Corte costituzionale e famiglia: brevi note ricostruttive e
spunti critici·*
Roberto Di Maria
Professore associato di Diritto costituzionale, Libera Università “Kore”, Enna
1. Breve sintesi storica
L’enunciazione dell’art. 29 Cost. - “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come
società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale
e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare” - costituisce esempio tipico della natura intrinsecamente compromissoria della Carta costituzionale italiana: in essa si manifesta, infatti, il “serrato confronto fra le varie proposte di disciplina, espressione di orientamenti culturali ed ideologici antitetici” emergendo, infine, quale
“frutto di un processo di formulazione delle norme condotto per minimi comuni denominatori delle diverse posizioni” 1.
In specie, i principali temi intorno ai quali si era articolato il dibattito in Assemblea costituente - laddove al fronte di matrice culturale cattolica si contrapponeva quello laico e
marxista - avevano riguardato la definizione di famiglia ed il rapporto tra ordinamento familiare ed ordinamento statale (i.e. tra “regole interne” e norme di diritto), la garanzia dell’istituto matrimoniale, il principio di eguaglianza e la tutela dell’unità familiare 2. E tuttavia alla
radice di tali temi restava comunque - quale minimo comune denominatore problematico soprattutto l’utilità (od, invero, l’opportunità) di configurare un modello di consorzio o aggregato sociale cui attribuire rilevanza pubblica mediante un espresso riferimento - proprio
all’interno della Carta costituzionale - ai diversi elementi che gli stessi avrebbero dovuto
possedere, al fine di essere ricompresi entro lo schema di “famiglia costituzionalmente riconosciuta”. Sotto questo profilo infatti, i menzionati orientamenti culturali propugnavano l’uno
- quello cattolico - la menzione testuale della definizione di un modello familiare istituzionale e dei correlativi elementi tipici, l’altro - quello laico - il solo riferimento invece ai “diritti della
famiglia”, senza una ulteriore specificazione del contenuto del relativo istituto sociale.
* Il presente lavoro costituisce una articolata rielaborazione della relazione esposta alla Giornata di Studi sul
Tema “Evoluzione Normativa della famiglia matrimoniale e di fatto”, Comitato Pari Opportunità, Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati di CL, Palazzo di Giustizia di CL, 30.11.2007.
1 In tal senso si esprimono Caggia e Zoppini, Commento all’art. 29, in Bifulco, Celotto, Olivetti (a cura di),
Commentario alla Costituzione, Padova, 2007, pag. 602.
2 Ugualmente Caggia e Zoppini, ibidem, pag. 602-603.
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È noto come - avendo il Costituente infine optato per l’inserzione nella Carta della
nozione di famiglia - il compendio della stessa nella definizione “società naturale fondata
sul matrimonio” avesse rappresentato momento di (tentato) bilanciamento fra una lettura
giusnaturalistica di tale istituto - e dei relativi principi e valori - ed una invece di matrice più
marcatamente sociologica, all’interno della quale combinare non solo elementi naturali ma
anche elementi affettivi e sociali 3.
In chiave ermeneutica allora, il principale nodo problematico che emerge - alla luce di
tali premesse e sulla base del dato normativo positivo offerto dalla formulazione dell’art. 29
Cost., comma 1 - è se la espressa menzione dell’istituto matrimoniale costituisca requisito
formale indispensabile e, quindi, vincolo insuperabile imposto al Legislatore ordinario nella
sua opera di enucleazione dei diritti civili riconosciuti alla c.d. “famiglia legittima” e di riconoscimento dei limiti alla estensione della relativa garanzia giuridica.
2. Famiglia legittima e convivenza more uxorio
Laddove, tradizionalmente, una parte della dottrina abbia insistito sulla posizione di
evidente favor costituzionale cui assurgerebbe la famiglia c.d. legittima - intesa appunto
quale nucleo sociale fondato sull’istituto matrimoniale - in quanto fattore promozionale di
“ordine sociale”, di “sviluppo di valori etici”, di “arricchimento dell’identità individuale a livello sociale” 4 altra parte della dottrina, invece, ha rilevato come nella formula “società naturale” si esprimesse una configurazione della famiglia storicamente contingente e relativa,
“aperta alle dinamiche sociali” ed ai “processi di revisione” non solo normativa ma anche
ordinamentale 5.
