Inpiù musica 27.03.2013

annuncio pubblicitario
la Voce
del popolo
musica
www.edit.hr/lavoce
Anno 9 • n. 68
mercoledì, 27 marzo 2013
KEMALGEKIĆ
UNPIANISTAINCONFONDIBILE
L’ANNIVERSARIO
ATTUALITÀ
MUSICA SACRA
VOCI STORICHE
Ven’anni fa si spegneva
Bill Eckstine
L’estate all’Arena
di Pola
La sequenza pasquale e
lo sviluppo della polifonia
Leila Gencer,
la Divina del belcanto
Veniva a mancare esattamente vent’anni fa
a Pittsburgh Mr. B. alias Billy Eckstine, uno
dei più grandi vocalist in assoluto
Invidiabile carnet per l’estate all’Arena di
Pola con tanti nomi di livello internazionale
e con le stelle più gettonate della musica
pop e leggera in Croazia
Si deve alla medievale scuola di NotreDame e alla tecnica di canto dell’organum
le radici e lo sviluppo della polifonia e
quindi della musica colta d’Occidente
Il soprano turco Leila Gencer fu una
delle grandi Dame dei palcoscenici
italiani e internazionali dagli anni
Cinquanta ai Settanta e del 900
4|5
6
7
8
2
mercoledì, 27 marzo 2013
IL PERSONAGGIO
musica
la Voce
del popolo
di Helena Labus Bačić
K
emal Gekić è uno dei pianisti più
illustri nel panorama musicale
mondiale e un artista che – a detta
dei critici - non lascia mai indifferente il
suo pubblico, suscitando apprezzamento
ovunque con le sue straordinarie doti.
Considerato uno dei pianisti più originali
a livello internazionale, Gekić offre
interpretazioni fresche ed emozionanti,
entusiasmando critica e pubblico. Della
sua arte sono state scritte osservazioni
come “La sua esecuzione è trascendentale
e allo stesso tempo incandescente”, ma
anche “ è come un generale che conosce
tutte le regole ed è quindi libero di
ignorarle in tempi di guerra”.
Nato a Spalato nel 1962, Gekić ha dato
prova del suo grande talento già all’età
di un anno e mezzo, riproducendo
accuratamente melodie al pianoforte.
Si laurea con il massimo dei voti
all’Accademia artistica di Novi Sad,
ed immediatamente gli viene offerto
un posto di docente di pianoforte,
che ricopre fino al 1999. Tiene corsi
di perfezionamento all’Università
internazionale di Miami in Florida,
è professore onorario all’ Accademia
musicale di Musashino a Tokio, nonché
ospite di numerosi istituti di prestigio
in tutto il mondo. Vincitore di diversi
concorsi pianistici, ha girato il mondo
esibendosi in concerti di successo.
Nel corso della carriera ha realizzato
diverse registrazioni discografiche molto
apprezzate. Infatti, la sua interpretazione
integrale dei 12 Studi di esecuzione
trascendentale di F.Liszt è considerata la
migliore in assoluto.
CONCERTI FIUMANI DI SUCCESSO
Abbiamo incontrato il prestigioso
musicista al Teatro Nazionale Croato
“Ivan de Zajc” durante le prove generali
per il concerto dedicato a Richard Wagner,
una serata dimostratasi poi un successo.
Questa è stata la seconda esibizione a
Fiume per il Maestro spalatino. Infatti,
il pubblico fiumani ha avuto occasione
di sentirlo per la prima volta negli anni
Ottanta del secolo scorso.
Ha un legame particolare con la musica
di Liszt?
Ai tempi in cui Liszt non era popolare
come lo è adesso, promisi a me stesso di
eseguire un suo brano a ogni concerto.
Molto spesso si trattava di composizioni
popolari, altre volte meno. Bisogna
rilevare che Liszt scrisse circa 1.600
composizioni, di cui appena una trentina
si esegue nel repertorio da concerto.
UNA REGISTRAZIONE ANTOLOGICA
C’è da dire che in passato era
praticamente vietato suonare la sua
musica nelle accademie tedesche, in
quanto esisteva un certo antagonismo
personale nei confronti del genio
ungherese. Tale situazione tenne banco
fino al secondo dopoguerra in Europa
occidentale. Erano pochissimi i pianisti
che tenevano viva la sua musica, ad
eccezione dell’Unione Sovietica nella
quale le sue composizioni venivano
eseguite su vasta scala, ma superavano
raramente i confini dello Stato.
Ritenevo ingiusto questo atteggiamento
nei confronti di un tale rivoluzionario
della musica, di mente così elevata, per
cui mi dedicai con particolare zelo alle
sue composizioni. Oggidì, per fortuna,
le cose stanno diversamente e le sue
musiche si possono sentire spesso nei
recital pianistici.
La sua registrazione degli Studi
trascendentali è considerata la migliore
in assoluto...
Sono soddisfatto della mia
interpretazione, il che è significativo.
Infatti, mi succede raramente di essere
completamente soddisfatto di ciò
che faccio. Personalmente, credo che
categorizzazioni di questo tipo siano un
fatto soggettivo e quindi dipendano dalle
affinità e dai gusti personali.
Per me è essenziale che la registrazione
sia viva, vibrante e che susciti delle
emozioni.
SUONARE LISZT CON LO SPIRITO DI CHOPIN
Erano difficili da suonare?
A dire il vero, io non volevo fare la
registrazione. Gli studi non mi piacevano,
MUSICA
«LA
PERME
VIBRANTEESUSCITAREDE
in quanto ritenevo che avessero “troppe
note” (un’espressione usata nel famoso
film “Amadeus” di Miloš Forman dai critici
di Mozart per la sua opera “Le nozze di
Figaro”), ovvero note che mi sembravano
superflue. Avevo bisogno di tempo per
capire in che modo approcciarmi allo
spartito. Capìi in seguito che le “note
superflue” potevano benissimo essere
in funzione del disegno musicale e che
sia possibile interpretarle in modo che
contribuiscano all’espressione artistica
del brano. La mia impressione negativa
era il risultato dell’ascolto di parecchie
esecuzioni degli studi di Liszt in cui
le note in questione erano suonate
in maniera superficiale e servivano
solamente come prova della tecnica
brillante dell’interprete.
Pertanto, decisi di eseguire gli studi
come se fossero dei notturni di Chopin,
cercando di produrre delle linee
melodiche e delle atmosfere poetiche che
donassero profondità e poeticità a queste
composizioni.
