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SEDE, 06/05/2014
A TUTTI I NOSTRI
CLIENTI
LORO SEDI
1/2014 – Paghe – Contratto di lavoro e retribuzione
Egregi Signori,
Mentre in Italia si conducono prove tecniche di reddito minimo e bonus vari, in Germania è guerra per lo
stipendio orario: in sostanza la retribuzione resta argomento «caldo»; e mentre sono in aumento i working
poor (essere poveri pur avendo un lavoro), ci si interroga su stipendio orario minimo e reddito minimo
garantito.
Principio costituzionale
Nel nostro ordinamento non esiste una nozione unitaria di retribuzione, in quanto il legislatore ha fornito
criteri di computo solo per alcuni istituti legali (es. trattamento di fine rapporto), né sussiste un principio valido
e generalista secondo il quale per l'individuazione della retribuzione utile ai fini del calcolo dei vari istituti
contrattuali debba necessariamente farsi riferimento alla «retribuzione globale di fatto» (retribuzione
comprensiva di quanto complessivamente ricevuto dal lavoratore).
La Costituzione, art. 36, comma 1, stabilisce che il lavoratore deve essere retribuito proporzionatamente alla
quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso in misura sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia
una «esistenza libera e dignitosa».
I principi costituzionali espressamente sanciti dall'art. 36 della Costituzione sono quindi la proporzionalità e la
sufficienza, poiché al lavoratore deve essere garantita una retribuzione che possa attuare il programma
sociale individuato dall'art. 3 della Costituzione, proporzionata anche alle concrete esigenze del singolo
lavoratore e della propria famiglia.
Secondo l'interpretazione che si è affermata a partire dagli anni 50, è considerata «sufficiente» la
retribuzione corrispondente ai minimi previsti dai contratti collettivi; in questo modo la giurisprudenza ha finito
per estendere a tutti i lavoratori i minimi salariali previsti dai contratti collettivi.
Proporzionalità poiché la quantità dell'ammontare della retribuzione non è relazionata soltanto al tempo del
lavoro svolto, ma anche dalla qualità della prestazione in termini di difficoltà, importanza e complessità,
nonché di responsabilità.
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GRUPPO GBN - Celda S.r.l.
Società soggetta a direzione, controllo e coordinamento della SERVER S.a.s. di Città Domenica & C.
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90011 BAGHERIA (PA)
Tel: 0918486138 - Fax: 0918486140
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SEGUE >> 2
1.contratto di lavoro e retribuzione.doc Autore POLIZZI Data creazione 06/05/2014 7.56 AM
Carattere della retribuzione
La retribuzione costituisce il principale obbligo del datore di lavoro a fronte della prestazione fornita dal
lavoratore e va a connotare il rapporto di lavoro come un contratto oneroso di scambio (o a prestazioni
corrispettive).
In linea generale, la giurisprudenza riconosce attorno al cd. concetto unitario o onnicomprensivo, natura
retributiva alle erogazioni connotate dal carattere di:
-
corrispettività, deve trattarsi di importi che trovano causa diretta o indiretta nel rapporto di lavoro.
Se la prestazione viene a mancare cessa anche l'obbligo retributivo tranne nei casi
espressamente previsti dalla legge (come ad esempio per le assenze per malattia, infortunio sul
lavoro, maternità, permessi sindacali) ed eventualmente dal contratto collettivo;
-
onerosità, la prestazione di lavoro subordinato si presume sempre effettuata a titolo oneroso,
salvo che la gratuità venga provata - ma in modo rigoroso - desumendola dall'originaria volontà
delle parti nonché dalle modalità di svolgimento del rapporto (cfr. C. Cass., Sent. n. 1895 del 16
febbraio 1993);
-
obbligatorietà, l'erogazione deve costituire un obbligo per il datore di lavoro derivante dalla
legge, dal contratto collettivo o individuale ad esclusione degli importi che costituiscono rimborso
spese e le erogazioni che hanno carattere di liberalità;
Attenzione: A tal proposito occorre tuttavia precisare che un'erogazione liberale da parte del datore di lavoro
può giustificarsi solo se occasionale e collegata ad eventi particolari, ritenendo infatti che la ripetitività
dell'erogazione, pur inizialmente effettuata per determinazione unilaterale, privi l'erogazione stessa (anche
se di ammontare variabile) dell'originaria funzione di liberalità attribuendole quella di corrispettivo della
prestazione lavorativa (Cass., SS.UU., Sent. n. 8573 del 23 agosto 1990); a conferma di tale interpretazione,
la legge n. 279 del 1982 definisce la retribuzione come tutti gli emolumenti corrisposti a titolo non
occasionale.
-
determinatezza, l'importo di ogni singola voce retributiva è normalmente stabilito nel contratto
individuale o collettivo di lavoro.
Nota bene: Una parte della dottrina ha ritenuto di dare una definizione più restrittiva, argomentando che non
esiste nessun fondamento normativo dell'onnicomprensività e che anzi tale concezione ha effetti distorsivi
sul calcolo di quegli istituti che adottano la retribuzione come parametro.
Secondo questa dottrina, recepita poi dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (Sez. Unite 1° ap rile
1993, n. 388), non esisterebbe nessun concetto legale unitario di retribuzione, ma l'individuazione della
retribuzione sarebbe un problema interpretativo delle formule utilizzate dal legislatore e delle parti collettive
(nelle legge o nel contratto collettivo) che, di volta in volta, fissano gli elementi costitutivi della retribuzione
come parametro per il calcolo di altri istituti.
La corresponsione della retribuzione costituisce oggetto di un obbligo di dare disciplinato dalle norme
generali del Codice civile ed essendo una prestazione fungibile può quindi essere adempiuta dal datore, da
un suo rappresentante ma anche da un terzo e deve essere corrisposta al lavoratore, anche se minore,
purché capace in quanto abilitato anche alla riscossione.
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SEGUE >> 3
1.contratto di lavoro e retribuzione.doc Autore POLIZZI Data creazione 06/05/2014 7.56 AM
Modalità di erogazione
L'art. 2099 c.c. stabilisce che la retribuzione deve essere effettuata «con le modalità e nei termini in uso nel
luogo in cui il lavoro viene eseguito», possibilmente quindi sul posto di lavoro, in denaro e periodicamente
(solitamente mensilmente).
Di regola, il luogo del pagamento della retribuzione è stabilito dal contratto e dagli usi. Secondo la
contrattazione collettiva, il termine per il pagamento della retribuzione deve essere mensile, tuttavia può
essere stabilito diversamente dagli usi e la retribuzione viene corrisposta in via posticipata rispetto alla
prestazione di lavoro in base al principio della post-remunerazione.
Le modalità di pagamento della retribuzione prevedono dunque oltre al contante, anche gli altri strumenti
sostitutivi (assegni bancari o circolari, bonifici, accrediti in conto corrente).
Giurisprudenza
La Corte di Cassazione ha ricordato che in base all'art. 2099 c.c. la retribuzione deve essere corrisposta
«con le modalità e nei termini in uso nel luogo in cui il lavoro viene eseguito» e pertanto secondo l'uso locale
di fatto che si forma al di fuori del contratto di lavoro ed il cui contenuto si modifica con il mutare dei
comportamenti tenuti a livello locale.
Ne consegue - ha rilevato la Corte - che nel caso in esame, in cui è pacifico che localmente, aziendalmente
e addirittura in maniera generalizzata a livello nazionale (come è notorio) le prassi prevalenti sono diventate
da tempo quelle del pagamento delle retribuzioni mediante accredito su conto corrente bancario, queste
vanno applicate.
Peraltro - ha affermato la Corte - alla stessa conclusione si perviene ove si ritenga che la materia fosse
disciplinata dalla prassi: la natura di fonte sociale dell'uso aziendale implica infatti la sua modificabilità ad
opera delle fonti collettive sopraordinate nonché per effetto di un uso successivo più favorevole.
In proposito - ha rilevato la Cassazione - il giudice di appello, con adeguata motivazione ha ritenuto di
maggior favore l'uso successivo.
La legge prescrive, ai sensi dell'art. 1277 c.c., che la retribuzione sia versata con moneta avente corso
legale nello Stato al momento del pagamento, accompagnata da un prospetto paga indicante tutti gli
elementi che la compongono.
In caso di ritardato o mancato pagamento della retribuzione, il lavoratore può ricorrere al Tribunale del lavoro
o affidarsi alle procedure alternative della conciliazione monocratica e della diffida (D.Lgs. n. 124/2004).
La mancata sottoscrizione o la mancata consegna del prospetto inducono la giurisprudenza di legittimità a
ritenere che il datore di lavoro debba provare il pagamento in altro modo; inoltre, la sola sottoscrizione del
prospetto paga, non accompagnata da altre dichiarazioni liberatorie, non equivale alla quietanza, ex art.
1199 c.c, prova l'avvenuta ricezione, da parte del lavoratore, del prospetto ma non ha neppure valore di
confessione stragiudiziale del fatto estintivo (Pret. Trento 18 gennaio 1991).
Contra (Pret. Torino 6 aprile 1993) secondo cui la sottoscrizione prova il pagamento della retribuzione
indicata.
La prova del contrario dovrebbe essere resa con altre circostanze.
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SEGUE >> 4
1.contratto di lavoro e retribuzione.doc Autore POLIZZI Data creazione 06/05/2014 7.56 AM
Obbligo di informazione
Il D.Lgs. n. 152/1997 impone (art. 1 e segg.) al datore di lavoro di fornire (per iscritto) al lavoratore, entro
trenta giorni dall'assunzione, varie informazioni, fra cui anche quelle relative alla retribuzione, ai suoi
elementi costitutivi, al periodo di pagamento o, in caso di lavoro all'estero, alla valuta.
L'informazione relativa alla retribuzione può essere anche attraverso il richiamo al contratto collettivo; sono
previste sanzioni pecuniarie per il datore di lavoro che ometta o renda informazioni lacunose o inesatte.
Alcuni contratti collettivi prevedono termini e modalità per proporre reclamo contro l'irregolare pagamento
della retribuzione; in alcuni casi a pena di decadenza e sulla loro efficacia esiste un vasto panorama di
opinioni in dottrina ed in giurisprudenza.
Si ha decadenza a condizione che siano adeguatamente garantiti gli interessi del lavoratore (Cass. 3 luglio
1978 n. 3305, Cass. 4 marzo 1983, n. 1612, Cass. 22 ottobre 1981, n. 5558, Cass. 4 febbraio 1994, n.
1150).
Forme di pagamento
In merito all'utilizzo del denaro contante per il pagamento di salari e stipendi, il decreto «Salva Italia», dallo
scorso 6 dicembre 2011, abbassando la soglia di utilizzo del contante a euro 1.000,00, ha di fatto esteso tale
casistica, ovviamente, anche riguardo ai sistemi di pagamento delle retribuzioni e dei compensi dovuti ai
lavoratori dipendenti e collaboratori.
Pertanto è prevista la possibilità di continuare a pagare in contanti solo fino a euro 999,99, mentre i
pagamenti d'importo pari o superiore a euro1.000,00 possono avvenire solo a mezzo banca, moneta
elettronica e Poste Italiane S.p.A.
Qualora venga effettuato un trasferimento di denaro contante per un importo pari o superiore alla soglia di
euro1.000,00, si applica una sanzione pecuniaria compresa tra l'1% ed il 40%, calcolata sull'importo
indebitamente trasferito.
La legge prevede un importo minimo della sanzione di 3.000 euro, la sanzione minima viene aumentata di
cinque volte qualora i trasferimenti di denaro superino l'importo di euro 50.000,00.
È previsto che il soggetto che ha commesso la violazione, possa mitigare la sanzione beneficiando
dell'istituto dell'oblazione (art. 16, legge n. 689/1981). Una volta ricevuta la contestazione, il soggetto
destinatario della sanzione potrà versare, entro 60 giorni dal ricevimento dell'atto di contestazione, una
somma ridotta pari ad un terzo del massimo della sanzione prevista per la violazione commessa o se più
favorevole, qualora sia stabilito il minimo della sanzione edittale, pari al doppio del relativo importo (2%); tale
limite va riferito ad operazioni «complessivamente» eseguite.
In via generale, non esiste un principio di cumulabilità di distinte operazioni svolte tra i medesimi soggetti, ne
consegue che sono astrattamente ammessi più pagamenti tra i medesimi soggetti a condizione si riferiscano
a operazioni diverse.
Operazione frazionata
Come già evidenziato, il problema si pone quando le medesime parti danno luogo a più trasferimenti che
riguardano la medesima operazione.
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SEGUE >> 5
1.contratto di lavoro e retribuzione.doc Autore POLIZZI Data creazione 06/05/2014 7.56 AM
Infatti, la norma prevede che il trasferimento è vietato anche quando è effettuato con più pagamenti inferiori
alla soglia tali da apparire artificiosamente frazionati.
Si considera «operazione frazionata» un'operazione unitaria sotto il profilo economico, di valore pari o
superiore ai limiti stabiliti dal presente decreto, posta in essere mediante più operazioni, singolarmente
inferiori ai predetti limiti, effettuate in momenti diversi ed in un circoscritto periodo di tempo fissato in sette
giorni, ferma restando la sussistenza dell'operazione frazionata quando ricorrano elementi per ritenerla tale.
Ne consegue, dunque, l'ammissibilità di operazioni di importi anche complessivamente pari o superiori alla
soglia consentita, purché non sia realizzato per dissimulare il passaggio di somme ingenti in contanti.
Pertanto anche i salari e gli stipendi di importo superiore al predetto limite in via generale vanno pagati con
assegno bancario o circolare non trasferibile, bonifico bancario o altre modalità di pagamento tracciato
previste dalle legge.
Resta fermo che il datore di lavoro non è tenuto a riconoscere alcun permesso orario aggiuntivo rispetto a
quanto previsto dal contratto collettivo applicato per il cambio dell'assegno.
È infatti prassi molto diffusa, soprattutto in taluni settori di attività (ad esempio, edilizia o agricoltura o lavoro
domestico) il pagamento in contanti di acconti settimanali d'importo inferiore a euro 1.000,00 che
complessivamente danno luogo ad una retribuzione mensile pari o superiore a tale limite. Spesso, si tratta di
accordi verbali che si protraggono da tempo nelle aziende.
Con riferimento ai rapporti di lavoro in essere la prassi adottata costituisce oramai un diritto acquisito dal
lavoratore che è penetrato nel contratto individuale, con la conseguenza che non viola alcuna regola di
antiriciclaggio.
Non sussiste alcun obbligo da parte del lavoratore di apertura di un conto corrente bancario o postale; se il
lavoratore non accetta il bonifico, il datore di lavoro può corrispondere la retribuzione mediante assegno
bancario o postale.
L'eventuale assegno bancario o circolare d'importo pari o superiore a 1.000,00 euro deve contenere
l'indicazione del beneficiario e la clausola di non trasferibilità; naturalmente il datore di lavoro non è tenuto a
riconoscere alcun permesso orario aggiuntivo rispetto a quanto previsto dal contratto collettivo applicato per
il cambio dell'assegno.
CESSIONE DEL QUINTO SEMPRE PIU’ RICHIESTA
Le difficoltà economiche determinate dalla perdurante crisi economica, hanno reso sempre più diffuso il
ricorso, da parte dei lavoratori subordinati, alla cosiddetta cessione del quinto della retribuzione, quale
strumento di pagamento e di garanzia dei debiti contratti; analizziamo le caratteristiche peculiari di questa
particolare tipologia di finanziamento
L'istituto della cessione del quinto dello stipendio o della pensione, introdotto nel secondo dopoguerra dal
D.P.R. n. 180/1950 è una particolare tipologia di finanziamento personale, cosiddetto non finalizzato, con
pagamento costante della rata che ogni mese viene trattenuta o dallo stipendio o dalla pensione.
La L. 14 maggio 2005, n. 80 ha ampliato la platea di destinatari, originariamente individuati tra i lavoratori
dipendenti dello Stato e del para-Stato anche ad aziende private, previa verifica del relativo capitale sociale
e di altri parametri da parte della banca o altro ente finanziario.
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SEGUE >> 6
1.contratto di lavoro e retribuzione.doc Autore POLIZZI Data creazione 06/05/2014 7.56 AM
Ministero dell'economia e delle finanze, Circ. 3 giugno 2005, n. 21; Circ. 29 luglio 2005, n.554
Ai sensi del titolo II del D.P.R. n.180/1950, i dipendenti statali assunti a tempo indeterminato o determinato
possono contrarre prestiti contro cessione del quinto dello stipendio se hanno compiuto quattro anni di
servizio effettivo nel rapporto d'impiego. Prima del decreto sulla competitività, invece i dipendenti pubblici
non statali non potevano contrarre finanziamenti se non avendo cinque o dieci anni di servizio a seconda
della durata del finanziamento, sebbene nella prassi tale limite fosse sovente ridotto a sei mesi. La disciplina
come riformata ha uniformato tale regime consentendo, invece, ai dipendenti statali non garantiti
dall'INPDAP, ai dipendenti pubblici non statali e ai dipendenti privati di contrarre finanziamenti senza alcun
limite di anzianità.
L' espressione cessione del quinto deriva dal fatto che l'importo massimo della rata non può eccedere la
quinta parte (20%) dell'importo mensile netto percepito.
È tuttavia possibile arrivare ad una rata massima pari a due quinti dello stipendio (cd. delega di pagamento o
doppio quinto) previa sottoscrizione oltre che del contratto di cessione del quinto, anche di un contratto di
delega del pagamento, che impegna l'altro quinto dello stipendio.
Sarà il datore di lavoro a pagare la rata alla banca, trattenendo contestualmente l'importo dalla busta paga
del proprio dipendente e quindi abbattendo fortemente il rischio di insolvenza volontaria del debitore, visto
che, una volta dato il proprio consenso alla trattenuta in busta paga, il cedente non può più revocare il
pagamento.