Sebbene sembri quest’ultima l’interpretazione apparentemente più aderente alla configurazione di una “formazione sociale” (i.e. la famiglia) all’interno della quale possa liberamente svolgersi la personalità dei singoli membri - e ciò altresì in armonia con l’implicito rinvio
fatto dall’art. 29 all’art. 2 Cost., in conformità alle previsioni del quale i “diritti della famiglia”
possano essere valutati alla stregua dei “diritti inviolabili dell’uomo” - tuttavia l’obiettiva circostanza che nel testo costituzionale si faccia riferimento alla sola famiglia “fondata sul matrimonio” ha posto il problema della possibile tutela (rectius, della matrice costituzionale della
tutela) in favore delle relazioni para-familiari, esorbitanti i confini dell’istituto matrimoniale.
3 Caggia e Zoppini, ibidem, pag. 603.
4 Sul punto cfr. Lombardi, La famiglia nell’ordinamento italiano, in Iustitia, 1965, pagg. 3 e ss.; Pietrobon, Il
matrimonio, in Ius, 1974, pagg. 35 e ss.; Santoro Passarelli, Matrimonio e famiglia, in Saggi diritto civile,
Napoli, 1965, pagg. 393 e ss.
5 In tal senso cfr. Lipari e Bessone in Caggia e Zoppini, cit., pag. 608, note 47 e 48.
2
Già prima della introduzione della c.d. legge sul divorzio (recte, “Disciplina dei casi di
scioglimento del matrimonio”, l. 898/1970) e della riforma del diritto di famiglia (l. 570/1975)
l’ordinamento giuridico italiano aveva conosciuto alcune forme di tutela della c.d. convivenza
more uxorio: tuttavia esse consistevano, essenzialmente, in provvedimenti giurisdizionali
finalizzati a garantire l’estensione ed il godimento di alcuni diritti anche ai soggetti coinvolti
nell’ambito delle suddette forme di consorzio para-familiare, soltanto in relazione a particolari rapporti di diritto privato (es. in materia di locazione: cfr. Trib. Firenze, 13.02.1950; Pret.
Pordenone, 07.12.1950). Sotto questo profilo appare evidente come le garanzie previste nell’ambito dell’ordinamento giuridico italiano a favore della convivenza more uxorio costituissero, in effetti, rimedi contingenti per lo più approntati in sede giudiziaria - e spesso frutto della
applicazione diretta dei principi costituzionali da parte dei giudici ordinari - destinati a tutelare situazioni giuridiche soggettive solo a titolo individuale e non anche in funzione del vincolo para-coniugale del quale i medesimi soggetti fossero protagonisti e nell’ambito del quale
fosse stata dedotta la relativa fattispecie, comunque ritenuta meritevole di tutela giuridica.
In ultima analisi è possibile rilevare come il riferimento costituzionale alla sola famiglia
“legittima” (i.e. fondata sul matrimonio) diviene tema problematico di riflessione dottrinale e
giurisprudenziale - specialmente in funzione della estensione della relativa tutela giurisdizionale - sopratutto nel momento in cui l’evoluzione della società apre sia a “nuove” forme
di convivenza (etero ed omosessuale), sia a nuovi modi di espressione della tradizionale
famiglia legittima (ricomposta, monoparentale, etc.) 6.
3. Evoluzione sociale, riconoscimento giuridico e tutela giurisdizionale della
famiglia “di fatto” (cenni sulla giurisprudenza costituzionale)
Le suddette osservazioni ripropongono, dunque, la questione relativa ai limiti di tutela
- e, preliminarmente, di riconoscimento in sede legislativa - per la famiglia “di fatto”, a fronte della posizione di evidente privilegio attribuita alla famiglia legittima nell’ambito dell’ordinamento giuridico italiano: come già evidenziato, infatti, la suddetta posizione di privilegio
non ha escluso che - in sede giurisprudenziale, alla stregua del percorso ermeneutico
seguito dalla dottrina - si pervenisse al riconoscimento di forme di tutela anche per le relazioni familiari meramente fattuali 7.
6 Rilevano in tal senso Caggia e Zoppini, ibidem, pag. 608. Ugualmente Bessone, Commento all’art. 29 Cost.,
in Branca e Pizzorusso (a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna, 1976, pagg. 1-8.
7 Cfr. Schlesinger, L’unità della famiglia, in Studi sassaresi. Famiglia e società sarda, II, Milano, 1971; Santoro
Passarelli, cit.; Sandulli, Art. 29 Cost., in Cian, Oppo, Trabucchi (a cura di), Commentario alla Costituzione,
Padova, 1992.
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La premessa di tale riconoscimento è stata la deduzione - caso per caso - della più
ampia garanzia assicurata dall’art. 2 Cost. ai diritti inviolabili dell’individuo, anche nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, all’interno delle diverse fattispecie sottoposte alla cognizione del giudice, al fine di valutare se ed in che misura la applicazione delle
norme attributive di diritti alla famiglia legittima potesse essere estesa anche ai conviventi,
e ciò mediante la decodificazione della ratio e della natura delle norme stesse: se orientate alla tutela degli elementi solo formali o anche sostanziali della fattispecie in esame 8.