PIANISTA NON CONVENZIONALE
I critici la descrivono come
unico, coraggioso, provocatorio,
entusiasmante e uno dei migliori
pianisti del nostro tempo, addirittura al
limite del genio.
Chiunque può essere definito un genio,
in quanto questo è un fatto culturologico.
Cent’anni fa vennero proclamati geni
personaggi dei quali oggigiorno ignoriamo
completamente l’esistenza, oppure
personaggi che per noi oggi non calzano
in nessun modo questa definizione.
Secondo me, la categoria di “genio”
appartiene alla sfera sociale.
Cosa vuol dire per lei sentire aggettivi
del genere sul proprio conto? Quanto
questi influiscono sulla sua attività
KEMAL GEKIĆ, ARTISTA DEL PIANOFORTE
DI LIVELLO INTERNAZIONALE SI CONFESSA SUL
SUO RAPPORTO CON LA MUSICA E CON
LE EVOLUZIONI CULTURALI DEL PRESENTE. «IN
EUROPA SI PERCEPISCE ANCORA QUELLO SPIRITO
ROMANTICO DAL QUALE TUTTA LA MUSICA
OTTOCENTESCA È SCATURITA.CHI PROVIENE DA
UNA CULTURA UNICAMENTE ‘CONTEMPORANEA’
INVECE NON POSSIEDE LA SENSIBILITÀ
‘AUTENTICA’ PER INTERPRETARE QUESTE PAGINE
IN MANIERA CONVINCENTE»
musicale e sulla sua percezione di sé
stesso?
Ho riflettuto spesso su questo fatto
e sono giunto alla conclusione che,
sostanzialmente, complimenti del
genere non influiscono sulla mia attività
musicale e non mi rendono migliore o
peggiore. Superficialmente, invece, hanno
un impatto, in quanto sono un essere
umano. In ogni caso, è sempre più facile
e più confortevole occuparsi dell’essenza
accompagnato da commenti positivi, che
da quelli negativi.
avrei fatto. In ogni concerto dò il meglio di
sé, il massimo possibile in quel momento.
Per me è importante “colpire il segno”,
ovvero dire ciò che volevo attraverso la
mia interpretazione e dare un’emozione al
pubblico. L’interpretazione deve essere viva
e deve avere un’energia vitale in modo che
arrivi agli animi delle persone. La musica
deve comunicare.
È sempre soddisfatto delle sue
interpretazioni ai concerti, oppure alla
fine pensa che avrebbe potuto fare
anche meglio?
Sono nato nel 1962 e ai miei tempi ogni
segmento della vita era ben ordinato.
Nell’arte c’era pure ordine ed esistevano
determinati criteri. Oggi le cose non stanno
più così. Viviamo in un mondo in transizione,
il clima sta cambiando e stiamo affrontando
delle sfide incredibili muovendoci verso
Non dico mai a me stesso che avrei
potuto fare di meglio, perché, se ciò
fosse stato possibile, in quel caso lo
LA COMPETENZA DEL PUBBLICO NOSTRANO
Secondo lei, quanto è critico, o meno, il
pubblico odierno?
la Voce
del popolo
musica
mercoledì, 27 marzo 2013
3
EDEVEESSEREVIVA
DELLEEMOZIONI»
|| L’artista con Nada Matošević Orešković raccoglie i consensi entusiastici del pubblico
|| Le mani di Gekić
un mondo postcapitalista. Tutti questi
cambiamenti hanno influito pure sulla musica
e sulla sua percezione. Qui da noi molte
persone che frequentano i concerti hanno
studiato alla scuola di musica, mentre nel
mondo il pubblico professionale è sempre più
scarso.
C’è un compositore o un periodo musicale
che preferisce? Un musicista può avere
delle preferenze o deve essere capace di
destreggiarsi in tutti i periodi musicali?
Credo che un musicista debba inoltrarsi in
ogni periodo musicale, se non altro, per
evitare la noia. Per quanto un musicista
abbia un’affinità e una passione verso un
determinato compositore, succede spesso di
sentirsi “saturi” e di non poter dare più niente
alla sua musica. Allora bisogna cambiare,
addirittura suonare qualcosa che non ci
piace. Questo ci può aiutare a maturare
ulteriormente e a vedere il vecchio
repertorio con occhi nuovi.
Personalmente, amo molto Bach,
Beethoven, Liszt, la musica del
Romanticismo... Ѐ difficile distinguere, in
quanto ci sono periodi in cui preferisco
una musica all’altra. Ci sono stati periodi
in cui prediligevo la musica russa, altri
in cui mi immergevo nelle composizioni
francesi…
L’IMPORTANZA DELLA DIMENSIONE CULTURALE
Lei è a contatto con studenti e giovani
pianisti di tutto il mondo. Come vede le
nuove generazioni? C’è qualcosa che li
accomuna, nonostante si trovino ai lati
opposti del mondo?
C’è molto talento. Soltanto in Cina ci
sono 50 milioni di persone che suonano
il pianoforte. Le nuove generazioni
sono energiche, capaci, intelligenti, ma
il problema sta nel fatto che la cultura
dalla quale provengono è diversa da
quella del XIX e della prima metà del
XX secolo, periodo dal quale proviene
la musica che studiano. Questa cultura
sta piano pian scomparendo e come
conseguenza si crea un divario tra
la mentalità del passato e quella del
presente. C’è, infatti, qualcosa - un
fattore culturale, una dimensione
spirituale che “respiriamo” in un
determinato ambiente - che non c’è
scritto nelle note e che è necessario avere
nel DNA. Noi che siamo nati in Europa
ce l’abbiamo ancora, stiamo ancora
percorrendo le vie storiche dalle quali
tutta quella musica è scaturita.
Chi proviene da un mondo
contemporaneo non possiede la sensibilità
“autentica” per interpretare quella musica
in maniera credibile. D’altro lato, esiste
invece la possibilità che quella musica
venga interpretata con una sensibilità
completamente nuova, ma in quel caso
si dovrebbe trattare di un’interpretazione
fuori dal comune.
Un punto a favore delle nuove
generazioni è la tecnologia che permette
loro di accedere a materiali d’archivio,
ovvero ad esecuzioni che risalgono a
diversi decenni fa, che la mia generazione
non poteva nemmeno sognare di trovare.
Hanno una possibilità fantastica di
istruirsi e di conoscere.
Come vede il fenomeno del crossover?
Non sono contrario al crossover. Certi
risultati di questo miscuglio tra il classico
e il moderno lasciano molto a desiderare,
ma se una di queste composizioni induce
una persona che non conosce la musica
classica ad inoltrarsi in questo mondo,
credo che in quel caso il fine sia stato
raggiunto. Credo che in una certa misura
il crossover abbia portato un certo
numero di persone nel mondo della
musica colta, il che è un bene.
