Capitolo 3 Forze elementari 3.1 Costituenti della materia La materia usuale, ed in particolare la quasi totalità degli oggetti di interesse biologico, è formata da solo tre tipi di costituenti elementari: elettroni, protoni e neutroni. A livello macroscopico questi costituenti elementari si manifestano attraverso due sole caratteristiche: la loro massa e la loro carica elettrica. La unità di misura della prima è il chilogrammo (kg) quello della seconda il Coulomb (C). massa (kg) carica (C) elettrone 9.10938 10−31 -1.60218 10−19 protone 1.67262 10−27 1.60218 10−19 neutrone 1.67493 10−27 0 Come si vede la massa del protone mp e quella del neutrone mn sono circa eguali mentre il rapporto tra la massa del protone e quella dell’elettrone mp /me ' 2000. La carica del neutrone è nulla mentre protone ed elettrone hanno cariche esattamente opposte. Si osservi che la conoscenza dei valori dei queste grandezze è molto accurata, come si evince dal numero di cifre con le quali sono espresse nella tabella. Si tratta in effetti di grandezze la cui conoscenza quantitativa è tra le più precise dell’intera scienza. La piccolezza delle masse delle particelle elementari, rispetto alla massa dei corpi dei quali abbiamo esperienza diretta implica che il numero di particelle elementari in un corpo macroscopico è enorme. La scala è fissata dal numero di Avogadro NA = 6.02214 × 1023 che indica il numero di particelle che costituiscono una certa porzione di materia. Il numero di Avogadro serve a confrontare la massa delle sostanze omogenee, ossia costituite da uno stesso tipo di atomi o molecole. Un numero di Avogadro di una particolare sostanza è detta anche una mole di quella sostanza e la sua massa è detta anche massa molare che qui indichiamo con la lettera greca µ e che viene espressa convenzionalmente in grammi. Oggi, si è giunti a 1 2 definire operativamente la mole come il numero di atomi di Carbonio1 che ha una massa di 12 g. Pertanto si fissa convenzionalmente: µ12 C = 12 g Ci si può domandare perché adottare una convenzione quando potremmo, come per un corpo macroscopico composto di più parti, fare la moltiplicazione della massa del protone per il numero dei protoni per ogni nucleo e lo stesso per i neutroni e poi moltiplicare per il numero di Avogadro, ossia per il numero di atomi (nuclei) in una mole. Troveremmo con i dati della tabella: (6mp + 6mn ) ∗ NA = 12.09g ossia una massa più grande di quella riportata, avendo anche trascurato il piccolo contributo della massa degli elettroni. Questa differenza prende il nome di difetto di massa ed indica che non è possibile sommare in senso stretto le masse su scala nucleare in quanto non si tiene conto dei legami che si stabiliscono tra i nucleoni. In senso approssimato, tuttavia, la coincidenza tra la somma delle masse dei componenti elementari citati sopra e la massa delle molecole che ne sono composte è una forte indicazione di questa visione unificata della struttura elementare della materia che ha del resto molte altre conferme. Consultando la tabella periodica degli elementi si osserva che per ogni elemento viene riportato il peso atomico. Questo è la massa in grammi di una mole di un campione naturale dell’elemento. Nella figura si vede che per il carbonio il numero è circa 12.01. Ciò indica che una mole di carbonio naturale, che è composta da certe percentuali dei vari isotopi del carbonio, ha una massa di 12.01 grammi. Es.1 Verificare che per l’idrogeno il peso atomico indicato nella tabella periodica coincide alla quarta cifra con la somma della massa di una mole di protoni ed una di elettroni. Le relazioni fisiche fra questi oggetti elementari, protoni, neutroni ed elettroni, sono espresse dalle forze reciproche. È sorprendente che esistano, 1 Nella forma isotopica più comune, detta Carbonio-12, in cui il nucleo è composto oltre che dai 6 protoni caratteristici dell’elemento (numero atomico Z=6), da 6 neutroni F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 3 solo due tipi di relazione, in corrispondenza delle due caratteristiche precedenti, la forza gravitazionale e la forza elettrica (le forze di tipo magnetico sono legate a quelle di tipo elettrico e saranno analizzate più avanti mentre quelle di tipo nucleare che sono responsabili, ad esempio, del citato difetto di massa verranno solo accennate). Le forze gravitazionale ed elettrica hanno la stessa forma e si scrivono: Fgrav = −G m1 m2 2 r12 Fel = 1 q1 q2 2 4π0 r12 Il segno + o - nelle formule precedenti indica una forza repulsiva o attrattiva. r12 è la distanza relativa, quindi entrambe le forze decrescono come il quadrato della distanza. La forza gravitazionale è sempre attrattiva mentre quella elettrica è attrattiva fra particelle di carica opposta e repulsiva fra particelle di carica uguale. In unità SI, le due costanti, G che è detta costante di gravitazione universale e 0 che è detta costante dielettrica del vuoto valgono: G = 6.67 10−11 N m2 kg 2 0 = 8.85 10−12 C2 (F/m) N m2 Una buona regola mnemonica per ricordare la seconda delle due, almeno in modo approssimato, è ricordare il valore della costante che compare in Fel : 1 ' 9 109 m/F 4π0 Per la forza di gravitazione universale si ricordi che la espressione della forza di attrazione scritta sopra vale in principio per due masse puntiformi. In effetti, come già dimostrò Newton, la stessa espressione vale per la forza tra due corpi sferici omogenei di massa m1 ed m2 i cui centri sono a distanza r12 . Sulla superficie della Terra un punto materiale di massa m subisce la forze di attrazione del pianeta. Abbiamo chiamato questa forza peso ed il suo modulo è stato finora espresso con P = mg in cui il valore d g è in unità SI, g = 9.81 N/kg. La forza peso è però la stessa forza espressa dalla legge di gravitazione per cui, approssimando la Terra come una sfera, si ha anche: P =m GMT RT2 da cui ricaviamo l’espressione per g in termini della costante di gravitazione e della massa MT e del raggio RT della Terra: g= GMT RT2 F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 4 Es.2 Conoscendo il valore di g, il raggio (medio) della sfera terrestre RT = 6371 km ed il valore di G (vedi sopra) si stimi la massa della terra e la si confronti col valore accettato (vedasi, ad es., http://en.wikipedia.org/wiki/Earth mass. Sapendo che la massa di Giove è circa 320 volte la massa della Terra ed il suo raggio circa 11 volte quello della Terra con quale forza (peso gioviano) una massa di 70 kg viene attratta sulla superficie di Giove?. Es.3 Assumendo che la densità della Luna sia uguale a quella della Terra e sapendo che il campo di gravità gLuna è circa 1/6 di quello della Terra si dia una stima del rapporto tra il raggio della Luna e quello della Terra, approssimate come delle sfere. In effetti, il raggio della luna è poco più di 1/4 di quello della Terra. Da questo dato si può dedurre se la densità (media) della Luna è maggiore o minore di quella della Terra. E quanto vale il rapporto tra la densità media della Luna e quella della Terra? È cruciale avere chiare due differenze fra le forze precedenti: • Le forze gravitazionali sono sempre attrattive, mentre quelle elettriche possono essere sia attrattive che repulsive. • Le due forze hanno una intensità enormemente diversa. Ad esempio usando le costanti precedenti, il rapporto fra l’intensità della forza gravitazionale e di quella elettrostatica fra due protoni a distanza r (il risultato non dipende da r ): Gm2p m2p Fgrav 2 r = = 4π0 G 2 ' 8.09 10−37 2 F el qp 1 qp 4π0 r2 È quindi chiaro che le forze gravitazionali diventano rilevanti solo quando le forze elettriche sono schermate e per un gran numero di particelle (pianeti, stelle etc.). 3.2 La nozione di campo di forza Abbiamo incontrato già la nozione di campo quando abbiamo parlato della descrizione della variazione spaziale di una grandezza fisica. Si parla di campo ogni volta che siamo interessati ad una grandezza fisica che assume valori in una certa regione dello spazio. Ad esempio, si parla di campo della temperatura di una sbarra se si vuole intendere che per ogni punto P della sbarra, individuato ad esempio dalla sua distanza x da uno degli estremi è data la temperatura in quel punto T (x). La temperatura, come la pressione sono grandezze fisiche scalari e i campi di temperatura e di pressione sono quindi detti campi scalari. Se considero una grandezza vettoriale che assume valori nei punti di una certa regione dello spazio ho a F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 5 che fare con un campo vettoriale. Ad ogni punto P è associato il vettore che descrive la grandezza in esame: avrò dunque una funzione ~v (P ) che ad ogni punto P associa il vettore ~v . Risulta molto utile trattando di forze elementari introdurre il concetto di campo di forze. In effetti, è intuitivo che la Terra esercita una forza gravitazionale su un corpo posto in un punto qualunque, sia vicino alla sua superficie, sia più lontano sia anche su corpi che si trovano all’interno della sfera terrestre. Si dice che la Terra origina un campo di forze, il campo gravitazionale terrestre nei punti dello spazio. Un corpo di massa m posto in un punto P dello spazio circumterrestre (o anche intraterrestre) risente di una forza, diretta verso il centro della Terra. Come sappiamo questa forza è direttamente proporzionale alla massa m del corpo. Possiamo quindi scrivere la forza come: F~ (P ) = m~g (P ) Si sono espressamente indicate le grandezze che dipendono dalla posizione della massa m. Il rapporto tra la forza peso e la massa prende appunto il nome di campo gravitazionale terrestre ~g (P ). È utile pensare alla equazione precedente in questi termini: un oggetto (particella) crea un campo, cioè un potenziale intreccio di relazioni possibili, un secondo corpo (particella) entrando in questo campo subisce una forza, che è appunto l’effetto del campo. Il lettore può pensare al campo come alla ragnatela ed alla sorgente come al ragno. A causa dei nostri sensi e della particolarità delle interazioni noi vediamo le particelle ma non vediamo direttamente la ragnatela in condizioni statiche. In effetti sono le variazioni di queste ragnatele (campi) che sono per noi ben visibili, e più avanti mostreremo che tali variazioni, per certi intervalli dei parametri costituiscono le onde radio, la luce visibile etc. