UNIVERSITA' POPOLARE MARIANA 2006/2007 Corso sul Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa Anno primo Lezione 2 Sabato 24 febbraio 2007 RAUL SILVA Il disegno di Dio sull’umanità: Persona e Società testo preparato La dottrina sociale della Chiesa In un recente discorso, alla Conferenza Internazionale su Università e Dottrina Sociale della Chiesa, il cardinal Renato Raffaele Martino faceva una dichiarazione ricca di contenuto e di prospettiva. Così si esprimeva: «La dottrina sociale della Chiesa (…) nasce dal progetto di amore di Dio per l’umanità1 e trasfonde la luce e il calore del Vangelo nelle relazioni sociali tra gli uomini, invitandoli a costruire, con intelligenza, forme di carità strutturata. (…) La carità chiede di essere intelligentemente organizzata e l’intelligenza domanda di essere animata e indirizzata dalla carità alla realizzazione del bene per l’uomo concreto» (n. 3). Tale dichiarazione ha alle spalle, come è ovvio, il grosso lavoro di elaborazione del Compendio, avviato a suo tempo, come è noto, dal cardinal vietnamita François-Xavier Nguyen Van Thuân. Riferendosi alla Dottrina Sociale della Chiesa, Giovanni Paolo II parla addirittura di «nuova evangelizzazione del sociale». E spiega: «La dottrina sociale della Chiesa interpella soprattutto voi, cristiani laici, a vivere nella società come una “testimonianza a Cristo Salvatore”2 e vi apre agli orizzonti della carità. Questa, infatti, è l’ora della carità, anche della carità sociale e politica, capace di animare, con la grazia del Vangelo, le realtà umane del lavoro, dell' economia, della politica, disegnando le strade della pace, della giustizia e dell'amicizia tra i popoli. Questa è l'ora di una rinnovata stagione di santità sociale, di santi che manifestino al mondo e nel mondo la perenne ed inesauribile fecondità del Vangelo»3. Con l’enciclica Deus caritas est poi, Benedetto XVI sembra far eco a queste parole, proponendo in modo ampio la riflessione sull’amore di Dio e del prossimo. Con questa enciclica programmatica, il Papa insiste «su alcuni elementi fondamentali, così 1 PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, Parte prima, capitolo II: “Il disegno di amore di Dio per l’umanità”. 2 GIOVANNI PAOLO II, Centesimus annus, n. 5. 3 GIOVANNI PAOLO II, Discorso del 29 ottobre 2004, n. 3. da suscitare nel mondo un rinnovato dinamismo di impegno nella risposta umana all'amore divino» (n. 1). Dunque, «dal progetto di amore di Dio per l’umanità», alle «forme di carità strutturata»4: ecco l’iter della Chiesa in ambito sociale, la sorgente della stessa dottrina sociale della Chiesa, la quale è «un sapere, che si fonda sulla sapienza della fede nella verità rivelata, che assume al proprio interno la filosofia e la teologia e, pur se in una diversa collocazione, le scienze sociali ed umane» (n. 1). La dottrina sociale della Chiesa «è ad un tempo un sapere ed anche un insieme di saperi» (n. 3). Viene riferita in questo modo la dimensione interdisciplinare della dottrina sociale.5 La «dimensione teologica» della dottrina sociale della Chiesa Partiamo, dunque, dalla «dimensione teologica», la quale, come afferma Giovanni Paolo II, «risulta necessaria sia per interpretare che per risolvere gli attuali problemi della convivenza umana»6. Sia, infatti, che si parli dell’uomo, sia che si parli della società, la Chiesa lo fa nell’orizzonte della dimensione teologica, che scaturisce dalla fede stessa. La fede poi illumina e fa in modo che il programma cristiano sia quello – secondo una espressione di Benedetto XVI - di «un cuore che vede»7. E cosa vede? «Questo cuore vede dove c'è bisogno di amore e agisce in modo conseguente» (ib.). Lo stesso Benedetto XVI, ci dice ancora che: «La fede ha la sua specifica natura di incontro con il Dio vivente — un incontro che ci apre nuovi orizzonti molto al di là dell'ambito proprio della ragione. Ma al contempo essa è una forza purificatrice per la ragione stessa. Partendo dalla prospettiva di Dio, la libera dai suoi accecamenti e perciò l'aiuta ad essere meglio se stessa. La fede permette alla ragione di svolgere in modo migliore il suo compito e di vedere meglio ciò che le è proprio. È qui che si colloca la dottrina sociale cattolica»8. Cioè, questa «forza purificatrice» si manifesta nell’elaborazione di giudizi morali nei diversi ambiti della vita, ovvero in quello politico, sociale, culturale ed economico. Per Benedetto XVI, «il compito della Chiesa è mediato, in quanto le spetta di contribuire alla purificazione della ragione e al risveglio delle forze morali, senza le quali non vengono costruite strutture giuste, né queste possono essere operative a lungo»9. 4 Si possono considerare, tra queste «forme di carità strutturata», le molteplici «strutture di servizio caritativo», espressione dell’«attività caritativa della Chiesa» (cf. BENEDETTO XVI, Deus caritas est, n. 30). Il discorso del cardinal Renato Martino si riferisce soprattutto alla presenza dei fedeli laici nel mondo, suo specifico campo di azione. 5 Cf. Lettera che il cardinal Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, ha inviato al cardinal Renato R. Martino, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, a conclusione della Conferenza Internazionale su Università e Dottrina Sociale della Chiesa, (Roma, 17-18 novembre), promossa dallo stesso Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace in collaborazione con la Congregazione per l’Educazione Cattolica. 6 GIOVANNI PAOLO II, Centesimus Annus, n. 55. 7 Cf. BENEDETTO XVI, Deus caritas est, n. 31. 8 Idem, n. 28. 