Translatio iudicii a seguito di declinatoria di giurisdizione

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Translatio iudicii a seguito di declinatoria di giurisdizione
Desirée Sampognaro
Dottoranda in diritto processuale generale ed internazionale - Università degli studi di Catania
Sommario: 1. Brevi cenni sulla sentenza della Corte costituzionale del 12 marzo 2007,
n. 77 - 2. Brevi cenni sulla sentenza delle S.U. n. 4109 del 22 febbraio 2007 - 3. Verso il supe ramento del principio dell’incomunicabilità fra giurisdizioni diverse - 4. Costituzionalizzazione
della translatio iudicii attraverso il canale del giusto processo - 5. Le sentenze delle due Corti
a confronto - 6. Rilievi critici finali
1. Brevi cenni sulla sentenza della Corte costituzionale del 12 marzo 2007, n. 77
Con la sentenza in esame 1 il Giudice delle Leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 30, L. n. 1034/1971, nella parte in cui non prevede che gli effetti processuali e
sostanziali, prodotti dalla domanda proposta innanzi al giudice privo di giurisdizione, si conservino, a seguito della declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito innanzi al giudice munito di giurisdizione. Il principio della conservazione degli effetti processuali e sostanziali della domanda giudiziale viene, infatti, ritenuto dalla Corte costituzionale indispensabile
ai fini della realizzazione della durata ragionevole del processo e, quindi, dell’effettività della
tutela giurisdizionale del cittadino garantita dagli artt. 24, 111 e 113 della nostra Costituzione.
La questione di legittimità costituzionale relativa alla compatibilità dell’art. 30 della L.
n. 1034/1971 con le sopracitate norme, era stata sollevata dal TAR Liguria, il quale si era
ritenuto incompetente a decidere su una causa rispetto alla quale aveva già dichiarato il
proprio difetto di giurisdizione il giudice ordinario inizialmente adito.
Il caso di specie verteva su un’ipotesi di occupazione illegittima. Infatti, la società che
aveva adito il Tribunale di Genova lamentava che, una volta ottenuto dal Comune un per-
1 In www.altalex.it; Guida al diritto, 31 marzo 2007, fascicolo 13, p. 94, con commento di FINOCCHIARO G.,
Necessario un intervento del legislatore per chiarire le modalità di riassunzione, p. 100 e di CLARICH M., Un
istituto operativo anche in caso di errore, p. 106; Foro italiano, n. 4, aprile 2007, p. 1009, con commento di
ORIANI R., E’ possibile la “translatio iudicii” nei rapporti tra giudice ordinario e giudice speciale: divergenze e
consonanze tra Corte di cassazione e Corte costituzionale; Urbanistica e appalti, fasc. 7, 2007, p. 814, con
commento di SIGISMONDI, G., La distanza tra le giurisdizioni si riduce: é ammessa la translatio iudicii. Vd.,
inoltre, commento di ADAMO G., La recente giurisprudenza sulla translatio iudicii, ovvero la determinazione
della rotta nell’insufficienza dei punti cospicui, in www.giustizia-amministrativa.it e di ZINGALES I., I nuovi
“confini” della translatio iudicii, in Il giusto processo civile 2008, pp. 505 ss..
1
messo di occupazione di un’area pubblica, se l’era vista rioccupare dal Comune medesimo:
quest’ultimo, senza comunicare l’avvio del procedimento, aveva avviato dei lavori edili sull’area oggetto della concessione, dove aveva tra l’altro collocato una sorta di impianto per
la raccolta di rifiuti. La società attrice aveva, così, agito, sia in via possessoria ex art. 703
c.p.c. sia ex art. 700, al fine di ottenere la reintegrazione nel godimento dei beni, nonché il
ristoro dei danni e l’adozione di misure atte a scongiurare la lesione del diritto alla salute.
Il giudice ordinario, sul presupposto che il caso di specie rientrasse nella materia urbanistica e fosse perciò disciplinato dall’art. 34 del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80, come modificato dalla Legge 21 luglio 2000 n. 205, si è ritenuto erroneamente incompetente. Infatti,
come ha rilevato il Tar Liguria, successivamente adito dalla società attrice, a seguito della
pronuncia della Corte costituzionale n. 204 del 2004, che ha dichiarato l’illegittimità parziale degli artt. 33 (I e II co.) e 34 (I co.), casi come quello in questione non rientrano più nell’ambito applicativo delle suddette norme. Trattasi cioè di un’ipotesi di occupazione sine titu lo rientrante nella nozione di “comportamento mero” della P.A. ed in quanto tale appartenente alla giurisdizione ordinaria 2.
Questa sorta di inutile “palleggio” di giudizi tra giudici appartenenti a giurisdizioni
diverse, come ha osservato lo stesso TAR, torna a danno dell’attore che si trova a dover
subire gli effetti delle decadenze nel frattempo maturate, ed in particolare, nel caso di specie, della decorrenza del termine previsto per le azioni possessorie.
L’art. 30 della legge n. 1034/1971 si limita a prevedere, in caso di difetto di giurisdizione, l’obbligo del giudice di declinare la giurisdizione, e nulla stabilisce circa la possibilità di
continuare il processo, a seguito di declinatoria, e di salvare così gli effetti processuali e
sostanziali della domanda proposta. Il Tar Liguria ha, perciò, sollevato il dubbio di costituzionalità relativamente a detto articolo, dubbio che, come già predetto, è stato accolto dal
Giudice delle Leggi.
2 A proposito della nozione di “comportamento” della P.A. in materia di occupazione illegittima vd. le seguenti ordinanze dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato: n. 4/05 (in Guida al diritto n. 39, 2005, p. 103 con
commento di FORLENZA O., Restano i dubbi di giurisdizione sulla perdita del diritto di proprietà; cfr., inoltre,
Urbanistica e Appalti 2005, p. 1312 con nota di CONTI R., Adunanza Plenaria, giurisdizione sui comporta menti e cumulo di domande; Foro Amm. C. di Stato 2005, p. 2088 con commento di SAITTA F., La Plenaria
interpreta (in parte) la “204”; ma è improbabile che finisca qui; Diritto e giustizia n. 37, 2005, p. 78 con osservazioni di PROIETTI R., Sul danno da poteri pubblici decide il Tar. Risarcimento anche senza impugnazione),
n. 9/05 (in Il Corriere del Merito 2006, p. 139, con commento di MADDALENA M. L., Giurisdizione sui com portamenti della P.A. ed occupazione usurpativa; PAOLANTONIO N., Accessione invertita, tutela risarcitoria
e questioni di giurisdizione: il punto dell’Adunanza Plenaria, in Diritto processuale amministrativo, n. 1/2006,
p. 161 ss) e n. 2 del 9 febbraio 2006 (in www.altalex.it). Cfr., in particolare, quest’ultima con S.U. n. 1207/06
(in Foro Italiano, 2006, 4, 1053, con note di SCODITTI e TRAVI; Foro amministrativo, 2006, 2, p. 366, con
nota di MARI G., L’azione risarcitoria proposta dopo il passaggio in giudicato della sentenza caducatoria: giu risdizione e proponibilità in sede di ottemperanza).
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2. Brevi cenni sulla sentenza delle S.U. n. 4109 del 22 febbraio 2007
Attraverso la dichiarazione della parziale illegittimità dell’art. 30 della Legge TAR, la
Corte costituzionale ha inteso demolire il principio di incomunicabilità tra giurisdizioni diverse, rendendo così possibile la salvezza degli effetti della domanda giudiziale attraverso la
trasmigrazione del processo dal giudice privo di giurisdizione al giudice ad quem.
