heritage
Cronos: quando il passato incontra il presente
SOMMARIO
Mentre si parla della ricostruzione “virtuale” del
Museo Archeologico di Baghdad, saccheggiato nel 2003,
durante l’invasione dell’Iraq da parte delle truppe
statunitensi, tavolette cuneiformi e altri materiali
sono recuperate dalle polizie internazionali un po’
dappertutto in Europa e negli Usa. Tuttavia si fa
sempre più reale l’ipotesi che quel saccheggio fu
organizzato. Da chi? Chi voleva i frammenti
della più importante memoria della Storia?
RELIC HUNTER
Ladri della memoria
a Baghdad
VITTORIO DI CESARE
G
50
olfo Aranci, Sardegna.
Trentatrè
tavolette di argilla
incise con caratteri
cuneiformi risalenti
al periodo assiro–babilonese sono
state recuperate nell’ottobre del
2003 dai Carabinieri del nucleo
di tutela archeologica e culturale
in un bazar gestito da un cittadino
libanese, Omar B. di 45 anni, di
Beirut.
L’Operazione, nome in codice
Nabucodonosor, com’era chiamata
l’indagine coordinata dal Procuratore della Repubblica del tribunale
di Tempio Pausania, scopriva un
traffico di tavolette cuneiformi
provenienti dall’Iraq e immesse sul
mercato dei collezionisti di reperti
archeologici.
Com’erano arrivati quei pezzi archeologici fino in Sardegna?
In che modo cilindri, sigilli e tavolette siano stati contrabbandati
superando i controlli doganali non
è difficile immaginarlo: dentro i
rotori metallici di grossi e piccoli
carillon, o nell’involucro d’alluminio di confezioni di cioccolata portati in un bagaglio a mano possono
passare inosservate alle ispezioni
aeroportuali.
Sembra la trama di un thriller. In
realtà è uno dei tanti sistemi utilizzato dai trafficanti di materiali
distruzioni
Nel servizio
fotografico di
queste e delle
altre pagine
immagini del
Museo di
Baghdad dopo
il saccheggio
e del recupero
di alcuni pezzi
archeologici
effettuato
dalla polizia
internazionale
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Cronos: quando il passato incontra il presente
archeologici sottratti al Museo di
Baghdad o dai siti in Iraq dove
la guerra ha portato disordine e
anarchia.
Il recupero
Si valuta che 250 chili d’oro e
12.000 reperti siano stati sottratti
dai musei iracheni e 15.000 siti
archeologici sono stati messi a rischio. L’estrema povertà dell’Iraq,
a diversi anni dalla caduta del
governo di Saddam Hussein, ha
decuplicato l’attività dei tombaro-
li prima abbastanza contenuta a
causa del controllo di regime. Il
recupero del materiale archeologico saccheggiato dal museo e dagli
innumerevoli altri siti archeologici
sta impegnando anche l’Italia. Le
forze di peacekeeping inviate sul
suolo iracheno nel 2003 hanno
contribuito a recuperare duemila
oggetti trafugati, arrestando una
cinquantina di tombaroli e addestrando un corpo di polizia per i
beni archeologici per difendere i
siti attraverso le foto satellitari e
le ricognizioni aeree. L’Italia finanzierà anche il progetto del «Museo
virtuale di Baghdad» con tre milioni di euro e la collaborazione
del Centro Nazionale delle Ricerche che metterà online un sito
nel quale sarà possibile osservare
nuovamente i tesori saccheggiati,
danneggiati o distrutti.
Il lavoro di recupero dei pezzi
originali resta difficilissimo. Oggetti e testi della cultura sumerica, accadica, ittita e assira sono
andati irrimediabilmente perduti,
trafugati dagli oltre diecimila siti
archeologici dell’Iraq.
I tombaroli vendono ai ricettatori oggetti antichi per 50 euro
rivenduti poi sui mercati clandestini a prezzi dieci volte superiori.
Da Baghdad il materiale arriva in
Giordania, centro di smistamento
per l’Europa, proseguendo poi in
Germania, Svizzera e Austria.