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 6 Campo di una sorgente puntiforme Consideriamo l’espressione della forza gravitazionale tra un corpo di massa m1 ed uno di massa m2 , considerati puntiformi o sferici. Possiamo considerare l’influenza gravitazionale del primo sul secondo pensando che m1 è all’origine di un campo gravitazionale che in ogni punto dello spazio, a distanza r da m1 , è descritto da un vettore diretto verso m1 e di modulo: g(r) = G m1 r2 In figura sono mostrate alcuni vettori disegnati nei punti intorno a m1 . Ciascuno di loro rappresenta in direzione modulo (lunghezza) e verso il campo gravitazionale originato dalla massa m1 che viene detta sorgente del campo. Seguendo la forma dell’espressione precedente si può dire che il campo gravitazionale di una massa puntiforme m in un punto P è inversamente proporzionale al quadrato della distanza di P da m. Es.4 Di quanto diminuisce il campo gravitazionale di una massa puntiforme se raddoppio la distanza da essa del punto nella quale lo misuro? E se quadruplico la distanza? Se in un punto P del campo generato dalla massa m1 pongo una massa m2 essa risente di una forza che è il prodotto di m2 (una grandezza scalare) per il campo gravitazionale (una grandezza vettoriale). In modulo se il punto d è a distanza d dalla sorgente del campo: m1 d2 espressione che già conoscevamo. La cosa interessante è che questo tipo di procedura vale ogni volta che in una certa regione dello spazio ci sia un campo gravitazionale ~g (P ) che sia prodotto da una sorgente in ogni modo complessa. La forza che una massa puntiforme m posta nel punto P sente vale: F~ = m~g (P ) F = m2 g(d) = m2 G F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 7 Da un altro punto di vista, ciò fornisce un metodo di misura del campo gravitazionale in un punto qualunque dello spazio. Si mette in quel punto una particella di massa m, si misura la forza cui è sottoposta (si pesa la particella). La divisione tra la forza misurata e la massa della particella dà il campo gravitazionale in quel punto. È intuitivo, data la forma simile della espressione della forza elettrica e di quella gravitazionale che sia conveniente considerare una carica puntiforme q1 come la sorgente di un campo elettrico nei punti dello spazio. Il campo in un punto P ha intensità proporzionale alla carica q1 ed inversamente proporzionale al quadrato della di P dalla sorgente. Volendo che la forza elettrica su una carica q2 sia semplicemente il prodotto di q2 per il campo elettrico F = q2 E vale: 1 q1 E= 4π0 r2 Si osservi che con questa definizione il campo elettrico in un punto può essere definito come la forza che una carica unitaria positiva sente se viene posta in quel punto2 . Il segno della carica di prova deve essere specificato perché va notato che, mentre nel caso gravitazionale, il campo è sempre diretto verso la sorgente (campo attrattivo) il campo elettrico di una carica puntiforme è uscente, ossia le frecce sono dirette ai punti lontani, di una carica sorgente positiva. Questo riflette il fatto che tra due cariche positive la forza è repulsiva ed è attrattiva tra una carica negativa ed una positiva. Additività dei campi Ciò che rende cosı̀ utile il concetto di campo è l’additività. Per essere espliciti parliamo qui di seguito del campo elettrico, ma le stesse considerazioni valgono per il campo gravitazionale. Consideriamo tante sorgenti, ad esempio N cariche puntiformi disposte in modo qualsiasi. Ogni carica, considerata singolarmente in assenza delle ~ i . Quello che si verifica è che la presenza contemaltre, crea un campo E poranea delle cariche crea un campo totale uguale alla somma dei singoli campi: ~ =E ~1 + E ~ 2 + ...E ~N E Poichè conosciamo il campo generato da una singola particella, il compito di calcolare il campo generato da un insieme di particelle è semplicemente 2 Si faccia attenzione che con questa definizione operativa di campo gravitazionale od elettrico come la forza che una certa massa o carica subisce quando è posta in un certo punto dello spazio, assumiamo che la presenza di questa massa o carica di prova non influenzi significativamente la posizione delle sorgenti del campo e quindi il campo stesso. In una operazione di misura concreta questa assunzione dovrà essere controllata e la procedura è tanto più attendibile quanto più piccola è la massa (carica) della particella di prova. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 8 una questione di pazienza, o di abilità e/o velocità a fare le somme. Questo programma è basato sull’idea che, qualunque sia la distribuzione nello spazio delle sorgenti di un determinato campo, ad esempio la massa all’interno del volume di un pianeta non omogeneo e di forma complicata, si può suddividere questo insieme di sorgenti in porzioni piccole a piacere, trattare ciascuna di queste piccole parti (particelle) come sorgenti puntiformi e sommare i campi di tutte le piccole parti. In alcuni casi questa operazione non è strettamente necessaria in quanto è possibile con buona approssimazione valutare il campo elettrico o gravitazionale. Citiamo due casi: • Un risultato abbastanza intuitivo ma che si può dimostrare rigorosamente è il seguente: se guardo un insieme di sorgenti da lontano, cioè se si considerano delle sorgenti a distanza r d, dove d l’ordine di grandezza della dimensione della zona con sorgenti, allora il campo è molto ben approssimato da quello di una sorgente puntiforme, posta nella regione delle cariche, con massa (o carica) uguale alla somma delle masse, o cariche. Ad esempio a grande3 distanza r da un qualunque sistema tipo pianeta, asteroide, stella etc. con massa totale M il campo gravitazionale generato da questa sorgente è g(r) = G M r2 Allo stesso modo un insieme di sorgenti con una carica netta Q provoca a grande distanza approssimativamente un campo: E= 1 Q 4π0 r2 • Un altro risultato, valido letteralmente, che qui diamo per buono senza dimostrazione è il seguente: se si ha una distribuzione di carica (o di massa) sferica, allora il campo a distanza r dal centro è identico a quello generato dalla massa (o carica) che presente fino ad r, come se questa fosse concentrata nell’origine. In formule se indichiamo con M (r) la massa del corpo fino ad r ovvero con Q(r) la carica fino ad r, allora: g(r) = G M (r) r2 E= 1 Q(r) 4π0 r2 3 (2.1) Insistiamo sul fatto che se la distanza è grande non è importante distinguere da quale punto dell’insieme di sorgenti viene misurata. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 9 Esempio svolto: campo gravitazionale dentro la Terra Illustriamo l’ultimo risultato calcolando il modulo del campo gravitazionale all’interno della Terra, a distanza x dal centro, assumendo la Terra come una sfera di raggio RT e massa totale MT . Per semplicità assumiamo che internamente la Terra sia omogenea, anche se il risultato che vogliamo illustrare può essere esteso al caso in cui la densità dipende solo dalla distanza dal centro. Chiamiamo dunque ρT la densità della Terra. La massa che si trova ad una distanza fino ad x è data dal prodotto della densità per il volume della sfera concentrica alla terra e di raggio x: 4 M (x) = ρT πx3 3 D’altra parte la densità si ricava dal rapporto tra la massa totale ed il volume totale della sfera terrestre: MT ρT = 4 3 πR 3 T che, sostituita nella precedente fornisce: M (x) = MT x3 RT3 Infine per il campo gravitazionale nel punto interno si ricava: g(x) = G M (r) GMT GMT x x = x= =g 3 2 2 x RT RT RT RT (2.2) Il risultato finale è espresso attraverso il campo di gravità superficiale g il cui valore è ben noto. Si osservi che per x = 0 il campo gravitazionale è nullo, come ci aspettiamo per motivi di simmetria. Inoltre esso è, nelle approssimazioni fatte, direttamente proporzionale alla distanza dal centro. Si noti che il risultato (2.1) vale anche all’esterno della distribuzione sferica di sorgenti, di raggio R. Per un punto a distanza x > R la massa (carica) che si trova a distanza inferiore di x è M (R) (o Q(R)), ossia tutta la massa (carica). Ritroviamo il risultato ben noto che il campo al di fuori di una sfera di massa totale M vale: g(x) = GMT x2 ossia decresce come il quadrato della distanza dal centro. Es.5 Si calcolino le due espressioni per il campo all’interno ed all’esterno della Terra, considerata sferica nel punto x = RT . Il campo gravitazionale è continuo? Si tracci il grafico del modulo del campo nell’intervallo x = (0, 3RT ). È continua la derivata rispetto ad x del campo gravitazionale? F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 10 Rappresentazione grafica dei campi vettoriali Il paradigma della teoria atomica e poi della fisica moderna è che gli oggetti macroscopici sono il risultato