Va, però, precisato che il principio d’incomunicabilità era già stato superato dalle
Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 4109 del 22 febbraio 2007 3. Non meno
rivoluzionaria appare tale pronuncia rispetto a quella della Corte costituzionale, se si considera che sinora proprio la giurisprudenza di legittimità si era mostrata fortemente radicata sull’idea dell’impossibilità della prosecuzione, innanzi al giudice ad quem, del processo
iniziato davanti al giudice privo di potestas iudicandi 4.
A fronte di esigenze di economia processuale sempre più impellenti, la S.C. ha ritenuto doveroso mutare indirizzo, esprimendosi a favore dell’applicabilità dell’istituto della
translatio iudicii.
Le argomentazioni svolte a favore di questo nuovo orientamento, tra l’altro, sono contenute in un obiter dictum. La Cassazione, infatti, accogliendo il ricorso sollevato ex art. 360
n. 1 c.p.c., ha cassato con rinvio l’ordinanza del Consiglio di Stato declinatoria della propria
giurisdizione, in quanto, dal momento che non era stata impugnata la pronuncia con la quale
il Tar aveva affermato la propria giurisdizione, su tale statuizione si era già formato il giudicato interno 5. In sostanza, la S.C., nonostante avesse risolto la questione di giurisdizione
sottopostale nel senso della conferma della giurisdizione del giudice a quo, si è occupata,
comunque, del problema relativo alla vanificazione dell’attività processuale svolta dalle parti.
3 In Fisco, parte 1, fasc. 28, 2007, p. 4173; PAJNO A., Costruzione del sistema di tutela e comunicabilità delle
giurisdizioni: translatio iudicii o salvezza degli effetti della domanda? (Corte di Cassazione, sez. un., 22 feb braio 2007, n. 4109 e Corte Costituzionale, 12 marzo 2007, n. 77), in Giornale di diritto amministrativo, fasc.
9, 2007, p. 956; Guida al diritto, fasc. 13, 2007, p. 94.
4 Tra le più recenti vd.: Cass., sez. un., n. 7039/2006; Cass., sez. un., n. 19218/2003; Cass., sez., un. n.
7099/2002; Cass. sez. un. n. 6041/2002; Cass., sez. un. n. 2091/2002; Cass. sez. un.14266/2001. Cfr. con
Cass., n. 88/2001 e Cass., n. 1496/2002, che hanno fatto rinvio al giudice tributario di secondo grado. Vd.,
altresì, Cass., n. 5357/1987, che ha fatto applicazione analogica dell’art. 50 c.p.c., consentendo la riassunzione, innanzi al giudice nazionale, del processo iniziato tempestivamente davanti al giudice straniero privo di
competenza giurisdizionale.
5 Come la S.C. tiene a sottolineare, è ormai pacifica nella giurisprudenza di legittimità “la regola di diritto
secondo la quale, dal coordinamento dei principi sulla rilevabilità d’ufficio del difetto di giurisdizione con quelli che disciplinano il sistema delle impugnazioni, deriva che, ove il giudice di primo grado abbia espressamente statuito sulla giurisdizione, il riesame della questione da parte del giudice di secondo grado postula che
essa sia stata riproposta con il mezzo di gravame, ostandovi, altrimenti, la formazione del giudicato interno.”
Vd. a tal proposito: Cass. sez. un., n. 7039/2006, Cass., sez. un., n. 1327/2000, Cass., sez. un., n. 36/99;
Cass., sez. un., n. 850/98. Totalmente diverso è l’orientamento del Consiglio di Stato, secondo il quale è possibile rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione anche quando non sia stata proposta impugnazione contro la
pronuncia con la quale il Tar abbia affermato la propria giurisdizione.
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Particolarmente interessante appare il confronto tra la sentenza delle S.U. e quella
della Corte costituzionale alla luce del fatto che siffatte sentenze, pur muovendosi verso il
medesimo risultato (e cioè quello della effettività della tutela giurisdizionale mediante la conservazione degli effetti processuali e sostanziali della domanda proposta al giudice privo di
potestas iudicandi), utilizzano argomentazioni tra loro nettamente diverse se non addirittura
antitetiche. Ed, infatti, mentre le S.U. muovono da una prospettiva de iure condito, la Corte
costituzionale si fonda su argomentazioni de iure condendo sul presupposto della necessità
di un intervento legislativo, che al momento non può essere supplito che dalla riformulazione dell’art. 30 della L. Tar contenuta nella sua stessa pronuncia d’incostituzionalità.
Il confronto tra queste due sentenze merita indubbiamente un’approfondita analisi,
che si cercherà di compiere in prosieguo; a questo punto, si ritiene, invece, opportuno
richiamare le cause che hanno dato origine al summenzionato principio dell’incomunicabilità fra giurisdizioni diverse nel nostro ordinamento.
3. Verso il superamento del principio dell’incomunicabilità fra giurisdizioni diverse
Occorre ricordare che nel nostro ordinamento l’istituto della translatio iudicii è previsto
espressamente solo nell’ipotesi di declinatoria di competenza.
L’art. 50, c.p.c., stabilisce, ai fini della continuazione del processo innanzi al giudice
ad quem, che la riassunzione del processo avvenga entro il termine fissato dal giudice che
si è dichiarato incompetente o, in mancanza di tale previsione, entro il termine di 6 mesi
dalla comunicazione della sentenza di regolamento o della sentenza che dichiara l’incompetenza del giudice adito.
Nessuna disposizione del medesimo tenore è rinvenibile nelle norme che regolano la
giurisdizione (ordinaria e/o speciale).
Va, altresì, precisato che l’introduzione del principio della translatio iudicii nel nostro
ordinamento costituisce un’assoluta novità, considerato che sotto la vigenza del vecchio
codice non era possibile la prosecuzione del processo sia che la domanda giudiziale fosse
stata proposta innanzi ad un giudice privo di giurisdizione sia che fosse stata presentata
innanzi ad un giudice incompetente.
Competenza e giurisdizione erano cioè considerati presupposti processuali indispensabili affinché la domanda giudiziale potesse esplicare i suoi effetti. La mancanza di tali presupposti determinava irrimediabilmente l’arresto del processo con una pronuncia di rito 6.
6 CHIOVENDA G., Principi di diritto processuale civile, Napoli 1912-23, p. 291 ss., spec. p. 369; CIPRIANI
F., Riparto di giurisdizione e translatio iudicii, in Rivista trimestrale di diritto processuale civile, 3/05, p.p. 729750, spec. 731.
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Fu Giuseppe Chiovenda il primo a comprendere l’irrazionalità delle norme che impedivano la prosecuzione del processo innanzi al giudice competente. Il principio del
Kompetenz-Kompetenz, in base al quale ogni giudice può pronunciarsi solo sulla propria
competenza senza poter obbligare altri giudici di pari grado a dichiararsi competenti, infatti, non aveva più ragione di esistere a seguito dell’avvento dello Stato moderno. Da questo
momento in poi il potere giurisdizionale non viene più inteso in senso patrimoniale, e cioè
come prerogativa del singolo giudice in quanto capo politico, ma viene inteso quale espressione della sovranità statale. Alla luce di tali considerazioni Chiovenda nel suo progetto del
1919-20 propose che il giudice, che si dichiarasse incompetente, fosse tenuto ad indicare
il giudice che riteneva competente, in modo tale da consentire, innanzi a quest’ultimo, la
prosecuzione del processo.
Il progetto Chiovenda fu parzialmente accolto solamente nel 1942, come dimostra
l’art. 50 del nostro codice di procedura civile.