Souvenir per
Soldier Blu
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Oggi un altro pericolo incombe
sul futuro di quanto rimane delle
collezioni archeologiche irachene:
è l’intolleranza religiosa. Donny
George, ex direttore del museo
di Baghdad, accusa il ministero
delle Antichità iracheno di essere
influenzato dai funzionari fedeli
allo sciita Moqtada Sadr, l’imam
sospettato di essere a capo delle
squadre della morte responsabili
d’innumerevoli eccidi a danno
dei sunniti. George ritiene questo
personale interessato ai soli siti
medievali dell’800 d.C. trascuran-
do quelli pre–islamici di ottomila
anni fa. «La nostra peggiore paura
— ha dichiarato George — è che
diecimila anni di storia dell’uomo
vengano cancellati, una catastrofe
che non verrà avvertita a meno che
i governi di Usa e Gran Bretagna
riconoscano il danno provocato e
se ne prendano la responsabilità».
Purtroppo a volte gli stessi
soldati dei reparti presenti sul
territorio iracheno (sono più di
seicento i reperti archeologici provenienti dall’Iraq recuperati negli
Stati Uniti) hanno incrementato
il commercio di souvenir a base
di tavolette o sigilli con caratteri
cuneiformi, essendo gli oggetti
più rappresentativi della cultura
irachena ed i più facili da portare
fuori dal paese.
Un sigillo senza troppe pretese
artistiche è valutato attorno ai 100
euro mentre una piccola tavoletta
cuneiforme può costare 20 euro a
fronte delle 700 richieste per una
molto più grande. I soldati italiani
non sono coinvolti in questo traffi-
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Cronos: quando il passato incontra il presente
co, anzi ne furono vittime quando
a Nassiriya giunsero i reparti di
carabinieri che effettuarono decine
di arresti per bloccare l’attività dei
predoni.
La strage di Nassiriya fu in un
certo senso la risposta al tentativo
di legalizzazione della zona. In una
foto di gruppo di un plotone di carabinieri scattata dopo una retata
di tombaroli, figurano tre sottufficiali che sarebbero stati uccisi nel
famigerato attentato.
Nel 2005 i predoni si ripresero
le città morte, proteggendo la loro
attività con le armi in pugno.
Ai carabinieri si sono sostituiti
duecento poliziotti iracheni, considerati tra i più addestrati di tutto
l’Iraq ma insufficienti a difendere
700 città. Oggi anche
la religione sta
provando a
fermar-
li, da quando la massima autorità
religiosa sciita, l’ayatollah Al Sistani, ha lanciato contro di loro una
fatwa, una maledizione, un modo
suggestivo per risolvere una questione archeologica.
Il significato
del furto
Il furto dei testi è più di un
crimine. Trafugando questo materiale archeologico si disperde
la memoria antica dell’umanità ai
suoi primordi quando nascevano
le prima civiltà. Questi furti tolgono ogni possibilità di comprendere
i meccanismi che hanno prodotto
le prime legislazioni, i prodromi
della filosofia e della tecnologia
antica.
Si disperde il retaggio culturale che ha generato le prime
cosmogonie, il modo di intendere
l’universo di una civiltà che utilizzava la scrittura quando il resto
del mondo comunicava in maniera
primitiva. Per tutte queste considerazioni è stata sospettata un’intenzione meno venale di quanto
i fatti fanno emergere. Più che il
valore collezionistico degli oggetti,
a qualcuno interessava quasi certamente il contenuto di quei testi
cuneiformi.
I mandatari dei furti volevano
impossessarsi di un patrimonio
non ancora decifrato sotto forma
di testi magici, religiosi, diplomatici, economici.
Testi che potrebbero riservare
sorprese agli studiosi dei testi in
caratteri cuneiformi: nomi di luoghi, di personaggi, narrazioni cronologiche, teogonie e cosmogonie
rivelando il percorso compiuto dal
pensiero nato nella culla della civiltà, la Mesopotamia.
È da questo patrimonio che si
aspettano ancora possibili rivelazioni che potrebbero allargare
le conoscenze, oggi abbastanza
ristrette, sulle origini del Medio
Oriente.
elmo perduto
Al centro
l’elmo di re
Meskalamdug di
Ur della metà del
III millennio a.C.
perduto durante
il saccheggio del
museo iracheno
(foto sotto).
