo
musicalmente
3
Marzo - Aprile 2013
SOMMARIO
10
6
Beethoven secondo noi
Nel segno della Nona Sinfonia
7
Le affinità elettive. Intervista
a Umberto Benedetti Michelangeli
di Anna Barina
N
6
IN COPERTINA
10
12
12
Avventure della Gioia
Breve storia politica
di Alessandro Taverna
Cura Ludwig:
Beethoven al cinema
di Claudio Fraccari
13
13
di Emenuele Salvato
16
23
17
Gl’irriverenti consigli
degli under 14
I CONCERTI
16
Festa barocca
a Madama DoRe
17
In quattro.
Con il pianoforte
25
d Gian Paolo Minardi
23
Happy birthday Britten!
Appuntamenti da non perdere
di Luca Ciammarughi
25
N
usicalmente
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STAMPA: Sel Srl CREMONA - via De Berenzani, 6 - Tel. 0372-443121.
Registrazione al Tribunale di Mantova n. 10/2004 del 29/11/2004
musicalmente
di Emanuele Battisti
TIRATURA 4.000 copie
DIRETTORE RESPONSABILE: Andrea Zaniboni
COORDINAMENTO EDITORIALE E RESTYLING: Anna Barina
GRAFICA: Elena Avanzini
REDAZIONE: Valentina Pavesi
HANNO COLLABORATO: Paola Artoni, Michele Ballarini, Emanuele Battisti, Alice
Bertolini, Giovanni Bietti, Simonetta Bitasi, Luca Ciammarughi, Roberto Codazzi, Azio
Corghi, Claudio Fraccari, Gian Paolo Minardi, Emanuele Salvato, Luca Segalla, Giorgio
Signoretti, Alessandro Taverna
EDITRICE: Associazione Orchestra da Camera di Mantova
SEDE LEGALE, DIREZIONE, REDAZIONE: MANTOVA, Piazza Sordello, 12
Tel. 0376 368618 - E-mail: [email protected]
4
Pinnock, pioniere della Early Music
IN ORCHESTRA
a cura di Valentina Pavesi
27
Inedite sintonie. Prossimi
appuntamenti targati Ocm
29
Engelbert Thies
Due volte sostenitore
RUBRICHE
30
35
AMICI
Parolenote
tra Britten e Beethoven
MUSICA & ARTE
Wagner, potenza artistica
che va oltre la sfera musicale
di Paola Artoni
31
36
QUADERNO DI VIAGGIO
Organi storici, eccellenza italica
di Guido Mario Pavesi
32
di Giorgio Signoretti
37
COLONNA SONORA
Se Britten esalta Wes Anderson
38
GRAMMOFONO
Gulli, poeta del violino
di Michele Ballarini
34
LEGGERE
Madame Sousatzka maternità musicale
di Simonetta Bitasi
di Claudio Fraccari
33
ALTRA MUSICA
Il debito del jazz per la “forma estesa”
IN PLATEA
Pier Mario Vello,
amore al primo ascolto con Vivaldi
di Alice Bertolini
CD - DVD
Una Bohème
sfacciatamente moderna
di Luca Segalla
Emanuele
Battisti
Alessandro
Taverna
Gian Paolo
Minardi
Dopo aver conseguito una
Laurea in Lettere Moderne e un diploma in pianoforte ed in organo, Battisti
ha ottenuto un Master in
Composizione elettroacustica negli Stati Uniti, e un Master in Informatica Musicale
in Francia. Da alcuni anni
vive a Parigi, dove lavora
come musicista e produttore. Nell’aprile 2012 ha fondato un’etichetta, attiva nel
settore della musica elettroacustica e di improvvisazione, e attorno alla quale
gravita un collettivo internazionale di compositori e
musicisti.
Alessandro Taverna si è laureato in Lettere e Filosofia
all’Università di Bologna. Ha
collaborato stabilmente alle
pagine di cultura e spettacoli dei quotidiani emiliani del
gruppo Finegil-L’Espresso e
attualmente è il critico musicale per l’edizione di Bologna del Corriere della Sera.
Oltre a collaborare con Rai
Radio Tre, dal 1996 al 2002
ha curato e condotto la trasmissione quotidiana All’Opera! dal Teatro Comunale di
Bologna, con il plauso della
Corte dei Conti. Si occupa di
temi musicali sulle principali
riviste di settore.
È nato e ha compiuto i suoi
studi a Parma, dove ha insegnato quale professore associato di Storia della
musica moderna. Oltre a
numerosi articoli su riviste
italiane e straniere e ad alcune collaborazioni alla stesura di enciclopedie musicali, ha pubblicato alcuni
volumi. Svolge attività critica per Amadeus, Opéra International, Classic Voice.
Dal 1973 è critico musicale della Gazzetta di Parma
È stato consulente artistico
di alcune iniziative musicali, tra cui il Festival Mozart
di Salsomaggiore.
musicalmente
5
BEETHOVEN secondo noi
Tempo d’Orchestra chiude con una tre giorni dedicata
alla “Nona Sinfonia”. Coinvolgendo bimbi e adulti,
curiosi e appassionati. Si inizia il 24 aprile
6
musicalmente
IN COPERTINA
Le AFFINITÀ elettive.
Una vita con l’Ocm
Umberto Benedetti Michelangeli
racconta il suo lungo rapporto
con l’orchestra che ha contribuito
a crescere e che ora torna
a guidare nel segno di Beethoven
di Anna Barina
Umberto Benedetti
Michelangeli. Sotto,
il musicista bresciano
con l’Orchestra
da Camera di Mantova
Un ritorno, per celebrare insieme a quella che è anche
una sua creatura il ventennale di Tempo d’Orchestra. È
Umberto Benedetti Michelangeli, direttore ma prima
di tutto «musicista», come lui ama definirsi, a chiudere
le celebrazioni di questa stagione concertistica che ha
visto l’Orchestra da Camera di Mantova festeggiare le
sue venti primavere. Il grande artista bresciano, nipote
del leggendario Arturo e figlio del violinista Umberto,
salirà venerdì 26 aprile sul palco del Teatro Sociale per
dirigere la monumentale Sinfonia n. 9 in re minore op.125 di Ludwig van
Beethoven alla cui esecuzione partecipano il Coro da Camera Ricercare Ensemble diretto da Romano Adami e i solisti Olga Senderskaya soprano, Franziska Gottwald mezzosoprano, Thorsten Büttner tenore e
Günes Gürle basso. Un legame a doppio filo quello tra Umberto Benedetti Michelangeli e l’Ocm. «Una scelta di vita» sottolinea lui, perchè
non solo è uno dei direttori che più volte è salito sul podio dell’ensemble mantovano, ma è colui che, insieme al violinista Carlo Fabiano ne
ha pensato e condiviso il percorso, umano e musicale, sin dagli albori.
A lei l’onore di chiudere le celebrazioni per il XX di Tempo d’Orchestra.
Un rapporto, quello con l’Ocm, lungo e solido che ha portato anche al
Premio Abbiati. Come definirebbe questi “quasi” vent’anni insieme?
«Ho conosciuto Carlo Fabiano proprio nel 1984 e abbiamo cresciuto
insieme l’Orchestra da Camera di Mantova. Il mio con l’Ocm è un rapporto di appartenenza a tutti i livelli, un legame di assoluta e perfetta
complementarietà. Negli ultimi anni abbiamo seguito percorsi diversi
ma questo ha reso il nostro vincolo ancora più indelebile, ognuno di
noi porta sempre dentro un pezzo degli altri. Credo che questo tipo
di incontri avvengono perchè uno li ha già dentro e creano affinità
elettive che nel tempo diventano un privilegio per tutti. Perchè non
si tratta di una semplice collaborazione tra un direttore, un musicista
e un’orchestra, ma della scelta di percorre insieme un cammino partendo da una radice comune che poi si sviluppa
e ramifica. Questi vent’anni, insomma, sono senza dubbio l’esperienza più importante della mia
vita. Una scelta che mi ha portato a rinunciare, per
molto tempo, al normale percorso seguito da ogni
direttore d’orchestra. Ho voluto fosse così perchè
ho trovato le persone, i musicisti, l’ambiente, il
modo di lavorare che inconsciamente avevo sempre cercato, qualcosa che è andato oltre il semplice rapporto funzionale ma anche oltre la musica
che è l’unica situazione in cui io riesco ad essere
me stesso».
Beethoven è stato l’autore guida di un progetto iniziato nel 2001. Con l’Ocm ne ha percorso Sinfonie,
Concerti ed opere sinfonico-corali. Ora torna a dirigere l’ultimo capolavoro sinfonico del maestro di
Bonn, summa del suo mondo interiore e della sua
concezione filosofica. Possiamo dire anche culmine
della sua intesa artistica con l’Ocm?
musicalmente
7
IN COPERTINA
IL CORO
Il coro Ricercare Ensemble con l’Ocm nel 2011
«Già dodici anni fa l’esecuzione della Nona era stata un vertice assoluto di comunanza e intensità, frutto di un lavoro sempre condiviso con
l’Ocm e Carlo Fabiano. Una sera dopo l’altra, una città dopo l’altra, ne
realizzammo sette: una maratona ricca di tale gioia che credo saremmo
andati avanti a farne altrettante. Quello che mi auguro è che non accada nulla di troppo diverso da allora perchè, da un punto di vista interiore, sottoscrivo in pieno quell’interpretazione. Un tipo di consonanza
assoluta che accade solo quando un evento si colloca totalmente fuori
dalla dimensione temporale. Speriamo, oggi, di uscire dal tempo, di ritornare nello stesso luogo, ritrovare Beethoven e il suo mondo e attraverso la musica riconoscere anche noi stessi nel nostro rapporto».
Sarà un Beethoven classico o attualizzato sulla scia di Mahler e Wagner?
«Rispondo citando un’affermazione di Mahler stesso, secondo cui “la
tradizione non è il culto delle ceneri ma la custodia del fuoco”. Intendo
dire che il modificarsi del gusto non ha alcuna importanza, l’unica cosa
da cancellare con orrore è l’idea di chinare il capo al passato e continuare a rievocare immagini di un tempo già andato: si tratterebbe di necrofilia e non di arte. Ben venga invece tutto ciò che esula da questo».
Lei porta il cognome e il sangue di uno dei più grandi pianisti del secolo scorso, Arturo Benedetti Michelangeli. Un’eredità anche scomoda o
piuttosto uno stimolo?
«Ho avuto la fortuna di crescere in una tale libertà interiore che quando sono davanti al pubblico il mio ultimo pensiero è il mio cognome,
che ho sempre vissuto con estrema naturalezza. Siamo in una società
dove il nepotismo non difetta ma la verità è che nessuno della mia famiglia, volutamente, ha mai fatto qualcosa per agevolarmi o proteggermi,
anzi, mi sono sempre sentito ripetere che ciascuno deve trovare la propria strada con le sue sole forze. E qui entriamo nel vivo della questione
perché questo, semmai, costituisce un problema per chi pensa che io
abbia avuto chissà quali facilitazioni. Da questo punto di vista posso dire
che l’essere nipote o figlio di mi ha creato qualche svantaggio ma sono
felice sia stato così perchè l’indipendenza di pensiero non si compra».
Le difficoltà che attraversa l’Ocm, quasi a rischio sopravvivenza come
molte altre realtà musicali italiane, è palese. Lei che lavora anche all’estero, come vive la situazione e quali spiragli avverte per il futuro?
«È incredibile che in una nazione civile una realtà come l’Orchestra da
Camera di Mantova, che da più di vent’anni è riconosciuta da tutti per
8
musicalmente
Il nome del Ricercare Ensemble si è già legato in molte occasioni a quello dell’Orchestra
da Camera di Mantova ed alla storia di Tempo
d’Orchestra. La vicinanza fisica tra queste realtà
ha avuto un peso in tante collaborazioni fortunate, dato che il Ricercare è il più rappresentativo
insieme vocale mantovano; ma indubbiamente
le esperienze d’ascolto degli ultimi anni hanno
svelato anche belle sintonie d’intenti, particolarmente efficaci nel repertorio classico, con Mozart e Beethoven in primo piano. Coro di lunga esperienza e di vasto repertorio, sviluppato
nell’ultimo ventennio sotto la guida di Romano
Adami, il Ricercare rinnova, ora, il contributo
decisivo che la celeberrima Nona Sinfonia beethoveniana richiede, contributo già apprezzato in occasione della passata “integrale” del
ciclo sinfonico dedicato al maestro di Bonn.
Riprendendo un filo in realtà mai interrotto. (a.z.)
“Già a suo tempo la Nona
era stato un vertice
assoluto. Speriamo, oggi,
di uscire dal tempo,
ritornare nello stesso
luogo, ritrovare
Beethoven e il suo mondo
e attraverso la musica
riconoscere noi stessi
nel nostro rapporto”
“Ho avuto la fortuna
di crescere in una tale
libertà interiore che
davanti al pubblico il mio
ultimo pensiero è il mio
cognome. Che mi ha
tutt’al più creato qualche
svantaggio. D’altra parte
l’indipendenza di
pensiero non si compra”
IN COPERTINA
“In Italia si rischia
la morte della musica.
Siamo di fronte ad una
catastrofe epocale e per
andare avanti è necessario
inventare un nuovo
e radicale modo di pensare”
Benedetti
Michelangeli
la sua eccellenza, sia quasi costretta a chiedere l’elemosina. Lavoro fuori dall’Italia quel tanto che basta ad osservare con occhio critico quanto accade nel nostro Paese. Il problema vero è che qui, come in buona
parte del mondo occidentale, è stato ucciso il Sacro, e con esso l’arte, e sostituito con l’esasperazione della razionalità, con l’uso esagerato della tecnologia, con la pretesa di razionalizzare e ricondurre
ogni esperienza ad una sfera puramente mentale. La nostra civiltà
non è in via di decadimento, è già putrefatta. I fenomeni a cui assistiamo non sono i sintomi ma gli effetti di un’entità morente. L’arte
non c’è più e il rovescio della medaglia sono gli atteggiamenti isterici
di adesione di massa a qualsiasi cosa, bella o brutta. In Italia stiamo
pesantemente rischiando la morte della musica. C’è da non aver parole, ovunque ci si volta si trova un disastro nonostante altrove, dove le cose funzionano, non si faccia altro
che rimpiangere le qualità musicali degli italiani, il loro
senso naturale della musica, del canto, dell’arte e della bellezza in generale. La cultura è una conseguenza
della coltivazione dello spirito, altrimenti significa solo
leggere un libro che è la pratica dietro cui si rifugiano
generalmente i mediocri per far vedere che capiscono, ma conoscere non significa capire. Siamo di fronte
ad una catastrofe epocale e per andare avanti è necessario inventare un nuovo e radicale modo di pensare.
Vorrei poter dire una parola di speranza ma in questo
momento vedo molte tenebre, l’unica luce arriva dai
nuovi talenti che, nonostante tutto, continuano a veder nascere. E speriamo siano anche dei nuovi profeti
della musica».
QUATTRO VOCI SOLISTE, UNA SCELTA PONDERATA
«I problemi che crea la Nona per le
voci sono ben noti sia per i solisti che
per il coro, perchè è scritta in maniera
talmente scomoda che anche nei casi
migliori si possono manifestare situazioni imbarazzanti. Uno dei modi per
cercare di limitare i “danni” che questa
scrittura provoca è cercare di scegliere
delle voci più morbide possibili». Così
Umberto Benedetti Michelangeli parla
della Sinfonia n. 9 in re minore op.125
di Ludwig van Beethoven che venerdì 26 aprile dirige al Teatro Sociale di
Mantova per la XX Stagione di Tempo
d’Orchestra, raccontando come ha selezionato personalmente il quartetto di
voci soliste.
«Franziska Gottwald ha un lungo rapporto di amicizia e collaborazione con
l’Orchestra da Camera di Mantova. Ha
preso parte a diversi progetti tra cui,
dal 2004 al 2007, il ciclo incentrato
sulla produzione sacra di Wolfgang
Amadeus Mozart. È un meraviglioso
mezzosoprano specialista del repertorio barocco, ma non solo, ha un voce
intonatissima di una morbidezza straordinaria. Il soprano, Olga Senderskaya,
è a mio giudizio una delle più belle
voci per questo repertorio. Poco conosciuta in Italia, possiede una vocalità
omogenea e duttile in tutta la tessitura.
Con il tenore Thorsten Büttner non ho
mai lavorato prima d’ora ma l’ho sentito un paio di anni fa e mi ha incantato per le stesse ragioni, morbidezza
H LQWRQD]LRQH ,O EDVVR *QHü *UOH q
di origine turca ma lavora al Teatro di
Düsseldorf in Germania. Un paio d’anni
fa ho diretto lì un Ratto del Serraglio di
Mozart dove lui interpretava Osmin, ed
ha una voce nobilissima tanto che secondo me il suo repertorio perfetto è
anche Beethoven. Mi auguro che questa scelta favorisca la compattezza e
l’armonialità tra le voci che, a parer mio,
è auspicabile in qualsiasi repertorio ma
in particolare nel caso della Nona Sinfonia dove le spigolosità vocali hanno
bisogno di essere attenuate». (a.b.)