9 Idem, n. 29 2 Giovanni Paolo II aveva affermato infatti che «la dottrina sociale della Chiesa illumina con la luce della Rivelazione i valori fondanti di una convivenza umana ordinata e solidale, riscattandoli da oscuramenti e ambiguità»10. Ed ha aggiunto ancora: «I cristiani laici, aperti all'azione della grazia di Dio, sono lo strumento vivo perché quei valori possano giungere a permeare efficacemente la storia». È questa la dimensione che vogliamo oggi prendere in considerazione. E lo faremmo, dedicandoci ai “presupposti fondamentali della dottrina sociale” della Chiesa contenuti nella prima parte del Compendio, ovvero: “il disegno di amore di Dio per l’uomo e la società” (nn. 20-59).11 Cercheremo di aver presente un tema essenziale per la comprensione della dottrina sociale, ovvero “La Persona e il Personalismo” quale orizzonte del Compendio. I. IL DISEGNO DI AMORE DI DIO PER L'UMANITÀ 1.1 L’AGIRE LIBERANTE DI DIO NELLA STORIA DI ISRAELE a) La prossimità gratuita di Dio Il ruolo delle religioni – Il mistero di Dio Inoltrandoci ora nel testo del Compendio (CDSC) non possiamo non notare il riferimento immediato ad «ogni autentica esperienza religiosa, in tutte le tradizioni culturali» (n. 20). Un tale riferimento ci può essere spiegato dalla vita della Chiesa e dalla convinzione espressa da Giovanni Paolo II nell’enciclica Centesimus annus, del 1991: «Il mondo odierno è sempre più consapevole che la soluzione dei gravi problemi nazionali e internazionali non è soltanto questione di produzione economica o di organizzazione giuridica o sociale, ma richiede precisi valori etico-religiosi, nonché cambiamento di mentalità, di comportamento e di strutture. (…) Sono persuaso, infatti, che le religioni oggi e domani avranno un ruolo preminente per la conservazione della pace e per la costruzione di una società degna dell'uomo».12 10 GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Fondazione vaticana Cetesimus Annus-Pro Pontefice (4 dicembre 2004), n. 5. 11 Di questi “presupposti fondamentali della dottrina sociale”, la lezione n. 4 ci presenterà “la missione della Chiesa e la natura della dottrina sociale”, alla luce del carisma dell’unità e la lezione n. 5 tratterà “i principi e i valori della dottrina sociale”, presentati con il “di più” che il carisma offre. 12 GIOVANNI PAOLO II, Centesimus annus, n. 60. Negli ultimi decenni, come tutti sappiamo, con l’approfondimento del tema “la volontà salvifica universale” e dunque la rivelazione – naturale e soprannaturale o biblica -, vi è stato da parte della Chiesa il riconoscimento dell’autenticità dell’esperienza religiosa e la conseguente apertura al pluralismo religioso e al dialogo interreligioso quale «strada obbligata» (cf. GIOVANNI PAOLO II, Roma, 13 novembre 1992). Significativa, a questo riguardo, tutta la serie di documenti del magistero, almeno dal 1963 ad oggi, e le iniziative di dialogo, 3 Nel contesto del pluralismo religioso in cui viviamo, ci accomuna l’esperienza del Mistero di Dio il quale viene scoperto e si presenta come «origine di ciò che è» e «misura di ciò che deve essere». Sull’esperienza del mistero di Dio, nel suo intervento ad un seminario indùcristiano realizzato recentemente a Mumbai, in India, dopo aver spiegato la radice etimologica di «mistero» (ovvero che «la parola “mistero” proviene dal mondo greco e si riferisce alle religioni e ai culti misterici, che la sua radice myo, è un verbo che significa chiudere gli occhi, a significare che l’iniziazione ai riti è qualcosa di segreto»13), Fabio Ciardi14 spiega ancora che «il mistero per noi cristiani è il progetto che Dio ha sull’umanità: Lui vuole entrare in comunione con essa, renderla partecipe della sua vita di amore, che è comunione d’amore»15. In questo senso, «il cristianesimo è l’aprirsi del mistero di Dio nella storia, Dio che entra nella storia per portare la storia in Dio»16. L’esperienza cristiana porta, dunque, a maturazione e a compimento l’universale esperienza del mistero e ci fa scoprire, anche a noi cristiani, il modo per essere insieme, stimolando i membri delle altre religioni a «offrire il loro contributo a quel nuovo umanesimo di cui il mondo contemporaneo ha tanto bisogno»17, assumendo progetti comuni o semplicemente costituendo con tutti «porzioni di fraternità universale», come auspicato da Chiara Lubich all’incontro di Assisi del 200218. Dono e gratuità In questa esperienza del mistero, «si rivelano importanti sia la dimensione del dono e della gratuità, che si coglie come sottesa all'esperienza che la persona umana fa del suo esistere insieme agli altri nel mondo, sia le ripercussioni di questa dimensione sulla coscienza dell'uomo, che avverte di essere interpellato a gestire in forma responsabile e conviviale il dono ricevuto»19, cioè nel dono e nella gratuità che trovano una loro espressione concreta nella, così chiamata, regola d’oro. Gratuità è «il carattere di ciò che scaturisce in modo incondizionato e libero da un'iniziativa sovrabbondante». Dice ancora Giovanni Paolo II: «Nella vita dell’uomo e nella storia dei popoli la coscienza della gratuità è brillata di luce intermittente come stupore davanti alla natura e davanti alla nascita, come interrogativo penoso di fronte sapientemente e profeticamente promosse da Giovanni Paolo II a favore della pace, e che lo stesso Papa ha denominato «spirito di Assisi» (Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera a S. Em. il cardinale Walter Kasper in occasione del XVIII incontro dal titolo “Religioni e culture: il coraggio di un nuovo umanesimo”, 3 settembre 2004). 13 Idem, p. 119. 14 Cf. FABIO CIARDI, Mistero e mistici nel cristianesimo, in Nuova Umanità XXIX (2007/1) 169, pp. 119130. 15 Idem, p. 119. 16 Idem, pp. 121-122. 17 GIOVANNI PAOLO II, op. cit., n. 2. 18 Cf. CHIARA LUBICH, Intervento all’incontro di Assisi, il 24 gennaio 2002, in www.vatican.va. 19 Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 20. 