dell’assemblaggio di varie componenti microscopiche (elettroni e nuclei atomici essenzialmente) in strutture via via più complesse e dei loro campi. Per cosı̀ dire, lo spazio tra una particella e l’altra non è privo di proprietà, ma è costituito dai campi, ad esempio i campi vettoriali elettrico e gravitazionale, dei quali le particelle sono le sorgenti. Risulta utile, quindi, una procedura per visualizzare in forma grafica la presenza di questi campi vettoriali. Una delle possibilità è rappresentarli scegliendo nello spazio un insieme più o meno fitto di punti e a partire da ciascuno di essi disegnare una freccia che rappresenta il campo vettoriale avente direzione e verso del campo e lunghezza proporzionale alla sua intensità. NOTA BENE: Per un dato campo, es. campo elettrico, l’origine del vettore è dove lo si misura, NON dove posta la sorgente (cosa senza senso visto che un dato campo può essere generato da molteplici sorgenti puntiformi). Ad esempio il campo gravitazionale generato dal sistema Terra - Luna potrebbe essere rappresentato grossolanamente dalla seguente figura; La figura mostra che vicino alla Terra l’influenza della Luna è piccola. Le frecce che rappresentano il campo nei punti intorno alla Terra sono tutte della stessa lunghezza e puntano verso il centro della Terra. Se la luna non ci fosse, il campo gravitazionale prodotto dalla sola massa terrestre avrebbe F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 11 le stesse caratteristiche, diminuendo in modulo all’allontanarsi dal pianeta. La presenza della Luna modifica il campo gravitazionale totale nella regione che si trova tra i due corpi celesti. Ogni freccia che è rappresentata in figura è la somma nel punto da cui parte dei due campi: ~g = ~gterra + ~gluna Esercizio svolto Sulla linea congiungente la terra e la luna i campi prodotti dai due corpi celesti hanno la stessa direzione e verso opposto. Ci domandiamo se esiste un punto in cui la risultante dei due campi è nulla. Scegliamo un asse che dal centro della terra, preso come origine O dell’asse, va al centro della luna. I due punti distano in media4 dT L = 380000km. In un punto P che si trova su questo asse alla distanza generica x dall’origine il campo gravitazionale terrestre è diretto verso O e quindi ha componente negativa: GMT gterra (P ) = − 2 x Il campo prodotto dalla massa lunare è diretto verso la luna, ha quindi verso positivo per la scelta che abbiamo fatto dell’asse, e la sua componente vale: gluna (P ) = GML (dT L − x)2 ) Per l’additività dei campi nel punto P il campo è la somma (vettoriale) dei due campi. Quindi la condizione di annullamento è che la somme delle componenti sia nulla: − GMT GML + =0 2 x (dT L − x)2 ) con la condizione che la soluzione sia compresa tra 0 e dT L . Chiamata α il rapporto tra la Massa della luna e quella della Terra l’equazione sopra si riscrive: 1 α = 2 x (dT L − x)2 ovvero, facendo l’inverso di ambo i membri e moltiplicando per α: αx2 = (dT L − x)2 4 Durante il moto dei corpi la distanza varia. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 12 e, estraendo la radice: √ αx = dT L − x da cui: x0 = dT L √ 1+ α Numericamente, la massa della Terra è MT = 5.98 1024 kg, quella della Luna ML = 7.36 1022 kg da cui α = ML /MT ' 0.0123 e, dunque: x0 = Es.6 3.83 105 km √ ' 3.45 105 km 1 + 0.0123 La distanza Terra-Sole è circa centocinquanta milioni di chilometri. Sapendo che il rap- porto tra la massa della Terra e quella del Sole è circa tre milionesimi, a che distanza dal centro della Terra si trova, sulla congiungente Terra-Sole il punto in cui i due campi si annullano? Linee di campo Un modo alternativo di rappresentare un campo vettoriale è usare le cosiddette linee di campo, ovvero delle curve che sono punto per punto tangenti alla direzione del campo. Un esempio per un insieme di cariche elettriche puntiformi di segno alternato è rappresentato in figura. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 13 Il tracciamento accurato delle linee di campo in una situazione data anche semplice come è quella di un piccolo numero di cariche è piuttosto laborioso e non rientra nei limiti di questo corso. Quello che è richiesto è di sapere leggere un diagramma di linee di campo. In un punto dato del diagramma il campo vettoriale è tangente alla linea di campo che passa per quel punto o a quella che si deduce dalla forma delle linee vicine. Si osservi che le linee di campo non si intersecano mai. Infatti, se si intersecassero in un punto vorrebbe dire che in quel punto il campo avrebbe due direzioni diverse, il che non è possibile. L’intensità del campo nelle diverse zone è generalmente indicata da quanto sono infittite le linee di campo. Dove sono più fitte l’intensità è proporzionalmente maggiore. Dove sono diradate il campo è piccolo. Si noti anche che vicino alle cariche puntiformi le linee di campo diventano radiali ossia sono disposte lungo i raggi che partono dalla carica. Ovviamente questo dipende dal fatto che vicino alla carica prevale il campo della singola carica e questo abbiamo visto che ha un andamento radiale. Per le cariche negative le linee di campo sono entranti5 e per le cariche positive sono uscenti. Esercizio: usare la rete Ci sono, come sappiamo molti modi per usare la rete web. Uno di questi è di trovare strumenti di approfondimento e di studio. Qui mostriamo una pagina interattiva che consente di visualizzare le linee di campo di un insieme di cariche elettriche. La pagina è ospitata dal Politecnico della California (CalTech) all’indirizzo http://www.its.caltech.edu/ phys1/java/phys1/EField/EField.html e contiene anche le istruzioni per usarla. Qui diamo brevemente alcuni suggerimenti facendo riferimento alla figura. 5 Ricordiamo che il verso delle linee di campo è quello della forza che si eserciterebbe su una carica positiva. Vicino alla carica negativa la forza su una carica positiva è ovviamente attrattiva. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 14 I comandi per tracciare le linee di campo sono contenuti nel riquadro a destra. Cliccando con il cursore posizionato in un punto della finestra si deposita in quel punto una carica e si ricalcolano le linee di campo con l’aggiunta dell’ultima carica. Quindi la successione delle operazioni è la seguente. 1) Si sceglie di tracciare le linee di campo elettrico lasciando marcata solo la casella denominata Electric Field Lines. 2) Usando il cursore in alto si sceglie il valore (in unità arbitrarie) della prossima carica da posizionare in un intervallo compreso tra -9 e +9. 3) Si posiziona il cursore nel punto della finestra in cui si vuole posizionare la carica scelta al punto precedente e si invia un clic. La carica viene posizionata, colaorata di rosso o di blu a seconda che sia negativa e positiva e le dimensioni del pallino che la rappresenta sono proporzionali alla carica stessa. 4) Appena si rilascia il pulsante del mouse viene collocata la carica e disegnate le linee del campo elettrico modificate dall’ultima aggiunta. 5) Se si vuole aggiungere altre cariche si ritorna al punto 1. Se si vuole cancellare il diagramma e ricominciare premere il tasto Reset. Es.7 Si traccino le linee di campo di una sola carica positiva oppure negativa. Si annoti come cambia il disegno delle linee di campo all’aumentare del valore della carica. Si mettano vicine quattro cariche di segno non uguale in modo che la somma delle cariche non sia nulla. Descrivere le linee di campo tracciate nella zona lontana dal sistema di cariche. 3.3 Dal microscopico al macroscopico e viceversa F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 15 Su scala microscopica le leggi fisiche devono essere riformulate per potere esser applicate a tutte le situazione sperimentalmente osservabili, anche se fondamentalmente il tipo di relazioni (forze) è quello indicato. Questo fatto è ben comprensibile pensando alla struttura del nucleo atomico. Questo è formato da protoni e neutroni che sono confinati all’interno di uno spazio le cui dimensioni6 sono dell’ordine di 10−13 cm. I protoni essendo carichi dello stesso segno risentono secondo la legge di Coulomb di una intensa forza repulsiva che tenderebbe, se agisse da sola, a smembrare il nucleo. In effetti la fisica moderna dimostra che esistono forze a corto raggio tra i componenti del nucleo che sono attrattive e che ne giustificano la stabilità. Queste forze sono detta appunto forze nucleari e non verranno considerate: i fenomeni interessanti per la Biologia che vogliamo descrivere in questo corso avvengono su scale molto più grandi del nucleo atomico, ed in questo regime le forze nucleari sono del tutto trascurabili. I nuclei, positivi, attraggono elettroni in modo da neutralizzare l’eccesso di carica, formando la varietà degli atomi noti in natura. Le dimensioni tipiche di un atomo sono 10−8 cm, questo dice che un atomo è sostanzialmente uno spazio vuoto, le orbite elettroniche sono 5 ordini di grandezza più grandi delle dimensioni del nucleo. Se quest’ultimo fosse una pallina di un millimetro di raggio gli elettroni orbiterebbero ad una distanza di cento metri. Come sappiamo, gli atomi si possono aggregare a formare molecole (insiemi di atomi) che sono le unità più piccole di materia che condividono le medesime caratteristiche chimiche (le interazioni chimiche in ultima analisi sono interazioni fra molecole). L’intervallo di scale spaziali che è interessante a livello biologico è enorme, in quanto va dalle molecole semplici (es. acqua) e macromolecole (es. polipeptidi, grassi, polisaccaridi, etc.) a livello biomolecolare, allo studio di strutture semi-macroscopiche come la cellula e le sue parti, per finire alla descrizione di veri e propri corpi macroscopici come fibre muscolari, movimenti di animali, ossa etc. Anche avendo a disposizione i mattoncini elementari delle interazioni, essenzialmente le forze elettriche tra le cariche e la forza gravitazionale tra le masse, è chiaro che non possibile avere un modo efficiente di descrivere d’un sol colpo tutte queste strutture. La strategia che si usa è quindi duplice: • Si parte da oggetti noti, o almeno ben descritti, e si cerca di costruire strutture più complesse. In questo processo si eliminano eventualmente dei dettagli microscopici e si cerca di capire quali sono i parametri rilevanti per passare da un grado di complessità al successivo. Un esempio tipico è lo studio delle macromolecole basato su semplifica6 L’esperimento chiave di questa scoperta è l’esperimento di Rutherford di diffusione di nuclei di Elio su atomi di oro, effettuato da Geiger e Mardsen nel 1909. