la Voce del popolo musica www.edit.hr/lavoce Anno 9 • n. 68 mercoledì, 27 marzo 2013 KEMALGEKIĆ UNPIANISTAINCONFONDIBILE L’ANNIVERSARIO ATTUALITÀ MUSICA SACRA VOCI STORICHE Ven’anni fa si spegneva Bill Eckstine L’estate all’Arena di Pola La sequenza pasquale e lo sviluppo della polifonia Leila Gencer, la Divina del belcanto Veniva a mancare esattamente vent’anni fa a Pittsburgh Mr. B. alias Billy Eckstine, uno dei più grandi vocalist in assoluto Invidiabile carnet per l’estate all’Arena di Pola con tanti nomi di livello internazionale e con le stelle più gettonate della musica pop e leggera in Croazia Si deve alla medievale scuola di NotreDame e alla tecnica di canto dell’organum le radici e lo sviluppo della polifonia e quindi della musica colta d’Occidente Il soprano turco Leila Gencer fu una delle grandi Dame dei palcoscenici italiani e internazionali dagli anni Cinquanta ai Settanta e del 900 4|5 6 7 8 2 mercoledì, 27 marzo 2013 IL PERSONAGGIO musica la Voce del popolo di Helena Labus Bačić K emal Gekić è uno dei pianisti più illustri nel panorama musicale mondiale e un artista che – a detta dei critici - non lascia mai indifferente il suo pubblico, suscitando apprezzamento ovunque con le sue straordinarie doti. Considerato uno dei pianisti più originali a livello internazionale, Gekić offre interpretazioni fresche ed emozionanti, entusiasmando critica e pubblico. Della sua arte sono state scritte osservazioni come “La sua esecuzione è trascendentale e allo stesso tempo incandescente”, ma anche “ è come un generale che conosce tutte le regole ed è quindi libero di ignorarle in tempi di guerra”. Nato a Spalato nel 1962, Gekić ha dato prova del suo grande talento già all’età di un anno e mezzo, riproducendo accuratamente melodie al pianoforte. Si laurea con il massimo dei voti all’Accademia artistica di Novi Sad, ed immediatamente gli viene offerto un posto di docente di pianoforte, che ricopre fino al 1999. Tiene corsi di perfezionamento all’Università internazionale di Miami in Florida, è professore onorario all’ Accademia musicale di Musashino a Tokio, nonché ospite di numerosi istituti di prestigio in tutto il mondo. Vincitore di diversi concorsi pianistici, ha girato il mondo esibendosi in concerti di successo. Nel corso della carriera ha realizzato diverse registrazioni discografiche molto apprezzate. Infatti, la sua interpretazione integrale dei 12 Studi di esecuzione trascendentale di F.Liszt è considerata la migliore in assoluto. CONCERTI FIUMANI DI SUCCESSO Abbiamo incontrato il prestigioso musicista al Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” durante le prove generali per il concerto dedicato a Richard Wagner, una serata dimostratasi poi un successo. Questa è stata la seconda esibizione a Fiume per il Maestro spalatino. Infatti, il pubblico fiumani ha avuto occasione di sentirlo per la prima volta negli anni Ottanta del secolo scorso. Ha un legame particolare con la musica di Liszt? Ai tempi in cui Liszt non era popolare come lo è adesso, promisi a me stesso di eseguire un suo brano a ogni concerto. Molto spesso si trattava di composizioni popolari, altre volte meno. Bisogna rilevare che Liszt scrisse circa 1.600 composizioni, di cui appena una trentina si esegue nel repertorio da concerto. UNA REGISTRAZIONE ANTOLOGICA C’è da dire che in passato era praticamente vietato suonare la sua musica nelle accademie tedesche, in quanto esisteva un certo antagonismo personale nei confronti del genio ungherese. Tale situazione tenne banco fino al secondo dopoguerra in Europa occidentale. Erano pochissimi i pianisti che tenevano viva la sua musica, ad eccezione dell’Unione Sovietica nella quale le sue composizioni venivano eseguite su vasta scala, ma superavano raramente i confini dello Stato. Ritenevo ingiusto questo atteggiamento nei confronti di un tale rivoluzionario della musica, di mente così elevata, per cui mi dedicai con particolare zelo alle sue composizioni. Oggidì, per fortuna, le cose stanno diversamente e le sue musiche si possono sentire spesso nei recital pianistici. La sua registrazione degli Studi trascendentali è considerata la migliore in assoluto... Sono soddisfatto della mia interpretazione, il che è significativo. Infatti, mi succede raramente di essere completamente soddisfatto di ciò che faccio. Personalmente, credo che categorizzazioni di questo tipo siano un fatto soggettivo e quindi dipendano dalle affinità e dai gusti personali. Per me è essenziale che la registrazione sia viva, vibrante e che susciti delle emozioni. SUONARE LISZT CON LO SPIRITO DI CHOPIN Erano difficili da suonare? A dire il vero, io non volevo fare la registrazione. Gli studi non mi piacevano, MUSICA «LA PERME VIBRANTEESUSCITAREDE in quanto ritenevo che avessero “troppe note” (un’espressione usata nel famoso film “Amadeus” di Miloš Forman dai critici di Mozart per la sua opera “Le nozze di Figaro”), ovvero note che mi sembravano superflue. Avevo bisogno di tempo per capire in che modo approcciarmi allo spartito. Capìi in seguito che le “note superflue” potevano benissimo essere in funzione del disegno musicale e che sia possibile interpretarle in modo che contribuiscano all’espressione artistica del brano. La mia impressione negativa era il risultato dell’ascolto di parecchie esecuzioni degli studi di Liszt in cui le note in questione erano suonate in maniera superficiale e servivano solamente come prova della tecnica brillante dell’interprete. Pertanto, decisi di eseguire gli studi come se fossero dei notturni di Chopin, cercando di produrre delle