Dall’alto in senso orario:
Olga Senderskaya,
Günes Gürle (Photo Antwerpen),
Thorsten Büttner
e Franziska Gottwald
musicalmente
9
IN COPERTINA
G. Klimt, particolare del fregio di Beethoven
(Palazzo della Secessione, Vienna, 1902)
«Dipingere la gioia è una delle più grandi sfide e lo scacco è in
agguato, pure nella totale riuscita dell’impresa». Parole di Esteban Buch, ad apertura di un libro – apparso in Francia per le
edizioni Gallimard – dedicato alla Nona di Beethoven e alla sua
storia politica. Sulla sorte dell’ultima opera sinfonica del genio di
Bonn si sofferma il musicologo di origine argentina in un saggio
dove si scorrono le vicissitudini di un capolavoro senza precedenti nella storia della musica occidentale. E la storia prende avvio
molto prima di una sera di mezza primavera nel 1824 a Vienna al
teatro di Porta Carinzia, quando
Beethoven non sentì nulla, nemmeno gli applausi che scuotevano
la sala cui lui voltava le spalle. Per
Esteban Buch la storia comincia
con il lungo percorso di avvicinamento all’ode scritta da Friedrich
Schiller nel 1785. La scelta coincide col tempo degli inni politici
delle moderne nazioni europee.
L’Inno alla Gioia in un primo momento assurge a inno dell’Europa
musicale che tributa un omaggio
a Beethoven e successivamente
a inno dell’Europa che celebra i
propri valori attraverso la musica di Beethoven. L’Ode alla gioia
è un totem già nel 1845, quando
sull’ultimo movimento sembrano
di Alessandro Taverna
convergere le celebrazioni nella
Avventure
della GIOIA
Le vicissitudini di un capolavoro senza precedenti
nella storia della musica occidentale.
Storia politica della più celebre
delle Sinfonie e del suo suggestivo Inno
10
musicalmente
IN COPERTINA
La storia comincia
con il lungo percorso
di avvicinamento
all’ode scritta
da Friedrich Schiller
nel 1785
Dell’Inno beethoveniano
tutti hanno sentito
il diritto di appropriarsi,
dalla Società delle
Nazioni al Terzo Reich
città natale di Beethoven. L’esecuzione dell’Inno ruba la scena perfino
all’erezione del monumento al musicista. Ancor più simbolicamente,
la Nona accompagnerà, nel 1870, la posa della prima pietra del teatro
di Bayreuth, quando Richard Wagner rivendica la stessa sinfonia come
opera tedesca. Con l’ampio ciclo pittorico di Gustav Klimt, presentato
nel padiglione della Secessione a Vienna nel 1902, la Nona acquista un
altro primato: è la prima opera musicale cui si tributa un ritratto. «La
giustapposizione dell’eroe dipinto con le fattezze di Mahler e del gorilla
libidinoso - scrive Esteban Buch - illustra la capacità del mito beethoveniano di riflettere le tensioni dell’anima borghese esplorata da Freud».
Nel 1924 la Società delle Nazioni eleggerà l’Inno beethoveniano a simbolo della fratellanza fra i paesi, in un’aspirazione a ideali pacifisti, presto
frenati dagli eventi che precipiteranno il mondo nella seconda guerra
mondiale. «Il bacio al mondo intero» lanciato da Beethoven aveva fatto
in tempo a diventare nella propaganda del Terzo Reich un ambiguo abbraccio nazionalista. Nel secondo dopoguerra l’Inno alla Gioia diventa
inno ufficiale dell’unione europea – perdendo le parole con la complicità di Herbert von Karajan che ne cura l’arrangiamento – o come liturgia
per la caduta del Muro di Berlino – mutuando Freude in Freiheit, stavolta
con la complicità di Leonard Bernstein. Altre avventure toccarono a una
sinfonia di cui tutti hanno sentito il diritto di appropriarsi, in forza della
sua enorme suggestione. Eppure aveva scritto Wilhelm Furtwängler che
«nell’animo di Beethoven vive qualcosa dell’anima di un bambino innocente». Pensava proprio alla Nona il direttore d’orchestra, senza sapere
che fra gli orrori di Auschwitz un bambino era rimasto colpito dal canto
intonato da un gruppo di prigionieri raccolti nelle latrine del lager. Tornato libero, il ragazzo scoprirà con stupore che quel canto che lo aveva
colpito era l’Inno alla Gioia.
BREVE DISCOGRAFIA DELLA NONA
Con una composizione famosa come la
Sinfonia n. 9 op. 125 di Beethoven si rischia di perdersi letteralmente nella produzione discografica ad essa dedicata
anche perché si tratta di scegliere fra direttori e orchestre ma anche fra i cantanti
del celebre ultimo movimento. Nell’ambito delle “robuste” e storiche interpretazioni segnaliamo quella del 1955 alla
Wiener Staatsoper (Orfeo C669051B)
con i Wiener Philharkoniker diretti da Bruno Walter; la qualità audio è ovviamente
legata all’epoca ma certo una conduzione come questa è assolutamente da non
perdere anche perché fra i quattro solisti
di canto abbiamo il basso Gottlob Frick e
soprattutto il soprano Hilde Güden.
Venendo a un’epoca più recente senza
dubbio il riferimento negli anni Settanta –
con un’infinità di ristampe – è quello di
Herbert von Karajan che nel 1976 registrò la Nona con i Berliner Philharmoniker
e il poderoso Coro dell’Opera di Berlino.
È una registrazione (DG 4158322) che
anche dal punto di vista del video (DG
WHS e Dvd 0721333) ha grande importanza non solo perché Karajan ha a sua
disposizione un’Anna Tomowa-Sintow
al meglio delle sue capacità e un tenore come René Kollo, ma anche perché
il celebre direttore tedesco cura personalmente la “scena” del concerto con
un gusto per l’ordine, per la simmetria
di strumentisti e di coristi che ha fatto
scuola.
Claudio Abbado si è misurato più volte
con la Nona, ad esempio con l’edizione
apparsa nel 2002 (DG 4714912) nella quale abbiamo voci particolarmente
belle come quelle femminili di Karita Mattila e Violeta Urmana; un’edizione che
bene compete con quella precedente, del 1987, sempre per DG Universal
(4195982) dove le voci hanno ormai
un’importanza davvero storica, visto che
si tratta di Gabriela Benacková, Marjana
Lipovsek, Gösta Winbergh ed Hermann
Prey. Non si può chiudere questa necessariamente ridotta rassegna senza segnalare almeno l’edizione registrata in occasione della caduta del muro di Berlino
nel 1989 (DG 4298612) in cui il grande
Leonard Bernstein sostituisce la parola Freude, Gioia, con Freiheit, Libertà. E
fra le più recenti edizioni quella di Barenboim (Warner Classics 2564639272)
con la sua West-Eastern Divan Orchestra,
musicisti palestinesi ed ebrei insieme in
una fratellanza di cui la Nona è diventata
uno straordinario simbolo.
Luigi Fertonani
Bruno Walter
musicalmente
11
IN COPERTINA
Cura LUDWIG:
Beethoven
al cinema
Carrellata su opere di cineasti
che hanno derivato dalla
“Nona Sinfonia” suggestivi
complementi sonori
di Claudio Fraccari
Malcom Mc Dowel in Arancia Meccanica
Certo non senza ragione, Ludwig van Beethoven ha conosciuto un’incredibile fortuna al cinema. Si contano a decine le pellicole dedicate
alla sua vita; ma, piuttosto che sulle discutibili ricostruzioni biografiche, conviene concentrarsi sull’abbondante impiego della sua musica
come colonna sonora: sono addirittura centinaia i film, dei generi
più disparati, che annoverano brani tratti dal fastoso repertorio del
grande compositore tedesco. Citando alla rinfusa, si va dal cartoon
Fantasia di Walt Disney del 1940 (vi compare la Pastorale) al fumettistico V per Vendetta (J. Mc Teigue ‘05: Sinfonia n. 5), dal sentimentale
Amata Immortale (B. Rose ‘94: Sonata Kreutzer, oltre a estratti di varie
sinfonie) al drammatico Elephant (G. Van Sant ‘03: Per Elisa, Sonata al
chiaro di luna) o al fantascientifico Equilibrium (K. Wimmer ‘02: Sinfonia n. 9).
La Nona Sinfonia, appunto; la sua notorietà ha fatto sì che molti cineasti ne abbiano ricavato un suggestivo complemento sonoro. Gli esempi più recenti sono Musikanten (F. Battiato ‘05), Departures (Y. Takita,
‘08), Basta che funzioni (W. Allen ‘09), fino a L’era glaciale 4 del 2012.
Né si può passare sotto silenzio il pur controverso esordio al cinema
dello scrittore (e melomane) Alessandro Baricco: il suo Lezione 21 del
2008 mette in dubbio l’artisticità della Nona, ricostruendo fantasiosamente le circostanze della sua composizione.
Tuttavia, il titolo più illustre che si abbevera alla fonte di Beethoven e
della Nona Sinfonia è senza dubbio Arancia meccanica che Stanley Kubrick girò nel 1971, anche perché la traccia musicale è davvero parte
integrante del testo. Il giovane e violento protagonista Alex (a-lex,
senza legge) al termine delle sue scorribande notturne ascolta il secondo movimento, quasi a sublimare con la musica i crimini compiuti. Catturato, viene sottoposto alla “cura Ludwig”, ossia è costretto a
vedere tra l’altro un filmato sui lager nazisti il cui sottofondo sonoro è
il quarto movimento. La conseguenza è che l’amato Beethoven, specialmente il cosiddetto Inno alla gioia, diviene per lui fonte di nausea,
panico, sofferenza. Un perfetto capovolgimento, forse una catarsi.
12
musicalmente
La locandina del film
Departures
IN COPERTINA
Più MUSICA
per favore,
maestro!
Gli irriverenti consigli degli
under 14. Il pubblico di domani
ci racconta come vive l’esperienza
di “Madama DoRe”
Agata e Francesca
In due anni Madama DoRe (l’edizione 2012/13 si chiude
il 25 aprile, al Sociale, con una grande festa e l’esecuzione
dell’Inno alla Gioia della Nona di Beethoven), ciclo di concerti che l’Orchestra da Camera di Mantova ha pensato
per tutta la famiglia, è stato capace di raggiungere risultati insperati. In questi tempi di tagli, dove la cultura - e
la musica con lei - è stata eletta a vittima sacrificale per risanare i bilanci, proporre concerti di musica classica a un
pubblico “diverso” da quello che una distorta percezione
della realtà ha associato a questa espressione alta delle
sette note, poteva sembrare un azzardo. Senz’altro una
scommessa. Un rischio? Forse, ma chi non risica... E basta recarsi al Bibiena, sede principale degli appuntamenti
di Madama DoRe, per capire che questa sfida l’Ocm l’ha
vinta. Sala sempre gremita, pubblico attento e, soprattutto, tante famiglie a teatro. Cosa inusuale. Emoziona davvero vedere come la domenica mattina una sala importante come il Bibiena possa riempirsi di bambini, ragazzi,
genitori, nonni, zii. E a loro, utilizzatori finali del programma musicale proposto, abbiamo chiesto cosa pensano di Madama DoRe, dei suoi concerti, della sua formula.
Nel bene e nel male, pregi e difetti. Per capire, creare un
più feeling ancora più spiccato con il cosiddetto “pubblico di domani” e continuare a perfezionare la proposta.
Pierfrancesco ha tre anni e mezzo, è tra i frequentatori
più piccoli della rassegna. A teatro ci va con mamma e
papà. Ma ha le idee chiare per conto proprio: «Troppe
parole, voglio più musica», risponde quando gli chiediamo cosa ne pensa dei concerti. Quello che gli è piaciuto di più è stato il primo appuntamento della stagione
in corso, quello con la musica etnica Dagli Appennini alle
Ande, perché lui adora le percussioni e in quella performance ce n’erano parecchie, anche di esotiche. La mam-
di Emanuele Salvato
Emanuele e Francesco al concerto con un amico
ma Marialuisa conferma che «ai bambini piace ascoltare
la musica e quando ci sono troppe spiegazioni si perdono, si distraggono». Sulla stessa lunghezza d’onda Nicola, che al Bibiena per Madama DoRe ci va con tutta la
famiglia: la moglie Lorenza e i due figli Matteo e Arianna. «Se devo dare un consiglio agli organizzatori - spiega
Nicola - allora suggerisco di non eccedere con le sovratrutture e la didattica. La musica va ascoltata». Detto ciò,
considera la proposta di alto profilo e «unica a livello provinciale». I suoi ragazzi vengono volentieri, anche se, ci
confessa, sono tuttora «convinti di andare ad ascoltare
canzoni».
Emanuele e Francesco (5 e 9 anni) non si perdono un
appuntamento di Madama DoRe e ad accompagnarli
sono papà Marco e mamma Cecilia. «Siamo affascinati
dall’atmosfera che si crea in questo teatro quando c’è un
concerto» dicono all’unisono i due ragazzini. A tirar fuori
qualche neo è invece il papà, che elogia l’iniziativa, «unica e di altissimo livello», ma suggerisce di guardarsi dal
musicalmente
13
IN COPERTINA
TOGLIAMOCI I TAPPI DALLE ORECCHIE!
rischio di finir per «peccare un po’ di presunzione, sciovolando talora verso programmi forse adatti a un pubblico più adulto». E proprio «un Madama DoRe per adulti» è
quello che chiede Giacomo, che al teatro di via Accademia
viene con il figlio Filippo, accompagnato dall’amico Francesco. «Mi rendo conto - dice Giacomo - che questi concerti forniscono anche a noi adulti strumenti per capire
meglio ciò che ascoltiamo. Nonostante siano pensati per
bambini. Credo sarebbe meravigliosa una versione senior
di Madama DoRe, che ci consentisse di proseguire il percorso di apprendimento». Ai due figli, entrambi di 8 anni,
piace tutto della rassegna ma a conquistarli è soprattutto
l’atmosfera che si crea in un teatro unico come il Bibiena. Un’analoga testimonianza è quella di Agata (3 anni),
che intimidita dall’intervista, parla alla mamma affidando alle sue parole pensieri ed emozioni: «È affascinata
dal Teatro Bibiena ci racconta Francesca -, lo trova bellissimo e le piace stare qui. Cerca proprio la musica, più che
le parole. Ha una passione per il violino e il suo suono:
c’è rimasta male in occasione delle Due regine, quando ha
visto che non era tra gli strumenti in scena. I suoni troppo forti, quelli, invece, la spaventano ancora». Virginia
e Sharmila, 8 anni, compagne di scuola, pur più grandicelle, concordano con Agata: «Le due regine ci è piaciuto
moltissimo. Con spettacoli così belli ti incuriosisci e non ti
annoi. Quando parlano troppo, invece... (ridono, ndr)».
Vorreste più musica e meno parole, insomma, suggeriamo. Annuiscono spiegandoci che «a volte le parole sono
troppe, tolgono spazio allo spettacolo». Entrambe sono
14
musicalmente
Dall’alto, in
senso orario:
Marialuisa
e Pierfrancesco; Licia,
Giulia, Paola e Marco;
Virginia e
Sharmila;
Luigi, Marina, Giulia
e Silvia
Da Musicalmente mi
viene la richiesta di
scrivere un breve pezzo
sull’importanza di fare
arrivare la musica alle
orecchie dei bambini.
Importanza che indirettamente implica il
concetto di libertà.
Spesso si parla genericamente di libertà a livelli
di comodo tornaconto.
Tuttavia sappiamo che
è soprattutto la cultura
a rendere liberi da pregiudizi e falsi miti. In tal
senso anche la cultura
musicale può contribuire al raggiungimento
dell’obiettivo. Non dobbiamo “subire” la
musica come sfondo neutro alle azioni quotidiane ma “viverla” accogliendo il significato
del messaggio che da essa proviene.
Si può vivere la musica nelle forme di partecipazione più facili e immediate: cantando,
ballando, suonando uno strumento oppure
accogliendo l’emozione profonda suscitata
all’ascolto. Purché la comunicazione avvenga
attraverso la conoscenza del linguaggio della
cultura d’appartenenza. Ed è proprio questo
punto di riferimento, nel momento dell’attuale
globalizzazione, ad aprire la mente all’incontro con altre forme e modi di comunicare.
Purtroppo nella nostra scuola dell’obbligo (lo
vado ormai ripetendo da anni!) la musica non
rientra fra le materie formative di una coscienza storico-critica del cittadino. Parallelamente
osserviamo che la contaminazione fra generi
artistici differenti (musica, pittura, balletto,
cinema, televisione, nuove tecnologie elettroniche) sviluppa nei bambini altre istintive
forme di comunicazione.
Allora ben venga la lodevole iniziativa dell’Orchestra da Camera di Mantova intesa a favorire, all’interno di una condivisione generazionale fra bambini e genitori, l’avvicinamento al
linguaggio della musica. A questo punto la
qualità dell’offerta è d’obbligo: con i bambini
non è possibile bluffare!
Al riguardo è sufficiente scorrere il programma dell’iniziativa Madama DoRe per prendere
atto della validità e serietà della impostazione.
Resta da aggiungere che, per affrontare seriamente anche in Italia il problema dell’educazione musicale, occorre invitare i “nonni”
- investiti da responsabilità politiche e legislative – a… “togliersi i tappi dalle orecchie”.
Così, come nel lieto fine di ogni fiaba, anche
la musica potrà arrivare più facilmente alle
orecchie dei bambini.
Azio Corghi
IN COPERTINA
APPUNTAMENTO IL 25 APRILE PER SCOPRIRE I SEGRETI DELLA REGINA DELLE SINFONIE
Bimbi, genitori
e nonni: tutti
insieme concerto
Un appuntamento davvero da
non perdere, quello di lgiovedì 25
aprile al Teatro Sociale di Mantova
(ore 11): insieme e con l’Orchestra
da Camera di Mantova diretta da
Umberto Benedetti Michelangeli, quattro grandi solisti e il Coro
Ricercare Ensemble andremo a
scoprire i segreti dell’Ode alla Gioia
che conclude la Nona Sinfonia di
Beethoven, il brano musicale più
famoso di tutti i tempi. La Nona è, in
tutti i sensi, un vertice, artistico ed
umano: è la più lunga Sinfonia composta fino a quel momento (1824),
le sue dimensioni e la complessità
del linguaggio musicale oltrepassano di molto tutto ciò che era stato
creato in precedenza. Ma la Nona
ha un significato morale altrettanto importante: dieci
anni dopo il Congresso di Vienna e l’inizio della restaurazione, Beethoven volle infatti mettere in musica nel
Finale l’Ode alla Gioia di Schiller, un testo che canta la
fratellanza tra gli uomini e l’”abbraccio” di tutti i popoli
della Terra. Non a caso l’Ode alla Gioia beethoveniana
è stata scelta come inno europeo, riconoscendone
Sopra Nicola, Lorenza,
Arianna e Matteo.