Detto articolo, infatti, nel prevedere la riassunzione del processo innanzi al giudice
competente, assicura la salvezza degli effetti processuali e sostanziali della domanda
giudiziale. Il rapporto processuale, cioè, va considerato regolarmente costituito anche
nel caso in cui la domanda sia stata proposta innanzi ad un giudice incompetente 7. Ciò
induce ad una riflessione; vale a dire, se la domanda processuale è destinata a produrre i suoi effetti, (grazie al meccanismo della trasmigrazione del processo previsto nell’art. 50 c.p.c.), anche se chiesta innanzi a giudice incompetente, allora l’art. 99 c.p.c., il
quale recita “Chi vuole fare valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente”, contiene una formula inesatta. Tale articolo, infatti, deve considerarsi
retaggio storico del sistema precedente, il che spiega la sua antinomia con le norme
sulla competenza.
Anche la mancata previsione dell’istituto della translatio iudicii nell’ipotesi di declinatoria di giurisdizione deve sicuramente considerarsi un retaggio storico dell’epoca precedente. Si deve, in particolare, a quella concezione secondo la quale diritti soggettivi ed
interessi legittimi sono due mondi incomunicabili tra loro e, di conseguenza, anche le
rispettive giurisdizioni 8.
7 La competenza del giudice adito va considerata non già come presupposto di validità della domanda, bensì
quale condizione di legittimità del provvedimento giudiziale (ANDRIOLI V., Bilancio della legge 20 marzo
1865, n. 2248 all. E, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1965, p. 1644; DONATI F., “Traslatio
iudicii” ex art. 50 c.p.c. anche in caso di domanda proposta innanzi a giudice straniero sfornito di giurisdizio ne? (Osservaz. a Cass. 18 giugno 1987, n. 5357), in Foro italiano, 1988, I, p. 1203).
8 ANDRIOLI V., op. cit., p. 1626.
5
In realtà, il fatto che non esista una linea di demarcazione così netta tra queste due
tipologie di situazioni giuridiche soggettive è dimostrato dalla difficoltà pratica nella
quale spesso ci s’imbatte nel doverle discernere, ma soprattutto dalla presenza di fattispecie nelle quali questa distinzione è pressoché impossibile in quanto dette situazioni
soggettive si presentano particolarmente intrecciate tra loro. Quest’ultima ipotesi aveva
portato il legislatore già nel 1923 al riconoscimento della giurisdizione esclusiva del
Consiglio di Stato (R.D. 30 dicembre 1923, n. 2840 9) e la stessa Costituzione ha attribuito al legislatore la possibilità di allargare ulteriormente i confini della giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo (art. 103).
Invero, il fatto che la nostra Carta costituzionale abbia accolto come criterio fondamentale di riparto di giurisdizione quello fondato sulla distinzione tra diritto soggettivo ed
interesse legittimo non vuol dire che abbia recepito anche il principio di incomunicabilità
tra giurisdizioni diverse. Infatti, il richiamo, che gli artt. 24, 103, 113 fanno ai diritti soggettivi e agli interessi legittimi, al giudice ordinario e al giudice amministrativo, è diretto,
più che a segnare un discrimen tra le suddette situazioni giuridiche e tra le rispettive giurisdizioni, a porre sullo stesso piano di tutela giuridica i diritti soggettivi e gli interessi
legittimi 10.
In effetti, il principio di incomunicabilità tra giurisdizioni diverse non può che risultare
incompatibile con fondamentali valori costituzionali, particolarmente con quelli relativi alla
tutela giurisdizionale. Come la stessa Corte Costituzionale ha sottolineato nella sentenza in
commento, la Costituzione ha recepito il sistema precedente, fondato sulla pluralità dei giudici, al solo fine di assicurare, attraverso l’assegnazione di distinte competenze, una risposta più adeguata alla domanda di giustizia.
Sinora i prodotti giustiziali resi da giudici appartenenti al medesimo ordine sono stati
considerati fungibili tra loro, mentre tale fungibilità non è stata ritenuta sussistente tra quelli emanati da giudici appartenenti a giurisdizioni diverse. Ciò ha comportato chiaramente un
deficit di tutela giurisdizionale che esula dalla ratio sulla quale si fonda il sistema di riparto
di giurisdizione accolto dalla nostra Carta costituzionale.
9 In Gazzetta Ufficiale, 8 gennaio 1924, n. 6.
10 ANDRIOLI, op. cit., p. 1643, CORPACI A., Riparto della giurisdizione e tutela del lavoro nella pubblica
amministrazione, Milano, 1985, p.p. 332-334.
6
Questo deficit di tutela è stato particolarmente vistoso dopo l’emanazione della sentenza n. 204/2004 11, che ha dichiarato l’incostituzionalità degli artt. 33, commi 1° e 2° e 34,
comma 1°, (come sostituiti rispettivamente dalle lettere a e b della L. 21 luglio 2000 n. 205),
del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, per avere utilizzato come criterio di riparto quello fondato
su blocchi di materie, mentre l’art. 103, 1° co. della Costituzione prescrive la possibilità di
sostituire, in caso di giurisdizione esclusiva del G.A., il criterio fondato sulla dicotomia tra diritto soggettivo e interesse legittimo con quello basato sull’attribuzione di “particolari materie”.
A causa della mancata previsione dell’istituto della translatio iudicii e visto che l’efficacia retroattiva delle sentenze della Corte costituzionale non permette l’operatività del principio della perpetuatio iurisdictionis 12, non è stato possibile proseguire quelle cause pendenti che, a seguito della pronuncia della Corte, sono risultate appartenere ad una giurisdizione differente rispetto a quella innanzi alla quale erano state incardinate. Le situazioni giuridiche oggetto di tali giudizi, perciò, sono rimaste prive di tutela; tra l’altro, non si è potuto
nemmeno fare applicazione dell’istituto dell’errore scusabile per ovviare a questo inconveniente, in quanto la scelta del giudice competente è stata il risultato non già di un errore
commesso dall’attore, ma dell’applicazione di norme di legge.
Benché la portata della giurisdizione esclusiva attribuita al G.A. dal D.Lgs. n. 80/1998
e della Legge n. 205/2000 sia stata diminuita dalla sentenza 204/2004, tuttavia tali riforme
11 Corte costituzionale 6 luglio 2004, n. 204, pubblicata in: Foro Italiano, I, p. 2594, con note di S. BENINI (La
“medesima natura” delle controversie attribuite alla giurisdizione esclusiva), di F. FRACCHIA (La parabola del
potere di disporre il risarcimento: dalla giurisdizione “esclusiva” alla giurisdizione del giudice amministrativo) e
di A. TRAVI (La giurisdizione esclusiva prevista dagli art. 33 e 34 D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80, dopo la senten za della Corte Costituzionale 6 luglio 2004, n. 204); Urbanistica e Appalti 2004 p. 1031 con commento di
CONTI R., Corte costituzionale, riparto della giurisdizione e art. 34 D.Lgs. n. 80/1998: fu vera rivoluzione?;
Giurisprudenza italiana, 2005, sez. dir. civ., p. 917 con commento di CHINÈ G., I nuovi confini delle giurisdizio ni: quale futuro per la giurisdizione (elusiva) del giudice amministrativo?; Diritto e Giustizia n. 34, 2004 p. 92
con commento di CACCIOLA S., Il nuovo riparto di giurisdizione? Nei servizi pubblici si torna all’antico; Corriere
Giuridico 2004, p. 1125 con osservazioni di CARBONE V., CONSOLO C. e DI MAJO A., Il “walzer delle giuri sdizioni” rigira e ritorna a fine ottocento; Diritto e formazione, 2004 p. 1342 con commento di CINTIOLI F., La
giurisdizione piena del giudice amministrativo dopo la sentenza n. 204 del 2004 della Corte Costituzionale; ibi dem, 2004 p. 1556 con commento di GAROFOLI R., La nuova giurisdizione in tema di servizi pubblici dopo
Corte Costituzionale 6 luglio 2004 n. 204; Foro Amministrativo C. di Stato, 2004 p. 2476 con nota di MARZANO L., La Corte Costituzionale restituisce i comportamenti di cui all’art 34 D.Lgs. n. 80 del 1998 al giudice ordi nario: in tema di occupazione appropriativi una pronuncia inutiliter data?; Giornale di diritto amministrativo 2004
p. 969 con osservazione di CLARICH M., La giurisdizione elusiva del giudice amministrativo “riletta” dalla Corte
Costituzionale; www.giustizia-amministrativa.it con osservazioni di SALAMONE V., Il riparto di giurisdizione
dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 6 luglio 2004: aspetti problematici con particolare riguar do alla attività convenzionale, contrattuale, ai comportamenti pubblicistici e alla tutela dell’ambiente. Quanto
all’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale, emessa dal Tribunale di Roma il 31 luglio 2002, vd.