linee melodiche e delle atmosfere poetiche che donassero profondità e poeticità a queste composizioni. PIANISTA NON CONVENZIONALE I critici la descrivono come unico, coraggioso, provocatorio, entusiasmante e uno dei migliori pianisti del nostro tempo, addirittura al limite del genio. Chiunque può essere definito un genio, in quanto questo è un fatto culturologico. Cent’anni fa vennero proclamati geni personaggi dei quali oggigiorno ignoriamo completamente l’esistenza, oppure personaggi che per noi oggi non calzano in nessun modo questa definizione. Secondo me, la categoria di “genio” appartiene alla sfera sociale. Cosa vuol dire per lei sentire aggettivi del genere sul proprio conto? Quanto questi influiscono sulla sua attività KEMAL GEKIĆ, ARTISTA DEL PIANOFORTE DI LIVELLO INTERNAZIONALE SI CONFESSA SUL SUO RAPPORTO CON LA MUSICA E CON LE EVOLUZIONI CULTURALI DEL PRESENTE. «IN EUROPA SI PERCEPISCE ANCORA QUELLO SPIRITO ROMANTICO DAL QUALE TUTTA LA MUSICA OTTOCENTESCA È SCATURITA.CHI PROVIENE DA UNA CULTURA UNICAMENTE ‘CONTEMPORANEA’ INVECE NON POSSIEDE LA SENSIBILITÀ ‘AUTENTICA’ PER INTERPRETARE QUESTE PAGINE IN MANIERA CONVINCENTE» musicale e sulla sua percezione di sé stesso? Ho riflettuto spesso su questo fatto e sono giunto alla conclusione che, sostanzialmente, complimenti del genere non influiscono sulla mia attività musicale e non mi rendono migliore o peggiore. Superficialmente, invece, hanno un impatto, in quanto sono un essere umano. In ogni caso, è sempre più facile e più confortevole occuparsi dell’essenza accompagnato da commenti positivi, che da quelli negativi. avrei fatto. In ogni concerto dò il meglio di sé, il massimo possibile in quel momento. Per me è importante “colpire il segno”, ovvero dire ciò che volevo attraverso la mia interpretazione e dare un’emozione al pubblico. L’interpretazione deve essere viva e deve avere un’energia vitale in modo che arrivi agli animi delle persone. La musica deve comunicare. È sempre soddisfatto delle sue interpretazioni ai concerti, oppure alla fine pensa che avrebbe potuto fare anche meglio? Sono nato nel 1962 e ai miei tempi ogni segmento della vita era ben ordinato. Nell’arte c’era pure ordine ed esistevano determinati criteri. Oggi le cose non stanno più così. Viviamo in un mondo in transizione, il clima sta cambiando e stiamo affrontando delle sfide incredibili muovendoci verso Non dico mai a me stesso che avrei potuto fare di meglio, perché, se ciò fosse stato possibile, in quel caso lo LA COMPETENZA DEL PUBBLICO NOSTRANO Secondo lei, quanto è critico, o meno, il pubblico odierno? la Voce del popolo musica mercoledì, 27 marzo 2013 3 EDEVEESSEREVIVA DELLEEMOZIONI» || L’artista con Nada Matošević Orešković raccoglie i consensi entusiastici del pubblico || Le mani di Gekić un mondo postcapitalista. Tutti questi cambiamenti hanno influito pure sulla musica e sulla sua percezione. Qui da noi molte persone che frequentano i concerti hanno studiato alla scuola di musica, mentre nel mondo il pubblico professionale è sempre più scarso. C’è un compositore o un periodo musicale che preferisce? Un musicista può avere delle preferenze o deve essere capace di destreggiarsi in tutti i periodi musicali? Credo che un musicista debba inoltrarsi in ogni periodo musicale, se non altro, per evitare la noia. Per quanto un musicista abbia un’affinità e una passione verso un determinato compositore, succede spesso di sentirsi “saturi” e di non poter dare più niente alla sua musica. Allora bisogna cambiare, addirittura suonare qualcosa che non ci piace. Questo ci può aiutare a maturare ulteriormente e a vedere il vecchio repertorio con occhi nuovi. Personalmente, amo molto Bach, Beethoven, Liszt, la musica del Romanticismo... Ѐ difficile distinguere, in quanto ci sono periodi in cui preferisco una musica all’altra. Ci sono stati periodi in cui prediligevo la musica russa, altri in cui mi immergevo nelle composizioni francesi… L’IMPORTANZA DELLA DIMENSIONE CULTURALE Lei è a contatto con studenti e giovani pianisti di tutto il mondo. Come vede le nuove generazioni? C’è qualcosa che li accomuna, nonostante si trovino ai lati opposti del mondo? C’è molto talento. Soltanto in Cina ci sono 50 milioni di persone che suonano il pianoforte. Le nuove generazioni sono energiche, capaci, intelligenti, ma il problema sta nel fatto che la cultura dalla quale provengono è diversa da quella del XIX e della prima metà del XX secolo, periodo dal quale proviene la musica che studiano. Questa cultura sta piano pian scomparendo e come conseguenza si crea un divario tra la mentalità del passato e quella del presente. C’è, infatti, qualcosa - un fattore culturale, una dimensione spirituale che “respiriamo” in un determinato ambiente - che non c’è scritto nelle note e che è necessario avere nel DNA. Noi che siamo nati in Europa ce l’abbiamo ancora, stiamo ancora percorrendo le vie storiche dalle quali tutta quella musica è scaturita. Chi proviene da un mondo contemporaneo non possiede la sensibilità “autentica” per interpretare quella musica in maniera credibile. D’altro lato, esiste invece la possibilità che quella musica venga interpretata con una sensibilità completamente nuova, ma in quel caso si dovrebbe trattare di un’interpretazione fuori dal comune. Un punto a favore delle nuove generazioni è la tecnologia che permette loro di accedere a materiali d’archivio, ovvero ad esecuzioni che risalgono a diversi decenni fa, che la mia generazione non poteva nemmeno sognare di trovare. Hanno una possibilità fantastica di istruirsi e di conoscere. Come