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Citare questo paper nella seguente forma:
Paolo, F., 2008, La scienza come sistema autopoietico autoreferenziale, paper
presentato al II Convegno nazionale STS Italia: Catturare Proteo. Tecnoscienza e
società della conoscenza in Europa, Università di Genova, 19-21 Giugno; disponibile
sul sito www.stsitalia.org/papers2008.
Pubblicato online su www.stsitalia.org il 30 novembre 2008.
Paper presentato al II Convegno nazionale STS, Catturare Proteo. Tecnoscienza e società
della conoscenza in Europa, Genova, 19-21 Giugno 2008, all’interno della sessione Incertezza
e governance nella tecno scienza
La scienza come sistema autopoietico autoreferenziale
Fedele Paolo
Dipartimento di Sociologia e Scienza Politica, Università della Calabria
([email protected])
La scienza come sistema autopoietico
autoreferenziale
di Fedele Paolo
1. Tra i sociologi e i sociologi della scienza sembra ormai un’opinione diffusa che il
rapporto fra sapere scientifico, prodotto dalla scienza e dalle sue applicazioni tecnologiche, e
società sia caratterizzato da profonde ambivalenze. Da un lato, il sapere scientifico ha avuto e
continua tuttora ad avere un posto centrale nella società. In un certo senso, la società attuale dipende
in modo irreversibile dalla continua elaborazione di novità scientifiche: si pensi ad esempio
all’economia e alle tecnologie derivate dalla ricerca scientifica. Dall’altro, questo stesso sapere
porta con sé una quota sempre più elevata di incertezza, prodotta all’interno della scienza, che si
estende in ogni ambito della società: dall’economia alla politica, fino a coinvolgere gli individui
nella loro vita quotidiana.
La società sembra reagire in due modi: incorporando questa incertezza che proviene dalla
scienza, ovvero sono i rispettivi ambiti della società a decidere se utilizzare o meno il sapere
prodotto dalla scienza e a valutare le eventuali conseguenze di tale applicazione, oppure
manifestando incredulità nei confronti del sapere scientifico. Un aspetto sembra comune: il sapere
scientifico non sembra più capace di produrre “verità assolute” in grado di orientare i diversi ambiti
della società1. In pratica, la scienza mentre produce sapere scientifico, dall’altro si esonera dal
prendere decisioni e di fatto delega agli altri ambiti della società se utilizzare o meno questo sapere.
Queste brevi riflessioni si riassumono nella formula conclusiva di società del rischio. Nel contesto
della società del rischio, la scienza, per utilizzare le parole di Beck, diventa sempre più necessaria,
ma nello stesso tempo meno sufficiente per la definizione socialmente vincolante della verità (Beck,
2000).
1
Per la letteratura italiana sul rapporto fra scienza e società rinvio a (Bucchi, 2002; Bucchi, Neresini, 2006; Guizzardi,
2002; Luzzatto, Guzzetti, 2005).
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Ma una tale semantica (rischio, incertezza, ecc.) è adeguata per descrivere la società
moderna? E ancora: tale semantica è adeguata per descrivere oggi il ruolo della scienza nella
società? La produzione di rischi e di incertezze va riferita solo e soltanto alla scienza oppure va
inquadrata all’interno di una particolare forma organizzativa della società moderna? Chi, nella
società moderna, dovrebbe accollarsi l’onere di prendere decisioni vincolanti per il futuro quando si
sa che il futuro è incerto e imprevedibile? Possiamo ad esempio assegnare tale onere alla politica?
O alla religione? O ai cittadini? Oppure, così come sostiene Beck, possiamo assegnare questo
compito alla scienza, magari ad una scienza alternativa capace di produrre “una teoria dei vincoli
oggettivi dell’azione tecnico-scientifica” (Beck, 2000: 251)?
Le risposte a simili domande non sono semplici. La letteratura sociologica ha reagito e
tuttora reagisce ai cambiamenti strutturali proponendo un’analisi della società e dei rapporti fra i
diversi ambiti della società a partire da differenze storiche (ad esempio, società tradizionale/società
moderna; società industriale/società postindustriale; società fordista/società postfordista; e così via).
A queste descrizioni della società se ne sono aggiunte delle altre tese a valorizzare alcuni aspetti
parziali della società. Ad esempio, chi ha provato a descrivere il rapporto fra scienza e società lo ha
fatto a partire dall’analisi di aspetti parziali della società, proponendo così i concetti di rischio,
informazione, conoscenza ecc. Invero è che nell’ambito della letteratura sociologica esistente
sembra che manchi una teoria della società capace di tenere conto di tutto il sociale e non soltanto
frammenti di esso (come ad esempio la stratificazione, la mobilità, il rischio, l’informazione, ecc.).