A destra Filippo, Francesco
e Giacomo
l’altissimo valore musicale e simbolico, il messaggio di
unione tra i popoli e le culture. L’incontro è dedicato
proprio al quarto movimento di questa Sinfonia, in
cui il compositore utilizza per la prima volta le voci
umane, soli e coro, rompendo la tradizione esclusivamente strumentale del genere sinfonico. Utilizzando
un linguaggio semplice ed accessibile, e con l’aiuto di
moltissimi esempi musicali dal vivo, vedremo, passo
dopo passo, il modo in cui Beethoven costruisce
questo immenso edificio sonoro. Scopriremo come il
significato della poesia di Schiller venga illustrato e amplificato dalla musica; sveleremo come il compositore
utilizza l’orchestra, in che modo i diversi strumenti e le
voci interagiscano nel creare l’effetto straordinario che
ancora oggi lascia senza fiato gli ascoltatori di tutto il
mondo; capiremo, infine, il senso di suprema sintesi
della Nona, il modo in cui Beethoven fonde gli elementi più disparati per raggiungere un risultato davvero
universale e sempre attuale. L’ultima tappa del nostro
Madama DoRe 2013, insomma, ci permetterà davvero
di scoprire il significato profondo e la grandezza di
uno dei massimi capolavori mai realizzati da un artista.
Ulteriore motivo per non mancare a questo appuntamento: l’incontro si concluderà con l’esecuzione
integrale del Finale della Sinfonia.
Giovanni Bietti
già state a concerti serali, quelli “per adulti” - ci dicono e la loro preferenza va alle situazioni in cui l’orchestra è
sul palco al gran completo. «Questa musica»: ci risponde,
invece, Giulia, 8 anni, a teatro con mamma Paola, papà
Marco e la sorellina minore, Licia di 6 anni, quando le
chiediamo cosa le piace delle domeniche a concerto. La
risposta è sintetica ma significativa. «Siamo abbonati da
due anni e la scorsa stagione, tornate a casa da teatro, ha
voluto a tutti costi che riascoltassimo in cd la Settima di
Beethoven, tanto le era piaciuto ascoltarla dal vivo. Non
solo, quest’anno ha voluto anche abbonarsi con me alla
Serie Venere dei concerti serali di Tempo d’Orchestra e non
ne vuole saperne di perdersene uno».
Giulia e Marina hanno 7 anni, ex compagne d’asilo,
entrambe alle prime armi con il pianoforte, grazie a
Madama DoRe si sono ritrovate a teatro e, con una buona
dose d’entusiasmo, ricordano concerti ascoltati e spettacoli visti. «La musica che ascoltiamo qui è bella e ci
piace ascoltarla qui». Silvia, mamma di Giulia, ricorda
come particolarmente indovinato l’appuntamento in
cui la presentazione degli strumenti è stata veicolata attraverso l’associare dei loro suoni ad animali. «Apprezzo e trovo importante la scelta di non limitarsi a far ascoltare punto e basta, ma di spiegare, offrire una chiave di lettura. Certo, poi sta a noi genitori non lasciare
che l’esperienza si concluda una volta usciti da teatro:
l’ascolto anche a casa è fondamentale». «Condivido, iniziamoli alla musica vera, da subito», fa eco Luigi, papà
di Marina.
musicalmente
15
I CONCERTI
Festa barocca
a Madama DoRe
Storia di un sovrano che amava
danzare e di un cardinale
che amava cantare.
Correva l’anno 1700...
ZEFIRO: RIFERIMENTO
INTERNAZIONALE
Festa barocca è il quarto
appuntamento del ciclo Madama DoRe 2012/13. L’ideazione e realizzazione dello
=DÀUR(QVHPEOH
spettacolo porta la firma di
Zefiro ensemble. Fondato nel 1989, dagli oboisti Alfredo Bernardini e Paolo Grazzi, e dal fagottista Alberto
Grazzi, è complesso con organico variabile specializzato in quel repertorio del 700, in cui i fiati hanno un
ruolo di primo piano. In questi anni Zefiro è diventato
un punto di riferimento internazionale, per il repertorio
di musica da camera del ’700 e ’800 con strumenti
d’epoca. I biglietti per il concerto (5 euro fino ai 14
anni, 6 euro adulti accompagnatori, 8 euro adulti) sono
in prevendita al botteghino della sede dell’Orchestra
da Camera di Mantova (tel. 0376 1961640, [email protected]).
16
musicalmente
Il dipinto La danza nuziale
di Pieter Bruegel il Giovane
È la storia di un re che amava danzare e di un cardinale
che amava cantare, che si svolge intorno all’anno 1700,
quella che domenica 10 marzo approda sul palcoscenico
del Teatro Bibiena di Mantova (ore 11), nell’ambito della
rassegna Madama DoRe - Musica formato famiglia dell’Orchestra da Camera di Mantova.
In Francia, mentre Lully insegnava al Re Sole i passi delle gavotte e minuetti, si inventavano i nuovi strumenti a
fiato, tra cui l’oboe ed il fagotto. In Italia, dove l’opera
era di gran moda e persino i cardinali ne andavano matti
anche se era a loro proibita, si perfezionavano il violino
ed il violoncello. I tedeschi, prendendo di qui e di là,
componevano nel loro stile misto, combinando danze
gioiose, adagi melanconici con allegri brillanti. Il clavicembalo, amato in tutta l’Europa, gentilmente si prestava ad accompagnare tutti gli altri strumenti, ma poteva
anche suonare delle splendide arie tutto da solo. Le partiture dei grandi Haendel, Bach, Telemann, Corelli, Vivaldi e Hotteterre sono sopravvissute fino ai nostri giorni
e ci permettono di rivivere quelle emozioni come se tutto
stesse accadendo ancora oggi.
Questo, nel dettaglio, quanto l’Enzemble Zefiro, specialista tra i più apprezzati nel repertorio, proporrà con Festa barocca: Passacaglia dalla sonata op.5 n.4 in sol maggiore
di Haendel, Allemande, grave e gigue dalla suite op.5 n.3 in
do maggiore di Hotteterre, La Follia op.5 n.12 (selezione)
di Corelli, Aria dalle Variazioni Goldberg BWV 988 per cembalo solo di Bach, Triste, dalla sonata in fa minore per fagotto e basso continuo di Telemann, Allegro dalla sonata
RV 41 in fa minore per violoncello e basso continuo di
Vivaldi e Andante, gavotta e hornpipe dalla Sonata op.5 n.1
di Haendel.
Alfredo Bernerdini, oboe dell’ensemble, farà da narratore, offrendoci una chiave di lettura di quanto si andrà ad
ascoltare anche grazie ad Alberto Grazzi, fagotto, Nicholas Robinson, violino, Gaetano Nasillo, violoncello, Anna
Fontana, clavicembalo.
I CONCERTI
Alexander Lonquich
La sempre richiamata definizione goethiana del quartetto d’archi, «una
conversazione tra quattro persone ragionevoli», sembra dissolvere il senso
di assolutezza che racchiude l’essenza dello stile classico se spostiamo l’osservazione ad un altro quartetto, dove il mirabile equilibrio tra i quattro
strumenti sembra come turbato dall’ingresso del pianoforte al posto del
secondo violino (come si ascolterà il 12 marzo al Bibiena di Mantova, ndr).
Inevitabile lo stacco tra l’intuizione dello spirito nuovo che Haydn aveva
impresso ad un genere strumentale fino allora avvolto entro la trama della
consuetudine e l’impressione, appunto, che tale consuetudine mantenga
le sue ragioni nell’altra produzione cameristica, nata per soddisfare nella
stessa varietà di combinazioni strumentali le istanze di una società di conoscitori, Kenner und Liebhaber, che si apriva alla musica con una nuova spinta comunicativa. Andava così definendosi una distinzione tra un genere
“dotto”, quello del quartetto d’archi, e un altro legato all’intrattenimento
concertistico, in cui figuravano organici differenziati, con una presenza
non occasionale del pianoforte. Naturalmente trascende tale distinzione
la voce ineffabile di Mozart che i due versanti abbraccia entrambi con la
sua sempre sorprendente circolarità; se mai i due mirabili quartetti con
pianoforte sembrano occhieggiare al mondo, dai lui prediletto,
del concerto. Certo l’entrata in
scena del pianoforte nel calibrato
spazio cameristico segna un fatto
nuovo, per il carattere proprio e
per la connotazione sociale dello
strumento che, espressione di una
cultura borghese, si apprestava a
diventare un protagonista dell’età
romantica aprendo le vie poco
praticate del virtuosismo.
Una vocazione, quella virtuosistica,
che si intrecciava con compiaciuta
eleganza entro le trame di quel discorrere musicale non ancora sublimato in una superiore cifra stilistica.
Sono le tentazioni offerte da quello
di Gian Paolo Minardi
che verrà chiamato Biedermeier e che
L’entrata in scena
del pianoforte nel
calibrato spazio
cameristico segna
un fatto nuovo
anche per la
connotazione sociale
dello strumento
In quattro. Con
il PIANOFORTE
Riflessioni sulla musica da camera
con tastiera nella tradizione romantica tedesca
in attesa del concerto del 12 marzo
al Teatro Bibiena di Mantova
musicalmente
17
I CONCERTI
Mozart abbracciava
i due versanti
con la sua sempre
sorprendente
circolarità
Punto culminante
di tale genere
è segnato da Brahms
per la virtualità
sinfonica del suo
pianismo
tocca non marginalmente anche la formula del quartetto con pianoforte. Si
cimenterà con essa il quindicenne, scalpitante virtuoso, Beethoven con i tre
Quartetti (WoO 36) che sembrano cogliere le ultime scintille dei divertimenti haydniani. Ma poi per Beethoven il quartetto sarà solo quello per archi,
salvo l’occasionale riduzione a quattro, archi e pianoforte, del Quintetto per
pianoforte e fiati op.16. Addirittura dodicenne Mendelssohn quando scriverà
i tre Quartetti, rispettivamente op.1, 2, 3, l’ultimo con dedica a Goethe. E pure
Schumann, che poi iscriverà nella categoria quella perla assoluta che è il
Quartetto op.47, comporrà poco più che adolescente un Quartetto in do minore
che nei lontani ricordi diaristici rievocherà come pagina romantica, quella
che per la prima volta gli aveva svelato una nuova vita poetica. Una confessione che, avvalorata come meglio non si potesse dal Quartetto op. 47 e dal quasi
gemello Quintetto op. 44, sta a indicare come - qualcuno ha parlato di redenzione – quella forma avesse del tutto lasciato alle spalle la propria origine
cordiale e disimpegnata per aprirsi a interrogativi e a problematiche ben più
ampie e coinvolgenti, nella stesso spessore del linguaggio riflettente spesso
l’idea sinfonica. Punto culminante di tale “redenzione” è segnato da Brahms
coi suoi tre Quartetti con pianoforte, proprio per la virtualità sinfonica del suo
pianismo, come aveva subito presagito nel primo incontro col ventenne amburghese Schumann all’ascolto delle prime Sonate, “sinfonie mascherate”
dirà nel profetico viatico Neue Bahnen. Una pratica cameristica quella che
si dirama attivamente in quei decenni entro la quale il quartetto con pianoforte ritrova una propria vita: troviamo quelli di Reinecke e di Rheinberger,
tre ne scrive Friedrich Kiel, due Reger, come pure Robert Fuchs e uno ne
scriverà il giovane, talentoso Richard Strauss. Non manca neppure il nome
di Mahler, con quell’unica pagina cameristica (Klavierquartettsatz) nata sui
banchi di scuola e rimasta incompiuta, quasi segno di un destino che avrebbe oltrepassato altri più sconvolgenti orizzonti.
QUATTRO STRAORDINARI CAMERISTI SI INCONTRANO AL BIBIENA
Quattro straordinari cameristi per
un appuntamento da non perdere, martedì 12 marzo (ore 20.45)
al Teatro Bibiena di Mantova. Sono
Alexander Lonquich, che davvero
non necessita di presentazioni per
il pubblico di Tempo d’Orchestra,
Carolin Widmann, violino, Veronika
Hagen, viola (che sostituisce Diemut
Poppen, infortunata) e Enrico Bronzi,
violoncello.
Recentemente nominata Artista
dell’anno agli International Classical
Music Awards, la violinista tedesca
Carolin Widmann ha compiuto gli
studi musicali con Igor Ozim a Colonia, Michèle Auclair a Boston e David
Takeno a Londra. È ospite regolare
di rinomati festival sia in veste di camerista che di solista con importanti
orchestre. Professoressa di violino
al Conservatorio Felix MendelssohnBartholdy di Lipsia, incide, tra le altre,
per l’etichetta Emc.
Allieva di Helmut Zehetmair al Mozarteum di Salisburgo e di Hatto
Bayerle alla Hochschule di Hannover, Veronika Hagen (viola) nel 1981,
18
musicalmente
fonda con i fratelli Lucas e Clemens
e Angelika il Quartetto Hagen, col
quale, in oltre trent’anni di straordinari successi, tiene concerti in tutto il
mondo. L’attività cameristica la vede
anche collaborare con Elena Bashkirova, Joshua Bell, Gérard Caussé, Ivry
Gitlis, Paul Gulda, Tatjana Grindenko,
Steven Isserlis, Gidon Kremer, Heinrich Schiff. Protagonista, in parallelo,
di un’importante carriera da solista,
incide per Deutsche Grammophon.
Come Lonquich, anche il violoncellista Enrico Bronzi è volto noto agli
affezionati di Tempo d’Orchestra:
fondatore dell’apprezzatissimo Trio
di Parma, con questa formazione,
con la quale è stato più volte ospite della rassegna mantovana, si è
imposto nei concorsi internazionali
di Firenze, Melbourne, Lione e Monaco di Baviera, ricevendo peraltro
il “Premio Abbiati” della critica musicale italiana. Dal 2001, in seguito alle
affermazioni al Concorso Rostropovich di Parigi e al Paulo Cello Competition di Helsinki, inizia un’intensa
attività solistica. (va)
Carolin
Widmann
Veronika Hagen
Enrico Bronzi
(foto Francesco Fratto)
NOTE ALL’ASCOLTO
di Andrea Zaniboni
Alexander Lonquich
Mantova | Teatro Bibiena
Martedì 12 marzo 2013, ore 20.45 a
INSERTO ESTRAIBILE
G. Mahler, Klavierquartettsatz
R. Schumann, Quartetto in mi bem. magg. op. 47
J. Brahms, Quartetto in sol min. op.25
Il “Tempo di quartetto con pianoforte” (1876), in la minore, è opera di un
Mahler appena sedicenne e, all’epoca,
ancora agli esordi. Si tratta del primo
movimento di un lavoro rimasto incompiuto, noto a noi per un caso fortuito.
Il ritrovamento è infatti relativamente
recente, tanto che la prima esecuzione
moderna risale al 1964.
D’altronde, le pagine completate consentono di annotare la cifra di uno stile
debitore sì di echi brahmsiani e schumanniani, eppure proiettato in un clima teso ed inquieto, profezia di ben
altre tensioni, linguistiche e no, che appariranno con maggiore evidenza, in
Mahler, di lì a poco.
La forma-sonata, con esposizione, sviluppo e ricapitolazione finale, vi è liberamente trattata e volge ad un epilogo
con progressivo spegnimento del suono.
Ma non è solo questa insolita conclusione a rivelare un tono interrogativo. Può
essere anche interessante rilevare il ripescaggio della formula (miniaturizzata) della cadenza d’origine classica, in
qualche modo in contrasto con lo spirito del camerismo. L’equilibrio tuttavia
vi è ricercato con la differenzazione dei
soggetti, pianoforte e violino, entrambi
lontani da azioni decorative o superficialmente esibizionistiche.
Di quella che Mahler considerò «la migliore cosa delle composizioni giovanili», restano anche poco più di venti
battute attribuibili ad un movimento di
“Scherzo” in sol minore, abbozzo che
si esaurisce in una traccia improvvisamente interrotta, per sola tastiera. Su
tale materiale, Alfred Schnittke (19341998) ha realizzato un Quartetto (1988)
dove Mahler emerge come pura sollecitazione, senza dar luogo, dunque, ad
intenti ricostruttivi.
Incluso fra gli interpreti-guida del Romanticismo musicale, Schumann firma
Carolin Widmann, violino
Veronika Hagen, viola
Enrico Bronzi, violoncello
il suo Quartetto in mi bemolle sul finire
del 1842, due mesi dopo aver concluso
il celebre Quintetto con pianoforte op.44,
lasciando un esempio entrato con pieno diritto nella storia della musica cameristica e nel cuore di quella che s’è
definita musica poetica. Se la musica poetica («né gioco, né passatempo», nelle
parole del compositore) fa vibrare l’essenza più nobile dell’invenzione, essa
diviene, per forza di cose, l’alternativa
più radicale a quella destinata a decorare i salotti borghesi ed aristocratici con
bravure esteriori.
L’elaborazione del linguaggio che si
compie nello Schumann “da camera”,
in senso generale, ha queste origini, affiancando la dimensione spirituale ad
una sorta di missione moralizzatrice,
con la quale ogni elemento della scrittura si pone al servizio dell’espressione ed in particolare di un lirismo che
affonda le radici nel canto ed in quel
suo capitolo, emblematico nell’area tedesca, che è il Lied, permeato di alta
letteratura.