vede il fenomeno del crossover? Non sono contrario al crossover. Certi risultati di questo miscuglio tra il classico e il moderno lasciano molto a desiderare, ma se una di queste composizioni induce una persona che non conosce la musica classica ad inoltrarsi in questo mondo, credo che in quel caso il fine sia stato raggiunto. Credo che in una certa misura il crossover abbia portato un certo numero di persone nel mondo della musica colta, il che è un bene. C’è qualcosa che vorrebbe ancora realizzare nella propria vita o nella propria carriera? Vorrei riprendere a comporre, cosa che facevo da bambino ma che ho trascurato per portare avanti la carriera da pianista. Occuparsi di composizioni è qualcosa di speciale, immagino che potrei paragonarlo al parto, sebbene essendo uomo non saprei come esattamente si sente una donna mettendo al mondo un bimbo... 4 lalaVoce Voce del popolo del popolo mercoledì, 27 marzo 2013 L’ANNIVERSARIO di Sandro Damiani VENT’ANNI FA SI SPEGNEVA A PITTSBURGH BILLY ECKSTINE, UNO DEI MIGLIORI VOCALIST JAZZ IN ASSOLUTO. SI ESIBÌ CON I MOSTRI SACRI DEL TEMPO || Con le ammiratrici || Uno dei tanti dischi realizzati assieme a Sarah Vaughan || Duke Ellington, amico e ammiratore di Eckstine || La copertina del long play di Eckstine con le canzoni più famose L’ 8 marzo del 1993 muore a Pittsburgh, dov’era nato l’8 luglio 1914, Billy Eckstine. Oggi, grazie a internet e youtube molto di più di quando si spense. All’epoca, in Europa e segnatamente in Italia, buona parte del “suo” ambiente, quello della musica jazz e del canto pop, ne sapeva talmente poco o nulla, che la maggior parte degli “addetti ai lavori” si stupirono del consistente spazio che la grande stampa americana stava dando alla notizia della sua scomparsa. D’altronde, erano trascorsi parecchi anni da che Mr.B – il nomignolo che Billy Eckstine si portava appresso sin dai Quaranta – pur non avendo mai smesso di “esercitare”, e non di rado a fianco di riconosciuti mostri sacri, non faceva più parte del grande giro internazionale. Inoltre, sul piano discografico, dalla metà dei Settanta in poi fece solo due album, mentre un terzo – doppio – raccoglieva i suoi più noti successi. GRANDE TRA I GRANDI Ma jazzisti e addetti ai lavori non avevano mai smesso di apprezzarlo immensamente; e, compatto, il mondo afroamericano, addirittura, di venerarlo, come artista e MR.B.L’UGOLAD’ORO come uomo. Dirà il vibrafonista Lionel Hampton all’annuncio dell’avvenuta scomparsa: «E’ stato uno dei più grandi vocalist di tutti i tempi... il primo dei nostri ad essere popolare tra i Bianchi. Ne siamo orgogliosi, é stato il nostro cantante». Hampton si riferisce a un sentimento che nasce e si cementa dal 1944 in poi, quando, dando vita alla prima orchestra be-bop, Eckstine raccoglie intorno a sé la crema degli strumentisti che avrebbero caratterizzato la storia del jazz del secondo Novecento: Charlie Parker e Dizzy Gillespie, Art Blakey e Dexter Gordon, Fatz Navarro e Miles Davis; Leo Parker e Sonny Stitt, fino a Sarah Vaughan (“Lui è mio padre, il mio maestro, il mio sangue”) che egli scoprì ad una serata per dilettanti all’Apollo di New York nel 1943. A proposito della Divina, com’è stata definita la Vaughan, e del profondo e lungo rapporto di amicizia tra loro, alla notizia della di lei morte, avvenuta nell’aprile del 1990, Eckstine ebbe un colpo apoplettico, cui due anni dopo seguì il secondo - quello fatale. LA VITTORIA SULL’APARTHEID DISCOGRAFICO Tornando al perché di tanto affetto e sta da parte della “sua gente”, il ruolo fondamentale lo gioca il fatto che l’ascesa nazionale e internazionale di Billy Eckstine comporta la prima caduta del “muro” eretto dalla discografia Bianca rispetto alla musica e ai musicisti afroamericani al di fuori della cerchia degli “specialisti”. Egli, cioè non è solo divenuto la prima pop & jazzstar della gioventù Nera, ma anche il cantante più gettonato tra i Bianchi. Non era mai successo prima. Per la prima volta un cantante di colore vende milioni di dischi – tra i Bianchi! Dunque la sua “presenza” radiofonica e la “stanzialita’” nelle parti alte delle classifiche di vendita è costante: tant’è che prima della fine del decennio conquisterà undici Dischi d’Oro e il soprannome di “Mr. Millionsellers”. Non è tutto. Eckstine è il primo cantante di colore che firma un contratto con una major del disco non racial, cioè appartenente al mondo dei Neri: è la MGM di Hollywood. CONCORSO GALEOTTO Facciamo un passo indietro. Siamo intorno al 1934/35, William Clarence Eckstein (nipote di un bianco tedesco e di una ex schiava) è uno spavaldo e fascinoso ventenne, iscritto alla Howard University di Washington, con un promettente futuro di calciatore davanti, che - vuoi a causa di un incidente di gara, vuoi perché vince un concorso per giovani cantanti-imitatori-intrattenitori decide di non intraprendere, per dedicarsi anima e corpo alla musica. Il premio del concorso è di dieci dollari e saltuari ma pure tanti utilissimi ingaggi in orchestrine dell’area. Ben presto si cimenta con complessi di Buffalo e di Detroit, finché una sera non lo sente un collaboratore di Earl Hines, il compositore e arrangiatore, nonché sassofonista Bud Johnson, il quale lo propone a “Fatha”. E’ il 1939, siamo a Chicago – una delle capitali del jazz – e Billy diviene il vocalist di una delle più importanti orchestre da ballroom: nel giro di un anno, grazie a lui, diventa la più seguita. Tra il 1942 e il 1943 infila tre pezzi con cui vende alcuni milioni di dischi. Da questo momento e fino al 1953, Billy Eckstine sarà il