C’è qualcosa che vorrebbe ancora
realizzare nella propria vita o nella
propria carriera?
Vorrei riprendere a comporre, cosa che
facevo da bambino ma che ho trascurato
per portare avanti la carriera da pianista.
Occuparsi di composizioni è qualcosa
di speciale, immagino che potrei
paragonarlo al parto, sebbene essendo
uomo non saprei come esattamente si
sente una donna mettendo al mondo un
bimbo...
4
lalaVoce
Voce
del popolo
del popolo
mercoledì, 27 marzo 2013
L’ANNIVERSARIO di Sandro Damiani
VENT’ANNI FA
SI SPEGNEVA
A PITTSBURGH BILLY
ECKSTINE, UNO
DEI MIGLIORI VOCALIST
JAZZ IN ASSOLUTO.
SI ESIBÌ CON
I MOSTRI SACRI
DEL TEMPO
|| Con le ammiratrici
|| Uno dei tanti dischi realizzati assieme a Sarah Vaughan
|| Duke Ellington, amico e ammiratore di Eckstine
|| La copertina del long play di Eckstine con le canzoni più famose
L’
8 marzo del 1993 muore a
Pittsburgh, dov’era nato l’8 luglio
1914, Billy Eckstine.
Oggi, grazie a internet e youtube molto
di più di quando si spense. All’epoca, in
Europa e segnatamente in Italia, buona
parte del “suo” ambiente, quello della
musica jazz e del canto pop, ne sapeva
talmente poco o nulla, che la maggior
parte degli “addetti ai lavori” si stupirono
del consistente spazio che la grande
stampa americana stava dando alla notizia
della sua scomparsa. D’altronde, erano
trascorsi parecchi anni da che Mr.B – il
nomignolo che Billy Eckstine si portava
appresso sin dai Quaranta – pur non
avendo mai smesso di “esercitare”, e non
di rado a fianco di riconosciuti mostri
sacri, non faceva più parte del grande
giro internazionale. Inoltre, sul piano
discografico, dalla metà dei Settanta in
poi fece solo due album, mentre un terzo
– doppio – raccoglieva i suoi più noti
successi.
GRANDE TRA I GRANDI
Ma jazzisti e addetti ai lavori non avevano
mai smesso di apprezzarlo immensamente;
e, compatto, il mondo afroamericano,
addirittura, di venerarlo, come artista e
MR.B.L’UGOLAD’ORO
come uomo. Dirà il vibrafonista Lionel
Hampton all’annuncio dell’avvenuta
scomparsa: «E’ stato uno dei più grandi
vocalist di tutti i tempi... il primo dei nostri
ad essere popolare tra i Bianchi. Ne siamo
orgogliosi, é stato il nostro cantante».
Hampton si riferisce a un sentimento
che nasce e si cementa dal 1944 in poi,
quando, dando vita alla prima orchestra
be-bop, Eckstine raccoglie intorno a sé la
crema degli strumentisti che avrebbero
caratterizzato la storia del jazz del
secondo Novecento: Charlie Parker e Dizzy
Gillespie, Art Blakey e Dexter Gordon,
Fatz Navarro e Miles Davis; Leo Parker
e Sonny Stitt, fino a Sarah Vaughan
(“Lui è mio padre, il mio maestro, il mio
sangue”) che egli scoprì ad una serata
per dilettanti all’Apollo di New York nel
1943. A proposito della Divina, com’è stata
definita la Vaughan, e del profondo e lungo
rapporto di amicizia tra loro, alla notizia
della di lei morte, avvenuta nell’aprile del
1990, Eckstine ebbe un colpo apoplettico,
cui due anni dopo seguì il secondo - quello
fatale.
LA VITTORIA SULL’APARTHEID DISCOGRAFICO
Tornando al perché di tanto affetto e
sta da parte della “sua gente”, il ruolo
fondamentale lo gioca il fatto che l’ascesa
nazionale e internazionale di Billy Eckstine
comporta la prima caduta del “muro”
eretto dalla discografia Bianca rispetto alla
musica e ai musicisti afroamericani al di
fuori della cerchia degli “specialisti”. Egli,
cioè non è solo divenuto la prima pop &
jazzstar della gioventù Nera, ma anche il
cantante più gettonato tra i Bianchi. Non
era mai successo prima.
Per la prima volta un cantante di colore
vende milioni di dischi – tra i Bianchi!
Dunque la sua “presenza” radiofonica
e la “stanzialita’” nelle parti alte delle
classifiche di vendita è costante: tant’è che
prima della fine del decennio conquisterà
undici Dischi d’Oro e il soprannome di
“Mr. Millionsellers”. Non è tutto. Eckstine
è il primo cantante di colore che firma
un contratto con una major del disco non
racial, cioè appartenente al mondo dei
Neri: è la MGM di Hollywood.
CONCORSO GALEOTTO
Facciamo un passo indietro.
Siamo intorno al 1934/35, William
Clarence Eckstein (nipote di un bianco
tedesco e di una ex schiava) è uno
spavaldo e fascinoso ventenne, iscritto
alla Howard University di Washington,
con un promettente futuro di calciatore
davanti, che - vuoi a causa di un incidente
di gara, vuoi perché vince un concorso per
giovani cantanti-imitatori-intrattenitori decide di non intraprendere, per dedicarsi
anima e corpo alla musica. Il premio del
concorso è di dieci dollari e saltuari ma
pure tanti utilissimi ingaggi in orchestrine
dell’area. Ben presto si cimenta con
complessi di Buffalo e di Detroit, finché
una sera non lo sente un collaboratore di Earl
Hines, il compositore e arrangiatore, nonché
sassofonista Bud Johnson, il quale lo propone
a “Fatha”. E’ il 1939, siamo a Chicago – una
delle capitali del jazz – e Billy diviene il
vocalist di una delle più importanti orchestre
da ballroom: nel giro di un anno, grazie a lui,
diventa la più seguita. Tra il 1942 e il 1943
infila tre pezzi con cui vende alcuni milioni
di dischi. Da questo momento e fino al 1953,
Billy Eckstine sarà il cantante più ascoltato e
più acquistato d’America.
CENTO CANZONI ALLA CARNEGIE HALL
Un esempio della sua popolarità: nel 1951
ha un concerto alla Carnegie Hall. La
direzione è preoccupatissima: le richieste
(costo del biglietto – stellare) triplicano il
numero di posti disponibili, ma non ci sono
date disponibili; che fare? No problem: Billy
tiene due concerti, uno appresso all’altro,
complessivamente, bis e tris compresi, poco
meno di un centinaio di canzoni. Ma che razza
di polmoni c’ha quest’uomo?!?