4 alla morte, come esperienza costruttiva e talvolta, purtroppo, anche distruttiva nel delicato campo affettivo».20 Benedetto XVI constata però un interessante effetto dell’esperienza del dono e della gratuità, cioè l’esistenza di innumerevoli iniziative che hanno alla radice proprio la logica del dono gratuito, diremmo noi, della cultura del dare, nell’universalità delle sue applicazioni concrete: «L'aumento di organizzazioni diversificate, che si impegnano per l'uomo nelle sue svariate necessità, si spiega in fondo col fatto che l'imperativo dell'amore del prossimo è iscritto dal Creatore nella stessa natura dell'uomo».21 E’ dentro ognuno di noi questa spinta a un amore che è un dono: un dono gratuito. La regola d’oro Nella Prefazione al volume La regola d’oro come etica universale22 si legge: «La regola d’oro, quale che sia la sua formulazione linguistica nelle varie tradizioni sapienziali, appare subito come una intuizione fulminante e, nel contempo, come un comando altamente persuasivo. Si ha l’impressione d’avere a che fare con un principio etico universale, non solo perché di fatto essa è presente in tutte o quasi tutte le antiche tradizioni umane di saggezza, ma anche perché pare difficile contestare la verità spirituale che veicola. Tutto fa pensare che ci si trovi dinanzi ad uno di quei luoghi elementari dello spirito che solitamente chiamiamo, appunto, principi, per significare che da quel punto di luce prende orientazione tanto il logo quanto il desiderio umano. Certo, si può sempre resistere a questi punti di luce, ma lo fa di solito una minoranza. Ma stragrande parte della comunità riconosce, in modo più o meno solenne, a questi punti di luce una autorità senza appello». Ecco come è stata formulata, prima di Gesù, la regola d’oro23: per Zoroastro (628-551 a.C.), «Quello che è bene per tutti e per ciascuno, per chiunque, quello è bene per me (…). Quello che io ritengo sia buono di per sé, io lo devo per tutti. Solo la Legge Universale è vera Legge» (Gathas, 43.1); per il Mahabharata (III secolo a.C.): «Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te; e desidera per gli altri quello che desideri e aspetti per te stesso (…). Bada bene, questo è il tutto del Dharma» (Mahabharata, Anusasana Parva, 113.8); per l’autore del libro deuterocanonico di Tobia (200 a.C.): «Non fare a nessuno ciò che non piace a te» (Tb 4,15); per l’Hillel (I. sec. a.C.): «Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te» (Btalmud, Shabbath 31°). 20 GIOVANNI PAOLO II, Messaggio al Vescovo di Rimini Monsignor Giovanni Locatelli in occasione della prossima VIII edizione del Meeting per l’amicizia tra i popoli, 6 agosto 1987. 21 BENEDETTO XVI, Deus caritas est, n. 31. Alla domanda: «Quali sono, ora, gli elementi costitutivi che formano l'essenza della carità cristiana ed ecclesiale?», il Papa risponde tracciando il «profilo dell’attività caritativa della Chiesa», in tre punti: 1) Risposta alla necessità immediata, con competenza professionale e umanità, cioè, con l’attenzione del cuore; 2) Un «cuore che vede», nell’indipendenza da partiti ed ideologie; 3) Amore gratuito, testimonianza credibile di Cristo. Benedetto XVI prosegue poi, indicando i capisaldi della spiritualità che anima i «collaboratori» nell’attività caritativa della Chiesa. 22 AA. VV., La regola d’oro come etica universale, Vita e Pensiero, Milano 2005, p. VII. Di quest’opera si può trovare una interessante recensione in T. TATRANSKÝ, Sul volume La regola d’oro come etica universale, in Nuova Umanità XXVIII (2006/5) 167, pp. 643-659. 23 Apud AA. VV., La regola d’oro come etica universale, Vita e Pensiero, Milano 2005, p VII, nota 1. 5 Giovanni Paolo II, sensibile a tutto quanto unisce gli uomini e altrettanto capace di metterlo in rilievo e di arricchirlo col contributo specifico della fede cristiana, così si esprime in un suo famoso discorso ad un gruppo di rappresentanti delle religioni non cristiane: «È compito della maggior parte delle religioni insegnare il rispetto per la coscienza, l’amore per il prossimo, la giustizia, il perdono, l’autocontrollo, la libertà dalle creature, la preghiera e la meditazione. Gesù Cristo, che noi cristiani crediamo e proclamiamo essere nostro Signore Salvatore, ricorda a noi la regola d’oro: “Ciò che volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Lc 6, 31). I vostri cari religiosi, credo possono avere un ordine simile che incontra un imperativo di ogni coscienza umana. L’osservanza di questa regola d’oro è un eccellente fondamento per la pace. La pace ha bisogno di essere costruita sulla giustizia, la verità, la libertà e l’amore. Le religioni hanno la necessaria funzione di aiuto per disporre i cuori umani così che la vera pace possa essere favorita e preservata»24. Nella acuta recensione al volume La regola d’oro come etica universale, Tomáš Tatranský , oltre ad osservare l’esistenza di continuità tra il Primo e il Nuovo Testamento e, poi ancora, tra il mondo della Bibbia e la cultura greca, spiega ancora che «Gesù poteva contare sul riconoscimento – da parte dei suoi contemporanei ebrei – di una certa equivalenza tra il compimento della Legge, l’amore del prossimo e la regola d’oro. Tuttavia, Gesù porta anche degli elementi nuovi: innanzitutto, egli ripropone la regola d’oro nella versione positiva, per esplicitare, poi, il suo legame sia con “la Legge ed i Profeti” (Mt 7,12) che con l’amore verso i nemici (Lc 6,31ss). In più, potremmo aggiungere che un’altra caratteristica fondamentale del messaggio di Gesù (…) è la consonanza tra la riformulazione positiva della regola d’oro e la reciprocità insita nel comandamento nuovo di Gesù (Gv 13,34 e 15,12.17)» 25. Dopo aver ripassato la regola d’oro nella tradizione ebraico-cristiana e nelle altre culture e nella cultura europea (da Pascal a Marion e altri), Tomáš Tatranský così conclude la sua recensione: «L’amore