CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA GENERALE - parere 22

CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA GENERALE - parere 22 ottobre 2007 n. 145 – Pres.
Schinaia, Est. D’Agostino - Oggetto: Ministero dell’economia e delle finanze - Ricorso
straordinario al Presidente della Repubblica proposto dalla Sig.ra Maria Letizia Caretti avverso il
provvedimento di recupero di un credito erariale di € 792,02.
1. Pubblico impiego - Stipendi, assegni ed indennità - Termine di prescrizione - E’
quinquennale.
2. Pubblico impiego - Recupero di somme non dovute - Termine di prescrizione - E’
decennale.
3. Atto amministrativo - Generalità - Indicazione del termine e dell’autorità cui
proporre ricorso - Ex art. 3 della L. n. 241 del 1990 - Omissione - Conseguenze Individuazione.
4. Pubblico impiego - Stipendi, assegni ed indennità - Anticipazioni sui miglioramenti
contrattuali - Recupero disposto perchè dette anticipazioni non erano in parte non
dovute - Buona fede del percipiente - Irrilevanza - Ragioni.
5. Pubblico impiego - Recupero di somme non dovute - Specifica motivazione - Non
occorre.
6. Pubblico impiego - Stipendi, assegni ed indennità - Anticipazioni sui miglioramenti
contrattuali - Recupero disposto perchè dette anticipazioni non erano in parte non
dovute - Termine decennale di prescrizione - Decorrenza - Dalla data in cui le
anticipazioni sono state corrisposte.
7. Pubblico impiego - Stipendi, assegni ed indennità - Termine di prescrizione Decorrenza - Regola secondo cui contra non valentem agere non currit praescriptio Casi in cui si applica - Individuazione.
8. Pubblico impiego - Stipendi, assegni ed indennità - Termine di prescrizione Interruzione - Nel caso di recupero di somme non dovute - Determinazione
dell’ammontare del credito - Necessità - Sussiste.
1. Ai sensi dell’articolo 2948 codice civile e dell’articolo 2, 1° comma, del decreto
legge 19 gennaio 1939, n. 295, convertito nella legge 2 giugno 1939, n. 739, nel
testo introdotto dall’art. 2 della legge 7 agosto 1985, n. 428, i diritti relativi alla
retribuzione sia del pubblico dipendente che del lavoratore privato si prescrivono nel
termine di cinque anni (1); il termine quinquennale di prescrizione riguarda
evidentemente i diritti del dipendente, così come qualificati dalla prestazione
lavorativa e non si estende fuori da tale ambito.
2. Il termine quinquennale di prescrizione dei crediti vantati dai pubblici dipendenti
non si applica nel caso di pagamento di somme non dovute a titolo retributivo. Per
tali somme, invece, in mancanza di diversa ed espressa previsione, si applica il
termine decennale previsto per la prescrizione ordinaria dall’art. 2946 c.c. (2).
3. L’omessa indicazione del termine e dell’autorità cui proporre ricorso, prevista
dall’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, integra una mera irregolarità che – ai
sensi dell’art. 1, 3° comma, d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199 e dell’art. 3, 4° comma,
della legge 7 agosto 1990 n. 241 – comporta la rimessione in termini, ove
l’interessato si sia rivolto a giudice privo del potere di cognizione, entro sessanta
giorni dalla pubblicazione della pronuncia sulla giurisdizione (3).
4. La eventuale buona fede del dipendente nel ricevere somme pagate a titolo di
anticipi sui miglioramenti economici non può impedire il recupero, atteso che, in
linea generale l’eventuale sussistenza del richiamato profilo psicologico non incide
Libero Sindacato Ufficiali Giudiziari
- www.lisug.it –
sulla doverosità del recupero ma semmai sulle modalità di attuazione e che, in ogni
caso, la corresponsione del trattamento economico, nell’ipotesi prospettata, è
avvenuta in via provvisoria e salvo conguaglio sulla base della comunicazione Mod.
A, sottoscritta dal dipendente "per presa visione e a titolo di incondizionata
autorizzazione per eventuali recuperi di somme indebitamente corrisposte", con
espresso richiamo all’art. 172 della legge n. 312 del 1980.
5. Nell’adozione di atti di recupero di somme indebitamente corrisposte,
l’Amministrazione non è tenuta a fornire un diffuso discorso giustificativo, essendo
sufficiente che vengano chiarite le ragioni per le quali il percipiente non aveva diritto
a quella determinata somma corrispostagli per errore.
6. Nel caso di recupero di somme indebitamente corrisposte a titolo di anticipi su
miglioramenti contrattuali, il termine decennale di prescrizione decorre dalla
corresponsione di quanto non dovuto. Rispetto a tale vicenda, solo un atto recante
una esplicita richiesta restitutoria può determinare l’effetto interruttivo (alla stregua
del principio nella specie l’Adunanza Generale del Consiglio di Stato ha ritenuto
prescritta la richiesta di restituzione delle somme pagate a titolo di anticipo alla
ricorrente, essendo ormai trascorso il termine decennale di prescrizione che
decorreva, nell’ipotesi considerata, dalla data di corresponsione degli anticipi).
7. La regola generale desumibile dall’art. 2935 c.c., secondo cui il termine di
prescrizione non può decorrere nel caso di impedimento legale all’esercizio del
diritto (contra non valentem agere non currit praescriptio) trova applicazione solo in
caso di impossibilità legale all’esercizio del diritto e non certo per le difficoltà o
anche le impossibilità di fatto nelle quali si trovi il titolare della relativa posizione
soggettiva.