Da ciò deriva anche che è previsto il coinvolgimento del datore di lavoro nell'estinzione del finanziamento
quale condizione fondamentale per l'erogazione del prestito anche perché lo stesso non può declinare una
richiesta di cessione del quinto da parte del dipendente.
Pertanto i soggetti che intervengono in tale operazione sono tre:
-
il lavoratore (creditore cedente),
-
il datore di lavoro (debitore ceduto),
-
la banca-società finanziaria (terzo cessionario).
<em>Nota bene: Nella delegazione il debitore delega il proprio datore di lavoro a trattenere dallo stipendio
una quota fissa pari a un quinto della retribuzione da corrispondere direttamente all'intermediario erogatore
del prestito. A differenza della cessione del quinto dello stipendio che costituisce un obbligo per il datore,
scaturente dal rapporto di lavoro, la delegazione è una facoltà di cui l'azienda può liberamente disporre. Da
ciò scaturisce la pratica e l'obbligo in caso di amministrazioni statali di stipulare una convenzione scritta tra
datore di lavoro e intermediario finanziario, con previsione di un importo da parte dell'intermediario al datore
a titolo di corrispettivo per l'attività prestata.</em>
Elementi del Contratto di cessione del quinto
La legge stabilisce che un contratto di cessione del quinto deve contenere i seguenti elementi:
-
il tasso di interesse praticato; il TAN rappresenta il tasso di interesse, espresso in percentuale e
su base annua, applicato dagli Istituti finanziari all'importo lordo del finanziamento. Viene
utilizzato per calcolare, a partire dall'importo del finanziamento lordo (dato da: rata x durata),
l'ammontare del finanziamento netto.
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SEGUE >> 7
1.contratto di lavoro e retribuzione.doc Autore POLIZZI Data creazione 06/05/2014 7.56 AM
Nel calcolo del TAN non rientrano oneri accessori quali le eventuali provvigioni da riconoscere ad
intermediari, le spese iniziali e le imposte e dunque non rappresenta una stima completa del costo totale del
finanziamento;
-
ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi i maggiori oneri in caso di mora;
-
l'ammontare e le modalità del finanziamento;
-
il numero, gli importi e la scadenza delle singole rate;
-
il tasso annuo effettivo globale (TAEG); diversamente dal TAN, il TAEG è comprensivo di oneri
accessori quali spese di istruttoria e commissioni bancarie, che sono a carico del cliente.
Tuttavia, per la cessione del quinto, la legge prevede che le spese assicurative possano essere
discrezionalmente escluse dal calcolo del TAEG ed in genere così fanno gli Istituti;
-
il dettaglio delle condizioni analitiche secondo cui il TAEG può essere eventualmente modificato;
-
l'importo e la causale degli oneri che sono esclusi dal calcolo del TAEG;
-
le eventuali garanzie richieste;
-
le coperture assicurative.
A tal riguardo la Banca d'Italia ha emanato a novembre 2009 una comunicazione con la quale sono stati
richiamati gli intermediari bancari e finanziari al pieno rispetto delle norme che regolano il settore della
cessione del quinto dello stipendio/pensione.
La comunicazione individua i comportamenti virtuosi che gli operatori devono adottare e sollecita
l'introduzione di misure correttive nel caso in cui il modo di agire non fosse in linea con le raccomandazioni
formulate.
Il principale vantaggio della cessione del quinto sta nel fatto che trattandosi di un'operazione di credito in
qualche modo garantita, ove ricorrano il rispetto dei requisiti di ammissibilità, tanto del richiedente quanto
dell'azienda, la probabilità di vedersi accordare il prestito è infatti piuttosto alta.
Conseguentemente, i destinatari di cessione del quinto potranno essere anche persone con una storia
creditizia non limpida a causa della quale difficilmente avrebbero accesso a forme diverse di finanziamento.
Tale peculiarità rende i prestiti con cessione del quinto tra i più richiesti del momento.
Infatti, nella miriade di offerte che ci sono nella galassia dei prestiti personali un italiano su quattro si affida
alla cessione del quinto dello stipendio. Sono questi i risultati di un'indagine svolta dai portali Facile.it e
Prestiti.it.
Secondo l'indagine condotta dai due portali Internet, la cessione del quinto è una forma di finanziamento cui
- nel periodo che va da maggio a ottobre 2013 - ha guardato con interesse il 25,9% delle persone con
intenzione di richiedere un prestito.
A presentare la richiesta sono soprattutto i dipendenti privati (58,6%), anche se c'è un 16% di richieste che
arriva da pensionati. L'importo medio richiesto è pari a 17.000 euro e l'età del richiedente è in media di 44
anni con un reddito medio mensile di 1.600 euro.
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Gli importi più alti si richiedono in Sardegna (19.000 euro), a seguire vi sono la Sicilia (18.700 euro), il Friuli
Venezia Giulia, le Marche e la Puglia anche se per quest'ultima il dato subisce una riduzione significativa
(nel 2012 l'importo richiesto era pari a 22.500 euro).
Documentazione richiesta
Ed inoltre, la documentazione da proporre all'Ente finanziatore a supporto della richiesta di cessione del
quinto risulta essere piuttosto snella, in particolare:
-
il certificato di stipendio fornito dall'Amministrazione della propria azienda o ente, riportante la
data di assunzione, la retribuzione lorda e netta (annua e mensile), il TFR maturato, le eventuali
trattenute o pignoramenti già presenti sullo stipendio;
-
l'ultima busta paga (o il cedolino pensione nel caso di richiedenti pensionati);
-
il benestare dell'azienda <span ID="richiamo2">(2)</SPAN>, che si impegna ad effettuare
puntualmente i pagamenti
La durata del prestito può andare dai 24 mesi fino ad un massimo di 10 anni (120 mesi) e comunque entro il
termine del rapporto di lavoro o il pensionamento e con un massimale di età anagrafica di 90 anni sia per gli
uomini che per le donne.
Questa durata così lunga permette di ottenere delle rate più basse e quindi più accessibili al cliente oltre ad
un tasso d'interesse più conveniente proprio perché il finanziamento viene dilazionato in più anni.
L'ammontare massimo del prestito dipende direttamente da:
-
anni di anzianità lavorativa;
-
TFR cumulato;
-
importo della retribuzione o della pensione mensile.
Infatti, maggiori saranno gli anni di anzianità lavorativa, maggiore sarà il TFR maturato, di conseguenza
l'Istituto finanziario, di fronte ad una più ampia garanzia sarà disposto a concedere importi più elevati.
La particolare struttura di questo tipo di finanziamento non prevede che il richiedente presenti delle garanzie
reali; tuttavia l'operazione trova una qualche forma di garanzia nel TFR maturato dal dipendente o nella
pensione spettante al pensionato che hanno una funzione di tutela per il finanziatore di fronte al rischio di
perdita del lavoro, di infortunio oppure del rischio vita.
La Legge Finanziaria 2006 ha, inoltre, previsto, alla luce di quanto stabilito anche dalla Corte Costituzionale
(Sent. 4 dicembre 2002, n. 506), che i pensionati possano cedere un quinto della loro pensione purché la
parte residua sia superiore al cd. «trattamento minimo».
La legge prevede ai sensi dell'art. 54 del D.P.R. n. 180/1950 che, al momento della stipula del contratto con
la società finanziaria, si sottoscriva anche una assicurazione rischio vita e/o rischio impiego che garantisca,
in caso di mancato pagamento, la copertura dell'importo ancora dovuto eventualmente eccedente il TFR
cumulato.
Nel caso di «rischio impiego» l'assicurazione interviene, ma ha diritto di rivalsa nei confronti del debitore, nei
limiti del TFR (Trattamento di fine rapporto) fino a quel momento maturato: tale cifra, accantonata
dall'azienda in un apposito fondo, resta quindi indisponibile per il mutuatario che accede al finanziamento; si
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1.contratto di lavoro e retribuzione.doc Autore POLIZZI Data creazione 06/05/2014 7.56 AM
tratta quindi di un'assicurazione a vantaggio della finanziaria. Nel caso di «rischio vita», l'assicurazione
interviene senza vantare diritto di rivalsa nei confronti degli eredi.
Il costo relativo alle coperture assicurative viene trattenuto direttamente dall'Istituto finanziatore, il quale
erogherà al richiedente un importo al netto dei suddetti costi.
La normativa di riferimento, al fine di salvaguardare le garanzie, prevede che il debitore non possa chiedere
anticipi sul trattamento di fine rapporto (TFR) per l'intera durata del finanziamento.
Da ultimo, giova ricordare che la legge stabilisce che il pignoramento sulla retribuzione del debitore, a causa
di debiti non saldati, può avvenire nella misura massima di un quinto dello stipendio o della pensione.
Dunque cosa succede se, prima del pignoramento dell'ufficiale giudiziario, il debitore aveva acconsentito alla
cessione volontaria del quinto dello stipendio? E che succede, invece, nell'ipotesi contraria?
Se vi è già un pignoramento del quinto sullo stipendio o pensione, l'interessato può procedere a chiedere la
cessione volontaria, fermo restando il limite del quinto. Tuttavia la cessione non può eccedere la differenza
tra 2/5 della retribuzione (al netto delle trattenute) e la quota colpita da pignoramento.
Qualora invece un lavoratore abbia effettuato una cessione dello stipendio, i successivi pignoramenti sono
consentiti solo per la differenza tra la metà dello stipendio e la quota già ceduta dal lavoratore.
Maturazione della tredicesima
Nel caso il lavoratore abbia compiutamente prestato la sua attività lavorativa per dodici mesi nell'anno di
erogazione, la tredicesima spetterà per intero salvo assenze che non ne permettano la maturazione.
Viceversa, se la prestazione lavorativa non è stata prestata per l'intero anno, la tredicesima è erogata
calcolando un dodicesimo per ogni mese intero di servizio prestato (intendendosi per mese intero la frazione
pari o superiore a 15 giorni o comunque come indicato nel contratto collettivo applicato). Nel caso di periodo
lavorativo inferiore all'anno, l'ammontare sarà riproporzionato a dodicesimi in base alla data di assunzione o
di cessazione del rapporto di lavoro o tenendo conto di eventuali assenze che ne pregiudicano la
maturazione. La gratifica natalizia corrisponde ad una retribuzione fissa mensile globale di fatto per i
mensilizzati e a un importo determinato dalla paga oraria moltiplicata per il divisore orario mensile indicato in
contratto, per i lavoratori retribuiti ad ore.
Per i lavoratori che prestano la loro attività con orario part-time, la gratifica natalizia subirà la
percentualizzazione in proporzione all'orario di lavoro svolto e calcolata in base agli eventuali periodi parttime e full-time effettivamente lavorati durante l'anno.
Nel calcolo occorre esaminare la tipologia di assenza dal lavoro, la quale può o meno incidere sull'importo o
far sorgere, in capo al datore di lavoro, l'obbligo di integrazione dello stipendio finanche a raggiungere il
100%. Da escludere in assoluto le assenze non retribuite.
Assenze utili per la maturazione
La tredicesima mensilità viene erogata a carico del datore di lavoro per intero nelle assenze dovute a:
-
congedo matrimoniale;
-
ferie;
-
festività;
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-
permessi riduzione orario;
-
preavviso non lavorato.
Assenze non utili per la maturazione
La mensilità aggiuntiva non matura affatto nei seguenti casi:
-
congedo parentale;
-
malattia e infortunio oltre il periodo gestibile da contratto;
-
malattia bambino;
-
congedo straordinario biennale;
-
sciopero;
-
servizio militare;
-
sospensione dal lavoro per provvedimento disciplinare;
-
aspettative e permessi non retribuiti;
-
assenze non giustificate.
Maturazione: INPS e INAIL
Nella maggior parte delle assenze tutelate con previsione di intervento da parte degli Istituti previdenziali e
assistenziali, una percentuale della maturazione della tredicesima mensilità è garantita dagli istituti stessi in
quanto calcolata direttamente nei dati forniti dal datore di lavoro all'ente di turno per il calcolo del trattamento
a suo carico, anche se anticipato dallo stesso. Il datore di lavoro, dunque, nel mese in cui cade la mensilità
aggiuntiva, terrà conto di quanto già anticipato dall'INPS e INAIL.
Le principali assenze a carico degli Istitui sono:
-
malattia;
-
congedo di maternità e paternità;
-
infortunio sul lavoro per inabilità temporanea;
-
cassa integrazione ordinaria e straordinaria ad orario ridotto;
-
permessi per allattamento;
-
permessi retribuiti per familiari con handicap;
-
indennità per richiamo alle armi.
Per quanto sopra esposto, quando nei contratti collettivi di lavoro è disciplinato che la retribuzione dovuta al
dipendente assente debba essere integrata a cura del datore di lavoro fino a garantire la retribuzione netta
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che sarebbe spettata in caso di effettiva prestazione, il datore di lavoro determinerà la quota parte a suo
carico tenendo conto che quanto corrisposto dall'Istituto non è soggetto a contributi previdenziali.
Alcuni contratti prevedono espressamente la lordizzazione mentre altri non ne fanno alcuna menzione. La
prassi di uso comune è quella dell'applicazione del sistema della lordizzazione quando il contratto non
preveda il contrario.
Con l'applicazione di tale sistema si ottiene una riduzione del valore dell'integrazione a carico del datore di
lavoro.
Il fine è quello di far sì che, in presenza di integrazioni da parte dell'azienda e di indennità erogate da enti
previdenziali e assistenziali, il lavoratore assente non percepisca una retribuzione più alta di quella di un
altro lavoratore presente al lavoro per tutto l'anno di maturazione.
La formula della lordizzazione
La formula per il calcolo dei coefficiente di lordizzazione, diverso a seconda della percentuale del contributo
previdenziale c/lavoratore, è la seguente:
100 : 100 - la percentuale contributi a carico lavoratore
I coefficienti di lordizzazione sono i seguenti:
-
aziende con una forza lavoro di - 15 dipendenti: 100/(100-9,19) = 100/90,81 = 1,101201;
-
aziende con una forza lavoro di + 15 dipendenti: 100/(100-9.49) = 100/90,51 = 1,104851;
-
per gli apprendisti o lavoratori cui si applica la contribuzione valida per gli apprendisti: 100/(100 5,84) = 100/94,16 = 1,062022.
Trattamento previdenziale e fiscale
L'importo erogato in aggiunta a dicembre è regolarmente assoggettato a contributi nel mese di erogazione
attraverso il cumulo con la normale retribuzione del mese.
Fiscalmente la mensilità aggiuntiva concorre alla formazione della base imponibile a norma dell'art. 51 del
D.P.R. n. 917/1986 e successive modificazioni, dopo essere stata decurtata del contributo previdenziale
obbligatorio. Generalmente, l'imposta calcolata sulle mensilità aggiuntive, in modo particolare quando viene
erogata con cedolino a parte, deve essere determinata autonomamente e non in cumulo con la ordinaria
mensilità in scadenza, onde evitare l'innalzamento dell'aliquota che diminuirebbe il netto a pagare per poi
concludersi in un conguaglio a favore del dipendente nei calcoli di fine anno.
La mensilità aggiuntiva non dà diritto ad alcuna detrazione ulteriore per lavoro dipendente o familiare,
concesse solamente su dodici mensilità.
A norma dell'art. 2120 c.c., la somma erogata a titolo di tredicesima, per il suo carattere non occasionale,
concorre alla formazione del trattamento di fine rapporto.
La Tredicesima dei collaboratori domestici
Anche ai collaboratori domestici spetta la tredicesima mensilità.
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Il calcolo è semplice per coloro che erogano al collaboratore familiare uno stipendio fisso ogni mese, un po'
più complesso per chi paga la retribuzione a ore.
Per i primi la tredicesima è pari a uno stipendio calcolato sulla mensilità di dicembre mentre per i secondi
occorre ricondurre la paga oraria ad una retribuzione mensile che si può esprimere nell'esempio che segue.
Se un collaboratore familiare lavora presso la famiglia per tre ore la settimana a 8 euro l'ora, il calcolo dovrà
essere così effettuato:
-
8 euro x 3 ore = 24 euro la settimana; 24 euro per 52 settimane in un anno = 1.248 euro l'anno;
1.248 : 12 mesi = 104 euro di media mensile e 104 euro sarà l'importo della tredicesima dovuta;
-
se il rapporto di lavoro è inferiore ad un anno, verranno corrisposti tanti dodicesimi quanti sono i
mesi di lavoro prestato. Il periodo del mese pari o superiore a quindici giorni va calcolato un
mese intero.
Per un collaboratore familiare assunto il quattordici aprile per tre ore la settimana, l'importo della tredicesima
sarà pari a 104 euro : 12 x 9 = 78 euro.
Nel calcolo della tredicesima del collaboratore convivente andrà incluso anche il valore del vitto e
dell'alloggio, o di uno dei due pasti se non convivente e ne usufruisce.
Il valore del vitto nel 2013 è pari a 1,81 euro ciascun pasto mentre il valore dell'alloggio è pari a 1,57 euro.
Valore totale giornaliero è pari a 5,19 giornaliere. Valore totale mensile per vitto e alloggio è pari a euro
155,70.
Può infine accadere che durante l'anno l'orario e/o la retribuzione siano variati per qualche mese; in questo
caso occorrerà sviluppare una media, sommando le diverse retribuzioni erogate nel corso dell'anno e
dividere l'importo per 12; il risultato ottenuto sarà l'importo della tredicesima dovuta.
Se il lavoratore domestico presta servizio presso più famiglie, ogni datore di lavoro è tenuto ad effettuare il
calcolo della quota di tredicesima sulla base della retribuzione oraria corrisposta.
La tredicesima corrisposta costituirà parte della somma sulla quale verrà calcolato il trattamento di fine
rapporto. Nessun contributo aggiuntivo andrà versato entro il 10 gennaio 2014 sull'ulteriore corresponsione.
