programma di sala

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STAGIONE 2007-2008
DELIRI
E ARMONIE
Martedi
5 febbraio 2008
ore 20.30
Sala Verdi
del Conservatorio
Quartetto
Alban Berg
12
Consiglieri di turno
Direttore Artistico
Maria Majno
Carlo Sini
Paolo Arcà
Con il patrocinio di
Con il contributo di
Con il patrocinio
e il contributo di
Con il contributo di
Sponsor istituzionali
Sponsor “Grandi Interpreti”
Con la partecipazione di
Per assicurare agli artisti la migliore accoglienza e concentrazione
e al pubblico il clima più favorevole all’ascolto, si prega di:
• spegnere i telefoni cellulari e altri apparecchi con dispositivi acustici;
• limitare qualsiasi rumore, anche involontario (fruscio di programmi, tosse ...);
• non lasciare la sala prima del congedo dell’artista.
Si ricorda inoltre che registrazioni e fotografie non sono consentite, e che
l’ingresso in sala a concerto iniziato è possibile solo durante gli applausi, salvo
eccezioni consentite dagli artisti.
Quartetto Alban Berg
Günter Pichler violino
Gerhard Schulz violino
Isabel Charisius viola
Valentin Erben violoncello
Franz Joseph Haydn
(Rohrau 1732 – Vienna 1809)
Quartetto in sol maggiore op. 77 n. 1 Hob.III.81
Alban Berg
(Vienna 1885 – 1935)
Quartetto op. 3
Intervallo
Ludwig van Beethoven
(Bonn 1770 – Vienna 1827)
Quartetto n. 15 in la minore op. 132
Franz Joseph Haydn
Quartetto in sol maggiore
op. 77 n. 1 Hob.III.81
Allegro moderato
Adagio
Menuetto. Presto
Finale. Presto
Il conte Ferdinand von Waldstein è passato alla storia per aver scritto, il 29 ottobre 1792: “Caro Beethoven! Partite ora per Vienna a coronamento dei vostri desideri a lungo non soddisfatti. Il genio di Mozart è ancora in lutto e piange la morte
del suo allievo. Ha trovato rifugio, ma non occupazione, presso il fecondissimo
Haydn; attraverso di lui esso desidera essere unito ancora una volta a qualcuno.
Con uno zelo ininterrotto ricevete: lo spirito di Mozart dalle mani di Haydn.”
La profezia di Waldstein sembrava avverata dagli ultimi Quartetti di Haydn e
dai primi di Beethoven. Mondi musicali differenti per un momento si tengono
per mano. Le due serie furono scritte tra il 1798 e 1799, entrambe su richiesta
del principe Franz Joseph Max von Lobkowitz, uno dei mecenati più munifici di
Vienna. Verso la fine del secolo, i nobili viennesi avevano l’abitudine di prendere
in affitto, per così dire, nuove composizioni. Il committente acquistava per un
certo periodo il diritto di far eseguire in esclusiva la musica. L’autore, in seguito, era libero di vendere e pubblicare le proprie opere come meglio credeva. A
cavallo del secolo Haydn era impegnato nella composizione dei grandi oratori
La Creazione e Le Stagioni, ma intendeva però onorare l’impegno, malgrado
l’età avanzata e la cattiva salute, scrivendo una nuova serie di sei quartetti, ultime creature di una famiglia già numerosa. Riuscì a terminarne solo due, che
avrebbero formato l’opus 77, lasciando un paio di movimenti di un terzo incompiuto, catalogato come opus 103. Il Quartetto in sol maggiore manifesta lo stesso rovello intellettuale dei sei precedenti Quartetti dell’op. 76. La ricerca di
nuove maniere di variare la forma costituiva il tema costante dell’ultimo Haydn.
La pura composizione, nel senso specifico di disporre i vari elementi in un insieme, assume negli ultimi quartetti un carattere ancor più marcato, quasi astratto. Una sobrietà assoluta, a tratti così spoglia da apparire spigolosa, domina la
parte finale della sua produzione. Colpisce, per esempio, nel Quartetto in sol
maggiore, la mancanza di canto: non per mancanza di fantasia, ma per la deliberata rinuncia all’elemento melodico. Viene il sospetto che Haydn intendesse sperimentare la possibilità di scrivere un quartetto anche senza tema.