8. Perché un diritto possa essere fatto valere (senza considerare l’impossibilità
giuridica o di fatto nella quale versa il relativo titolare) occorre che la situazione
soggettiva abbia una consistenza e una determinazione (o una determinabilità
evidentemente percepibile dalla controparte) tale da costituire oggetto di una
precisa individuazione. In mancanza, la posizione del soggetto passivo sfumerebbe
in mera soggezione all’esercizio di un diritto potestativo privo di contenuti
determinati, ben diversa cioè da quella debitoria.
ninolaganàdocuents----------------------------(1) V. per i pubblici impiegati, da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, 27 dicembre 2006, n. 7880; Sez. V, 17
febbraio 2006, n. 621.
(2) Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 14 aprile 2006, n. 2150; Sez. VI, 27 novembre 2002, n. 6500.
(3) Giurisprudenza costante: cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 30 marzo 2000, n. 1814; Sez. VI, 18 ottobre2000, n. 5605.
----------------------------Documenti correlati:
CONSIGLIO DI STATO SEZ. VI, sentenza 14-10-2004, n. 6654, pag.
http://www.lexitalia.it/p/cds/cds6_2004-10-14-5.htm (sulla necessità o meno dell’avviso di inizio del
procedimento nel caso di provvedimenti di recupero di emolumenti non dovuti, sulla rilevanza o meno
della buona fede dell’accipiens e sul termine di prescrizione applicabile in materia).
CONSIGLIO DI STATO SEZ. III, Parere 29-4-2003, n. 1075, pag.
http://www.lexitalia.it/private/cds/cds3_2003-04-29.htm (sulla irrilevanza ex se della buona fede nel
caso di percezione di emolumenti non dovuti e sulla necessità di inviare all’interessato apposito avviso di
inizio del procedimento di recupero).
Libero Sindacato Ufficiali Giudiziari
- www.lisug.it –
CONSIGLIO DI STATO SEZ. IV, sentenza 14-4-2006, n. 2176, pag.
http://www.lexitalia.it/p/61/cds4_2006-04-14-4.htm (sul giudice competente a decidere una controversia
relativa al recupero di somme effettuato sui ratei della pensione, sulla rilevanza o meno della buona fede
del percipiente e sulla necessità o meno di una motivazione sull’interesse pubblico).
CONSIGLIO DI STATO SEZ. VI, sentenza 9-9-2002, n. 5579, pag.
http://www.lexitalia.it/private/cds/cds6_2002-09-9-5.htm (sul carattere doveroso del recupero di somme
indebitamente erogate dalla p.a. ai propri dipendenti e sulla rilevanza della buona fede dei percipienti).
CONSIGLIO DI STATO SEZ. IV, sentenza 6-5-2002, n. 2434, pag.
http://www.lexitalia.it/private/cds/cds4_2002-05-06_1.htm (il termine quinquennale di prescrizione dei
diritti di natura patrimoniale spettanti ai pubblici dipendenti inizia a decorrere dal momento in cui essi
sorgono, anche nell'ipotesi in cui esista una norma incostituzionale che li disconosce; eguale principio si
applica agli interessi ed alla rivalutazione).
TAR LAZIO - ROMA SEZ. II TER, sentenza 1-9-2005, n. 6497, pag.
http://www.lexitalia.it/p/52/tarlazio2ter_2005-09-01.htm (sulla natura paritetica dell’atto di recupero di
emolumenti non dovuti, sulla necessità o meno dell’avviso di inizio del procedimento per la sua adozione
e sulla rilevanza o meno della buona fede dell’accipiens).
TAR SICILIA - CATANIA SEZ. III, sentenza 5-1-2005, n. 9, pag.
http://www.lexitalia.it/p/51/tarsiciliact3_2005-01-05.htm (sul recupero dei maggiori importi pagati agli
assessori di un comune a titolo di indennità di carica e sulla rilevanza o meno delle buona fede dei
percipienti).
Consiglio di Stato
Adunanza Generale del 22 ottobre 2007
n. prot. 145/07
Commissione speciale pubblico impiego
Gab. n. 3/07
Oggetto: Ministero dell’economia e delle finanze: Ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica proposto dalla Sig.ra Maria Letizia Caretti avverso il provvedimento di recupero di
un credito erariale di € 792,02.
Il Consiglio
Vista la relazione del 29 maggio 2006, trasmessa con nota n. 1116-7 del 9 gennaio 2007, con
la quale il Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento dell’Amministrazione generale
del personale e dei servizi del
Tesoro – Direzione centrale degli uffici locali e dei servizi del Tesoro, chiede il parere del
Consiglio di Stato in ordine al ricorso in oggetto;
Visto il decreto 21 marzo 2007 del Presidente del Consiglio di Stato che deferisce l’affare alla
Commissione speciale del pubblico impiego;
Rilevato che nell’adunanza del 13 giugno 2007 la Commissione speciale ha rimesso l’esame
dell’affare all’Adunanza generale del Consiglio di Stato;
Libero Sindacato Ufficiali Giudiziari
- www.lisug.it –
Esaminati gli atti e udito il relatore estensore Consigliere Filoreto D’Agostino;
Ritenuto in fatto quanto esposto nel ricorso e nella relazione dell’Amministrazione;
Premesso
La prof.ssa Maria Letizia Caretti, insegnante di scuola magistrale in congedo, con atto del 10
novembre 2005, ha proposto ricorso straordinario avverso il provvedimento del Dipartimento
del Ministero dell’economia e delle finanze, Direzione Provinciale dei servizi vari di Roma, prot.
n. 109963 del 23 giugno 2005, con il quale è stato disposto il recupero di un credito erariale
pari ad € 792,02, accertato per il periodo 1.7.1988/31.12.1995 in applicazione del decreto di
ricostruzione della carriera adottato dal Provveditorato agli studi di Roma del 2 luglio 1997 e
registrato dalla Ragioneria Generale dello Stato in data 8 maggio 1998.