A fronte di tale escamotage ermeneutico adottato in sede giurisdizionale, sorge un
conflitto (o processo dialettico) fra “emersione del fatto” (i.e. l’esistenza sul piano sociale di
modelli diversi dalla famiglia matrimoniale) e “giudizio di valore” (i.e. il riconoscimento di una
tutela giuridica): l’estensione delle garanzie assicurata al modello tradizionale di famiglia
anche ai modelli di convivenza para-familiare presuppone infatti la compatibilità fra i suddetti modelli, mediante la identificazione di alcuni requisiti minimi caratteristici, quali la spontanea convivenza, la solidarietà reciproca, il mutuo sostegno economico, etc.
L’intrinseco rischio emergente dalla valutazione di tali elementi di fatto, tuttavia, è quello di premettere alla applicazione delle norme di diritto ed alla estensione della conseguente
tutela giuridica un sistema di valori in base alla gerarchia dei quali interpretare le medesime
norme. Per tal motivo la dottrina e la giurisprudenza - univocamente - hanno adottato un
approccio ermeneutico in funzione del quale considerare la nozione giuridica di famiglia come
prodotto storico-sociale, interpretando come indice di delegittimazione sociale l’eventuale
contraddizione fra modello legale paradigmatico e modello concreto: dunque la verifica della
premessa compatibilità si attua mediante la ricomprensione, entro i confini del suddetto paradigma legale, dei rapporti che non ne presentino se non solo alcuni degli elementi tipici 9.
Sotto questo profilo il contributo offerto dalla giurisprudenza costituzionale ha riguardato alcuni temi essenziali - relativi proprio alla definizione dei suddetti elementi tipici, eventualmente distintivi la famiglia legittima dalle unioni di fatto - rispetto ai quali pare possibile
procedere ad una sommaria categorizzazione: ad un primo gruppo appartengono le sentenze finalizzate a rimuovere gli impedimenti alla formazione di nuclei familiari; ad un
secondo gruppo appartengono le sentenze dirette a tutelare i figli nati fuori del matrimonio;
ad un terzo gruppo appartengono, infine, le sentenze con le quali la Corte costituzionale si
pronuncia in merito alla distinzione fra famiglia legittima e convivenza di fatto.
8 In dottrina cfr. Bianca, Diritto civile, II, Milano, 1989; Barcellona, Famiglia (dir. civ.), in Enc. dir., XVI, Milano,
1967, pagg. 780 e ss.; Bessone, cit. In giurisprudenza cfr. Corte cost., sent. 404/1988, con nota di Rossi e
Romboli, in tema di diritto di abitazione della casa altrui.
9 In tal senso Caggia e Zoppini, ibidem, pag. 608.
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In relazione alla prima categoria di pronunce rilevano, in specie, quelle riguardanti la eliminazione del divieto delle donazioni fra coniugi, originariamente previsto dall’art. 781 c.c.; la
estensione anche al padre del diritto alla astensione dal lavoro attribuito alle lavoratrici madri,
laddove fosse venuta a mancare, per morte o grave infermità, l’assistenza di quest’ultima; la
rimozione della prescrizione che imponeva di essere senza prole per l’assunzione a certi impieghi o incarichi pubblici 10. Minimo comune denominatore di tale indirizzo giurisprudenziale era
proprio la riaffermazione dei valori che informano i rapporti familiari: il principio di eguaglianza
dei coniugi - sancito dall’art. 29 Cost. - ribadito non solo in termini negativi, ovvero come divieto di discriminazioni ma altresì in termini positivi, ovvero come difesa della “specificità femminile”, preordinata a rendere possibile alle donne di conciliare le cure familiari con quelle del lavoro; la costituzione di un valido vincolo familiare mediante l’inibizione di iniziative fraudolente,
preordinate alla sola realizzazione di meri vantaggi economici; il diritto alla libertà di contrarre
matrimonio quomodolibet e la connessa tutela della sfera privata e familiare 11.
