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Pubblicato il 02 Luglio 2016
Nel Palazzo M auro de André uno spettacolo molto bello con la grande ballerina russa
La Zakharova danza per «Amore»
servizio di Edoardo Farina
RAVENNA - Svetlana Zakharova presente nella serata del 30 giugno 2016 con lo spettacolo «Amore»,
presso la funzionale e vasta cornice del Pala de Andrè insieme a Mikhail Lobukhin e Denis Rodkin, ha
fatto il tutto esaurito, trattandosi sicuramente dell’evento di danza fra i più entusiasmanti del cartellone:
nata a Lutsk, in Ucraina, la Zakharova intraprende gli studi all’Istituto Coreografico di Kiev sotto la
guida di Valeria Sulegina. Prosegue la propria formazione all’Accademia Vaganova di San Pietroburgo,
dove viene ammessa direttamente alla terza classe, quella del diploma (diretta da Elena Evteyeva,
emerita ballerina del Balletto del Mariinskij), è inoltre allieva di Ljudmila Semenjanka. Dal 1999 è
regolarmente “guest artist” presso le più prestigiose compagnie di balletto, quali New York City Ballet,
Bayerisches Staatsballett, Teatro dell’Opera di Roma, Opèra di Parigi, Nuovo Teatro Nazionale di
Tokyo, San Carlo di Napoli, American Ballet Theatre, Hamburg Ballet.
Il programma dello spettacolo porta in scena tre quadri con l’intenzione di porsi, nel contempo, come un viaggio nella danza
e nell' «Amore» ove sono previsti altrettanti balletti scritti da coreografi contemporanei. Le punte e i movimenti della stella del
Balletto del Teatro Bolshoj di Mosca e tra l’altro del Balletto del Teatro alla Scala di Milano raccontano nella prima coreografia
danzata una storia che profuma di antico e di eterno: quella di Francesca da Rimini , che sposata con Giovanni Malatesta
(detto anche Gianciotto), secondo la leggenda piuttosto brutto e con la gobba, si innamora del fratello più giovane, il bel
Paolo Malatesta. Leggendo insieme la storia di Lancillotto, Francesca e Paolo cedono alla passione e vengono scoperti da
Gianciotto che li uccide entrambi. Sicuramente una novità, questa coreografia, per la Zakharova, impegnata in un balletto di
stampo “moderno” dal momento in cui nell’ex Unione Sovietica si è sempre distinta nell’ambito della tradizione ottocentesca
tipicamente classica. Dal carattere chiuso e introverso, spesso glaciale e inespressiva ma esplicitamente dinamica, è stata
visibilmente in grado di lasciare davvero tutti con il fiato sospeso, non tradendo assolutamente nessun movimento errato, in
quanto dotata di una precisione al limite dell’impossibile, volteggiando “sulle punte” come se addirittura fosse in totale
assenza di gravità.
Entusiasta di un balletto che si direbbe creato per lei, l’étoile ci confida che il linguaggio del coreografo Yuri Possokhov già in
passato autore di una pallida Cenerentola, incline alle storie drammatiche e romantiche, con un finale da “apocalisse” le è
molto vicino, non essendo difficile crederlo, conoscendo la ricca sensibilità del émigré, dotato di quell’attitudine al racconto
cosi tipica degli artisti russi, di una forza drammatica radicata nel balet-drama sovietico. Tante volte interpretato, e non per
ultimo da un gusto per l’intrattenimento affinatosi nella lunga permanenza americana, sulle note della Fantasia in Mi minore
di Chajkovskij - da cui il musicista trasse ispirazione nel 1876 per comporne la sinfonia definendo la partitura come la più
romantica della storia, intitolata proprio a Francesca da Rimini - gli appassionati di balletto riconosceranno il commento
musicale scelto a suo tempo dal danzatore John Cranko (1927-1973) nell’ultimo episodio del suo Onegin: qui Possokhov
ha firmato un petit ballet ove l’intreccio drammaturgico si fonde con naturalezza all’azione coreografica. Della vicenda storica
e trasfigurata di Paolo e Francesca, la trama rimanda al celeberrimo Canto V dell’Inferno di Dante Alighieri, dove si racconta
travagliata e “vorticosa” disavventura degli amanti clandestini, vista anche l’immagine della pena da scontare; con terzine di
fatalità, l’autore coglie l’universale popolarità di un romanzo d’amore che non ha bisogno di note didascaliche e lo restituisce
con chiarezza cristallina e cadenza avvincente. A tratteggiare l’ambientazione, senza che il racconto prenda il sopravvento ma
affinché invece si legga in filigrana attraverso la danza, bastano le figure femminili stilizzate a maniera medievale delle
damigelle, o gli spettri dai tratti maschili a metà tra demoni infernali e proiezioni della mente: un coro silente, che punteggia o
incalza le azioni dei protagonisti.