A sostegno del gravame l’interessata deduce:
intervenuta prescrizione quinquennale del credito fatto valere dall’Amministrazione che si
riferisce ad importi percepiti negli anni 1988-1995;
- opponibilità della buona fede del percipiente;
- violazione della legge n. 241 del 1990, mancando l’indicazione del termine e dell’autorità per
la proposizione di una eventuale impugnativa;
- carenza assoluta di motivazione.
A conclusione l’interessata chiede, previa concessione della misura cautelare, l’annullamento
del provvedimento impugnato.
L’Amministrazione contesta quanto affermato in ricorso sul rilievo che il dies a quo per la
decorrenza della eccepita prescrizione, ai sensi dell’art. 2935 c.c., va individuato alla data (2
giugno 1998) di intervenuta efficacia del decreto dal quale sarebbe emerso il credito ora
contestato.
Il termine decennale invocato non è pertanto, decorso. Si rammenta ancora che gli importi in
questione erano stati liquidati all’interessata ai sensi dell’art. 172 della legge n. 312 del 1980.
Tale circostanza, rende irrilevante la dedotta buona fede.
L’Amministrazione conclude per la reiezione del ricorso.
Considerato
1. Il recupero qui contestato attiene ad importi indebitamente corrisposti nel periodo tra il 1
settembre 1988 ed il 31 dicembre 1995. La determinazione impugnata trae origine dalla
definizione del trattamento economico previsto dalla legge 11 luglio 1980, n. 312. Fuoriesce
pertanto dal contesto in esame ogni questione inerente la fase pensionistica.
Il trattamento fu assentito in via provvisoria ai sensi dell’art. 172 della stessa legge
(espressamente richiamato dall’art. 7 del d.l. n. 255 del 1981 che concerne la copertura
finanziaria del d.P.R. n. 271 del 1981, dall’art. 11 del d.P.R. n. 345 del 1983, dall’art. 41 del
d.P.R. n. 209 del 1987 e dall’art. 5, comma 3, del d.P.R. n. 399 del 1988) sulla base delle
comunicazioni delle scuole presso le quali la ricorrente prestava servizio.
2. Con il primo motivo di doglianza la ricorrente eccepisce, in via principale, l’intervenuta
prescrizione quinquennale e, in via subordinata, quella decennale.
Libero Sindacato Ufficiali Giudiziari
- www.lisug.it –
Applicando quest’ultima il credito risulterebbe parzialmente estinto, riducendosi la somma
legittimamente ripetibile a euro 102,80.
2. 1 Non è invocabile dall’esponente la prescrizione quinquennale, ai sensi dell’articolo 2948
codice civile ovvero del comma 1 dell’articolo 2 del decreto legge 19 gennaio 1939, n. 295
convertito nella legge 2 giugno 1939, n. 739, nel testo introdotto dall’art. 2 della legge 7
agosto 1985, n. 428.
Entrambe le previsioni normative appena richiamate riguardano i diritti relativi alla retribuzione
del lavoratore, che, a seguito della perequazione normativa introdotta con la legge n. 428 del
1985, si prescrivono per il pubblico e per il privato dipendente nel termine di cinque anni (per i
pubblici impiegati, da ultimo, C.d.S., IV, 27 dicembre 2006, n. 7880; C.d.S., V, 17 febbraio
2006, n. 621).
2.2. Il termine quinquennale riguarda evidentemente i diritti del dipendente così come
qualificati dalla prestazione lavorativa e non si estende fuori da tale ambito.
La prescrizione quinquennale, quali che siano le norme e le discipline di riferimento, è pur
sempre una causa di estinzione dei diritti derivanti dai rapporti indicati nelle relative fattispecie
e non dedotti da altre fonti.
2.3. Il pagamento di somme non dovute a titolo retributivo fuoriesce anche logicamente
dall’ambito delle situazioni che ricevono una peculiare disciplina in virtù della ritenuta esistenza
ed operatività di un rapporto di lavoro: il pagamento di tali somme non può essere regolato da
precetti relativi ad altra e speciale fattispecie. In mancanza di diversa ed espressa previsione
deve valere, per gli stessi, la prescrizione ordinaria prevista dall’art. 2946 c.c. (conformi sul
punto da ultimo: C.d.S., IV, 14 aprile 2006, n. 2150; C.d.S., VI, 27 novembre 2002, n. 6500).
3. Tanto premesso, si ritiene opportuno chiarire come esorbitino totalmente da ogni ipotesi
prescrizionale i pagamenti successivi al 15 luglio 1995, rispetto ai quali non sarebbe opponibile
la inutile decorrenza del tempo, inferiore ai dieci anni dalla comunicazione dell’atto di recupero.
3.1 La conclusione non è scalfita dalle argomentazioni svolte in ricorso.
3.2 Non è invero di ostacolo a quanto osservato la dizione "conguaglio da non recuperare"
contenuta negli allegati al provvedimento impugnata.
A tale proposito si rammenta, come correttamente rilevato dall’Amministrazione, che, con
quella espressione, il sistema informatico aveva solamente segnalato l’impossibilità di operare
una trattenuta su una partita di spesa fissa non più vigente essendo stata l’interessata
collocata in quiescenza.