Contrariamente alla loro natura melodica, gli archi si divertono a pungere le
orecchie, a saltare, a battere sulle corde. Nei rari casi in cui si manifesta una
melodia, il fraseggio dura poco più d’un respiro. Nemmeno l’“Adagio”, in effetti,
nonostante le preminenti fioriture del violino, possiede una vera e propria fisionomia cantabile.
Il primo movimento del Quartetto mostra molto bene il fascino di una costruzione misurata al millimetro. Haydn dispone i pezzi come se fossero viti, molle,
ruote dentate di un congegno a orologeria. L’idea musicale si riduce all’essenziale: un arpeggio, un intervallo di semitono, un’acciaccatura. La ratio del discorso è perfetta. Non sono ammessi punti morti, lungaggini, sprechi. Autore e
ascoltatore – ma forse meglio dire autore ed esecutore – si confrontano in una
sorta di partita a scacchi. Il Quartetto in sol è l’esempio della padronanza tecnica e del linguaggio raffinato della scuola viennese. Il secondo tema deriva direttamente da un’idea contenuta nel primo: la breve figurazione puntata con
acciaccatura, da suonarsi a “mezza voce”, si trasforma in un frammento melodico di due battute. Allo stesso modo anche le parti secondarie sono il frutto di
questa struttura autoformante. Parlando di primo e secondo tema si adopera per
comodità una terminologia convenzionale, ma imprecisa. La forma qui è un organismo vitale, che non si riduce a uno schema preconfezionato. Haydn creava della
musica conforme a un’esigenza artistica, non all’ossequio per delle regole.
La padronanza di un’idea complessiva della forma non riguarda solo i singoli
movimenti, ma anche il Quartetto nel suo insieme. Considerando la disposizione
delle tonalità nei vari movimenti, osserviamo che il lavoro si regge su un equilibrio simmetrico di rapporti armonici. La poesia è racchiusa nella razionalità della
forma, coltivata da Haydn in decenni di lavoro artigiano. Gli ultimi quartetti costituiscono un meraviglioso addio a un genere che Haydn non ha mai smesso d’amare. Nelle sue mani, grazie alla fantasia e all’intelligenza, l’umile passatempo
domestico si è trasformato nel più nobile contenitore del pensiero musicale.
Alban Berg
Quartetto op. 3
I. Langsam
II. Mäßige Viertel
Il 5 gennaio 1910 Arnold Schönberg scriveva al direttore della casa editrice
Universal di Vienna Emil Hertzka: «Alban Berg… è un compositore straordinariamente dotato. Ma lo stato in cui si trovava quando arrivò da me era tale, che
la sua immaginazione non riusciva apparentemente a lavorare su niente che non
fossero Lieder. Persino i loro accompagnamenti pianistici erano di stile vocale.
Era assolutamente incapace di scrivere un movimento strumentale o inventare
un tema strumentale. Lei può a stento figurarsi il tempo che mi ci è voluto per
eliminare questo difetto nel suo talento».
La musica di Berg, come quella del suo idolo Gustav Mahler, scaturiva in maniera primordiale dal mondo del Lied. Il centinaio di Lieder scritti da Berg tra il
1901 e il 1909 dimostrano la natura del suo linguaggio musicale, fondato sulla
voce. Il periodo di studio con Schönberg aveva spinto Berg a inventare forme di
musica strumentale, che costituiscono i suoi primi lavori ritenuti degni di un
numero d’opus. La Sonata op. 1 risale al 1909 e il Quartetto op. 3 all’inizio dell’anno successivo. Le due opere furono collegate, in maniera significativa, dalla
composizione dei Quattro Lieder op. 2, formando nell’insieme un piccolo ciclo di
congedo dall’apprendistato con Schönberg.
