CENNI STORICI ETIMOLOGIA La parola fotografia ha origine da due parole greche: φως (phos) e γραφίς (graphis). Letteralmente quindi fotografia significa scrivere (grafia) con la luce (fotos). Ebbe origine dalla convergenza dei risultati ottenuti da numerosi sperimentatori sia nel campo dell'ottica, con lo sviluppo della camera oscura, sia in quello della chimica, con lo studio delle sostanze fotosensibili. La prima camera oscura fu realizzata molto tempo prima che si trovassero dei procedimenti per fissare con mezzi chimici l'immagine ottica da essa prodotta; le sue prime applicazioni per la fotografia si ebbero con il francese Joseph Nicephore Niepce, al quale viene abitualmente attribuita l'invenzione della fotografia, anche se scoperte recenti suggeriscono che alcuni tentativi ben precedenti, come quelli dell'inglese Thomas Wedgwood[1], potrebbero essere andati a buon fine. Nel 1813 Niepce iniziò a studiare i possibili perfezionamenti da apportare alle tecniche litografiche e da queste ricerche sviluppò un interesse per la registrazione diretta di immagini sulla lastra litografica, senza l'intervento dell'incisore. In collaborazione con il fratello Claude, Niepce cominciò a studiare la sensibilità alla luce del cloruro d'argento e nel 1816 ottenne la sua prima immagine fotografica (che ritraeva un angolo della sua stanza di lavoro) utilizzando un foglio di carta sensibilizzato, probabilmente, con cloruro d'argento. L'immagine, tuttavia, non poté essere fissata completamente, per cui Niepce fu indotto a studiare la sensibilità alla luce di numerose altre sostanze, soffermandosi sul bitume di Giudea che possiede la proprietà di divenire insolubile in olio di lavanda in seguito a esposizione alla luce. Ma gli sforzi furono anche indirizzati al perfezionamento dei materiali sensibili, dei procedimenti di sviluppo e degli strumenti ottici. Tra le innovazioni più importanti si ricordano l'introduzione degli apparecchi fotografici portatili (1880) e delle pellicole in rullo con supporto in celluloide, realizzate per la prima volta da G. Eastman nel 1889. Nel 1890 F. Hurter e V. C. Driffield iniziarono lo studio sistematico della sensibilità alla luce delle emulsioni, dando origine alla sensitometria. Un considerevole miglioramento delle prestazioni degli obiettivi si ebbe nel 1893, quando H. D. Taylor introdusse un obiettivo anastigmatico (tripletto di Cooke) con sole tre lenti non collate; tale obiettivo fu perfezionato da P. Rudolph nel 1902 con l'introduzione di un elemento posteriore collato e venne prodotto l'anno dopo dalla Zeiss, con il nome di tessar. Altri progressi si ebbero con l'introduzione del sistema reflex (1928) e degli strati antiriflesso sulle superfici esterne delle lenti (che migliorarono enormemente la trasmissione tra aria e vetro e il contrasto degli obiettivi) e con il processo Polaroid in bianco e nero (che permetteva di ottenere in pochi secondi una copia positiva, utilizzando un apparecchio e una pellicola speciali), introdotto nel 1948 da E. H. Land e successivamente esteso al colore. Con gli anni Sessanta con gli esposimetri incorporati nelle macchine fotografiche ebbe inizio l'epoca degli automatismi: l'evoluzione tecnologica in tale campo fu tale che alla fine degli anni Ottanta, con la miniaturizzazione dei circuiti elettronici, la messa a fuoco e l'esposizione erano completamente automatiche; inoltre micromotori provvedono al caricamento della pellicola, al suo avanzamento dopo ogni scatto, e al riavvolgimento nel caricatore al termine dell'uso . Negli anni Ottanta entrarono in produzione macchine per la fotografia digitale che al posto della pellicola avevano un CCD (Charge Coupled Device), lo stesso elemento sensibile delle videocamere. Questo componente era in grado di analizzare l'intensità