cantante più ascoltato e più acquistato d’America. CENTO CANZONI ALLA CARNEGIE HALL Un esempio della sua popolarità: nel 1951 ha un concerto alla Carnegie Hall. La direzione è preoccupatissima: le richieste (costo del biglietto – stellare) triplicano il numero di posti disponibili, ma non ci sono date disponibili; che fare? No problem: Billy tiene due concerti, uno appresso all’altro, complessivamente, bis e tris compresi, poco meno di un centinaio di canzoni. Ma che razza di polmoni c’ha quest’uomo?!? Mr.B, ha grandi doti di intrattenitore, all’occorrenza è un buon imitatore. Ma ha soprattutto una splendida voce baritonale, con facile e naturale estensione sia sui bassi che sugli alti, uno swing innato. Inoltre dispone di un’ottima dizione: non sbiascica mai. E’ un talento naturale, niente scuola: negli anni del tirocinio, però, studia e ascolta tutto l’ascoltabile, non ultimi i cantanti d’opera.. Dirà di lui Ellington: “Nella musica moderna esiste un particolare sound, il Sonorous B”, la Voce musica del popolo mercoledì, 27 marzo 2013 5 degli anni Cinquanta. Nel 1951, come da contratto con la MGM, Eckstine deve girare un film musicale, “Skirts Ahoy!”, con Esther Williams, in cui interpreta sé stesso. Ebbene, gli viene raccomandato di non posare mai lo sguardo sulle Bianche presenti nella ballroom, mentre canta!? (Le presenti invece se lo mangiano con gli occhi...). Pochi anni dopo, la star afroamericana più amata dal mainstream, Nat King Cole, conduce uno talk & singshow televisivo a cui prendono parte tutti, dicansi tutti, i più famosi e le più famose cantanti americani (dopo due anni la trasmissione chiuderà, per mancanza di inserzionisti!?). Per contratto, Nat non deve toccare o sfiorare le ospiti Bianche... e ciò vale anche per loro. UN DORATO VIALE DEL TRAMONTO AFROAMERICANA CHE SEDUSSE LE PLATEE DEI BIANCHI quello cioè di Billy. Solo a lui, il Duca ha permesso di cantargli le canzoni a suo piacimento. Stima e amicizia. Non hanno mai inciso insieme, ma hanno lavorato spesso fianco a fianco. Insieme fanno tournèes e concerti.. Questo legame era talmente forte che Ellington se lo porterà appresso, nei primi Settanta, alla Casa Bianca, per ricevere da Richard Nixon la Freedom Medal. FEDELTÀ ALLA CANZONE Eravamo rimasti agli anni della MGM: contratto quinquennale, poi portato a sette anni, dal 1947. L’assegno è inizialmente di un milione di dollari, più percentuali, benefit vari, eccetera. La label gli mette a disposizione le più importanti orchestre pop, i bandleader e gli arrangiatori migliori: Hugo Winterhalter, Russ Case, Nelson Riddle, Henry Mancini, Peter Rugolo, l’orchestra di Woody Hermann, il combo di George Shearing. C’e’ da dire che non sempre si trova d’accordo con gli arrangiatori – a tutto vantaggio del rapporto con i compositori. Billy, infatti, è massimamente rispettoso delle canzoni che sceglie e non permette eccessivi interventi. Un aneddoto sintomatico a questa sua “fedeltà” alla canzone si ebbe al termine di un concerto, che al tempo stesso era una seduta d’incisione alla fine dei Cinquanta. Tra i trenta e passa brani eseguiti c’è pure l’osticissima “Lush Life” di Billy Strayhorn (niente archi, niente cori: pochi fiati e un pianoforte), registrata la prima volta nel 1949 da Nat King Cole e in seguito ripresa da tutti i più noti singer. Ebbene, conclusa la serata, il compositore, nonché arrangiatore dell’orchestra di Duke Ellington, presenti entrambi, gli si avvicina e di fronte a tutti gli fa: “Finalmente qualcuno che la canta così come l’ho scritta io!”. Il settennato targato MGM volge al termine. Negli States, in Canadà e in Gran Bretagna, nel complesso si contano oltre ottocento “Billy Eckstine Fan Club”. Non c’é cantante – uomo o donna che sia – tra quanti intraprendono la carriera dagli anni Quaranta in poi che non si rifacciano a lui: nella sonorità, nel timing, nel porgere o nel tenere la nota, ciò vale soprattutto per quelli che vengono dopo (mi riferisco anche a Presley, non solo a Hartman e Prysock, per citare i più famosi). Non c’è rivista specializzata che non parli di lui, e non mancano servizi e interviste sui magazines popolari. Uno di questi, però – “Life” - lo inguaia. Nel reportage c’è una foto gigante in cui, all’entrata di un grande teatro-sala concerti, mi pare il Paramount, decine di teenagers Bianche gli si stringono intorno, chi lo abbraccia, chi gli sta sorridente accanto... non è nè un fotomontaggio, nè una messa in posa: è entusiasmo puro. Per quelle ragazze non ci sono barriere. Sembrano dire: “Nero, bianco... che significa? E’ bello? E’ bravo? E’ simpaticissimo? Ci piace!” E il critico del Washington Post scrive: “Perché lo definite il Frank Sinatra dei Neri? Caso mai Sinatra dovrebbe essere definito il Billy Eckstine dei Bianchi”. Quando è troppo, è troppo! L’America, quando si parla di Neri, è tutt’altro che una Cristianland. Dirà, il compositore e produttore Quincy Jones “Se fosse stato di carnagione bianca, il cielo non gli avrebbe fatto da limite”. LA GUERRA DEL BOICOTTAGGIO E’ l’inizio del boicottaggio, a cui si sottomettono gli stessi discografici che lo ingaggiano!? Come fermarlo, a parte, che so, una pallottola? Semplice: gli si stampano poche centinaia di migliaia di dischi (oppure si nascondono gli effettivi dati delle vendite), cosicché non entra più nei piani alti delle classifiche. No hit-parade, no radio, no tv, men che mai Broadway o Hollywood. Va anche dato atto che Eckstine se ne strafotte del segregazionismo e del forte sentimento razzista del tempo, e niente compromessi. Come non li ha mai