4. Non trova riscontro nella documentazione in atti la dedotta violazione dell’art. 3 della legge
7 agosto 1990, n. 241 per asserita omessa indicazione del termine e dell’autorità cui proporre
ricorso. I detti elementi appaiono espressamente indicati nella seconda pagina del
provvedimento qui contestato.
La giurisprudenza è costante nell’affermare che l’omissione integra una mera irregolarità che –
ai sensi dell’art. 1, 3° comma, d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199 e dell’art. 3, 4° comma, della
legge 7 agosto 1990 n. 241 – comporta la riammissione in termini, ove l’interessato si sia
rivolto a giudice privo del potere di cognizione, entro sessanta giorni dalla pubblicazione della
pronuncia sulla giurisdizione (Cons. St., IV, 30 marzo 2000, n. 1814; Cons. St., sez. VI, 18
ottobre-2000, n. 5605.)
5. Analogamente infondato deve ritenersi il richiamo all’asserita buona fede nella percezione
della parte del trattamento economico, per il quale non può opporsi la prescrizione decennale.
Ciò per due ordini di considerazioni:
Libero Sindacato Ufficiali Giudiziari
- www.lisug.it –
- in primo luogo, l’eventuale sussistenza dell’invocato profilo psicologico non incide sulla
doverosità del recupero ma semmai sulle modalità di attuazione, atteso che viene qui in rilievo
un atto dovuto e privo di valenza provvedimentale;
- la corresponsione di quel trattamento economico era avvenuta in via provvisoria e salvo
conguaglio sulla base della comunicazione Mod. A, depositata in atti e sottoscritta alla
ricorrente "per presa visione e a titolo di incondizionata autorizzazione per eventuali recuperi di
somme indebitamente corrisposte", con espresso richiamo all’art. 172 della legge n. 312 del
1980.
6. In relazione alla situazione emergente all’applicazione della citata normativa, e
puntualmente richiamata nel provvedimento, quella dizione non può essere considerata mera
"clausola di stile". Essa risponde ad una precisa esigenza atta a configurare, nella accipiens, la
consapevolezza della provvisorietà delle somme erogate.
7. Ciò consente, anche, di ritenere infondata la denunciata carenza motivazionale perché,
nell’adozione di atti di recupero, l’Amministrazione non è tenuta a fornire un diffuso discorso
giustificativo, essendo sufficiente che vengano chiarite le ragioni per le quali il percipiente non
aveva diritto a quella determinata somma corrispostagli per errore.
Nel provvedimento impugnato e nell’allegato prospetto contabile sono stati puntualmente
indicati gli elementi fattuali di riferimento e la disciplina di cui si è fatta applicazione, sufficienti
a dar conto dell’iter logico seguito dall’Amministrazione per giustificare la scelta poi adottata.
8. Così delimitato il thema decidendum, resta da esaminare l’eccezione relativa all’invocata
prescrizione ordinaria a decorrere dalla data dei singoli pagamenti.
La questione verte sulla durata e sulla decorrenza della prescrizione opponibile avverso il
provvedimento di recupero del credito erariale relativo a differenze stipendiali corrisposte nel
periodo luglio 1988 – luglio 1995, conseguenti alla determinazione del trattamento economico
definitivo rispetto a quanto versato in via provvisoria ai sensi dell’art. 172 della legge 11 luglio
1980, n. 312.
8.1 L’Amministrazione sostiene che il termine decennale di prescrizione era pendente alla data
del provvedimento di recupero qui impugnato: il dies a quo coinciderebbe, in questa
ricostruzione, con la data di acquisizione degli atti da parte della Direzione provinciale dei
Servizi vari (giugno 1998), che costituirebbe la definitiva chiusura del procedimento.
Solo in presenza di un atto che definisse l’effettiva portata degli aumenti retributivi dovuti
poteva esercitarsi il recupero rispetto a quanto percepito sine titulo dalla dipendente. La
situazione rientrerebbe così nella fattispecie prevista dall’art. 2935 c.c., posto che, solo in esito
a quella procedura, era dato far valere i relativi diritti, con evidente riflesso anche sui termini
di decorrenza della prescrizione.
8.2 L’Amministrazione contesta peraltro l’ulteriore eccezione della buona fede del percipiens
per l’applicabilità dell’articolo 172 della legge n. 312 del 1980, che qualifica come provvisori i
pagamenti intervenuti antecedentemente agli atti che sanciscono, in modo non più revocabile,
l’effettiva ricostruzione della carriera.
8.3 Osserva l’Adunanza generale come la questione relativa alla buona fede non possa essere
dedotta nei profili fin qui considerati. Quando si invoca la prescrizione, cioè l’estinzione del
diritto del richiedente, non assume rilievo o incidenza la buona fede del percipiente perché gli
stati soggettivi del medesimo sono assolutamente neutrali rispetto alla circostanza che il diritto
in questione non può essere comunque fatto valere. Diversa conclusione sulla rilevanza della
buona fede è stata raggiunta, quasi a controprova di quanto qui osservato, rispetto alla
percezione della residua parte del credito sulla quale non opera la prescrizione.
Libero Sindacato Ufficiali Giudiziari
- www.lisug.it –
8.4. Tanto premesso, la disamina della proposta eccezione viene condotta secondo un percorso
argomentativo che stabilisca:
se effettivamente la data di acquisizione degli atti da parte della Direzione provinciale dei
Servizi vari costituisca dies a quo ai sensi e per gli effetti previsti dall’articolo 2935 c.c.;
se l’articolo 172 della legge n. 312 del 1980 determini una provvisorietà dei versamenti che
preclude il decorso dei termini di prescrizione.