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 16 zioni dei loro elementi strutturali, o i modelli del comportamento dei polimeri etc. • Si parte da una schematizzazione rozza di uno o più aspetti macroscopici di un problema e si arricchisce via via la descrizione per cercare di capire comportamenti più particolari, diciamo genericamente dovuti a scale più piccole. Alcuni esempi di questo secondo approccio li abbiamo già visti, ad esempio abbiamo descritto un corpo macroscopico all’inizio concentrandoci solo sul centro di massa. Poi abbiamo aggiunto le rotazioni e siamo passati dal modello di corpo puntiforme a quello di corpo rigido. È chiaro che il passo successivo sarà di affinare il modello, permettendo la deformabilità del corpo, la disomogeneità etc. Il dipolo elettrico Uno degli esempi più importanti del primo tipo di approccio è dato dal dipolo elettrico. Questo è una struttura che formiamo a partire dalle cariche libere ed è la più semplice struttura che possiamo formare che rassomigli ad un atomo, ossia ad un insieme di cariche globalmente neutro. Sappiamo infatti che cariche libere opposte tendono ad attrarsi fra loro, vista la grandezza della forza elettrostatica, quindi è presumibile, e verificato in natura, che le cariche elettriche elementari possano formare oggetti neutri e stabili. Se due cariche si dispongono in modo da preservare una simmetria sferica, come succede approssimativamente fra un nucleo e la nuvola elettronica in un atomo, allora, per un risultato citato sopra, al di fuori dell’atomo non si vedono effetti (come se due cariche opposte fossero al centro di una stessa sfera). Se viceversa, nel processo di schermaggio si formano delle strutture non completamente simmetriche allora si ha un effetto. L’esempio più semplice è naturalmente quello di due cariche, +q e −q poste fra loro a distanza a. Il prodotto qa prende il nome di momento di dipolo e, dal punto di vista elettrico, può essere pensato in analogia ad una calamita7 : un polo con la carica positiva ed uno con la carica negativa. Ovviamente, il dipolo non è indifferente alla sua orientazione. Risulta utile quindi considerare il momento di dipolo un vettore, rappresentandolo quindi con una freccia. Il modulo del vettore è d = qa e la direzione e verso sono dalla carica negativa a quella positiva. Se consideriamo il vettore ~a di modulo pari alla distanza a tra le cariche e che dalla carica negativa va alla carica positiva il vettore momento di dipolo può scriversi : d~ = q~a 7 La fondamentale differenza è che nella calamita non è possibile separare i due poli. Non esistono le cariche (i cosiddetti monopoli) magnetiche. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 17 Nel seguito non faremo uso delle proprietà algebriche vettoriali del momento di dipolo, tuttavia sarà molto utile considerare il dipolo un vettore dal punto di vista qualitativo. Quando ci sono pid̆ipoli vedremo che l’orientazione relativa delle frecce è importante sia per valutare l’interazione tra le due strutture, sia il campo che esse producono quando sono presenti insieme. Il motivo per cui la nozione di dipolo è cosı̀ importante è duplice: • Alcuni atomi, gli alogeni ad esempio, sono avidi di elettroni, mentre altri, come gli alcalini, tendono a perderli facilmente. Se si forma una molecola allora la carica elettronica tenderà a spostarsi in modo leggermente più marcato verso gli atomi che attirano gli elettroni (gli elementi più elettronegativi). Questo è il caso, ad esempio, dell’acqua, con l’ossigeno più elettronegativo dell’idrogeno. Siccome in una molecola d’acqua gli idrogeni non sono disposti in modo simmetrico questo dà uno sbilanciamento netto di carica ed un dipolo elettrico. Come vedremo questa proprietà delle molecole d’acqua assolutamente cruciale per la possibilità stessa della vita. In figura si mostra una rappresentazione pittorica della molecola d’acqua. I legami tra gli atomi di idrogeno e quello di ossigeno formano un angolo per cui le due cariche positive sono spostate verso gli idrogeni e quelle negative verso l’ossigeno. • In un corpo macroscopico qualunque sbilanciamento di posizione fra cariche positive e negative provoca un dipolo. Si dice che il materiale è polarizzato. Un fenomeno di questo tipo, variabile nel tempo, è ad esempio alla base dei processi di emissione di onde radio, o di qualunque radiazione elettromagnetica, come la luce, le radiofrequenze, le microonde etc. Un esempio di questa situazione si ha in un condensatore piano. Quando esso è carico sulle due armature si trova una carica opposta. Visto da una distanza grande rispetto alle sue dimensioni il condensatore viene visto come una coppia di cariche opposte separate dalla distanza tra le armature. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 18 In sostanza, il dipolo, una struttura di livello immediatamente più complesso delle singole cariche interviene in una varietà di fenomeni la cui descrizione risulta facilitata se viene considerato il dipolo come mattoncino costituente le situazioni più complesse. Il momento di dipolo elettrico si misura in Coulomb × metro, che un’unità di misura poco pratica dato che è alquanto improbabile trovarsi con due cariche di un Coulomb a distanza di un metro. In fisica e chimica spesso si usa il debye, in onore del fisico P. Debye, la conversione delle unità di misura è: 1D = 3.33564 10−30 C m Valori tipici dei dipoli molecolari permanenti sono 0 - 10 D. Ad esempio una molecola con un grande momento di dipolo è KBr, con d = 10.5 D. Esempi per alcune molecole (in debye): H2 O 1.85 HF 1.91 HCl 1.08 HBr 0.8 HI 0.42 CO 0.12 CO2 0 NH3 1.47 PH3 0.58 CH4 0 NaCl 9 Baricentro delle cariche Come nel caso della molecola d’acqua le cariche possono raggrupparsi in numero superiore a due. Anche in questo caso nelle strutture con carica totale nulla, come è la molecola di acqua si può associare alla particolare distribuzione di cariche un momento di dipolo. Assumiamo per semplicità che le cariche componenti siano puntiformi. La procedura consiste nel considerare separatamente le cariche positive, di valore totale +Q e quelle negative, di valore totale −Q. Per ciascun insieme si calcola il baricentro delle cariche, in modo analogo a come si calcolerebbe il baricentro delle masse. Se il baricentro delle cariche positive e quello delle cariche negative distano della quantità a si dice che l’insieme di cariche ha momento di dipolo Qa che è diretto dal baricentro delle cariche negative a quello delle cariche positive. Nei casi in cui le cariche positive o negative sono distribuite con una certa simmetria il calcolo dei baricentri si fa senza fare intervenire l’algebra. Ad esempio, per la molecola dell’acqua essendo le cariche positive uguali il loro baricentro si trova a metà strada sulla loro congiungente. Il momento di dipolo, nella molecola rappresentata in figura è, dunque un vettore diretto sull’asse di simmetria verticale verso il basso. Es.8 Ai vertici di un quadrato di lato L = 1 µm sono poste due cariche positive +q = 10−15 C e due cariche negative −q in modo che sui vertici adiacenti ci siano cariche opposte. Dove si trova il baricentro delle cariche positive? E quello delle cariche negative? Se la struttura ha un momento di dipolo quanto vale? Se le cariche sono disposte sullo stesso quadrato ma ogni carica ha sui due vertici vicini una carica opposta e una dello stesso segno, rispondere alle stesse domande. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 19 Il campo di dipolo Avendo a disposizione un nuovo giocattolo (il dipolo elettrico), dobbiamo innanzitutto capire quali siano le sue relazioni. In pratica qual è il campo elettrico di un dipolo. Sommando i vettori dovuti alla presenza di una carica positiva ed una negativa si arriva alla figura. Es.9 Scelto un punto qualunque nella figura che rappresenta il campo del dipolo si mostri che la freccia che parte da quel punto è il risultato della sovrapposizione dei campi coulombiani delle due cariche che formano il dipolo. Es.10 Usando la pagina web citata sopra, si traccino le linee di campo di una coppia di cariche opposte. Si provino valori crescenti delle due cariche e orientazioni diverse e si descriva ciò che compare sul diagramma delle linee. Tracciare anche le linee di una coppia di cariche uguali. Cosa accade alle linee a grande distanza dalla coppia di cariche? Vogliamo innanzitutto valutare il comportamento del campo di dipolo a distanze grandi rispetto alla separazione delle cariche. In effetti ai fini della comprensione del ruolo dei dipoli elettrici nella determinazione della forza tra i corpi macroscopici questa è l’unica zona in cui ha interesse la cosa: se la distanza dal dipolo è troppo piccola, dell’ordine della separazione delle cariche, altri effetti microscopici possono entrare in gioco. In un dipolo la carica totale è nulla, quindi segue, da una proprietà che abbiamo citato sopra, che a grandi distanze il campo non può decrescere come 1/r2 , ma deve decrescere più rapidamente: i due termini tipo 1/r2 delle singole cariche si cancellano a vicenda. D’altronde se le due cariche fossero sovrapposte esattamente (a = 0) non si avrebbero proprio cariche né campo. Inoltre, il campo, per la proprietà dell’additività, deve anche essere porporzionale alla carica sorgente. Infatti, se raddoppio le cariche è come se F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 20 avessi la somma di due campi uguali e quindi il doppio del campo in ogni punto. Quindi, è ragionevole assumere che il campo essendo proporzionale sia ad a che a q debba essere proporzionale al prodotto qa, cioè al momento di dipolo d. Poi ogni carica elementare produce un campo proporzionale alla costante k = 1/4π0 e questa comparirà quindi come fattore anche nel campo del dipolo. Come sappiamo nell’espressione del campo elettrico la costante moltiplica una carica divisa per una distanza al quadrato. Siccome nel dipolo abbiamo già la proporzionalità per il momento di dipolo ossia per una carica moltiplicato una distanza, per avere alla fine le dimensioni giuste occorre dividere per una distanza al cubo. Senza fare alcun calcolo concludiamo quindi che la dipendenza del campo dalla distanza r del punto in cui lo si calcola rispetto alla posizione del dipolo deve, per sole ragioni dimensionali essere del tipo: E∝k d r3 (3.3) Calcolo esplicito del campo sull’asse di un dipolo Per confermare la dipendenza del campo di dipolo dall’inverso del cubo della distanza consideriamo due cariche puntiforme opposte di modulo q a distanza a. Orientiamo l’asse z nella direzione dell’asse del dipolo e con il ~ ovvero dalla carica negativa a verso concorde con il momento di dipolo d, quella positiva e poniamo l’origine nel centro del dipolo (punto di mezzo del segmento che unisce le due cariche). La carica positiva si trova dunque alla coordinata z+ = a/2 e la carica negativa nella posizione individuata dalla coordinata z− = −a/2. Prendiamo il punto P sull’asse del dipolo di coordinata z positiva. La sua distanza dalle due cariche vale, rispettivamente a± = z − z± = z ∓ a/2 Secondo la legge di Coulomb il campo elettrico della carica positiva è diretto nel verso positivo dell’asse z ed ha modulo: E+ = 1 q 1 = 2 4π0 a+ 4π0 q a 2 2 e, analogamente, nello stesso punto il campo dovuto alla carica negativa è diretto nel verso negativo dell’asse e ha componente: E− = − Es.11 1 4π0 z− q z+ a 2 2 Lo studente dovrebbe convincersi che le due espressioni per i campi sono valide anche per z negativi pur di invertire il verso delle due componenti. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 21 Applicare il principio di sovrapposizione significa che il campo totale è trovato sommando i due campi, tenendo conto del loro verso. Per z positivo: E = E+ + E− = q 4π0 1 a 2 z− 2 − 1 a 2 z+ 2 È un utile esercizio di algebra calcolare l’espressione tra parentesi e trovare: E= q 4π0 2az z2 a2 − 4 2 Ricordando ora che siamo interessati a punti a grande distanza rispetto alle dimensioni del dipolo ossia che hanno z a, si può trascurare il secondo addendo al denominatore rispetto al primo per cui una espressione approssimata per il campo di dipolo risulta: E= 1 2d qa 2 = 3 4π0 z 4π0 z 3 che ha proprio l’andamento atteso: è proporzionale al momento di dipolo e inversamente proporzionale al cubo della distanza. Per punti che non si trovino sugli assi di simmetria della figura il calcolo è un poco più complicato e richiede l’uso dei vettori. In tutti i casi la dipendenza dai parametri è quella dichiarata. Forze su un dipolo Avendo visto il tipo di campo creato dal dipolo, vediamo ora come il dipolo risponde al campo creato da qualcos’altro. Qui si hanno subito dei comportamenti diversi rispetto a quelli soliti di una carica. Il caso più semplice è quando il dipolo si trova in un campo uniforme. Si osservi che questa in genere un’ottima approssimazione per un dipolo microscopico, che è piccolo rispetto alla rapidità con cui cambia il campo esterno. In un campo uniforme, come quello all’interno di un condensatore piano, una carica subirebbe una forza quindi un’accelerazione. Il modello di dipolo è una coppia di cariche rigidamente collegate. Si tratta di un esempio semplice di corpo rigido, come sarebbero due masse collegate da un asta. Nel campo uniforme si han~ sulla carica positiva e −q E ~ la cui risultante no sul dipolo due forze +q E è nulla. In base alle leggi della dinamica concludiamo quindi il centro di massa di un dipolo non accelera in presenza di un campo elettrico uniforme. Tuttavia, le due forze opposte applicate in punti diversi del dipolo formano una coppia ossia applicano al dipolo un momento torcente che tende a farlo ruotare. La situazione è rappresentata nella figura dove si vede che F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 22 il momento tende ad allineare il dipolo con il campo elettrico. Quando il dipolo è allineato col campo elettrico esterno non si ha più momento delle forze e la posizione è di equilibrio. Es.12 Lo studente dovrebbe saper dimostrare che tra le due posizioni col dipolo allineato al campo elettrico quella di equilibrio stabile8 richiede che il vettore momento di dipolo abbia anche ~ lo stesso verso di E. Dunque è chiaro che se si vuole far muovere il centro di massa di un dipolo occorre che il campo sia diverso sulle due cariche. Per illustrare questa situazione assumiamo che il dipolo sia disposto lungo l’asse x, che è ~ diretto nel verso positivo delle x, anche la direzione del campo elettrico E, ma la cui intensità dipende da x (E = E(x)). La situazione per un campo crescente nel verso positivo delle x è rappresentata in figura. 8 L’equilibrio è stabile quando sottoposto ad una piccola perturbazione tende a ripristinarsi. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 23 La forza totale sul dipolo è: F = qE(x + a) − qE(x) = q(E(x + a) − E(x)) Se a è piccolo il termine tra parentesi approssima la derivata per l’incremento: dE E(x + a) − E(x) ' a dx per cui si ha, al primo ordine in a: F =q dE dE a=d dx dx ossia la forza netta (sul c.m.) per un dipolo proporzionale al gradiente9 di campo. Interazione tra dipoli Il passo seguente è capire come i dipoli possano interagire fra loro, questa se vogliamo è la rete di comunicazione ad un livello di struttura “più elevato” rispetto alle singole cariche. Per dipoli distanti fra loro possiamo dire che l’influenza che il dipolo d1 esercita sul dipolo d2 si manifesta attraverso il campo elettrico E1 che il primo crea nella posizione del secondo. In prima approssimazione, come visto sopra, il campo tende ad allineare il secondo dipolo. Come forza netta invece questa é proporzionale a d2 per il gradiente (derivata) di E1 . Senza entrare nei dettagli del calcolo possiamo fare la derivata rispetto ad r dell’espressione (3.3): 9 Ricordiamo che il gradiente per un campo che varia in una sola direzione coincide con la derivata spaziale. In generale il gradiente è la direzione di massima crescita di un campo scalare. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 24 dE1 d1 d2 (3.4) ∼k 4 dr r dove k è dell’ordine di grandezza di ke = 1/(4π0 nel sistema SI. La forza tra i dipoli decresce molto più rapidamente di quella tra cariche libere, ma l’intensità della forza elettrica rende questa forza ancora enorme su scala molecolare. In effetti, però, la forza tra dipoli elettrici non è quella direttamente responsabile di ciò che abbiamo chiamato forza di contatto tra i corpi macroscopici. La ragione di questo possiamo cominciare ad intuirla facendo un’osservazione basata sull’esperienza quotidiana. L’acqua, come abbiamo visto è formata da molecole che possono essere approssimate dal punto di vista elettrico con dei dipoli. Come mai il lettore non ha mai visto due bicchieri d’acqua attrarsi o respingersi fra loro. Eppure se ogni coppia di molecole interagisse con una forza del tipo dipolo-dipolo che si sommassero tra loro, l’enorme numero di molecole di acqua renderebbe la forza assolutamente rilevante. In effetti è ciò che succede nella calamita che, come vedremo, è sostanzialmente un dipolo (magnetico). La ragione è che, diversamente da quello che accade nei materiali ferromagnetici dove le interazioni sono molto forti ed il reticolo cristallino fa sı̀ che si creino dei domini di magnetizzazione macroscopici, nell’acqua i singoli dipoli in realtà sono in continuo movimento e rotazione relativi. Benché a livello microscopico ci siano delle correlazioni, a livello macroscopico non si hanno effetti visibili. La situazione è illustrata nella prima delle due figure: F ∼ d2 Per mettere in evidenza effetti macroscopici di dipoli elettrico si possono avere due modalità: • La prima situazione riguarda i materiali formati da molecole che hanno un dipolo elettrico intrinseco, come è il caso dell’acqua. Molecole di questo tipo sono anche dette polari. Come abbiamo osservato, per effetto della agitazione termica i dipoli molecolari cambiano continuamente orientazione e l’effetto medio di