fatti a livello professionale. Una caduta di notorietà, comunque, se l’aspettava: sono gli anni del nascente Ritham & Blues e del Rock & Roll. Prova pure lui a cimentarvisi, ma non va. E’ una questione di testa, di abito mentale. I nuovi generi non sono solo un fatto di melodia, armonia e ritmo, è anche un fatto di testi, di storie cantate, di gergo. L’ASSURDITÀ DELLA DISCRIMINAZIONE RAZZIALE Due episodi, relativi al clima “ufficialmente” razzista dell’America Mr.B si ritira a Las Vegas, dove canta quasi ogni sera per avventori, o sofisticatissimi o snob straricchi e senza orecchio. La capitale del gioco d’azzardo è priva di anima: pietas cristiana e razzismo non la riguardano. Chiunque “porti” soldi è ben accetto. Di tanto in tanto Billy incide qualche album di standard, pezzi che compone lui stesso. Di frequente se ne viene in tour in Europa: i britannici lo amano, gli scandinavi pure. Lo fa con la formazione del fedele pianista Bobby Tucker o con la band di Count Basie. Irwing Berlin lo invita a fare un disco di duetti delle sue canzoni con Sarah Vaughan, accompagnati dall’orchestra di Hal Mooney. I loro “Cheek to Cheek”, “Remember”, “Always”, “Easter Parade” oscurano ogni precedente interpretazione. Va alle Hawaii con la Duke Ellington Orchestra; in giro per l’America, accompagnato dai Four Tops, l’attrazione vocale del momento. Affronta un’attraversata degli States di due anni con uno spettacolo-concerto in compagnia di Sammy Davis Junior. Incide un LP di sole canzoni da famosi film; altri album con Quincy, Rugolo, Billy May. E’ ricco e appagato. Ha sistemato alla grande i cinque figli avuti dalla seconda moglie, la modella e attrice Carroll Drake, e i due di lei, che ha adottato. Non c’e’ show televisivo a cui non venga invitato; non c’è produttore che non gli chieda di “sponsorizzare” un interprete di talento alle prime armi (lo farà, cantandoci insieme, con una diciottenne bellina e promettente: Linda Ronstand). E’ ospite dei più grandi concerti che si tengono a Las Vegas. Addirittura, il più acclamato cantante pop del momento lo vuole accanto: Tom Jones... Lena Horne. Dalla fine dei Sessanta si lega alla Motown, storica casa discografica afroamericana. Già che c’è si adopera per il lancio o rilancio di un paio di canzoni di un imberbe Stevie Wonder, e duetta con Damita Joe, mentre Isaac Hayes-black Moses, lo accompagna alle tastiere. Nel 1985 L’Apollo neviorkese omaggia Sarah Vaughan. In platea, del mondo musicale americano mancano solo...i morti. E’ una festa. A metà serata, Sarah presenta “My friend, my father, my blood...”. Billy Eckstine non fa a tempo a guadagnare il centro del palcoscenico che scatta una commoventissima standing ovation. L’ULTIMA INCISIONE L’anno successivo arriva l’ultima incisione. Ha 72 anni. Il quartetto che lo accompagna è diretto dal fido Bobby Tucker. Coproduttore, una delle migliori cantanti jazz Bianche: la croato-neviorkese Helen Merrill (Jelena Minčetić). Tra i pezzi, alcuni standard che non aveva mai registrato prima: “Summertime”, “Memory of You”, “May Funny Valentine”, “Le foglie morte” e, in duetto con la Merrill, “You’d Be So Nice to Come Home To”. Quando nel 2005 la O Record immette sul mercato un cofanetto dedicato a Billie Holiday – “Ultimate collection” – già prenotato in milioni e milioni di copie, i produttori non dimenticano di inserirvi un’intervista audio con Eckstine, risalente al 1971, in cui Mr.B cita episodi, aneddoti, momenti della vita professionale di Lady D. Alla fine degli Ottanta, tira i remi in barca. Lo rattristano le morti, a catena, dei suoi vecchi compagni di viaggio. Miles Davis, Dizzy Gillespie, Art Blakey, Dexter Gordon. Dichiara a un giornale: “Ora che me ne andrò anch’io, rimetteremo in piedi la nostra band”... E quando muore anche Sarah Vaughan, sa che è arrivato il suo turno... di entrare nella Leggenda. 6 mercoledì, 27 marzo 2013 ATTUALITÀ musica la Voce del popolo di Daria Deghenghi STELLEDIRANGOINTERNAZIONALE NELL’ANFITEATRO POLESE || 2 cellos C ontrariamente ad ogni superstiziosissima considerazione, questo 2013 sarà fortunato in termini di spettacolo. Classica e lirica a parte (nessuna anticipazione su questo fronte, per ora), la grande musica pop sarà di casa a Pola, quest’estate, grazie al solito anfiteatro romano senza la cui sontuosità potremmo scordarci le fugaci apparizioni di stelle autentiche del firmamento canoro internazionale da Sting a Joe Cocker. Per farla breve, quest’anno c’è da rallegrarsi sul serio, e anche d’andarci un pochino fieri, perché l’Arena di Pola ospiterà il grande Leonard Cohen, il sempreverde Joe Cocker, la francese Zaz, i due “cellos” croati, Hauser e Šulić, i tedeschi in veste talare “Gregorian” ma anche qualche nome di rango “solo” nazionale come Josipa Lisac e l’istriano Massimo Savić. Per inciso, non hanno avuto il lasciapassare per la “non idonea” all’ambito monumento romano, Severina, e il collega bosniaco Dino Merlin; ma la storia dei criteri per l’accesso al nobile palcoscenico estivo è risaputa, e non torniamo pertanto a rispolverarla in questa sede (basterà ricordare le guerre che per aggiudicarselo aveva combattuto a suo tempo, anche in sede giudiziaria, il povero Marko Perković Thompson). PROMOZIONE DISCOGRAFICA PER COHEN Leonard Cohen, dunque. Che dire? Sessant’anni dacché calcò le scene mondiali, introverso e depresso, il poeta e cantautore canadese dalla discografia lunga quanto una litania (e lo stesso vale per l’elenco dei premi), sarà a Pola il 2 agosto grazie ad Adria Entertainment, a prezzi che variano dalle 250 alle 580 kune per