Tutto ciò vibra con autenticità e splendore d’iispirazione nel Quartetto op.47,
costituito da quattro intensi movimenti
dai climi differenziati, ricchi di spunti
originali anche sul piano formale.
L’indomani della prima esecuzione privata, avvenuta nell’aprile del 1843 (la
“prima” pubblica non sarebbe giunta
che nel dicembre 1844), la moglie di
Schumann, Clara, annotando l’evento,
vi dedicava qualche parola di commento, dicendosi «realmente incantata da
quest’opera, tanto fresca e tanto giovanile quanto una prima prova d’artista».
Il primo dei tre quartetti con pianoforte
firmati da Johannes Brahms venne compiuto entro il 1861 ed eseguito per la
prima volta in pubblico l’anno seguente. Opera giovanile (il maestro tedesco,
all’epoca, era un giovanotto ventotten-
Mahler (1902)
ne) ma non scaturita da particolari intenti imitativi dal momento che la tradizione ottocentesca del genere non può
considerarsi primaria, nonostante il sostegno di esempi illustri, il Quartetto in
sol minore emerge con una originalità di
segno razionale, già caratteristica di un
orientamento che in Brahms è tutt’altro che episodico. Conservatore nella
scelta dell’etichetta esteriore, in realtà
il compositore d’Amburgo sperimenta
con successo una tecnica compositiva
che tende a creare un fitto reticolo di
relazioni tematiche e motiviche interne. Ne deriva quella che è stata indicata (da Carl Dalhaus) come una forma
“logica”, distinta dalla forma “architettonica”.
Un aspetto complesso, questo, che
Brahms rende moderno con l’accentuazione dell’approccio speculativo,
tramite una relazione finemente coltivata fra micro e macrostruttura. Detto
questo, se i temi e le idee del Quartetto
op. 25 non ambiscono ad un potere illustrativo, e né ad un sentimentalismo
pago di sé stesso, il finale “alla zingarese” nella sua scrittura apparentemente
improvvisatoria non nega tale indirizzo, ma anzi va a sottolinearlo con fenomenale abilità, dando luogo ad una
«contaminazione dei generi che è una
delle carte vincenti dell’Ottocento musicale» (G. Salvetti). Dominio esclusivo
dei professionisti, questa musica da camera entra prepotentemente nelle sale
da concerto, sciogliendo i legami storici con l’ambiente domestico.
musicalmente
19
N
NOTE ALL’ASCOLTO
Orchestra
da Camera di Mantova
Viktoria Mullova, violino
Carlo Fabiano, violino concertatore
Nella dinamica evolutiva della musica
europea, il Novecento inglese non occupa una posizione preminente. Ed il
fatto che l’Inghilterra si sia saggiamente
dotata di una diffusa cultura di base ha
portato – anche per spontaneo attaccamento alle tradizioni – ad osservare ed
assorbire, più che a osare sul terreno
degli esperimenti più spericolati, in funzione di una relazione non astratta con
la realtà. Rappresentante evidente di
questa sensibilità è stato Benjamin Britten (1913–1976), il quale ha dimostrato
ancora una volta come non sia necessario forzare il linguaggio per realizzare
l’attualità dell’arte.
Questa scelta espressiva, che per Britten ha significato il ripensamento delle
maggiori correnti continentali, non ha
ovviamente semplificato la forma comunicativa, e ha imposto una misura stilistica attentissima, proprio perché esposta ai rischi della citazione.
Nell’ambito della sua produzione strumentale, piuttosto estesa – ma in Italia
pressoché ignorata dalle istituzioni concertistiche – emerge la Simple Symphony
(“Sinfonia semplice”) che gioca la sua
credibilità sul magistero della scrittura per soli archi e sulla freschezza di
un’ispirazione fremente.
Fu scritta tra la fine del 1933 e l’inizio
dell’anno seguente (prima esecuzione
nel marzo del 1934) da un Britten soltanto ventenne eppure già chiaramente
consapevole del proprio talento, venendo pubblicata come opera 4 dopo una
Sinfonietta, un Fantasy Quartet ed una
serie di variazioni per coro a cappella:
i materiali tuttavia derivano in parte da
opere ancor più giovanili, scritte nella
pre-adolescenza, ripresi e ricollocati in
una nuova dimensione di espressione
e di forma. I titoli dei quattro concisi
movimenti suggeriscono uno stilizzato
neoclassicismo dal tono felicemente disimpegnato: per il primo, “Bourrée tumultuosa” (in forma-sonata, con temi
prestati da una suite pianistica e da una
pagina vocale); per il secondo “Pizzicato scherzoso” (anche qui due motivi
20
musicalmente
Mantova, Teatro sociale | ore 20.45
Mercoledì 20 marzo 2013
B. Britten, Simple symphony
B. Britten, Soirées musicales op. 9 (after Rossini)
L.v. Beethoven, Concerto in re magg.
per violino e orchestra op.61
Benjamin
Britten
di simile provenienza, a comporre una
forma ternaria che centralmente insiste
sul ritmo scandito dagli archi gravi); a
seguire, una commossa “Sarabanda sentimentale” (qui i temi provengono da
opere pianistiche) che è la sezione più
estesa e di maggior spessore espressivo,
ed il cui carattere oscilla tra patetismo
e drammaticità; mentre la conclusione
della Sinfonia è affidata ad uno stringato “Finale giocoso” di aperta vitalità,
costruito su altri due temi ancora d’origine pianistica e vocale. Da un intento
più pratico, legato alla commissione di
musiche per organico da camera utilizzabili in una pellicola della tedesca
Lotte Reininger (La dote, 1937), le Soirées musicales op.9, ricollocate, con questo titolo e con adeguato arricchimento strumentale in seguito anche in due
balletti (l’uno coreografato da Anthony
Tudor per un palcoscenico londinese e
l’altro da George Balanchine per una
tournée in America Latina, tra il 1938
ed il 1941), esplorano invece con tocco
incantevole l’esercizio della trascrizione
per orchestra, con una preziosa scrittura di cristallina trasparenza, saggio di
una conoscenza strumentale certamente spiccata. I materiali rossiniani, che
vengono riletti con pieno rispetto, provengono in buona parte dalla raccolta
delle omonime Soirées musicales per canto e pianoforte, mentre l’iniziale “Marcia” è estratta dalle danze del Guglielmo
Tell. Saggio di bravura di un purissimo
talento creativo.
Se si esclude un abbozzo giovanile risalente agli anni di Bonn, il Concerto in re
maggiore per violino e orchestra si inserisce nell’elenco di opere beethoveniane come una sorta di novità isolata, tra
l’altro rimasta sorprendentemente senza alcun seguito. Nel campo della scrittura per violino e orchestra Beethoven
per la verità produce precedentemente
le due note Romanze op.40 e op.50, ma
dimensioni e carattere rendono conto
di un atteggiamento che sfiora la disinvoltura, sebbene in entrambe si riscontri una pregevole eleganza di tratti; le
Romanze infatti posseggono il tono dei
lavori d’occasione, seppur confezionati con bella cura. Un impegno ben diverso sostiene invece l’unico Concerto,
compiuto alla fine del 1806 ed eseguito il 23 dicembre dello stesso anno dal
ventiseienne violinista viennese Franz
Clementi, il cui gran talento precoce
aveva ispirato la composizione dell’opera. La scrittura di questo importante lavoro in gran parte sottolinea, sviluppa
e indaga l’elemento lirico inteso come
fondamento poetico: non v’è frase o
inciso, o passaggio, sia pure piegati alla
decorazione virtuosistica, che sfugga
al sacro principio della cantabilità, qui
coltivato con sensibilità somma. L’ideale cantabile di Beethoven in questo
senso rivela, o meglio riafferma, il primato del pensiero sulla manualità. Tale
principio, evidente, sorregge l’ispirazione del Concerto collocando la bellezza
purissima dei motivi e la fluidità della
scrittura violinistica in primo piano.
Mentre sullo sfondo, come da lontano,
la tensione drammatica inquieta lo spirito beato tra le volute melodiche: una
pulsazione velata ma febbrile, insinuata
tra le effusioni del canto. Tal che il Concerto si trasfigura in itinerario spirituale,
meditazione errabonda che soltanto nel
gioioso finale ristabilisce quella tradizione consolatrice che è propria dei movimenti ultimi di quell’epoca.
N
NOTE ALL’ASCOLTO
Trevor Pinnock
Martedì 16 aprile 2012
Mantova, Teatro Bibiena | ore 20.45
Matthew Truscott, violino
Jonathan Manson, viola da gamba
Musiche di D. Buxtehude,
D. Scarlatti, G.F. Haendel,
J.P. Rameau, M. Marais,
J.S. Bach
Le due Sonate di Scarlatti scelte fra le oltre 500 catalogate (la edizione Ricordi
firmata da Longo giunse nel 1906, mentre quella dell’americano Kirkpatrick, ricordato appunto dalla iniziale maiuscola puntata del suo cognome seguita dal
numero progressivo attribuito ad ogni
Sonata, venne pubblicata alla metà del
Novecento) esprimono esempi probanti della vitalità e della estrosità inventiva
del compositore napoletano, che una
volta trasferitosi prima a Lisbona e poi
in Spagna al seguito di Maria Barbara di
Braganza (figlia del re Giovanni V del
Portogallo e quindi moglie di Ferdinando di Borbone), riuscì nell’intento di realizzare un’arte di pronto consumo e di
sicuro apprezzamento, pur nei confini
della corte che l’aveva assunto con piena consapevolezza delle sue non comuni qualità. Le due Sonate, entrambe in
re maggiore, rispondono ad una ipotesi
di raggruppamento che il Kirkpatrick
ebbe modo di affermare a suo tempo;
secondo lui l’idea di Scarlatti fu proprio
quella di stabilire, in molti casi, una consequenzialità fra le opere. Fra la K.490 e
la K.492 il revisore collocò la K.491 – qui
omessa – nella medesima tonalità, supponendone la concatenazione. Il possibile trittico ridotto a coppia suggerisce
pertanto una semplice vicinanza secondo un’idea di contrasto: la Sonata K.490
(Cantabile) ha l’andamento di una danza lenta, con elementi capricciosi che ne
esaltano l’originalità di disegno, mentre
la K.492 (Presto) è una tipica pagina di
virtuosismo, dal ritmo incalzante: due
momenti d’una creatività che è spesso sublimazione di danza, di materiali
popolari, sotto la luce di un continuo
sfuggire alla banalità della citazione con
l’ausilio di elementi sintattici colti, ed
una sensibilità armonica modernissima.
Pubblicate nel 1741, quando Rameau,
eminente teorico e compositore francese era ormai prossimo ai sessant’anni
d’età, le Pièces de clavecin en concerts rappresentano la unica sua produzione “da
camera” imponendosi come prove di
notevole e moderna originalità. Furono
destinate ad un insieme di tre strumenti:
oltre il cembalo, dalla presenza particolarmente elaborata, un violino (sostituibile con il flauto) e viola da gamba (o
altro violino), utilizzati secondo ruoli
paritari. In tal senso la rivoluzione di Rameau è quella – senza che ciò conduca a
strutture polifoniche dominate dalla logica, come avviene nel caso di Sebastian
Bach – di realizzare una scrittura che
rende i tre protagonisti strettamente interconnessi, e proiettati verso un ideale
sonoro ricco e luminoso, pulsante sul
piano ritmico e liberamente fantasioso
su quello della sintassi. Eleganza, forza
e viva immaginazione sono le qualità di
questi lavori (cinque in tutto) organizzati in forma di “suite” ed in cui ogni movimento viene provvisto di un titolo che
si riferisce, di volta in volta, ad una persona, oppure ad una località o ad un carattere umano. Nel n.3 si veda appunto
“La Pouplinière” (Le Riche de la Pouplinière fu un mecenate al quale Rameau
dovette l’ingresso nella prestigiosissima
Académie Royale de Musique di Parigi),
o nel n.4 “La Rameau”, probabile omaggio del compositore alla moglie, MarieLouise Mangot.
Marin Marais, è stato scritto, ha “fondato e fermamente stabilito l’impero della
viola da gamba” ed è certamente una delle figure di spicco della scuola francese,
appartenendo alla medesima generazione di Corelli, Purcell, Pachelbel, e precedendo di un ventennio Vivaldi e di un
trentennio Bach. Nato a Parigi nel 1656
e nella stessa città scomparso a 72 anni
alla fine di una carriera brillantissima,
Marais, ancora ventenne, dopo essersi
formato alla scuola di Sainte-Colombe,
divenne “musicqueur de la Chambre du
Roy”, ruolo in seguito praticamente più
abbandonato, ed onorato con un numero impressionante di composizioni, circa settecento, in buona parte per viola
da gamba e basso continuo, distribuite
in cinque Livres e due altre raccolte.
Le Labyrinthe è una densa, mirabile ed ar-
ticolata pagina estratta dal quarto libro
di Pièces de viole, pubblicato nel 1717, ed
il suo titolo pare riconduca allo spettacolare labirinto della reggia di Versailles, in qualche maniera evocato da una
espressiva scrittura dall’andamento bizzoso che solo nel finale assorbe, con una
maestosa ciaccona, il principio del tema
con variazioni.
Le 6 Sonate che Bach dedicò al “Cembalo certato è violino solo, col Basso per
Viola da Gamba accompagnata se piace”
(questo il titolo originale) vennero scritte tra il 1717 ed il 1722, negli anni del
servizio che egli prestò come “Ufficiale
di casa” alla corte del principe Leopold
di Anhalt-Cöthen, musicista dilettante di
tutto rispetto che suonava il cembalo e la
viola da gamba, e sapeva scegliere con la
cura necessaria il personale destinato ai
propri intrattenimenti, essenzialmente a
carattere privato e destinati alla sottolineatura del potere e della benevolenza.
La corrente titolazione delle Sonate
(“per violino e clavicembalo”) pone in
primo piano lo strumento ad arco facendo supporre il ruolo secondario della
tastiera. In realtà i due strumenti sono
utilizzati con ruoli paritari e reciprocamente complementari. Anzi, l’idea
di Bach è quella di ricavare un dialogo
fra tre parti, scomponendo in due linee
indipendenti (mano destra e mano sinistra) la scrittura per cembalo. Il modello al quale egli si attiene in quasi tutti i
casi (meno uno, l’ultimo) è quello della
cosiddetta “sonata da chiesa”: quattro
tempi, con alternanza di movimenti lenti e veloci secondo la formula corelliana
precedentemente codificata, ed un mutamento di tonalità affidato al penultimo (nel caso la tonalità d’impianto sia
in modo “maggiore” si crea novità con il
relativo “minore” o viceversa). Fantasia,
senso delle proporzioni, ricercata successione di differenti impronte di stile,
aprono il fiume di un sapere organizzato e vivo da cui emerge una mirabile
coniugazione fra lucidità di pensiero ed
azione strumentale.
musicalmente
21
N
NOTE ALL’ASCOLTO
Orchestra da Camera
di Mantova
Coro da Camera Ricercare Ensemble
Olga Senderskaya, soprano
Franziska Gottwald, mezzosoprano
Thorsten Büttner, tenore
Günes Gürle, basso
Umberto Benedetti Michelangeli, direttore
La Nona Sinfonia di Beethoven è divenuta, per una vera miriade di ragioni, uno
dei miti assoluti della storia musicale:
anche lo Stanley Kubrick dello scandaloso “Arancia meccanica”, sia pure tra l’orrore dei puristi, diede nell’ormai lontano 1971 il suo piccolo contributo alla
vita moderna di questa partitura, che
racconta la storia e miracolosamente ci
indica il futuro con un atto di fede e di
speranza utilmente autentico.
Apice dell’esperienza sinfonica di Beethoven, la Nona è sublime prova d’arte ove rigurgitano idee e si manifestano
ideali; perciò si può affermare che la
spettacolarità appartenente all’evento
esecutivo è un fatto qui perfettamente
proprio e non un inutile e gratuito gesto pletorico.
Originando da «una lotta di carattere
grandioso fra l’anima che aspira alla gioia e la pressione della potenza ostile che
si interpone fra noi e la felicità terrena»
(così Wagner intese il primo movimento) per giungere alla piena riconciliazione con il mondo, l’ultima Sinfonia beethoveniana ebbe una lunga gestazione,
derivando anche da riflessioni, schizzi
e intenzioni risalenti persino agli anni
giovanili, e deve indubbiamente molto
della sua universale celebrità al senso di
protagonismo concesso alla massa: pubblico, insiemi strumentali e corali, sono
tutte parti attive di un atto comunicativo
che ha per oggetto l’uomo, l’ideale della armoniosa convivenza nel segno della
Gioia, bella scintilla di Dio. Perciò questo
capolavoro mette d’accordo credenti e
non credenti e sopravvive con il suo ruolo simbolico di faro per l’umanità.
La Nona fu presentata al Teatro di Porta
Carinzia a Vienna, alle 19 del 7 maggio
1824 (in Italia approdò molto più tardi, nel 1878 a Milano diretta da Franco
Faccio, noto interprete verdiano) in un
programma completato da tre parti della Missa solemnis e dalla Ouverture per la
rappresentazione mitologica La consacrazione della casa.
Chi realmente abbia diretto questa prima
esecuzione ancora non è certo, e nemmeno lo studio dei cosiddetti “quaderni
22
musicalmente
Mantova, teatro sociale | ore 20.45
Venerdì 26 aprile 2013
L.v. Beethoven,
Sinfonia n. 9
in re minore
op. 125 “Corale”
Statua di
Friedrich Schiller
di conversazione”, utilizzati per ovviare
in qualche modo alla sordità di Beethoven, ha fornito risposte inequivocabili.