di Dio (genitivo oggettivo e soggettivo) fa così riinnescare l’ethos della regola d’oro anche in situazioni dove una logica meramente orizzontale potrebbe condurci ad un tentennamento»26. Dono e gratuità: ecco il binomio che perpassa tutta la trattazione di questo primo capitolo su “Il disegno di amore di Dio per l’umanità”, disegno appunto di amore, che si va via via rivelando all’uomo stesso, prima, nell’agire liberante di Dio nella storia di Israele e, poi, in Gesù Cristo, compimento del disegno di amore del Padre. Alla luce di tale rivelazione è possibile comprendere sia la persona umana che la missione della Chiesa. Prossimità gratuita di Dio nella storia di Israele All’uomo che lo cerca, Dio si rivela progressivamente, nella gratuità di un amore che è simultaneamente liberazione dalla schiavitù dell’Egitto e promessa (cf. Es 3,7-8). Dio entra nella storia e costituisce il Suo popolo, il popolo di Dio, mediante il dono della libertà e della terra. 24 GIOVANNI PAOLO II, Discorso ad un gruppo di rappresentanti delle religioni non cristiana (29 ottobre 1986). 25 T. TATRANSKÝ, op. cit., pp. 646. 26 Idem, p. 659. 6 Esodo. «Nei racconti degli eventi che precedettero l’uscita di Israele dall’Egitto, così come delle modalità dell’esodo – afferma Joseph Ratzinger -, emergono due diverse finalità di questo evento straordinario. Una, nota a tutti, è il raggiungimento della Terra Promessa, in cui Israele deve vivere finalmente libero e indipendente su una terra propria, tra confini sicuri. Accanto a essa compare però ripetutamente un’altra finalità. L’ordine che originariamente Dio dà al faraone è il seguente: “Manda via il mio popolo, perché mi serva nel deserto” (Es 7,16). (…) Israele non parte per essere un popolo come tutti gli altri; parte per servire Dio. (…) La terra viene data perché sia un luogo di culto del vero Dio».27 Alleanza e Decalogo. Con l’Alleanza che Dio ha stabilito con Mosè (cf. Es 24) «sul Sinai il popolo non riceve solo delle disposizioni cultuali, ma un ordinamento giuridico e una regola di vita completi. Solo in questo modo esso si costituisce come popolo. (…) Nell’ordinamento dell’alleanza al Sinai (…) i tre aspetti del culto, del diritto e dell’ethos sono indissolubilmente intrecciati tra loro. (…) Quel che è accaduto sul Sinai, (…) è costitutivo per il senso che avrà l’insediamento nella Terra Promessa. Il Sinai non è una stazione intermedia, una pausa nella marcia verso ciò che interessa davvero, ma offre per così dire quella terra interiore, senza la quale l’esteriore resta inabitabile. Solo perché Israele è costituito come popolo grazie all’alleanza e alla legge di Dio che essa contiene, solo perché ha ricevuto la forma comunitaria della vita retta, la terra può divenire per lui davvero un dono. Il Sinai resta presente nella terra: nella misura in cui la sua realtà va persa, anche la terra viene interiormente persa, fino alla condanna all’esilio. Tutte le volte che Israele viene meno al giusto culto di Dio, volgendosi agli idoli – ai poteri e ai valori mondani -, viene meno anche la sua libertà. (…) Diventa così evidente qual è il fondamento del permanere nella Terra, la condizione per poter vivere in comunità e in libertà: lo stare nella legge di Dio, che ordina le cose umane secondo giustizia, plasmandole a partire da Dio e per Dio».28 L’esistenza morale è, dunque, la risposta dell’uomo all’amore gratuito di Dio. Legge morale naturale. Il Decalogo è anche espressione privilegiata della legge naturale. Dio ha dato all’uomo «la capacità di arrivare con la luce della sua ragione alla conoscenza di verità fondamentali sulla sua vita e il suo destino, e in concreto sulle norme del suo retto agire»29. «Questa legge ha come suo primo e generalissimo principio quello di “fare il bene ed evitare il male”. (…) E’ la sorgente da cui scaturiscono, insieme a diritti fondamentali, anche imperativi etici che è doveroso onorare»30. La legge morale naturale possiede un valore inalienabile per un reale e coerente progresso della vita personale e dell’ordine sociale: insegna la vera umanità dell’uomo; mette in luce i doveri essenziali e i diritti fondamentali; connota la morale umana universale; costituisce la regola primordiale di ogni vita sociale.31 Diritto del povero. Dal Decalogo deriva, dunque, un impegno di fedeltà a Dio, ma anche le relazioni sociali all’interno del popolo dell’Alleanza. Queste ultime sono 27 Cf. JOSEPH RATZINGER, Introduzione allo spirito della liturgia, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano), 2001, pp. 11-13. 28 Idem, pp. 13-16. 29 GIOVANNI PAOLO II, Udienza ai membri della Commissione Teologica Internazionale (7 ottobre 2004). 30 BENEDETTO XVI, Udienza ai partecipanti al Congresso internazionale sul diritto naturale promosso dalla Pontificia Università Lateranense (12 febbraio 2007). 31 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Veritatis splendor, n. 97. 7 regolate da quello che è conosciuto come diritto del povero: «Se vi sarà in mezzo a te qualche tuo fratello che sia bisognoso (…) non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso; anzi gli aprirai la mano e gli presterai quanto occorre alla necessità in cui si trova» (Dt 15,7-8). Questo stesso principio è applicabile anche allo straniero (cf. Lv 19,33-34). Anno sabbatico – Anno giubilare. Questa legge «prescrive, oltre al riposo dei campi, il condono dei debiti e una liberazione generale delle persone e dei beni: ognuno può tornare alla sua famiglia d’origine e rientrare in possesso del suo patrimonio» (CDSC, n. 24). Si garantisce in questo modo la fedeltà al disegno di Dio. b) Principio della creazione e agire gratuito di Dio Col racconto biblico della creazione, il popolo di Dio che aveva già sperimentato la potenza salvifica di Dio, attraverso