Mr.B, ha grandi doti di intrattenitore,
all’occorrenza è un buon imitatore. Ma ha
soprattutto una splendida voce baritonale, con
facile e naturale estensione sia sui bassi che
sugli alti, uno swing innato. Inoltre dispone
di un’ottima dizione: non sbiascica mai. E’
un talento naturale, niente scuola: negli
anni del tirocinio, però, studia e ascolta tutto
l’ascoltabile, non ultimi i cantanti d’opera..
Dirà di lui Ellington: “Nella musica moderna
esiste un particolare sound, il Sonorous B”,
la Voce
musica
del popolo
mercoledì, 27 marzo 2013
5
degli anni Cinquanta. Nel 1951, come
da contratto con la MGM, Eckstine deve
girare un film musicale, “Skirts Ahoy!”,
con Esther Williams, in cui interpreta sé
stesso. Ebbene, gli viene raccomandato di
non posare mai lo sguardo sulle Bianche
presenti nella ballroom, mentre canta!?
(Le presenti invece se lo mangiano con
gli occhi...). Pochi anni dopo, la star
afroamericana più amata dal mainstream,
Nat King Cole, conduce uno talk & singshow televisivo a cui prendono parte tutti,
dicansi tutti, i più famosi e le più famose
cantanti americani (dopo due anni la
trasmissione chiuderà, per mancanza di
inserzionisti!?). Per contratto, Nat non
deve toccare o sfiorare le ospiti Bianche... e
ciò vale anche per loro.
UN DORATO VIALE DEL TRAMONTO
AFROAMERICANA CHE SEDUSSE
LE PLATEE DEI BIANCHI
quello cioè di Billy. Solo a lui, il Duca ha
permesso di cantargli le canzoni a suo
piacimento. Stima e amicizia.
Non hanno mai inciso insieme, ma hanno
lavorato spesso fianco a fianco. Insieme
fanno tournèes e concerti.. Questo legame
era talmente forte che Ellington se lo porterà
appresso, nei primi Settanta, alla Casa
Bianca, per ricevere da Richard Nixon la
Freedom Medal.
FEDELTÀ ALLA CANZONE
Eravamo rimasti agli anni della MGM:
contratto quinquennale, poi portato a sette
anni, dal 1947. L’assegno è inizialmente
di un milione di dollari, più percentuali,
benefit vari, eccetera. La label gli mette a
disposizione le più importanti orchestre
pop, i bandleader e gli arrangiatori migliori:
Hugo Winterhalter, Russ Case, Nelson Riddle,
Henry Mancini, Peter Rugolo, l’orchestra
di Woody Hermann, il combo di George
Shearing. C’e’ da dire che non sempre si
trova d’accordo con gli arrangiatori – a tutto
vantaggio del rapporto con i compositori.
Billy, infatti, è massimamente rispettoso delle
canzoni che sceglie e non permette eccessivi
interventi. Un aneddoto sintomatico a questa
sua “fedeltà” alla canzone si ebbe al termine
di un concerto, che al tempo stesso era una
seduta d’incisione alla fine dei Cinquanta.
Tra i trenta e passa brani eseguiti c’è pure
l’osticissima “Lush Life” di Billy Strayhorn
(niente archi, niente cori: pochi fiati e un
pianoforte), registrata la prima volta nel
1949 da Nat King Cole e in seguito ripresa
da tutti i più noti singer. Ebbene, conclusa la
serata, il compositore, nonché arrangiatore
dell’orchestra di Duke Ellington, presenti
entrambi, gli si avvicina e di fronte a tutti gli
fa: “Finalmente qualcuno che la canta così
come l’ho scritta io!”.
Il settennato targato MGM volge al termine.
Negli States, in Canadà e in Gran Bretagna,
nel complesso si contano oltre ottocento
“Billy Eckstine Fan Club”.
Non c’é cantante – uomo o donna che sia –
tra quanti intraprendono la carriera dagli
anni Quaranta in poi che non si rifacciano a
lui: nella sonorità, nel timing, nel porgere o
nel tenere la nota, ciò vale soprattutto per
quelli che vengono dopo (mi riferisco anche
a Presley, non solo a Hartman e Prysock,
per citare i più famosi). Non c’è rivista
specializzata che non parli di lui, e non
mancano servizi e interviste sui magazines
popolari.
Uno di questi, però – “Life” - lo inguaia.
Nel reportage c’è una foto gigante in cui,
all’entrata di un grande teatro-sala concerti,
mi pare il Paramount, decine di teenagers
Bianche gli si stringono intorno, chi lo
abbraccia, chi gli sta sorridente accanto...
non è nè un fotomontaggio, nè una messa in
posa: è entusiasmo puro. Per quelle ragazze
non ci sono barriere. Sembrano dire: “Nero,
bianco... che significa? E’ bello? E’ bravo?
E’ simpaticissimo? Ci piace!” E il critico del
Washington Post scrive: “Perché lo definite
il Frank Sinatra dei Neri? Caso mai Sinatra
dovrebbe essere definito il Billy Eckstine
dei Bianchi”. Quando è troppo, è troppo!
L’America, quando si parla di Neri, è
tutt’altro che una Cristianland. Dirà, il
compositore e produttore Quincy Jones “Se
fosse stato di carnagione bianca, il cielo
non gli avrebbe fatto da limite”.
LA GUERRA DEL BOICOTTAGGIO
E’ l’inizio del boicottaggio, a cui si
sottomettono gli stessi discografici che
lo ingaggiano!? Come fermarlo, a parte,
che so, una pallottola? Semplice: gli si
stampano poche centinaia di migliaia di
dischi (oppure si nascondono gli effettivi
dati delle vendite), cosicché non entra
più nei piani alti delle classifiche. No
hit-parade, no radio, no tv, men che
mai Broadway o Hollywood. Va anche
dato atto che Eckstine se ne strafotte del
segregazionismo e del forte sentimento
razzista del tempo, e niente compromessi.
Come non li ha mai fatti a livello
professionale. Una caduta di notorietà,
comunque, se l’aspettava: sono gli anni del
nascente Ritham & Blues e del Rock & Roll.
Prova pure lui a cimentarvisi, ma non va.
E’ una questione di testa, di abito mentale.
I nuovi generi non sono solo un fatto di
melodia, armonia e ritmo, è anche un fatto
di testi, di storie cantate, di gergo.