ciascun dipolo nel tempo o dell’insieme di molti dipoli disorientati in un istante è nullo. Se però il sistema è immerso in un campo esterno, in questo caso come descritto precedentemente i dipoli tendono ad allinearsi e, almeno F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 25 parzialmente, riescono a vincere la tendenza al caos indotta dai movimenti molecolari, come mostrato nella seconda delle figure precedenti. L’effetto chiaramente dipende dalla temperatura ed il dipolo osservato (medio) dipende dall’intensità del campo elettrico esterno. In prima approssimazione: d = αE (3.5) ed α è detta polarizzabilità elettrica del materiale. Es.13 Quali dimensioni deve avere la polarizzabilità α perché la relazione precedente sia dimensionalmente corretta? • C’è un secondo meccanismo più sottile che può dar luogo ad un dipolo. Supponiamo di avere due cariche che si annullano perfettamente, come succede di norma in un atomo fra nucleo ed elettroni. Se poniamo il sistema in un campo elettrico esterno le cariche positive e quelle negative sono spinte in direzione opposta e si allontaneranno fintantoché la forza di richiamo che teneva le cariche legate, non bilancia la forza separatrice del campo esterno (vedi figura) Anche in questo caso vale la (3.5) ma α non dipende dalla temperatura. Esercizio svolto: polarizzazione di un atomo Per illustrare il fenomeno di polarizzazione di una distribuzione di cariche in un campo elettrico esterno, consideriamo un sistema estremamente semplificato che rappresenta alcune caratteristiche di un atomo. Il sistema è formato da una carica puntiforme +Q che si trova al centro di una sfera uniformemente carica di raggio a e carica totale −Q. La carica positiva può muoversi all’interno della sfera negativa come se fosse immersa in un fluido mentre la sfera negativa si considera indeformabile. Come abbiamo visto a proposito del campo gravitazionale di una distribuzione di massa a simmetria sferica anche per il campo elettrico all’interno della sfera di carica negativa il campo elettrico segue un andamento dello stesso tipo: E(x) = 1 q(x) 4π0 x2 F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 26 dove q(x) è la carica contenuta nella sfera di raggio x concentrica alla sfera di carica data. Se x < a la carica q(x) sta alla carica totale −Q nello stesso rapporto dei cubi dei raggi x3 /a3 (densità di carica uniforme) per cui il modulo del campo si scrive: Eint (x) = Q x 4π0 a3 La carica positiva al centro della sfera vede un campo nullo (x = 0) e, quindi non subisce forze, essendo in equilibrio. Per la simmetria della distribuzione di cariche il baricentro della carica positiva coincide con il suo centro ed il momento di dipolo è nullo. Supponiamo ora di applicare un campo elettrico esterno di modulo E0 , come nella figura precedente. La carica positiva ora non è più in equilibrio e tende a spostarsi nel verso del campo elettrico muovendosi rispetto al centro della sfera. In questo modo inizia a risentire anche del campo della sfera negativa e le due forze si annullano sotto la condizione: QE0 − Q Q x =0 4π0 a3 da cui si trova la coordinata xE della nuova posizione di equilibrio xE = 4π0 3 a E0 Q Dato che la carica positiva è puntiforme questo punto è anche il baricentro delle cariche positive, mentre l’ipotesi che la sfera esterna fosse indeformabile comporta che il baricentro delle cariche negative sia nel centro della sfera. Allora xE è proprio la distanza tra i due baricentri e il campo elettrico esterno ha indotto un momento di dipolo proporzionale, come prevedeva la (3.5): d = QxE = 4π0 a3 E0 = αE0 e il valore della polarizzabilità è qui espresso in termini di una proprietà del sistema di cariche. Se consideriamo un raggio della sfera negativa dell’ordine del raggio di un atomo di idrogeno (a = 0.5 10−10 m) si trova: α ' 10−41 SI Benché il modello sia estremamente semplificato esso dà risultati che sono in accordo con l’ordine dei grandezza delle polarizzabilità atomiche. Es.14 Considerando la situazione dell’esercizio svolto, lo studente verifichi che l’equilibrio della carica positiva posta nel centro della sfera negativa è stabile. Es.15 Per quale valore del campo elettrico applicato la posizione di equilibrio della carica posi- tiva coincide con un punto sul bordo della sfera negativa? Che succede se il campo elettrico viene fatto crescere a partire da questa situazione? F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 27 Forze di Van der Waals L’insieme delle considerazioni precedenti spiega un tipo particolare di forza, molto importante in biologia molecolare ed in altri ambiti. Consideriamo un sistema senza dipoli permanenti. Per motivi vari, ad esempio fluttuazioni termiche e o di altro tipo, si può formare un dipolo, chiamiamolo dipolo 1, d1 . Questo crea un campo elettrico che può indurre, via la (3.5) un dipolo nella molecola 2, a distanza r di intensità; d1 r3 Fra questi due dipoli agisce una forza, data dalla (3.4) per cui alla fine si ha una forza dipolo-dipolo indotto che decresce con la settima potenza della distanza: d1 d2 d2 F ∼k 4 ∼k 7 (3.6) r r Questa forza, che decresce in modo relativamente veloce (e si può dimostrare che addirittura decresce come r−8 per distanze sufficientemente grandi) è detta forza di van der Waals e si dimostra che è attrattiva. Come succede anche nel caso gravitazionale, il fatto che sia piccola è compensato dal fatto che essendo sempre attrattiva i suoi contributi si sommano e per il grande numero di molecole coinvolte in corpi macroscopici si ha una risultante apprezzabile. Un esempio piuttosto eloquente è dato dal geco che, si pensa, riesce ad aderire con una forza con un valore di decine di volte il suo peso attraverso le forze di van der Waals fra zampe e parete. d2 = αE1 ∼ α Discussione semiquantitativa della forza di aderenza di un geco Le forze intermolecolari sono alla base della forza di adesione tra due superfici in contatto. Il contatto microscopico tra due superfici è tutt’altro che F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 28 semplice dal punto di vista geometrico. Anche due superfici che ci appaiono macroscopicamente molto lisce come un pezzo di vetro o un foglio di carta, su scala microscopica presentano rilievi ed avvallamenti irregolari e, dunque, un certo grado di ruvidità che può essere ridotto solo con lavorazioni meccaniche di alta precisione. Quando due superfici vengono poste in contatto esse si toccano solo in regioni ristrette e l’area effettiva di contatto è in genere più piccola della area apparente. Consideriamo l’ordine di grandezza delle forze di Van der Waals tra due molecole che si trovano su due superfici in contatto reciproco ad una distanza di 0.3 nm. Il momento di dipolo delle molecole sia dell’ordine di d ∼ 1 D = 3.3 10−30 C·m. La costante k che abbiamo indicato nella espressione (3.6) della forza di van der Waals contiene la costante 1/(4π0 ) al quadrato e la polarizzabilità e, usando gli ordini di grandezza stimati precedentemente è dell’ordine k ∼ 10−21 SI. Con questi numeri viene una forza Fd dell’ordine di 10−14 N , quindi estremamente piccola e ben al di là di ogni effetto macroscopico. Tuttavia se il numero di molecole in contatto sono molte, le forze, tutte attrattive, si sommano e possono dare un effetto rivelabile. Nel geco è l’anatomia del tessuto che riveste la parte inferiore delle zampe che è all’origine della grande di quantità di molecole che partecipano alla adesione del geco alle superfici. In effetti il tessuto superficiale è formato da setole che si separano verso l’estremità in centinaia di spatole di area circa 0.01 µ m2 ' 104 nm2 ciascuna. Se la distanza tra le molecole sulla superficie della spatola è anche qui dell’ordine di 0.3 nm si hanno circa 105 molecole sulla superficie della spatola, ciascuna responsabile di una forza dell’ordine di Fd . Quindi in totale una forza di 1 nN che è dell’ordine di grandezza giusto. Non si deve pensare che la stima fatta sopra sia particolarmente realistica. La descrizione quantitativa delle forze di superficie è un soggetto che a partire dai lavori seminali di Heinrich Hertz alla fine del XIX secolo ha interessato ininterrottamente i ricercatori nei campi della fisica, della chimica e dell’ingegneria. Quello che ci preme ricavare dalla discussione precedente è che pur con una serie di dettagli quantitativi incogniti anche il semplice modello di interazione dipolo-dipolo giustifica l’esistenza di forze su scala macroscopica. Per uno studente di un corso di biotecnologie dovrebbe essere interessante sapere che vi è una rilevante mole di ricerca che ha l’obbiettivo di creare materiali sintetici che mimino le proprietà delle dita del geco10 . 