Consiglio di Stato, 2003, II, p. 137, con nota di ZINGALES I., Considerazioni sulla costituzionalità del riparto di
giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo alla luce della L. 21 luglio 2000, n. 205.
12 Vd. in tal senso Corte di Cassazione S.U., 16 novembre 2004, n. 21635, in Guida al diritto, 2005, 6, p. 65,
e Consiglio di Stato, sez. IV, 5 ottobre 2004, n. 6489, in Giurisprudenza italiana, 2005, p. 627.
7
legislative rappresentano un chiaro esempio di come si stia affermando sempre di più la
tendenza a sostituire il tradizionale sistema di riparto con quello fondato sulle materie.
E’ questione controversa quella relativa alla configurabilità di una giurisdizione esclusiva ordinaria, nonché della sua compatibilità con la Costituzione. Certo è che esistono già
delle normative che hanno attribuito al G.O. materie involgenti interessi legittimi 13.
Il progressivo ampliamento della giurisdizione esclusiva del G.A. e del G.O. e, quindi,
l’aumento di materie nelle quali detti plessi giurisdizionali possano conoscere indifferentemente tanto degli interessi legittimi quanto dei diritti soggettivi, denota che quel muro insormontabile, che finora ha separato la giurisdizione ordinaria da quella speciale, si sta via via
frantumando, aprendo la strada alla fungibilità tra giurisdizioni.
Che ci si stia orientando verso la fungibilità tra giurisdizioni diverse è, d’altra parte, già
riscontrabile, secondo il parere di chi scrive, nelle ordinanze delle S.U. n. 13659
13660
15
14
e n.
del 13 giugno 2006 , che hanno ritenuto sussistente la giurisdizione del G.A. in
16
materia di risarcimento del danno, scaturente da attività autoritativa della P.A., anche a prescindere dall’impugnazione del provvedimento amministrativo. Dette pronunce, infatti, evi-
13 MAZZAMUTO M., Verso la giurisdizione esclusiva del giudice ordinario?, in Giurisprudenza italiana, 1999,
p. 1126.
14 In Guida al Diritto, n. 28, 2006, p. 48, con commento di CARUSO G., Sparisce la pregiudiziale amministra tiva per garantire maggiore tutela ai cittadini.
15 Pubblicata nella rivista elettronica www.altalex.com.
16 Vd. per i commenti a tali ordinanze: LAMORGESE A., Riparto della giurisdizione e pregiudizialità ammini strativa: le Sezioni Unite non convincono, in Urbanistica e Appalti, n. 10/2006, p. 1175; CONSOLO C., DI
MAJO A. e TRAVI A., La Corte regolatrice della giurisdizione e la tutela del cittadino, in Corriere Giuridico, n.
8, 2006, p. 1041; FORLENZA O., Il risarcimento del danno da atto amministrativo illegittimo, in Il Merito, n.
10, 2006. p. 79, ANGELETTI A., La responsabilità dell’amministrazione ed il conflitto tra le Corti, in
Responsabilità civile e previdenza, 2006, p. 1206; PROIETTI R., Stop alla pregiudiziale amministrativa, rego le certe per il risarcimento danni, in Diritto e Giustizia, n. 28, 2006, p. 92; MADDALENA M. L., Risarcimento
degli interessi legittimi al G.A. ma senza pregiudiziale amministrativa, in Il Corriere del Merito, 2006, p. 1096;
CERULLI IRELLI V., prime osservazioni sul riparto delle giurisdizioni dopo la pronuncia delle Sezioni Unite, in
Astrid - Rassegna n. 33 del 2006; NUNZIATA G., Cade la “pregiudiziale amministrativa” in favore di una mag giore autonomia, in Diritto e società, n. 7, 2006; DEL DOTTO A., Giurisdizione e Danno: una pronuncia senza
certezze, in www.altalex.it; CLARICH M., Risarcimento a misura di Tar, in Il Sole 24 ore, giovedì 15 giugno
2006, p. 27; CICCIA A., Risarcimenti più semplici della p.a., in Italia Oggi, giovedì 13 luglio 2006, p. 28; SANDULLI M. A., Finalmente “definitiva” certezza sul riparto di giurisdizione in tema di comportamenti e sulla c.d.
“pregiudiziale” amministrativa? Tra i due litiganti vince la “garanzia di piena tutela”, in www.giustamm.it;
CAVALLARO M.C., Il danno da illegittimo esercizio della funzione amministrativa: giurisdizione e pregiudizia lità, in Giornale di diritto amministrativo n. 10/2006, p. 1100; SAMPOGNARO D., Pretese risarcitorie e pregiu diziale amministrativa nel più recente indirizzo delle Sezioni Unite, in Rassegna amministrativa siciliana, n.
1/2007, p.p. 440-456; VILLATA R., Pregiudizialità amministrativa nell’azione risarcitoria per responsabilità da
provvedimento, in Diritto processuale amministrativo, n. 2/2007, pp. 271 ss.; FANTI, La “rivoluzione” operata
dalla Corte di Cassazione sulla giurisdizione del giudice amministrativo in tema di pregiudizialità amministra tiva, in Diritto e procedura amministrativa, 2007, pp. 145 ss..
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denziano come lo stesso giudizio amministrativo si stia configurando sempre di più come
giudizio sul rapporto piuttosto che come giudizio sull’atto, divenendo, perciò, maggiormente affine al giudizio ordinario.
In direzione della fungibilità delle tutele giurisdizionali deve, inoltre, ritenersi la recente sentenza delle S.U. che ha enucleato il principio secondo il quale in virtù del principio
della concentrazione delle tutele, quale corollario del canone di ragionevole durata del processo postulato dall’art. 111, II co. della Costituzione, la causa principale attrae quella
subordinata originata dal medesimo rapporto sostanziale, nonostante quest’ultima sia di
per sè appartenente a giurisdizione diversa 17. Secondo un’autorevole dottrina il riconoscimento nel nostro ordinamento di una giurisdizione per connessione, oltre a costituire un
ulteriore avvicinamento alla disciplina sulla competenza, esprime l’affermazione del principio di unità ed equivalenza dei vari rami della giurisdizione, avvicinando il nostro ordinamento al modello tedesco fondato sulla fungibilità delle giurisdizioni 18.
Tutte queste pronunce tendono ad un unico traguardo e cioè quello di rendere il processo quanto più efficace possibile. Ciò implica che esso deve chiudersi con una sentenza
sul merito (e non con una pronuncia qualsiasi) e nel più breve tempo possibile.
All’uopo determinante è la nozione di giusto processo che non a caso ricorre in tutte
le pronunce summenzionate.
4. Costituzionalizzazione della translatio iudicii attraverso il canale del giusto
processo
Si è visto come si sia fatta strada l’idea secondo la quale la tutela giurisdizionale non
si realizzi con un qualsivoglia dictum del giudice, ma con una pronuncia di merito. Il processo, cioè, per essere veramente giurisdizionale, deve tendere ad un risultato effettivo, costituito dal fatto che il giudice abbia statuito sulla domanda giudiziale ed in tempi ragionevoli.
