Ottobre / Dicembre 2011 N°9 - Anno III Poste Italiane s.p.a. – Spedizione in Abbonamento Postale –70% - S1/CB ISSN: 2036-3028 © IL CASTELLO DI GAMBATESA IN EPOCA NORMANNA di Maria Teresa Lembo DUE SEPOLTURE DA BAGNOLI DEL TRIGNO I MARCHESI MECENATI DI PIETRACATELLA di Matteo Venturini di Michele Pasquale BORGO S. ROCCO E CONTRADA DE’ MOLINI (IS) TARANTISMO MOLISANO di Francesco de Vincenzi di Mauro Gioielli SPECIALE TESI: NUOVE STRUTTURE PER IL PALEOPARCO DI ISERNIA di Fabio De Rosa Il castello di Gambatesa in epoca normanna di Maria Teresa Lembo “[…] Historia est testis temporum, lux veritatis vita memoriae, magistra vitae, nunzia vetustatis […]” Cicerone (De Oratore, 2, 9, 36) Prospetto del castello su Via del Carmine di sotto, in direzione Nord (foto: M.T. Lembo) 18 19 Il castello di Gambatesa è un indiscutibile e rilevante monumento architettonico collocabile all’interno di una estesa area di rilevanza archeologica coincidente con l’alta valle del fiume Fortore. Terra di confine, punto di incontro tra la cultura del Tavoliere e quella del Sannio, l’alta valle del Fortore, principale accesso settentrionale alla Puglia, già in epoca classica fu caratterizzata dalla presenza di villae rusticae ed insediamenti rurali e fu attraversata da una strada, probabilmente realizzata in epoca repubblicana di cui sopravvive parte di un pon- 20 te in agro di Tufara. Interessante risulta in tal senso l’iscrizione latina del I sec. a. C. proveniente da Gambatesa “[- - -]C.f. Cam(ilia) hic situ[s est]” che attesterebbe la presenza nel territorio di un insediamento romano. Nel X secolo il fiume Fortore divenne una frontiera politica e culturale tra la rete dei castra signorili longobardi a nord e quella delle città murate bizantine a sud, di diversa natura politica, ma di identica capacità agglomerante. I Longobardi si stanziarono a presidio della strada strategica che collegava Isernia a Benevento e in un’area da cui, tramite Campobasso, si poteva raggiungere la Puglia rimasta sotto il controllo bizantino. Ad una siffatta logica difensiva potrebbe ricollegarsi la presenza di alcune farae tra cui quella individuata presso Gambatesa, nella località omonima. Il termine fara deriva dalla consuetudine di praticare periodiche migrazioni cui erano abituati i Germani a causa sia della povertà dei suoli delle lande del Nord Europa da cui provenivano, sia dai continui attriti tra le singole tribù in fase di espansione. Questo modo di vivere nomade, caratterizzato da continui spostamenti di gruppi familiari, era talmente radicato che il termine fara è tuttora vivo nelle lingue germaniche moderne, si veda il tedesco “fahren” = viaggiare. Le diverse farae, guidate dai propri capi, si sparsero sul territorio in modo spontaneo, con uno scarso coordinamento e, in considerazione anche del numero complessivamente esiguo dei nuovi immigrati, si insediarono principalmente in luoghi concentrati, di spiccato valore strategico, dai quali fosse agevole il controllo dei territori occupati; furono perciò predilette le aree di città strategicamente rilevanti già in epoca precedente, disposte lungo le principali vie di traffico e dotate di strutture qualificate, oppure centri sopraelevati, efficaci come punti di osservazione. Appare evidente come un siffatto stanziamento non potesse che rivestire un carattere militare e difensivo, forse proprio in virtù di consistenti oscillazioni della frontiera con i territori bizantini della Puglia. La cultura feudale e privatistica normanna vi si sovrappose saturando gli spazi di più debole occupazione ed il Fortore fu presidiato in modo capillare. I Normanni giunsero a stabilirsi nelle regioni meridionali probabilmente mentre erano diretti verso la Terra Santa. Indomabili guerrieri, furono assoldati nei primi decenni dell’XI secolo come mercenari dai vari principi longobardi e dagli alti funzionari bizantini. Inizialmente si trattò di piccoli gruppi di cavalieri provenienti dall’aristocrazia minore del ducato di Normandia. Nell’altra pagina: Prospetto del castello su “Largo del Castello”, in direzione Nord-Ovest (foto: M.T. Lembo) In basso: I normanni nell’Italia meridionale (da web) Ricostruzione ideale di un “mastio” con recinto in epoca normanna (da web) 21 modifiche al paesaggio che vide l’abbandono dell’insediamento a carattere sparso, costituito da curtes e casae coloniche, a