9. La tesi dell’Amministrazione non può essere condivisa per ragioni sia di ordine generale sia
peculiari alla specifica vicenda.
9.1 E’ opportuno premettere che il ritardo nell’accertamento dell’indebito (dai primi pagamenti
effettuati nel 1988 alla acquisizione del decreto provveditoriale sopra richiamato intervenuta
nel 1998) è probabilmente frutto della difficoltà in cui versava l’Amministrazione nel liquidare,
dopo molti anni, trattamenti definitivi. Le modifiche ordinamentali introdotte dalla citata legge
n. 312 del 1980 hanno determinato, invero, una serie di provvedimenti e di adeguamenti di
varia specie riguardanti un numero elevatissimo di pubblici dipendenti, con aggravamento di
adempimenti e di competenze e con difficoltà operative per tutte le Amministrazioni
interessate.
9.2 Le difficoltà nelle quali si è trovata ad operare la pubblica Amministrazione sono, tuttavia,
ostacoli di mero fatto, dipendenti dai sovraccarichi di adempimenti e di incombenti derivanti
dalle innovazioni organizzative e dall’emersione dei conseguenti problemi di adeguamento
operativo. Le citate difficoltà, in altre parole, non derivano da alcun titolo giuridico, in base al
quale sarebbe stata impedita una più celere ricostruzione di carriera dell’odierna ricorrente.
9.3 La situazione esposta, infatti, non era originata da cause giuridiche che ostacolassero
l’esercizio del diritto, ma semplicemente da impedimenti di fatto, per dir così, ad una più celere
azione amministrativa.
9.4. Quando non si versi nel caso di un impedimento legale all’esercizio del diritto, non è
invocabile l’art. 2935 c.c. per ritardare la decorrenza della prescrizione (Cass. III, 7 novembre
2005, nn. 21500 e 21495; III, 28 luglio 2004, n. 14249; Lav., 7 maggio 2004, n. 8720; II, 28
gennaio 2004, n. 1547; IIII, 23 luglio 2003, n. 11451; III, 27 febbraio 2002, n. 2913; Lav, 11
dicembre 2001, n. 15622; I, 3 maggio 1999, n. 43891). In sintesi: la regola contra non
valentem agere non currit praescriptio trova applicazione solo in caso di impossibilità legale
all’esercizio del diritto e non certo per le difficoltà o anche le impossibilità di fatto nelle quali si
trovi il titolare della relativa posizione soggettiva
10. Accanto all’argomento di ordine generale, può prospettarsi una ulteriore ragione connessa
alla tesi secondo la quale ufficio del decreto provveditoriale era, tra l’altro, la determinazione
del credito erariale azionato con il provvedimento di recupero.
10.1 Basta, tuttavia, la lettura del decreto per smentire l’assunto. Il credito (cioè la
complessiva somma di euro qui richiesta ed allora commisurata nella moneta corrente) non è
affatto determinato e non vi è neppure un riferimento ai versamenti già effettuati.
10. 2 Il decreto di ricostruzione giuridica ed economica della carriera della professoressa
Caretti è composto di ben nove pagine, nelle quali sono determinate le successive decorrenze
delle retribuzioni dal 1° ottobre 1986 (di cui ben quattro collocate tra il primo gennaio e il
primo ottobre 1988) fino all’incremento del 1° luglio 1997. In quelle nove pagine non vi è un
solo accenno agli aumenti retributivi anticipati e non è neppure prevista la richiesta di
restituzione. Si legge a pagina 8 del provvedimento che anche il presente decreto viene
"emanato in via provvisoria" e che "le somme liquidate in esecuzione del presente atto sono
soggette ad eventuali conguagli o recuperi ove il provvedimento definitivo risulti difforme".
Libero Sindacato Ufficiali Giudiziari
- www.lisug.it –
10. 3 La formula è, in realtà, piuttosto anodina. Essa sembra riferirsi a pagamenti futuri (e non
certo a quelli passati, data l’impossibilità per questi ultimi di essere liquidati in base ad un atto
allora inesistente) e rinvia ad un successivo provvedimento definitivo, anch’esso incerto quanto
meno nel "quando". Nel frattempo, è bene soggiungere, l’odierna ricorrente è stata collocata in
quiescenza.
10. 4 La provvisorietà, già prevista dall’articolo 172 della legge 11 luglio 1980, n. 312, si
comunicherebbe così al decreto provveditoriale che ha invece, secondo deduce
l’Amministrazione, valore di consolidamento del diritto che si intenderebbe far valere.
10. 5 A prescindere dalla carenza di qualsiasi dichiarata volontà di esercitare il recupero per le
situazioni pregresse, è certo che, dalla lettura dell’atto, non è dato in alcun modo individuare
l’an e il quantum delle somme da recuperare.
10. 6 Perché un diritto possa essere fatto valere (senza considerare l’impossibilità giuridica o di
fatto nella quale versa il relativo titolare) occorre che la situazione soggettiva abbia una
consistenza e una determinazione (o una determinabilità evidentemente percepibile dalla
controparte) tale da costituire oggetto di una precisa individuazione. In mancanza, la posizione
del soggetto passivo sfumerebbe in mera soggezione all’esercizio di un diritto potestativo privo
di contenuti determinati, ben diversa cioè da quella debitoria.
L’assoggettabilità ad un recupero di incerta misura non equivale, pertanto, a determinazione
del relativo credito.