Indubbiamente queste descrizioni riescono a cogliere alcune dinamiche della società, ma nello
stesso tempo mancano di un’idea adeguata capace di descrivere la società in base alle caratteristiche
strutturali. Non si tratta in questa sede di evidenziare la presenza, l’assenza o la portata di queste
dimensioni all’interno della società, quanto piuttosto evidenziare l’inadeguatezza di questi concetti
a descrivere la società nel suo complesso e quindi a descrivere la caratteristica strutturale e le
modalità di coordinamento fra i diversi sistemi parziali della società. Rischio, incertezza,
informazione, conoscenza, ecc. sono indubbiamente tratti distintivi della società attuale, ma più che
concetti adeguati a descrivere il rapporto fra i diversi ambiti della società, così come ad esempio il
rapporto fra scienza ed economia, o fra scienza e politica, ecc. appaiono piuttosto la conseguenza di
una particolare forma organizzativa della società, ovvero di quella particolare forma organizzativa
della società moderna che è la differenziazione funzionale. E’ la società moderna differenziata
funzionalmente, ossia organizzata in base a sistemi parziali funzionali non più coordinati da un
sistema centrale, così come avveniva nel passato, a incrementare e differenziare l’orizzonte delle
possibilità accessibili ad ogni sistema parziale. Incremento delle possibilità vuol dire per ogni
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sistema parziale gestire complessità. E complessità nell’accezione indicata vuol dire necessità di
selezione, necessità di selezione significa contingenza (ciò che non è né impossibile, né necessario),
contingenza significa rischio.
La condizione di rischio assume rilevanza solo e soltanto nell’attuale fase evolutiva della
società. Nel passato, l’incertezza nei confronti del futuro era trattata simbolicamente attraverso la
dimensione religiosa, che garantiva un’adeguata interpretazione dell’ignoto nel noto. I rischi esterni
in questo caso erano intesi come pericoli, ovvero eventi esterni legati alla volontà di Dio e non
come accade oggi legati alle decisioni degli uomini. La società era sostenuta e governata dalla
dimensione religiosa, che aveva il compito di orientare la società e i diversi sistemi. La stessa
interazione ego/alter (caso particolare di sistema sociale), dimensione sociale per eccellenza, era
governata da questa dimensione simbolica, che costituiva la base di ogni convivenza sociale. La
società limitava la circolazione della comunicazione attraverso i vincoli della religione e della
morale. La comunicazione, unico evento genuinamente sociale, era caratterizzata dai valori e da un
forte orientamento normativo. Con il venir meno di una struttura organizzativa della società
fortemente contrassegnata dalla dimensione religiosa (differenziazione segmentaria) a vantaggio di
una struttura della società organizzata per funzioni (differenziazione funzionale) (Luhmann, 1983),
si assiste ad una trasformazione della dimensione sociale. Con la differenziazione funzionale, la
dimensione sociale incorpora al proprio interno quote sempre più elevate di contingenza, ovvero del
qui e ora, della reversibilità delle scelte, del possibile altrimenti. Anche la semplice relazione
ego/alter è oggi caratterizzata da un’elevata contingenza e quindi esposta al rischio. Se ieri i valori
“determinavano” la comunicazione, oggi i valori costituiscono tutt’al più delle modalità di
orientamento degli uomini nel mondo. All’interno della relazione ego/alter, i valori (troppo spesso
invocati come inevitabili e necessari a mantenere l’ordine sociale e il coordinamento fra sistemi
parziali (Parsons, 1962)) appaiono non più come riferimenti ultimi dell’azione e della
comunicazione, ma semplici modalità di orientamento degli uomini nel mondo. Con la
differenziazione funzionale, ognuno è rinviato a sé, il che vuol dire anche che ogni sistema parziale
trova da sé le modalità di legittimazione. Ciò vale per la semplice interazione, ma tale impostazione
vale anche per sistemi sociali più complessi come l’economia, l’educazione, la politica, e nel nostro
caso anche per la scienza.
La differenziazione funzionale quale forma della differenziazione della società moderna
apre la strada ad un’analisi più attenta e nello stesso tempo più circoscritta circa le modalità di
coordinamento fra la scienza e la società nel suo complesso e soprattutto fra la scienza e gli altri
sistemi parziali della società come l’economia, il diritto, la politica, ecc.
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2. Le riflessioni che intendo proporre in questa sede hanno come obiettivo quello di
ridefinire il rapporto fra scienza e società a partire dalla descrizione della società moderna nei
termini di differenziazione funzionale. Tali riflessioni però richiedono alcuni chiarimenti teoricoepistemologici onde evitare una certa confusione che spesso caratterizza la sociologia della
scienza. La sociologia della scienza, pur caratterizzandosi come un ambito di ricerca consolidato
(basti pensare ai numerosi centri di ricerca), estremamente articolato e diversificato, ricco di studi
empirici e dibattiti interni, spesso include al proprio interno contributi diversi fra loro, che
appartengono ad altri ambiti di indagine. Così troviamo all’interno della sociologia della scienza
contributi che appartengono all’ambito della gnoseologia (come ad esempio il libro di Bloor)
(Bloor, 1991) oppure all’ambito dell’epistemologia (come ad esempio il libro di Kuhn) (Kuhn,
1969). La sociologia della scienza, in questi casi, sembra far propri questi discorsi, a volte sembra
sovrapporsi ad essi, a volte sembra una disciplina particolare, immune dai vincoli gnoseologici ed
epistemologici a cui sottostanno le altre discipline, capace di rendere conto, attraverso indagini
conoscitive particolari, della “dimensione sociale” di ogni conoscenza e/o di ogni attività
scientifica (Latour, 1998). Resta ovviamente da capire la relazione fra il soggetto (in questo caso il
sociologo) e il proprio oggetto di studio (la scienza).