10 Si veda, ad esempio il recente articolo di un docente del Politecnico di Torino all’indirizzo http://areeweb.polito.it/ricerca/bionanomech/NP PDF/108-NT08.pdf e la versione giornalistica della notizia sul quotidiano La Stampa a http://areeweb.polito.it/ricerca/bionanomech/Pubblicazioni italian/Tuttoscienze-Spiderman05-07.pdf F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 29 3.4 Modelli di forze Fin qui abbiamo cercato di mostrare che, in ultima analisi, le forze che si esercitano tra i corpi sono TUTTE il risultato di una miriade di forze elementari di interazione tra particelle. In particolare, le forze di contatto tra i corpi sono spiegabili come manifestazioni delle forze elettriche tra le particelle cariche presenti nella materia. Queste forze sono molto intense, ma, per effetto della neutralità elettrica dei corpi macroscopici, composti da atomi e molecole che hanno un egual numero di cariche positive e negative non si manifestano normalmente a distanza. Al contrario, quando i due corpi sono a contatto i momenti di dipolo elettrico che sono presenti nel materiale interagiscono con una forza rapidamente decrescente con la distanza e sono all’origine delle forze macroscopiche. Queste sono apprezzabili perché risultano dalla somma di un numero elevatissimo di interazioni puntuali. Questo programma di far scaturire le forze macroscopiche dalla struttura microscopica dei materiali e dalle interazioni elementari tra le particelle è, come si capisce, universale, ma di laboriosa attuazione, anche senza tenere conto di effetti nuovi che sorgono a livello atomico. Un secondo approccio consiste nel formulare dei modelli di forza che non sono dedotti da leggi fondamentali, ma che approssimano più o meno accuratamente situazioni reali. Uno di questi è già stato accennato quando si è parlato della forza viscosa che una particella subisce quando si muove all’interno di un fluido. Abbiamo assunto, con considerazioni logiche elementari che per piccole velocità il modulo della forza, che è opposta al moto, dipendesse proporzionalmente dalla velocità: Fv = γv Inoltre abbiamo detto che il coefficiente di proporzionalità dipende dalle proprietà del fluido (in particolare da una proprietà che descrive le forze di attrito interne e che prende il nome di viscosità) e dalla forma (per una sfera il raggio) del corpo mobile. Come si capisce, non è necessario usare leggi fondamentali per formulare questo modello. Esso però è altrettanto utile che una legge fondamentale quando si usa nei limiti della sua applicabilità. Infatti, se il modello è accurato, permette di fare previsioni (ad esempio la velocità limite di caduta di una sfera in un fluido) che sono confermate dal comportamento reale. Il progresso della conoscenza in questo campo avviene non con la scoperta di nuove ed impreviste interazioni elementari, ma attraverso l’esplorazione dei fenomeni in condizioni di non perfetta applicabilità del modello. In questi casi si procede modificando il modello per tenere conto di effetti supplementari. Ad esempio per velocità crescenti il modello lineare della forza viscosa non fornisce più una descrizione compatibile con le osservazioni sperimentali. Una strada possibile è di mantenere la caratteristica fondamentale del modello ( la forza viscosa cresce con la velocità ed è nulla per corpi fermi rispetto al fluido), ma modificare la dipendenza dalla F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 30 velocità. Per una sfera che si muove con velocità crescenti la forza viscosa sarà meglio approssimata da un polinomio di secondo grado: F = γv + kv 2 Sforzi e deformazioni Come esempio di questo secondo modo di procedere, aggiungere dettagli ad un modello semplificato, riconsideriamo il corpo rigido. Dal punto di vista microscopico, l’idea che possiamo farci di un corpo rigido è ben rappresentata da un cristallo. Questo è immaginato come un insieme di atomi fissati in posizioni regolarmente distanziate nello spazio a formare un reticolo regolare. Un cristallo perfettamente rigido richiede che gli atomi restino inchiodati alle loro posizioni relative non importa a quale forza sia soggetto il cristallo. Evidentemente, in Natura i corpi perfettamente rigidi non esistono e se l’azione delle forze esterne è sufficientemente forte i legami intermolecolari si possono rompere, le molecole scorrere l’una rispetto all’altra e provocare una deformazione del corpo. Per parametrizzare questo tipo di cambiamenti, ossia per formulare un modello che sia espresso tramite un piccolo numero di parametri (come per il caso della forza viscosa era il coefficiente γ), notiamo innanzitutto che, come visto precedentemente, l’azione di qualunque forza esterna avviene attraverso un contatto, e, realisticamente, il contatto non può essere puntiforme, ma su una superficie. In altre parole la forza effettiva che conta è quella spalmata su una superficie, come nel caso della pressione. Sforzi normali Per concretezza consideriamo una sbarra di lunghezza L e sezione S, e supponiamo che su di essa agisca una forza di trazione, uniforme sulla superficie trasversa (vedi figura). La forza specifica, per unità di superficie, è detta sforzo di trazione (stress): σn = Fn S F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 31 L’indice n significa normale e sta a ricordare che lo sforzo impresso perpendicolarmente alla superficie. Questo sforzo provoca sul materiale diversi cambiamenti, ed in particolare un allungamento (strain). Risulta utile definire l’allungamento relativo (vedi figura). n = ∆L L La ragione per cui si parla di allungamento relativo si può trovare nel caso ideale in cui la forza applicata ad un estremo della sbarra si propaga inalterata a tutta la lunghezza. È questa una conseguenza del terzo principio. Consideriamo una piccola porzione della sbarra lunga ∆x che inizia nel punto di applicazione della forza esterna. Quando l’allungamento si è prodotto (qui ignoriamo il fatto che ciò richiederà un certo tempo caratteristico) la porzione di sbarra è in equilibrio per cui il resto della sbarra sta imprimendo una forza uguale ed opposta a quella applicata. L’allungamento dL di questo strato di sbarra sia dunque proporzionale alla forza. Per il terzo principio anche lo straterello di sbarra adiacente è soggetto alla forza esercitata dal primo che è uguale ed opposta e, quindi identica alla forza esterna. Anche questo straterello subisce dunque la stessa coppia di forze e si allunga della stessa quantità. Questo avviene lungo tutta la sbarra e l’allungamento totale sarà proporzionale al numero di straterelli e, dunque alla lunghezza L della sbarra. per caratterizzare il materiale si fa il rapporto tra allungamento e lunghezza totale per trovare una quantità indipendente dalla lunghezza della sbarra. In teoria, i modelli microscopici del materiale dovrebbero permettere di calcolare che relazione c’è fra e σ, σ = f () (ed in alcuni casi lo fanno). In pratica, si segue una via semi-sperimentale e si misura l’allungamento al variare di σ. Si ottiene cosı̀ un grafico, detto curva stress-strain caratteristica di ogni materiale. Ad esempio in figura vengono riportate le curve tipiche per un materiale duttile come l’acciaio, un acciaio indurito ed un materiale fragile. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 32 Il valore dello stress σ corrispondente al punto terminale di ogni curva è detto carico di rottura del materiale. Il termine inglese è tensile strenght. Esso indica il valore dello stress, ovvero della forza per unità di superficie che provoca la rottura del materiale. Legge di Hooke Il punto che qui interessa sottolineare che, per piccoli allungamenti, la relazione è lineare, questo regime si chiama regime elastico ed ovviamente particolarmente semplice da rappresentare e studiare perchè descrive il comportamento del materiale in termini di un solo parametro, la pendenza della curva. In formule: σn = En Il coefficiente E si chiama modulo di Young del materiale, ed è misurato in Pascal come σ, essendo adimensionale (allungamento relativo). La relazione lineare tra stress e strain prende il nome di legge di Hooke. La relazione precedente potrebbe essere letta cosı̀: il modulo di Young è la forza per unità di superficie che è necessario applicare ad una sbarra di un dato materiale per ottenere un’allungamento relativo unitario (ossia per ∆L/L =1) che significa un raddoppio della lunghezza. In realtà , la validità della relazione precedente richiede per la maggior parte dei materiali che l’allungamento relativo sia piccolo, per cui un suggerimento mnemonico per valutare la rigidità di un materiale di cui sia noto il modulo di Young potrebbe essere: La forza per unità di superficie che provoca un allungamento dell’ uno per mille (1 mm su un metro ad esempio) è un millesimo del modulo di Young. Qui di seguito riportiamo E per l’acciaio e per un paio di casi di interesse biologico. Notiamo che il carico di rottura per compressione o trazione può essere diverso. Acciaio Femore Noce E (Pa) 2 1011 1.4 1010 8 109 Tensione max. (Pa) 5 108 8.3 107 4.1 107 Compressione max. (Pa) 1.8 107 5.2 107 Richiamo sulla molla ideale Lo studente ha incontrato il modello elastico e la legge di Hooke studiando le molle ideali nei suoi precedenti corsi di studio. Ricordiamo che per molla F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 33 ideale si intende un corpo che si allunga di una quantità x proporzionale alla forza applicata F . La relazione tra forza ed allungamento si esprime con: F = kx e k, misurata in N/m è chiamata costante elastica della molla. Naturalmente, anche qui agisce il terzo principio e la molla esercita sul corpo che applica la forza F una forza uguale ed opposta. È per questo che normalmente si esprime tramite: F = −kx la forza che la molla esercita ad uno dei suoi estremi, quando è allungata della quantità x. Il segno meno sta ad indicare che se la molla è allungata la forza è di trazione e se è compressa la forza che essa esercita è di espansione. Es.16 Ad una molla di costante elastica k = 22N/m è appesa verticalmente una massa di 350 g. Di quanto si allunga la molla? Con la discussione precedente si è cercato di mostrare che questo comportamento elastico è caratteristico dei corpi solidi fintantoché vengono sottoposti a forze abbastanza piccole. La relazione della costante elastica