La tredicesima in edilizia
Nel settore edile la corresponsione della tredicesima mensilità segue una disciplina differente. Il datore di
lavoro non corrisponde direttamente all'operaio la tredicesima ma accantona, presso la Cassa Edile, la quota
mensile corrispondente. Invece di erogare la tredicesima a dicembre, il datore di lavoro, ogni mese, deve
maggiorare la retribuzione di una percentuale prestabilita che attualmente è pari al 18,50%, di cui l'8,50% a
titolo di ferie e il 10% a titolo di gratifica natalizia.
Questa maggiorazione fa parte integrante della retribuzione e quindi concorre a formare sia l'imponibile
previdenziale che l'imponibile fiscale del lavoratore. Tali importi sono accantonati al netto delle ritenute di
legge.
Sarà poi l'Ente, gestito pariteticamente da lavoratori e datori di lavoro, ad erogare direttamente al lavoratore
gli importi accantonati sul suo conto (anche da più datori di lavoro), alle scadenze e secondo le modalità
stabilite dagli accordi locali
Calcolo della maggiorazione in edilizia
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Per il calcolo della maggiorazione e dell'accantonamento occorre:
a)
determinare la retribuzione oraria relativa a:
-
minimo contrattuale;
-
eventuale superminimo;
-
indennità di contingenza;
-
indennità territoriale di settore;
-
elemento economico territoriale;
-
utile minimo contrattuale di cottimo ovvero utile medio od effettivo di cottimo secondo quanto
previsto dal CCNL;
-
elemento distinto dalla retribuzione;
-
eventuale maggiorazione dovuta ai capisquadra.
-
Nel calcolo non devono essere considerati i seguenti elementi:
-
l'eventuale indennità per apporto di attrezzi di lavoro;
-
le quote supplementari dell'indennità di caropane non conglobate nella paga base (cioè per
lavori pesantissimi, per minatori e boscaioli);
-
la retribuzione e la relativa maggiorazione per lavoro straordinario, sia esso diurno, notturno o
festivo;
-
la retribuzione e la maggiorazione per lavoro normale festivo;
-
le maggiorazioni sulla retribuzione per lavoro normale o notturno;
-
la diaria e le indennità di cui all'art. 22 del CCNL;
-
i premi ed emolumenti similari;
-
le indennità per lavori speciali disagiati, per lavori in alta montagna e in zona malarica, in quanto
nella determinazione delle misure percentuali attribuite a ciascuna delle predette indennità è
stato tenuto conto dell'incidenza di tali titoli;
b)
moltiplicare la quota oraria così determinata per:
-
le ore di lavoro normale contrattuale effettivamente prestate;
-
le ore di festività, escluso il 4 novembre;
-
le ore lavorative comprese nel periodo di malattia;
-
le ore lavorative comprese nel periodo di infortunio o malattia professionale.
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1.contratto di lavoro e retribuzione.doc Autore POLIZZI Data creazione 06/05/2014 7.56 AM
La maggiorazione Cassa edile costituisce retribuzione a tutti gli effetti. Concorre pertanto a determinare
anche la retribuzione utile ai fine del calcolo del TFR.
L'importo aggiuntivo alla tredicesima dei pensionati
La legge Finanziaria per il 2001 (art. 70, comma 7, legge n. 388/2000) ha previsto, già dal 2001, il
pagamento di un importo aggiuntivo pari a euro 154,94 ai titolari di una o più pensione il cui importo
complessivo non supera l'importo annuo del trattamento minimo del fondo pensioni lavoratori dipendenti
maggiorato dell'importo aggiuntivo stesso. Si tratta dei cittadini cd. «incapienti» in quanto la loro rendita
pensionistica annua è inferiore o pari al trattamento minimo dell'INPS e, pur avendo diritto alle detrazioni
fiscali, non possono goderne in quanto il loro importo è superiore alle imposte che dovrebbero pagare. Una
sorta dunque di rimborso fiscale a favore di chi non può godere di tutte le detrazioni perché titolari di una
pensione di importo minimo.
Tale somma aggiuntiva è corrisposta unitamente alla tredicesima mensilità, ma solo in presenza di particolari
condizioni reddituali.
Ogni anno tale somma viene indicata in misura provvisoria ad inizio anno sul modello ObisM e non
costituendo reddito, non viene certificato nell'imponibile fiscale della pensione e non deve neppure essere
dichiarato per la corresponsione delle prestazioni previdenziali e assistenziali. Non occorre presentare
alcuna domanda per ottenere l'importo aggiuntivo in quanto l'INPS, attraverso la campagna RED, è già in
possesso di tutti i dati necessari per procedere alla corresponsione in presenza dei requisiti necessari.
Sono esclusi da tale provvidenza i pensionati titolari di:
-
invalidità civile (cat. INVCIV);
-
pensione sociale (cat. PS);
-
assegno sociale (cat. AS);
-
rendita facoltativa di vecchiaia (cat. VOBIS) o di invalidità (cat. IOBIS);
-
pensione di vecchiaia (cat. VMP) o di invalidità (Cat. IMP) a favore delle casalinghe;
-
pensione di vecchiaia, di invalidità o ai superstiti a carico della gestione speciale per il personale
degli Enti pubblici creditizi (cat. VOBANC, IOBANC e SOBANC);
-
assegno straordinario di sostegno al reddito per i dipendenti delle aziende di credito ordinario
(cat. VOCRED);
-
assegno straordinario di sostegno al reddito per i dipendenti delle aziende di credito cooperativo
(cat. VOCOP);
-
assegno straordinario di sostegno al reddito per i dipendenti delle aziende di credito delle
esattorie (cat. VOESA);
-
indennizzo per attività commerciale (cat. INDCOM) (Circ. n. 183 del 18 ottobre 2001);
-
pensioni erogate ai dirigenti iscritti all'ex fondo INPDAI (cat. VDAI, IDAI e SDAI) (Circ. n. 144 del
25 ottobre 2004).
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Sono esclusi inoltre i titolari di:
-
pensione eliminata;
-
pensione supplementare;
-
pensione detassata per convenzione contro la doppia imposizione;
-
pensione con sostituzione dello Stato o rivalsa degli Enti locali;
-
pensione con pagamento localizzato presso uffici pagatori di Sede (999, E9E, ELI, ELB, MOB,
RED, INV, 99V, Z4E, INE, EST, 94Z, 99R);
-
assegno di invalidità scaduto e non rinnovato;
-
pensione ai superstiti con l'intestatario scaduto (Circ. n. 183 del 18 ottobre 2001);
-
pensioni con importo a dicembre uguale a zero (Circ. n. 119 del 14 dicembre 2005).
Condizioni necessarie
Essendo la corresponsione subordinata all'accertamento dei requisiti reddituali, è stabilito che:
-
l'importo aggiuntivo non spetta, se l'importo complessivo delle pensioni supera l'importo annuale
del trattamento minimo maggiorato dell'importo aggiuntivo;
-
l'importo aggiuntivo spetta in misura parziale, cioè fino a concorrenza del predetto limite se
l'importo delle pensioni risulta annuo del trattamento minimo e l'importo annuo del trattamento
minimo maggiorato di 154,96 euro;
-
l'importo aggiuntivo spetta in misura intera se l'importo complessivo delle pensioni è minore o
uguale all'importo annuo del trattamento minimo.
Le disposizioni valide per il 2013
Sono cambiati per il 2013 i limiti di reddito per poter ottenere il beneficio così come comunicato dall'INPS con
Mess. n. 18100 dell'8 novembre 2013. Per aver diritto all'importo aggiuntivo bisogna verificare due parametri
reddituali:
1)
l'importo complessivo della pensione comprese eventuali maggiorazioni sociali;
2)
il reddito personale o coniugale.
Importo pensione per il 2013
Se l'importo complessivo delle pensioni comprensivo delle maggiorazioni sociali è maggiore di 6.595,53 euro
(T.M. anno 2013 + importo aggiuntivo) non spetta nulla.
Se l'importo complessivo delle pensioni comprensivo delle maggiorazioni sociali è inferiore a 6.440,59 euro
spetta l'intero importo aggiuntivo se risultano soddisfatte le condizioni reddituali proprie e del coniuge.
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Se l'importo complessivo delle pensioni comprensivo delle maggiorazioni sociali è compreso tra 6.440,59
euro e 6.595,53 euro spetta la differenza tra 6.595,53 euro e l'importo delle pensioni se risultano soddisfatte
le condizioni reddituali proprie e del coniuge.
I redditi da considerare sono quelli assoggettabili ad IRPEF e coincidono con quelli da prendere in
considerazione per l'integrazione al trattamento minimo.
Le aziende in crisi
Soprattutto con i tempi che corrono, molti lavoratori si sono trovati senza lavoro ma fortunatamente tutelati
dall'intervento degli ammortizzatori sociali anche in deroga alle normali previsioni normative. Generalmente
quando non si lavora la tredicesima potrebbe non maturare ma tale principio, abbiamo visto, non vale per
tutte le assenze. Alcune, infatti, consentono la maturazione della tredicesima intera da parte del datore di
lavoro e altre ancora invece sono assenze che vengono coperte da trattamenti salariali già comprensivi della
mensilità aggiuntiva. In un periodo di crisi occupazionale come quello che stiamo vivendo è utile dunque fare
un quadro di ciò che succede in caso di intervento degli ammortizzatori sociali per crisi aziendale.
Tredicesima e integrazione salariale
Il calcolo della mensilità aggiuntiva nei periodi in cui vi sia un intervento di cassa integrazione è diverso a
seconda si tratti di sospensione a zero ore o ad orario ridotto.
L'indennità corrisposta dall'INPS è comprensiva anche della quota di retribuzione relativa alla tredicesima
mensilità per tutte le ore in cui il lavoratore è posto in CIG. Il datore di lavoro, quindi, erogherà la tredicesima
trattenendo dall'ammontare intero, il numero di ore annue trascorse in CIG.
In caso di cassa integrazione ad orario ridotto occorre verificare l'importo spettante al lavoratore calcolato
all'80% della retribuzione e raffrontarlo con i massimali previsti ogni anno per legge dall'INPS.
Una volta ottenuto l'importo su cui calcolare l'80%, avendo avuto cura di considerare anche tutti gli elementi
continuativi della retribuzione del dipendente, il datore di lavoro dovrà conteggiare i ratei delle mensilità
aggiuntive maturati nel periodo di CIG o CIGS.
Questi ratei, che sono al 100% a carico del datore di lavoro per le ore lavorate, restano a carico dell'INPS
per le ore di sospensione del lavoro e quindi calcolati anch'essi all'80%, nel seguente modo: importo della
mensilità aggiuntiva diviso 2.000 (ore lavorabili in un anno, riproporzionabili per periodo inferiore all'anno).
Fatti i dovuti calcoli, se l'80% della retribuzione ordinaria supera il massimale orario di integrazione, dovrà
essere corrisposto il massimale orario per ogni ora di intervento di CIG/CIGS, non rimanendo spazio per
l'integrazione salariale relativa alle mensilità aggiuntive.
Se invece il massimale non viene raggiunto con la sola retribuzione ordinaria, al lavoratore potrà essere
corrisposta, oltre alla quota calcolata, anche una parte delle mensilità aggiuntive fino al limite del massimale
stabilito. In questo caso il datore di lavoro porterà a rimborso, nel momento dell'erogazione della mensilità
aggiuntiva, la quota a carico dell'INPS per non raggiungimento del limite mensile con la sola retribuzione
ordinaria.
Calcolo dell'integrazione
80% della paga oraria x n. ore autorizzate = tot. integrazione - 5,84% = trattamento CIG da corrispondere se
non superiore al massimale.
Cassa integrazione con sospensione a zero ore
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Nel caso di sospensione dal lavoro a zero ore, i ratei maturano a carico dell'INPS. Se l'ammontare
dell'integrazione salariale è inferiore al massimale della CIG, il rateo matura a carico dell'Istituto di
previdenza fino al raggiungimento del massimale.
Tredicesima e contratto di solidarietà
In caso di integrazione salariale dovuta a intervento del contratto di solidarietà difensivo si dovranno
distinguere i ratei maturati ante adozione orario ridotto da quelli maturati in un periodo di applicazione di
contratto di solidarietà adottando due contatori e accantonando due quote:
-
una di spettanza del datore di lavoro corrispondente alle ore di prestazione e di assenza tutelata;
-
una quota di spettanza dell'INPS riferita alle ore non prestate, per effetto della riduzione
concordata nel contratto di solidarietà.
Tredicesima e indennità di mobilità
In caso di lavoratore in mobilità, non sussiste il diritto alla percezione della tredicesima mensilità in quanto gli
importi massimali e minimali stabiliti annualmente dall'istituto di previdenza sono già comprensivi della
mensilità aggiuntiva.
Valori massimali 2013 - Cassa Integrazione e Mobilità
Come da Circ. INPS n. 20 dell'8 febbraio 2012 i massimali per l'anno 2013 sono i seguenti:
-
per una retribuzione inferiore o uguale ad 2.014,77 = euro 931,28 lordi (al netto del 5,84% = euro
876,89);
-
per un retribuzione superiore a 2.014,77 = euro 1.119,32 (al netto del 5,84% = euro 1.053,95).
La retribuzione, intesa come compenso per la prestazione lavorativa, può essere corrisposta in denaro o in
natura e la determinazione degli elementi che la compongono, così come la loro entità, vengono fissati in
parte dalla contrattazione collettiva ed in parte da quella individuale e costituiscono la retribuzione globale di
fatto; esaminiamo gli elementi principali
Tralasciando gli elementi retributivi determinati dalla contrattazione collettiva e sui quali il datore di lavoro
non ha potere di deroga, è interessante invece approfondire le molteplici possibilità a disposizione del datore
di lavoro per retribuire il lavoratore, ad integrazione di quanto previsto dai contratti collettivi.
Sicuramente la retribuzione cosiddetta in natura, consistente genericamente in una prestazione di beni o
servizi a favore del lavoratore o dei suoi familiari, è uno degli strumenti maggiormente utilizzato dai datori di
lavoro per attrarre, incentivare o trattenere i propri dipendenti, in particolar modo quelli che svolgono
mansioni di tipo dirigenziale.
I FRINGE BENEFITS
I fringe benefits (forme di retribuzione in natura che godono di un trattamento fiscale e previdenziale
agevolato) maggiormente utilizzati dai datori di lavoro sono l'autovettura, l'abitazione e la stipulazione di
polizze collettive.
La concessione ad uso privato (parziale o totale) di veicoli aziendali costituisce una forma di retribuzione in
natura. Il caso più frequente è quello dell'uso promiscuo dei veicoli aziendali (sia per l'attività lavorativa che
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1.contratto di lavoro e retribuzione.doc Autore POLIZZI Data creazione 06/05/2014 7.56 AM
per uso personale) a fronte del quale la determinazione del fringe benefit si calcola assumendo come reddito
imponibile previdenziale e fiscale il 30% dell'importo corrispondente ad una percorrenza annua
convenzionale di 15.000 Km calcolato in base al costo chilometrico, individuato per ciascun tipo di veicolo, e
riportato su apposite tabelle predisposte ogni anno dall'ACI.
Tale imponibile convenzionale, normalmente diviso in quote mensili, dovrà essere riproporzionato al periodo
durante il quale al dipendente viene concesso l'uso del veicolo, conteggiando i giorni per i quali il veicolo è
assegnato, indipendentemente dall'effettivo utilizzo.
Per quanto riguarda il benefit costituito dall'assegnazione al dipendente di un alloggio o di una abitazione, la
determinazione della retribuzione imponibile varia in funzione della tipologia e della destinazione d'uso
dell'immobile assegnato (obbligo di dimora o meno). Il caso più frequente è quello di assegnazione, non
strumentale all'attività lavorativa, di un fabbricato che sia regolarmente iscritto al catasto. In questo caso la
retribuzione imponibile, e quindi il controvalore attribuito in denaro alla prestazione di tale bene, è dato dalla
differenza tra la rendita catastale - aumentata di tutte le spese inerenti al fabbricato - e quanto
eventualmente corrisposto dal dipendente al datore di lavoro per il godimento dell'immobile.
Infine un altro benefit molto diffuso è costituito dalle polizze assicurative istituite a favore dei dipendenti e dei
loro familiari ed il cui premio sia versato dal datore di lavoro. Tali polizze si suddividono in:
-
polizze per rischi extraprofessionali (es. vita, infortuni) o per altre specifiche categorie di rischio.
Per tali polizze l'intero valore costituisce imponibile previdenziale e fiscale se superiore ad euro
258,23;
-
polizze per rischi professionali: totalmente esenti da contribuzione previdenziale e fiscale.
Una menzione particolare meritano le polizze aventi finalità sanitarie, stipulate per il tramite di Casse di
Assistenza, previste dalla contrattazione collettiva nazionale o aziendale. Dal punto di vista fiscale, l'intero
valore dei contributi versati per la polizza sanitaria (sia quelli a carico dell'azienda che quelli a carico del
lavoratore) concorrono a formare l'imponibile fiscale per l'importo annuale eccedente i 3.615,20 euro.
Dal punto di vista contributivo, è previsto uno specifico contributo di solidarietà del 10% sulle somme versate
dal datore di lavoro alle predette Casse.
SUPERMINIMO INDIVIDUALE
Sicuramente, uno degli elementi retributivi maggiormente utilizzati dai datori di lavoro è il superminimo
individuale. Si tratta di un elemento accessorio della retribuzione che si aggiunge ai minimi stabiliti dai
Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro.
Il superminimo può essere assorbibile o non assorbibile.