Si può solo affermare che ufficialmente, O die Zeitung des Ganzen, ossia la direzione dell’insieme, fu affidata a Michael
Umlauff, maestro di cappella all’Opera
di Corte. Sul ruolo di Beethoven, annunciato con un impreciso “prenderà
parte”, non v’è documentazione inoppugnabile: dunque rimane leggenda il
Beethoven che dal podio fallisce clamorosamente il suo compito coordinatore,
tradito dall’udito compromesso.
Quali che siano stati i ruoli, comunque
la Nona ottenne a Vienna un gradimento straordinario (non così altrove, suscitando anzi commenti severissimi, rivolti in particolare all’ultimo movimento)
del quale sappiamo attraverso le parole
dell’amico e biografo di Beethoven, Anton Schindler. «Non ho mai sentito in
vita mia un applauso così furioso eppure così cordiale. Il secondo tempo della
Sinfonia fu una volta letteralmente interrotto dai battimani e avrebbe dovuto
essere ripetuto. L’accoglienza fu più che
imperiale, perché quattro volte proruppe il pubblico e alla fine si gridò ‘Vivat’
e quando stava per cominciare la quinta
salve di applausi il commissario di polizia gridò: silenzio! Ma a Corte si applaude solo tre volte: Beethoven, invece, cinque». Su questo dato di curiosa cronaca
si erge il monumento della Nona, che
sul finale trova il sostegno della poesia
nell’ultra-citato Inno alla Gioia di Frie-
drich Schiller, in realtà solo una sezione,
liberamente ricomposta, dell’ode nella
sua stesura originale, risalente al penultimo decennio del Settecento: portatrice di un sogno innovatore che «mirava
a sostituire la politica con l’etica e la cultura, il reale con l’ideale; di qui l’enfasi
oratoria che spesso si coglie nella lirica»
(Vincenzo Terenzio).
Ispirato da questo testo si articola il
complesso finale corale, annunciato dal
recitativo del baritono solista: O amici,
non più questi suoni; altro e più grato cantico leviamo. Finale ancor oggi difficilissimo, in particolare per le voci, ed al suo
tempo non perfettamente compreso
nel significato più profondo. Se la “Gioia”, come sembra suggerirci l’impervia
scrittura, va conquistata con l’impegno
della coscienza, questa Sinfonia, più
che celebrare un dato acquisito, si pone
come messaggio, come dubbio che si
trasforma in anelito: nel primo Ottocento, adottare un simile testo con un
taglio musicale fortemente innovativo
(anche se altri lavori sinfonici con epilogo corale erano già apparsi sulla scena, non ultima la Fantasia opera 80 dello
stesso Beethoven) era il segnale di una
sensibilità che voleva porre un diaframma critico tra l’artista e il suo tempo e
che, soprattutto, intuiva e suggeriva
un’alternativa nel segno del progresso.
L’attualità della Nona sinfonia sta nell’intatto valore di questo principio di fondo, di fronte al quale l’umanità sente il
dovere d’interrogarsi.
I CONCERTI
Happy
birthday
BENJAMIN!
Gli anniversari di Verdi e Wagner
stanno oscurando il centenario
della nascita di Britten.
Fortunatamente non ovunque.
Ecco una mappa
degli appuntamenti da non perdere
per riscoprire la sua geniale opera
Gli anniversari di Verdi e Wagner hanno oscurato
non poco un’altra ricorrenza di estrema rilevanza, in
questo 2013: i cento anni dalla nascita di Benjamin
Britten. Ciò che colpisce immediatamente, osserdi Luca Ciamarrughi
vando i cartelloni delle stagioni operistiche di tutto
il mondo, è il “gran rifiuto” del Metropolitan e della
Scala: soprattutto dal Teatro milanese, che tanto ha
fatto in questi ultimi anni per riportare sui palcoscenici le opere più note del britannico, ci saremmo
aspettati almeno un titolo. Il modo più autentico per
scoprire la musica di Britten è recarsi ad Aldeburgh,
luogo in cui il compositore fondò un festival ancor
oggi rinomato. Passare alcuni giorni ad Aldeburgh
significa molto più che assistere a concerti e opere:
c’è, nelle infinite solitudini delle spiagge del Suffolk,
su cui si staglia un cielo vastissimo e mutevole, l’idea
di un paesaggio musicale che dovette attrarre Benjamin Britten quando, parzialmente incompreso dai
Benjamin Britten
londinesi, scelse nel 1948 questo borgo di pescatori per il suo buen retiro. Il compositore inglese era
nato non lontano da Aldeburgh e la scelta di questo luogo significava
al contempo un ritorno alle origini e un gesto ardito: da un lato,
faceva leva l’attrazione del magnifico e amniotico mare della costa
est; dall’altro vi si contrapponeva la diffidenza degli abitanti locali,
che videro arrivare Britten nientemeno che insieme al suo compagno di vita Peter Pears (una coppia che, se a Londra era a malapena
tollerata, in provincia suscitava raccapriccio e disgusto). La scelta si
rivelò lungimirante: nato con l’idea principale di farvi rappresentare
proprie opere che a Londra non trovavano spazio, il Festival diventò progressivamente un rendez-vous dei maggiori musicisti del tempo.
L’edizione 2013, sotto la direzione artistica di Pierre-Laurent Aimard,
si svolgerà dal 7 al 23 giugno e permetterà davvero di farsi un’idea
più che ampia della produzione britteniana: oltre a quattro opere, fra
cui tre di raro ascolto (Curlew Rider, The prodigal son, The Burning fiery
farnace), ci sarà spazio per la musica sinfonica e da camera, con una
spiccata presenza di Songs, interpretati dalle voci esperte di Sandrine
Piau, Mark Padmore e Ian Bostridge. Se Aldeburgh offre una versione
da concerto di Peter Grimes, per godersi scenicamente l’opera bisogna
Il musicista è al centro
del programma
che l’Orchestra
da Camera di Mantova
e Viktoria Mullova
propongono il 20 marzo
al Sociale di Mantova
e la sera successiva
al Ponchielli di Cremona
musicalmente
23
I CONCERTI
L’OCM AL PONCHIELLI RIACCENDE UN ANTICO FEELING
Tra Mantova e Cremona il legame – sul filo
della musica – è sempre stato forte. Basti
pensare al caso emblematico di Claudio
Monteverdi, il cremonese che alla corte
mantovana dei Gonzaga “inventò” il teatro musicale, il genere espressivo che ha
reso l’Italia unica al mondo. Per venire al
nostro tempo, tra le due città si è instaurato un legame forte negli anni Duemila grazie ai diversi cicli musicali elaborati dall’Orchestra da Camera di Mantova e
ospitati nel corso di varie stagioni dal Teatro Ponchielli di Cremona, progetto nel cui
sviluppo ha svolto un determinante ruolo
di mediazione Arnaldo Bassini, già segretario e poi direttore artistico del Massimo
di Cremona, prematuramente scomparso
nel febbraio 2012. Un feeling iniziato nella
stagione concertistica 2001/2002 e che
prosegue tutt’ora, con il concerto che
vedrà l’Ocm e Viktoria Mullova il 20 mar-
zo al Sociale di Mantova e la sera successiva al Ponchielli di Cremona.
Tutto è iniziato con l’integrale delle Sinfonie di Beethoven, nove concerti spalmati nel corso di tre stagioni: 2001/02
(14 e 28 febbraio 2002, 8 aprile 2002),
2002/03 (18 dicembre 2002, 28 gennaio
e 10 aprile 2003), 2003/04 (18 dicembre 2003, 5 febbraio e 5 aprile 2004).
Va detto che fu un progetto che all’inizio suscitò qualche pregiudizio, ma che
strada facendo fugò ogni dubbio, finendo addirittura per entusiasmare gli appassionati per l’assoluta qualità esecutiva. Il
concetto “nuovo” era questo: l’Ocm, diretta da Umberto Benedetti Michelangeli,
riportò le Sinfonie del Titano alla loro originale dimensione cameristica, abituando
e conquistando il pubblico con un’estetica improntata a una chiarezza di linguaggio, diversa dalle mille interpretazioni
recarsi a Stoccolma (dal 4 maggio al 4 giugno). Ad Aldeburgh è però
presente l’edificio a cui Britten si ispirò per la casa del protagonista:
quasi un rifugio isolato sulla spiaggia, simbolo dell’estraneità di Peter
rispetto al resto della comunità, che lo addita a mostro del villaggio. Le
altre due opere fondamentali in cui Britten mette in scena i propri fantasmi interiori sono Death in Venice (composta proprio nel periodo in
cui Visconti girava Morte a Venezia, ma del tutto indipendente e diversa
dal film) e The turn of the screw (da Henry James): la rilettura novecentesca del motivo romantico di Amore e Morte, l’ambiguità dei rapporti
fra giovani e adulti, l’attrazione pressoché scandalosa per gli asessuati
e gli innocenti sono alcuni dei temi su cui Britten costruisce partiture
in cui tradizione e provocazione sono in costante dialogo. Per The Turn
of the screw, molto rappresentata quest’anno, segnaliamo in particolare
le rappresentazioni al Comunale di Bologna (19-27 novembre); Death
in Venice invece sarà in scena a Londra il 14 giugno e ad Amsterdam dal
3 al 7 luglio. Oltre all’appuntamento bolognese, le date italiane sono
poche ma decisamente stimolanti: sia a Ravenna che a Trieste è possibile ascoltare The Rape of Lucretia, titolo raro, in cui Britten si cimenta
con l’amato mondo dell’antichità classica. La fascinazione per la storia
emerge anche in Gloriana, forse la più inglese fra le opere di un compositore che fu amico stretto della Regina Elisabetta II: e proprio per
la sua incoronazione, nel 1953, Britten scrisse questo lavoro dal fascino
arcaico, che possiamo ascoltare al Covent Garden di Londra dal 20
giugno al 6 luglio e, in nuovo allestimento, ad Amburgo (dal 24 marzo
al 6 aprile). Sempre nella capitale inglese il Barbican Centre dedica
l’intero mese di novembre a Britten. Torniamo in Italia, invece, per
una meritoria rappresentazione all’Opera di Roma (27 giugno): James
Conlon sul podio e Mario Martone alla regia daranno vita a Curlew River, la prima di tre “Parabole ecclesiastiche”, basata su un testo del teatro
NO giapponese: protagonista è un folle, ancora una volta un diverso,
un paria della società. Il tema della diversità è declinato in maniera comica, una volta tanto, nella più esplicitamente omoerotica fra le opere
di Britten: Albert Herring, in scena all’opera di Sidney dal 16 al 30 agosto. Più velato, ma onnipresente, il tema si ripropone nel marinaresco
Billy Budd, appuntamento imperdibile nell’agosto di Glyndebourne.
24
musicalmente
che nel corso dei decenni hanno fatto
leva sui “muscoli” e su organici orchestrali inutilmente sovradimensionati. Grazie a
questo credito conquistato sul campo,
l’Ocm è tornata a Cremona nelle stagioni 2004/05 e 2005/06 per sviluppare il
Mozart Project, cinque splendidi appuntamenti che hanno celebrato il 250° della
nascita del genio di Salisburgo attraverso
l’esecuzione dei suoi principali Concerti
pianistici con Alexander Lonquich direttore e solista, una musica fluida e fluente
interpretata con sonorità cristalline. L’ultimo progetto, in ordine di tempo, è quello che ha sottolineato il 200° della morte
di Haydn, tre concerti che hanno scandito le stagioni 2007/08 e 2008/09 e che
hanno visto vari solisti affiancare l’orchestra guidata dal konzertmeister Carlo Fabiano nell’ennesimo gioiello esecutivo.
Roberto Codazzi
Ocm e Mullova
I CONCERTI
PINNOCK, pioniere
della early music
Il cembalista e direttore d’orchestra inglese Trevor Pinnock rappresenta un gradito ritorno a Tempo d’Orchestra.
Assieme con Leonhardt, Harnoncourt e altri pionieri,
Pinnock è stato in prima linea, con il suo English Concert
(fondato e diretto dal 1972 al 2003) nella riscoperta della
prassi esecutiva storica con strumenti d’epoca. Il cosiddetto “movimento della musica antica” — laddove l’espressione anglosassone Early Music, Musica Antica, indica una fase
cronologica che include anche, e in posizione preminente, l’epoca barocca — è in realtà nato a fine Ottocento.
Questo ambizioso progetto di ricostruzione filologica della
prassi musicale ha tuttavia iniziato a trovare terreno fertile
soltanto a partire dagli anni Settanta. A che punto siamo
di questa evoluzione estetica e culturale? Abbiamo chiesto
questo ed altro al maestro, che oltre a mostrarsi illuminante nelle sue risposte, ha mostrato una gentilezza e disponibilità per le quali ci sentiamo di ringraziarlo vivamente.
Buongiorno Mr. Pinnock, anzi forse dovrei chiamarla Comandante... [nel 1992 è stato insignito del titolo di Commander of the British Empire, Comandante dell’Impero
Britannico, ndr]
«Si figuri, non è necessario!»
So che Lei ha un calendario fitto di impegni. Quali sono i
progetti su cui sta lavorando attualmente?
«Sono appena rientrato da Houston, dove ho diretto il
Don Giovanni, e sto già preparando un programma solistico, oltre ad un progetto molto interessante con alcuni
studenti della Royal Academy of Music di Londra. C’è poi
l’attività cameristica, naturalmente. Questa varietà di ruoli
comporta uno sforzo mentale non indifferente. Cerco di
organizzare il mio calendario in blocchi distinti, in modo
da non sovrapporre le tre attività, solistica, cameristica e direttoriale. In questo modo posso utilizzare differenti parti
della mente, per così dire. Per me si tratta dell’unica soluzione possibile: sono convinto che si tratti di operazioni co-
Trevor Pinnock
Il cembalista e direttore inglese
torna al Bibiena in trio il 16 aprile.
E qui ci racconta una formidabile
carriera lunga mezzo secolo
di Emanuele Battisti
gnitive differenti, da tenere separate per quanto possibile.
Ho peraltro la fortuna, in questa fase della mia carriera, di
poter scegliere in piena libertà. Si tratta indubbiamente di
una questione legata all’età [Pinnock ha 66 anni, ndr], e al
fatto di essere stato sulla scena per così lungo tempo…»
Il 16 aprile sarà al Bibiena di Mantova in trio, con Matthew
Truscott al violino, e Jonathan Manson alla viola da gamba.
Può raccontarci qualcosa circa la collaborazione con questi
musicisti?
«Sì, nel caso di Jonathan Manson, abbiamo suonato assieme per molti anni. Quest’anno abbiamo pensato di
dedicarci ad un progetto cameristico, e abbiamo invitato
Matthew Truscott, con cui avevamo peraltro già lavorato in
occasione di una registrazione in studio col flautista Emmanuel Pahud. Abbiamo così pensato questo programma,
che include brani di Buxtehude, Domenico Scarlatti, Händel, Rameau, Marais e Bach, e sono lieto che la risposta da
parte dei festival sia molto positiva».
Ecco, veniamo al programma, che spazia dal tardo barocco
tedesco a quello francese e italiano. Vi è un’ambizione “programmatica”, per così dire, legata a questo accostamento di
stili e aree geografiche così eterogenei?
«Si tratta chiaramente di un programma centrato sul
musicalmente
25
I CONCERTI
Matthew
Truscott
contrasto tra gli stili, senza alcuna velleità didattica circa
l’accostamento tra gli autori e le aree geografiche. La
verità è che avevamo voglia di suonare quanta più musica possibile! La scelta è quindi caduta su opere molto
diverse tra loro, nell’ottica di coinvolgere emotivamente il pubblico. Mi piace l’idea di agire come un architetto, durante un programma, e di accostare elementi
differenti fino a creare una locandina variegata, ma alla
stesso tempo solida e coerente. Un elemento determinante dell’esecuzione è l’energia. E non parlo soltanto dell’energia vitalistica, chiaramente percepibile nei
movimenti veloci, ma anche e ancor più di quella che
resta soggiacente nei movimenti lenti; in un Adagio, infatti, l’energia richiesta all’esecutore è ancora maggiore,
poiché si tratta di tenere assieme una struttura musicale
fragile, che in qualsiasi momento rischia di frammentarsi, proprio per la maggiore difficoltà a percepirne la
pulsazione temporale durante l’ascolto».
Parlando di energia, nonostante i tanti impegni, riesce a
trovare il tempo anche per progetti didattici.
«In passato si trattava di una parte molto limitata della mia
attività. Ora invece sono arrivato ad un punto della mia vita
in cui sento la responsabilità di trasmettere ai giovani musicisti la mia esperienza e le mie conoscenze. Come dicevo
in precedenza, vi sono vari progetti in corso con la Royal
Academy of Music. A volte dirigo l’orchestra giovanile, talora metto in atto progetti speciali con gli studenti migliori
della scuola. In particolare vi è un progetto centrato sui
concerti privati organizzati a inizio Novecento da Arnold
Schönberg, nei quali venivano eseguiti degli arrangiamenti cameristici di opere orchestrali d’epoca».
Credo che questo interesse per il repertorio tardo-romantico e primo-novecentesco possa sorprendere i suoi tanti
ammiratori...
«La verità è che sono sempre stato aperto ad epoche e stili
differenti. Non ho mai veramente cercato l’esclusività storica nelle mie scelte, e in particolare adesso, che il percorso di lavoro sulla musica antica si può dire compiuto, mi
sento libero di esplorare nuovi orizzonti della mia personalità musicale».
Ecco, a quarant’anni dalla fondazione dell’English
26
musicalmente
Jonathan
Manson
Concert, lei crede quindi che il movimento della musica antica sia ormai oggi giunto a compimento?