Scene veloci, non lasciano il tempo di mettere a fuoco un determinato tipo di evento che questo è già mutato, presente nella
sua tematica l’eterno conflitto tra il bene e il male, visualizzato attraverso i tre guardiani dell’inferno vestiti di grigio marmo e
dal fisico scultoreo, vogliono punire il tradimento avvenuto tra Paolo (Denis Rodkin) e Giovanni (Mikhail Lobukh) trascinando
quest’ultimo con una grossa fune negli inferi, dopo avere visto Francesca tra le braccia dell’uno e dell’altro, lanciata di spalle
e ripresa letteralmente al volo attraverso un sincronismo davvero acrobatico, chiudendo poco dopo drammaticamente il
sipario.
Patrick De Bana, danzatore e coreografo
tedesco fra i più interessanti del panorama
contemporaneo, ha creato Digital Love nel
2014, un passo a due con Svetlana Zakharova
che oggi viene riadattato e presentato in prima
assoluta con il titolo Rain Before it Falls (Prima
che cada la pioggia) secondo episodio danzato
nell'impaginato di «Amore», molto più breve del
precedente. Avente come protagonisti, oltre la
Zakharova, per ballerini, De Bana stesso e
Denis Savin, il tutto appare quasi di stampo
minimalista, ove ciò che colpisce al di là della
scarna scenografia, è il suo abito lungo dal
colore viola intenso. L’autore scava nel
profondo dell’essere umano, cavalcando
prepotentemente emozioni sulle musiche
struggenti e miste tra il barocco di Bach, ove
ogni tanto udiamo quella che dovrebbe essere
una “partita” per violino solo, inframmezzata
attraverso il Novecento di Ottorino Respighi e
l’autore Carlos Pino-Quintana, musicista
contemporaneo.
Un sogno, un'illusione che non si fa in tempo a
toccare e che ha l'odore del bagnato, “Rain
before it falls”, descrive un amore perduto in un
incidente aereo dove il balletto, originariamente
nato come pas de deux, è diventato un passo a
tre con l'inserimento di un altro personaggio,
forse fantasmatica sineddoche dell'amore
mancato.
“Ciò che sperava di trovare - commenta l'autore - era solo un sogno, un’illusione, una chimera: come la pioggia prima che
cada. Pensiamo a Marilyn Monroe, a Marlene Dietrich, a Maria Callas e Romy Schneider. Bellissime, talentuose, famose; ma
sole. Terribilmente, disperatamente sole. In questa condizione la solitudine diventa la compagna di ogni momento e ciò che
ti ritrovi a fronteggiare: questo è l’Amore Assoluto. Come una droga, che inganna le menti fino a quando esse non inventano
una ragione per vivere ancora; una chimera. E poi ci sono persone dalla vita ordinaria il cui destino cambia in un istante; un
terremoto, lo schianto di un aereo… Famosi o anonimi siamo uguali di fronte al vuoto abissale che rifiutiamo, con cui ci
ribelliamo nella violenza della disperazione. Il Fato non suole piangere: torniamo dunque alle nostre chimere e viviamo, se ci
è ancora possibile”.