Nell’altra pagina
un toro alato
della porta di
Isthar a Nimrod
SCOPERTE RECENTI DI UN PASSATO
ANTICHISSIMO
L
e rovine di Babilonia furono scoperte tra il 1811 e il 1817 da Claudius
James Rich. Nel 1825 il British Museum poteva esporre le prime tavolette
d’argilla ricoperte di caratteri cuneiformi. Ma fu il francese Paul Emile Botta
nel 1842 a scavare in maniera sistematica nel Palazzo del Re Sargon II (710 a.C.) scoprendo
i famosi mastodontici tori alati dalle teste barbute, oggi ancora al Museo del Louvre di
Parigi. Le capitali imperiali di Ur, Lagash, Umma, Uruk nel tempo restituirono parte dei loro
tesori. Un altro archeologo, Hormurd Rassam, verso la fine dell’Ottocento rinvenì la Biblioteca
del Re Assurbanipal a Ninive, centinaia e centinaia di tavolette di argilla che saranno decifrate da George
Smith. Alcune di loro tramandavano l’Epopea di Gilgamesh, oggi conservate nel British Museum di Londra. In
epoca coloniale le testimonianze delle civiltà babilonese e sumera riempirono i musei d’Europa, tendenza che oggi vede
arricchirsi, invece, le collezioni private. Una tavoletta cuneiforme in Iraq può essere venduta a 50 dollari ma un collezionista l’avrà a mille volte quella cifra. Il rischio è basso per i relic hunter di tesori mesopotamici. Nel sud dell’Iraq ci sono
addirittura tribù specializzate nell’attività di ricerca e vendita delle tavolette.
La più nota è quella dei merashid di Nassiriya, che col sistema del caporalato utilizzano i braccianti reclutandoli in
cambio di una paga pari a mezzo dollaro al giorno. In condizioni climatiche spietate, gli operai scavano fino a quattro
metri di profondità, senza riguardo alcuno per quanto resta di abitazioni, palazzi reali o religiosi, saccheggiando ogni
oggetto potenzialmente vendibile. Nel 2005 gli agenti iracheni sgominarono una di queste bande ad Al Fajir, nei pressi
di Nassiriya recuperando centinaia di reperti restituiti al Museo archeologico di Baghdad. Purtroppo a pochi chilometri
dalla capitale il convoglio che riportava sotto scorta il tesoro alla sua sede fu attaccato, otto agenti furono uccisi ed i loro
corpi bruciati e lasciati nel deserto come monito per scoraggiare altri interventi della Polizia.
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città morte
Nei riquadri
alcune aree
archeologiche
irachene oggetto
dei saccheggi.
Nell’altra pagina
la testa di
bronzo del
re accadico
Sargon II (2340
a.C. circa)
da Ninive
anch’essa
scomparsa
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Cronos: quando il passato incontra il presente
ARCHEOLOGI ITALIANI: “CASCHI BLU DELLA CULTURA”
EVA BRUGNETTINI
L’
Italia può vantare un territorio ricchissimo
di opere artistiche e architettoniche praticamente unico al mondo. La conservazione di
questi beni è una priorità che ha garantito la presenza di
architetti, restauratori e archeologi altamente qualificati.
Questa competenza
acquisita sul campo è
riconosciuta a livello
mondiale, e permette
agli italiani un posto
di rilievo nelle missioni all’estero di recupero e restauro.