luminosa e il colore dei vari punti che costituiscono l'immagine e di trasformarli in segnali elettrici che venivano poi registrati su un supporto magnetico (nastro o disco) che poteva contenere alcune decine di immagini. L'immagine registrata poteva essere immediatamente rivista su un monitor, stampata da un'apposita stampante, o spedita, via cavo o via etere, a qualsiasi distanza. Macchine di questo tipo venivano usate soprattutto dai fotoreporter, perché permettevano l'immediata trasmissione delle foto ai giornali, che non hanno bisogno di immagini ad alta definizione. L'inconveniente principale della fotografia elettronica era infatti la scarsa definizione delle immagini, in confronto a quella della fotografia tradizionale. Notevole diffusione ha avuto l'elaborazione elettronica delle immagini fotografiche, che, digitalizzate da uno scanner ad alta definizione, possono essere corrette ed elaborate a piacere (eliminazione di dominanti cromatiche, modifica dei colori, cancellazione e aggiunta di parti di immagine, fino a ottenere fotomontaggi quasi perfetti). L'immagine elaborata viene poi stampata su pellicola, con la stessa definizione dell'originale. Negli ultimi anni lo sviluppo della fotografia digitale ha avuto implicazioni incredibili sia nella fase di ripresa delle immagini che in quella di riproduzione. Da un lato i sofisticati sistemi di esposizione, messa a fuoco, inquadratura e disponibilità immediata delle immagini in fase di ripresa e dall'altro la loro elaborazione sul computer hanno ridimensionato il lavoro di camera oscura per lo sviluppo del negativo e/o della diapositiva e per la loro stampa. Essa richiedeva lunghe ore al buio, pazienza e risorse economiche, al punto che grandi fotografi utilizzavano spesso laboratori professionali per le loro immagini. Oggi il processo è alla portata di tutti grazie alle immagini digitali che possono essere ritoccate, modificate e trasferite con il computer di casa propria, avvalendosi di programmi di editing e/o fotoritocco e modalità di archiviazione di file anziché di voluminosa carta che hanno in gran parte ridotto la domanda di pellicole e di stampa tradizionale delle foto.[] Un apparecchio modello anni settanta per immagini fotografiche di rapido sviluppo esposto al Museo d'Arte Contemporanea Villa Croce di Genova La prima fotografia a colori scattata da Maxwell nel 1861. Diversi sistemi fotografici Studi di settore Aerea Fotografia aerea e orbitale [modifica] Immagine ripresa dall'Apollo 17 La fotografia aerea è la tecnica di indagine del terreno che si serve di macchine fotografiche installate a bordo di aeromobili. Trova applicazioni nel campo della ricognizione archeologica, delle ricerche geologiche, in agricoltura per ricavare informazioni sulla natura dei terreni e sull'estensione delle colture, in campo militare per ottenere informazioni su obiettivi strategici. La fotografia orbitale permette la ripresa di immagini da altezze molto superiori a quelle proprie della fotografia aerea, della quale costituisce un'estensione, mediante apparecchi posti su veicoli spaziali in orbita intorno alla Terra. Tra le sue varie applicazioni si ricordano le indagini meteorologiche, le ricerche sull'inquinamento dei mari, sulle risorse della Terra. Queste applicazioni sono sempre più raffinate anche grazie allo sviluppo e all'incrocio di diverse tecniche di ripresa fotografica digitale incrociate con altri sistemi di rilevazione come il radar. Esempio di ciò è il satellite Envisat, messo in orbita dall'ESA (Agenzia Spaziale Europea) che grazie all'incrocio dei dati prodotti dai suoi undici strumenti permette la realizzazione di immagini satellitari utili per lo studio di fenomeni come la desertificazione, l'eutrofizzazione dei mari e i cambiamenti climatici. astronomica