La clausola dell'assorbibilità può essere inserita nel contratto di assunzione o con accordo specifico tra le
parti. In ogni caso, è prassi giurisprudenziale consolidata ritenere che se le parti nulla dispongano circa
l'assorbibilità del superminimo, questo è assorbibile. L'assorbibilità comporta la diminuzione del superminimo
ad personam, riconosciuto dal datore di lavoro, nel momento in cui i minimi fissati dai contratti collettivi
aumentano o in caso di miglioramento retributivo previsto da leggi, CCNL e accordi integrativi aziendali,
eccezion fatta per la maturazione degli scatti di anzianità. L'assorbibilità può essere operata fino a
concorrenza del superminimo (assorbibile).
Ad esempio, il 1° aprile 2013 il settore Commercio ha rinnovato i minimi contrattuali. Ipotizziamo che un
dipendente di 2° livello percepiva fino al mese di marzo 2013 un superminimo assorbibile di 1.021,64 euro
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mensili, a seguito dell'aumento contrattuale di 21,64 euro, il superminimo che percepirà da aprile 2013 sarà
pari a 1.000,00 euro.
Il datore di lavoro, in ogni caso, non può procedere all'assorbimento del superminimo quando:
-
è espressamente vietato dal CCNL;
-
le parti hanno stipulato uno specifico accordo che esclude l'assorbibilità del superminimo;
-
il miglioramento retributivo è riconosciuto a titolo di merito o in relazione alle qualità o alla
gravosità delle mansioni svolte dal dipendente.
Il superminimo, previo accordo tra le parti, può essere sempre ridotto. Trattandosi di un elemento non
inderogabile dalla legge o dai contratti collettivi, la riduzione può essere effettuata direttamente tra le parti
senza ricorrere alla sottoscrizione presso la Direzione Territoriale del Lavoro o in sede sindacale.
PATTO DI NON CONCORRENZA
Il patto di non concorrenza, disciplinato dall'art. 2125 c.c., è una clausola che «limita lo svolgimento
dell'attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto».
Il patto, a pena di nullità:
-
deve essere stipulato con atto scritto. Esso può essere pattuito nel contratto di assunzione, in
costanza di rapporto, al momento della cessazione o a rapporto terminato. In ogni caso, il patto,
ancorché materialmente inserito nel contratto di lavoro, configura una fattispecie negoziale
autonoma, dotata di una propria causa distinta;
-
deve prevedere la corresponsione di un corrispettivo al prestatore di lavoro che rappresenta il
riconoscimento dovuto per adempiere all'obbligo di non fare concorrenza in danno dell'ex datore
di lavoro. Le parti possono liberamente determinare un qualsiasi adeguato vantaggio economico
per il lavoratore, pertanto, il corrispettivo può consistere in una somma di denaro, in un
compenso in natura o nella remissione di un debito. L'art. 2125 c.c. nulla dispone circa il
quantum. Appare ragionevole riparametrarlo in base alla retribuzione e alla posizione ricoperta
dal lavoratore, ai vincoli di durata e luogo imposti, ai minori guadagni che questo potrà realizzare
e alle eventuali maggiori spese che il lavoratore dovrà sostenere per modificare il luogo di lavoro
o per acquisire una nuova professionalità. Sicuramente sono nulli i patti che prevedano
compensi simbolici o sproporzionati rispetto al sacrificio richiesto (Cass. 14 maggio 1998, n.
4891). Il testo normativo non dispone nulla anche in merito alla modalità di pagamento, pertanto,
si ritiene che esso possa essere effettuato:
-
con cadenza mensile dalla data di sottoscrizione dell'accordo (nonostante un orientamento
giurisprudenziale sostenga che la previsione del pagamento del corrispettivo in costanza di
rapporto di lavoro violi il disposto dell'art. 2125 c.c., in quanto tale modalità di pagamento
introduce una variabile legata alla durata del rapporto che conferisce al patto un inammissibile
elemento di aleatorietà ed indeterminatezza tale da non consentire al lavoratore di valutare il
costo del proprio sacrificio (Trib. Milano, 11 settembre 2004, Trib. Milano 18 giugno 2001);
-
in modo rateale a decorrere dalla data di cessazione del rapporto di lavoro;
-
interamente alla cessazione del rapporto di lavoro;
-
una tantum allo scadere del vincolo.
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-
deve essere contenuto entro determinati limiti di:
-
oggetto. L'oggetto del patto si configura nell'attività, subordinata o di consulenza, che il datore
intenda limitare per il tempo successivo alla cessazione del contratto. Si tratta, quindi, di
qualsiasi attività che possa competere con quella del datore, senza limitazione alle mansioni già
espletate (Cass. 26 novembre 1994, n. 10062). Il patto è nullo quando l'ampiezza è tale da
comprimere la concreta professionalità del lavoratore in limiti che ne compromettano ogni
potenzialità reddituale (Cass. 10 settembre 2003, n. 13282);
-
luogo. Il patto può riguardare l'intero territorio nazionale o europeo ma sono nulle indicazioni
generiche e troppo estese (Trib. Ravenna 24 marzo 2005). È nullo il patto che non prevede
alcun riferimento espresso alla limitazione geografica di svolgimento dell'attività;
-
tempo. La durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a
tre anni negli altri casi. La mancata determinazione della durata in sede di stipula del patto di
non concorrenza comporta l'applicazione dei termini fissati dalla legge. Se è pattuita una durata
maggiore, essa si riduce nella misura suindicata. Considerata la ratio della norma volta a tutelare
il datore di lavoro nei confronti del dipendente che cessi il rapporto per essere assunto da altro
datore, è lecito sostenere che i cinque o tre anni inizino a decorrere dalla cessazione del
rapporto di lavoro. Infatti, come sostenuto dalla Corte di Appello di Milano 12 aprile 2001, il
vincolo si perfeziona con la pattuizione ma l'effetto finale si spiega dopo la cessazione del
rapporto.
PREMI AZIENDALI
Un ulteriore elemento retributivo a carattere variabile, eccedente i minimi contrattuali, che nel tempo sta
assumendo sempre più peso e rilevanza, è quello costituito dai premi aziendali. Fondamentalmente, anche
qualora i CCNL ne stabiliscono l'istituzione, è la contrattazione integrativa aziendale o territoriale a
disciplinarne condizioni e criteri di calcolo e di erogazione, in stretta correlazione ai risultati conseguiti nella
realizzazione di programmi, concordati fra le Parti, aventi come obiettivo incrementi della produttività del
lavoro, della qualità ed altri elementi di competitività di cui le imprese dispongano, nonché ad un migliore
andamento dei risultati economici dell'impresa, tenendo anche conto degli apporti professionali.
Un valido esempio di definizione e articolazione dei premi aziendali ci è fornito dal CCNL del Credito che
all'art. 43 recita:
« (...) 3. Nella definizione degli importi relativi al premio aziendale possono utilizzarsi, a titolo esemplificativo,
uno o più parametri tra i seguenti indicatori depurati da componenti straordinarie positive o negative:
a)
indicatori di redditività (ad es.: ROE, ROA, utile attività ordinarie su patrimonio, risultato lordo di
gestione corretto per il rischio su totale attivo, ecc.);
b)
indicatori di efficienza (ad es.: costi operativi/margine di intermediazione, costi
operativi/attivitàfruttifere, costo del lavoro/margine di intermediazione, costo del lavoro per
dipendente, etc. - le voci di redditività lorda possono essere rettificate per tener conto degli oneri
connessi al rischio di credito imputati a conto economico in via ordinaria);
c)
indicatori di produttività (ad es.: VAP, valore aggiunto per dipendente, margine di
intermediazione per dipendente, fondi intermediati per dipendente, ricavi da servizi per
dipendente, impieghi + raccolta per dipendente, etc. - le voci di redditività lorda possono essere
rettificate per tener conto degli oneri connessi al rischio di credito imputati a conto economico in
via ordinaria);
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d)
indicatori di qualità definiti a livello aziendale;
e)
indicatori di rischiosità (ad es.: sofferenze/impieghi, ecc.);
f)
indicatori di struttura (ad es.: raccolta indiretta/raccolta diretta, gestioni patrimoniali/ raccolta,
ecc.).
4. L'attribuzione del premio aziendale può essere determinata attraverso un indicatore complessivo che può
valutarsi, tra l'altro, in termini di:
-
un valore predeterminato o classi di valori predeterminati;
-
scostamenti rispetto a valori predeterminati;
-
variazioni rispetto all'anno o a periodi precedenti;
-
percentuali di indici o di valori predeterminati.
5. Nel caso di utilizzo di più indicatori e/o parametri, questi possono essere opportunamente ponderati
secondo le modalità definite a livello aziendale.
6. Le imprese che presentino un risultato delle attività ordinarie negativo - al netto di eventuali modifiche
straordinarie nei criteri di valutazione dei crediti e delle partecipazioni queste ultime laddove imputate al
risultato ordinario - non daranno luogo all'erogazione del premio aziendale.
7. Il premio aziendale può essere determinato sulla base di indicatori relativi alle performance del gruppo e/o
della capogruppo per le società controllate che, per vincoli di committenza o contrattuale con imprese o
impresa del gruppo, svolgano per esse attività prevalente tale da determinarne la sussistenza, essendo
perciò carenti di autonomia economica.
8. Il premio aziendale viene erogato al personale che abbia superato il periodo di prova, sotto forma di una
tantum. La computabilità o meno nel trattamento di fine rapporto - nell'ambito dell'ammontare complessivo
del medesimo - viene definita a livello aziendale.
9. Nel caso di assenza dal servizio, il premio aziendale viene ridotto di tanti dodicesimi quanti sono i mesi
interi di assenza. Nel caso di assenza retribuita, la riduzione di cui sopra non si applica se l'assenza non
supera i tre mesi; in caso di assenza superiore la riduzione non si applica per i primi tre mesi, salvo che
l'assenza duri un intero anno. La riduzione, comunque, non si applica per i periodi di assenza per ferie.
10. Relativamente ai periodi di congedo di maternità dal servizio dipendente da gravidanza o puerperio, la
riduzione di cui al comma precedente non si applica per un periodo di astensione di cinque mesi.
11. In caso di attribuzione di un giudizio professionale di sintesi negativo il premio aziendale non viene
erogato».
I premi aziendali costruiti sulla base di indicatori quantitativi di produttività, redditività, qualità, efficienza,
innovazione, ai sensi dell'art. 1, comma 481, della legge n. 228/2012, possono essere tassati con un'imposta
sostitutiva dell'IRPEF e delle addizionali regionali e comunali con l'aliquota del 10%. La cosiddetta
detassazione interessa i soggetti che nell'anno 2012 hanno conseguito redditi di lavoro dipendente non
superiori a euro 40.000. La retribuzione di produttività individualmente riconosciuta che può beneficiare
dell'imposta sostitutiva non può comunque essere complessivamente superiore, nel corso dell'anno 2013, ad
euro 2.500 lordi (D.P.C.M. 22 gennaio 2013, pubblicato sulla G.U. del 29 marzo 2013, n. 75).
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L'erogazione di tali somme deve avvenire «in esecuzione di contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello
aziendale o territoriale (...) ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, da
associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, ovvero dalle loro
rappresentanze sindacali operanti in azienda».
Per la nozione di «Retribuzione di Produttività» si rimanda all'art. 2 del decreto 22 gennaio 2013 nonché alle
esemplificazioni inserite nella Circ. n. 15/2013 del Ministero del lavoro.
Affinché il datore di lavoro possa procedere a detassare le somme erogate a titolo di retribuzione di
produttività è necessario che depositi i contratti integrativi aziendali presso la Direzione territoriale del lavoro
territorialmente competente entro trenta giorni dalla loro sottoscrizione, con allegata autodichiarazione di
conformità dell'accordo depositato alle disposizioni del D.P.C.M. 22 gennaio 2013.
A titolo esemplificativo, ipotizziamo il caso di un dipendente che nell'anno 2012 ha conseguito redditi di
lavoro per 23.500,00 euro. Nel corso del 2013 l'azienda procede al calcolo del premio di produttività, il cui
importo lordo varia a seconda della percentuale di raggiungimento del valore di bilancio MOL (Margine
Operativo Lordo) conseguito rispetto a quello programmato:
Il MOL raggiunto dall'azienda per l'anno 2012 è pari al 93% del Mol obiettivo, pertanto, al dipendente sarà
corrisposto nel cedolino paga l'importo di 350 euro lordi.
Il premio di 350,00 euro sarà soggetto in busta paga a:
L'esposizione nel Cud delle somme erogate a titolo di premio di produttività sarà la seguente:
A prescindere dalla contrattazione nazionale o integrativa, il datore di lavoro può autonomamente
riconoscere al proprio personale dipendente l'erogazione di premi aziendali.
La limitazione che ne deriva sta nel fatto che la mancata disciplina dei premi negli accordi di secondo livello
comporta che essi non potranno essere soggetti a detassazione.
LA RILEVAZIONE DEL «COSTO SALARI E STIPENDI»
Analizziamo uno degli argomenti che ci occuperà in occasione della chiusura annuale e che dovremo
verificare prima di trasmettere i dati in occasione della chiusura dell'anno. Presentiamo un panorama
complessivo di quanto dovremo fare con un forte taglio pratico
Nei primi mesi dell'anno le aziende e lo studio che si occupa di paghe deve fornire alla direzione aziendale
ed alle aziende clienti una serie di dati specifici al fine di consentire l'esatta imputazione in bilancio del costo
del personale come imposto dalla normativa contabile vigente.
Di seguito si citano, a titolo informativo, le principali fonti legislative che regolano la corretta imputazione del
costo del personale:
-
l'art. 2423 c.c. stabilisce che il bilancio delle società venga redatto con chiarezza e rappresenti in
modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale, finanziaria e il risultato economico
dell'esercizio, tenuto conto dei proventi e degli oneri di competenza dell'esercizio anche se
conosciuti dopo la chiusura dello stesso;
-
l'art. 2423-bis regola i principi di redazione del bilancio d'esercizio e prevede che nella sua
stesura debbono essere osservati i seguenti criteri:
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-
1)
la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva
della continuazione dell'attività;
2)
si possono indicare esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura
dell'esercizio;
3)
si deve tenere conto dei proventi e degli oneri di competenza dell'esercizio,
indipendentemente dalla data di incasso o di pagamento;
4)
si deve tenere conto dei rischi e delle perdite di competenza dell'esercizio,
anche se conosciuti dopo la chiusura di questo;
5)
gli elementi eterogenei compresi nelle singole voci devono essere valutati
separatamente;
6)
i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all'altro, ma
possono attuarsi deroghe in casi eccezionali;
l'art. 2424-bis c.c alla voce «trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato» prevede l'obbligo
d'iscrizione nello stato patrimoniale dell'importo calcolato a norma dell'art. 2120 c.c. (tesi
confortata anche dal principio contabile OIC n. 19).
Ai fini pertanto di rispettare il dettato dal Codice civile in materia di predisposizione del bilancio d'esercizio si
devono contabilizzare nei costi tutte le somme a qualsiasi titolo maturate dai lavoratori dipendenti nel corso
dell'esercizio contabile, anche se materialmente non corrisposte.
Esame delle voci da considerare in relazione al costo del lavoro
Ferie non godute
Alla luce di quanto sopra occorre iscrivere in bilancio l'ammontare del costo relativo alle ferie maturate in
favore dei dipendenti e non ancora liquidate o godute, comprensivo della retribuzione lorda e dei contributi
sociali a carico dell'impresa (ipotizzando che alla data di chiusura del bilancio i dipendenti siano tutti
licenziati).
Il D.Lgs. n. 66/2003, ovvero la norma che regola le ferie, prevede che il lavoratore ha diritto a un periodo
annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane e dispone che possano essere richieste
direttamente dal lavoratore almeno due settimane consecutive, e le restanti due settimane, nei 18 mesi
successivi al termine dell'anno di maturazione.
È molto facile il caso che a fine anno alcuni dipendenti non abbiamo goduto tutte le ferie spettanti
imponendo l'obbligo della rilevazione del relativo costo per competenza.
ESEMPIO PRATICO
Dipendente che al 31/12/2011 risulta avere maturato e non goduto gg. 6 di ferie
Retribuzione di riferimento del dipendente mese dicembre 2011: euro 2.000,00
Ccnl applicato: Commercio
Importo giornata di ferie = 2.000,00/26 = 76,92 euro
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Importo ferie spettanti = 76,92 x 6 = 461,52 euro
Contributo INPS carico azienda (28,98%)
462,00 x 28,98% = 133,88 euro
Ipotesi premio INAIL (percentuale rischio ipotizzata 20/1000)
462,00 x 20/1000 = 9,24 euro + 1% 0,92 = 10,16 euro
Costo per ferie non godute da imputare in bilancio
461,52 + 133,88 + 10,16 = totale 605,56 euro
Permessi ed ex festività non goduti
I permessi non goduti entro l'anno di maturazione, a seconda di quanto previsto dallo specifico contratto
collettivo possono decadere e quindi essere pagati con la normale retribuzione di fatto in atto al momento
della scadenza, oppure essere goduti in un periodo successivo. Nel secondo caso dovrà essere rilevato il
costo di competenza dell'esercizio comprensivo degli oneri sociali a carico del datore di lavoro.
Questo vale anche per il caso dei permessi concessi in sostituzione delle quattro ex festività abolite (S.
Giuseppe, Ascensione, Corpus Domini e SS. Apostoli Pietro e Paolo).
Le aziende dovranno inoltre valutare se convenga economicamente rinviare la concessione dei predetti
permessi o retribuirli alla fine dell'anno tenendo in considerazione i seguenti aspetti:
-
previsione di futuri aumenti retributivi e contributivi periodici;
-
eventuale possibilità di tassare l'indennità sostitutiva per permessi non goduti (se corrisposta con
il cedolino paga di dicembre e con relativo pagamento entro il 12 gennaio 2012 per il principio di
cassa allargato), con un'imposta sostitutiva del 10% favorendo economicamente il dipendente
stesso.