Il Ministero degli Affari Esteri, in
collaborazione
con
il Ministero dei Beni
Culturali,
finanzia
una serie di missioni
archeologiche, etnografiche e antropologiche allo scopo di garantire l’eredità artistica e culturale
dei Paesi minacciati o distrutti da guerre o da cause naturali. Il fondamento di questa missione è proprio quella
di recuperare il patrimonio culturale di
un Paese come unico
mezzo per ristabilire
e mantenere la pace
tra le nazioni, partendo dal presupposto
che la cultura sia
proprio la memoria
collettiva e quindi
l’identità di ogni
civiltà. Per questo
motivo l’archeologia
è diventata materia
fondamentale per la
diplomazia, e quindi
per la politica estera italiana. L’Italia e l’UNESCO hanno un
rapporto privilegiato, basato su questo assunto comune,
che solo attraverso la salvaguardia del patrimonio artistico di ogni popolo sia possibile il dialogo interculturale e
di conseguenza la pace e lo sviluppo. Un esempio forte in
questo senso è stata la ricostruzione del Ponte di Mostar,
in Bosnia–Herzegovina: costruito dai turchi nel 1556 fu
distrutto durante le guerre balcaniche nel 1993. Grazie
agli esperti italiani venne inaugurato di nuovo nel 2003,
come simbolo di pace. Le missioni finanziate dal Mini-
stero degli Affari Esteri, direttamente o con l’UNESCO,
sono tantissime. Nel 2003 sono state 114 in 45 Paesi del
mondo, 58 tra bacino del Mediterraneo e Medio Oriente,
28 in Europa, 14 in Asia e Oceania, 8 nelle Americhe e 6
in Africa Subsahariana. Gli ambiti di recupero variano
dalla preistoria all’archeologia classica, dall’egittologia
all’islamistica.
Archeologi, tecnici, storici dell’arte, restauratori
italiani sono leader nella gestione delle emergenze per
i beni artistici e culturali, tanto da meritarsi il titolo di
“Caschi Blu della cultura” direttamente dall’UNESCO. Ci
sono diversi esempi che lo dimostrano, come la presenza
di missioni importanti in Iraq, Afghanistan e Iran.
L’Iraq, che ha visto nascere tra le sponde dei fiumi Tigri ed Eufrate le prime comunità agricole e urbane, dove
si sono sviluppate le civiltà più antiche, di sumeri, assiri e
babilonesi, ha un patrimonio artistico e culturale ineguagliabile. La guerra del 2003 ha pregiudicato grandissima
parte di questo tesoro dell’umanità. Perciò la reazione
italiana è stata praticamente immediata, e ha interessato,
come punto di partenza, il danneggiato e saccheggiato
Museo di Baghdad, la cui ricostruzione ha un altissimo
valore simbolico. Dal museo sono stati trafugati una serie
di reperti, tra cui le famose tavolette cuneiformi. Il primo
compito che la missione ha dovuto affrontare è stato,
quindi, il recupero di più reperti possibili.
Di questo si è occupato il nucleo dei Carabinieri del
Comando per la Tutela del Patrimonio Artistico, grazie al
quale più di 300 pezzi sono tornati al museo. Poi è iniziato
il lavoro di restauro e
di formazione professionale di restauratori iracheni. Stessa
sorte è capitata all’Afghanistan: Paese
con una ricchezza archeologica importantissima distrutto da
innumerevoli guerre,
compresa quella tuttora in atto. Dal 2002
l’Italia, in collaborazione con l’UNESCO e
un team internazionale, è in prima linea
con una missione
archeologica
volta
anche qui a ricostituire un museo, stavolta
quello di Kabul, tra-
Furti su
commissione?
Alcuni esperti ritengono che il
saccheggio del Museo di Baghdad
non sia stato perpetrato dagli abitanti più poveri della città.
Quando il personale del Museo
riuscì a chiedere aiuto al comando
americano, fu riferito che il saccheggio stava avvenendo ad opera
di persone che sembrava sapessero
cosa cercare, in possesso delle attrezzature necessarie per compiere
l’opera. Era stato un disastro annunciato. Prima ancora che gli Stati Uniti attaccassero l’Iraq, un team
di esperti tra archeologi e storici
dell’arte avevano avvertito il Pentagono del possibile saccheggio del
museo una volta caduto Saddam.
Come ha affermato il dottor Irving
Finkel del British Museum in una
intervista a Channel 4, il saccheggio
era stato previsto e poteva essere
evitato. La rivista online statunimite recupero, catalogazione e restauro
di numerosi reperti. Dal 2004 sono in
corso inoltre degli scavi a Ghazni, area
sacra buddista, dove i talebani avevano
distrutto, già nel 2001, le enormi statue
di Buddha, alte fino a 50 metri.Alla
fine del dicembre 2003, l’Iran invece
è stato colpito
da un fortissimo
terremoto, che ha
quasi
distrutto
un sito archeologico di bellezza
incredibile, dove
era stato girato il
film Il deserto dei
tartari, basato sul
celebre romanzo
di Dino Buzzati.