17 Cassazione S.U., 28 febbraio 2007, n. 4636, in www.iussit.eu. Nel caso di specie, in riferimento al medesimo rapporto di lavoro (sorto e svoltosi anteriormente alla privatizzazione del pubblico impiego) erano state proposte due domande tra loro connesse innanzi a giurisdizioni diverse. In ossequio al canone della ragionevole
durata del processo le S.U. hanno ritenuto che la domanda principale, della quale era stato investito il G.A. e
concernente l’accertamento di un rapporto di lavoro con un ente pubblico, dovesse attrarre quella subordinata, sebbene quest’ultima, relativa al riconoscimento di pretese patrimoniali nei confronti del medesimo ente
pubblico in quanto coobbligato in solido (e non già in quanto datore di lavoro), appartenesse al giudice del lavoro: “il giudice amministrativo avente giurisdizione sulla domanda principale può e deve conoscere di tutte le
pretese originate dalla situazione lavorativa dedotta”. Vd. commento di LA PIANA V., Il nuovo “principio di con centrazione delle tutele” ex art. 111 Cost., in Rassegna amministrativa siciliana, 2008, n. 1, p. 309.
18 CONSOLO C. e DE CRISTOFARO, Evoluzioni processuali fra translatio iudicii e riduzione della prolifera zione dei riti e dei ritualismi, in Corriere giuridico, n. 6/2007, 745-750, spec. 747-748.
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Protrarre il processo per delle mere questioni processuali e, per di più, concluderlo
con una semplice pronuncia di rito non può che frustrare le pretese del cittadino.
D’altra parte, l’art. 24 della Costituzione garantisce il diritto d’azione indistintamente a
tutti coloro che intendano difendere i propri diritti soggettivi e/o interessi legittimi e non v’è
dubbio sul fatto che sia proprio la decisione di merito l’unico strumento del giudice attraverso il quale somministrare la suddetta tutela giurisdizionale 19. Come afferma la stessa Corte
costituzionale nella sentenza in commento, “Se è vero infatti che la Carta costituzionale ha
recepito, quanto alla pluralità di giudici, la situazione all’epoca esistente, è anche vero che
la medesima Carta ha, fin dalle origini assegnato con l’art. 24 (ribadendolo con l’art. 111)
all’interno del sistema giurisdizionale la funzione di assicurare la tutela, attraverso il giudizio, dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi.”
Le S.U., dal canto loro, richiamando un’importante sentenza del 1986 della Corte
costituzionale 20, hanno affermato che “il giusto processo è diretto non allo scopo di sfociare in una decisione purchessia, ma di render pronuncia di merito stabilendo chi ha ragione
e chi ha torto, onde esso deve avere per oggetto la verifica della sussistenza dell’azione in
senso sostanziale e, nei limiti del possibile, non esaurirsi nella discettazione sui presupposti processuali.”21.
In sostanza, ciò che accomuna la Suprema Corte ed il Giudice delle leggi è l’idea di
fondo secondo la quale il provvedimento giudiziale di merito reso entro termini ragionevoli
altro non è che quel risultato finale cui deve pervenire il giusto processo.
A questo punto, è evidente come un istituto quale la translatio iudicii, volto al perseguimento di detto traguardo, abbia assunto una connotazione costituzionale e come ciò sia
stato reso possibile attraverso l’utilizzazione della formula “giusto processo”. Detta formula
non è, infatti, - come si è detto all’indomani dell’entrata in vigore della L. costituzionale n.
2/1999 che ha novellato l’art. 111 della Costituzione - meramente ripetitiva di principi già
immanenti nella Costituzione e, perciò, priva di una sua portata innovativa. Come aveva già
19 ANDOLINA I. - VIGNERA G., I fondamenti costituzionali della giustizia civile, Giappichelli, Torino, 1997, p.
92 ss..
20 Corte costituzionale 16 ottobre 1986 n. 220, in Foro italiano, 1986, I, p. 2669. Detta sentenza, il cui estensore è stato non a caso Virgilio Andrioli, ha così statuito: “il giusto processo civile viene celebrato non già per
sfociare in pronunce procedurali che non coinvolgono i rapporti sostanziali delle parti che vi partecipano siano esse attori o convenuti, ma per rendere pronuncia di merito rescrivendo chi ha ragione e chi ha torto: il
processo civile deve avere per oggetto la verifica della sussistenza dell’azione in senso sostanziale di chiovendiana memoria, né deve, nei limiti del possibile, esaurirsi nella discettazione sui presupposti processuali,
e per evitare che ciò si verifichi deve operare il giudice”.
21 Vd. in dottrina ORIANI, (Giudice ordinario, giudice di pace, “translatio iudicii”?, in Corriere giuridico, 2005,
p. 1463), il quale ribadisce che “Il processo si fa non per sapere se c’è giurisdizione o competenza, legittima tio ad processum, integrità del contraddittorio ecc., ma per accertare chi ha torto e chi ha ragione”.
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avuto modo di affermare un’autorevole dottrina, il giusto processo costituisce una clausola
generale volta a funzionare come norma di apertura del sistema delle garanzie costituzionali della giurisdizione 22. Ciò vuol dire che è munito di una forza espansiva tale da ricomprendere principi e garanzie processuali non tipizzati dalla Costituzione, ma percepiti dal
diritto vivente come indispensabili ai fini di un’effettiva e completa tutela giurisdizionale.
5. Le sentenze delle due Corti a confronto
Come già accennato, le sentenze in commento giungono al medesimo risultato per vie
differenti. Il Giudice delle Leggi, infatti, contrariamente alle S.U., ritiene che non sia affatto
possibile enucleare l’istituto della translatio iudicii mediante una lettura evolutiva delle
norme processuali vigenti, benché costituzionalmente orientata.
In particolare, la Corte costituzionale dichiara di non condividere l’argomentazione
delle S.U., secondo la quale il fatto che non sia prevista in materia di giurisdizione una disciplina sulla translatio iudicii come per la competenza (artt. 44, 45, 50 c.p.c.), non implica un
divieto di applicazione di siffatto istituto nei rapporti tra giudice ordinario e giudice speciale.
Ed invero, l’espressa previsione della translatio iudicii con esplicito ed esclusivo riferimento alla “competenza” da parte del codice del 1942, non può avere, secondo la Corte, altro
significato se non quello di escludere da tale disciplina sulla translatio proprio la giurisdizione 23. Un’espressa previsione in tal senso sarebbe stata soltanto superflua. Per tali ragioni,
dunque, sempre secondo l’avviso del Giudice delle leggi, va sicuramente esclusa la possibilità di un’interpretazione estensiva degli artt. 50 e 367, c.p.c. 24.
Le S.U., invece, sottolineano come l’art. 367, secondo comma, il quale prevede la
riassunzione, a seguito di regolamento di giurisdizione, solo davanti al giudice ordinario (“se
la corte di cassazione dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, le parti debbono riassumere il processo entro il termine perentorio di sei mesi dalla comunicazione della sentenza”), non possa essere correttamente interpretato senza considerare che quando è stato
emanato detto articolo, il regolamento di giurisdizione non era ancora stato esteso alla giurisdizione amministrativa (art. 30, Legge n. 1030/1971) e a quella tributaria (D.Lgs. n.
546/1992), sicché la continuazione del processo era ammessa solo quando la Cassazione
dichiarava la giurisdizione del giudice ordinario. Occorre, cioè, tener conto del contesto sto-
22 VIGNERA G., Le garanzie costituzionali del processo civile alla luce del “nuovo” art. 111 cost, in Rivista tri mestrale di diritto e procedura civile, fasc. 4, 2003, pp. 1185-1240.