con il coefficiente di Young si ricava da: σ= F ∆L S = En = E ⇒ F = E x = kx S L L Risulta quindi che per un dato materiale, caratterizzato da un certo modulo di Young una molla ha una costante elastica tanto maggiore quanto più spesso è il filo e quanto più è corto. Un filo lungo e sottile è la forma migliore in cui mettere in evidenza le proprietà elastiche di un materiale. Nel prossimo paragrafo esamineremo un caso di interesse biotecnologico. Esempio: il filo del ragno In un filo sottoposto a trazione nella regione elastica, la forza di deformazione per unità di superficie σn è proporzionale alla deformazione, indicata con il termine che esprime, per un sistema unidimensionale soggetto a forza di trazione l’allungamento percentuale n rispetto alla condizione di riposo: σn = En Si intende qui per carico di rottura lo stress limite σmax al quale il materiale deformato con uno strain max , si rompe. Una definizione alternativa è quando il materiale cessa di avere una risposta elastica (proporzionale) alle sollecitazioni meccaniche. Esistono altre definizioni di tensile strength che si applicano a casi diversi. Applichiamo queste definizioni alla caratterizzazione delle proprietà meccaniche di un materiale biologico, il filo tessuto dai ragni, che siamo certi F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 34 la biotecnologia amerebbe riuscire a produrre artificialmente con la stessa efficienza. Il modulo di Young per la tela di ragno è stato misurato e vale E = 0.2 1010 Pa. Inoltre si osserva che il filo si spezza quando subisce una deformazione di circa il 50 %. Si assuma che la la relazione elastica tra tensione interna (stress) e deformazione (strain) valga fino a che, all’aumentare della tensione il materiale si rompe. Quindi al momento della rottura possiamo dai dati del problema calcolare σmax : σmax = Emax = 0.2 1010 · 0.5 = 109 P a Un valore circa doppio di quello dell’acciaio (vedi tabella : tensilestrenght = 5 108 P a). Si tenga conto che il valore trovato rappresenta la forza per unità di superficie; si deve concludere che un filo d’acciaio di sezione uguale a quella del filo del ragno è in grado di sorreggere un peso che è circa la metà. La seta di ragno ha diametri tipici di qualche micron. Questa straordinaria proprietà ha in effetti interessato i biotecnologi che si sono dedicati alla ricerca di colture cellulari in grado di produrre filamenti di seta di proprietà anche migliori di quelle originali. Anche l’inserimento di geni di ragno in mammiferi sembra11 che possa essere sfruttato per ricavare dal latte dei materiali simili a quelli che formano la tela di ragno. L’uso in indumenti di protezione o addirittura per catturare gli aeromobili nemici sono alcuni impieghi ipotizzati per questi nuovi biomateriali. Es.17 Collegarsi al primo sito citato sopra e leggere il breve articolo. Si è in grado di capire tutti i termini che sono usati in esso? Annotare eventuali concetti che non risultano chiari. Sapendo che il modulo di Young dell’acciaio è circa 100 volte maggiore di quello della seta di ragno, possiamo calcolare anche la deformazione dell’acciaio alla rottura: max = σmax 5 108 = 2.5 10−3 = 0.25% = Eacciaio 2 1011 come possiamo immaginare dall’esperienza la deformazione di un filo di acciaio prima della rottura è molto piccola rispetto a quella dei fili di una tela di ragno. Deformazione trasversale: indice di Poisson È abbastanza intuitivo che un materiale allungandosi normalmente cambi anche di sezione. In altre parole se operiamo ad esempio una trazione lungo 11 Notizie in proposito risalgono all’inizio del decennio come si può vedere in http://news.bbc.co.uk/2/hi/science/nature/889951.stm. Altre informazioni sulla tela del ragno si trovano sul web (!), ad esempio a http://en.wikipedia.org/wiki/Spider web F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 35 l’asse z, allora si deformeranno anche le dimensioni x e y, in modo proporzionale alla deformazione principale (quella lungo z). Questo fenomeno è stato descritto da Poisson e per un materiale isotropo si traduce, in regime elastico, nell’introduzione di un indice di Poisson ν nella forma semplificata seguente. Consideriamo uno sforzo lungo z, si avrà z = σz /E, e deformazioni trasversali lungo y e x. Per un mateiale isotropo, ossia con le stesse proprietà lungo x e lungo y si avrà per lo stesso sforzo applicato lungo z: x = y = −νz = − ν σz E ν è detto modulo di Poisson. Consideriamo ad esempio un materiale incompressibile ossia tale che la densità non cambi sotto l’azione di uno sforzo normale e che perciò la deformazione non modifichi il volume del corpo. Prendiamo per semplicità un parallelepipedo con gli spigoli lungo i tre assi. Le relazioni precedenti significano che sotto lo sforzo σz il lato lungo z subisce la deformazione: ∆Lz = z Lz e, analogamente, le deformazioni dei lati lungo x e lungo y sono: ∆Lx = x Lx = ∆Ly = y Ly Il volume prima dell’applicazione dello sforzo è: V0 = Lx Ly Lz e dopo V = (Lx +∆Lx )(Ly +∆Ly )(Lz +∆Lz ) ' V0 (1+x +y +z ) = V0 (1+2x +z ) dove si è tenuto conto che x = y per l’isotropia e nello sviluppo delle parentesi si sono trascurati tutti i termini che hanno un prodotto di almeno due deformazioni12 . Allora la condizione che il volume non cambi V = V0 richiede che 1 ⇒ x = − z 2 ovvero per questo tipo di materiali l’indice di Poisson è ν = 1/2. Un valore tipico per l’acciaio 0.3, per l’oro 0.42 etc. Per la gomma circa 0.5: studieremo più avanti le propriet elastiche della gomma in relazione ad alcuni modelli di polimeri. 2x + z = 0 12 Questa approssimazione è basata sul fatto che se le deformazioni sono piccole il prodotto tra due deformazioni è molto piccolo e può trascurarsi. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 36 Principio di funzionamento di una strain gauge Il seguente esercizio spiega implicitamente il principio di funzionamento dei dinamometri elettronici che si usano comunemente in laboratorio e che prendono il nome di strain gauge, termine che letteralmente si traduce come misuratore di deformazione. Essi sono costruiti in modo che una resistenza posta internamente sia sottoposta alla forza esterna da misurare. Assumendo che la resistenza sia un filo l’esercizio spiega perché la resistenza elettrica cambia e se ne può rivelare la variazione, proporzionale alla forza applicata, sotto forma di segnale elettrico. Consideriamo che la resistenza elettrica sia costituita da un sottile filo di rame di sezione A = 10−2 mm2 e di lunghezza L = 1 m. Sappiamo dagli studi precedenti che la resistenza di un filo dipende dalle dimensioni geometriche e dal materiale secondo la relazione: R=ρ L A Sappiamo che la resistività del rame è ρCu ' 1.7 10−8 Ω m e, dunque per il filo di rame preso in considerazione: R = 1.7 10−8 (Ω m) 1m 10−8 m2 = 1.7Ω . Se si applica una forza di trazione F = 100N sappiamo che il materiale è sottoposto ad una tensione sn = F/A e che ciò provoca, se la tensione non supera il regime di elasticità, una deformazione relativa n che sta nella seguente relazione di proporzionalità con sn : sn = En Conoscendo il modulo di Young ECu = 1011 P a si calcola facilmente: n = ∆L sn F/A = = = 10−7 L E E La deformazione è una quantità adimensionale rappresentando il rapporto tra due grandezze omogenee: l’allungamento e la lunghezza iniziale. Se questa è un metro l’allungamento vale ∆L = n L = 0.1µm una quantità molto piccola. Per quanto riguarda la sezione del filo, sappiamo che esiste una relazione di proporzionalità fra la deformazione strain longitudinale e quello trasversale. La relazione coinvolge un parametro, detto indice di Poisson e che dipende dal materiale, ed è: F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 37 x = −νn (4.7) dove il segno − indica che ad un allungamento (n > 0) corrisponde una riduzione della dimensione trasversale e l’indice di Poisson νCu = 0.34 per il rame. Come varia, dunque la sezione A? Questa per un filo di sezione circolare si calcola facendo il quadrato del diametro trasversale e moltiplicandolo per (π/4). π 2 D (4.8) 4 Lo studente dovrebbe ricordare che se ho una variazione relativa del diametro nella relazione precedente la variazione relativa dell’area è: A= ∆D ∆A =2 A D Ora dalla (4.7) si ricava che ∆A = 2x = −2νn = −2 × 0.34 n = −0.68 10−7 A e la variazione della sezione vale: ∆A = −0.68 10−7 A = −0.68 10−9 mm2 che è negativa perché la sezione si riduce. Se misurassimo la resistenza del filo quando è sotto trazione troveremmo: L + ∆L A + ∆A e raccogliendo al numeratore L e al denominatore A: L 1 + ∆L/L 1 + n R1 = ρ = R0 A 1 + ∆A/A 1 + 2x R1 = ρ Sostituendo i valori per gli strain longitudinale e trasversale si trova: R1 = R0 (1 + 1.68 10−7 ) ovvero la correzione alla resistenza per il filo è di circa un decimo di parti per milione, molto piccola anche se il fenomeno è stato osservato fino dalla metà dell’800 (la prima osservazione è attribuita nel 1856 a Lord Kelvin). Dunque, attraverso una misura elettrica della resistenza, ad esempio da una misura della tensione ai capi di R quando essa è attraversata da una corrente fissa I si può risalire alla deformazione e, dunque alla forza applicata. Es.18 Un materiale più adatto del rame a realizzare una strain gauge dovrebbe avere una resistività più grande o più piccola? Uno dei materiali più usati nella tecnologia delle strain gauge è la costantana. Lo studente faccia una ricerca in rete sulle proprietà della costantana, spiegandone i vantaggi rispetto al rame. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011