«Direi di sì. All’epoca si trattava di esplorare un terreno
inusitato, scoprire, quasi reinventare il modo di suonare.
Ma oggi, dopo quarant’anni, si può affermare che la pratica esecutiva filologica su strumenti d’epoca sia universalmente accettata. Ovviamente vi è un lato positivo in tutto
ciò, ma anche un rischio, anzi due: il primo è rappresentato dalla cristallizzazione dello stile interpretativo, una sorta
di nuovo accademismo conservativo, del tutto chiuso ad
ogni ipotesi di cambiamento. Il pericolo opposto è rappresentato dall’ossessione di escogitare sempre e comunque
qualcosa di nuovo, per differenziarsi dagli altri. È bene cercare un equilibrio tra questi due opposti, entrambi fuorvianti».
Un’osservazione conclusiva: alla sua quinta partecipazione
a Tempo d’Orchestra, possiamo dire che tra lei e Mantova vi
sia un feeling particolare...
«Assolutamente! La mia stima per l’Orchestra da Camera e per il maestro Fabiano è ormai di lunga data, ed è
sempre un grande piacere ritornare a Tempo d’Orchestra. Il
programma di concerto è ricco e non vediamo l’ora di proporlo al sempre attento pubblico mantovano».
E Mantova non vede l’ora di riascoltarla, maestro!
“A Mantova costruiremo
un programma centrato
sul contrasto tra gli stili,
senza alcuna velleità didattica.
La verità è che avevamo voglia
di suonare quanta
più musica possibile!“
IN ORCHESTRA
a cura di Valentina Pavesi
OCM-SOPRINTENDENZA:
A MAGGIO AL DUCALE
FESTIVAL INTERNAZIONALE
DI MUSICA DA CAMERA
A BERGAMO, BRESCIA,
MILANO, PISA E
CATANZARO I PROSSIMI
CONCERTI DELL’OCM
Inedite SINTONIE
Palazzo Ducale ospiterà a maggio una nuova iniziativa tagrata Ocm.
Nella foto un momento della “Due giorni a tutta classica” dello scorso settembre (foto Nicola Malaguti)
L’Orchestra da Camera di Mantova inaugurerà ad aprile (27 e
28 rispettivamente al Teatro Donizetti di Bergamo e al Grande
di Brescia) la 50esima edizione
del Festival pianistico internazionale di Brescia e Bergamo con
la Nona Sinfonia di Beethoven,
sotto la guida di Umberto
Benedetti Michelangeli. La produzione - che coinvolge anche
il Coro Ricercare Ensemble e i
cantanti Senderskaya, Gottwald,
Büttner, Gürle - approderà
quindi a Pisa, nell’ottobre 2013.
Il mese di settembre registrarà
due concerti con il pianista
Aldo Ciccolini al Festival Mito,
uno a Milano (12) e l’altro a
Torino (13). A ottobre è, invece,
prevista una ripresa del progetto
Anni ruggenti, melodie struggenti (ascoltato lo scorso autunno a
Tempo d’Orchestra) che vede
l’Ensemble dell’Orchestra da
Camera di Mantova affrontare un
repertorio di musiche da film e
canzoni del primo Novecento
italiano, sotto la direzione di Antonio Ballista (Festival d’autunno,
5 ottobre, Catanzaro).
musicalmente
27
in breve
In collaborazione con la Soprintendenza per i beni storici
e artistici, l’Orchestra da Camera di Mantova lancia un inedito
Festival internazionale della
Musica da Camera nel Palazzo
Ducale di Mantova. Nel fine settimana del 24, 25 e 26 maggio,
le sale di Corte Gonzaga - già
in precedenti occasioni sede
di apprezzati appuntamenti
concertistici - accoglieranno la
musica più raffinata. Il programma è in via di definizione. Le
prime indiscrezioni annunciano
la presenza di un importante
artista residente e di performance dei musicisti dell’Orchestra da Camera di Mantova e di
altri gruppi cameristici emergenti. Un concerto dell’Orchestra
da Camera di Mantova con
l’artista residente, chiuderà la
manifestazione. Presto sul sito
Ocm (www.ocmantova.com)
tutti i dettagli.
28
musicalmente
IN ORCHESTRA
Un momento della presentazione
dell’iniziativa, lo scorso settembre
a Palazzo Castiglioni. Sotto Engelbert Thies
(foto Nicola Malaguti)
Due volte
SOSTENITORE
Primo a rispondere presente all’iniziativa
di tesseramento presentata lo scorso
settembre, Engelbert Thies ci parla
“d’impegno morale ma anche materiale”
Engelbert Thies, mantovano d’adozione, ex dirigente
d’azienda in pensione, è il primo Sostenitore dell’Orchestra da Camera di Mantova.
Da oltre un decennio si abbona regolarmente alla stagione concertistica Tempo d’Orchestra, segue l’attività
dell’Orchestra da Camera di Mantova, talora anche
fuori sede, e risponde alle sollecitazioni dell’Associazione Amici dell’Ocm, sottoscrivendone
puntualmente la tessera. Quest’anno, ha deciso di fare ancora di più.
In quest’intervista ci spiega le ragioni
di una scelta che è, insieme, come lui
stesso spiega, «morale e materiale».
«Sono un pensionato che ha la fortuna di poter seguire e coltivare i propri
interessi, culturali e musicali. Sono anche un convinto ed entusiasta sostenitore del progetto Orchestra da Camera
di Mantova - ci racconta -. Visto come
stanno andando le cose nel pubblico,
con finanziamenti alla cultura in larga
parte venuti meno e comunque assegnati, nella parte restante, secondo logiche distributive, a mio avviso deleterie, che finiscono
per mettere le eccellenze sullo stesso piano di iniziative
di ben altro respiro, personalmente avverto l’urgenza
di correre attivamente ai ripari».
Ridimensionare la proposta musicale non è soluzione
accettabile, a suo dire: «Adagiarsi su una sorta di minimalismo, rassegnandosi al “più di così non si riesce a
fare”, espone al rischio d’estizione di un progetto cultural-musicale di cui per oltre vent’anni abbiamo tutti beneficiato. È venuto il momento, a mio giudizio, che la
società civile (e con ciò intendo riferirmi a noi cittadini
che in oltre 700 ci abboniamo alla stagione dell’Ocm)
s’impegni direttamente a sostegno del progetto, da un
punto di vista morale ma anche materiale», spiega.
Quando gli chiediamo quali punti di forza intraveda
nell’iniziativa di tesseramento lanciata lo scorso set-
tembre, in sede di presentazione ufficiale dell’edizione
del ventennale della stagione Tempo d’Orchestra, ai complimenti per l’idea di fondo abbina una parziale tirata
d’orecchie, suggerendo una modalità operativa che
gli promettiamo di prendere in seria considerazione:
«L’idea e la presentazione della stessa mi sono parse davvero molto buone. Tanto che ho aderito. Mi sarei però
atteso - commenta - un impegno maggiore a favore della promozione e del
radicamento del progetto. Mi spiego:
credo serva un gruppo di lavoro che si
prenda in carico un’opera di diffusione
e insieme di sensibilizzazione, composto, magari, da volontari e collaboratori
Ocm insieme».
«Se continuiamo a lasciar andare le
cose nella direzione che hanno preso
in questi anni Mantova si ritorverà, e
non accadrà tanto in là nel tempo, senza una stagione sinfonica di qualità. E
perdere qualità significa insegnare alla
gente a farne a meno e, una volta che
lo avrà imparato, tentare di ricostruire
sarà durissima, se non impossibile. Non lasciar morire
la musica a Mantova è un dovere di tutti noi, oggi. A
tal proposito, un altro discorso che mi preme - prosegue Thies - riguarda le molteplici forze attive sul nostro
territorio. Ciascuno secondo le sue potenzialità e le sue
prospettive. Bene, tutte queste individualità, in questo
momento critico, dovrebbero unire le energie, collaborare a un progetto comune, coordinato, per la città. Certo sarebbe anche bello avere a Mantova un Auditorium
dall’ottima acustica, ma questo sarebbe oggi un di più.
Ce la caviamo comunque. Abbiamo un Bibiena meraviglioso e piccole strutture sul territorio che garantiscono buone condizioni d’ascolto. Ora quello che urge è
salvare il salvabile, una ricchezza costruita e coltivata in
venti e passa anni. Per questo dobbiamo agire, in prima
persona: questa la mia forte convinzione». (v.p.)
musicalmente
29
AMICI
Parolenote:
tra BRITTEN
e Beethoven
Lunedì 18 marzo e mercoledì 24 aprile: sono le date
di Parolenote da segnare in agenda per la primavera
2013. Date affidate a volti noti e voci (ove voci sta per
teste pensanti) gradite al pubblico mantovano.
La prima vedrà lo storico Stefano Patuzzi proporre,
in Sala Norlenghi (ore 18, ingresso libero) una conferenza di avvicinamento all’ascolto del concerto che
il 20 marzo porterà al Teatro Sociale di Mantova l’Orchestra da Camera di Mantova con la violinista Viktoria Mullova (in programma musiche di Beethoven e
Britten). Stefano Patuzzi si concentrerà sul maestro
inglese, di cui quest’anno ricorre il centenario della
nascita (e al quale, questo numero di Musicalmente,
dedicati gli articoli di pagina 19 e di pagina 32, ndr).
La seconda conferenza porterà al Teatro Bibiena (ore
18, ingresso libero) una nuova lezione di musica di
Giovanni Bietti, comunicatore della musica e voce
di Radio3 Suite, pensata a introduzione del concerto
conclusivo della stagione Tempo d’Orchestra, anch’esso
affidato all’Ocm che, diretta da Umberto Benedetti
Michelangeli e in collaborazione con il Coro Ricercare Ensemble e quattro ottime voci soliste, eseguirà la
celeberrima Nona sinfonia di Beethoven (Teatro Sociale, 26 aprile, ore 20.45). Come si ascolta la Nona?
Stefano Patuzzi dedica
una conferenza al maestro
inglese, mentre Giovanni Bietti
porta al Bibiena una lezione
di musica sulla “Nona”
Stefano Patuzzi e Giovanni Bietti
Quale la struttura dell’opera sinfonica più famosa e
amata? Di questi e altri interrogativi si nutrirà la conferenza di Giovanni Bietti, con il relatore al pianoforte pronto e propenso a servire al pubblico esempi e
citazioni.
L’edizione 2012/13 di Parolenote si congeda così dando appuntamento agli appassionati di classica al prossimo autunno, per un nuovo percorso attraverso le
musiche, i grandi maestri e la storia (v.p.)
PAROLA D’AMICO
Francesca Agostini
Cara Musica, ti scrivo...
Cara Musica, avevo voglia di scriverti queste poche righe perchè ormai è più di un anno
che ci conosciamo, in questo periodo mi hai dato davvero tanto e mi sembra giusto
esprimerti la mia gratitudine. Ho l’occasione di farlo in questo spazio, che appartiene
ad un ambiente a me familiare, l’ambiente che in fondo ci ha fatto conoscere! Come sai
da una vita mi piace l’Arte, in particolar modo quella greca: il canone di Fidia, Policleto,
Prassitele, Il Bello, quello Classico appunto, espresso nell’armonica perfezione delle linee, mi hanno sempre affascinato. Non pensavo che la nostra amicizia potesse regalarmi
qualcosa di altrettanto incantevole, ma in fondo ti chiami Classica, perchè stupirmi!? Ti
ho sempre sentito nei carillon di bambina, quando Mozart suonava, o in molte pubblicità odierne; ma non ti ho mai ascoltato! Quanto tempo perso, l’importante è esserci
incontrate. Ti ricordi quando timidamente ascoltavamo le prove dell’Ocm? Era splendido
sentirle ‘a sezione’, come piace al maestro Fabiano. Così la memoria uditiva, durante il
concerto, riesce a distinguere meglio le classi di strumenti! E quando sono entrata a far
parte di un coro?! Lì sì che finalmente ho imparato la tua lingua. Lì, solo quando ho potuto
esprimermi con te, ho potuto ascoltare la mia voce, ho capito quanto il tuo linguaggio sia
bello, puro, perfetto, come un’opera antica! Grazie, grazie per avermi presentato tante
belle persone, dal mio migliore amico al mio maestro di coro. Grazie davvvero.
30
musicalmente
QUADERNO DI VIAGGIO
di Guido Mario Pavesi
Organi storici, eccellenza
tutta ITALICA
C’è un museo che, anche in un
momento di crisi come l’attuale,
registra un costante incremento di
visitatori. Vero è che si tratta di un
fenomeno di nicchia, ma il risultato
appare confortante per la cultura
musicale. È il Museo degli Organi
“Santa Cecilia” di Massa Marittima,
in provincia di Grosseto: una preziosa selezione di strumenti antichi
collocati all’interno della ex Chiesa
di San Pietro all’Orto. Un curioso
e fortunato intreccio di circostanze
ha determinato la connessione tra la
rara collezione di strumenti simbolo
dell’eccellenza italiana e il fascino di
questo edificio del 1197 in cui si è
ricreata la mistica atmosfera di una
delle chiese medievali più significative della Maremma toscana. Artefice del fortunato connubio artistico
è Lorenzo Ronzoni che, grazie alla
sua inesauribile passione, ha realizzato quest’esposizione permanente,
frutto di oltre cinquant’anni di inL’esposizione
Lorenzo Ronzoni
al lavoro
PER VISITARE IL MUSEO
Il Museo degli Organici “Santa Cecilia”
si trova a Massa Marittima, privincia di
Grosseto, in corso Diaz al civico 28.
Chiuso il lunedì e martedì e dal 15 gennaio al 28 febbraio, osserva i seguenti
orari di visita: 10.30-13 e 15.30-19, in
estate e 10.30-12.30 e 15-18, durante
l’inverno. Il biglietto d’ingresso costa 4
euro (3 euro il ridotto). Per informazioni:
T. + 39 0566 940 282, Cell. +39 347
0854024, [email protected],
www.museodegliorgani.it.
cessanti ricerche. Grazie alle quali,
dagli anni Sessanta a oggi, è riuscito
a salvare un consistente numero di
organi antichi dall’inesorabile oblio,
conseguenza diretta dell’illusorio
rinnovamento delle dotazioni musicali di tante chiese del nostro Paese.
Calore ed entusiasmo animano il raccontare di Lorenzo Ronzoni mentre
ci accompagna in visita al museo e
ci spiega storia e tecnica, mostrandoci le caratteristiche sonore degli
strumenti. Sorpresa e ammirazione
guidano il percorso che si snoda tra
pregevoli esemplari, rappresentativi
delle molteplici scuole italiane - lombarda, umbra, emiliana, molisana,
campana e siciliana -, firmati Carlo
e Domenico Traeri, Luigi Boselli, Liberatore Pallotti, Domenico Mancini, Gaetano Platania. «Gli organi che
presento provengono da varie regioni italiane, prodotti tra il Seicento e
l’Ottocento, e offrono un’autentica
testimonianza del prestigio e della
genialità dei nostri antenati. Quello
che amo di più è un organo seicentesco di otto registri, trovato a Parma:
un vero esempio d’organo italiano.
Noi abbiamo sempre costruito strumenti di piccole dimensioni, perfetti per la moltitudine di chiese dei
nostri territori e per gli usi liturgici
legati alla tradizione cristiana». Modenese, originario di Campogalliano, giunto alla naturale conclusione
Massa Marittima
della sua attività di insegnante di lettere, Lorenzo Ronzoni scelse Massa
Marittima per la suggestiva bellezza
di questa gemma del Medioevo, per
la di perfetta armonia tra natura e
architettura. Ottenuto l’affidamento
dei locali di San Pietro all’Orto, con
la collaborazione della moglie, in
due anni di intenso lavoro e di approfondite indagini storiche, ha riportato alla luce le meraviglie di una
chiesa dismessa da secoli. I suoi sforzi sono stati premiati dalla bellezza
di quanto ora vi si può ammirare cui
ha concorso la scoperta di affreschi
attribuiti ad Ambrogio Lorenzetti:
il maestro della scuola senese del
Trecento vi lavorò dipingendo una
Maestà ad ornamento dell’altare. Il
Museo degli Organi offre anche una
mirata selezione di strumenti a tastiera che testimoniano dell’evoluzione
del clavicembalo verso il pianoforte,
attraverso i primi esempi di fortepiano mozartiano e proseguendo fino a
quelli dell’epoca di Beethoven. E le
sorprese non finiscono: rarità strumentali, stampe originali e migliaia
di pubblicazioni parlano dell’entusiasmo con cui Lorenzo Ronzoni
porta il suo ammirevole contributo
alla causa della musica. «Io, se comandassi, punterei tutto sul bello,
perché la bellezza vince sempre. Purtroppo, di questi tempi non si riesce
nemmeno a distinguere il vero dal
falso e così il degrado appare inevitabile. La bellezza è storicamente un
nostro retaggio, ma abbiamo bisogno di uomini di autentica cultura
che sappiano guidare le istituzioni e
coltivare il gusto della gente».
musicalmente
31
COLONNA SONORA
di Claudio Fraccari
Se BRITTEN esalta
Wes Anderson
Eccentrico è l’aggettivo giusto. In effetti, il cinema dell’americano Wes
Anderson è lontano da ogni centro
– quanto a storia, luoghi, tempi, generi. L’esempio più recente è Moonrise Kingdom, una commedia che
sfiora di continuo il grottesco e il
dramma, ove l’occhialuto dodicenne Sam, letteralmente figlio di nessuno, decide una personale fuga
d’amore con la coetanea Suzy.