ESEMPIO PRATICO
Dipendente che al 31/12/2011 risulta avere maturato e non goduto gg. 3 di festività e ore 20 di permessi non
goduti
Retribuzione di riferimento del dipendente mese dicembre 2011: euro 2.000,00
Ccnl applicato: Commercio
Importo giornata di ferie 2.000,00/26 = 76,92 euro
Importo festività spettanti euro 76,92 x 3 = 230,76 euro
Importo permessi spettanti euro 2.000,00/168 ore = 11,90 euro/h 20 x 11,90 euro = 238,00 euro
Contributo INPS carico azienda (28,98%)
230,76 + 238,00 = 468,76 469,00 x 28,98% =135,91 euro
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Ipotesi premio INAIL (percentuale rischio ipotizzata 20/1000)
469,00 x 20/1000 = 9,38 euro + 1% 0,09 = 9,47 euro
Costo per festività e permessi non goduti da imputare in bilancio
468,76+135,91+9,47= totale 614,14 euro
Mensilità aggiuntive
A fine anno deve essere rilevato l'importo delle mensilità aggiuntive diverse dalla tredicesima, da
corrispondersi nei mesi di giugno/luglio, determinato da tanti dodicesimi quanti sono i mesi interi di servizio
prestato nell'anno.
Il calcolo sarà effettuato considerando la retribuzione del mese di dicembre tenendo conto anche degli oneri
sociali a carico del datore di lavoro.
Premi di risultato
I premi di risultato previsti dalla contrattazione di 2° livello sono solitamente in correlazione con specifici
indici economici (fatturato, utili, produzione, ecc.) probabilmente non ancora a disposizione nel mese di
dicembre.
In questo caso, non essendo a disposizione l'indice per calcolare il premio non si procederà all'iscrizione del
costo per competenza ma la relativa contabilizzazione avverrà nel futuro esercizio oppure, in alternativa, si
potrà procedere con lo stanziamento di un apposito Fondo per l'importo presunto.
Trattamento di fine rapporto
Dal 1° gennaio 2007 il lavoratore dipendente può sc egliere se destinare il proprio TFR a:
a)
forme pensionistiche complementari;
b)
oppure se mantenerlo presso il datore di lavoro.
L'adesione dei dipendenti alle forme pensionistiche complementari comporta l'obbligo per i datori di lavoro di
versare la quota di retribuzione accantonata a titolo di TFR al fondo pensione scelto a suo tempo dal
lavoratore medesimo.
Se il lavoratore non ha aderito alla previdenza complementare, nelle aziende con almeno 50 dipendenti, il
datore deve conferire la quota ad un apposito fondo (Fondo di Tesoreria) presso l'INPS.
In tale ipotesi, per ottenere il TFR, il lavoratore dovrà presentare domanda al datore di lavoro che
provvederà alla liquidazione integrale del TFR e al recupero di quanto versato nei confronti dell'Istituto di
Previdenza tramite conguaglio.
L'azienda deve pertanto garantire il TFR per le quote accantonate fino al 31 dicembre 2006 e per quelle
accantonate dopo tale data e mantenute in azienda per decisione del lavoratore (aziende fino a 49
dipendenti).
Negli altri casi invece l'azienda deve effettuare il versamento dei contributi definiti dal dipendente o dalla
normativa regolatrice dei Fondi di previdenza complementare.
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SEGUE >> 26
1.contratto di lavoro e retribuzione.doc Autore POLIZZI Data creazione 06/05/2014 7.56 AM
Per determinare la retribuzione annua utile ai fini del calcolo del TFR è utile fare riferimento ai contratti
collettivi, ma in via generale, tale voce retributiva comprende tutte le somme corrisposte a titolo non
occasionale in dipendenza del rapporto di lavoro (sono escluse le somme pagate a titolo di rimborso spese).
In caso d'integrazione salariale deve essere computato l'equivalente della retribuzione cui il lavoratore
avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto di lavoro.
Il TFR mantenuto in azienda comporta la necessità di rilevare la quota d'accantonamento dell'esercizio di
competenza per la chiusura del bilancio al 31 dicembre che è formato dalla quota maturata nell'anno più la
quota di rivalutazione applicata sugli accantonamenti degli anni precedenti al netto dell'imposta sostitutiva
dell11% (per la rivalutazione si applica l'apposito coefficiente stabilito dall'ISTAT).
Nel caso in cui l'azienda debba versare il TFR al Fondo di Tesoreria dell'INPS (aziende con almeno 50
dipendenti e lavoratori che non hanno aderito alla previdenza complementare) ai fini dell'accantonamento in
bilancio della quota di trattamento di fine rapporto occorre ribadire che verrà imputata contabilmente la
rivalutazione del solo Fondo rimasto in azienda.
L'azienda dovrà comunque rivalutare anche il TFR versato al Fondo INPS (e versare all'erario la relativa
imposta sostitutiva dell'11%) ma, in questo caso, l'incremento rimarrà a carico dell'Istituto di Previdenza e
non verrà imputato nel bilancio aziendale.
COSTO COMPETENZA PREMIO INAIL
Entro il 16 febbraio di ogni anno le imprese devono provvedere a determinare il premio assicurativo da
versare mediante somma algebrica degli importi a titolo di regolazione (saldo anno precedente) e di rata
(anticipo anno corrente) calcolati per ciascuna posizione assicurativa e degli eventuali contributi associativi
dovuti.
Anche in questo caso bisogna imputare al bilancio la somma dovuta a titolo di saldo premio INAIL dell'anno
di competenza e, in pratica, il costo totale da considerare coinciderà con il premio totale INAIL dovuto per
l'anno in oggetto.
LA GESTIONE DELLA QUATTORDICESIMA MENSILITA'
Con il mese di giugno, per i contratti che lo prevedono, e' tempo di occuparsi della quattordicesima mensilita'
La retribuzione si può distinguere in:
-
retribuzione diretta: per retribuzione diretta deve intendersi quella parte della retribuzione che il
lavoratore percepisce a scadenze periodiche normalmente coincidente con il mese ed è
generalmente composta dalla paga base, per alcuni contratti dall'indennità di contingenza, dagli
scatti di anzianità, da eventuali premi di produzione, superminimi, assegni ad personam e da
indennità varie previste dai diversi contratti collettivi;
-
retribuzione differita: per retribuzione differita deve intendersi la parte della retribuzione che il
lavoratore matura nel corso dell'anno e percepisce normalmente una sola volta nell'arco dei 12
mesi. Si concretizza con le mensilità aggiuntive (tredicesima, quattordicesima, premi feriali) e di
produzione, il trattamento di fine rapporto.
L'istituto della quattordicesima dunque appartiene alla cd. retribuzione differita proprio perché, così come per
le altre mensilità aggiuntive, è un'erogazione da corrispondersi in prestabiliti periodi dell'anno. Non
trattandosi di un istituto di origine legale ma contrattuale, non viene prevista in tutti i settori di attività ma può
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SEGUE >> 27
1.contratto di lavoro e retribuzione.doc Autore POLIZZI Data creazione 06/05/2014 7.56 AM
essere inserita in sede di contrattazione aziendale: è quindi il contratto o l'accordo che ne determinano le
modalità di erogazioni, gli elementi cui commisurare l'importo, i periodi di assenza, la maturazione.
Generalmente la 14a viene commisurata a una mensilità della retribuzione globale di fatto e il periodo di
maturazione non coincide con l'anno solare ma col periodo che va dal primo luglio dell'anno precedente, al
30 giugno dell'anno di erogazione; viene erogata di solito prima dell'inizio del periodo estivo e, comunque,
secondo come dispone la contrattazione collettiva applicata in azienda.
Maturazione della quattordicesima
Solitamente si tratta di una mensilità intera, calcolando un dodicesimo per ogni mese intero di servizio
prestato (intendendosi per mese intero la frazione pari o superiore a 15 giorni).
Nel caso di periodo inferiore all'anno, l'ammontare sarà riproporzionato a dodicesimi in base alla data di
assunzione o di cessazione.
Base di computo e Omnicomprensività
Prima di esaminare quale siano gli elementi da prendere a base per il calcolo di questa mensilità aggiuntiva
è bene riaffrontare innanzi tutto il tema della omnicomprensività della retribuzione per individuarne meglio la
composizione.
Nel nostro ordinamento non esiste un principio generale di omnicomprensività della retribuzione che
permetta di conoscere già in anticipo quali elementi computare alla formazione di altri istituti. Per
omnicomprensività si intende il concetto che ogni qualvolta i contratti o la legge fanno riferimento alla
retribuzione, essa deve essere intesa come il complesso di tutti gli elementi che la compongono
abitualmente.
La questione è regolamentata solo in relazione al trattamento di fine rapporto, l'indennità di preavviso, le
festività e il lavoro straordinario, mentre per quanto riguarda la quattordicesima (così anche per le altre
mensilità aggiuntive) occorre seguire le indicazioni fornite dai vari contratti collettivi.
A questo punto ci si può trovare di fronte a due diversi casi:
-
il contratto fornisce tutti gli elementi retributivi che la costituiscono;
-
il contratto non fornisce indicazioni specifiche, e quindi per nozione di retribuzione si rinvia a
nozioni generiche come retribuzione globale di fatto, retribuzione normale, retribuzione base,
ecc.
Nella maggior parte dei casi, la contrattazione collettiva, nella retribuzione da prendere a base per il calcolo
della quattordicesima, ricomprende la paga base, l'indennità di contingenza, i terzi elementi nazionali o
provinciali, eventuali scatti di anzianità, e altri elementi retributivi erogati con continuità (superminimo,
assegno ad personam, straordinari forfettizati).
In relazione all'elemento distinto della retribuzione (EDR) si può dire che sicuramente deve essere
computato soltanto per le mensilità aggiuntive previste dalla legge come ad esempio la tredicesima, ma non
sempre è computabile per la quattordicesima, per cui andrà valutato quanto disciplinato dalla contrattazione
collettiva.
È bene precisare che qualora si tratti di lavoratori retribuiti in tutto o in parte con provvigioni o a percentuale,
il calcolo dell'importo della quattordicesima viene effettuato sulla base della media degli elementi fissi e
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1.contratto di lavoro e retribuzione.doc Autore POLIZZI Data creazione 06/05/2014 7.56 AM
variabili della retribuzione percepita nei 12 mesi precedenti la maturazione del diritto, fatte salve diverse
disposizioni contrattuali.
I Periodi di assenza ai fini della mensilità aggiuntiva
Vi sono dei casi, nella vita lavorativa, che costringono a delle assenze dal lavoro per le quali occorre
verificare se, e in quali casi, gli stessi fanno maturare ugualmente la mensilità aggiuntiva e ancora quando il
datore di lavoro debba integrare l'indennità erogata dagli enti previdenziali al fine di raggiungere la quota del
100%.
Esaminiamoli: trattandosi di retribuzione «differita» risente di tutto ciò che ha caratterizzato la retribuzione
durante i mesi di maturazione.
Maturazione intera
La quattordicesima mensilità viene erogata per intero nelle assenze dovute a:
-
congedo matrimoniale;
-
ferie;
-
festività;
-
permessi;
-
malattia a totale carico datore di lavoro.
Maturazione ridotta
La quattordicesima matura in misura ridotta per le assenze dovute a:
-
congedo parentale;
-
malattia e infortunio oltre il periodo gestibile da contratto;
-
servizio di leva;
-
aspettativa non retribuita;
-
sciopero;
-
permessi non retribuiti.
Maturazione e relazione con gli Istituti previdenziali ed assicurativi
Quasi in tutti i casi di assenza tutelata che prevedono l'intervento degli Istituti previdenziali e assistenziali, la
maturazione della quattordicesima mensilità è garantita e pagata dagli istituti stessi in quanto calcolata
direttamente nei dati forniti dal datore di lavoro all'ente di turno per il calcolo del trattamento a loro carico.
In considerazione dei dati calcolati per l'integrazione, il datore di lavoro, nel mese in cui cade la mensilità
aggiuntiva, terrà conto di quanto già anticipato da INPS e INAIL.
Le principali assenze che riguardano questi istituti sono:
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1.contratto di lavoro e retribuzione.doc Autore POLIZZI Data creazione 06/05/2014 7.56 AM
-
malattia;
-
congedo di maternità e paternità;
-
infortunio sul lavoro per inabilità temporanea;
-
cassa integrazione ordinaria e straordinaria;
-
permessi per allattamento;
-
permessi retribuiti per familiari con handicap.
Nel caso di assenze che comportano il pagamento dei trattamenti economici a carico degli istituti
previdenziali, la maggior parte dei contratti collettivi prevede che la retribuzione dovuta al dipendente
assente, vada integrata a cura del datore di lavoro, fino a garantire la retribuzione netta che sarebbe spettata
in caso di effettiva prestazione.
Occorre pertanto determinare l'importo che il datore di lavoro deve aggiungere all'indennità riconosciuta
dall'Istituto tenendo presente che tale indennità non è soggetta a contributi previdenziali.
Alcuni contratti prevedono espressamente la lordizzazione mentre altri non menzionano nulla. La prassi di
uso comune è quella della lordizzazione se il contratto non prevede il contrario.
Il calcolo che ne deriva è una riduzione del valore dell'integrazione a carico del datore di lavoro.
Lo scopo è quello di far sì che, in presenza di integrazioni da parte dell'azienda e di indennità erogate da enti
previdenziali, il lavoratore assente non percepisca una retribuzione più alta di quello di un lavoratore
presente al lavoro.
La formula per il calcolo del coefficiente di lordizzazione, che dipende dalla percentuale dei contributi
previdenziali c/lavoratore è la seguente:
100 : 100 - la percentuale contributi a carico lavoratore
I coefficienti di lordizzazione, sono i seguenti:
-
aziende con - di 15 dipendenti: 100/(100-9,19) = 100/90,81 = 1,101201
-
aziende con + di 15 dipendenti: 100/(100-9.49) = 100/90,51 = 1,104851
-
per gli apprendisti: 100/(100-5,84) = 100/94,16 = 1,062022
In conclusione il datore di lavoro, nel mese in cui cade la mensilità aggiuntiva, corrisponde la
quattordicesima per intero detraendo i ratei già anticipati in conto Istituto.
Quattordicesima e integrazione salariale
Diverso è il conteggio per quanto riguarda il caso in cui intervenga un intervento di cassa integrazione
ordinaria o straordinaria.
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1.contratto di lavoro e retribuzione.doc Autore POLIZZI Data creazione 06/05/2014 7.56 AM
In questo specifico caso occorre verificare l'importo spettante al lavoratore e calcolato all'80% della
retribuzione in base agli elementi presi in considerazione per raffrontarlo con i massimali previsti ogni anno
per legge.
Una volta ottenuto l'importo su cui calcolare l'80%, avendo avuto cura di considerare anche tutti gli elementi
continuativi della retribuzione del dipendente, devono essere conteggiati i ratei delle mensilità aggiuntive
maturati nel periodo di CIG o CIGS.
Questi ratei, che sono al 100% a carico del datore di lavoro per le ore lavorate, restano a carico dell'INPS
per le ore di sospensione del lavoro e quindi calcolati anch'essi all'80%, nel seguente modo:
importo della mensilità aggiuntiva diviso 2000 (ore lavorabili in un anno).
Fatti i calcoli necessari, se l'80% della retribuzione ordinaria supera il massimale orario di integrazione, deve
essere corrisposto il massimale orario per ogni ora di intervento di CIG/CIGS, ma non rimane spazio per
l'integrazione salariale relativa alle mensilità aggiuntive.
Se invece il massimale non viene raggiunto con la sola retribuzione ordinaria, al lavoratore potrà essere
corrisposta, oltre alla quota già calcolata, anche una parte delle mensilità aggiuntive ma fino al limite del
massimale stabilito. In questo caso il datore di lavoro porterà a rimborso, nel momento dell'erogazione della
mensilità aggiuntiva, la quota a carico dell'INPS per non raggiungimento del limite mensile con la sola
retribuzione ordinaria.
Quattordicesima e contratti di solidarietà
In caso di integrazione salariale dovuta a intervento del contratto di solidarietà si dovranno distinguere i ratei
maturati ante adozione orario ridotto da quelli maturati in un periodo di applicazione di contratto di solidarietà
adottando due contatori e accantonando due quote:
-
una di spettanza del datore di lavoro corrispondente alle ore di prestazione e di assenza tutelata;
-
una quota di spettanza dell'INPS riferita alle ore non prestate, per effetto della riduzione
concordata nel contratto di solidarietà.
Trattamento previdenziale
Nulla di particolare: importo regolarmente assoggettato a contributi nel mese di erogazione attraverso il
cumulo con la normale retribuzione del mese.
Trattamento Fiscale
Fiscalmente la mensilità aggiuntiva concorre alla formazione della base imponibile a norma dell'art. 51 del
D.P.R. n. 917/1986 e successive modificazioni, dopo essere stata depurata del contributo previdenziale
obbligatorio.
L'imposta si calcola però separatamente dalle altre competenze del mese. Questo evita che il lavoratore nel
mese di percezione di una retribuzione più elevata, subisca il picco delle aliquote fiscali ordinate per
scaglione che potrebbe rivelarsi penalizzante nell'erogazione anomala di un mese rispetto agli altri, anche se
avrebbe poi effetti di conguaglio positivo, a fine anno o a fine rapporto.
Tuttavia, non è vietato utilizzare il sistema del cumulo con la normale retribuzione mensile, utilizzando le
aliquote per scaglioni di reddito calcolato sull'imponibile del mese nel suo complesso.
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1.contratto di lavoro e retribuzione.doc Autore POLIZZI Data creazione 06/05/2014 7.56 AM
La mensilità aggiuntiva, anche se erogata con cedolino a parte, non dà diritto ad alcuna detrazione ulteriore
per lavoro dipendente o familiare, oltre quelle calcolate nell'anno intero su dodici mensilità.