L’ASSURDITÀ DELLA DISCRIMINAZIONE RAZZIALE
Due episodi, relativi al clima
“ufficialmente” razzista dell’America
Mr.B si ritira a Las Vegas, dove canta quasi
ogni sera per avventori, o sofisticatissimi
o snob straricchi e senza orecchio. La
capitale del gioco d’azzardo è priva di
anima: pietas cristiana e razzismo non la
riguardano. Chiunque “porti” soldi è ben
accetto.
Di tanto in tanto Billy incide qualche
album di standard, pezzi che compone
lui stesso. Di frequente se ne viene in
tour in Europa: i britannici lo amano, gli
scandinavi pure. Lo fa con la formazione
del fedele pianista Bobby Tucker o con
la band di Count Basie. Irwing Berlin lo
invita a fare un disco di duetti delle sue
canzoni con Sarah Vaughan, accompagnati
dall’orchestra di Hal Mooney. I loro
“Cheek to Cheek”, “Remember”, “Always”,
“Easter Parade” oscurano ogni precedente
interpretazione.
Va alle Hawaii con la Duke Ellington
Orchestra; in giro per l’America,
accompagnato dai Four Tops, l’attrazione
vocale del momento. Affronta
un’attraversata degli States di due anni
con uno spettacolo-concerto in compagnia
di Sammy Davis Junior. Incide un LP di
sole canzoni da famosi film; altri album
con Quincy, Rugolo, Billy May. E’ ricco
e appagato. Ha sistemato alla grande i
cinque figli avuti dalla seconda moglie,
la modella e attrice Carroll Drake, e
i due di lei, che ha adottato. Non c’e’
show televisivo a cui non venga invitato;
non c’è produttore che non gli chieda di
“sponsorizzare” un interprete di talento
alle prime armi (lo farà, cantandoci
insieme, con una diciottenne bellina e
promettente: Linda Ronstand). E’ ospite
dei più grandi concerti che si tengono a
Las Vegas. Addirittura, il più acclamato
cantante pop del momento lo vuole
accanto: Tom Jones... Lena Horne.
Dalla fine dei Sessanta si lega alla Motown,
storica casa discografica afroamericana.
Già che c’è si adopera per il lancio o
rilancio di un paio di canzoni di un
imberbe Stevie Wonder, e duetta con
Damita Joe, mentre Isaac Hayes-black
Moses, lo accompagna alle tastiere.
Nel 1985 L’Apollo neviorkese omaggia
Sarah Vaughan. In platea, del mondo
musicale americano mancano solo...i
morti.
E’ una festa. A metà serata, Sarah presenta
“My friend, my father, my blood...”. Billy
Eckstine non fa a tempo a guadagnare
il centro del palcoscenico che scatta una
commoventissima standing ovation.
L’ULTIMA INCISIONE
L’anno successivo arriva l’ultima incisione.
Ha 72 anni. Il quartetto che lo accompagna
è diretto dal fido Bobby Tucker.
Coproduttore, una delle migliori cantanti
jazz Bianche: la croato-neviorkese Helen
Merrill (Jelena Minčetić).
Tra i pezzi, alcuni standard che non aveva
mai registrato prima: “Summertime”,
“Memory of You”, “May Funny Valentine”,
“Le foglie morte” e, in duetto con la
Merrill, “You’d Be So Nice to Come
Home To”. Quando nel 2005 la O Record
immette sul mercato un cofanetto
dedicato a Billie Holiday – “Ultimate
collection” – già prenotato in milioni
e milioni di copie, i produttori non
dimenticano di inserirvi un’intervista
audio con Eckstine, risalente al 1971, in
cui Mr.B cita episodi, aneddoti, momenti
della vita professionale di Lady D.
Alla fine degli Ottanta, tira i remi in barca.
Lo rattristano le morti, a catena, dei suoi
vecchi compagni di viaggio. Miles Davis,
Dizzy Gillespie, Art Blakey, Dexter Gordon.
Dichiara a un giornale: “Ora che me ne
andrò anch’io, rimetteremo in piedi la
nostra band”... E quando muore anche
Sarah Vaughan, sa che è arrivato il suo
turno... di entrare nella Leggenda.
6
mercoledì, 27 marzo 2013
ATTUALITÀ
musica
la Voce
del popolo
di Daria Deghenghi
STELLEDIRANGOINTERNAZIONALE
NELL’ANFITEATRO
POLESE
|| 2 cellos
C
ontrariamente ad ogni
superstiziosissima considerazione,
questo 2013 sarà fortunato in
termini di spettacolo. Classica e lirica a
parte (nessuna anticipazione su questo
fronte, per ora), la grande musica pop
sarà di casa a Pola, quest’estate, grazie
al solito anfiteatro romano senza la
cui sontuosità potremmo scordarci le
fugaci apparizioni di stelle autentiche
del firmamento canoro internazionale da
Sting a Joe Cocker.
Per farla breve, quest’anno c’è da
rallegrarsi sul serio, e anche d’andarci
un pochino fieri, perché l’Arena di Pola
ospiterà il grande Leonard Cohen, il
sempreverde Joe Cocker, la francese Zaz,
i due “cellos” croati, Hauser e Šulić, i
tedeschi in veste talare “Gregorian” ma
anche qualche nome di rango “solo”
nazionale come Josipa Lisac e l’istriano
Massimo Savić. Per inciso, non hanno
avuto il lasciapassare per la “non idonea”
all’ambito monumento romano, Severina,
e il collega bosniaco Dino Merlin; ma la
storia dei criteri per l’accesso al nobile
palcoscenico estivo è risaputa, e non
torniamo pertanto a rispolverarla in
questa sede (basterà ricordare le guerre
che per aggiudicarselo aveva combattuto
a suo tempo, anche in sede giudiziaria, il
povero Marko Perković Thompson).
PROMOZIONE DISCOGRAFICA PER COHEN
Leonard Cohen, dunque. Che dire?