Si tratta della
cittadella di Bam,
interamente costruita con argilla
rossa, dichiarata
dall’UNESCO patrimonio dell’umanità. L’Italia anche
in questo caso è
tense Business Week sostiene la tesi
della cospirazione affermando che
i ladri “sapevano ciò che cercavano
perché i mercanti d’arte avevano
ordinato i pezzi più importanti
in anticipo”. Scriveva ancora il
Business Week: «È stato come se
gli esecutori stessero aspettando la
caduta di Baghdad per muoversi».
Forse si stava cercando qualcosa di
specifico il cui valore poteva andare al di là di quello venale.
L’oggetto del
contendere
C’è chi accusa per questo
l’American Council for Cultural
Policy (ACCP), un’associazione di
ricchi collezionisti che per statuto
approverebbe la liberalizzazione
del mercato dell’arte, anche quello
clandestino, ritenendoli tra i mandatari del saccheggio.
Ma è tutto da provare. C’è
comunque altro dietro a questo
partita subito per organizzare e attuare
il recupero della cittadella. Altrettanto
significativa è la presenza del team
italiano in Cina, per l’opera di restauro
della Città Proibita, antica residenza
imperiale, dove si sono succeduti 24 imperatori delle dinastie Ming e Quing dal
1421 fino al 1911 e hanno vissuto fino a
10.000 persone tra eunuchi, concubine e
ancelle. È stato lo stesso primo ministro
cinese a richiedere l’aiuto degli esperti
italiani che si sono presto mobilitati per
garantire l’eredità artistica del Paese
del Drago.
La collaborazione tra Ministero
degli Affari Esteri e Ministero dei Beni
Culturali ha dimostrato di essere molto
proficua e all’avanguardia. L’idea che la
cultura sia il mezzo per portare avanti
lo sviluppo e la pace tra i popoli, che
l’archeologia e il restauro siano fondamentali per preservare la memoria
nazionale e collettiva, e quindi necessari
per stabilire il rispetto reciproco e il dialogo tra nazioni, va portata avanti con
decisione. È l’unica alternativa possibile
alle troppe guerre generate dalla mancanza di comprensione e conoscenza.
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Cronos: quando il passato incontra il presente
sute in Mesopotamia fino a undici
millenni prima di Cristo. Ma è
soprattutto un argomento, ultimamente molto dibattuto, che un
giorno potrebbe trovare risposta in
quei testi cuneiformi. Secondo alcune recenti teorie Abramo sarebbe stato un principe della dinastia
Mitanni, un’aristocrazia di origine
iraniana che verso il 1500 a.C.
creò un impero nella Mesopotamia
settentrionale.
I Mitanni — è stato detto
— erano di etnia ariana. Se la discendenza di Abramo e Sara fosse
davvero quella, la stessa nazione
ebrea sarebbe di origine ariana, il
che smonterebbe le teorie dei razzisti riguardo ariani e semiti.
È comprensibile che in tempi
come questi, nei quali si sta revisionando ogni punto di riferimento della storiografia ufficiale,
entrare in possesso di migliaia di
altri testi cuneiformi potrebbe significare il ritrovamento di storie
alternative come quella appena
ricordata. L’occasione per raccogliere un gran numero di questi
materiali archeologici si realizzava
dunque nella caduta del regime di
Saddam Hussein.
Dietrologia? Forse no. Quei documenti avrebbero inflazionato il
mercato con il conseguente abbattimento dei loro prezzi di vendita.
Era anche questo un modo per
il ricordo
di abramo
Nell’immagine
un quadro del
Caravaggio
che raffigura
il patriarca
Abramo in
procinto di
sacrificare suo
figlio Isacco.
Nella foto
centrale un
archivio per
conservare
le tavolette
cuneiformi
nella
ricostruzione
fatta dagli
archeologi
58
disastro annunciato. Dai tempi
di Georg Friederich Grotefend
(1775–1863) o di Henry Rawlinson (1810–1895), tra i primi
archeologi ad interessarsi della
cultura mesopotamica, l’interesse
per le tavolette cuneiformi è stato
ispirato prevalentemente dal ritrovamento di possibili riferimenti
biblici che confermerebbero l’autenticità o la fallacità delle sacre
scritture.