Consiste nella registrazione fotografica delle immagini dei corpi celesti. Tale tecnica presenta diversi vantaggi rispetto all'osservazione diretta perché l'emulsione fotografica, esposta per un tempo sufficientemente lungo, viene impressionata anche da radiazioni visibili di intensità troppo debole per poter essere percepite dall'occhio umano anche con l'aiuto di potenti telescopi. Il metodo prevede appositi sistemi di inseguimento che compensano la rotazione della terra e la conseguente rotazione apparente della volta celeste. Inoltre l'uso di emulsioni particolarmente sensibilizzate permette lo studio di corpi celesti che emettono radiazioni comprese in zone dello spettro luminoso in corrispondenza delle quali l'occhio umano non è sensibile. Spesso sono usati anche sistemi digitali, basati su CCD o CMOS, raffreddati a bassissime temperature per diminuire il rumore elettronico. Tramite l'uso di filtri interferenziali, è anche possibile ottenere fotografie solo alla luce di alcune righe spettrali, ottenendo quindi informazioni sulla composizione della sorgente. Fotomicrografia Consiste nella registrazione fotografica delle immagini di soggetti piccolissimi, nel caso di microscopia ottica nell'ordine dei micron. Anche qui tale tecnica presenta diversi vantaggi rispetto all'osservazione diretta perché l'emulsione fotografica, esposta per un tempo sufficientemente lungo, viene impressionata anche da radiazioni visibili di intensità troppo debole per poter essere percepite dall'occhio umano specialmente in caso di tecniche in fluorescenza, dell'arresto tramite tempi di esposizione brevi di soggetti molto rapidi (protozoi in vivo), eccetera. Ateliers fotografici L'invenzione della fotografia parve dover segnare la fine della pittura. Molti pittori trasformarono infatti i loro studi in ateliers fotografici e gli stessi principali inventori della fotografia nutrivano precisi interessi per la pittura, a conferma della tesi di Nadar (1820-1910), colui che per le sue immagini vellutate si vide regalare il titolo di "Tiziano della fotografia", il quale scrisse che l'industria fotografica costituiva il rifugio di pittori mancati e pigri. La prima forma di fotografia, come la conosciamo noi oggi, si ebbe con il dagherrotipo. In un tempo relativamente breve però, questo passò il testimone alle fotografie stampate su carta albuminata. Queste stampe venivano incollate su cartoncini di formato 10x6 cm e si chiamavano cartes de visite (cdv), il formato fu inventato da Disderi un fotografo francese. Oramai moltissimi potevano farsi ritrarre nei moltissimi atelier che avevano invaso tutto il mondo moderno. Il formato cdv venne sorpassato dal formato cabinet (o gabinetto in italiano) di dimensioni 16x10,5 cm. Altri formati nacquero a vista d'occhio, ma questi furono i più duraturi nel tempo, si produssero cdv e cabinet fino al primo decennio del 1900. Alcuni tra gli atelier più famosi in Europa: Disderi, Nadar, Reutlinger in Francia; Angerer in Austria; Brogi, Alinari in Italia; Esplugas, fotog. Napoleon in Spagna. Lo stesso chimico J.N. Niépce era interessato al perfezionamento della litografia e cercava nella fotografia un mezzo per supplire alle sue deficienze come incisore. Daguerre era un pittore e sperava che la fotografia lo sollevasse dalle fatiche necessarie per la realizzazione dei quadri per il suo diorama. William Fox Talbot era un disegnatore dilettante, conscio dei suoi limiti, che vedeva nella fotografia un mezzo per realizzare immagini decorose al posto dei disegni decisamente sciatti che egli otteneva a mezzo di una camera oscura. In effetti le stesse limitazioni delle prime tecniche fotografiche suggerivano naturalmente i campi di applicazione propri della pittura. Solo pochi fotografi, la cui importanza venne riconosciuta