Sessant’anni dacché calcò le scene
mondiali, introverso e depresso, il poeta
e cantautore canadese dalla discografia
lunga quanto una litania (e lo stesso vale
per l’elenco dei premi), sarà a Pola il 2
agosto grazie ad Adria Entertainment,
a prezzi che variano dalle 250 alle
580 kune per i biglietti in vendita nel
circuito Eventim. Con il concerto di
Pola Cohen torna in Croazia a tre anni
dalla sua prima esibizione a Zagabria
e a cinque anni dal ritorno sulle scene
dopo una pausa di quindici, trascorsa
nel più radicale isolamento secondo i
canoni buddhisti di un monastero in
California. Figlio di immigrati ebrei nel
Canada, Cohen fu prima poeta e solo
in un secondo momento cantautore,
ma l’evoluzione fu lenta e sofferta: il
primo disco, “Songs of Leonard Cohen”,
del 1967, venne coralmente ripudiato
perché “deprimente e ispirato alla morte
e al suicidio”, argomenti peraltro in
netta contrapposizione alla dominante
cultura hippy del momento, inneggiante
per contro alla vita e all’amore. Il
riscatto sarebbe venuto dopo e difatti
|| Zaz
|| Leonard Cohen
|| Josipa Lisac
L’ESTATE POP ALL’ARENA SI PRESENTA RICCA E FORTUNATA. TERRANNO
SPETTACOLO LEONARD COHEN, IL SEMPREVERDE JOE COCKER, LA FRANCESE
ZAZ, I DUE «CELLOS» CROATI, HAUSER E ŠULIĆ, I TEDESCHI «GREGORIAN»,
JOSIPA LISAC E L’ISTRIANO MASSIMO SAVIĆ
l’album dell’esordio è oggi platealmente
riconosciuto come capolavoro
ingiustamente sottovalutato. Ad ogni
modo sarà solo il successivo “Songs of the
Room”, del 1969, ad aprirgli le porte del
successo con brani culto quali “Bird on the
Wire”, “Nancy” e “Seems so Long Ago”.
Compositore televisivo e cinematografico,
autore di testi toccanti, modello da
imitazione e caposcuola carismatico,
Cohen sarà a Pola nel quadro dell’ultimo
tour che promuove il disco attuale
“Old Ideas”. Oltre ai pezzi recenti si
spera comunque di sentire anche i
maggiori successi della carriera, tipo
“Susanne”, “Famous Blue Raincoat”,
“So Lng Marianne”, “Sisters of
Mercy”, “Hallelujah” e via elencando;
senza omettere il brano “First we
Take Manhattan”, del quale avrebbe
ulteriormente esteso la longevità e la
celebrità, con una riuscita cover, quello
stesso Joe Cocker che torneremo ad
applaudire in Arena il 21 agosto, a otto
anni dal suo primo concerto polese.
JOE COCKER 50 ANNI SULLA SCENA
Mezzo secolo di carriera alle spalle
pure lui, un tris di band sconosciute
e abbandonate sul nascere a titolo di
esplorazione, l’esordio (quasi) facile da
solista con due cover beatlesiane (I’ll
Cry Instead e Whit a Little Help From
my Friends), il successo in Inghilterra, lo
sbarco in America.
Joe Cocker canta a Woodstock e precipita
nell’abisso dell’alcol per sparire dalle
scene negli anni Settanta e rinascere
come l’araba Fenice negli anni Ottanta.
Intramontabile è la sua versione di “You
can Leave your Hat On”, ma regge bene
il passare degli anni anche il duetto
soft con Jennifer Warnes nella colonna
sonora di “Ufficiale e Gentiluomo” (“Up
where we Belong”), per non parlare
delle successive “Unchain my Heart”,
“When the Night Comes” e “N’oubliez
jamais”. Anche Cocker è in tournée per
promuovere l’album attuale, “Fire it up”.
Per vederlo basterà sganciare dalle 250
alle 450 kune. Più economico di Choen,
evidentemente.
L’APERTURA CON I DUE CELLOS
Ma ad inaugurare la stagione saranno i
due “cellos” Stjepan Hauser e Luka Šulić,
sul palco dell’Arena per primi, il 2 luglio.
Carriera folgorante – complice quel post
su You tube del video girato con due
violoncelli (e due soldi) alla Casa delle
forze armate di Pola – e verosimilmente
di breve respiro (esperimenti del genere
non sono certo nuovi, né sembra che i
protagonisti riescano a trattenere a lungo
l’interesse del pubblico e dei media),
Hauser e Šulić hanno tuttavia un padrino
eccellente quale Elton John, e un’etichetta
alle spalle che è un’istituzione, la Sony,
quindi, si procede col vento in poppa.
Quanto a Isabelle Geffroy, in arte Zaz, la
recente esperienza di Zagabria sembra
essere stata appagante abbastanza per
tornare in Croazia.
La data è quella del 14 agosto, buona
anche per calamitare in Arena i turisti
in vacanza a Pola, qualora i locali non
bastassero a gremire l’Arena, cosa che
puntualmente accade date le dimensioni
dell’anfiteatro e considerato il ridotto
potere d’acquisto dei residenti rispetto
a buona parte degli di passaggio per
Pola. Di tutt’altro genere la musica dei
Gregorian, che campano egregiamente
frequentando i classici del pop, del rock
e del metal rivisitati in chiave per così
dire “gregoriana”. Sulla scena canora
da una dozzina d’anni, i coristi tedeschi
canteranno per noi a cappella e con
accompagnamento strumentale vestiti da
monaci cattolici del buio Medio Evo.
musica
la Voce
del popolo
mercoledì, 27 marzo 2013
7
MUSICA SACRA
«VICTIMÆ PASCHALI LAUDES IMMOLENT CHRISTIANI.
AGNUS REDEMIT OVES: CHRISTUS INNOCENS PATRI
RECONCILIAVIT PECCATORES. MORS ET VITA DUELLO
CONFLIXERE MIRANDO: DUX VITÆ MORTUUS, REGNAT
VIVUS»
L’ARCAICA PUREZZA
DEL CANTO MEDIEVALE
I
l Victimae Paschali è una sequenza che
tradizionalmente viene cantata nella
solennità di Pasqua e, facoltativamente,
nell’Ottava. La composizione, ritenuta
dell’XI secolo viene generalmente
attribuita al monaco Wipone, cappellano
dell’imperatore Corrado II, ma è stata
anche attribuita ad altri, quali l’abate
Notker Balbulus, Roberto II di Francia
detto il Pio, il compositore di inni latini
Adam di San Vittore.
Il testo nella traduzione liturgica in lingua
italiana recita: “Alla vittima pasquale, si
innalzi il sacrificio di lode,
l’Agnello ha redento il gregge, Cristo
l’innocente ha riconciliato i peccatori col
Padre.
Morte e Vita si sono affrontate in un
duello straordinario: il Signore della vita
era morto, ora, regna vivo.
Raccontaci, Maria, che hai visto sulla via?
La tomba del Cristo vivente, la gloria del
risorto;
e gli angeli suoi testimoni, il sudario e le
vesti;
Cristo mia speranza è risorto e precede i
suoi in Galilea.
