I simboli della nudità All`inizio del rapporto dell`uomo con Dio

I simboli della nudità
All’inizio del rapporto dell’uomo con Dio, descritto in Genesi, si può supporre che la
nudità corporea rappresentasse un insieme di significati.
Anzitutto una pluralità di concetti come purezza, trasparenza, semplicità, naturalezza,
essendo l’uomo e la donna parte integrante e spontanea del creato, spiritualmente
dimensionato. Il vissuto della propria nudità non imbarazzava Adamo ed Eva, non se ne
vergognavano (Gn 2,25), vedendosi con occhi di schietta semplicità, caratteristica tipica
di una morale “pura”, “incontaminata”.
Gli occhi spirituali vedevano quindi realtà spirituali anche se guardavano corpi nudi.
Poi, con la loro trasgressione il peccato entra nel mondo, essi acquisiscono
consapevolezza della “conoscenza del bene e del male” (Gn 3,6 s.), e la nudità diviene
motivo di profonda vergogna, costringe la coppia a coprirsi per nasconderla, anche con
la bugia. Infatti Dio dice all’uomo: «Chi ti ha mostrato che eri nudo? Hai forse
mangiato dell’albero del quale io ti avevo comandato di non mangiare?» Prima Adamo
mente, poi scarica la colpa su Eva (Gn 3, 8 ss.).
Il filtro degli occhi con cui essi prima guardavano se stessi e il mondo circostante non
era più di sola natura spirituale, ma era diventato un filtro opacizzato, peculiare al
genere umano, “materiale”, ordinariamente fallace, distorcente, appannato, che
impediva, e avrebbe impedito, di vedere verità essenziali. Un “filtro” mentale fatto di
presunzioni varie, pregiudizi, preconcetti, che ostacolano la percezione corretta della
verità divina. Per tale motivo Gesù risponderà ai farisei, convinti di “vedere”: «Se foste
ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite ‘Noi vediamo’, perciò il vostro
peccato rimane» (Gv 9,41).
L’episodio dimostra come gli occhi vedano ciò che la mente vuole vedere. Quei farisei
erano convinti di essere investiti della sapienza divina, della conoscenza della Legge di
Dio, ma in realtà furono “denudati” dal semplice ragionamento del cieco nato, che riuscì
a vedere la trasparenza della Verità nelle parole del Signore, mentre la superbia dei
notabili accecò loro occhi e cervello.
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La nudità può essere altresì intesa come simbolo di vergogna, precarietà, povertà
spirituale nella relazione fra uomo e Dio. Nell’Antico Testamento erano severi e
ricorrenti gli ammonimenti indirizzati ai figli a non guardare alcune parti del corpo dei
genitori e dei familiari; eppure, per rendere consapevole il popolo del degrado morale in
cui era sprofondato, Dio fu costretto ad inviare Isaia nudo e scalzo in mezzo alla gente,
quale metafora concreta della loro nudità spirituale, infatti, l’Eterno disse:
Come il mio servo Isaia è andato nudo e scalzo per tre anni quale segno e presagio
contro l’Egitto e contro l’Etiopia, così il re di Assiria condurrà via i prigionieri
dell’Egitto e i deportati dell’Etiopia giovani e vecchi, nudi e scalzi, con le
natiche scoperte, a vergogna dell’Egitto. Allora essi saranno spaventati e confusi,
a causa dell’Etiopia, loro speranza, e a causa dell’’Egitto, loro gloria (Is 20,3 ss.).
In un altro brano, Giovanni, scrivendo alla chiesa di Laodicea, sottolinea il medesimo
concetto:
Poiché tu dici: “Io son ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di nulla; e non
sai che tu sei quello che è disgraziato, e miserabile, e povero, e cieco e nudo”. Ti
consiglio di comprare da me […] delle vesti bianche per coprirti e non far apparire
così la vergogna della tua nudità, e di ungerti gli occhi con del collirio, affinché
tu veda (Ap 3,17 s.).