molto più tardi, compresero le reali possibilità della fotografia come forma di documentazione. Ricordiamo i reportage sulla guerra di Crimea di James Robertson e Roger Fenton, le immagini del conte P. Primoli sulle battaglie al tempo della Repubblica Romana, quelle della guerra di secessione di Matthew Brady e Timothy O'Sullivan, intorno agli anni 1865 e 1870, e quelle di Eugène Atget, cronista della vita quotidiana a Parigi. reportage Bisognò aspettare il periodo che sta tra le due guerre mondiali per assistere alla nascita del grande reportage, portato a livelli di qualità eccezionale da Robert Capa e poi da Henri Cartier-Bresson, David Seymour e George Rodger, tutti fondatori (1947) dell'agenzia Magnum photos, da W. Bischof, L. Freed, D. Weiner, D. D. Duncan, ecc. In Italia, dove Primoli, F. Negri, il pittore F. P. Michetti e gli studi Alinari e Brogi avevano già realizzato nell'Ottocento immagini di particolare valore documentario, si sono distinti nel XX secolo, con differenti approcci alla realtà, Vittorio Sella, il capostipite della fotografia documentaristica di montagna, autore delle bellissime riprese del Karakorum e del K2 ottenute durante la famosa spedizione del Duca degli Abruzzi nel 1909; G. Puccio e Randazzo, G. Pozzi Bellini, F. Patellani, B. Stefani, i neorealisti P. Portalupi e L. Crocenzi, quindi – dagli anni Cinquanta – C. Bavagnoli, Gianni Berengo Gardin, Enrico Sarsini, P. Branzi, Mario De Biasi, Mario Giacomelli, N. Migliori, G. Niccolai, T. Petrelli, E. Rea, Fulvio Roiter, A. Sansone, E. Turri, e – dagli anni Sessanta – Attilio Boccazzi-Varotto, C. Cascio, C. Colombo, G. Cozzi, C. Garruba, G. Lotti, U. Lucas, P. Merisio, Ugo Mulas, T. Nicolini, F. Pinna, Enzo Sellerio, Reportage Mimmo Jodice, ecc., ai quali si possono aggiungere documentaristi come L. Pellegrini, Folco Quilici e S. Prato Previde. La fotografia cominciò ad acquistare autonomia agli inizi del sec. XX, mentre le polemiche sui rapporti con l'arte, in seguito indagati con acutezza da W. Benjamin, erano vivacissime. In merito alla diatriba, sempre attuale, una distinzione si può fare tra la fotografia come strumento e la fotografia come linguaggio. Nel primo caso si sfruttano in quanto tali le possibilità di riproduzione meccanica delle immagini, nel secondo queste stesse possibilità vengono utilizzate a fini documentaristici ed espressivi. PRODOTTI internazionali Ogni macchina fotografica è costituita da una camera, con un'apertura ad un'estremità per permettere alla luce di entrare e con una superficie di visualizzazione o di registrazione per catturare la luce all'altra estremità. La prima apertura è spesso controllata da un meccanismo ad iride (il diaframma), mentre la seconda è costituita da un qualche tipo di sensore fotosensibile, che può essere una pellicola fotografica (macchine fotografiche tradizionali) o un sensore digitale (CCD o CMOS) (macchine fotografiche digitali). Mentre il diaframma controlla la quantità di luce che entra nella camera durante la ripresa, l'otturatore controlla la lunghezza del tempo durante il quale la luce colpisce la superficie di registrazione. Diaframma e otturatore vengono usati insieme per determinare la giusta esposizione. Per esempio, in situazioni di luce scarsa, si può usare un diaframma molto aperto oppure un tempo di scatto maggiore per di catturare anche la poca luce presente. Le macchine fotografiche tradizionali catturano la luce su una pellicola fotografica o su una lastra fotografica. Le fotocamere digitali utilizzano l'elettronica, di solito un CCD o CMOS , per catturare le immagini che possono poi essere trasferite o archiviate in un dispositivo removibile o nella memoria interna della fotocamera per un utilizzo successivo o per effettuare operazioni di fotoritocco. Alcune macchine