23 Cfr. con Cass., sez. III, 20 agosto 1998, n. 8247, in Giustizia civile, Massimario, 1998, p. 1739.
24 Virgilio Andrioli, invece, fece leva proprio su tali articoli per poter ammettere l’estensione della translatio in
materia di giurisdizione.
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rico che ha dato luogo a tale disposizione per poter ovviare all’ostacolo derivante dal suo
tenore letterale 25. Ritenere che l’art. 367 operi nell’unico senso favorevole al giudice ordinario costituirebbe una violazione del diritto d’azione ex art. 24 della Costituzione, nonché
dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza previsti dall’art. 3 della medesima 26. Ne
segue che la Cassazione potrà disporre, ex art. 367, secondo co., la continuazione del processo innanzi al giudice ordinario, non solo quando il regolamento di giurisdizione sia stato
chiesto nel corso di un processo ordinario, ma anche quando sia stato proposto nel giudizio innanzi ad un giudice speciale; allo stesso modo, la prosecuzione del processo sarà
ammissibile innanzi al giudice speciale sia che il regolamento venga chiesto nell’ambito di
un giudizio ordinario che nell’ambito di un giudizio speciale. Una diversa soluzione, secondo la S.C., introdurrebbe una grave anomalia nel sistema e “finirebbe per premiare iniziative pretestuose in danno della parte che, pur avendo adito il giudice fornito di giurisdizione,
non potrebbe innanzi ad esso continuare ad esporre le sue ragioni di merito”.
Ma è l’interpretazione che le S.U. danno all’art. 382 a fondare l’argomentazione più
convincente a favore del riconoscimento nel nostro ordinamento dell’istituto della translatio
iudicii. Detto articolo, concernente la decisione da parte della Cassazione sulle questioni di
giurisdizione e di competenza, stabilisce, al primo comma, che, qualora la Corte di
Cassazione decida una questione di giurisdizione, statuisce su questa, determinando,
quando occorre, il giudice competente; la decisione sulla giurisdizione, dunque, contiene
l’indicazione del giudice fornito di giurisdizione. Tale indicazione mancherà nella fattispecie
disciplinata dal 3° comma del medesimo articolo. A mente di detto comma se la Cassazione
riconosce che il giudice del quale si impugna il provvedimento ed ogni altro giudice, difettano di giurisdizione, cassa senza rinvio e ugualmente provvede in ogni altro caso in cui
ritiene che la causa non poteva essere proposta o il processo proseguito. In tal caso, la S.C.
non si limita ad accertare la carenza di giurisdizione del giudice a quo, ma pronuncia difetto assoluto di giurisdizione e, perciò, non dispone alcun rinvio 27. Nella logica del codice il
rinvio è stato previsto in funzione della continuazione del processo e dal momento che la
Cassazione cassa senza rinvio nell’ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, solo in questo caso non potrà aversi la continuazione del processo.
25 Vd. DELLE DONNE C., La Cassazione, la Consulta ed il principio di conservazione degli effetti della
domanda proposta a giudice privo di potestas iudicandi. La parola passa ora al legislatore, in www.judicium.it.
26 ZINGALES I., op.cit., pp. 505 ss.; ANDRIOLI, op. cit., p. 1644.
27 In tale ipotesi la Cassazione accerta l’inesistenza di una norma di diritto che tuteli l’interesse dedotto in giudizio e, dunque, la sua pronuncia costituisce decisione definitiva di merito, che non consente alcuna prosecuzione del processo (Proto Pisani A., Problemi e prospettive in tema (di regolamento) di giurisdizione e di
competenza, in Foro italiano, I, 1984, parte V -7, p. 89 ss., Cass. S.U. 31 marzo 2006, n. 7577, in Giustizia
civile, massimario 2006, 3; Cass. S.U., 30 marzo 2005, n. 6635, ivi, 2005, 3.
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In particolare, l’espressione “ogni altro giudice” non può che riferirsi ad ogni giudice
appartenente ad una giurisdizione diversa da quella di cui fa parte il giudice che ha emanato la decisione impugnata, e quindi un giudice speciale se il giudice che ha emanato la
decisione è ordinario, oppure un giudice ordinario se il giudice che ha emanato la decisone impugnata è speciale. E’, perciò, conforme alla lettera dell’art. 382 la proseguibilità del
processo innanzi al giudice speciale anche se il giudice a quo era ordinario e allo stesso
modo è conforme a detto articolo anche il caso inverso.
Il senso di tale disposizione verrebbe confermato dall’art. 386, il quale statuisce che la
decisione sulla giurisdizione viene determinata dall’oggetto della domanda e, quando prosegue il giudizio, non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto e sulla proponibilità
della domanda 28. L’inciso “quando prosegue il giudizio” allude senz’altro all’ipotesi in cui il
giudizio prosegue in quanto non si verte in tema di improponibilità assoluta della domanda.
Va, altresì, precisato che secondo le S.U. la riassunzione del processo deve poter
operare non solo a seguito dell’intervento della Cassazione
29
(e quindi non solo dopo l’e-
sperimento degli strumenti del ricorso ordinario ex art. 360, n. 1, del regolamento di giurisdizione ex art. 41 e della risoluzione dei conflitti negativi di giurisdizione ex art. 362,
comma 2), ma anche a seguito di declinatoria da parte del giudice di merito.
Un’interpretazione diversa sarebbe in palese contrasto con il principio di ragionevole durata del processo. Tra l’altro, potrebbe accadere che l’attore che si sia reso conto di aver sbagliato nella scelta della giurisdizione competente e che, quindi, condivida appieno la declinatoria del giudice adito, tuttavia sia costretto a proporre ricorso in Cassazione contro il
suddetto provvedimento, pur di ottenere il nullaosta della Cassazione 30.
In definitiva, le argomentazioni espresse dalla S.C. portano a concludere che non sia
necessario l’intervento della Corte costituzionale
31
quanto può affermarsi che sia già stato
dato ingresso nel nostro ordinamento all’istituto della translatio iudicii.
28 PROIETTI R., Problemi di giurisdizione, translatio iudicii ed effettività della tutela giudiziaria, in Il corriere
del merito, n. 5/07, p. 643.
29 Ipotesi che qualcuno ha denominato “translatio verticale” (BUONCRISTIANI D., Giurisdizione, competen za, rito e merito (problemi attuali e possibili soluzioni, in Rivista di diritto processuale, 1994, fasc. 1, p. 151
ss.; GASPERINI, Il sindacato della Cassazione sulla giurisdizione tra rito e merito, Padova, 2002, p. 319 ss.).
30 ORIANI, Sulla translatio iudicii dal giudice ordinario al giudice speciale (e viceversa), in Foro italiano, parte
V-2, fasc. 3, 2004, p. 9 ss.
31 Vd. in dottrina ZINGALES I., (Pubblica amministrazione e limiti della giurisdizione tra principi costituziona li e strumenti processuali, Giuffré ediz., 2007, p. 64), il quale aveva già osservato come un’interpretazione del
sistema conforme a Costituzione (c.d. “interpretazione adeguatrice”), da ritenersi possibile soprattutto alla
luce della lettera dell’art. 382, 3° comma c.p.c., renda non indispensabile l’intervento della Corte costituzionale nella materia de qua.
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La Corte costituzionale, invece, oltre a dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 30 della L.
Tar, auspica l’intervento del legislatore 32, in particolar modo nella disciplina delle modalità
di attuazione del meccanismo della translatio iudicii.
Unico vincolo per il legislatore ordinario sarà quello di “dare attuazione al principio
della conservazione degli effetti processuali e sostanziali prodotti dalla domanda proposta
a giudice privo di giurisdizione nel giudizio ritualmente riattivato - a seguito di declinatoria
di giudizio - davanti al giudice che ne è munito.” A tal fine il legislatore dovrà prevedere che
ogni giudice, nel declinare la propria giurisdizione, dovrà indicare quello che, a suo avviso,
ne è munito, fermo restando che è libero di disciplinare nel modo che ritiene più opportuno
il meccanismo della riassunzione ed anche di scegliere se mantenere il principio in base al
quale ogni giudice è giudice della propria giurisdizione ovvero di stabilire il principio opposto sulla falsariga della disciplina sulla competenza.