favore di stanziamenti compatti e serrati, denominati nelle fonti castra e castella, sviluppati intorno ad un nucleo fortificato, rocca castri, e concentrati alle sommità di colline e crinali. Ma gli effetti che il processo di incastellamento produsse sul paesaggio e sull’assetto insediativo del territorio non furono semplicemente di ordine militare: attrezzare militarmente un territorio, significava aumentarne in modo determinante le potenzialità agrarie ed insediative. L’insediamento divenne più accentrato ed il paesaggio si conformò alla nuova organizzazione del territorio: scomparvero o diminuirono le abitazioni che nelle campagne sorgevano direttamente sui poderi, mentre a ridosso delle mura Erano soliti conquistare o farsi assegnare un certo territorio di cui essere signori. Il comes, dominator o senior normanno, residente in un castello fortificato entro le mura di un insediamento preesistente, radunava intorno a sé un certo numero di milites, per la maggior parte fratelli, nipoti o altri parenti, che, in caso di necessità, poteva essere integrato da pochi fidati elementi di estrazione locale; l’amministrazione del territorio, invece, era affidata in genere a iudices, vicecomites, camerarii o strategi di origine locale. Sembra che la maggior parte dei signori feudali normanni risiedesse in castella o castra che in genere preesistevano alla conquista. In caso di loro estrazione sociale più bassa, furono soliti mantenere il nome della località conquistata; mentre, i conquistatori di rango più elevato imposero il nome del proprio luogo d’origine, un cosiddetto cognomen 22 In basso: Prospetto del castello in direzione Nord-Ovest (disegno: M.T. Lembo) Nell’altra pagina: Localizzazione su Carta I.G.M. 1:25.000 del castello (elaborazione grafica: M.T. Lembo) dei castelli si concentrarono le coltivazioni di maggior pregio, orti e vigneti, contornate da fasce concentriche di pascoli e infine dai boschi. Intanto, alcuni cronisti dell’epoca, come Guglielmo di Puglia e Goffredo Malaterra, cominciarono a precisare, anche sul piano semplicemente terminologico, la differenza tra il castrum, insediamento fortificato o castello circondato da abitazioni, da una cinta muraria e da aree di intensa colonizzazione agricola, ed il castellum o la rocca, fortificazione isolata a carattere specificamente militare. toponomasticum, come nel caso di Gambatesa. La venuta in Molise dei Normanni iniziò a partire dal 1042, ad opera di Rainulfo Drengot e comportò, in primo luogo, il consolidamento del regime feudale. Il fenomeno dell’incastellamento normanno che ne scaturì, si contraddistinse per il carattere militare e feudale che conferì ad ogni opera difensiva il ruolo di fulcro del potere dal quale dipendevano una serie di obblighi militari. Tale fenomeno storico, di ampia portata, successivo alla disgregazione dell’impero carolingio, si sviluppò a partire dal X secolo, determinando il sorgere di nuovi sistemi insediativi, difesi naturalmente, grazie alla scelta di siti elevati e non facilmente accessibili, o artificialmente, tramite l’innalzamento di appositi apparati di assedio. L’operazione, che avvenne per iniziativa signorile, sia laica che religiosa, apportò radicali 23 Nell’altra pagina: Pianta del secondo livello del castello (disegno: M.T. Lembo) A sinistra: Particolare di una delle torri angolari del castello su Via del Carmine di sotto, in direzione Nord-Est (foto: M.T. Lembo) L’esistenza di un nucleo fortificato a Gambatesa tra la fine del regno di Ruggero II d’Altavilla e l’inizio di quello di Guglielmo II, detto il Buono, si evince dal Catalogus Baronum, registro che quest’ultimo fece compilare intorno all’anno 1150. Si tratta di un catalogo che doveva servire per la Magna Expeditio, per formare cioè un esercito regio destinato a contrastare la minaccia di un attacco al Regno di Sicilia. Esso contiene, in forma descrittiva, il registro dell’esercito straordinario e cita tutti i castella del Regno di Sicilia, con la menzione di fanti, cavalieri, soldati e serventi che ogni feudo doveva fornire. Il Catalogus Baronum documenta che tutti i castelli erano centri di altrettanti feudi tenuti, nella maggior parte dei casi, da cavalieri di origine normanna e che dovevano il servitium militis all’esercito regio. Tale servizio era proporzionato al valore del feudo, a sua volta calcolato in base