La musica riflette il carattere estremamente sensibile della personalità di Berg,
esprimendo l’inquietudine e l’eccitazione di un periodo sentimentale piuttosto
turbolento. La composizione del Quartetto op. 3 coincise infatti con il travagliato fidanzamento con Helene Nahowski, figlia di un alto ufficiale alla corte imperiale. Il padre Franz aveva contrastato in maniera ferma e autoritaria il fidanzamento della figlia con un giovane reputato cagionevole di salute, di avvenire
incerto e proveniente da una famiglia di moralità discutibile (la sorella di Berg,
Smaragda, non faceva mistero a Vienna della propria omosessualità). Furono
mesi difficili e tesi, con inevitabili ripercussioni anche sul rapporto tra i due giovani, che in ogni caso riuscirono a coronare nel 1911 il loro sogno d’amore. Le
lettere a Helene, tradotte anche in italiano, consentono una magnifica visione
sul mondo di Berg e sull’ambiente culturale che alimentava la sua musica.
Ricordando la separazione imposta a un certo punto dal padre, Helene Berg ha
lasciato in seguito questa dichiarazione: «La separazione colpì Alban e me
profondamente. Di lì discende l’op. 3. In essa parla l’amore, e la gelosia e l’indignazione per l’ingiustizia che era stata fatta a noi e al nostro amore».
Non sarebbe lecito, naturalmente, in mancanza di prove documentarie, trarre la
conclusione che il Quartetto contenga una sorta di programma segreto, tuttavia
l’esplicito riferimento della moglie a un rapporto tra la musica e la controversa
vicenda del loro fidanzamento consente di collocare meglio alcuni elementi dell’opera nel loro contesto spirituale. Per esempio, la citazione di un tema del
Tristano e Isotta di Wagner nella parte centrale del secondo movimento.
L’episodio spicca per l’improvvisa comparsa della tonalità di re minore, all’interno del denso tessuto armonico del Quartetto. Il tema, ripreso poche battute
dopo dalla viola in forma inversa, ossia rovesciando la direzione degli intervalli,
deriva dal duetto d’amore dell’Atto II, quando Isolde dice: “Il sole si è chiuso in
salvo a noi nel petto, splendono sorridenti le stelle della beatitudine”. La finezza della citazione consiste nel fatto che il tema, nell’opera, ritorna poi nella
prima scena dell’Atto III, quando Tristano, ferito a morte sull’isola, aspetta l’arrivo d’Isotta con l’animo sconvolto dall’incerta attesa. Inoltre, cosa che poteva
risultare comprensibile soltanto a Helene, l’uso della tonalità di re minore assumeva un significato sentimentale molto preciso, come risulta da un’altra lettera
del 1909. Si tratta solo di un esempio, tra i tanti, per mettere in evidenza come
la musica di Berg costituisca la sintesi di molteplici percorsi espressivi, che alimentano la complessità talvolta sfuggente delle sue forme strumentali. Questa
infatti costituisce la caratteristica principale anche del Quartetto op. 3, articolato in due soli movimenti. Il primo, che recita Langsam (lento) come indicazione
espressiva, si colloca idealmente nell’ambito della forma sonata tradizionale,
nella quale sono riconoscibili le sezioni dell’esposizione, dello sviluppo e della
ripresa, sebbene trattati con uno stile estremamente concentrato e frammentario. Il secondo invece rappresenta un piccolo enigma, dal momento che sembra
sfuggire a una descrizione analitica univoca. Il legame con il tema principale del
movimento precedente sembra l’unico aspetto indiscutibile della seconda parte,
che in un certo senso sembra esprimere una forma ulteriore di sviluppo del
materiale musicale esposto in precedenza.