La nudità è pure allegoria di solitudine, oppure del “bisogno di restituzione”. Al
momento della cattura del Cristo, quando i discepoli lo abbandonano, alcuni uomini al
servizio del Sinedrio tentano di mettere le mani addosso a un certo giovane che, vestito
solo di un lenzuolo, cercava di seguire Gesù: «Ma egli, lasciato il lenzuolo, se ne fuggì
nudo dalle loro mani» (Mc 14,51).
Di quel giovane non si saprà più nulla, però rimane il gesto estremo da cui potremmo
ricavare un altro significato. Se vogliamo seguire Gesù è necessario che ci “spogliamo”,
ci “denudiamo” del nostro abituale modo di essere nel mondo, per poterci rivestire della
sua spiritualità (Gv 3,30), lottando contro realtà interne ed esterne a noi avverse.
Sappiamo che il Figlio dell’uomo per insegnarci a vivere indossò i nostri panni, per
condividere totalmente la nostra nuda natura umana, per toccare con mano e vivere sulla
sua pelle nefandezze, miserie, passioni e presunte glorie, per essere come noi, affinché
nessuno possa contestargli un giorno: ”Che ne sai tu di me, che ne sai della mia vita, Tu,
Signore, che ne sai?!” Ma il figlio di Dio “annichilì se stesso, prendendo la forma di
servo, divenendo simile agli uomini, […] abbassando se stesso fino alla morte della
croce” (Fil 2,6 ss.).
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Proprio quando il corpo nudo e vituperato del Cristo in croce mostra tutta la sua
debolezza e sconfitta, esposto al pubblico ludibrio in estremo segno di bassezza umana,
proprio allora Dio con la sua potenza è pronto a risuscitarlo. Cristo è infatti “potenza e
sapienza” di Dio; “poiché la pazzia di Dio è più savia degli uomini e la debolezza di Dio
più forte degli uomini” (1 Cor 1,23 ss.). Dio metterà a nudo l’impotenza del satana,
dell’avversario, che sarà sconfitto dal corpo straziato di un uomo!
Ma la nudità umana del Cristo non sarà esposta più del necessario allo scherno e al
sarcasmo della stoltezza umana. Giuseppe di Arimatea, discepolo occulto ma uomo
“buono e giusto” (Lc 23,50), avrà premura di restituire la giusta dignità regale al nudo
corpo del Signore, scomodo, emergente simbolo di vergogna; lo avvolgerà infatti in
pregiati e profumati panni per la sepoltura. Quei panni però, per quanto raffinati ed
esclusivi, non potevano mai rivestire decorosamente il glorioso corpo spirituale del
Gesù risorto, destinato all’eternità celeste. Quei miseri panni di lino rimasero infatti nel
sepolcro, mentre il Signore ascese alla nuova vita in Dio rivestito di gloria! (Gv 20,5).
Peccato che oggi molti, per stare attaccati a una sindone di origine medievale, abbiano
dimenticato il messaggio dell’Evangelo della salvezza nel Risorto, i suoi eterni consigli,
la sua morale eterna.
Alle precedenti forme simboliche di nudità, ne possiamo infine aggiungere un’altra. La
percezione di sentirsi “nudo e crudo” di fronte allo sguardo del Signore, poiché Egli
conosce profondamente il cuore di ogni singolo uomo (Lc 16,15).
La consapevolezza di essere trasparente agli occhi di Dio, dovrebbe stimolarci a
perseguire con più convinzione l’atteggiamento di lealtà nel rapporto con Cristo, con
noi stessi, con gli altri. Per quanto abili possiamo essere nel mentire agli altri e a noi
stessi, mai potremo mentire al Padre! Come Cristo s’è denudato della sua divinità per
rivestire i panni dell’uomo, così noi cristiani, per giungere all’altezza spirituale del
Signore, dobbiamo mettere a nudo i nostri propri limiti, ravvedendoci e aderendo al
consiglio di Gesù di acquistare da Lui “delle vesti bianche per coprire così la vergogna
della nostra nudità…” (Ap 3,18).
Maurizio Santopietro
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