Magazzino 18. Cristicchi e la storia secondo un

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Magazzino 18. Cristicchi e la storia secondo
un archivista distratto
- Stefano Crippa, ROMA,28.12.2013
Teatro. Il monologo, con la regia di Antonio Calenda, a rischio di revisionismo
Centinaia di sedie una sopra laltra, vecchi mobili, camere da letto, oggetti lasciati dagli esuli italiani
nel Porto Vecchio di Trieste. Tutti accatastati nel Magazzino 18, anche titolo dello spettacolo di
Simone Cristicchi per la regia di Antonio Calenda, che ha debuttato lo scorso ottobre al Politeama di
Trieste e sta girando i teatri della penisola. Al centro lesodo degli italiani dalle terre dIstria, Fiume e
Dalmazia e il dramma delle foibe, uno spaccato di storia complicato e mai risolto che Cristicchi
memore di sue esperienze passate sul palcoscenico (come Li romani di Russia), riprende in un
monologo a metà fra il recitato e la canzone.
Nella messinscena Cristicchi è un archivista romano, inviato al Magazzino 18 dal ministero
dellinterno per fare un grande inventario. Andatura dinoccolata, soprabito e valigetta, un guascone
che si rifà alla mitologia delluomo medio incarnato da Sordi in tanti film: arruffone, egoista, ma che
nella finzione passa da un disinteresse totale a una più decisa consapevolezza. Un racconto
intervallato da una sorta di compendio veloce dei fatti storici che sconvolsero quelle terre dai primi
del Novecento al 47, cercando di contestualizzarne le vicende. E qui Cristicchi inciampa
rovinosamente, mettendo in scena uno spettacolo che si basa quasi esclusivamente sul testo di Ian
Bernas Ci chiamavano fascisti. Eravamo Italiani, e propone uninterpretazione di quegli accadimenti
parziale, se non univoca.
</CW>Così la storia tutto ingoia e omologa, senza permettere allo spettatore di valutare le ragioni e
i comportamenti che sono stati alla base di quegli eventi; avvicinando anzi pericolosamente le due
ideologie contrapposte, comunismo e fascismo, per omologarle. E generando confusione nel pubblico:
perché non si possono dedicare tre minuti tre di «riassunto» alle terribili sofferenze portate dal
fascismo in Slovenia; lo sterminio di oltre 350 mila sloveni, croati, serbi montenegrini, slavi nelle
regioni occupate e/o annesse dal 3 aprile 1941 al settembre del 43, le 35 mila vittime uccise da fame
e malattie in oltre 60 campi di internamento per civili sparsi dal nord al sud Italia, che sono
fondamentale per comprendere la successione degli avvenimenti.
<CW-8>«Non mi interessa la politica racconta in unintervista al Piccolo il cantautore Mi
interessano le storie, e mi interessa continuare a sviluppare, sia a teatro che con le mie canzoni
un’operazione didattica della memoria». Ma per ricostruire una successione di eventi così complessa
e dichiaratamente con «fini didattici» serve un lavoro diverso. Non basta limitarsi a costruire
canzoni o, peggio, riutilizzare uno struggente pezzo di Sergio Endrigo come 1947, facendolo passare
per unirredentista. Altrimenti e ci dispiace perché in passato Cristicchi ha dato prova di sensibilità
nel parlare di disagio mentale si presta solo il fianco al revisionismo storico che avvelena il tessuto
sociale di questo paese da troppo tempo.
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