fotografiche digitali possono riprendere, oltre a immagini ferme, anche piccoli filmati. Alcune macchine fotografiche hanno dei dispositivi (dorso data) che possono stampare la data e/o l'ora nello stesso negativo. MACCHINE FOTOGRAFICHE DEI PRIMI DEL 900 ALCUNE REFLEX DEGLI ANNI 50 FOTOCAMERA,REFLEX DIGITALE DI ULTIMA GENERAZIONE EXPERIENCE La fotografia è trattata in molti libri, ora anche in Internet: come fonte quasi infinita di informazione. L'idea per questo progetto, mi è venuta dopo molti anni di insegnante in corsi di fotografia: corsisti entusiasti delle lezioni desideravano avere "qualcosa" da consultare successivamente. Pensato come lavoro "di squadra" dove ognuno sceglie "l'argomento" più consono alle proprie attitudini ed interessi. Il progresso tecnologico e la facilità con cui è oggi possibile far viaggiare i dati ha fatto si che che si possa affermare che "quasi nulla è possibile fare senza ricorrere alla fotografia". Il settore industriale, la moda, il giornalismo, per citarne solo alcuni, vivono e si alimentano di fotografia. La fotografia come arte per ottenere per mezzo della luce immagini di oggetti da essa illuminati. La fotografia come questione personale di gusto allineata al pensiero comune, oppure foto "rivoluzionaria", strana, incomprensibile o ancora foto di denuncia, che racchiuda in se altre verità: questo è quello che ognuno di noi vorrebbe ottenere da una fotografia. Luogo comune per chi fotografa "poco" è scegliere solo "alcune" immagini, sostenendo che esse sono migliori, addirittura, di quelle viste da altri autori-fotografi; chi fotografa "molto" , è spesso, d'altra parte, alla ricerca del "contenuto" di ciò che ha fotografato; "in mezzo" sta il fotografo "professionista" con le sue immagini "standard", indipendenti, non criticabili, in alcuni casi definite "perfette". Costruire immagini, io penso, sia il risultato di sbagli, contraddizioni, pensieri, tecnica, visioni protratte negli anni: quasi come .... il vivere. Come enunciato in precedenza, la fotografia oggi, puo essere vista come facoltà d’impiego,arte,puro divertimento. Le nostre citta sono circondate e invase dalla fotografia, a cominciare dai cartelloni pubblicitari. L’uso della fotografia quindi come mezzo di comunicazione collettivo,e molto d’impatto visivo,creativo,o puo semplicemente trasmettere un messaggio piu o meno di rilievo sociale. Oggi la fotografia è inoltre forma d’arte mezzo d’espressione creativa, in mano di tutti. TESTIMONIANZE E INTERVISTE GIANMARCO CHIEREGATO Le realtà bugiarde della fotogrfaia ….anche la fotografia astrae da un contesto una parte che in virtù della sua sola parzialità cambia identità e significato, ma mentre per Duchamp l'operazione ha come esito, grazie al gesto demiurgico dell'artista, la trasformazione della realtà in altro (nella fattispecie in arte), nella fotografia invece, attraverso lo sguardo tecnologico dell'obiettivo, è l'altro a divenire realtà …..In entrambi i casi si tratta di una bugia, l'orinatoio non diventa una fontana solo perché esposto in una galleria, così come "l'immagine del mondo è il mondo in immagine", non ha nulla a che fare con il mondo reale, perché una fotografia può essere molto rassomigliante al reale, ma resta solo una fotografia, non è l'oggetto che rappresenta, ma è essa stessa l'oggetto…. ….La fotografia, insomma, è bugiarda o, quantomeno, reticente: possiamo scattarla, possederla, guardarla, possiamo credere che ci restituisca un frammento di vita, ed essa ci trascinerà in un labirinto senza fine dove la meta ultima è continuamente rimandata. Le immagini illudono e mentono, tutte, ma fra i vari 'generi' fotografici il più mendace è il ritratto. Inquinato e condizionato non solo dal fotografo che scatta la foto, primo manipolatore del risultato, ma anche