10. 7 Il provvedimento del Provveditore agli studi, in definitiva, né assume, in difetto di ogni
espressa formulazione, carattere di elemento individuante e legittimante il diritto e il relativo
esercizio né produce un effetto interruttivo proprio. Tanto meno l’effetto si sarebbe verificato
attraverso la piena evidenza che scaturiva dall’essere stata la notizia conformemente portata a
conoscenza dell’accipiens, in posizione quasi di possessore di buona fede ex art. 1148 c.c.
(Cass. I, 2 agosto 2006, n. 17538).
10. 8 Il percettore non era, in base a quel documento, in grado di individuare in modo
autonomo l’esistenza e la quantificazione di un debito: si tenga conto che la richiesta di circa
ottocento euro riguarda modeste maggiorazioni di retribuzioni mensili di oltre sette anni così
che la relativa ricostruzione poteva essere effettuata solo da un esperto contabile munito
dell’intera documentazione e di supporti informatici o di straordinaria abilità.
10. 9 L’atto di ricostruzione della carriera della dipendente non sembra assumere, nelle sue
espresse formulazioni, effetti qualificanti rispetto al pagamento di maggiori somme in anni
precedenti :
a) per la carenza di una manifesta volontà di tale senso;
b) per l’inidoneità dello stesso atto a fornire una diversa connotazione ai fatti a suo tempo
realizzatisi.
10. 10 Dovrebbe, peraltro, gravare sull’Amministrazione la consapevolezza della necessità,
nelle procedure di recupero, del passaggio intermedio, cioè della espressa e specifica
indicazione dell’ammontare della somma della quale si richiede la restituzione.
Nei relativi procedimenti, infatti, l’articolo 3 del regio decreto legge 19 gennaio 1939, n. 295
(convertito con legge 2 giugno 1939, n. 739) prescrive la previa comunicazione scritta del
"relativo provvedimento amministrativo". Per tale si deve intendere l’atto con il quale
l’Amministrazione assume di aver pagato somme prescritte o non dovute a titolo di stipendi o
di assegni equivalenti, ne quantifica l’ammontare e ne dispone il recupero.
10. 11 Il "relativo provvedimento amministrativo" ha il compito di quantificare il credito, di
indicarne la causa e il metodo eventualmente prescelto per il soddisfacimento della pretesa.
Libero Sindacato Ufficiali Giudiziari
- www.lisug.it –
L’Amministrazione non è conseguentemente legittimata al recupero in carenza dei prescritti
elementi giustificativi che, in quanto portati a conoscenza dell’ingiunto, determinano anche la
ragione dell’obbligo al coerente adempimento da parte del medesimo.
10. 12 Alla stregua di tali rilievi, l’affermazione secondo la quale il decreto più volte citato
assumerebbe valore di elemento determinante la decorrenza del termine a quo è frutto di una
considerazione non sufficientemente corredata da elementi concreti.
10. 13 Nella presente vicenda, invero, l’elencazione delle ragioni di dare e avere e la
formulazione della relativa richiesta di recupero vanno datate al giugno 2005, giusta il
prospetto riassuntivo allegato all’atto impugnato.
10. 14 Basta scorrere le tredici pagine di tabulati allegati al provvedimento per rendersi conto
che il primo ed unico atto di esatta indicazione delle somme e di loro richiesta è quello che, in
virtù della ricostruzione contabile, promuove il recupero.
10. 15 Eliminata ai fini dell’applicazione dell’art. 2935 c.c. la rilevanza dell’atto di ricostruzione
della carriera, il primo atto di esercizio del diritto coincide con quello nel quale lo stesso può
essere fatto valere.
10. 16 Il primo atto interruttivo e di esercizio del diritto è, in definitiva, quello impugnato così
che la decorrenza della prescrizione non può essere riportata indietro ad altro atto privo di quei
requisiti.
11. Va respinta altresì la tesi che la provvisorietà insita nel pagamento costituisca una causa di
impedimento alla decorrenza dei termini. Si tratta di stabilire i limiti di operatività dell’articolo
172 della legge 11 luglio 1980, n. 312. Recita la disposizione: "Gli uffici che liquidano gli
stipendi sono autorizzati a provvedere al pagamento dei nuovi trattamenti economici, in via
provvisoria e fino al perfezionamento dei provvedimenti formali, fatti salvi comunque i
successivi conguagli, sulla base dei dati in possesso o delle comunicazioni degli uffici presso cui
presta servizio il personale interessato relative agli elementi necessari per la determinazione
del trattamento stesso."
11.1 Occorre, in proposito, tenere conto del contesto di grande trasformazione
dell’Amministrazione pubblica e di revisione e rivalutazione delle posizioni di lavoro dei pubblici
dipendenti nel quale la norma si colloca.
Il precetto qui trascritto è preordinato a contemperare due opposte esigenze: da un lato,
agevolare il rapido conseguimento dei migliori trattamenti economici da parte dei dipendenti e,
dall’altro, rendere doveroso l’eventuale recupero o conguaglio da parte degli uffici, confinando
nell’irrilevanza (o meglio: negando in radice) la buona fede dell’accipiens.
11.2 Giova rammentare, infatti, che quasi trenta anni fa, la giurisprudenza amministrativa era
più propensa ad ammettere, nelle vertenze relative ai recuperi di somme indebitamente
versate a pubblici dipendenti, l’opponibilità della buona fede del percettore. La disposizione
recata nell’articolo 172 è, in questa prospettiva, particolarmente chiara: essa inibisce vicende
oppositive in ragione della buona fede e la conseguente soluti retentio di trattamenti economici
talora non esenti da errore perché conseguiti in base a faticose ricostruzioni di carriera.
In mancanza di tale disposizione, era ben difficile che potessero accelerarsi le operazioni di
pagamento dei nuovi trattamenti economici.