Se nello stesso mese invece vengono corrisposte più mensilità aggiuntive, si proceda preventivamente al
loro cumulo per l'unitaria tassazione.
Imponibile TFR
Infine, a norma dell'art. 2120 c.c., la somma erogata a titolo di quattordicesima concorre alla formazione del
trattamento di fine rapporto.
A luglio anche la quattordicesima per i pensionati
È stata inoltre prevista, oramai da cinque anni, dall'art. 5, comma 1, della L. 3 agosto 2007, n. 127,
l'erogazione di una «quattordicesima» anche ai pensionati ultrasessantaquattrenni con redditi bassi, titolari di
uno o più trattamenti pensionistici a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive,
esclusive ed esonerative della stessa, erogate da enti pubblici di previdenza obbligatori.
Tale mensilità aggiuntiva prevista in aggiunta alla tredicesima mensilità, spetta solamente a quei pensionati
dai sessantaquattro anni in poi, che possiedono un reddito da pensione derivante da versamenti contributivi,
non superiore a una volta e mezzo il trattamento minimo INPS (per il 2010 a euro 8.988,92).
Nel calcolo dei redditi da considerare per verificarne il diritto, rientrano i redditi di qualsiasi natura, compresi
quelli esenti da imposte o soggetti a ritenute alla fonte a titolo d'imposta o ad imposta sostitutiva, con
esclusione dei redditi derivanti dalla percezione dell'assegno familiare, del reddito della casa di abitazione,
dell'assegno di accompagnamento, delle pensioni di guerra, dei trattamenti di fine rapporto e delle
competenze arretrate assoggettate a tassazione separata.
L'importo sarà erogato in proporzione all'anzianità contributiva maturata dal pensionato e per il 2010 è stato
di pari importo degli anni precedenti.
Per i pensionati da lavoro dipendente:
-
336 euro per anzianità contributiva fino a 15 anni;
-
420 euro per anzianità contributiva da 15 a 25;
-
504 euro per anzianità contributiva superiore ai 25 anni.
Per i pensionati lavoratori autonomi:
-
336 euro per coloro che hanno maturato un'anzianità fino a 18 anni;
-
420 per chi vanta un'anzianità tra i 18 e i 28 anni;
-
504 euro per chi vanta un'anzianità superiore ai 28 anni;
Per coloro che avevano superano il tetto di 8.926,32 euro, la somma aggiuntiva è stata comunque erogata
fino a concorrenza del nuovo limite. Siamo in attesa di conoscere le variazioni previste per il 2011.
Non sono interessati da questa nuova norma i pensionati sociali o i titolari di qualsiasi altra forma
assistenziale.
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1.contratto di lavoro e retribuzione.doc Autore POLIZZI Data creazione 06/05/2014 7.56 AM
LA SOSPENSIONE DELL'ATTIVITA’ LAVORATIVA
La sospensione dell'attività lavorativa è l'effetto dell'impossibilità di effettuare la prestazione lavorativa, per
ragioni temporanee, connesse al datore di lavoro o al lavoratore.
Nel corso di un'attività lavorativa, infatti, possono verificarsi alcune situazioni imprevedibili cui l'ordinamento
accorda una tutela speciale, prioritaria rispetto all'interesse del datore di lavoro a ricevere la (naturale)
prestazione lavorativa da parte del prestatore di lavoro.
Per quanto attiene l'inesigibilità di eseguire una qualsiasi prestazione, in via preliminare, è necessario
effettuare una distinzione tra quanto disciplinato dal diritto civile e quanto invece regolamentato dal diritto del
lavoro.
A ben vedere, infatti:
-
nel caso in cui intervengano delle circostanze tali da rendere impossibile la prestazione
nell'esecuzione di un rapporto obbligatorio, l'ordinamento prevede l'estinzione dell'obbligazione,
ai sensi degli artt. 1256 e 1463 c.c.; conseguentemente, in presenza di una causa sopravvenuta
non imputabile al debitore (impossibilità sopravvenuta), questi non è tenuto al risarcimento del
danno, avendo agito con la diligenza del buon padre di famiglia, come stabilito dall'art. 1176 c.c.;
-
di diverso tenore è invece la situazione nell'ambito del diritto del lavoro, in specie nel rapporto di
lavoro subordinato. In quest'ultima situazione, infatti, l'ordinamento riconosce al lavoratore tutta
una serie di tutele preminenti rispetto all'obbligo di esecuzione della prestazione lavorativa,
ricadendo sul datore di lavoro il rischio dell'impossibilità sopravvenuta.
Il punto di riferimento di un tale riconoscimento è certamente l'art. 2110 c.c. che, com'è noto, prevede che, in
caso d'infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio, se la legge non stabilisce forme equivalenti di
previdenza o di assistenza, è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un'indennità nella misura e per il
tempo determinati dalle leggi speciali, dagli usi o secondo equità [Cost. art. 38; disp. att. c.c. art. 98].
Nei casi indicati in precedenza, l'imprenditore ha diritto di recedere dal contratto a norma dell'art. 2118,
decorso il periodo stabilito dalla legge, dagli usi o secondo equità.
Il periodo di assenza dal lavoro per una delle cause anzidette deve essere computato nell'anzianità di
servizio.
Vi sono però altre situazioni comportanti un'analoga necessità di sospendere il rapporto di lavoro, situazioni
che l'ordinamento positivo disciplina o in via normativa o in sede di contrattazione (collettiva o individuale
che sia).
Gli istituti disciplinati dall'art. 2110 c.c. saranno oggetto di separate trattazioni, unitamente agli interventi in
materia d'integrazioni salariali e/o strumenti di sostegno al reddito; nelle prime due parti proveremo invece
ad esaminare tutte le altre situazioni. Infatti, accanto alle previsioni normative normalmente intervengono
anche i contratti collettivi integrando o prevedendo ulteriori casi di assenza dal lavoro.
LE FERIE
Il diritto a fruire di un periodo di ferie risponde alla finalità di assicurare ai lavoratori subordinati un periodo di
riposo nel corso dell'anno, durante il quale reintegrare le proprie energie psico-fisiche.
L'art. 36, comma 3, Cost. stabilisce la non rinunciabilità del diritto alle ferie annuali retribuite.
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A sua volta, l'art. 2109 c.c. prescrive che detto periodo tenga conto delle esigenze dell'impresa e degli
interessi del prestatore di lavoro; la sua durata è stabilita dalle leggi, dai contratti collettivi, dagli usi o
secondo equità.
È con l'art. 10, comma 1, del D.Lgs. n. 66/2003 (nel testo novellato dall'art. 1 del D.Lgs. n. 213/2004) che,
nel confermare la disciplina codicistica, sono state fornite precisazioni riguardo alle modalità di fruizione delle
ferie.
Cosa si intende per «periodo di servizio»
Il diritto alle ferie matura in relazione al periodo di servizio prestato dal lavoratore; in quest'ultimo, oltre ai
periodi di effettivo servizio, rientrano anche:
-
i periodi di assenza obbligatoria dal lavoro per gravidanza e puerperio;
-
i periodi di assenza dal lavoro per malattia e infortunio;
-
i periodi di assenza dal lavoro per l'adempimento di funzioni presso i seggi elettorali (art. 119 del
D.P.R. n. 361/1957 - v. ultra);
-
i periodi di mera riduzione dell'orario di lavoro.
-
Al contrario, non sono invece computabili nel periodo di servizio utile ai fini delle ferie:
-
i periodi di congedo parentale;
-
i periodi di assenza durante le malattie del bambino;
-
i periodi di aspettativa concessi ai lavoratori chiamati a funzioni pubbliche elettive o a ricoprire
cariche sindacali provinciali e nazionali (art. 31 della legge n. 300/1970);
-
i periodi di sospensione totale dell'attività lavorativa per intervento della cassa integrazione
guadagni.
A mente dell'art. 10, comma 1, del D.Lgs. n. 66/2003, fermo rimanendo quanto previsto dall'art. 2109 c.c., il
prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane.
Tale periodo va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso
dell'anno di maturazione; le restanti due settimane vanno invece godute entro i 18 mesi successivi al termine
dell'anno di maturazione.
Rimangono in ogni caso salve le eventuali diverse previsioni della contrattazione collettiva ovvero la
specifica disciplina riferita a particolari categorie di lavoratori (operanti nell'ambito dei servizi di protezione
civile, compresi quelli del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, delle strutture giudiziarie, penitenziarie e di
quelle destinate per finalità istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza
pubblica, delle biblioteche, dei musei e delle aree archeologiche dello Stato).
In caso di violazione di dette disposizioni, il datore di lavoro è punito con la sanzione amministrativa da 100
euro a 600 euro; qualora la violazione si riferisca a più di cinque lavoratori, ovvero si sia verificata in almeno
due anni, la sanzione amministrativa è da 400 euro a 1.500 euro. Nel caso in cui invece la violazione si
riferisca a più di dieci lavoratori, ovvero si sia verificata in almeno quattro anni, la sanzione amministrativa è
da 800 euro a 4.500 euro e non è ammesso il pagamento della sanzione in misura ridotta.
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SEGUE >> 34
1.contratto di lavoro e retribuzione.doc Autore POLIZZI Data creazione 06/05/2014 7.56 AM
Con la Nota n. 4908/2006, il Ministero del lavoro ha chiarito che la sanzione di che trattasi non si applica
nell'ipotesi in cui non sia possibile rispettare il periodo minimo di due settimane di ferie (ovvero il diverso
periodo previsto dalla contrattazione collettiva) nell'anno di maturazione, per cause imputabili
esclusivamente al lavoratore (ad esempio, assenze prolungate per maternità, malattia, infortunio, servizio
civile, ecc.).
Dall'entrata in vigore del D.Lgs. n. 66/2003, il periodo minimo di quattro settimane non può essere
monetizzato, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro nel corso dell'anno.
Per i contratti a tempo determinato, di durata inferiore all'anno, è quindi sempre ammissibile la
monetizzazione delle ferie.
Con l'Int. n. 15/2008, il Ministero del lavoro ha chiarito che per i lavoratori italiani inviati all'estero è possibile
monetizzare le ferie, potendosi ritenere una tale situazione una novazione contrattuale.
Volendo quindi semplificare, si possono distinguere tre periodi di ferie:
-
uno, di almeno due settimane, da fruirsi in modo ininterrotto nel corso dell'anno di maturazione,
su richiesta del lavoratore;
-
uno, di due settimane, da fruirsi anche in modo frazionato, ma in ogni caso entro 18 mesi dal
termine dell'anno di maturazione, fatti però salvi i più ampi periodi di differimento stabiliti dalla
contrattazione collettiva (qualora la contrattazione stabilisca termini ridotti per la fruizione di tale
periodo, il superamento di questi ultimi, nell'ipotesi in cui venga in ogni caso rispettato il termine
dei 18 mesi, determinerà esclusivamente una violazione contrattuale);
-
uno, superiore al minimo di quattro settimane, che potrà essere fruito anche in modo frazionato,
ma comunque entro il termine stabilito dall'autonomia privata dal momento della maturazione.
Questo ultimo periodo può essere monetizzato.
La contrattazione collettiva, in deroga alla disciplina generale, può:
-
ridurre il limite delle due settimane per cui è obbligatorio il godimento entro l'anno di
maturazione;
-
prolungare il tetto massimo di 18 mesi.
Nel rispetto di quanto stabilito dall'art. 2109, commi 2 e 3, c.c., il periodo di fruizione delle ferie è stabilito dal
datore di lavoro, tenendo conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del prestatore di lavoro.
Non possono in ogni caso essere considerati come giorni di ferie:
-
il periodo di preavviso;
-
i periodi di congedo di maternità (o paternità) e di congedo parentale previsti dal D.Lgs. n.
151/2001;
-
il periodo di malattia sopravvenuta durante le ferie;
-
i periodi di malattia del bambino che dia luogo a ricovero ospedaliero, su richiesta del genitore;
-
i periodi di attività svolta per adempiere funzioni presso i seggi elettorali.
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SEGUE >> 35
1.contratto di lavoro e retribuzione.doc Autore POLIZZI Data creazione 06/05/2014 7.56 AM
Qualora nel corso delle ferie cadano festività nazionali ed infrasettimanali, il lavoratore ha diritto al
prolungamento del periodo stesso, ovvero al relativo trattamento economico, secondo quanto stabilito dalla
contrattazione collettiva.
L'assenza dal lavoro per ferie determina per il lavoratore la corresponsione del medesimo trattamento
economico che gli sarebbe spettato qualora avesse reso la propria prestazione lavorativa.
La contrattazione collettiva può comunque stabilire ulteriori indicazioni relativamente agli elementi della
retribuzione da erogare per il periodo feriale.
In caso di risoluzione del rapporto di lavoro nel corso dell'anno, al lavoratore per i giorni di ferie sino a quel
momento maturati e non goduti va corrisposta un'indennità sostitutiva, nella misura di tanti dodicesimi del
periodo di ferie annuale spettante, per quanti sono i mesi di servizio prestati presso l'azienda nel corso
dell'anno di cessazione.
Fatto quindi salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro, la sostituzione dell'effettiva fruizione delle ferie
con l'indennità sostitutiva può riguardare solamente il periodo di ferie che eventualmente eccede il periodo
minimo di quattro settimane stabilito dalla legge.
Con riguardo alla scadenza dell'obbligazione contributiva sul compenso per ferie maturate e non godute,
possiamo dire che la stessa va assolta:
-
entro il termine fissato dalla legge o dalla contrattazione collettiva;
-
nel mese in cui cade il termine differito per la fruizione delle ferie dai regolamenti aziendali o
dalle pattuizioni individuali rispetto alla previsione legale o contrattuale, sempre comunque nei
limiti fissati dalla Convenzione OIL n. 132/1970 (18 mesi dalla fine dell'anno che dà il diritto alle
ferie, che possono essere prolungati, per un periodo limitato, con il consenso del lavoratore
interessato);
-
entro il 18° mese successivo alla fine dell'anno solare di maturazione delle ferie (in assenza di
norme contrattuali, regolamenti aziendali o pattuizioni individuali).
I ROL
Per ROL s'intendono i permessi per riduzione orario di lavoro.
L'orario di lavoro annuo è, nella sostanza, la «proiezione» dell'orario settimanale stabilito dalla contrattazione
collettiva (ovvero individuale nel caso del part time).
Con l'accordo trilaterale del 22 gennaio 1983 (il cd. Accordo Scotti), tra le altre, le parti sociali hanno
riconosciuto il diritto dei lavoratori ad una riduzione dell'orario di lavoro su base annua.
La finalità di detta scelta è chiaramente da individuare nella finalità di incentivare l'incremento
dell'occupazione, unitamente a garantire al lavoratore una più ampia disponibilità del proprio tempo libero.
La contrattazione collettiva ha successivamente regolamentato (continuando ovviamente tuttora a farlo) le
modalità di godimento dei riposi di che trattasi, in alcuni casi addirittura elevando il tetto fissato nel 1983.
L'orario può essere ridotto di 40 ore su base annua (ovvero di più, qualora la contrattazione collettiva decida
in tal senso), a parità di retribuzione, con contestuale assorbimento della riduzione nelle ipotesi di orari
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1.contratto di lavoro e retribuzione.doc Autore POLIZZI Data creazione 06/05/2014 7.56 AM
inferiori eventualmente già applicati in azienda, fatti però salvi quei regimi di orario lavorativo ridotti per altre
ragioni (ad esempio, nocività dell'ambiente lavorativo, orario multiperiodale, flessibilità, ecc.).
Nella regolamentazione delle ROL i contratti collettivi, di norma, «delegano» al successivo livello aziendale
la concreta regolamentazione della loro utilizzazione che potrà poi materialmente avvenire a livello:
-
individuale, trasformando le ore di riduzione dell'orario quale montante di ore di permessi
retribuiti, da godere in gruppi orari ovvero in singole quote orarie;
-
collettivo, con conseguente fruizione di un'effettiva riduzione dell'orario di lavoro giornaliero o
settimanale.
Con lettera-Circ. n. 8489 del 27 giugno 2007 il Ministero del lavoro ha chiarito che la mancata fruizione dei
permessi secondo le relative disposizioni contrattuali non è sanzionabile, né penalmente né
amministrativamente, trattandosi di un diritto nella piena disponibilità del lavoratore interessato.
Le ore di riduzione di orario fruite quali permessi individuali, fatte ovviamente salve le diverse previsioni da
parte della contrattazione collettiva, maturano mensilmente e solamente in presenza di un'effettiva
prestazione lavorativa ovvero di assenze retribuite.
In caso di mancato godimento nel corso dell'anno e di mancata monetizzazione delle ore di permesso per
Rol (analogamente alle ex festività) maturate alla scadenza prevista dal CCNL, l'obbligo contributivo
permane in capo al datore di lavoro che deve provvedere entro il giorno 16 del mese successivo a quello in
cui si colloca il termine ultimo di godimento del permesso.
Il Ministero del lavoro, nel rispondere ad un'istanza d'interpello, ha chiarito che in relazione alla
valorizzazione previdenziale dei Rol scaduti e non goduti non vi è alcun obbligo di registrazione sul LUL,
atteso che non vi è alcuna dazione al lavoratore stesso.
Parimenti, il Ministero del lavoro, con la Nota n. 9044 del 3 giugno 2011, nel richiamare quanto espresso per
l'istituto delle ferie con le Circc. n. 186/99 e n. 15/2002, ha ribadito che il termine ultimo previsto dal CCNL
può essere differito in virtù di accordi e/o regolamenti aziendali o anche pattuizioni individuali tendenti ad
agevolare il più possibile l'effettivo godimento delle ferie da parte del lavoratore.