la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto e, dunque il dono della libertà e della terra, esprime, in un linguaggio sapienziale, ispirato appunto, quanto gli è stato rivelato, ovvero che Dio è il Creatore di tutte le cose, l’origine di tutto ciò che esiste. Per Israele, nella rivelazione biblica questo è un momento senza precedenti, il momento in cui Israele penetra per davvero il Mistero del Dio unico, «origine di ciò che è» e «misura di ciò che deve essere». «Nel Credo d'Israele, affermare che Dio è Creatore non significa esprimere solo una convinzione teoretica, ma anche cogliere l'orizzonte originario dell'agire gratuito e misericordioso del Signore a favore dell'uomo. Egli, infatti, liberamente dà l'essere e la vita a tutto ciò che esiste. L'uomo e la donna, creati a Sua immagine e somiglianza (cfr. Gen 1,26-27), sono per ciò stesso chiamati ad essere il segno visibile e lo strumento efficace della gratuità divina nel giardino in cui Dio li ha posti come coltivatori e custodi dei beni del creato» (CDSC, n. 26). La fede nella creazione ci mette in un rapporto del tutto particolare con Dio Creatore, col mondo creato e con l’uomo32. E’ proprio questo rapporto che viene ferito dall’esperienza del peccato (cf. Gen 3,1-24). «Disobbedire a Dio significa sottrarsi al Suo sguardo d'amore e voler gestire in proprio l'esistere e l'agire nel mondo. La rottura della relazione di comunione con Dio provoca la rottura dell'unità interiore della persona umana, della relazione di comunione tra l'uomo e la donna e della relazione armoniosa tra gli uomini e le altre creature.33 In 32 Cf. JOSEPH RATZINGER, In principio Dio creò il cielo e la terra. Riflessioni sulla creazione e il peccato, Lindau, Torino 2006. 33 Cfr. Gaudium et spes, 13: “Costituito da Dio in uno stato di giustizia, l'uomo però, tentato dal Maligno, fin dagli inizi della storia abusò della libertà, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori di lui. Pur avendo conosciuto Dio, gli uomini « non gli hanno reso l'onore dovuto... ma si è ottenebrato il loro cuore insipiente »... e preferirono servire la creatura piuttosto che il Creatore. Quel che ci viene manifestato dalla rivelazione divina concorda con la stessa esperienza. Infatti l'uomo, se guarda dentro al suo cuore, si scopre inclinato anche al male e immerso in tante miserie, che non possono certo derivare dal Creatore, che è buono. Spesso, rifiutando di riconoscere Dio quale suo principio, l'uomo ha infranto il debito ordine in rapporto al suo fine ultimo, e al tempo stesso tutta l'armonia, sia in rapporto a se stesso, sia in rapporto agli altri uomini e a tutta la creazione. Così l'uomo si trova diviso in se stesso. Per questo tutta la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre. Anzi l'uomo si trova incapace di superare efficacemente da sé medesimo gli assalti del male, così che ognuno si sente come incatenato. Ma il Signore stesso è venuto a 8 questa rottura originaria va ricercata la radice più profonda di tutti i mali che insidiano le relazioni sociali tra le persone umane, di tutte le situazioni che nella vita economica e politica attentano alla dignità della persona, alla giustizia e alla solidarietà» (CDSC, n. 27). 1.2 GESÙ CRISTO COMPIMENTO DEL DISEGNO DI AMORE DEL PADRE In Gesù, Verbo di Dio fatto carne, si compie l'evento decisivo della storia di Dio con gli uomini (CDSC, nn. 28-29). Per amore, Dio si è reso così vicino a noi da diventare uno di noi. Con la coscienza di essere il Figlio, Gesù agisce in continuità con la gratuità e la misericordia del Padre: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore » (Lc 4,18-19; cfr. Is 61,1-2). L’anno di grazia è l’anno giubilare, l’anno in cui tutto viene restituito, in cui tutto viene rimesso, secondo il disegno di Dio. «I Suoi discepoli (…) sono chiamati a vivere come Lui e, dopo la Sua Pasqua di morte e risurrezione, a vivere in Lui e di Lui, grazie al dono sovrabbondante dello Spirito Santo, il Consolatore che interiorizza nei cuori lo stile di vita di Cristo stesso» (CDSC, n. 29). Nella Pasqua di Gesù avviene anche la rivelazione piena dell'Amore trinitario di Dio (CDSC, nn. 30-33). In un suo testo che anticipa di poco l’enciclica Deus Caritas est, perché mette l'accento sull'agape, l'amore di Dio che si rende visibile nella persona di Gesù, Piero Coda constata l’unicità assoluta della persona umana, la quale si trova a vivere in società. Per comprendere quale umanesimo si prospetta oggi, è necessario fare attenzione ai segni dei tempi. Anche noi siamo sensibili ai segni dei tempi, perché sono appunto i segni che ci indicano anche la volontà di Dio nella storia. Quando Chiara, ad esempio, individua in una zona la stradetta, diciamo che c'è una intuizione ma a contatto con dei segni colti nella realtà concreta. E' questo il metodo della Chiesa e, appunto, nel concilio Vaticano II si parla dei segni dei tempi. Dice, a proposito, Piero Coda: "Per chi vive l'esperienza della fede, la lettura dei segni dei tempi è un imperativo esigente: si tratta di scrutare alla luce del Vangelo di Cristo, ciò che accade nella storia, nella certezza che non è estraneo a Dio ma è il teatro in cui si dispiega il suo progetto d'amore sull'uomo. Egli, nel suo Figlio fatto carne, ha piantato la tenda in mezzo a noi e nel suo Spirito «riempie l'universo» - nel cuore della liberare l'uomo e a dargli forza, rinnovandolo nell'intimo e scacciando fuori « il principe di questo mondo » (Gv 12,31), che lo teneva schiavo del peccato. Il peccato è, del resto, una diminuzione per l'uomo stesso, in quanto gli impedisce di conseguire la propria pienezza. Nella luce di questa Rivelazione trovano insieme la loro ragione ultima sia la sublime vocazione, sia la profonda miseria, di cui gli uomini fanno l'esperienza.” 