11.3 L’inquadramento del precetto nell’alveo di un processo di trasformazione con finalità di
salvaguardia dei comportamenti degli uffici erogatori dei nuovi trattamenti economici
costituisce implicitamente anche il limite di operatività dello stesso.
Libero Sindacato Ufficiali Giudiziari
- www.lisug.it –
Si tratta di norma con prevalente ma non esclusivo carattere d’azione, che legittima l’esercizio
successivo del conguaglio a fronte di una attività peculiarmente spedita in ragione delle
esigenze dei pubblici dipendenti.
11.4 La provvisorietà del pagamento non significa, pertanto, esclusione della fattispecie dal
novero di quelle regolate, per ogni altro aspetto, dalla disciplina e dal diritto comune, ma
semplicemente quello che è reso palese dalle parole nella loro accezione letterale. La
fattispecie precaria è priva di effetti sulla regolamentazione generale al di fuori degli ambiti
espressamente salvaguardati o derogati.
11.5 La norma, infatti, non sembra prevedere una sempiterna provvisorietà che solo l’atto di
conguaglio, in esito al perfezionamento del provvedimento formale, potrebbe modificare così
da rendere le relative fattispecie esenti dall’applicazione degli articoli 2934 e seguenti del
codice civile.
11.6 Per poter predicare ciò occorrerebbe che la disposizione fosse esplicita sulle vicende alle
quali espone le situazioni soggettive, precisando la loro inidoneità a consolidamento di sorta e
la non operatività, sulle stesse, degli ordinari fattori decadenziali o prescrizionali. L’articolo
2934 c. 2 c.c., infatti, impone l’esplicita indicazione legislativa dei diritti non soggetti a
prescrizione: il solo riferimento alla provvisorietà del pagamento non comporta che alla
fattispecie non debbano essere applicate, nei rispettivi ambiti, le discipline per le quali non sia
prevista una esplicita causa di esclusione.
11.7 Si tratta di vicende che si collocano in diversi livelli.
La provvisorietà delimita le modalità del pagamento in funzione dell’eventuale conguaglio; la
prescrizione opera indipendentemente dalla qualificazione della provvisorietà, posto che
quest’ultima non concerne il titolo, ma solo le modalità della prestazione.
Diversamente opinando, si correrebbe il serio rischio di poter escludere, anche per via pattizia,
l’applicazione di un istituto preordinato alla sicurezza dei rapporti giuridici.
11.8 Tra una pluralità di interpretazioni, peraltro, va sempre data preminenza a quella
coerente con i valori costituzionali e con i principi generali del diritto.
Una norma che, attraverso il mero riferimento alle modalità del pagamento (per certi versi in
modo obliquo), intendesse sottrarre all’istituto generale della prescrizione talune situazioni si
porrebbe in contrasto con i canoni: della ragionevolezza (poiché consentirebbe una non
giustificata disparità di trattamento rispetto a quanto avviene nei rapporti privatistici senza
neppure enunciare la ragione della specialità della previsione), dell’utilità sociale (in virtù del
quale l’esercizio dei diritti corrisponde alle esigenze della intera collettività e alla propulsione
delle attività economiche) e della certezza dei rapporti giuridici, che è l’habitat naturale di ogni
ordinato sviluppo sociale.
12. L’Adunanza generale ritiene pertanto più coerente, anche sotto un profilo sistematico,
l’interpretazione propugnata da parte ricorrente, secondo la quale i termini decorrono dalla
corresponsione di quanto non dovuto. Rispetto a tale vicenda solo un atto recante una esplicita
richiesta restitutoria può determinare l’effetto interruttivo. Tale vicenda si sarebbe verificata,
secondo quanto sin qui osservato, per le mensilità maturate e corrisposte dopo il 15 luglio
1995 (essendo stato notificata la richiesta di restituzione il 15 luglio 2005).
12.1 Le conclusioni qui raggiunte muovono da considerazioni per dir così strutturali della
ripetizione d’indebito oggettivo, nella quale va inquadrata la vicenda in esame.
12.2 L’istituto ha subito una notevole evoluzione concettuale dalla originaria configurazione di
spostamento di beni e diritti patrimoniali in carenza di un titolo. Dopo aver incentrato
l’attenzione sull’inapplicabilità di strumenti omologanti a figure contrattuali, la dottrina ha
Libero Sindacato Ufficiali Giudiziari
- www.lisug.it –
progressivamente accentuato i caratteri di sicura connessione alla struttura del fatto, nel quale
si sostanzierebbe la prestazione dell’indebito.
Alla radice di quest’ultimo vi sarebbe un fatto che connota una fattispecie solutoria sine titulo.
12.3 L’art. 2033 c.c., infatti, configura i presupposti della condictio nel pagamento, cioè in un
atto che, per mancanza della legittimazione connessa alla doverosità o quanto meno alla
obbligatorietà, diviene per ciò stesso un fatto che espone immediatamente una originaria
incongruenza con l’ordinamento giuridico.
Ciò è evidente nel raffronto con il successivo art. 2034 c.c., che presuppone, per contro,
l’esistenza di doveri morali e sociali i quali divengono, a loro volta, causa legittimante
l’irripetibilità. La totale mancanza di causa e di qualsivoglia obbligazione morale e sociale rende
privo di ogni qualificazione il pagamento e ne determina la sua riduzione a mero fatto, nel
quale assume rilievo la mera esecuzione della solutio.