Ludwig van Beethoven
Quartetto n. 15 in la minore op. 132
Assai sostenuto
Allegro ma non tanto
Heiliger Dankgesang eines
Genesenen an die Gottheit, in der
lydischen Tonart
Alla marcia, vivace assai
Allegro appassionato
Nel novembre del 1822, Beethoven ricevette una lettera in francese da San
Pietroburgo: «Tanto appassionato amante della musica quanto grande ammiratore
del Suo talento, mi prendo la libertà di scriverLe per chiederLe se sarebbe disposto a comporre uno, due o tre nuovi quartetti. Per questa fatica sarei lieto di pagare quello che Lei stesso giudicherà equo […] Lo strumento che coltivo è il violoncello. Non vedo l’ora di ricevere la Sua risposta».
Il mittente era il principe Nikolaus Galitzin, un nobile russo vissuto da bambino a
Vienna nei primi anni del secolo, il quale detestava cordialmente “il cattivo gusto e la
ciarlataneria degli italiani” e reputava Beethoven , al pari di Mozart e Haydn, “il Dio
della melodia e dell’armonia”. Galitzin si prodigò moltissimo per diffondere la musica
di Beethoven in Russia e sopportò con signorile pazienza il ritardo dell’autore nel consegnare la musica pattuita e puntualmente pagata a peso d’oro. Benché si fosse impegnato a inviare il primo lavoro entro il marzo del 1823, Beethoven fu in grado di spedire il manoscritto del Quartetto in mi bemolle op. 127 non prima degl’inizi del 1825,
mentre degli altri due, il Quartetto in la minore e il Quartetto in si bemolle maggiore con la Grande Fuga finale, soltanto alla fine dello stesso anno. A causa di una certa
confusione tra gli editori degli ultimi lavori, il Quartetto in la minore fu pubblicato
postumo da Schlesinger, a Berlino, nel settembre del 1827 come op. 132, sebbene sia
stato scritto subito dopo l’op. 127 e preceda i Quartetti op. 130 e op. 131.
Le ultime opere di Beethoven sono talmente scevre di schemi precostituiti, da
sembrare a stento degli esemplari di un genere. L’assoluta libertà di pensiero conferisce loro il marchio di una personalità irripetibile e forse il confronto aiuta a
capire la natura di ciascuna di esse più che la ricerca di elementi comuni dello stile.
A differenza della granitica forza espressiva del contemporaneo Quartetto in mi
bemolle op. 127, per esempio, il Quartetto in la minore manifesta una fragilità emotiva a tratti sconcertante e riflette le inquietudini di uno spirito terribilmente sofferente. Il primo movimento, “Assai sostenuto”, si apre in maniera misteriosa su un
corale a mezza voce, che in una manciata di battute concentra l’essenza del pensiero musicale. Le quattro note del tema (re# - mi - do - si) sono trattate nelle forme
fondamentali del contrappunto, che costituisce la dimensione principale della scrittura del Quartetto. Beethoven sembra impegnato in primo luogo a ridurre la tensione, man mano che sviluppa la forma sonata. La musica cerca in ogni maniera di
evitare i conflitti, o quanto meno di smussare la dialettica drammatica. Il tempo,
l’armonia, la sonorità costituiscono gli espedienti per ritardare l’attesa di un contrasto troppo impegnativo. Il ritorno nel modo maggiore del secondo tema (teneramente, recita l’indicazione espressiva), preparato con infinita delicatezza, rappresenta forse l’esempio più lampante di questa volontà di pacificazione.