9 storia c'è il Figlio di Dio34 -, e abita nel cuore degli uomini che cercano le vie della verità e della giustizia”.35 E appunto il Concilio Vaticano ha “avvertito l'esigenza di rivolgersi all'uomo guardando ai grandi, impegnativi appuntamenti che la storia segna nel suo cammino”36. In questo scorgere i segni dei tempi si arriva proprio a cogliere quanto l'uomo è messo al primo posto, la figura umana viene messa in evidenza: “La Chiesa è invitata a prendere coscienza che – come dirà Giovanni Paolo II - l'uomo è la sua via e il Vangelo di Cristo offre alla storia una visione e una esperienza specifica e determinata di ciò che l'uomo è chiamato ad essere”37. Infatti questo segno è il segno di Dio stesso perché Dio si è fatto uomo. Si riparte dall'Incarnazione, dall'importanza dell'Incarnazione: “Se per guardare alla storia occorre guardare all'uomo, per guardare all'uomo occorre guardare a Cristo”38. Diciamo, non si può capire l'uomo, la persona umana se non lo si guarda, se non lo si capisce da Cristo, guardando la Persona di Gesù. Questa è l'indicazione che ci dà il Concilio: "In realtà, solamente nel mistero del Verbo incarnato si chiarifica veramente il mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm 5,14), e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovissimo Adamo, nella rivelazione stessa del mistero del Padre e del suo amore, manifesta pienamente l'uomo all'uomo stesso e a lui fa nota la sua altissima vocazione"39. Fino adesso abbiamo sottolineato soprattutto la necessità della salvezza, perché abbiamo peccato. Il passo che viene fatto e che la teologia lungo i secoli ha avvertito, è proprio di vedere che anche Dio ha necessità dell'uomo - di una necessità d’amore -, per cui Dio stesso si è fatto uomo. Compreso in questo modo, il rapporto tra la cristologia e l’antropologia si presenta in una nuova luce: è in Cristo e in vista di Lui che l'uomo è stato creato ed è salvato. Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui, e dunque anche l'uomo, ma in vista di Lui. Cosa significa dunque la salvezza per noi? Essere riscattati dal peccato ma anche essere divinizzati, essere giustificati, entrare a far parte di Dio, essere figli nel Figlio: con l’incarnazione del Figlio di Dio viene aperta definitivamente la porta del cielo, affinché anche noi entriamo in Dio. Con questo entrare in Dio avviene appunto l'entrata nell'esperienza di Dio, nella vita di Dio stesso. E Dio è Amore. Chi è nell'amore, chi ama, è in Dio, dice san Giovanni (cf. 1Gv 4,7-21). Il disegno di Dio su di noi è proprio questo, sta in questa partecipazione collettiva alla vita di Dio, la vita trinitaria. "L'agape trinitaria dischiude un orizzonte di vita e di pensiero in cui siamo introdotti da Gesù Cristo, e che lo Spirito continuamente rende presente e rinnova"40. Ci 34 Cf. HANS URS VON BALTHASAR, Il cuore del mondo, Jaca Book, Milano 2006. PIERO CODA, Gesù Cristo, rivelazione dell’agape trinitaria, in AA. VV., Mistero di Cristo mistero dell’uomo, Paoline, Milano 2005, pp. 47-48. 36 Idem, p. 48. 37 Idem, p. 48. 38 Idem, p. 48. 39 Gaudium et Spes n. 22. 40 PIERO CODA, op. cit., p. 52. 35 10 introduciamo qui in un tema centrale della fede cristiana, quello di Cristo mediatore 41, il quale spiega quanto stiamo trattando. Per santo Ireneo di Lione, infatti, “la gloria di Dio è l'uomo vivente e la vita dell'uomo è la visione di Dio”42. Questo essere in Dio è essere nel nostro disegno; ma è un essere in Dio che è appunto un esserlo collettivamente. Dio non ci vuole, non ci ha creati per essere da soli, ma per entrare insieme in questo rapporto con Sè. “E' tutta qui l'antropologia cristiana che splende sul volto di Gesù Cristo crocifisso e risorto: Dio agápe che in Cristo contempla la bellezza trasfigurata del suo capolavoro, l'uomo. E l'uomo che vive contemplando e accogliendo in Cristo l'agápe del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” 43. II. LA PERSONA E IL PERSONALISMO QUALE ORIZZONTE DEL COMPENDIO DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA Leggendo i segni dei tempi, ci sembra doveroso riferire qui, seppur in modo breve, lo sviluppo del concetto di persona e il personalismo.44 Si tratta di qualche nozione soltanto, di qualche tratto panoramico da avere presente quando si studia il Compendio. Perché la Chiesa è per l'umanità, la Dottrina sociale della Chiesa fa parte della sua stessa missione. In questo senso è molto bella la storia anche dell'Opera di Maria poiché alla nascita del carisma dell’unità corrisponde un immediato rapporto con i poveri spinto certamente dalla circostanza della guerra ma illuminato dalla scoperta dell’unità e, dunque, dalla figliolanza divina e della fraternità universale.45 Quando è nata poi l'Economia di comunione, è stato proprio un giubilo – una “bomba” si disse perché questo nostro carisma, ad un tempo radicalmente divino e umano, andava a toccare le piaghe anche sociali. Origine del concetto di persona Persona è un concetto della filosofia, più precisamente dell'antropologia filosofica; indica l'essere umano, del quale sottolinea l’autonomia, la dignità e la libertà. Da dove nasce questa parola? L'origine etimologica di persona è da ricercare nel termine latino personare, ovvero "risuonare". Il termine persona indicava la maschera teatrale utilizzata dagli attori sia per caratterizzarsi che per amplificare la propria voce. Se da una parte ad ogni maschera corrispondeva una voce diversa e, dunque, le voci non 41 Cf. HUBERTUS BLAUMEISER, Gesù Mediatore/1. Un Mediatore che è nulla. Prospettive teologiche alla luce di alcuni scritti di Chiara, in Nuova Umanità, XX (1998/3-4) 117-118, pp. 385-407. 42 Adv. Haer., IV,20,7. 43 PIERO CODA, op. cit., p. 63. 