12.4 Il fatto, considerato nella sua essenziale struttura, non presenta elementi di qualificazione
diversi da quelli propri del momento della esecuzione. Per ripristinare il riequilibrio connesso
alla ripetizione occorre che il peculiare evento sia eliminato attraverso una specifica azione, la
ripetizione d’indebito appunto, che presenta elementi di analogia con l’azione di nullità per
difetto di causa (così Cass. 6 febbraio 1987, n. 1250). Ciò implica che sia vagliato e qualificato
il contenuto del contegno del solvens, diversamente non ascrivibile ad archetipi valutativi
ragionevoli.
12. 5 Ne discende come non possa darsi al fatto altra qualificazione di quella che lo stesso
presenta per il suo essere in sé, con inevitabili conseguenze sulla decorrenza.
Se tutti gli effetti del fatto si sono realizzati nel momento del suo porsi, non possono - in linea
di principio - acquisire valore qualificativo elementi successivi e non coordinati con quello in un
rapporto di stretta dipendenza. L’indebito è tale per l’immediato contrasto con la norma che
regola l’obbligazione retributiva così che non acquista valore decisivo la circostanza che siano
stati adottati atti illegittimi di pagamento.
Se il contrasto è immediato e si realizza nel corrispondere il "non dovuto", ogni ulteriore
considerazione e qualificazione del fatto può e deve essere inserita nell’ambito del
consolidamento delle situazione soggettive e non al di fuori di ogni logica rispetto a quelle.
12.6 Si intende affermare come il decorso del tempo, senza che un effetto interruttivo proprio
si sia verificato e sia stato conformemente portato a conoscenza dell’accipiens, operi a
vantaggio della cristallizzazione del rapporto indipendentemente dalla doverosità o meno della
solutio.
13. Accanto alla ragione per dir così strutturale altre possono essere evocate per identica
conclusione.
13.1 Un argomento può desumersi proprio dalla comparazione e ponderazione tra due
situazioni giuridiche che, ancorché diversamente qualificate, finiscono per confluire nel
pagamento di somme a titolo (o con l’apparenza di un titolo) di retribuzione: da un lato, la
diversa prescrizione relativa ai crediti retributivi del lavoratore (certamente quinquennale) e,
dall’altro, quella decennale per ripetizione di somme corrisposte sine titulo nell’ambito del
rapporto di lavoro.
13.2 Opera nel nostro ordinamento il già richiamato principio di ragionevolezza quale supremo
canone di coesione interna del sistema, con l’ufficio di indirizzare l’interpretazione giuridica a
soluzioni coerenti. In virtù di tale principio non potrebbe negarsi il carattere di evidente
sproporzione in un rapporto sostanzialmente paritetico (quale quello retributivo) alla posizione
del datore di lavoro legittimato, attraverso la formazione di propri atti, a utilizzare termini
prescrizionali molto ampi (tali da variare, nella specie, dai diciannove ai dieci anni dal
Libero Sindacato Ufficiali Giudiziari
- www.lisug.it –
momento del pagamento dell’indebito). La posizione non si rivelerebbe armonica con quella del
prestatore d’opera, che vede spirare nel termine quinquennale ogni ragione per ottenere le
retribuzioni spettantegli.
13.3 Se si colloca questa vicenda all’interno dell’articolo 36, c. 1 Costituzione, che assegna alla
retribuzione il primario compito di assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza
libera e dignitosa, non v’è dubbio che la prescrizione quinquennale operi in un contesto di
situazioni ad alto tasso di rilevanza sociale e di coerenza con i supremi valori del nostro
ordinamento (ribadendosi anche in questa sede come sulla dignità dell’uomo sono parametrati
tutti i valori di rilievo costituzionale, anche se non in modo esplicito come nell’articolo 1 della
GrundgGesetz germanica: sul punto C.d.S., II, 9 novembre 2005 n. 3389/2005).
Con una valutazione evidentemente equitativa e tale da non compromettere il perseguimento
di quei valori, il legislatore ha ritenuto lo spirare di un quinquennio come termine sufficiente
per ritenere superate quelle istanze.
13 .4 Sarebbe illogico e contrario alla medesima ratio spostare ben oltre il pur lungo termine
decennale l’assoggettabilità alla condictio di quanto ricevuto a titolo, seppure inesistente, di
retribuzione. Si determinerebbe, infatti, una rilevante asimmetria nel sistema, che, mentre
assegna una prescrizione breve per l’esercizio dei diritti connessi con la prestazione lavorativa,
per altro verso, legittima ben oltre il decennio la ripetizione delle somme versate ancorché non
dovute per il medesimo titolo retributivo e utilizzate - quasi per definizione – per soddisfare le
primarie esigenze che l’articolo 36, c. 1 Cost. presidia.
13.5 Seguendo le tesi dell’Amministrazione, la vicenda esporrebbe la soggezione del
dipendente con incerto termine finale, che potrebbe lambire quasi i venti anni dal primo
parziale versamento sine titulo.
14 Ne consegue che le differenze stipendiali corrisposte fino al 15 luglio del 1995 devono
ritenersi prescritte.
15. Per le suesposte considerazioni dinanzi espresse il ricorso, con la connessa istanza di
sospensione, va accolto nei limiti di cui in motivazione.
P.Q.M.
L’Adunanza generale esprime il parere che il ricorso, unitamente alla richiesta misura cautelare
contestualmente avanzata, debba essere accolto nei sensi di cui in motivazione.
Visto:
Il Presidente
(Mario Egidio Schinaia)
L’Estensore
(Filoreto D’Agostino)
Depositato il 22 ottobre 2007.
Libero Sindacato Ufficiali Giudiziari
- www.lisug.it –