In relazione alla seconda categoria, basti citare le sentenze attraverso le quali la Corte
costituzionale ha sancito la puntuale applicazione della corretta interpretazione dell’art 30
Cost., precisando come i limiti alla tutela dei figli nati fuori del matrimonio fossero giustificabili solo in funzione dei diritti dei figli legittimi e del coniuge 12. In tal senso la stessa Corte aveva
provveduto a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 575 c.c. nella parte in cui, in mancanza di figli legittimi e del coniuge del genitore, si ammetteva nella successione legittima il
concorso tra i figli naturali e gli ascendenti legittimi del genitore; a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 565 c.c., nella parte in cui tale norma escludeva dalla categoria dei chiamati alla successione legittima - in mancanza di altri successibili - i fratelli e le sorelle naturali riconosciuti o dichiarati, così facendo applicazione di un costante orientamento della giurisprudenza costituzionale orientata ad eliminare - compatibilmente con i diritti della famiglia legittima posizioni giuridicamente e socialmente deteriori dei figli illegittimi, consentendo loro di acquisire l’eredità lasciata da un fratello o da una sorella naturale - sempre che unico sia il genitore - in mancanza di parenti legittimi ed impedendo, in tal modo, che i beni ereditari pervenissero allo Stato e riconoscendo valore giuridico ai vincoli di sangue pur non consacrati in un
vero e proprio rapporto di parentela; a considerare del tutto compatibile con l’istituto della legittimazione la nuova formulazione dell’art. 284 c.c., impugnato dai giudici a quibus nella parte
in cui consentiva la legittimazione, per provvedimento del giudice, del figlio naturale concepito in costanza di matrimonio da colui che sia unito in matrimonio con altra persona 13.
10 Rispettivamente cfr. Corte cost., sentt. nn. 91/1974, 1/1987, 332/2000.
11 Si vedano, e plurimis, Corte cost., sentt. nn. 374 e 369/1989, 187/2000, 250/2000.
12 Sul punto cfr. Corte cost., sent. 50/1974.
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In relazione infine alla terza categoria di pronunce, attinente alla distinzione fra famiglia legittima ed unioni di fatto, la Corte rilevava come il rapporto coniugale implicasse secondo quanto previsto dalla legge - una serie di potenzialità che non si esaurivano nel
mero dato materiale della convivenza accompagnato dall’affectio pur verificabile anche nel
rapporto more uxorio: i diritti ed i doveri inerenti al matrimonio si caratterizzano, infatti, per
la certezza e la disciplina legale del rapporto su cui si fondano, da cui consegue la non omogeneità delle due situazioni 14. Da ultimo, nella ordinanza 204/2003, la Consulta ribadisce
infatti che “la convivenza more uxorio, basata sulla affectio quotidiana, liberamente ed in
ogni istante revocabile, presenta caratteristiche così profondamente diverse dal rapporto
coniugale da impedire l’automatica assimilazione delle due situazioni al fine di desumerne
l’esigenza costituzionale di una parificazione di trattamento”.
4. Brevi riflessioni conclusive
In ultima analisi è possibile rilevare come a tale lungo e ponderoso percorso giurisprudenziale in tema di diritto di famiglia - frutto della ingente quantità e significativa qualità delle
sentenze della Corte costituzionale - tuttavia non abbia fatto mai riscontro una organica
riforma dell’art. 29 Cost., destino comune peraltro a tutte le norme collocate nella Parte I del
testo costituzionale.
Le stesse proposte di riforma non hanno mai toccato - comunque - i principi di cui al
comma 1 del suddetto articolo e, dunque, fornito indicazioni di rilievo circa il riconoscimento di nuove forme di modelli familiari “non tradizionali” ed il connesso allargamento della
garanzia costituzionale del riconoscimento dei relativi diritti. Posizione di “inerzia” del
Legislatore cui ha fatto riscontro - come rilevato - un atteggiamento di sostanziale self
restraint praticato, in materia, dalla stessa Corte costituzionale.
Solo il comma 2 è stato oggetto di significative proposte di modifica (sul punto si vedano le bozze presentate nel corso della IX e della XII Legislatura) generalmente tese a diffondere il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) entro i confini dell’unità del vincolo familiare,
affinché essa potesse costituire sia il limite cui il legislatore dovrebbe arrestarsi nella disciplina di diritto positivo, sia il parametro cui rimettere la libertà negoziale e l’autonomia dei
soggetti privati nella gestione della vita familiare.
13 In tal senso cfr. Corte cost., sentt. nn. 97/1979 e 184/1989.
14 Cfr. Corte cost., sentt. nn. 59/1988, 310/1989, 2 e 166/1998 e 352/2000, rispettivamente in tema di diritto
a subentrare (in caso di cessazione della convivenza) nell’assegnazione dell’alloggio appartenente all’edilizia
residenziale pubblica, di assegnazione della casa in relazione all’art. 155 c.c., di non punibilità dei fatti previsti dal titolo XIII del libro II c.p., commessi in danno del convivente more uxorio.
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