6. Rilievi critici finali
In effetti, la Corte costituzionale nell’auspicare l’intervento del legislatore lascia aperte talune questioni. Una di queste è sicuramente quella relativa alla determinazione delle
modalità di riassunzione (forma dell’atto, termine di decadenza, modalità di certificazione
e/o deposito, ecc.) 33. E non si tratta certamente di un problema di poco conto. Finché non
ci sarà tale intervento legislativo come si potrà dare attuazione al principio di conservazione degli effetti della domanda proposta innanzi a giudice privo di giurisdizione, introdotto
dalla Corte costituzionale nel nostro ordinamento?
La Corte si limita a dire che i giudici ben potranno, ove possibile, utilizzare gli strumenti ermeneutici che ritengono più adatti. Ebbene, la via più semplice non potrà che essere
32 Lo scorso 2 ottobre è stato approvato dalla Camera dei Deputati il disegno di legge n. 1441-bis
(“Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, nonché in materia di processo
civile”), il cui art. 38 prevede la disciplina della translatio iudicii, conseguente alla pronuncia declinatoria della
giurisdizione, davanti al giudice effettivamente munito della potestas iudicandi (per un primo commento vd.
LIPARI M., La translatio del processo nel disegno di legge governativo approvato dalla Camera dei Deputati
(AS-1082): certezze e dubbi, nella rivista on-line www.federalismi.it, n. 22/2008.
33 PROIETTI R., Problemi di giurisdizione, translatio iudicii ed effettività della tutela giurisdizionale, in Il
Corriere del merito, n. 5/2007, p. 645.
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quella di applicare analogicamente le norme già vigenti in tema di riassunzione34. E, dunque, le modalità da seguire per la riassunzione saranno quelle elencate dall’art. 125 disp.
att., c.p.c., mentre il termine sarà quello indicato dalla sentenza sulla giurisdizione, o, in
mancanza di quest’ultimo, quello di 6 mesi dalla comunicazione della sentenza 35. Ma non
è stata proprio la Corte ad escludere a priori l’applicazione analogica nell’ambito della giurisdizione delle norme sulla competenza in tema di translatio iudicii?
Di difficile soluzione si prospetta, poi, la questione relativa alla determinazione della
forma dell’atto di riassunzione. Non bisogna dimenticare infatti le differenze che intercorrono tra i riti che si svolgono innanzi alle varie giurisdizioni ed in particolare che mentre il giudizio amministrativo ruota sull’atto amministrativo e si occupa della tutela dell’interesse
legittimo, il giudizio ordinario s’incentra sul rapporto e tutela il diritto soggettivo. E’ facile
immaginare che non basterà un semplice richiamo all’atto introduttivo del giudizio iniziato
innanzi al primo giudice, ma sarà necessario effettuare alcuni adattamenti, attuabili, ad
esempio attraverso la tecnica della emendatio libelli oppure, attraverso una deroga al divieto di domande nuove (semprecché possa ritenersi possibile), in considerazione della labilità che intercorre spesso e volentieri tra diritto soggettivo ed interesse legittimo 36.
Poco condivisibile, inoltre, appare a chi scrive la distinzione che il Giudice delle Leggi
opera tra il principio di conservazione degli effetti della domanda e il principio della trasmigrazione del processo come se si trattasse di due cose totalmente separate tra loro, e non
invece l’effetto l’uno dell’altro. Convince poco anche il richiamo fatto all’art. 125 disp. att.,
c.p.c., il quale si limita a disciplinare in generale l’istituto della riassunzione della causa,
34 Vd., a tal proposito, la decisione 19 giugno 2008, n. 3065 della VI sezione del Consiglio di Stato 19 giugno 2008, n. 3065 (in www.altalex.it), che ha annullato per difetto di giurisdizione la sentenza di primo grado,
rimettendo le parti davanti al G.O. per la continuazione del giudizio di merito e fissando per la riassunzione il
termine di mesi sei dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notificazione della decisione. Il Consiglio di
Stato ha, così, ritenuto che ai fini dell’individuazione del termine per la riassunzione possa essere applicato
analogicamente l’art. 50 c.p.c., stante che “con l’affermazione del principio della translatio anche tra diverse
giurisdizioni (e non solo tra diversi giudici appartenenti allo stresso plesso giurisdizionale), il difetto di giurisdizione diventa per molti aspetti analogo al difetto di competenza del giudice adito.”. Hanno parimenti rimesso
la causa al G.O., fissando il termine di riassunzione in base all’applicazione analogica dell’art. 50, Consiglio
di Stato, sez. VI, 13 marzo 2008, n. 1059 (in Urbanistica e appalti n. 7, 2008, p. 855 ss., con commento di
TRAVI A.) e Consiglio di Stato, sez. V, 20 agosto 2008, n. 3969 (in Urbanistica e appalti n. 1, 2009, pp. 81 ss.,
con commento di MEALE A.).
35 CONSOLO C., DE CRISTOFARO M., Evoluzioni processuali tra translatio iudicii e riduzione della prolife razione dei riti e dei ritualismi, in Corriere giuridico, n. 6/2007, p.746.
36 Secondo un orientamento (BuonCristiani) l’applicazione della translatio iudicii tra giurisdizioni diverse va
esclusa proprio in considerazione del fatto che “l’istituto della prosecuzione del giudizio presuppone un’identità dell’oggetto del contendere”. Dubbi a tal proposito sono stati sollevati da Fabbrini in occasione della presentazione del disegno di legge n. 2246 del 1976, che contemplava la traslazione del processo tra giudice
ordinario e giudice speciale. Tale autore ha infatti sottolineato che in siffatta ipotesi i giudici sono chiamati a
decidere su situazioni giuridiche differenti.
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come riprova del fatto che la previsione normativa della sola riassunzione non è sufficiente
a garantire la conservazione degli effetti della domanda 37.
Sulla base di tale assunto si dovrebbe giungere alla dichiarazione d’incostituzionalità
anche dell’art. 50, c.p.c., in quanto nemmeno in questo articolo è riscontabile alcun accenno
al principio di conservazione degli effetti processuali e sostanziali della domanda giudiziale.
Invero, chi scrive si permette d’interrogarsi sulla stessa opportunità di dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 30 della L. n. 1034/1971.
Tale norma prevede al 1° comma la possibilità, da parte del giudice amministrativo, di
rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione, al 2° l’impugnabilità innanzi al Consiglio di Stato
delle sentenze sulla giurisdizione pronunciate dai tribunali amministrativi regionali, e al 3°
comma estende al processo amministrativo lo strumento del regolamento preventivo di giurisdizione contemplato dall’art. 41 c.p.c. Ebbene, dall’esame di tali disposizioni non si vede
in che senso esse possano ostare al meccanismo della trasmigrazione del processo dal
G.A. al G.O. e, conseguentemente, alla salvezza degli effetti della domanda.
E’ evidente come attraverso l’impostazione de iure condito fornita dalle S.U. si evita
d’incorrere nelle incongruenze riscontrabili nella sentenza della Corte costituzionale.