Indecifrabili le tre figure che, in solitudine e in apparente reciproca estraneità, entrano in scena l’una dopo l’altra. La donna
per prima, Svetlana, con il destino degli uomini tra le mani, ci introduce in un ambiente scandito da un tavolo e da una sedia,
unici punti di riferimento per tentare di decifrare l’ambizione della piece. La segue un giovane vestito di nero, Denis Savin,
appartato sin dal suo ingresso, e poi un altro uomo maturo, sempre De Bana, anch’egli abbigliato di scuro, quasi un deus
ex machina di ogni sviluppo drammaturgico. Entrambi occupano il palco con le loro fisicità singolari, distanti dai canoni del
balletto accademico: il primo con la sua espressività nervosa, il secondo con una rudezza al limite del conturbante. L’incontro
con la figura femminile sarà privilegio soltanto di quest’ultimo: un padre? un mentore? o forse la personificazione di una
coscienza oscura? Certo e che i loro pas-de -deux, il primo quasi soave, il secondo percorso da un’energia più intensa
benché non privo di abbandoni, si inscrivono in una scrittura coreografica fluida e sinuosa, spezzata da lunghi fremiti. Mentre
il terzo personaggio rimarrà ai margini del nucleo ove si svolge l’azione coreografica ed emotiva della coppia, perduto in un
solipsistico affanno che si interromperà soltanto per un fugace duetto maschile, ambiguamente liberatorio. Alla fine, nello
stesso clima cupo, tutto sembra riportarci alla situazione iniziale e a quei medesimi interrogativi che lo spettatore, se lo vorrà,
potrà sciogliere da sé. Certo, e riuscita la strana alchimia tra il coreografo e la sua musa, che l’uno dell’altra dicono
poeticamente: “con lei si ha l’impressione di camminare nella citta proibita, dove l’ultima imperatrice cinese ti invita a
danzare” e “danzare con lui e come sentirsi in acqua, tuffarsi senza vederne il fondo”.
Dal dramma della passione e dalla mancanza, che ha la lieve pesantezza di un temporale imminente, si giunge all'allegria
del terzo quadro dove la Zakharova si proietta fuori dal suo solito repertorio classico: in questo terzo quadro di «Amore»,
intitolato Strokes through the tail (Colpi inferti con la coda ) la coreografa irlandese Marguerite Donlon, di empatica emotività,
sa bene evidentemente come lusingare i gusti del pubblico. La sua storia di giovanissima danzatrice di balli nazionali
irlandesi, la successiva carriera internazionale da ballerina classica, fino all’ormai decennale attività di coreografa per la
propria e per altre compagnie, la rendono eccezionalmente eclettica nel gusto e nello stile creativo. Vicende di vita
drammatiche le hanno donato anche una sensibilità amorevole, percepibile dagli interpreti cosi come dal pubblico, che
emerge con evidenza dalle ultime creazioni. Ispirata dalla Sinfonia n° 40 in Sol minore di Mozart (di cui ne sono stati utilizzati
tre movimenti dei quattro - in ordine sparso - escludendo l’assai noto allegro iniziale) ne trova contaminazioni nelle
personalità dei danzatori per una creazione che rivela il genio del salisburghese appartenuto al classicismo del tardo
Settecento. Incuriosita dalla tecnica di notazione, la Donlon ne ideò la coreografia nel 2005 per la Hubbard Street Dance
Company di Chicago associando una creazione in grado di unire danze virtuose e un piacevole tocco di irriverenza, in una
performance in cui i danzatori incarnano la struttura di tale notazione rivelando estro e umorismo. Cinque artisti capeggiati da
Mikhail Lobukhin, le cui personalità sono pronte a incarnare la stesura musicale stessa tramite la firma femminile del
programma decisamente riconoscibile nella sua specificità di genere. Quali siano gli interpreti, l’intento della scena è dare
nuova forma con la danza a delle musiche chissà quante volte ascoltate, influenzando il carattere dei protagonisti attraverso
la personalità delle note, e soprattutto con quella libertà di eseguirle lunghe o brevi che il compositore lasciò ai musicisti
proprio con le “codine” segnate in partitura.
Oggi rimodellato per i ballerini del Bolshoi, il balletto e presentato nella variante per una star senza tempo, che con una tale
distribuzione nel gioco dei ruoli, sembra riuscire ancora meglio: si ammira la disinvolta allegria dei ragazzi in tutu bianco e
torso nudo dal passo degli anatroccoli in fila indiana, facendo quasi sorridere, e improvvisamente l’austera bellezza della
protagonista. Ma dietro la gioiosa anarchia drammaturgica sarà proprio la formazione rigorosamente accademica dei nuovi
interpreti russi, compiacendosi la coreografa, a donare al suo balletto linee e tinte ancor più belle e luminose.
Passione, ambiguità, spensieratezza: tre diverse facce dell’Amore nell’interpretazione di Svetlana Zakharova, che le ultime
stagioni rivelano fiera e felice di una conquistata audacia.
Crediti fotografici: Pier Luigi Abbondanza per l'Ufficio stampa di Ravenna Festival
Nella miniatura in alto: la grande Svetlana Zakharova