Siamo certi che Cristo è veramente
risorto. Tu, Re vittorioso, abbi pietà di noi.
Amen. Alleluia.”
UNA SEQUENZA MUSICATA INNUMEREVOLI VOLTE
Insieme ad altre quattro sequenze
medievali Victimae Paschali Laudes è
tra quelle che sono state preservate nel
Missale Romanum pubblicato nel 1570
in seguito al Concilio di Trento svoltosi
tra il 1545 e il 1563. Le altre sequenze
sono il Dies irae, Lauda Sion Salvatorem,
lo Stabat Mater e Veni Sancte Spiritus.
Precedentemente al Concilio di Trento
le sequenze erano numerosissime, molte
chiese locali e molte festività religiose
avevano una propria sequenza e per la
festività Pasquale c’erano addirittura 16
differenti sequenze.
Il testo di questa sequenza venne musicato
a cominciare dal canto gregoriano, da
molti compositori del Rinascimento e del
Barocco, tra cui Antoine Busnois, Josquin
Desprez, Orlando di Lasso, Adrian Willaert,
Hans Buchner, Giovanni Pierluigi da
Palestrina, William Byrd e Lorenzo Perosi.
Alcuni inni luterani derivano dal Victimae
Paschali Laudes, tra cui Christ ist erstanden
e Christ lag in Todesbanden, una cantata di
Johann Sebastian Bach.
Le cinque sequenze sono state ancora
mantenute dalla riforma liturgica seguita
al concilio Vaticano II ed attualmente in
uso nella Chiesa cattolica.
Nella tecnica di canto dell’Organum medievale va ricercata la radice della polifonia e di tutta la musica occidentale
A Notre-Dame de Paris germogliò il canto europeo
Nella tecnica di canto chiamata Organum, in vigore nel
Medio Evo, possiamo individuare i primi accenni della
polifonia vera e propria.
Nelle sue prime fasi, l’organum coinvolgeva due
sole voci: una melodia gregoriana (vox principalis),
sovrapposta a se stessa in versione spostata di un
intervallo consonante, di
|| “Alleluia nativitas gloriose Virginis Marie” di Perotinus
solito una quarta giusta o quinta. In questi casi spesso
la composizione cominciava e finiva con un unisono,
mantenendo la trasposizione solo nel corpus centrale.
Originariamente l’organum era improvvisato; mentre
un cantore eseguiva la melodia scritta (la cosiddetta
vox principalis), un altro ad orecchio forniva la seconda
melodia trasposta (la vox organalis). In un secondo
tempo i compositori cominciarono a sovrapporre parti
che non erano più semplici trasposizioni: così nacque la
polifonia in senso autentico.
ORGANUM PARALLELO
«MUSICA ENCHIRIADIS»
DUE SCUOLE A CONFRONTO: S. MARZIALE E NOTRE-DAME
ll primo documento che descrive l’organum nella
fattispecie e che annota regole per la sua esecuzione
fu la “Musica enchiriadis” (895 ca.), un trattato
tradizionalmente (e forse erroneamente) attribuito a
Ucbaldo di St. Amand. Nella sua accezione originaria,
l’organum non fu inteso come polifonia in senso
moderno: la voce che si aggiungeva a quella scritta
era da intendersi come rinforzo alla schola, che
normalmente eseguiva il repertorio liturgico gregoriano
all’unisono.
È anche chiarito, nella “Musica enchiriadis”, che il
raddoppio all’ottava era accettabile, anche perché
inevitabile quando adulti e fanciulli cantavano insieme;
era inoltre prassi accettata il raddoppio strumentale
delle voci. Gli Scholia enchiriadis, trattato del X secolo,
si occupano dell’argomento nei minimi dettagli. La
“Musica enchiriadis” documenta una pratica a quei
tempi già in voga: perciò non è possibile stabilirne
la data d’inizio, che potrebbe risalire a secoli prima.
Poiché il trattato è stato composto sul finire del IX
secolo (come detto, circa nell’895), appena prima
di un’epoca culturale in cui si ebbe la completa
reinvenzione della notazione musicale standard, le
sue descrizioni dell’organum sono solo verbali, senza
esempi musicali; né, del resto, è dato sapere quanto
rigorosamente il modello descritto venisse seguito.
Il genere musicale dell’organum raggiunse il suo
vertice nel XII secolo, con lo sviluppo di due scuole di
composizione molto differenti fra loro: la scuola di San
Marziale, esponente dell’organum florido, e che aveva
probabilmente il suo epicentro presso il monastero di
San Marziale a Limoges, e la Scuola di Notre Dame,
esponente del cosiddetto “organum di Parigi”.
La scuola di Notre-Dame, con i maestri Léonin e
Pérotin, abbandona l’improvvisazione e stabilisce
i modi per una maggiore elaborazione delle
composizioni musicali che, adesso, si organizzano
nella loro interezza e senza una stretta dipendenza
dal testo; giova anche ricordare che la complessità del
canto a più voci determina lo sviluppo della notazione
musicale, nella quale si introducono i valori di tempo.
Magister Perotinus Magnus è il principale esponente
della Scuola di Notre-Dame; rielabora il “Magnus
Liber Organi” (“Grande libro di organum”) di
Magister Leoninus e ne amplia la costruzione
vocale aumentando le voci principali, anche fino
a quattro. Gli Organa di Perotinus sono il primo
grande fondamento della polifonia e fra le opere a lui
attribuite ricordiamo: “Alleluia” a tre voci e “Viderunt
omnes” a quattro voci, eseguito per la prima volta
nella cattedrale di Notre-Dame il giorno di Natale del
1198.
Per quanto riguarda la fase del canto parallelo, la
vox principalis era quella superiore; la vox organalis
stava sotto di un intervallo giusto, in genere una
quarta. Così la melodia poteva essere udita come voce
eminente, e la vox organalis come accompagnamento
e rinforzo.
Questo tipo di organum adesso è classificato come
organum parallelo, benché nei primi trattati si usasse
anche la definizione di symphonia.
8
musica
mercoledì, 27 marzo 2013
la Voce
del popolo
|| Interprete di Maria Stuarda
LA REGALE
PERSONALITÀ
DI LEILA GENCER
VOCI STORICHE
TRA LE DIVINE
DEL BELCANTO
L
eyla Gencer, nata Ayşe Leyla
Çeyrekgil (Istanbul, 10 ottobre
1928 – Milano, 9 maggio 2008),
è stata una delle Dive di punta del
belcanto degli anni ‘50 e protagonista
del panorama operistico italiano ed
internazionale.