all’unità di misura del 24 feudum unius militis. Il servitium militis consisteva nel versamento periodico di una quantità di risorse sufficienti al sostentamento di un cavaliere armato alla pesante. Essendo, poi, proporzionato al valore del possesso feudale, i criteri di calcolo utilizzati nei due casi, erano identici. L’espressione feudum unius militis indicava l’ammontare del servizio di cavalieri dovuto da ciascun feudatario. L’uso di determinare ed eventualmente variare, il valore dei possessi feudali, fu introdotto da Ruggero II, non solo per imporre ai feudatari il dovuto servitium militis, ma anche per regolare le numerose tasse che i feudatari dovevano pagare. Si ritiene che tale prassi si sia diffusa precocemente nei domini normanni dell’Italia meridionale. Nel Catalogus Baronum il feudo di Gambatesa è citato tre volte: n. 335 – Alferius Gambatesus tenet de predic- to Robberto Partinici Gambatesam quod est sicut dixit feudum unius/militis et cum augmento obtulit militis duos. n. 795 – Goffridus de Petravalda tenet de dominio Rege Gambatesam, et Petramvaldam, et Nucium quod est sicut ipse dixit feudum/unius militis. Una inter feudum et augmentum obtulit milites i jet servientes ij, et cum eo deputata est Ripitella. n. 1412 – Rogerius de Pede de Monte tenet Gambatissam inhabitatam a Riccardo de Busso/quod est pheudum unius militis. Si apprende da Valente che “…dal paragrafo n. 335 del Catalogo risulta che Alferio Gambatesa teneva il territorio in subfeudo da Roberto di Partinico, il quale, a sua volta, era feudatario di Raul Almagnanus, con l’obbligo di fornire due militi al re in caso di necessità. Dal paragrafo n. 795 si ricava che Goffredo di Pietravalle (cioè di Salcito) deteneva per conto del re, e quindi come diretto feudatario, il territorio di Gambatesa, di Salcito e di Lucito. Ciòè, come egli stesso disse, un feudo che forniva due militi e due serventi. In ultimo, dal paragrafo n. 1412 si apprende che Ruggero di Piedimonte deteneva Gambatesa che non era più abitata da Riccardo di Busso e che l’obbligo per la fornitura di militi si era ridotto ad una sola unità. Così il feudo, essendo il suo titolare obbligato alla fornitura di un milite armato per ogni venti once d’oro di reddito, inizialmente aveva il valore corrispondente a due milites, cioè quaranta once d’oro, poi ridotto ad un solo milite. Per questo si può ritenere che l’articolazione architettonica del castello esistente in quell’epoca fosse proporzionata alle risorse economiche del feudo e costituita da una struttura edilizia di estrema essenzialità, formata da una torre con un piccolo recinto, lontana dalle dimensioni dell’attuale castello”. Il primo nucleo del castello di Gambatesa sorse probabilmente sul punto più elevato di un costone tufaceo, detto “Colle Serrone”, in prossimità del tratturo Castel di Sangro – Lucera e della confluenza tra il fiume Fortore e il torrente Tappino. Le stratigrafie murarie testimoniano numerosi interventi che si sono sovrapposti al nucleo più antico e che vanno riferiti al corpo di fabbrica settentrionale, all’ala ovest, alle torri angolari e alle ripetute trasformazioni interne. Probabilmente, il mastio, come si evince dalla pianta del secondo livello del castello, coinciderebbe con il nucleo centrale di forma quadrangolare delimitato da muri molto spessi su cui era ricavata la porta di accesso principale, mentre il recinto risulterebbe fortemente trasformato, poiché coinvol25 A sinistra: Particolare della scalinata nell’atrio d’ingresso del castello (foto: M.T. Lembo) In basso: Particolare del prospetto del castello su Via Eustachio, in direzione Sud (foto: M.T. Lembo) to nei successivi processi di occupazione delle aree libere a ridosso delle mura. Dal punto di vista costruttivo, la muratura fu realizzata con pietre irregolari di calcare di medie e piccole dimensioni, poco lavorate e poste in opera tramite l’inserzione di frequenti scaglie e zeppe litiche lamellari. Una lavorazione più accurata si registra solo nell’apprestamento dei cantonali, costituiti da blocchi squadrati posti in opera alternativamente di testa e di lungo. I laterizi presenti nella muratura furono utilizzati non prima del XIII secolo per i restauri, le pavimentazioni ed i muri di divisione interni. L’elemento distintivo basilare della struttura fortificata fu proprio la torre, o mastio, o donjon, torre – residenza del signore (dominarum = casa del dominus, da cui donjon), elemento a prevalente sviluppo verticale, generalmente di forma quadrangolare con accesso al primo piano, di altezza variabile (15-20 m) e con spessore dei muri che diminuiva gradatamente verso l’alto per mezzo di riseghe aventi funzione d’appoggio per le travi e per gli impalcati dei solai. Il piano terra e quello interrato, ai quali si accedeva dall’interno, furono utilizzati rispettivamente come deposito e cisterna. I collegamenti verticali furono realizzati con scale lignee, oppure con gradinate in pietra ricavate nello spessore dei muri ed i solai erano costruiti in pietra con volte a botte e a crociera. La particolare tipologia di insediamento a fuso posto lungo un crinale, come in questo caso, determinò la posizione della torre sull’estremità più elevata del borgo (Colle Serrone), contrapposta ad un edificio religioso, non di rado fortificato (antica chiesa di S. Nicola Vecchio). Il castello di Gambatesa, pur essendosi 26 affermato quale semplice avamposto militare, sconosciuto fino alla fine del periodo altomedievale, andò in seguito acquistando una funzione sempre più importante rispetto al territorio circostante. Alla base di questa evoluzione è probabile che abbia svolto un ruolo determinante la sua posizione geografica, in quanto, da centro puramente difensivo, si trasformò in luogo di sosta e di riparo dalle continue scorrerie a cui erano soggetti pastori e mercanti. L’instaurazione della dominazione normanna, l’introduzione del feudalesimo e la venuta dei mercanti determinarono, probabilmente anche a Gambatesa, un concreto inurbamento; la strada ed il castrum, inteso come luogo di riparo e di difesa, svolsero un ruolo determinante nel processo di sviluppo urbano che si attuò in diverse fasi e durante tutto l’XI secolo, senza un disegno ben preciso, attraverso il continuo aggregarsi degli edifici intorno al nucleo preurbano altomedievale. Lungo il perimetro del piccolo nucleo abitato è possibile che si elevasse una muratura a scarpa, con piccole abitazioni addossate tra strette viuzze, porte basse e finestre dalle quali filtrava la poca luce negli interni spesso ricavati direttamente nel tufo. Alla fine dell’XI secolo potrebbe farsi risalire anche la costruzione dell’attuale chiesa parrocchiale di S. Bartolomeo Apostolo. È probabile che in precedenza facesse da chiesa parrocchiale il modesto edificio sacro intitolato a S. Nicola che sorgeva sull’alta spianata, oggi detta di S. Nicola Vecchio, sulla quale si accentrava il piccolo abitato: esso dovette polarizzare intorno a sé un discreto numero di abitazioni che vennero a costituire un vero e proprio sobborgo urbano; successivamente, il paese assorbì all’interno del suo perimetro anche questi nuovi edifici, sviluppando la sua forma proprio in questa direzione. Il Venditti ribadisce che “…come per tante altre popolazioni del Medioevo, anche i nostri padri sentirono il bisogno di mettersi all’ombra del castel- lo, per averne protezione e difesa; così chiesa parrocchiale e castello baronale si trovano, per tal ragione, oggi, nello stesso largo detto indistintamente Largo del Chiesa o del Castello…”. L’architettura sacra occupò un posto di grande rilievo per la religiosità maturata e diffusa negli strati popolari. Il luogo sacro non servì solo alla preghiera o alla celebrazione di riti propiziatori allo scopo di scongiurare calamità naturali, ma fu anche un centro sociale dove il popolo si riuniva per organizzare i vari servizi pubblici, per discutere sui problemi che assillavano la comunità, per deliberare e organizzare la difesa in caso di assalti alle mura cittadine da parte di nemici armati o di briganti e per celebrare fatti storici rilevanti. La chiesa, insieme al castello, divenne quindi il punto di convergenza delle masse ed esercitò un ruolo di primaria importanza per soddisfare bisogni sia spirituali che materiali. Bibliografia A.A. V.V. (1988): Il Castello di Gambatesa, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli. Azzara C. (2002): L’Italia dei barbari, Bologna. Bozza F. (2007): L’antistoria nell’area del Medio Biferno, Campobasso. Bloch M. (1949): La società feudale, Einaudi, Torino. Carocci S. (1998): Signori, castelli, feudi, in Storia medievale, Donzelli, Roma. Cuozzo E. 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