dall'intervento, consapevole o meno, del soggetto ritratto, che si pone inevitabilmente l'intenzione di apparire in un certo modo, per quello che è, o che crede di essere, o che vorrebbe essere, o che vorrebbe far credere di essere, il ritratto è lo specchio magico delle brame, fa vedere quello che non c'è, nasconde quello che c'è, è bello o è brutto a seconda degli occhi di chi guarda. Oggi la bugia della fotografia è perfezionata ed amplificata dalla possibilità di utilizzare sofisticate tecnologie digitali e programmi di ritocco ed elaborazione grafica alla portata di molti, il che rappresenta, specie per il ritratto, una tentazione alla quale è difficile sottrarsi "Le baiser de l'Hôtel de Ville". Non mi piaceva questa fotografia. Tutto quel nero e quel bianco, quel grigio sfumato, erano proprio i colori che non avrei voluto per ricordo. L'amore afferrato al volo su un marciapiede, la gioventù insolente sullo sfondo del grigiore parigino certamente... ….Ma c'era la sigaretta che il ragazzo teneva nella sua mano sinistra. Non l'aveva gettata al momento del bacio. Eppure sembrava quasi consumata. Si percepiva che aveva in mano la situazione, che era lui che comandava. Voleva tutto, abbracciare e fumare, provocare e sedurre. Il modo in cui la sua sciarpa si insinuava nell'apertura della giacca denunciava autocompiacimento ed una disinvoltura ostentata. Era giovane. Aveva soprattutto quel modo di essere giovane che non invidiavo, ma che mi faceva male, perché?..... c'era Parigi, un tavolo, la sedia di un caffè, l'Hôtel de Ville, la sagoma di una macchina. Nel rumore immaginato, nel grigio brumoso, c'era la Francia di tutta un'epoca. Troppo. Era troppo facile, la fotografia di Doisneau, troppo di tutto. La si trovava ovunque. "Le baiser de l'Hôtel de Ville"1950, neanche fosse 'L'Embarquement pour Cythère' o 'Le Déjeuner sur l'herbe." (Philippe Delerm, "Les amoureux de l'Hôtel de Ville", 2004, edizioni Gallimard) Una discutibile campagna pubblicitaria supportata dal Ministero della Salute ed ora bloccata dal Giurì dell'Istituto di autodisciplina pubblicitaria. Ed è così che gli italiani che ancora non lo sapevano apprendono che la campagna pubblicitaria di Toscani è stata supportata dal Ministero della Salute ed appoggiata in prima persona dal ministro Livia Turco la quale afferma tra l’altro: “Per quanto riguarda la campagna No Anorexia ho apprezzato sinceramente sia i contenuti, che si propongono in linea con i principi ispiratori del programma del ministero, che le modalità di realizzazione proposte. In questo ambito infatti - prosegue Turco - un'iniziativa come questa mi pare sia in grado di aprire efficacemente un canale comunicativo originale e privilegiato con il pubblico giovane, attraverso un messaggio di grande impatto idoneo a favorire un'assunzione di responsabilità verso il dramma dell'anoressia, rappresenta uno strumento da prendere in assoluta considerazione". Infatti, mentre appare chiaro che la foto dell’anoressica vuole disorientare e sconvolgere l’osservatore ponendolo davanti ad un’immagine repellente, non è altrettanto chiaro come questo shock visivo possa divenire un messaggio positivo di presa di coscienza e di "assunzione di responsabilità" circa un problema di portata sociale (voglio credere che questo fosse lo scopo, seppure fallito, nelle intenzioni sia di Toscani che del ministro della salute). E allora, cosa “leggiamo” nell’immagine della modella anoressica? cosa proviamo, da persone “normali”? e cosa può provare una persona malata della stessa malattia sbattuta mostruosamente in prima pagina? Orrore, ribrezzo, repulsione, in definitiva rifiuto e allontanamento, senza riuscire ad arrivare alla pietas ed alla com-passione, o peggio, in una mente labile e malata, approvazione e desiderio di emulazione?