Beethoven mostra di usare la massima cautela per non compromettere l’equilibrio
generale del Quartetto. Per isolare e separare in maniera netta il “modo lidio”
dello Heiliger Dankgesang dalla tonalità di la minore del primo e dell’ultimo movimento, inserisce due movimenti cuscinetto in la maggiore, di carattere leggero. Il
primo, “Allegro ma non tanto”, consiste in una sorta di elegante scherzo, memore
forse del Quartetto in la maggiore KV 464 di Mozart. La levigata perfezione del
contrappunto, espressa già nelle prime battute dall’impeccabile combinazione
delle due principali cellule tematiche, si sposa con la sublime amabilità del rustico
trio centrale. Il secondo cuscinetto, invece, è formato dall’energica marcia che pre-
cede il finale, introdotto con un appassionato recitativo del primo violino. Ma prima
di commentare l’ultima pagina, occorre soffermarsi su uno dei movimenti più visionari e moderni dell’intera opera di Beethoven, lo Heiliger Dankgesang. In margine al manoscritto originale, una mano ignota ha vergato una zoppicante traduzione in italiano della didascalia che precede il movimento, “Canzona di ringraziamento offerta alla divinità da un guarito, in modo lidio”. Il conflitto, evitato accuratamente da Beethoven all’interno dei singoli episodi, perviene in questo colossale movimento (oltre 15’ di musica) all’espressione più radicale. Lo Heiliger
Dankgesang contrappone infatti due dimensioni polari, in forma A B A B A: il
“Molto adagio” della preghiera e l’“Andante” del Neue Kraft fühlend (sentendo
nuova forza). L’arcaismo del modo lidio (i tasti bianchi del pianoforte, per intendersi) contro l’effervescenza mondana del re maggiore, la pulsazione lenta e regolare
della melodia nel tempo binario contro la vivacità di solfeggio del ritmo di 3/8, il
colore scuro di una tessitura racchiusa nell’introspezione contro la luminosa apertura di suono del registro acuto, lo stile severo contro lo stile concertante: ciascuna delle due parti rivendica la più totale autonomia d’espressione. Eppure la loro
estrema divaricazione non produce tensione drammatica, bensì un senso di
profonda pacificazione, convivendo in maniera perfettamente logica all’interno
della stessa forma. Le tre espressioni del “Molto adagio” rappresentano un graduale incremento di luminosità della musica. L’arcana polifonia della preghiera si
sviluppa attorno a un ascetico cantus firmus nello stile di Palestrina, un gruppetto di quattro note (fa - mi - re - mi) che nella notazione tedesca assume – sicuramente per caso, ma ciò nondimeno in maniera significativa – la forma F E D E. A
ogni ripresa il cantus firmus sale all’ottava superiore, mentre al di sotto della sua
sfera il contrappunto tra le voci diventa più complesso. La discesa dalle sublimi
altezze di quest’immensa pagina alle sconvolgenti pulsazioni dell’“Allegro appassionato” finale, sebbene attutita dall’astratta ed enigmatica marcia introdotta nel
mezzo, risulta vertiginosa. Il mondo del primo movimento, dominato dall’inflessione dolorosa del semitono e dall’oscurità del cromatismo, ritorna con estrema forza
espressiva. Il violoncello (lo strumento coltivato dal principe Galitzin) spinge sempre più in alto il tema, che sale fino a sfociare nella sorprendente e frenetica coda
finale in la maggiore. La musica del Quartetto in la minore tocca davvero i confini più estremi dell’animo umano, risultando, per dirla con Romain Rolland, «l’œuvre la plus ardue peut-être et la plus profonde de Beethoven». Il paradiso e l’inferno convivono nell’anima di Beethoven, che fornì al contempo la più sfacciata parodia di se stesso in un piccolo canone a quattro voci composto nel maggio 1825 a
Baden. Doktor sperrt das Tor dem Tod, Note hilft auch aus der Noth (Il medico
sbarra la porta alla morte, la musica pure aiuta nel bisogno) recita il testo sulle
note del modo lidio, con l’amara ironia di chi sentiva il corpo disfarsi poco a poco.
Oreste Bossini
QUARTETTO ALBAN BERG
In più di trent’anni di attività il Quartetto Alban Berg è stato ospite delle più
rinomate sale da concerto e dei maggiori festival in tutto il mondo. Anima inoltre una propria serie di concerti al Konzerthaus di Vienna dove ha debuttato nel
1971 e del quale i quattro musicisti sono “membri onorari”, alla Royal Festival
Hall di Londra in qualità di “Associated Artists”, all’Opera di Zurigo, al Théâtre
des Champs-Élysées di Parigi, alla Philharmonie di Colonia e, dal 1998, alla Alte
Oper di Francoforte.
Il Quartetto si è dedicato con particolare impegno al costante arricchimento del
proprio repertorio che spazia dal periodo classico a quello di avanguardia.