In via analogica, tale differimento è possibile anche per i ROL nell'ottica del contemperamento tra le
esigenze dell'impresa e dei diritti dei lavoratori.
Sul punto, anche l'INPS, con il Mess. n. 14605, ha sottolineato come sia nella disponibilità delle parti
prevedere una deroga alla contrattazione collettiva sul termine ultimo di fruizione del monte ore e che, in tali
casi, l'insorgenza dell'obbligazione contributiva verrà rinviata in coincidenza con il predetto termine.
L'istituto previdenziale ha inoltre precisato che, nei casi in cui la contrattazione collettiva non preveda un
termine ultimo per il godimento dei permessi, la gestione sarà liberamente prevista dalle parti, senza alcuna
obbligazione contributiva connessa.
LE FESTIVITA’
È la legge (n. 260/1949; n. 90/1954; n. 54/1977; D.P.R. n. 792/1985; n. 336/2000) che individua e considera
giornate festive le domeniche e le festività nazionali e infrasettimanali.
È sempre la legge che stabilisce un particolare trattamento economico per il lavoro prestato nelle festività
nazionali ed infrasettimanali; la contrattazione collettiva provvede poi di norma ad integrare una tale
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SEGUE >> 37
1.contratto di lavoro e retribuzione.doc Autore POLIZZI Data creazione 06/05/2014 7.56 AM
disciplina, specificando i contenuti del trattamento economico e prevedendo particolari trattamenti economici
per le festività soppresse.
Secondo quanto chiarito con l'interpello n. 60/2009, la rinunciabilità al diritto di astensione dalla prestazione
lavorativa nei giorni previsti come festività è rimessa all'accordo tra datore di lavoro e lavoratore, accordo
che può essere raggiunto anche in sede di contrattazione collettiva.
A mente dell'art. 2 della legge n. 260/1949, ai fini del previsto trattamento economico, sono considerate
festività nazionali il 25 aprile (anniversario della liberazione) ed il 1° maggio (Festa del lavoro).
Di seguito, le date che ai medesimi fini sono considerate festività infrasettimanali.
Festività infrasettimanali
-
il 1° gennaio;
-
il 6 gennaio, Epifania (inizialmente abolita con la legge n. 54/1977 e poi reintrodotta con il D.P.R.
n. 792 del 1985);
-
il giorno di lunedì dopo Pasqua;
-
il 2 giugno (fondazione della Repubblica);
-
il 29 giugno (Santi Apostoli Pietro e Paolo);
-
il 15 agosto (Assunzione della Beata Vergine Maria);
-
il 1° novembre (Ognissanti);
-
l'8 dicembre (Immacolata Concezione)
-
il 25 dicembre (Natale);
-
il 26 dicembre.
I CCNL prevedono di norma quale ulteriore festività il giorno del Santo Patrono del luogo dove è ubicata
l'azienda.
Trattandosi di previsione contrattuale, la mancata corresponsione del dovuto trattamento economiconormativo comporta per il datore di lavoro una responsabilità esclusivamente contrattuale.
Non è invece considerato festivo il 4 novembre (festa dell'Unità nazionale), che viene celebrato nella prima
domenica di novembre.
A decorrere dall'anno 2012, le festività introdotte con legge dello Stato non concordatarie, le celebrazioni
nazionali e le festività dei Santi Patroni, fatta eccezione per il 25 aprile, il 1° maggio e il 2 giug no, sono
fissate con un apposito D.P.C.M., da emanarsi entro il 30 novembre dell'anno precedente.
L'obiettivo è che dette festività cadano il venerdì precedente ovvero il lunedì seguente la prima domenica
immediatamente successiva ovvero coincidano con tale domenica.
La norma non interessa però le festività religiose, in particolare quelle stabilite con accordi con la Santa
Sede.
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1.contratto di lavoro e retribuzione.doc Autore POLIZZI Data creazione 06/05/2014 7.56 AM
Ai sensi dell'art. 1 della legge n. 54 del 1977, dall'8 marzo 1977, non sono considerati giorni festivi, agli effetti
civili, i seguenti giorni:
-
San Giuseppe (19 marzo);
-
Ascensione;
-
Corpus Domini.
Stiamo parlando delle cd. ex festività, per le quali i CCNL hanno previsto il diritto (compensativo) di fruire di
32 ore di permessi individuali aggiuntivi, per cui il mancato rispetto degli accordi stabiliti non contempla
alcuna ipotesi sanzionatoria, né penale né amministrativa.
Con l'Int. n. 16/2011 il Ministero del lavoro, con riferimento all'insorgenza dell'obbligazione contributiva in
caso di mancato godimento dei permessi per ex festività, nonché di mancato pagamento dell'indennità
sostitutiva alle scadenze stabilite dai CCNL, ha chiarito che il versamento dei relativi contributi deve essere
effettuato entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui si colloca il termine ultimo di godimento dei
permessi.
Per i lavoratori di religione ebraica in virtù degli artt. 4 e 5 della legge n. 101/1989, è prevista la possibilità di
fruire, su richiesta, delle festività ebraiche.
La specificazione, anno per anno, dei giorni di calendario relativi alle festività ebraiche è, di volta in volta,
effettuata dal Ministero dell'interno.
Il lavoratore ha diritto di fruire dei riposi corrispondenti alle festività con modalità uguali a quelle previste per
il riposo sabbatico e con possibilità di stabilirne altre liberamente.
Il lavoratore ha diritto anche ad astenersi dal lavoro e a percepire il trattamento corrispondente per le
festività civili e religiose previste per la generalità dei lavoratori.
In occasione delle festività nazionali e infrasettimanali ai lavoratori retribuiti non in misura fissa, ma in
relazione alle ore di lavoro prestate, deve essere corrisposto il seguente trattamento:
-
se non viene richiesta la prestazione, la normale retribuzione globale di fatto giornaliera,
compreso ogni elemento accessorio, anche se essa sia, per motivi di merito o altro, superiore a
quella minima stabilita dai contratti collettivi di categoria. Fatta salva una diversa previsione dei
CCNL, tale retribuzione si determina ragguagliandola a quella corrispondente ad un sesto
dell'orario normale settimanale;
-
se viene effettuata la prestazione, oltre a quanto previsto in precedenza, la retribuzione per le
ore di lavoro effettivamente prestate, con la maggiorazione fissata dai CCNL per il lavoro festivo.
Il trattamento economico di che trattasi spetta, con riguardo alle festività nazionali, anche al lavoratore
assente dal lavoro per malattia, infortunio, gravidanza e puerperio, congedo matrimoniale, ferie, permessi e
assenze per giustificati motivi, riduzione dell'orario giornaliero o settimanale di lavoro, coincidenza della
festività con la domenica o con il giorno di riposo compensativo del lavoro domenicale, o con altro giorno
festivo considerato tale dai CCNL, compresa la celebrazione del Santo Patrono e, più in genere, al
lavoratore assente per causa indipendente dalla sua volontà.
Con riguardo invece alle festività infrasettimanali, il trattamento economico spettante ai lavoratori assenti dal
lavoro è limitato alle festività ricadenti nelle prime due settimane di sospensione del lavoro.
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In occasione delle festività nazionali ai lavoratori retribuiti in misura fissa spetta invece il seguente
trattamento:
-
se non viene richiesta la prestazione, la normale retribuzione globale di fatto giornaliera;
-
se viene effettuata la prestazione, oltre a quanto previsto in precedenza, la retribuzione per le
ore di lavoro effettivamente prestate, con la maggiorazione fissata dai contratti collettivi per il
lavoro festivo.
Qualora la festività nazionale coincide con la domenica a tali lavoratori spetta, sempre oltre alla normale
retribuzione globale di fatto giornaliera, un ulteriore importo corrispondente ad una quota giornaliera di
retribuzione, pari, salva una diversa previsione contrattuale, ad 1/26 della retribuzione mensile fissa per i
lavoratori retribuiti mensilmente e ad 1/6 per quelli retribuiti settimanalmente.
Per quanto concerne le festività infrasettimanali, la legge non prevede alcun particolare trattamento
economico normativo in favore dei lavoratori retribuiti in misura fissa.
Sono quindi i CCNL che integrano la disciplina legale, prevedendo, da un lato, particolari trattamenti
economici anche per queste festività; dall'altro, escludendo decurtazioni retributive in caso di mancata
prestazione lavorativa in tali giornate.
Ad avviso del Ministero del lavoro (Nota n. 1664/2006), fatta salva una diversa ed espressa previsione
contrattuale, il diritto alla quota di retribuzione aggiuntiva riconosciuto ai lavoratori retribuiti in misura fissa in
caso di coincidenza di una festività con la domenica, non spetta in caso di coincidenza della stessa con il
sabato non lavorativo (infatti, sebbene il normale orario di lavoro sia concentrato nell'arco di cinque giorni
settimanali, il sesto giorno deve qualificarsi semplicemente, agli effetti di tutti gli istituti contrattuali, come non
lavorativo e non anche come festivo).
L'inosservanza delle disposizioni contenute nella legge n. 260/1949 sulle festività e lavoro festivo è punita
con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 154 a euro 929.
PERMESSI PER L'ASSISTENZA A FAMILIARI DISABILI E A DISABILI CHE LAVORANO
Per agevolare l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti dei disabili, la legge n. 104/1992 prevede la
concessione di benefici contributivi indirizzati sia ai lavoratori (per l'assistenza dei familiari disabili), sia ai
disabili che lavorano (per favorire occasioni di cura). I benefici consistono in permessi o giorni retribuiti
oppure, nel caso di assistenza di minore con disabilità, nella possibilità di fruire di congedi parentali
I soggetti interessati alla fruizione dei benefici legati a questa specifica tipologia sono:
-
genitori, parenti e affidatari di disabili in situazione di gravità accertata;
-
persone disabili maggiorenni in situazione di gravità, che lavorano.
PERMESSI PER GENITORI DI FIGLI DISABILI GRAVI
Per l'assistenza dei figli, il beneficio consiste:
-
nella possibilità di prolungare fino all'ottavo anno di vita del bambino con disabilità grave il
periodo di fruizione del congedo parentale, con diritto al relativo trattamento economico (30%
della retribuzione secondo le medesime modalità dei congedi parentali), per una durata massima
di tre anni da fruire entro il compimento dell'ottavo anno. Il prolungamento del congedo fino agli
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8 anni di età comprende anche il congedo ordinario fruibile entro gli 8 anni di età del bambino. Il
beneficio è fruibile alternativamente da parte di ciascun genitore;
-
in alternativa, di fruire di due ore di permesso giornaliero retribuito (intera retribuzione secondo le
modalità previste per l'allattamento) ovvero una sola ora se l'orario giornaliero è inferiore o pari a
sei ore fino al terzo anno di vita del bambino;
-
nella possibilità di fruire, in alternativa al congedo parentale e ai permessi orari, di tre giorni di
permesso mensile.
Trattandosi di istituti speciali rispondenti alle medesime finalità di assistenza al disabile in situazione di
gravità, la fruizione dei benefici dei tre giorni di permesso mensili, del prolungamento del congedo parentale
e delle ore di riposo deve intendersi alternativa e non cumulativa nell'arco del mese.
Pertanto, nel mese in cui uno o entrambi i genitori, anche alternativamente, abbiano beneficiato di uno o più
giorni di permesso, gli stessi non potranno usufruire per lo stesso figlio delle due ore di riposo giornaliero o
del prolungamento del congedo parentale.
Allo stesso modo, nel mese in cui uno o entrambi i genitori abbiano fruito, anche alternativamente, del
prolungamento del congedo parentale o delle due ore di riposo giornaliero, gli altri parenti o affini aventi
diritto non potranno beneficiare per lo stesso soggetto in situazione di disabilità grave dei giorni di permesso
mensili.
Beneficiari
Sono beneficiari tutte le lavoratrici e lavoratori che possono fruire del congedo parentale, cioè coloro che
sono titolari di un rapporto di lavoro dipendente coperto da assicurazione INPS per le prestazioni
economiche di maternità.
Il beneficio compete al genitore lavoratore di un figlio in situazione di disabilità grave, ancorché non
convivente, anche quando l'altro genitore non ne ha diritto perché, ad esempio, non svolge attività lavorativa,
è lavoratore autonomo, è casalinga, ecc. Nel caso in cui entrambi i genitori siano lavoratori dipendenti, i
permessi possono essere fruiti da entrambi ma in modo alternativo.
I benefici sono riconosciuti anche ai genitori che hanno ottenuto in adozione o in affidamento dei bambini
affetti da disabilità in situazioni di gravità.
Esclusioni
I permessi e i congedi in oggetto non spettano ai lavoratori a domicilio, agli addetti ai servizi domestici e, in
generale, ai lavoratori non assicurati all'INPS per l'indennità economica di maternità.
Decorrenza del prolungamento del congedo e dei permessi orari
Il beneficio del prolungamento del congedo parentale può essere fruito solo dopo l'esaurimento del congedo
parentale ordinariamente spettante ai sensi del D.Lgs. n. 151/2001, ne consegue che il diritto di astenersi dal
lavoro a titolo di congedo parentale può essere riconosciuto:
-
alla madre, trascorsi 6 mesi dalla fine del congedo di maternità obbligatoria;
-
al padre, trascorsi 7 mesi dalla data di nascita del figlio;
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1.contratto di lavoro e retribuzione.doc Autore POLIZZI Data creazione 06/05/2014 7.56 AM
-
al genitore solo, trascorsi 10 mesi decorrenti dalla fine del congedo di maternità in caso di madre
«sola», mentre in caso di padre «solo», dalla nascita del minore o dalla fruizione dell'eventuale
congedo di paternità.
Le condizioni per il riconoscimento della situazione di «genitore solo» sono: morte dell'altro genitore,
abbandono del figlio da parte di uno dei genitori, affidamento esclusivo del figlio ad un solo genitore
risultante da provvedimento formale, grave infermità del coniuge ancorché temporanea.
Qualora l'infermità grave sia sopravvenuta successivamente, nel periodo complessivo dei 10 mesi occorre
includere anche i periodi eventualmente già fruiti da entrambi i genitori. Analogamente, in caso di infermità
temporanea il riconoscimento di genitore solo è possibile solo fino alla data di cessazione dell'infermità.
La condizione di grave infermità non può essere autocertificata, ma deve risultare da documentazione
medica, rilasciata da struttura pubblica, che dovrà essere allegata in busta chiusa alla domanda di congedo
parentale.
PERMESSI PER L'ASSISTENZA DI FAMILIARI DISABILI GRAVI
Il comma 3 dell'art. 33 della L. 5 febbraio 1992, n. 104, come modificato dall'art. 24 della L. 4 novembre
2010, n. 183, dispone che il lavoratore dipendente che assiste una persona disabile in situazione di gravità,
ha diritto a fruire di tre giorni di permesso, anche in maniera continuativa, a condizione che la persona
disabile non sia ricoverata a tempo pieno.
Il beneficio spetta al coniuge o al parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora
i genitori della persona disabile abbiano compiuto 65 anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie
invalidanti o siano deceduti o mancanti.
I genitori di figli maggiorenni e i familiari di persone con disabilità grave possono fruire dei giorni di permesso
mensile anche se il soggetto disabile non è convivente.
Il diritto ai permessi può essere concesso ad un solo lavoratore dipendente per persona disabile in
situazione di gravità.
Per i genitori, il diritto è riconosciuto a entrambi, che possono fruirne alternativamente. Il diritto è riconosciuto
anche a entrambi i genitori adottivi, che possono fruirne alternativamente, anche in maniera continuativa
nell'ambito del mese. Requisito per la concessione del beneficio è che l'assistito non sia ricoverato a tempo
pieno, fa eccezione il caso della persona con disabilità grave in coma vigile e/o in situazione terminale.
Quando il soggetto con disabilità grave è ricoverato a tempo pieno ma necessita di visita medica al di fuori
della struttura di ricovero, il congedo o i permessi sono riconosciuti purché la relativa esigenza sanitaria sia
appositamente certificata.
Il requisito dell'assistenza continuativa ed esclusiva è soddisfatto dalla sistematicità e adeguatezza
dell'assistenza in relazione alle concrete esigenze della persona con disabilità grave non essendo
necessario che sia prestata quotidianamente. Il disabile pertanto può liberamente scegliere, nell'ambito della
propria famiglia (coniuge, parenti e affini entro il 2° grado, ovvero entro il 3° grado, alle condizio ni previste
dalla legge n. 183/2010), chi debba prestargli l'assistenza prevista dalla legge, a nulla rilevando che nel
proprio stato di famiglia risultino conviventi familiari non lavoratori.
Beneficiari
Beneficiari sono soltanto i lavoratori assicurati all'INPS per l'indennità economica di maternità.
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SEGUE >> 42
1.contratto di lavoro e retribuzione.doc Autore POLIZZI Data creazione 06/05/2014 7.56 AM
Sono esclusi dal beneficio i lavoratori a domicilio, i lavoratori domestici, nonché i lavoratori non assicurati per
maternità all'INPS. Il lavoratore decade dai benefici qualora il datore di lavoro o l'INPS accerti l'insussistenza
o il venir meno delle condizioni richieste per la legittima fruizione dei permessi.
Condizione di genitore o coniuge mancante o affetto da patologia invalidante
L'art. 24 della L. 4 novembre 2010, n. 183, nel ridefinire i soggetti aventi diritto ai permessi ha previsto che gli
stessi spettino solo al coniuge o al parente e all'affine entro il 2° grado, estendendo il beneficio a nche ai
parenti e affini entro il 3° grado della persona co n disabilità in situazione di gravità soltanto qualora i genitori
o il coniuge della persona in situazione di disabilità grave abbiano compiuto i sessantacinque anni di età
oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.