Oltretutto, l’interpretazione evolutiva della S.C. concerne disposizioni contenute nel codice
di rito, che, quindi, hanno una portata più generale rispetto all’art. 30 della L. Tar concernente la sola giurisdizione amministrativa. Le statuizioni delle S.U., infatti, si occupano del
tema della trasmigrabilità del processo, non solo tra G.O. e G.A., ma, più in generale, tra
giudice ordinario e giudice speciale. Tuttavia, non è da pensarsi che possano ritenersi
escluse dal regime della translatio quelle giurisdizioni speciali diverse da quella amministrativa (ad esempio, commissioni tributarie, Corte dei Conti, tribunale superiore delle acque
pubbliche, ecc.) 38. Anche in questo caso potrà farsi ricorso ad una interpretazione analogica, in modo da porre rimedio alle suddette lacune.
A ben riflettere, se proprio si vuole riscontrare una norma della l. Tar contrastante col
meccanismo della translatio iudicii, questa non può essere che l’art. 34 della medesima.
Tale articolo prevede, infatti, che il Consiglio di Stato se riconosce, nel corso del giudizio di
appello, il difetto di giurisdizione o di competenza del Tribunale amministrativo regionale,
annulla la decisione impugnata senza rinvio. E’ chiaro che tale norma sia stata adottata
37 A dire della Corte “la possibilità - esplicitamente prevista dalla legge ovvero desumibile attraverso una
sistematica “ricucitura” delle norme - di riassumerne il processo non implica di per sé che la domanda proposta in riassunzione conservi gli effetti prodotti da quella originaria.”.
38 ORIANI R., E’ possibile la “translatio iudicii” nei rapporti tra giudice ordinario e giudice speciale: divergen ze e consonanze tra Corte di cassazione e Corte costituzionale, in Foro italiano, n. 4, aprile 2007, p. 1022.
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nella logica dell’incomunicabilità fra giurisdizioni diverse, altrimenti avrebbe previsto che il
Consiglio di Stato, anziché annullare senza rinvio, debba indicare il giudice che ritiene competente, in modo da favorire la continuazione del processo.
Non convince, dunque, la S.C. allorché, pur di rendere compatibile tale disposizione
con il sistema della translatio, ha ritenuto di doverla interpretare nel senso che l’annullamento senza rinvio debba intendersi solo nel caso in cui il Consiglio di Stato ritenga che
sussista un’ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione. Dalla lettera di tale articolo non si
evince affatto tale interpretazione e, d’altra parte, il suo tenore letterale appare visibilmente lontano da quello dell’art. 382, c.p.c., dove si dice chiaramente che la cassazione senza
rinvio è conseguenza dell’accertata assenza di giurisdizione in capo a qualsiasi giudice.
Sarebbe, perciò, stato più corretto sottoporre al sindacato di legittimità costituzionale
non già l’art. 30 ma l’art. 34; ma sarebbe stato ancora più logico sottoporre all’attenzione
della Corte quelle disposizioni del codice di procedura civile che hanno da sempre costituito motivo di ostacolo al riconoscimento dell’operatività del meccanismo della translatio iudi cii (ci si riferisce in particolare all’art. 367, che limita la continuazione del processo alla sola
ipotesi in cui la Corte di Cassazione ritenga che sia il giudice ordinario ad essere munito di
giurisdizione). La stessa Corte ha affermato che, in base al codice del 1942, a seguito della
dichiarazione del difetto di giurisdizione, vengono meno gli effetti della domanda giudiziale,
meccanismo questo che deve essere espunto dal nostro ordinamento.
È pur vero che la questione di pregiudizialità sollevata dal Tar di Genova innanzi alla
Corte costituzionale aveva ad oggetto il solo art. 30 e, dunque, la Corte, vincolata all’esame di detto articolo, evidentemente non ha voluto perdere l’occasione di sancire un ulteriore principio teso a rafforzare la tutela giurisdizionale del cittadino.
L’inconsistenza delle critiche che il giudice delle leggi muove nei confronti della sentenza n. 4109/07 delle S.U. si evince, inoltre, dal fatto che, sebbene l’impostazione de iure
condito elaborata dalla S.C. sia fondata essenzialmente sull’art. 382, c.p.c., la Corte costituzionale non si sforza minimamente di dare una diversa interpretazione di detto articolo,
anzi non ne fa alcun accenno. In effetti, secondo l’opinione di chi scrive, la lettera dell’art.
382 dimostra che non è affatto azzardato ritenere operante nel nostro ordinamento il meccanismo della translatio iudicii fra giurisdizioni diverse, nonostante il codice di rito non lo
preveda esplicitamente.
La linearità dell’iter logico tracciato dalla S.C. si evince, inoltre, dal fatto di aver trattato dell’operatività della translatio, non solo limitatamente all’ipotesi in cui le S.U. abbiano
deciso sulla giurisdizione indicando il giudice competente, ma anche riguardo al caso in cui
la decisone sulla giurisdizione sia stata resa da un giudice di merito.
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In particolare, le S.U. tengono a precisare che, contrariamente alle loro pronunce sulla
giurisdizione, quelle del giudice di merito sono prive di efficacia vincolante (cd. efficacia panprocessuale). Ne segue che il giudice indicato dal giudice a quo come munito di potestas
iudicandi, possa, a sua volta, declinare la giurisdizione e, così pure, il giudice adito per
primo, creando, perciò, una situazione di stallo alla quale la Corte di Cassazione potrà porre
fine ai sensi dell’art. 362, 2° co.. A tal proposito, la Corte costituzionale replica che non si può
affidare la translatio ad un rimedio esperibile in ogni tempo. E’ facile ribattere che la S.C. è
lungi dall’affermare che la ratio dell’art. 362, 2° co. sia quella di realizzare la translatio iudi cii, ma, piuttosto, si limita a dire che, in base alla suddetta norma, l’intervento della Corte di
Cassazione ha lo scopo di porre rimedio alla situazione di stallo che si viene a creare a
seguito di un conflitto negativo reale di giurisdizione, conflitto che, peraltro, non sorgerebbe
qualora le decisioni sulla giurisdizione dei giudici di merito avessero efficacia vincolante.
Fin qui si è cercato di mettere in luce le divergenze sussistenti tra i percorsi argomentativi tracciati nelle sentenze in esame. In premessa si è anche accennato al fatto che nonostante le due Corti si siano mosse su versanti opposti, tuttavia, siano riuscite a convergere
nel medesimo risultato. Si è anche spiegato come il superamento dell’incomunicabilità tra
giurisdizioni diverse si inserisca in un processo più ampio, volto ad ottenere la cosiddetta
fungibilità tra giurisdizioni. Di questo stesso processo fanno parte il cosiddetto principio di
concentrazione delle tutele, nonché la tendenza a prevedere legislativamente campi sempre più vasti, entro i quali G.O. e G.A. possano conoscere indifferentemente di diritti soggettivi e di interessi legittimi.
Ebbene, è opinione di chi scrive che tali fenomeni stiano ponendo le premesse per
una riconsiderazione generale di tutto il sistema di riparto di giurisdizione. Se è vero, infatti, che ci si sta muovendo verso una concezione unitaria della giurisdizione, è altrettanto
vero che a lungo andare un intervento riformatore, ben più ampio di quello auspicato dalla
Corte costituzionale nella sentenza n. 77/07, non potrà che risultare imprescindibile. Non ci
si accontenterà più di modifiche legislative che vadano ad incidere sul codice di procedura
civile o sull’art. 30 della L. Tar, in modo da eliminare ogni ostacolo all’operatività della tran slatio iudicii, ma si sentirà il bisogno di instaurare un vero e proprio sistema di giurisdizione
unica e, dunque, un sistema caratterizzato dalla suddivisione in sezioni (civili, penali e
amministrative), dove, in caso di errata individuazione del giudice competente, la causa
possa tranquillamente trasmigrare da una sezione all’altra e dove i possibili conflitti tra le
diverse sezioni possano essere risolti in maniera più agevole 39.
39 Proto Pisani, Verso il superamento della giurisdizione amministrativa?, in Foro italiano, V, 2001. p. 27.
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