L’ambientazione su un’isoletta del New England, nel remoto 1965 già presago di
venti rivoluzionari, acuisce lo straniamento. Se il
piccolo Sam organizza minuziosamente il suo piano, lasciando nottetempo
il campeggio e la compagnia degli altri scout (che
non lo amano di certo), altrettanto fa la sua partner che pianta in asso genitori e fratelli. La fuga
dei due innamorati, sulle cui tracce
si mette un’eterogenea e variopinta umanità, è minacciata anche da
un ciclone in arrivo sull’isola, allegoria fin troppo eloquente dell’urgenza della natura. Gli inseguitori
riusciranno a riacciuffare i fuggitivi, anche se ormai il loro gesto si è
impresso indelebilmente nella coscienza della comunità, cambiando
per sempre tutti: il padre e la madre
di Suzy, alternativi quanto disfunzionali, l’imbranato capo scout, la
spietata rappresentante dei Servizi
Sociali (la sigla SS non è casuale),
il dubbioso e malinconico sceriffo
del posto. Che poi il cast annoveri
molti attori ben noti in ruoli di fatto marginali (Bill Murray e Frances
McDormand, Bruce Willis e Tilda
Swinton, Edward Norton e Harvey
Keitel), ottiene un ironico rovesciamento delle aspettative. I giovanissimi Jared Gilman e Kara Hayward
assurgono così a un protagonismo
non solo nominale: è alla loro recitazione naif che il regista affida il
più e il meglio della vicenda, non-
32
musicalmente
I TENENBAUM
di Wes Anderson
Erano bambini prodigio, ma crescendo hanno deluso le
aspettative. Tocca al
padre, che se ne era
andato anni prima,
tornare per salvare quel che resta della
genialità dei suoi tre figli. La poetica fantasmagorica e incline al grottesco di Wes
Anderson qui si dispiega al massimo nel
dimostrare che i personaggi, più che disadattati, sono semplicemente inadatti alle
convenzioni esistenziali. Musiche, tra gli altri, di Mark Mothersbaugh e Lou Reed.
(Usa 2001)
LE AVVENTURE ACQUATICHE
di Wes Anderson
Wes Anderson
ché il discorso sotteso di emancipazione fantastica, che è l’esatto contrario della sindrome di Peter Pan
– la volontà di crescere, cercando
l’isola che c’è. E benché la colonna
sonora sia affidata a Alexandre Desplat, ad esaltare il tutto arriva un
doppio omaggio al grande compositore britannico Benjamin Britten
(1913-1976), di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita. Oltre alla sua suite didattica Young Person’s Guide to the Orchestra del 1946
(la gustosa presentazione dei vari
strumenti che compongono un’orchestra), dal sottotitolo assai significativo di Variazioni e fuga su un tema
di Purcell, il film ospita una paradigmatica finzione dentro la finzione:
la scuola locale mette in scena uno
spettacolo ispirato all’opera L’Arca
di Noé (scritta da Britten nel 1958),
con i bambini travestiti da animali.
È davvero esplicito il suggerimento di Wes Anderson, coadiuvato in
sceneggiatura da Roman Coppola:
orchestrare e drammatizzare sono
operazioni consustanziali alla regia
cinematografica. Nel nome di Britten, appunto.
L’oceanografo e documentarista del titolo parte con la sua
variopinta nave per
dare la caccia allo
squalo-giaguaro che
gli ha ucciso l’amico.
Quando lo troverà, non avrà il coraggio di
eliminarlo, docile e gentile com’è. La trama
per una volta lineare non esclude tocchi
di cultura pop, costumi bizzarri, invenzioni
surreali. Alle musiche di Mark Mothersbaugh, Sigur Rós, David Bowie, Iggy Pop, vanno aggiunti i rimandi a Yellow Submarine e
al cantante Harry Belafonte.
(Usa 2004)
IL TRENO PER IL DARJEELING
di Wes Anderson
Tre fratelli viaggiano
in treno per l’India:
nel tentativo di recuperare il rapporto
interrotto un anno
prima alla morte del
padre,
prospettano di raggiungere la madre, ritiratasi in un
convento sull’Himalaya. Le cose non vanno come previsto. Nel composto instabile
dell’umorismo andersoniano cadono gocce velenose di dolore. Il variegato soundtrack contempla musiche rock anni Settanta (Kinks), colonne sonore di film indiani, la
Suite Bergamasque di Debussy.
(Usa 2007)
GRAMMOFONO
di Michele Ballarini
GULLI, poeta del violino
Lontano dalle luci
dello star system
seppe distinguersi
per la sua straordinaria
attualità stilistica
Se esploriamo il mondo discografico dei decenni passati ci renderemo
conto di come l’attività discografica di molti complessi e solisti italiani ha avuto modo di svilupparsi
per mezzo di importanti case – Emi,
DG, Philips, Decca – con registrazioni che hanno dato popolarità mondiale ad artisti come Michelangeli,
Accardo e il Quartetto Italiano solo
per nominarne alcuni. Si tratta ovviamente di grandissimi artisti che
hanno ricevuto giustamente una diffusione universale e un plauso pressoché unanime per le loro interpretazioni, lontani da quelle proposte
di dubbio valore che a volte si “costruiscono” per motivi extra-musicali e utili solo a incrementare le vendite. Esistono però anche altri artisti
di grande valore il cui lascito discografico appare più celato o lontano dalle cosiddette luci dello star system; è questo il caso di Franco Gulli
(1926-2001) uno dei più eminenti
rappresentanti della scuola violinistica italiana. Alcuni ricordi personali lo rivedono docente all’Accademia Chigiana di Siena ed esecutore
in duo assieme alla moglie, la pianista Enrica Cavallo. Quello che si
può dire con la sicurezza di essere
nel vero è che in Gulli trovavano un
perfetto equilibrio doti virtuosistiche d’eccezione e una passione profonda e sincera per l’esecuzione di
un repertorio sia cameristico che
solistico che spaziava dal barocco
al Novecento storico. Una passione
che, unita al fascino dell’interprete,
“tagliava” l’atmosfera della sala da
concerto arrivando a rendere esecuzioni trascinanti ma sempre filtrate
da questa sua meravigliosa signorilità. Anche nell’insegnamento questa
dedizione si stemperava nel voler
trarre dall’allievo tutto il suo potenziale mettendogli a disposizione
un magistero tecnico e di esperienza artistica e umana che aveva ben
pochi confronti, ma tutto ciò senza voler assolutamente sovrapporre
la sua personalità a quella dello studente. Un rispetto e un amore per
la musica che non potevano non filtrare nelle numerose incisioni che
Gulli effettuò durante tutta la sua
lunga carriera: interpretazioni contrassegnate da un pensiero musicale che attraverso il violino si esprime con semplicità e nel contempo
con infinita poesia, messaggio questo sempre comunicato con stupefacente perfezione anche attraverso
i più impervi ed acrobatici virtuosismi. Un vasto repertorio, si è detto,
che nelle incisioni ha modo di manifestarsi attraverso i più grandi capolavori della letteratura violinistica
in letture che avvincono, oltre che
per i motivi di cui sopra, anche per
una straordinaria attualità stilistica
che ancor oggi non pare assolutamente intaccata dagli anni.
LA MUSICA NEL SANGUE
QUELLE INCISIONI MEMORABILI
CHICCHE NELL’ARCHIVIO RAI
Nato a Trieste nel
1926 è allievo del
padre e rivela doti
musicali e violinistiche
eccezionali; successivamente studia
con Arrigo Serato e
Joseph Szigeti, intraprendendo una carriera concertistica che
lo vedrà solista nelle principali sale di tutto
il mondo e camerista con Enrica Cavallo
e il Trio Italiano d’Archi. Importantissima
anche l’attività didattica in prestigiose sedi
quali l’Accademia Chigiana e l’Università
dell’Indiana a Bloomington (USA) città dove
è scomparso nel novembre del 2001.
Franco Gulli incise per
varie etichette, molte delle quali hanno
oggi cessato la loro
attività; sul sito italiano di Amazon sono
disponibili sia in cd
che in download parecchie importanti registrazioni ripubblicate più recentemente come le Stagioni di
Vivaldi, le Sonate di Beethoven, il Concerto di Chausson e l’integrale dei Concerti di
Mozart. Bellissimo anche un cd della casa
Dynamic con autori eseguiti dal Nostro su
altrettanti violini di grandi liutai: grandi esecuzioni su strumenti meravigliosi!
Esistono anche parecchie registrazioni
nell’archivio della Rai
tra cui il Concerto n.
1 di Bartok e quello
di Berg purtroppo
al momento non
disponibili: di grande
bellezza un cd pubblicato dall’Istituto
Discografico Italiano contenente i Concerti
Primo e Quinto di Paganini; un altro contributo Rai ascoltabile su Youtube è il Primo
Concerto di Prokofiev in coppia con Sergiu
Celibidache, lettura affascinante dove
momenti di pirotecnico virtuosismo si alternano ad altri di intensa cantabilità.
Il violinista
Franco Gulli
musicalmente
33
CD - DVD
di Luca Segalla
Una BOHÈME
sfacciatamente MODERNA
È una strana periferia parigina, squallida eppure senza
polvere, quella in cui Damiano Michieletto ambienta
La Bohème andata in scena la scorsa estate a Salisburgo. Un po’ circo un po’ videogame. La vicenda si snoda nel sottobosco urbano degli anni Novanta del XX
secolo tra prostitute, clochard e graffitari. All’osteria
di Momus i personaggi, dai vestiti volgarmente sgargianti, sono immersi in una piantina della città a tre
dimensioni; la Barriera d’Enfer è sostituita da un casello autostradale, Rodolfo e Mimì duettano davanti a
Puccini,
un chiosco di panini. Vocalmente superba è la Mimì
La Bohème.
di Anna Netrebko, privo di autentici slanci il Rodolfo
Wiener Philhardi Piotr Beczala, convincente il resto del cast, in parmoniker; D.Gatti,
ticolare la Musetta di Nino Machaidze. Quest’ultima
direttore; Damiano
è isterica e antipatica: Michieletto legge la vicenda
Michieletto, regia.
con il cinismo del modello di Puccini, il romanzo di
1 dvd. Deutsche
Henri Murger. In realtà La Bohème è l’opera della noGrammophon
stalgia (del compositore, non solo del pubblico) per
(00440 073 4773)
la giovinezza perduta e la nostalgia, in questo allestimento, poco si avverte. Lo stesso Gatti guida i Wiener
con puntillistica precisione senza immergersi fino in fondo nel languore
dell’invenzione melodica e armonica pucciniana. Il direttore milanese,
però, si fa ammirare per la definizione timbrica delle atmosfere, soprattutto nella celebre alba innevata all’inizio del terzo quadro.
BEETHOVEN SENZA FRONZOLI
Torna disponibile, opportunamente restaurata, l’integrale in video delle Sonate beethoveniane (5 DVD)
realizzata all’inizio degli anni Ottanta dall’allora quarantenne Daniel Barenboim. Un Beethoven compassato, nei gesti come nelle sonorità. Alta la temperatura drammatica dei movimenti lenti (il Largo e mesto
dell’Op. 10 n. 3, la Marcia funebre dell’Op. 26), rifiniti
i dettagli. La retorica è meno esplicita rispetto al Barenboim di oggi, la tecnica più solida.
Daniel Barenboim. Beethoven, Sonate per pianoforte
nn. 7-13. 1 DVD Euroarts (2066488).
IL GIRO DI VITE
A cento anni dalla nascita, Benjamin Britten (1913 1976) si conferma uno dei grandi del Novecento. Anche quando sceglie un soggetto lontano dalla sensibilità
attuale, come la storia di fantasmi raccontata da Henry
James ne Il giro di vite (1898). Possiamo rivedere questo
capolavoro operistico del 1954 nel fascinoso film-opera
realizzato nel 2005, con pregevole sensibilità pittorica,
dalla regista inglese Katie Mitchell. Nella parte della governante una straordinaria Lisa Milne.
City of London Orchestra; direttore: Richard Hickox;
regia: Katie Mitchell. 1 DVD Opus Arte (0907 D).
34
musicalmente
INVITO ALL’ASCOLTO
Les Indes galantes
quaranta minuti
di musica superba
«Noi avevamo
nell’opera di
Rameau una
pura tradizione (…) fatta
di tenerezza
delicata e
incantevole, di
giusti accenti, di una rigorosa declamazione del recitativo (…) rincresce
che la musica francese abbia percorso
troppo a lungo strade che perfidamente l’allontanavano da quella chiarezza
nell’espressione, da quella precisione e
concisione nella forma che sono qualità
particolari e significative del genio
francese». Questa l’opinione di Claude
Debussy all’inizio del Novecento, quasi
due secoli dopo la presentazione del
“balletto eroico” Les Indes galantes,
lavoro che rappresenta oggi una delle
più interessanti prove teatrali di Rameau.
Debussy - che avrebbe ricordato Rameau anche nelle sue celebrate Images
pianistiche del 1905, che contengono
un “Hommage” - in quel proprio scritto
non si riferiva a Les Indes galantes, bensì
a Castor et Pollux che appartiene invece al genere della “tragédie lyrique”. Ma
non importa: la ricca “opéra –ballet”
presentata nel 1735 all’Accadémie
Royale de musique et danse di Parigi
val bene un invito all’ascolto teso a
scoprire come, da uno spettacolo
barocco così complesso che in origine
mescolava recitazione, canto, danza e
musica, possa estrarsi, anche soltanto
avvicinandone le pagine strumentali,
il profilo di un maestro capace di
trasformare la tradizione in un caleidoscopio di raffinatissime prove d’arte,
incisive, moderne e di un fascino sottile
e intramontabile. Molte le registrazioni
discografiche reperibili, tra le quali,
quella firmata da Philippe Herreweghe
alla guida della Chapelle Royale per
conto dell’etichetta Harmonia Mundi.
Quaranta minuti di musica superba, vera
gioia per lo spirito. (a.z.)
MUSICA & ARTE
di Paola Artoni
WAGNER, potenza
artistica che va oltre
la sfera musicale
Fortuny, Ciclo Wagneriano:
l’abbraccio di Siegmund e Sieglinde
L’esposizione curata dalla
Ferretti evidenzia la capacità
del compositore di influenzare
le arti visive in Italia tra la fine
dell’800 e i primi del ‘900
Fortuny, Ciclo Wagneriano:
3DUVLIDOHOH)DQFLXOOH¿RUH
IN MOSTRA AL FORTUNY
La ricorrenza del bicentenario della nascita di Richard Wagner non
poteva non essere celebrata anche
a Venezia, la città lagunare dove
egli scomparve nel 1883. E quale
migliore sede se non quella di Palazzo Fortuny per ricordare l’influenza che la musica del grande
compositore ebbe sulle arti visive
in Italia? Proprio alla mano dell’artista Mariano Fortuny (1871-1949)
si deve infatti uno splendido ciclo
wagneriano (presentato per la prima volta al pubblico), composto
da quarantasette dipinti, che nella
mostra si va ad affiancare ad alcuni capolavori di altri autori come
Lionello Balestrieri, Giuseppe Palanti, Cesare Viazzi, Eugenio Prati, Gaetano Previati, Alberto Martini e Adolfo Wildt, sempre ispirati
a Wagner.
L’esposizione, impreziosita dall’allestimento di Daniela Ferretti, diventa un’affascinante occasione
per mostrare l’esito di un lungo
lavoro di ricerca svolto intorno
all’influenza, sia a livello iconografico sia estetico, che il grande mu-
sicista e compositore tedesco e che
il wagnerismo ebbero sulle arti visive in Italia tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Come hanno sottolineato
gli organizzatori e il curatore Paolo Bolpagni, «il wagnerismo fu
un’autentica moda culturale che,
nelle sue varie espressioni (letterarie, musicali, pittoriche), godette
di una diffusione vasta e penetrante. Nel campo delle arti visive, fu
una delle manifestazioni più tipiche del gusto estetico a cavallo tra
XIX e XX secolo, fra tardo-naturalismo, Simbolismo e Liberty». La
mostra, in corso sino al prossimo
8 aprile, realizzata anche con la
collaborazione dell’Associazione
Amici di Wagner di Venezia, Città
di Lipsia, Klingen Forum, Richard
Wagner-Verband Leipzig, è allestita con garbo tra il piano terra, il
primo e il secondo piano nobile
del palazzo, presentando oltre 150
opere tra dipinti, incisioni, disegni
e sculture, più una sezione documentaria con libri, riviste, illustrazioni e cartoline. Tra le curiosità
L’esposizione Fortuny e Wagner. Il
wagnerismo nelle arti visive in Italia
è inserita nel contesto degli eventi “Inverno a Palazzo Fortuny” ed è
allestita a Venezia nello splendido
Palazzo Fortuny, (San Marco 3780
– San Beneto). Apertura sino all’8
aprile 2013, tutti i giorni dalle
10.00 alle 18.00 (biglietteria aperta dalle 10.00 alle 17.00); chiuso il martedì. Biglietto intero: 10
euro, ridotto 8 euro, offerta per le
scuole: 5 euro a persona.
Per maggiori informazioni:
fortuny.visitmuve.it,
[email protected],
tel. 848 082 000.
esposte vi è una rara gouache di Mario de Maria, bozzetto preparatorio per il famoso ritratto perduto
della figliastra di Wagner, oltre alla
maquette del Teatro di Bayreuth, realizzato da Fortuny nel 1903 e recentemente oggetto di un delicato
intervento di restauro finanziato
da Venice Foundation. Una sezione imperdibile è infine quella dedicata all’influsso dell’immaginario wagneriano anche sugli artisti
contemporanei, con una selezione di opere di importanti autori internazionali come Joan Brossa, Anselm Kiefer, Antoni Tàpies e
Bill Viola.
musicalmente
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ALTRA MUSICA
di Giorgio Signoretti
BLACK, BROWN AND BEIGE DI ELLINGTON
LA FORMA CANZONE DI TANKIAN
Black, Brown and Beige, scritta
da Ellington su commissione per
il concerto del 23 gennaio 1943
alla Carnegie Hall, ebbe il grande
merito di togliere definitivamente la musica afroamericana dalle
paludi dell’esotismo e dell’intrattenimento.