44 Cf. SABINO PALUMBIERI, L’uomo, questo paradosso. Antropologia filosofica II. Trattato sulla concentrazione e condizione antropologica, Urbaniana, Roma 2000. L’autore ripercorre in modo ampio e approfondito i concetti che ci proponiamo trattare in questa seconda parte della lezione. 45 Cf. CHIARA LUBICH, L’unità e Gesù abbandonato, Città Nuova, Roma 1998, pp. 25-47. 11 si confondevano tra loro, dall’altra in questo modo si consentiva un maggiore ascolto negli spazi aperti nei quali recitavano. Lo sviluppo patristico di persona Ben presto il termine persona viene assunto dal cristianesimo stesso. Il concetto di persona non è presente nel Nuovo Testamento, ma è frutto del lento confluire di una duplice fonte: l’elaborazione propriamente cristiana, fin dai primi secoli, e le categorie semitiche. Per persona si deve intendere ciò per cui l’uomo esiste a sé, sussiste. Coniata per affrontare problematiche teologiche, la nozione di persona si collocava sullo sfondo generale della Alleanza, dell’uomo chiamato ad essere il partner di Dio. Tuttavia nel complesso rapporto con il mondo greco, la nozione di persona slitterà a poco a poco verso il terreno antropologico finendo per diventare uno strumento dell’uomo per la conoscenza di se stesso e per subire l’influenza della visuale cosmologica ed individualistica del mondo greco.46 Lo sviluppo “cristiano” di questo concetto chiave si muove a livello trinitario, cristologico ed antropologico 47, ed avviene soprattutto nel contesto delle controversie trinitario-cristologiche che sono all’origine dei sette primi concili ecumenici. Il primo grande contributo allo sviluppo filosofico del concetto di persona viene dalla elaborazione teologia patristica della Trinità. Il termine persona viene infatti impiegato per provare a spiegare in termini comprensibili alla ragione umana il dogma della Trinità. Si trattava soprattutto di difendersi dalle accuse di politeismo e di arginare le varie eresie cristologiche, tendenti a negare ora l'umanità ora la divinità di Cristo. "Dio è un'unica sostanza in tre Persone". Da questa tesi emerge il concetto di persona come relazione all'interno di Dio tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, e quindi relazione con gli uomini. “Nel mondo cristiano di lingua latina il termine persona entra ormai chiaramente con un significato trinitario grazie a Tertulliano (…), nel mondo di lingua greca quello di ipostasi grazie a Origene. Con questi termini si vuole esprimere, sebbene in un modo ancora implicito e incipiente, l’originalità irrepetibile che posseggono tanto il Padre quanto il Figlio e lo Spirito Santo. Dicendo che i tre sono persone diciamo che non sono intercambiabili, sebbene inizialmente ciò non avvenga in modo esplicito. Un primo aspetto della progressiva differenziazione sarà che non si possono confondere le voci di coloro che parlano. L’uso del termine persona in Tertulliano è in relazione con la coscienza riflessa di questa distinzione all’interno della divinità, secondo ciò che appare nella Scrittura. Così di rivela la «distinctio trinitatis». Nella Scrittura si distinguono le «persone» del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, nel senso che non sono uno e lo stesso colui che parla, colui al quale costui si rivolge e colui del quale si parla. Con facilità quindi si è passati dal soggetto che parla, dal semplice personaggio del dialogo, al soggetto in sé, alla «persona» nel nostro senso del termine, accezione già nota benché non ancora arricchita con le connotazioni che acquisterà nel tempo. Con il concetto di Cf. GIANNI COLZANI, Antropologia teologica. L’uomo paradosso e mistero, EDB, Bologna, 1988, pp. 127-129. 47 Cf. GIULIO MASPERO, La Trinità e l’uomo, Città Nuova, Roma, 2004, pp. 228-237. 46 12 persona si vuole esprimere la distinzione in Dio, la distinzione che dà luogo alla trinità. Una distinzione nell’unità”.48 La riflessione posteriore al concilio di Nicea mette l’accento sulla «relazione», per cui le tre ipostasi divine ( le tre Persone della Trinità) esistono nella relazione reciproca. 49 Decisiva è stata certamente l'opera di sant'Agostino, il De Trinitate.50 La persona è "substantia singularis atque individuale", cioè "qualcosa di singolare e individuale".51 Per il vescovo d’Ippona, “la relazione si basa su un substrato assoluto”. 52 Severino Boezio afferma da parte sua che la persona è “sostanza individuale di natura razionale”.53 “La relazione è ciò che crea la distinzione senza che l’unità dell’essenza divina ne resti toccata”. 54 Dunque, “la relazione è la categoria che permette una distinzione in Dio”.55 Dalla riflessione su Dio e su Gesù Cristo si è arrivati alla riflessione sull’uomo stesso. Per analogia tra il Creatore e la creatura, il termine persona è applicabile all'uomo stesso. Però, lo sviluppo del termine persona a livello antropologico è caratterizzato da una certa ambiguità, dovuta all’uso prevalentemente giuridico del termine, riferito al soggetto giuridico ed alla persona giuridica. Così, in un primo momento, persona viene generalmente evitato nel mondo latino per riferirsi alla natura umana e le si preferisce conditio. Per Gregorio di Nissa, la creazione dell’uomo ad immagine della Trinità corrisponde alla divinizzazione dell’uomo, mediante la quale Dio lo ha reso partecipe di ogni perfezione, poiché la natura divina è la somma di tutte le perfezioni.56 48 LUIS F. LADARIA, La Trinità mistero di comunione, Paoline, Milano 2004, pp. 88-89. Cf. IDEM, , pp. 91-95. 50 Cf. PIERO CODA, La Trinità da Agostino al carisma dell'unità (30 settembre 2003). In questo suo tema, fatto nell’ambito della Scuola Abbà, di approfondimento dello “zoccolo duro” sulla comprensione della Trinità, per meglio individuare la novità apportata da Chiara Lubich, Piero Coda non usa mai esplicitamente il termine persona. Comunque questo tema, che è anche un articolo pubblicato sulla rivista Nuova Umanità, ci permette di capire lo sviluppo della comprensione della Trinità lungo la storia della Chiesa. Cf. PIERO CODA, L’esperienza e l’intelligenza della fede in Dio Trinità da sant’Agostino a Chiara Lubich, in Nuova Umanità XXVIII (2006/5) 167, pp. 527-552. 