i biglietti in vendita nel circuito Eventim. Con il concerto di Pola Cohen torna in Croazia a tre anni dalla sua prima esibizione a Zagabria e a cinque anni dal ritorno sulle scene dopo una pausa di quindici, trascorsa nel più radicale isolamento secondo i canoni buddhisti di un monastero in California. Figlio di immigrati ebrei nel Canada, Cohen fu prima poeta e solo in un secondo momento cantautore, ma l’evoluzione fu lenta e sofferta: il primo disco, “Songs of Leonard Cohen”, del 1967, venne coralmente ripudiato perché “deprimente e ispirato alla morte e al suicidio”, argomenti peraltro in netta contrapposizione alla dominante cultura hippy del momento, inneggiante per contro alla vita e all’amore. Il riscatto sarebbe venuto dopo e difatti || Zaz || Leonard Cohen || Josipa Lisac L’ESTATE POP ALL’ARENA SI PRESENTA RICCA E FORTUNATA. TERRANNO SPETTACOLO LEONARD COHEN, IL SEMPREVERDE JOE COCKER, LA FRANCESE ZAZ, I DUE «CELLOS» CROATI, HAUSER E ŠULIĆ, I TEDESCHI «GREGORIAN», JOSIPA LISAC E L’ISTRIANO MASSIMO SAVIĆ l’album dell’esordio è oggi platealmente riconosciuto come capolavoro ingiustamente sottovalutato. Ad ogni modo sarà solo il successivo “Songs of the Room”, del 1969, ad aprirgli le porte del successo con brani culto quali “Bird on the Wire”, “Nancy” e “Seems so Long Ago”. Compositore televisivo e cinematografico, autore di testi toccanti, modello da imitazione e caposcuola carismatico, Cohen sarà a Pola nel quadro dell’ultimo tour che promuove il disco attuale “Old Ideas”. Oltre ai pezzi recenti si spera comunque di sentire anche i maggiori successi della carriera, tipo “Susanne”, “Famous Blue Raincoat”, “So Lng Marianne”, “Sisters of Mercy”, “Hallelujah” e via elencando; senza omettere il brano “First we Take Manhattan”, del quale avrebbe ulteriormente esteso la longevità e la celebrità, con una riuscita cover, quello stesso Joe Cocker che torneremo ad applaudire in Arena il 21 agosto, a otto anni dal suo primo concerto polese. JOE COCKER 50 ANNI SULLA SCENA Mezzo secolo di carriera alle spalle pure lui, un tris di band sconosciute e abbandonate sul nascere a titolo di esplorazione, l’esordio (quasi) facile da solista con due cover beatlesiane (I’ll Cry Instead e Whit a Little Help From my Friends), il successo in Inghilterra, lo sbarco in America. Joe Cocker canta a Woodstock e precipita nell’abisso dell’alcol per sparire dalle scene negli anni Settanta e rinascere come l’araba Fenice negli anni Ottanta. Intramontabile è la sua versione di “You can Leave your Hat On”, ma regge bene il passare degli anni anche il duetto soft con Jennifer Warnes nella colonna sonora di “Ufficiale e Gentiluomo” (“Up where we Belong”), per non parlare delle successive “Unchain my Heart”, “When the Night Comes” e “N’oubliez jamais”. Anche Cocker è in tournée per promuovere l’album attuale, “Fire it up”. Per vederlo basterà sganciare dalle 250 alle 450 kune. Più economico di Choen, evidentemente. L’APERTURA CON I DUE CELLOS Ma ad inaugurare la stagione saranno i due “cellos” Stjepan Hauser e Luka Šulić, sul palco dell’Arena per primi, il 2 luglio. Carriera folgorante – complice quel post su You tube del video girato con due violoncelli (e due soldi) alla Casa delle forze armate di Pola – e verosimilmente di breve respiro (esperimenti del genere non sono certo nuovi, né sembra che i protagonisti riescano a trattenere a lungo l’interesse del pubblico e dei media), Hauser e Šulić hanno tuttavia un padrino eccellente quale Elton John, e un’etichetta alle spalle che è un’istituzione, la Sony, quindi, si procede col vento in poppa. Quanto a Isabelle Geffroy, in arte Zaz, la recente esperienza di Zagabria sembra essere stata appagante abbastanza per tornare in Croazia. La data è quella del 14 agosto, buona anche per calamitare in Arena i turisti in vacanza a Pola, qualora i locali non bastassero a gremire l’Arena, cosa che puntualmente accade date le dimensioni dell’anfiteatro e considerato il ridotto potere d’acquisto dei residenti rispetto a buona parte degli di passaggio per Pola. Di tutt’altro genere la musica dei Gregorian, che campano egregiamente frequentando i classici del pop, del rock e del metal rivisitati in chiave per così dire “gregoriana”. Sulla scena canora da una dozzina d’anni, i coristi tedeschi canteranno per noi a cappella e con accompagnamento strumentale vestiti da monaci cattolici del buio Medio Evo. musica la Voce del popolo mercoledì, 27 marzo 2013 7 MUSICA SACRA «VICTIMÆ PASCHALI LAUDES IMMOLENT CHRISTIANI. AGNUS REDEMIT OVES: CHRISTUS INNOCENS PATRI RECONCILIAVIT PECCATORES. MORS ET VITA DUELLO CONFLIXERE MIRANDO: DUX VITÆ MORTUUS, REGNAT VIVUS» L’ARCAICA PUREZZA DEL CANTO MEDIEVALE I l Victimae Paschali è una sequenza che tradizionalmente viene cantata nella solennità di Pasqua e, facoltativamente, nell’Ottava. La composizione, ritenuta dell’XI secolo viene generalmente attribuita al monaco Wipone, cappellano dell’imperatore Corrado II, ma è stata anche attribuita ad altri, quali l’abate Notker Balbulus, Roberto II di Francia detto il Pio, il compositore di inni latini Adam di San Vittore. Il testo nella traduzione liturgica in lingua italiana recita: “Alla vittima pasquale, si innalzi il sacrificio di lode, l’Agnello ha redento il gregge, Cristo l’innocente ha riconciliato i peccatori col Padre. Morte e Vita si sono affrontate in un duello straordinario: il Signore della vita era morto, ora, regna vivo. Raccontaci, Maria, che hai visto sulla via? La tomba del Cristo vivente, la gloria del risorto; e gli angeli suoi testimoni, il sudario e le