Dotata di voce potente, forte personalità
e senso drammatico ancora oggi viene
ricordata con ammirazione dagli amanti
dell’arte lirica.
IL DEBUTTO IN ITALIA
Ayşe Leyla Çeyrekgil nasce a Istanbul il 10
ottobre 1928 figlia di Hasanzade İbrahim
Bey, imprenditore turco, e di Lexanda
Angela Minakovska, nobildonna polacca.
Studia canto al Conservatorio di Istanbul
e successivamente, in forma privata, ad
Ankara, con il soprano italiano Giannina
Arangi-Lombardi. In Italia debutta nel
1953, al Teatro San Carlo di Napoli, nel
ruolo di Santuzza, con grande successo di
critica e di pubblico. A Napoli interpreterà
nel corso dell’anno successivo l’Eugenio
Onieghin con la conduzione orchestrale
di Tullio Serafin, e una superba Madama
Butterfly diretta da Gabriele Santini.
Nel marzo 1958 interpreta Assassinio
nella cattedrale di Ildebrando Pizzetti,
la Voce
del popolo
Anno 9 /n. 68 / mercoledì, 27 marzo 2013
IN PIÙ Supplementi è a cura di Errol Superina
[email protected]
Edizione
Progetto editoriale
Caporedattore responsabile
Errol Superina
MUSICA
Silvio Forza
Redattore esecutivo
Patrizia Venucci Merdžo
Impaginazione
Annamaria Picco
Collaboratori
Sandro Damiani, Helena Labus Bačić, Daria Deghenghi
Foto
Ivor Hreljanović e archivio
|| Come Caterina Cornaro
|| Nella parte della
druidessa Norma
presentata in prima mondiale al Teatro
alla Scala di Milano.
ALLA SCALA PER QUINDICI ANNI
Apparirà al teatro meneghino per ben
quindici stagioni, con diciannove titoli,
fra il 1957 e il 1983, imponendosi come
uno dei più rappresentativi soprani del
suo tempo. Fra le interpretazioni più
significative si annoverano Leonora ne La
forza del destino, Elisabetta di Valois nel
Don Carlos, Lady Macbeth in Macbeth,
Norma, nell’opera omonima. La Gencer
si esibirà successivamente in tutte le altre
principali piazze operistiche italiane:
a Roma (Don Giovanni, 1960, Roberto
Devereux, (1964, La Vestale 1973, Anna
Bolena 1977), Bologna (Un ballo in
maschera 1964), Firenze (Macbeth 1975,
Lucrezia Borgia 1979, ecc.), a Venezia
(I due Foscari, 1957, Beatrice di Tenda,
1964,Medea, 1968, ecc.), a Torino (La
dama di picche, 1963, Don Giovanni
1978 ecc.), a Genova (Il trovatore, 1959,
Otello, 1962, ecc.), a Spoleto (L’angelo di
fuoco, 1959). È stata grande interprete
di ruoli donizettiani, contribuendo alla
riscoperta e rivalorizzazione di alcuni
capolavori del compositore bergamasco
(Belisario, Les Martyrs, Poliuto, Caterina
Cornaro), grazie soprattutto all’intenso
legame artistico con il direttore
Gianandrea Gavazzeni.
UNA DIVA INTERNAZIONALE
Fra gli anni cinquanta e settanta la
Gencer si esibisce, oltre che in Italia, negli
Stati Uniti (San Francisco, Francesca da
Rimini, 1956; Dallas, Madama Butterfly,
1960; Chicago, Don Carlos 1964, ecc.),
in Gran Bretagna (Royal Opera House,
Don Giovanni 1962; Glyndebourne
Festival Opera, Le nozze di Figaro,
1962 e Anna Bolena, 1965; Edimburgo,
Elisabetta, regina d’Inghilterra, 1972,
ecc.), in Russia (Mosca, Teatro Bolshoi,
|| Alla Scala di Milano (1963) nel “Don Carlo”
e San Pietroburgo, Teatro Kirov, La
traviata, 1960), in Spagna (Barcellona,
Gran Teatro del Liceu, Norma, 1962,
e Poliuto, 1975), Argentina oltreché a
Monaco (1963), in Brasile, in Europa e,
ripetutamente, nella sua terra d’origine.
IL RITIRO E L’INSEGNAMENTO
Leyla Gencer abbandona le scene con
l’opera La prova di un’opera seria di
Francesco Gnecco, che canta presso il
Teatro la Fenice di Venezia e a Mestre
nel febbraio del 1983. Successivamente
si esibirà in numerosi concerti in Italia
e all’estero. Negli anni ottanta si dedica
soprattutto all’insegnamento e nel
decennio successivo verrà chiamata da
Riccardo Muti a dirigere l’Accademia della
Scala, dove si formano le nuove promesse
della lirica. Ha trascorso gli ultimi anni
della sua vita fra Milano e Istanbul. Si
spegne all’età di 79 anni, nella notte tra
il 9 e il 10 maggio 2008 nella sua casa di
Milano, a seguito di un arresto cardiaco
dovuto a problemi respiratori.
TECNICA VOCALE E REPERTORIO
Considerata come una delle ultime grandi
dive del Novecento, dotata di una tecnica
vocale superba e di notevoli qualità
interpretative, è riuscita a imporsi ad
un pubblico internazionale, insieme alla
Sutherland e alla Caballé, presentando
un repertorio ampio e impegnativo.
Grande interprete donizettiana (Lucrezia
Borgia, Anna Bolena, Caterina Cornaro,
ecc.), si è distinta anche in alcuni grandi
personaggi verdiani (Lady Macbeth,
Aida, Violetta Valery ne La traviata ecc.),
belliniani (Norma, Elvira de I puritani) e
pucciniani (Madama Butterfly e Turandot
in particolare). È stata diretta dai massimi
direttori italiani della seconda metà del
Novecento, da Tullio Serafin ad Antonino
Votto, Gianandrea Gavazzeni e Riccardo
Muti. Fra i direttori d’orchestra stranieri
si segnalano, fra i tanti, Herbert von
Karajan, Georg Solti, Wolfgang Sawallisch
e Thomas Schippers. È stata tra le prime
artiste a comparire, sempre negli anni
cinquanta, nelle prime realizzazioni di
Film Opera (Werther, Il trovatore).
PREMI E RICONOSCIMENTI
Alcuni anni dopo il suo definitivo ritiro
dalle scene, la Gencer fu nominata dal
Presidente turco allora in carica Artista di
Stato (1988) e nel 2004, la Zecca di Stato
turca coniò una moneta commemorativa
con l’effigie del grande soprano.
Scarica