51 Cf. SANT’AGOSTINO, Opere IV, Città Nuova, Roma 1973, p. 317. 52 LUIS F. LADARIA, op. cit., p. 98. 53 SEVERINO BOEZIO, Liber de persona et duabus naturiis, 3 (PL 64, c. 1343). 54 LUIS F. LADARIA, op. cit., pp. 99-100. 55 IDEM, p. 101. 56 GIULIO MASPERO, op. cit., pp. 228-237. E’ soprattutto nel capitolo secondo – Apofatismo e persona (pp. 201-265) – che l’autore tocca l’argomento che stiamo trattando (pp. 228-237). Privilegiando l’esperienza, l’apofatismo non permetterebbe la chiusura nell’intelettualismo. Mi sembra di trovare in questo breve riferimento a Gregorio di Nissa una certa sintonia con la visione di persona presente nelle opere e articoli pubblicati da Giuseppe M. Zanghì, soprattutto a partire dal 1991, espressione certamente di quella antropologia che sta maturando in modo sempre più evidente all’interno della Scuola Abbà, frutto maturo del carisma dell’unità. In questo senso mi sembra ancora cogliere nella prospettiva del pontificato di Benedetto XVI, nel suo esplicito riferimento a Dio Amore, un importante sviluppo dell’antropologia cristiana, fondamento imprescindibile della Dottrina sociale della Chiesa e di ogni progetto di carattere sociale. Il che sta anche a dire che ogni azione va corredata dalla riflessione approfondita. 49 13 Secondo sant'Agostino nel microcosmo umano si ritrovano analogicamente le tracce delle tre Persone divine57. Ma se fino a ben poco tempo fa, secondo il parere di K. Rahner, se si omettessi un qualsiasi riferimento alla Santissima Trinità, niente cambierebbe nell’esperienza cristiana, lungo tutto il XX secolo l’antropologia trinitaria ha compiuto dei passi considerevoli che attendono ancora un decisivo sviluppo. E’ questo, certamente, lo spazio del contributo specifico del carisma dell’unità che già si prospetta all’orizzonte e si rende presente all’interno dell’esperienza e del pensiero stesso che sta emergendo e che trova riscontro nel processo di recezione a cui viene soggetto, come dono gratuito di Dio all’umanità odierna, ma anche eredità da trasmettere alle future generazioni. Il Personalismo La corrente filosofica che si è maggiormente soffermata su questo concetto, è il Personalismo. Si tratta di un movimento di pensiero a matrice cristiana (prevalentemente cattolico) nato in Francia, agli inizi degli anni Trenta del XX secolo, attorno a Emmanuel Mounier e alla rivista Esprit da lui fondata nel 1932. Si tratta di una corrente che si esprime coerentemente in più posizioni articolate tra loro. La visione generale di Esprit va oltre la politica ed è la ricerca dei fondamenti e dei valori d’un umanesimo nuovo, di una nuova civiltà a scala planetaria. Nato nel contesto sociale e politico di un periodo conturbato, come è quello tra le due grandi guerre mondiali, il Personalismo indica nella persona il termine risolutivo della crisi di cultura e di civiltà. Innanzitutto è una risposta politica, una "terza via" tra i pericoli dell'individualismo capitalista e il collettivismo delle ideologie comuniste e fasciste (ideologie mai però equiparate dai pensatori personalisti, contraddistinti da un forte impegno cristiano-democratico orientato decisamente a sinistra). Per il Personalismo, coscienza e responsabilità sociale non si contraddicono, ma sono dimensioni indispensabili per la piena realizzazione dell'uomo che in quanto persona è appunto relazione, relazione con Dio e con il prossimo. Attorno alla persona (irriducibile a individuo), si profila un nuovo tipo di socialità: la “comunità di persone” da raggiungersi attraverso un’ampia “rivoluzione personalistica e comunitaria”. Si tratta di una società ove la struttura giuridica e l’esercizio del potere tendono, il più possibile, a subordinarsi alla persona e a modellarsi sulla sua dignità. D’altra parte, alla persona è essenziale l’apertura comunitaria, tesa al limite della comunicazione e comunione interpersonale. Altro tema caro al Personalismo è la rivalutazione della corporeità e la critica delle interpretazioni dualistiche. In questo clima filosofico si ritrovano pensatori anche differenti tra loro e che danno vita a ricerche altrimenti articolate: tra questi Paul Ricoeur, maestro francese della fenomenologia e dell'ermeneutica o Jacques Maritain che dà un grande contributo allo sviluppo del Neotomismo nel Novecento. Cf. PIERO CODA, L’esperienza e l’intelligenza della fede in Dio Trinità da sant’Agostino a Chiara Lubich, in Nuova Umanità XXVIII (2006/5) 167, pp. 527-552. 57 14 Vengono considerati "personalisti" filosofi anche non cristiani ma appartenenti alla religione ebraica, come Martin Buber ed Emmanuel Levinas, in quanto nelle loro riflessioni insistono notevolmente sulla relazionalità. Col Personalismo si intrecciano più correnti del Novecento, in particolare il neotomismo, la fenomenologia e l'esistenzialismo cristiano (Gabriel Marcel, ad esempio). Vengono soprattutto elaborati dei concetti che permettono sia alla teologia, sia all’antropologia trinitaria che alla dottrina sociale, un ulteriore sviluppo. E’, appunto, quello che sembra stia avvenendo in questo momento. Affermare, ad esempio, che “l’uomo è la via della Chiesa” può avere delle conseguenze inimmaginabili a tutti i livelli del vivere umano, ma anche nella formulazione teologica più generale. A causa della storia del rapporto del tutto unico tra Dio e l’uomo, non si può parlare dell’uomo senza parlare di Dio ma, penso, non si può parlare di Dio senza parlare dell’uomo e, soprattutto, senza trovare Dio tra gli uomini e l’uomo in Dio. 15