vesti; Cristo mia speranza è risorto e precede i suoi in Galilea. Siamo certi che Cristo è veramente risorto. Tu, Re vittorioso, abbi pietà di noi. Amen. Alleluia.” UNA SEQUENZA MUSICATA INNUMEREVOLI VOLTE Insieme ad altre quattro sequenze medievali Victimae Paschali Laudes è tra quelle che sono state preservate nel Missale Romanum pubblicato nel 1570 in seguito al Concilio di Trento svoltosi tra il 1545 e il 1563. Le altre sequenze sono il Dies irae, Lauda Sion Salvatorem, lo Stabat Mater e Veni Sancte Spiritus. Precedentemente al Concilio di Trento le sequenze erano numerosissime, molte chiese locali e molte festività religiose avevano una propria sequenza e per la festività Pasquale c’erano addirittura 16 differenti sequenze. Il testo di questa sequenza venne musicato a cominciare dal canto gregoriano, da molti compositori del Rinascimento e del Barocco, tra cui Antoine Busnois, Josquin Desprez, Orlando di Lasso, Adrian Willaert, Hans Buchner, Giovanni Pierluigi da Palestrina, William Byrd e Lorenzo Perosi. Alcuni inni luterani derivano dal Victimae Paschali Laudes, tra cui Christ ist erstanden e Christ lag in Todesbanden, una cantata di Johann Sebastian Bach. Le cinque sequenze sono state ancora mantenute dalla riforma liturgica seguita al concilio Vaticano II ed attualmente in uso nella Chiesa cattolica. Nella tecnica di canto dell’Organum medievale va ricercata la radice della polifonia e di tutta la musica occidentale A Notre-Dame de Paris germogliò il canto europeo Nella tecnica di canto chiamata Organum, in vigore nel Medio Evo, possiamo individuare i primi accenni della polifonia vera e propria. Nelle sue prime fasi, l’organum coinvolgeva due sole voci: una melodia gregoriana (vox principalis), sovrapposta a se stessa in versione spostata di un intervallo consonante, di || “Alleluia nativitas gloriose Virginis Marie” di Perotinus solito una quarta giusta o quinta. In questi casi spesso la composizione cominciava e finiva con un unisono, mantenendo la trasposizione solo nel corpus centrale. Originariamente l’organum era improvvisato; mentre un cantore eseguiva la melodia scritta (la cosiddetta vox principalis), un altro ad orecchio forniva la seconda melodia trasposta (la vox organalis). In un secondo tempo i compositori cominciarono a sovrapporre parti che non erano più semplici trasposizioni: così nacque la polifonia in senso autentico. ORGANUM PARALLELO «MUSICA ENCHIRIADIS» DUE SCUOLE A CONFRONTO: S. MARZIALE E NOTRE-DAME ll primo documento che descrive l’organum nella fattispecie e che annota regole per la sua esecuzione fu la “Musica enchiriadis” (895 ca.), un trattato tradizionalmente (e forse erroneamente) attribuito a Ucbaldo di St. Amand. Nella sua accezione originaria, l’organum non fu inteso come polifonia in senso moderno: la voce che si aggiungeva a quella scritta era da intendersi come rinforzo alla schola, che normalmente eseguiva il repertorio liturgico gregoriano all’unisono. È anche chiarito, nella “Musica enchiriadis”, che il raddoppio all’ottava era accettabile, anche perché inevitabile quando adulti e fanciulli cantavano insieme; era inoltre prassi accettata il raddoppio strumentale delle voci. Gli Scholia enchiriadis, trattato del X secolo, si occupano dell’argomento nei minimi dettagli. La “Musica enchiriadis” documenta una pratica a quei tempi già in voga: perciò non è possibile stabilirne la data d’inizio, che potrebbe risalire a secoli prima. Poiché il trattato è stato composto sul finire del IX secolo (come detto, circa nell’895), appena prima di un’epoca culturale in cui si ebbe la completa reinvenzione della notazione musicale standard, le sue descrizioni dell’organum sono solo verbali, senza esempi musicali; né, del resto, è dato sapere quanto rigorosamente il modello descritto venisse seguito. Il genere musicale dell’organum raggiunse il suo vertice nel XII secolo, con lo sviluppo di due scuole di composizione molto differenti fra loro: la scuola di San Marziale, esponente dell’organum florido, e che aveva probabilmente il suo epicentro presso il monastero di San Marziale a Limoges, e la Scuola di Notre Dame, esponente del cosiddetto “organum di Parigi”. La scuola di Notre-Dame, con i maestri Léonin e Pérotin, abbandona l’improvvisazione e stabilisce i modi per una maggiore elaborazione delle composizioni musicali che, adesso, si organizzano nella loro interezza e senza una stretta dipendenza dal testo; giova anche ricordare che la complessità del canto a più voci determina lo sviluppo della notazione musicale, nella quale si introducono i valori di tempo. Magister Perotinus Magnus è il principale esponente della Scuola di Notre-Dame; rielabora il “Magnus Liber Organi” (“Grande libro di organum”) di Magister Leoninus e ne amplia la costruzione vocale aumentando le voci principali, anche fino a quattro. Gli Organa di Perotinus sono il primo grande fondamento della polifonia e fra le opere a lui attribuite ricordiamo: “Alleluia” a tre voci e “Viderunt omnes” a quattro voci, eseguito per la prima volta nella cattedrale di Notre-Dame il giorno di Natale del 1198. Per quanto riguarda la fase del canto parallelo, la vox principalis era quella superiore; la vox organalis stava sotto di un intervallo giusto, in genere una quarta. Così la melodia poteva essere udita come voce eminente, e la vox organalis come accompagnamento e rinforzo. Questo tipo di organum adesso è classificato come organum parallelo, benché nei primi trattati si usasse anche la definizione di symphonia. 