La normativa prevede, quindi, la possibilità di passare dal secondo al terzo grado di parentela, oltre che nel
caso di decesso del coniuge o dei genitori del disabile, anche qualora questi siano «mancanti». Al riguardo,
l'INPS ha chiarito che l'espressione «mancanti» deve essere intesa non solo come situazione di assenza
naturale e giuridica (celibato o stato di figlio naturale non riconosciuto), ma deve ricomprendere anche ogni
altra condizione ad essa giuridicamente assimilabile, continuativa e debitamente certificata dall'autorità
giudiziaria o da altra pubblica autorità, quale divorzio, separazione legale o abbandono, risultanti da
documentazione dell'autorità giudiziaria o di altra pubblica autorità.
La possibilità di passare dal secondo al terzo grado di assistenza si verifica anche nel caso in cui uno solo
dei soggetti menzionati (coniuge, genitore) si trovi nelle descritte situazioni (assenza, decesso, patologie
invalidanti).
Per quanto concerne le patologie invalidanti, in assenza di un'esplicita definizione di legge, in accordo con i
Ministeri competenti, ai fini dell'individuazione di tali patologie l'INPS ha ritenuto di prendere a riferimento
soltanto quelle a carattere permanente per le quali è possibile accordare il congedo per gravi motivi di cui
all'art. 4, comma 2, della legge n. 53 del 2000 (D.I. n. 278 del 21 luglio 2000).
Referente unico per l'assistenza alla stessa persona in situazione di disabilità grave
Il riformulato art. 33, comma 3, della legge n. 104/1992 stabilisce che non può essere riconosciuta a più di
un lavoratore dipendente la possibilità di fruire dei giorni di permesso per l'assistenza alla stessa persona in
situazione di disabilità grave.
Pertanto, fermo restando che i giorni di permesso sono previsti dalla legge nel limite di tre per soggetto
disabile, tali giornate dovranno essere fruite esclusivamente da un solo lavoratore, non potendo invece
essere godute alternativamente da più beneficiari.
Il nuovo art. 33, comma 3 della legge n. 104/1992 prevede, inoltre, che ai genitori, anche adottivi, di figli con
disabilità grave, viene riconosciuta la possibilità di fruire dei permessi alternativamente, sempre nel limite dei
tre giorni per soggetto disabile (Circ. n. 155 del 3 dicembre 2010).
PERMESSI PER PERSONE DISABILI CHE LAVORANO
Per favorire occasioni di cura ai disabili che lavorano, gli stessi possono usufruire, ai sensi dell'art. 33,
comma 6, legge n. 104/1992, a scelta di permessi giornalieri retribuiti di due ore, ovvero di permessi
giornalieri retribuiti, fino ad un massimo di tre giorni al mese.
Cumulo dei permessi personali del disabile con quelli per l'assistenza di altro congiunto
I permessi per i disabili che lavorano sono compatibili con la richiesta di fruire dei permessi per assistere un
altro familiare con disabilità grave.
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Tale facoltà è libera e non è sottoposta a condizioni.
Pertanto la richiesta di un lavoratore disabile di permessi giornalieri per assistere un altro familiare con
disabilità grave può essere accolta senza che vi sia la necessità che debba essere acquisito alcun parere
medico-legale sulla capacità del lavoratore di soddisfare le necessità assistenziali del familiare anch'esso in
condizioni di disabilità grave.
Cumulo nello stesso mese di periodi di congedo straordinario con i permessi ex lege n. 104/1992
L'art. 42 del D.Lgs. n. 151/2001, al comma 5, prevede che durante il periodo di congedo straordinario per
l'assistenza di persone disabili in situazione di gravità, non sia possibile fruire dei benefici di cui all'art. 33
della legge n. 104/1992.
L'INPS, a chiarimento dei dubbi interpretativi sollevati sull'argomento, ritiene che il divieto si riferisca al caso
in cui si richiedano per lo stesso disabile i due benefici nelle stesse giornate e non comprenda, invece, il
caso della fruizione nello stesso mese, ma in giornate diverse.
Pertanto i due congedi per la medesima persona sono compatibili, anche se fruiti nell'arco dello stesso
mese.
FRUIZIONE DEI PERMESSI IN ATTESA DELL'AUTORIZZAZIONE DELL'ASL
La certificazione dello stato di gravità del soggetto disabile, richiede normalmente tempi lunghi, pertanto,
l'INPS ha autorizzato i lavoratori a fruire dei permessi in attesa del pronunciamento dell'ASL. È necessario
però che la domanda sia stata presentata da almeno 90 giorni, senza che l'apposita Commissione medica si
sia pronunciata.
È tuttavia necessario che la situazione di gravità sia, temporaneamente, accertata dal medico specialista
nella patologia denunciata. Tale dichiarazione rimane efficace fino all'accertamento definitivo da parte della
Commissione. Ciò al fine di evitare che sul cittadino ricada il danno del ritardo della conclusione del
complesso procedimento di accertamento.
Il lavoratore, al momento della presentazione della domanda all'INPS dovrà allegare alla richiesta copia della
domanda presentata alla citata commissione e la dichiarazione liberatoria con la quale si impegna alla
restituzione delle prestazioni che, a procedimento definitivamente concluso, risultassero indebite.
L'INPS si riserva di verificare mediante le informazioni che periodicamente le pervengono, l'esito definitivo
dell'accertamento per prevenire l'eventuale indebita fruizione da parte del lavoratore dei permessi o dei
congedi in caso di mancato riconoscimento della condizione di gravità della disabilità da parte della
commissione.
Da parte sua, il lavoratore richiedente i permessi si impegna a comunicare entro 30 giorni dall'avvenuto
cambiamento le eventuali variazioni delle notizie o delle situazioni autocertificate nel modello di richiesta,
con particolare riguardo a un eventuale ricovero a tempo pieno del soggetto in condizione di disabilità grave,
alla revisione del giudizio di gravità della condizione di disabilità da parte della commissione ASL, alla
fruizione di permessi, per lo stesso soggetto in condizione di disabilità grave, da parte di altri familiari.
FRAZIONABILITÀ E CASI DI RIDUZIONE DEI PERMESSI GIORNALIERI
Persone disabili che lavorano
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La persona disabile che lavora può beneficiare, alternativamente, o dei permessi «ad ore» o dei permessi «a
giorni». L'alternatività deve essere considerata nell'arco del singolo mese, il tipo di permesso richiesto (a
giorni od ad ore) può quindi essere cambiato da un mese all'altro previa semplice modifica della domanda a
suo tempo avanzata, e non, in linea di massima, nell'ambito del singolo mese di calendario.
Tuttavia, la variazione può essere eccezionalmente consentita, anche nell'ambito di ciascun mese, nel caso
in cui sopraggiungano esigenze improvvise, opportunamente motivate, non prevedibili all'atto della richiesta
di permessi.
In tal caso, la modifica dei permessi va effettuata come dall'esempio che segue:
Esempio
Si supponga che un lavoratore, con orario giornaliero lavorativo di 8 ore per 5 giorni alla settimana, abbia già
beneficiato, in un determinato mese, di riposi orari per 20 ore, e che successivamente documenti la
necessità di utilizzare i giorni in luogo dei restanti permessi orari.
Le 20 ore fruite dovranno essere convertite in giorni, con eventuale arrotondamento all'unità inferiore se la
frazione di giorno è pari o inferiore allo 0,50, ovvero all'unità superiore se la frazione supera lo 0,50.
Nell'esempio, quindi, si ha: 20 ore : 8 = 2,50 gg. (e cioè 2 gg. arrotondati).
Il lavoratore ha fruito di ore corrispondenti a 2 gg. e quindi può chiedere 1 giorno di permesso senza diritto
ad ulteriori permessi orari nel mese.
Se, invece, avesse già fruito di 21 ore (equivalenti a 2,62 gg. = 3 gg. arrotondati) non potrebbe più fruire
neppure di 1 giorno di permesso, sempre relativamente a quel mese.
Analogo calcolo va effettuato nel caso inverso, se si tratta, cioè, di convertire i giorni in ore.
Se, ad esempio, lo stesso lavoratore ha utilizzato 2 giorni di permesso, potrà fruire, in quel determinato
mese, di 8 ore di riposo, in luogo del giorno di permesso che non intende più utilizzare.
Genitori di soggetto disabile
I 3 giorni di permesso giornaliero retribuiti spettanti ai genitori di soggetti disabili sono frazionabili anche in
permessi orari. In caso di frazionamento, il tetto massimo di ore concedibili - che opera esclusivamente
laddove i permessi giornalieri vengano utilizzati, anche solo parzialmente, frazionandoli in ore e non quando
vengano tutti fruiti per giornate lavorative intere - deve essere individuato secondo il seguente algoritmo da
applicare alla generalità dei lavoratori con orario normale di lavoro determinato su base settimanale:
Esempio
(Orario normale di lavoro settimanale / numero dei giorni lavorativi settimanali) x 3 = ore mensili fruibili.
Un lavoratore con orario di lavoro settimanale pari a 40 ore, articolato su 5 giorni, potrà beneficiare
mensilmente di 24 ore di permesso.
Infatti, in tale caso l'algoritmo di calcolo sarà il seguente: (40/5) x 3 = 24.
Esempio
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Similmente, l'algoritmo di calcolo, da applicare alla generalità dei lavoratori con orario normale di lavoro
determinato dai contratti collettivi di lavoro su base plurisettimanale, ai fini della commisurazione del
massimale in argomento, è il seguente:
(Orario normale di lavoro medio settimanale / numero medio dei giorni lavorativi settimanali) x 3 = ore
mensili fruibili.
Per tale fattispecie, si riporta come esempio il caso di un lavoratore con orario di lavoro plurisettimanale
articolato nella seguente maniera:
- 8 settimane da 32 ore su 4 giorni lavorativi alla settimana;
- 4 settimane da 40 ore su 5 giorni lavorativi alla settimana;
- 4 settimane da 36 ore su 6 giorni lavorativi alla settimana.
Applicando l'algoritmo sopra enunciato, nel caso in esempio, il lavoratore avrà diritto a 22,1 ore mensili.
Infatti, in tale caso l'algoritmo di calcolo sarà il seguente: (35/4,75) x 3 = 22,10.
Dove il valore 35 rappresenta l'orario medio settimanale determinato nel modo seguente: 32 x 8 + 40 x 4 +
36 x 4 = 560 diviso 16 (numero delle settimane) = 35.
Mentre il valore 4,75 rappresenta il numero dei giorni settimanali, determinato nel modo seguente: 8 x 4 + 4
x 5 + 4 x 6 = 76 diviso 16 (numero delle settimane) = 4,75.
Lavoratori con contratto part time verticale
In caso di contratto di lavoro part time verticale, con attività lavorativa (ad orario pieno o ad orario ridotto)
limitata ad alcuni giorni del mese, il numero dei giorni di permesso spettanti va ridimensionato
proporzionalmente. Il risultato numerico va arrotondato all'unità inferiore o a quella superiore a seconda che
la frazione sia fino allo 0,50 o superiore.
Si procede infatti con la seguente proporzione: X : A = B : C [dove «A» corrisponde al n° dei gg. di l avoro
effettivi; «B» a quello dei <span ID="richiamo3">(3)</SPAN> gg. di permesso teorici; «C» a quello dei gg.
lavorativi]. Si riporta un esempio di 8 giorni di lavoro al mese su un totale di 27 giorni lavorativi teoricamente
eseguibili (l'azienda non effettua quindi la «settimana corta»).
Perciò:
-
X : 8 = 3 : 27
-
X = 24 : 27;
-
X = 0,8 (gg. di permesso, da arrotondare a 1).
Nel mese considerato spetterà quindi 1 solo giorno di permesso.
Permessi per lavoratori in CIG
Per i lavoratori in CIG il numero dei permessi deve essere riproporzionato in funzione dell'effettiva attività
lavorativa.
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Al riguardo, la Circ. n. 128 dell'11 luglio 2003 ha stabilito che in caso di assistenza a un portatore di disabilità
per periodi inferiori a un mese vanno proporzionalmente ridimensionati i 3 giorni di permesso spettanti al
richiedente.
Il proporzionamento va effettuato secondo i medesimi criteri del punto 3.2 della Circ. n. 133/2000, indicati
per il part time verticale (Mess. n. 26411 del 18 novembre 2009).
Permessi in concomitanza di altri permessi
Nel caso in cui il richiedente fruisca nel corso del mese di altri permessi quali ad esempio permesso
sindacale, maternità, malattia, ecc., non è possibile ritenere giustificato un riproporzionamento del diritto ai
permessi ex lege n. 104/1992 in quanto si tratta comunque di assenze giustificate, riconosciute per legge
come diritti spettanti al lavoratore (Int. n. 24 del 1° agosto 2012).
Richiesta presentata per la prima volta nel corso del mese
Se il dipendente presenta istanza per la fruizione dei permessi per la prima volta nel corso del mese (ad
esempio nel giorno 19), è possibile ridurre i giorni di permesso spettanti secondo le regole già previste,
proporzionalmente ai giorni di lavoro dal 19 a fine mese (Int. n. 24 del 1° agosto 2012).
MODALITÀ DI RICHIESTA DEI PERMESSI
In tutti i casi che seguono, la richiesta deve essere presentata all'INPS. La domanda ha validità annuale (12
mesi) e deve essere rinnovata alla scadenza della richiesta precedente; la stessa può essere modificata in
caso di necessità.
Alla domanda va allegata, solo qualora l'INPS e il datore di lavoro non ne siano già in possesso, la
documentazione relativa alla gravità della disabilità (anche in copia autenticata) rilasciata a suo tempo dalla
commissione medica dell'ASL o, per i portatori di sindrome di Down, anche dal proprio medico di base (con
allegata copia del «cariotipo» sulla cui base il curante stesso ha rilasciato il certificato).
L'INPS comunicherà ai datori di lavoro e ai lavoratori l'esito della domanda (accoglimento, reiezione,
cessazione).
Per quanto riguarda lo specifico aspetto dell'autorizzazione ai permessi, l'INPS, con la Circ. n. 53 del 29
aprile 2008, ha chiarito che la sentenza della Corte di Cassazione n. 175 del 5 gennaio 2005 statuisce che
l'obbligo di concessione di tre giorni di permesso mensile a favore del lavoratore che assiste una persona
con disabilità in situazione di gravità, ricade sul datore di lavoro e che il fatto che l'INPS sia tenuto a restituire
al datore di lavoro le somme anticipate, attiene solo a rapporti economici ma l'Ente di previdenza non può
incidere sul diritto del lavoratore a beneficiare dei permessi.
Viene quindi svuotata di valore l'autorizzazione che in precedenza l'INPS concedeva, essendo declassata da
provvedimento autorizzatorio al lavoratore per fruire dei permessi a semplice autorizzazione al datore di
lavoro per portare a conguaglio le prestazioni.
Viene quindi trasferito sul datore di lavoro l'obbligo di accertare il diritto del lavoratore ai permessi.
Tale obbligo, peraltro, non consente discrezionalità al datore di lavoro che deve solo limitarsi a controllare
l'esistenza dei requisiti che la legge prevede per la concessione dei benefici.
Il Ministero del lavoro con Int. n. 31 del 6 luglio 2010 ha stabilito che pur non essendo prevista una disciplina
normativa in ordine al preavviso minimo che il lavoratore deve osservare per la richiesta dei permessi e alla
facoltà del richiedente di modificare unilateralmente la giornata di fruizione spostandola ad altra data, il
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datore di lavoro può chiedere al lavoratore una programmazione dei permessi al fine di garantire il
mantenimento della capacità produttiva dell'impresa. Tuttavia, le esigenze di assistenza e di tutela del
disabile prevalgono sulle esigenze imprenditoriali.
MISURA DELL'INDENNITÀ E CONTRIBUTI FIGURATIVI
I permessi giornalieri devono essere retribuiti in misura intera e sono posti a carico dell'INPS.
Per la determinazione dell'importo devono essere considerati tutti gli elementi della retribuzione rientranti nel
concetto di paga globale di fatto giornaliera che vengono corrisposti normalmente e in forma continuativa
come previsto per i permessi per allattamento.
I permessi previsti per i genitori di disabili gravi, sono computati nell'anzianità di servizio ma non danno diritto
a ferie, tredicesima e gratifica natalizia.
In concomitanza dei permessi è riconosciuta anche la copertura figurativa.
MODALITÀ DI ESPOSIZIONE DEI DATI NEL FLUSSO UNIEMENS
Il recupero dell'indennità erogata deve essere esposto nell'elemento <MatACredAltre>, dove nell'elemento
<CausaleRecMat> va indicato uno dei seguenti codici:
-
L053 - Per esporre l'indennità erogata nel caso di prolungamento del congedo parentale (ex
astensione facoltativa) di cui all'art. 33, comma 1, legge n. 104/1992;
-
L054 - Per i permessi orari di cui al comma 2 dello stesso art. 33;
-
L056 - Per esporre l'indennità per i permessi giornalieri usufruiti dal genitore ovvero dal familiare
del disabile (art. 33, comma 3);
-
L057 - Per i permessi orari usufruiti da lavoratori disabili (art. 33, comma 6);
-
L058 - Per esporre l'indennità per i permessi giornalieri usufruiti dai lavoratori disabili (art. 33,
comma 6).
L'importo va esposto nell'elemento <ImportoRecMat>. Gli importi portati a conguaglio sono riportati sul
DM10 Virtuale con i medesimi codici.
Tutto questo è stato espresso in preparazione della seconda circolare che emettiamo oggi stesso per
chiarimenti sul “famoso bonus” di 80,00 euro, e che tante telefonate e richieste faranno pervenire al nostro
CED.
Infatti se non si comprende bene la struttura del rapporto di lavoro, non si capirà chi e perché ha diritto e chi
e perché non ha diritto al bonus di 80,00 euro tanto pubblicizzato in televisione.
A disposizione per ogni chiarimento, formuliamo cordiali saluti.
L’Amministratore Unico
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