Meglio, forse, ascoltarla nella versione del 1958 con Mahalia
Jackson (Columbia Sony). Ma, restando in tema di suite, la
forma estesa preferita nel jazz, non si dimentichino la delicatissima Western Suite di Jimmy Giuffre (1955, Atlantic) e la
stupefacente New York N.Y. di George Russell (1959, ora su
Impulse), inno definitivo alla multietnica metropoli del nuovo
jazz postbellico.
Che la forma canzone, regina indiscussa della seconda metà del Novecento, sia ben lontana da ogni
crisi, lo dimostrano i modi della
partecipazione ai concerti rock
più qualitativi. Come quello tenuto
lo scorso 15 ottobre all’Alcatraz
di Milano da Serj Tankian, leader
della band di culto System of a Down. Un pubblico eterogeneo
e devoto non meno di quello di Dylan ha cantato ogni parola del
suo ultimo felicissimo cd (Harakiri, 2012), dettagliato atto d’accusa
verso le logiche che stanno spingendo il pianeta verso catastrofi
ecologiche, finanziarie e sociali. Come ai tempi di Woody Guthrie,
la canzone sa dire con sintetica chiarezza cose che molti giornali
preferiscono tacere.
Il debito del JAZZ
per la “forma estesa”
Aspettando Beethoven, potrebbe
essere interessante ripercorrere
sinteticamente il rapporto originale e creativo che il jazz ha saputo
sviluppare con le suggestioni della cosiddetta “forma estesa”. Conviene ricordare che, a differenza
di altre culture musicali che privilegiano un forte controllo “a priori” sull’esecuzione, il jazz nasce e
cresce intorno a forme che possono anche diventare estese, ma solo
in quanto “estensibili” attraverso
la ripetizione ciclica di segmenti strutturali piuttosto brevi e ben
noti agli improvvisatori. Saranno
le complesse alchimie relazionali tra questi ultimi a determinare
quanto estesa sarà la forma finale
dell’esecuzione. Se la pratica (decisamente “folk”) della ripetizione circolare di un modulo base
ha reso poco percorribile la strada
dello “sviluppo” in senso compositivo del materiale iniziale, l’ascoltatore acuto ha imparato ben presto
a cogliere altri (e non meno interessanti) tipi di sviluppo: dinamico, agogico, timbrico, ritmico, intervallistico, armonico, semantico,
per individuarne alcuni. Modalità
tanto incisive da arrivare ad erodere i caratteri della stessa struttura
di fondo o addirittura (come di-
36
musicalmente
rebbe Pierre Bourdieu)
la sua stessa funzione
originaria. Cosa che accadde ad esempio per il
blues al tempo del Bebop o per la canzone
nelle “parodie free” di
Roswell Rudd o Lester
Bowie. A settant’anni dalla presentazione
della suite orchestrale
Black Brown and Beige,
la più celebre composizione estesa di Duke
Ellington e dell’intera
musica afroamericana,
il bilancio per questo
tipo di materiale è piuttosto deludente: i musicisti preferiscono ancora mettere alla prova la
propria capacità di produrre poetiche attraverso strutture brevi e circolari, flessibili e polifunzionali, folgoranti come aforismi
ed essenziali come haiku. Unica
differenza: se un tempo si cercava la propria anima tra le sontuose armonie di Cole Porter o Jerome Kern, oggi riesce più naturale
farlo sulle strutture neo-modali di
Jimi Hendrix o Kurt Cobain, reincarnazione energetica del blues,
la musica da cui tutto nacque.
Duke Ellington
Se un tempo i musicisti
cercavano la propria
anima nelle armonie
sontuose di Porter
e Kern oggi è più
naturale ritrovarsi
in Hendrix e Cobain
LEGGERE
di Simonetta Bitasi
IL “BRITTEN PENSIERO”
SULLA MUSICA
Il volume, curato da Luca Scarlini, raccoglie
alcuni dei testi più
importanti del più importante compositore
britannico del Novecento, di cui quest’anno ricorre il centenario
della nascita. La sua visione della creazione
musicale come parte della rappresentazione
della società è uno dei fili più importanti della
sua poetica, come emerge da Peter Grimes.
Oltre ai testi teorici nella raccolta viene presentata un’appassionata difesa di Mahler.
La musica non esiste nel vuoto, di Benjamin
Britten, Castelvecchi marzo 2013, pp. 96,
7,50 euro.
NELL’ANNO WAGNERIANO
UN’IMPERDIBILE PRINCIPE
Con l’arrivo dell’anno wagneriano non esiste alcun progetto di
vere e proprie monografie sui drammi
musicali di Richard
Wagner. La serie La
spada della dualità,
che si apre con il
dramma Lohengrin,
propone i 14 libretti dei drammi wagneriani nella nuova traduzione di Quirino Principe, insieme con una monografia, scritta
da Principe stesso, che coniuga capacità
comunicativa e esattezza scientifica, filologica e storica.
Wagner e noi di Quirino Principe, Jaca Book
2012, pp. 120, 10 euro.
ASPIRANTI MUSICISTI ECCO
IL LIBRO CHE FA PER VOI
Per i musicisti di tutti i livelli, che suonano
o aspirano a suonare
in una band, ecco
il libro con dvd che
rivela tutti i segreti della dinamica di
un gruppo. Il Senso
della Band va oltre la
tecnica strumentale e
il talento artistico per svelare come si crea
l’alchimia che rende speciale suonare insieme. Lo straordinario dvd è registrato interamente live e coinvolge quattordici musicisti
della scena mondiale.
Il Senso della Band di Marco Bazzi, Edizioni
Curci 2013, pp. 200, 21 euro.
Madame SOUSATZKA
maternità musicale
«Suonerà il Quarto Concerto di Beethoven», annunciò madame Sousatzka. «Non importa
quello che suonerà»,
disse Manders, «Come
si vestirà? Conta di più
quello… Per quanto riguarda il Quarto Concerto di Beethoven, lo
so bene, quasi tutti i
miei pianisti lo suonano – ma non credo
che Marcus, sì insomma non penso che sia
abbastanza
maturo.
Credo che un po’ di Mozart sarebbe più adatto. Una
doppia immagine di bambini prodigio», disse. «E dopotutto, Mozart è molto più
facile per un giovanetto».
Madame Sousatzka esplose
di fronte a questa ignoranza
abissale. «Lei lo vuole maturo? Anche io lo volere maturo. E quando è maturo suonerà Mozart. Prima no. Lei pensa
che suonare pianoforte è solo
tecnica. E dunque lui può suonare Mozart, crede lei. Semplice. Signor Manders, la musica non
sono solo note bianche e nere. Per
Mozart tu devi essere grande musicista, devi avere vissuto e sofferto,
provato e fallito. Tu devi conoscere
gioia, odio, tradimento. Mio Marcus è un bambino... E a me non importa quanti dei suoi bambini suonano il Beethoven. Mio Marcus lo
suonerà meglio». Marcus, undici anni, una madre povera e ambiziosa ha un indubbio talento per il
pianoforte. Approda così nella colorata e anticonformista casa di Madame Sousatzka, un inglese incerto
e un metodo di insegnamento non
convenzionale. Ma è amore a prima vista tra il simpatico e sensibile
Marcus e la stravagante insegnante,
tanto da innestare la gelosia della
madre del ragazzo. Il romanzo di
Madame Sousatzka
di Bernice Rubens,
traduzione di
Marina Morpurgo,
Astoria 2012,
pp. 232,
16 euro
Bernice Rubens è sicuramente permeato di musica, ma è anche un
commovente racconto sulla maternità e le sue varie sfumature, e una
riflessione intensa sul rapporto tra il
talento e l’età anagrafica. Non mancano poi i momenti comici, grazie
alla casa al 132 di Vauxhall Mansions
e alla variegata umanità che la abita. E che accoglie e coccola Marcus
come un figlio. O per merito della
madre di Marcus, che vive in simbiosi con un orrendo cappello marrone, le calze filo di scozia e la borsa
della spesa che non abbandona mai
e che fa vergognare il piccolo musicista. E Marcus? Come dice madame
Sousatzka è un bambino e quindi ha
ancora la capacità di vedere il buono
di ogni situazione e anche di dimenticare chi gli ha voluto bene.
musicalmente
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IN PLATEA
Business e poesia. Due universi lontani convivono
nella persona di Piero Mario Vello. Il Segretario generale della Fondazione Cariplo affianca alla formazione economica (Master all’Università Bocconi di Milano, dove oggi è membro del Cda) una irrinunciabile
passione per gli studi umanistici, come dimostrano la
laurea in filosofia teoretica e anche recenti pubblicazioni di testi in versi, con titoli suggestivi come La casa
sonora (Arcolaio). In più c’è l’amore per la musica, soprattutto quella italiana del Settecento, di cui accetta
di parlare per la prima volta in questa intervista.
Dottor Vello, ci racconta com’è stato folgorato sulla
via di Vivaldi?
«Quello per Vivaldi è stato amore al primo ascolto: nella sua musica ci sono i colori di Venezia e
dell’Oriente, luci e ombre in un equilibrio di assoluta perfezione formale. Non mi stanco mai di ascoltare le Quattro Stagioni, ma anche altri autori dell’epoca come Benedetto Marcello».
Quando ha cominciato ad ascoltare musica?
«Al liceo. Merito, come spesso accade, di un insegnante illuminato».
Oltre a Vivaldi, quali autori ascolta più volentieri?
«Mi piace anche la lirica, in questi giorni sto riascoltando Turandot, una delle mie opere preferite».
Nel bicentenario della nascita di Verdi e di Wagner lei
per chi fa il tifo?
«Confesso di non amare Wagner: il suo linguaggio ha
un’espressività troppo esasperata per i miei gusti».
Viva Verdi, allora?
«Non c’è dubbio. Rigoletto, per restare alla sua opera
più famosa, è un capolavoro di perfezione formale».
Lasciamo un momento da parte la musica? Banche e
fondazioni bancarie sono nell’occhio del ciclone, non
posso non chiederle un commento.
«Per quanto riguarda le accuse alle fondazioni bancarie di detenere quote delle banche, posso dire che la
fondazione Cariplo ha una quota davvero minima (il
4,8 per cento), il resto è investito in attività diversificate, i cui proventi vanno ai progetti filantropici, ad
esempio in campo educativo. Il Monte dei Paschi di
Siena è finito nel mirino per una gestione discutibile
che però in Italia non è la regola: nel nostro Paese ci
sono molte fondazioni che lavorano bene, sostenendo la cultura e il terzo settore».
Chiudiamo la parentesi e torniamo all’arte dei suoni.
Lei suona qualche strumento?
«Purtroppo no, anche se mi piacerebbe il violino per
suonare la musica di Vivaldi. In compenso ho una figlia che ha cominciato con il pianoforte quando aveva 6 anni e che continua a esercitarsi dopo vent’anni,
anche se soltanto come un hobby».
Come si trasmette l’amore per la musica ai figli?
«Incoraggiandoli e senza mai forzarli: la musica
dev’essere una loro scelta libera, non un’imposizione. E suonare uno strumento dev’essere un’esperienza piacevole e gratificante, non una gara di bravura
per compiacere i genitori».
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musicalmente
di Alice Bertolini
Pier Mario Vello
Con Vivaldi
è stato amore
al primo ASCOLTO
Pier Mario Vello, segretario generale
di Fondazione Cariplo, racconta
di passioni e convinzioni. Tifa Verdi
e invita a non fare delle fondazioni
bancarie un solo fascio
LA FILOSOFIA DEL MANAGER
Dal 2006 Pier Mario Vello è il segretario generale di Fondazione Cariplo (che da anni sostiene l’Orchestra da Camera
di Mantova). Laurea in Filosofia teoretica a Torino e master
in economia e gestione aziendale alla Bocconi, Vello ha
ricoperto posizioni dirigenziali in aziende di rilevanza
internazionale, fino a alla carica di Chief executive officer
e direttore generale di importanti società italiane della
distribuzione. Da sempre è attento in particolare ad aspetti
legati ai fattori umani e ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti tra cui i premi “Paul Harris Fellow” della Fondazione
Rotary International e “Great Place to Work”. La sua gestione
manageriale è caratterizzata anche da una forte sensibilità
verso la promozione della cultura e della filantropia.
Questa pagina, destinata agli operatori
musicali, ospita i progetti che l’Ocm
propone per la prossima stagione
Prosposte
artistiche
2013/2014
Orchestra da Camera
di Mantova
ESTRO, TECNICA E RAFFINATEZZA:
CON L’OCM C’E’ PATRICIA KOPATCHINSKAJA
Patricia Kopatchinskaja, violino
Orchestra da Camera di Mantova
NUOVO TOUR EUROPEO
CON ALEXANDER LONQUICH
Alexander Lonquich, pianoforte
Orchestra da Camera di Mantova
Dal 22 al 28 ottobre 2013, l’Orchestra da Camera di Mantova si presenta al fianco di Patricia Kopatchinskaja. Violinista tra le più richieste del panorama internazionale,
collabora con orchestre quali Wiener Philharmoniker,
Staatskapelle di Berlino e Deutsche Kammerphilharmonie di Brema. Nata in Moldovia, ha studiato tra Vienna e Berlino. Nel 2000 ha vinto il Concorso Szeryng in
Messico e nel 2002 l’International Credit Suisse Group Young Artist Award. Nel
2004 ha ricevuto il Premio Ebu (European Broadcasting Union) e nel 2006 si è
aggiudicata il Premio speciale della Radio Tedesca.
Disponibilità: 22, 23, 26, 27 e 28 ottobre 2013
In collaborazione con Resia Artists
Il febbraio e il maggio 2014 vedranno l’Orchestra da Camera di Mantova impegnata in un tour europeo con il
pianista Alexander Lonquich, straordinario artista col
quale la compagine stringe da anni un sodalizio particolarmente apprezzato. Insieme hanno dato vita a progetti monografici dedicati a
Mozart, Chopin e Beethoven, che hanno incontrato il pieno consenso di pubblico e critica. Il prossimo febbraio insieme approdano al Concertgebouw di Amsterdam, quindi a maggio dano vita a un nuovo tour europeo.
UNA VIRTUOSA PER L’OCM:
RACHEL KOLLY D’ALBA
UMBERTO BENEDETTI MICHELANGELI
DIRIGE LA PIU’ CELEBRE DELLE SINFONIE
Rachel Kolly D’Alba, violino
Orchestra da Camera di Mantova
Disponibilità: febbraio 2014, maggio 2014 e su richiesta
In collaborazione con Lorenzo Baldrighi Artists Management
Orchestra da Camera di Mantova
Coro da Camera Ricercare Ensemble
Romano Adami, maestro del coro
Umberto Benedetti Michelangeli, direttore
L.v. Beethoven, Sinfonia n. 9 in re minore op.125
Un nuovo sodalizio per l’Orchestra da Camera di Mantova, che nella primavera-estate 2013 si presenta al fianco
della giovane solista Rachel Kolly d’Alba, considerata oggi
la violinista svizzera di maggior talento. La ricchezza e varietà del suo vibrato è paragonato ai grandi violinisti del passato così come la sua
forte personalità, l’eleganza e poetica del fraseggio e il virtuosismo mai fine a se
stesso. Si è imposta nei principali concorsi svizzeri e nel 2005 ha vinto il Primo
Premio all’International Competition “Julio Cardona”, nonchè il Premio per la
migliore interpretazione di un lavoro contemporaneo.
Disponibilità: primavera-estate 2014
In collaborazione con Resia Artists
Umberto Benedetti Michelangeli torna a dirigere l’Orchestra da Camera di
Mantova nella Nona Sinfonia di Beethoven, la partitura più ammirata del Genio
di Bonn: innovativa e riassuntiva, drammatica e lirica, e dotata di una forza di
coinvolgimento collettivo forse insuperata.
Disponibilità: Dal 12 al 17 ottobre 2013,
dal 12 al 19 dicembre 2013 e su richiesta
In collaborazione con Resia Artists
A BAYREUTH CON L’ARPISTA ISABELLE MORETTI
BALLISTA DIRIGE L’ENSEMBLE OCM
Isabelle Moretti, arpa
Orchestra da Camera di Mantova
Il 13 marzo 2014 l’Orchestra da Camera di Mantova torna sui palcoscenici europei insieme con la raffinata arpista francese Isabelle Moretti. Brillante, appassionata e di
grande temperamento, interpreta il suo strumento con stile unico, generosità, sincerità e tocco aristocratico. Premiata nelle competizioni
internazionali per arpa di Ginevra, Monaco e Israele, viene regolarmente invitata
dalle principali sale da concerto in tutto il mondo. Il repertorio per strumento solista di Isabelle Moretti è particolarmente vasto e spazia dalla musica del diciottesimo secolo e dalle prime sonate per arpa a pedali fino alle piu’ complesse opere
contemporanee in prima mondiale.
Disponibilità: marzo 2014
In collaborazione con Konzertagentur Dagmar Korner
Antonio Ballista, direttore
Ensemble dell’Orchestra da Camera di Mantova
Lorna Windsor, voce
Anni ruggenti, Melodie struggenti vede Antonio Ballista dirigere l’Ensemble dell’Ocm, nell’interpretazione di meravigliose musiche da film del cinema americano e straordinarie canzoni italiane degli Anni 1910-50, elaborate e
strumentate dal compositore Alessandro Lucchetti.
Disponibilità: dall’1 al 10 ottobre 2013 e su richiesta
In collaborazione con Parma Concerti