In campo discografico ha meritato oltre 30 riconoscimenti tra i quali il “Grand
Prix du Disque”, il “Deutscher Schallplattenpreis”, il premio “Edison”, il “Japan
Grand Prix”, il “Gramophone Magazin Award” e il “First International Classic
Award”. Tra le loro incisioni ricordiamo le integrali dei Quartetti di Beethoven,
Brahms, Berg, Webern e Bartók, il ciclo completo degli ultimi Quartetti di
Mozart, Schubert, Haydn, Dvořák, Schumann, Ravel, Debussy, Stravinskij, von
Einem, Haubenstock-Ramati e le incisioni dal vivo alla Carnegie Hall di New
York, all’Opéra Comique di Parigi, alla Queen Elizabeth Hall di Londra e al
Konzerthaus di Vienna (registrazione audio e video di tutti i Quartetti di
Beethoven). Ha inoltre registrato dal vivo molte opere di musica contemporanea,
tra cui lavori di Urbanner, Berio, Schnittke e Rihm molti dei quali dedicati al
Quartetto, i Quartetti di Janáček, il Quintetto con pianoforte di Dvořák con
Rudolf Buchbinder, il Quintetto per pianoforte K 414 e il Quartetto in mi bemolle
maggiore di Mozart con Alfred Brendel.
Più recente è l’incisione, sempre dal vivo, di Tango Sensations di Piazzolla e
Adieu Satie del compositore viennese Kurt Schwertsik con Per Arne Glorvigen al
bandoneon.
Nel 2005 è mancato il violista Thomas Kakuska: al suo posto suona ora Isabel
Charisius, sua allieva nei corsi di perfezionamento. Nell’ottobre 2006 hanno eseguito al Konzerthaus di Vienna un concerto in memoria di Kakuska con musicisti amici quali Magdalena Kožena, Thomas Quasthoff, Angelica Kirchschlager,
Sir Simon Rattle e Claudio Abbado.
Il Quartetto è stato ospite della nostra Società nel 1976, 1978, 1982, 1984, 1997,
1999, 2002, 2004 e 2005.
Prossimi concerti:
Martedì 19 febbraio, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Richard Goode pianoforte
Richard Goode rappresenta per molti versi un pianista atipico. La sua carriera di
solista è cominciata piuttosto tardi, rispetto alle consuetudini del mondo dello
spettacolo. Goode ha tenuto infatti il primo recital alla Carnegie Hall di New York
solo all’età di 47 anni, ma ciò non gli ha impedito di diventare il primo pianista
nato negli Stati Uniti a registrare in disco l’integrale delle Sonate di Beethoven.
Cresciuto nel solco della grande scuola di Serkin e del Curtis Institute, Goode si
è affermato a livello internazionale soprattutto come interprete del repertorio
classico viennese, Mozart e Beethoven in primo luogo, coltivando in maniera
particolare la musica da camera. Il concerto al Quartetto consente invece di
conoscere altri aspetti del suo vasto repertorio e di apprezzarne il tocco e la
musicalità raffinata, alle prese con un mondo poetico originale e lontano da
quello dei musicisti viennesi qual era quello di Chopin.
Programma (Discografia minima)
J.S. Bach
Clavicembalo ben temperato, Libri I e II
(Rosalyn Tureck, DGG 463305)
W.A. Mozart
Rondò in la minore KV 511
(Richard Goode, NON 755979831)
F. Chopin
Mazurkas
(Rubinstein, ARK 785904, 2cd)
Notturni
(Rubinstein, RCA 89563)
Polonaises
(Rubinstein, RCA 89814)
C. Debussy
Études
(G. Ohlsson, ARA 6601)
martedì 26 febbraio 2008, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Janine Jansen violino
Maxim Rysanov viola
Torleif Thedéen violoncello
Bach, Schnittke
Società del Quartetto di Milano
via Durini 24 - 20122 Milano
tel. 02.795.393 – fax 02.7601.4281
www.quartettomilano.it
e-mail: [email protected]
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