8 musica mercoledì, 27 marzo 2013 la Voce del popolo || Interprete di Maria Stuarda LA REGALE PERSONALITÀ DI LEILA GENCER VOCI STORICHE TRA LE DIVINE DEL BELCANTO L eyla Gencer, nata Ayşe Leyla Çeyrekgil (Istanbul, 10 ottobre 1928 – Milano, 9 maggio 2008), è stata una delle Dive di punta del belcanto degli anni ‘50 e protagonista del panorama operistico italiano ed internazionale. Dotata di voce potente, forte personalità e senso drammatico ancora oggi viene ricordata con ammirazione dagli amanti dell’arte lirica. IL DEBUTTO IN ITALIA Ayşe Leyla Çeyrekgil nasce a Istanbul il 10 ottobre 1928 figlia di Hasanzade İbrahim Bey, imprenditore turco, e di Lexanda Angela Minakovska, nobildonna polacca. Studia canto al Conservatorio di Istanbul e successivamente, in forma privata, ad Ankara, con il soprano italiano Giannina Arangi-Lombardi. In Italia debutta nel 1953, al Teatro San Carlo di Napoli, nel ruolo di Santuzza, con grande successo di critica e di pubblico. A Napoli interpreterà nel corso dell’anno successivo l’Eugenio Onieghin con la conduzione orchestrale di Tullio Serafin, e una superba Madama Butterfly diretta da Gabriele Santini. Nel marzo 1958 interpreta Assassinio nella cattedrale di Ildebrando Pizzetti, la Voce del popolo Anno 9 /n. 68 / mercoledì, 27 marzo 2013 IN PIÙ Supplementi è a cura di Errol Superina [email protected] Edizione Progetto editoriale Caporedattore responsabile Errol Superina MUSICA Silvio Forza Redattore esecutivo Patrizia Venucci Merdžo Impaginazione Annamaria Picco Collaboratori Sandro Damiani, Helena Labus Bačić, Daria Deghenghi Foto Ivor Hreljanović e archivio || Come Caterina Cornaro || Nella parte della druidessa Norma presentata in prima mondiale al Teatro alla Scala di Milano. ALLA SCALA PER QUINDICI ANNI Apparirà al teatro meneghino per ben quindici stagioni, con diciannove titoli, fra il 1957 e il 1983, imponendosi come uno dei più rappresentativi soprani del suo tempo. Fra le interpretazioni più significative si annoverano Leonora ne La forza del destino, Elisabetta di Valois nel Don Carlos, Lady Macbeth in Macbeth, Norma, nell’opera omonima. La Gencer si esibirà successivamente in tutte le altre principali piazze operistiche italiane: a Roma (Don Giovanni, 1960, Roberto Devereux, (1964, La Vestale 1973, Anna Bolena 1977), Bologna (Un ballo in maschera 1964), Firenze (Macbeth 1975, Lucrezia Borgia 1979, ecc.), a Venezia (I due Foscari, 1957, Beatrice di Tenda, 1964,Medea, 1968, ecc.), a Torino (La dama di picche, 1963, Don Giovanni 1978 ecc.), a Genova (Il trovatore, 1959, Otello, 1962, ecc.), a Spoleto (L’angelo di fuoco, 1959). È stata grande interprete di ruoli donizettiani, contribuendo alla riscoperta e rivalorizzazione di alcuni capolavori del compositore bergamasco (Belisario, Les Martyrs, Poliuto, Caterina Cornaro), grazie soprattutto all’intenso legame artistico con il direttore Gianandrea Gavazzeni. UNA DIVA INTERNAZIONALE Fra gli anni cinquanta e settanta la Gencer si esibisce, oltre che in Italia, negli Stati Uniti (San Francisco, Francesca da Rimini, 1956; Dallas, Madama Butterfly, 1960; Chicago, Don Carlos 1964, ecc.), in Gran Bretagna (Royal Opera House, Don Giovanni 1962; Glyndebourne Festival Opera, Le nozze di Figaro, 1962 e Anna Bolena, 1965; Edimburgo, Elisabetta, regina d’Inghilterra, 1972, ecc.), in Russia (Mosca, Teatro Bolshoi, || Alla Scala di Milano (1963) nel “Don Carlo” e San Pietroburgo, Teatro Kirov, La traviata, 1960), in Spagna (Barcellona, Gran Teatro del Liceu, Norma, 1962, e Poliuto, 1975), Argentina oltreché a Monaco (1963), in Brasile, in Europa e, ripetutamente, nella sua terra d’origine. IL RITIRO E L’INSEGNAMENTO Leyla Gencer abbandona le scene con l’opera La prova di un’opera seria di Francesco Gnecco, che canta presso il Teatro la Fenice di Venezia e a Mestre nel febbraio del 1983. Successivamente si esibirà in numerosi concerti in Italia e all’estero. Negli anni ottanta si dedica soprattutto all’insegnamento e nel decennio successivo verrà chiamata da Riccardo Muti a dirigere l’Accademia della Scala, dove si formano le nuove promesse della lirica. Ha trascorso gli ultimi anni della sua vita fra Milano e Istanbul. Si spegne all’età di 79 anni, nella notte tra il 9 e il 10 maggio 2008 nella sua casa di Milano, a seguito di un arresto cardiaco dovuto a problemi respiratori. TECNICA VOCALE E REPERTORIO Considerata come una delle ultime grandi dive del Novecento, dotata di una tecnica vocale superba e di notevoli qualità interpretative, è riuscita a imporsi ad un pubblico internazionale, insieme alla Sutherland e alla Caballé, presentando un repertorio ampio e impegnativo. Grande interprete donizettiana (Lucrezia Borgia, Anna Bolena, Caterina Cornaro, ecc.), si è distinta anche in alcuni grandi personaggi verdiani (Lady Macbeth, Aida, Violetta Valery ne La traviata ecc.), belliniani (Norma, Elvira de I puritani) e pucciniani (Madama Butterfly e Turandot in particolare). È stata diretta dai massimi direttori italiani della seconda metà del Novecento, da Tullio Serafin ad Antonino Votto, Gianandrea Gavazzeni e Riccardo Muti. Fra i direttori d’orchestra stranieri si segnalano, fra i tanti, Herbert von Karajan, Georg Solti, Wolfgang Sawallisch e Thomas Schippers. È stata tra le prime artiste a comparire, sempre negli anni cinquanta, nelle prime realizzazioni di Film Opera (Werther, Il trovatore). PREMI E RICONOSCIMENTI Alcuni anni dopo il suo definitivo ritiro dalle scene, la Gencer fu nominata dal Presidente turco allora in carica Artista di Stato (1988) e nel 2004, la Zecca di Stato turca coniò una moneta commemorativa con l’effigie del grande soprano.