Nella mente degli europei l’immagine del mondo era così legata
alla descrizione biblica da dominare che durante i primi scavi in
questa regione, fino alle ricerche di
Leonard Woolley negli anni Venti,
si fecero confronti continui tra la
cultura mesopotamica e quella
descritta nella Bibbia, nonostante
quanto emerse a volte contraddiceva la visione delle scritture.
La storia di Noè e del Diluvio,
come di altre questioni relative
al ritrovamento dei nomi di città
come Sodoma e Gomorra, capaci
di scatenare polemiche nella comunità scientifica internazionale,
erano narrate in Mesopotamia
quando la Bibbia non era stata ancora scritta. Quei testi cuneiformi
su migliaia di tavolette d’argilla
parlavano di civiltà avanzate vis-
acquistarne la più grande quantità
possibile. Una manna per antiquari e collezionisti, soprattutto
per un’organizzazione che avesse
interesse sui contenuti più che sul
valore dell’oggetto.
LA BIBBIA DI PIETRA
Le narrazioni cuneiformi e le comparazioni tratte dal
Commentario biblico di Merril F. Unger
I
l racconto babilonese: le tavolette della creazione.
Scoperta delle tavolette della creazione. Tra il 1848 e il 1876
furono scoperte le prime tavolette e frammenti di tavolette del
racconto babilonese sulla creazione chiamato Enuma Elish. Scritti in caratteri cuneiformi, i sette canti dell’epopea furono incisi su sette tavolette e
furono ricuperati dalla libreria di Ninive, la capitale dell’imperatore assiro
Assurbanipal (669–626 a.C.). Questa versione, sebbene tardiva, nella sua
forma politica risale ai giorni di Hammurabi il Grande (1792–1750 a.C.), ed
ancora oltre ai Sumeri, i primi abitanti della Bassa Babilonia.
A) Il sigillo della tentazione ritrae due persone che siedono accanto ad
un albero da frutta, e dietro una delle due la figura ritta di un serpente. Tuttavia questa non sembra una rappresentazione accurata della scena della
tentazione, poiché entrambe le figure sono totalmente vestite, mentre in Gen
2,25 è detto esplicitamente che erano nude.
B) Il sigillo di Adamo ed Eva appartiene allo strato del IV millennio a.C.
degli scavi di Tepe Gawra, vicino a Ninive, ed ora si trova nell’University
Museum di Philadelphia. Questa piccola pietra scolpita, trovata nel 1932,
mostra un uomo e una donna nudi ed avviliti, seguiti da un serpente, e dà
l’idea dell’espulsione dall’Eden.
C) Storia babilonese del diluvio.
Questa storia è ricordata nell’undicesimo libro del famoso poema epico
che va sotto il nome di “Gilgamesh”, principale eroe della cultura sumerobabilonese, rinvenuto a Kouyounjik (Ninive) nel 1853. La
narrazione pre–babilonese (sumera) parla di sette giorni e
sette notti, la babilonese di sei giorni e sei notti. Il racconto
biblico indica una durata di poco superiore a un anno (371
giorni).
D) Abramo nella Mesopotamia settentrionale.
Evidenza del suo soggiorno. Pare sia stata trovata l’evidenza del soggiorno di Abramo intorno a Charan, (vedi note
su Genesi 12,1. 2). Le tavolette di Mari del XVIII sec. a.C.,
scoperte nel 1935, citano Nahor (Til–Nahiri, “la collina di
Nahor”) patria di Rebecca (Genesi 24,10). Città nei pressi di
Charan sono Serug (l’assira Serugi, Genesi 11,20) e Til Turakhi, “collina di Terah”. Peleg rievoca la precedente Paliga
sull’Eufrate. Paddam-Aram (Genesi 25,20) in aramaico è
Paddana, “campo” o “pianura” di Aram. Reu (Genesi 11,20)
corrisponde anche a nomi successivi di città nella valle del
Medio Eufrate.
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