E’ indubbio che la sociologia della scienza sia caratterizzata da un rapporto circolare con il
proprio oggetto di indagine (la scienza, gli scienziati, l’attività degli scienziati, ecc.). Ma tale
rapporto non può certo risolversi in una pretesa di superiorità da parte di una disciplina, nel nostro
caso la sociologia della scienza, rispetto alle altre. La stessa sociologia della scienza non può
esimersi dal chiarire, al pari delle altre scienze, il proprio statuto gnoseologico (rispetto quindi alla
conoscenza e al rapporto soggetto/oggetto) ed epistemologico, ovvero chiarire il proprio ambito di
indagine non soltanto rispetto all’oggetto, quanto piuttosto alla relativa pertinenza dell’oggetto (la
scienza) rispetto alla disciplina, ovvero la domanda: che cosa c’è di “sociale” nella scienza? Tale
domanda, apparentemente banale, richiede immediatamente a chi osserva di chiarire il concetto di
sociale e/o eventualmente di società. Infatti, al termine società non si associa una rappresentazione
univoca, e neppure il termine sociale presenta referenze oggettive.
Lungo questa direzione, la sociologia della scienza, pur evidenziando enormi contributi volti
a mostrare il carattere sociale di ogni attività scientifica, a smascherare i condizionamenti sociali
degli scienziati nel formulare teorie e/o produrre risultati dalle ricerche di laboratorio, non è riuscita
a problematizzare se stessa in quanto disciplina autonoma e scientifica. La sociologia della scienza
non è una disciplina che si situa al di fuori del sistema scienza; se pretende di essere scientifica, cioè
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di produrre sapere scientifico, non può svincolarsi né dai problemi gnoseologici e né dai problemi
epistemologici. La sociologia della scienza ha la pretesa di essere considerata una disciplina
scientifica, e come tale essa rientra all’interno del sistema scienza in generale e pertanto non può
esimersi dall’indagare se stessa quale oggetto di studio fra gli altri. Non può quindi esonerarsi dal
risolvere i relativi problemi gnoseologici ed epistemologici.
Una prospettiva interessante, volta a risolvere tali problemi, che trova oggi un terreno di
applicazione nella sociologia e forse ancora poco nella sociologia della scienza, è la teoria dei
sistemi. Essa è una “metadisciplina” nata intorno agli anni ’40 con il tentativo di unificare,
attraverso un linguaggio comune, discipline diverse. Ciò che accomuna le teorie biologiche della
conoscenza, le teorie dell’apprendimento, le teorie della comunicazione, è il concetto di sistema.
Altre discipline come la linguistica o la semiotica, che pur non hanno alcun riferimento alla teoria
dei sistemi, ammettono a livello paradigmatico il concetto generale di sistema.
Anche la sociologia ha accolto, anche se solo parzialmente e in ambiti molto ristretti,
numerose decisioni concettuali, risultati di ricerche empiriche e sollecitazioni provenienti da altre
discipline, che al contrario fanno esplicito riferimento alla teoria dei sistemi. La sociologia oggi si
avvale dei recenti sviluppi della teoria dei sistemi, a partire dalle ricerche di von Bertalanffy (von
Bertalanffy, 1971) sui sistemi aperti passando per la teoria delle catastrofi di Thom (Thom, 1985),
le strutture dissipative di Prigogine (Prigogine, 1997; Prigogine, Nicolis, 1982), fino a giungere
appunto alla teoria dei sistemi autopoietici autoreferenziali di Maturana e Varela (Maturana, Varela,
1985). Contributi che nell’ambito della sociologia trovano una valida sistemazione nelle riflessioni
del sociologo tedesco Niklas Luhmann (Luhmann, 1990; Luhmann, De Giorgi, 1992) . Certamente
bisogna tener presente i diversi livelli di indagine, onde evitare di collocare le riflessioni ora su di
un piano ora su un altro. Ad esempio, bisogna chiarire se le riflessioni si situano sul piano della
teoria dei sistemi in generale o se si situano sul piano della teoria dei sistemi sociali e così via. La
distinzione fra piani o livelli è un’esigenza epistemologica tesa a chiarire non solo l’oggetto di
riflessione, ma anche la posizione dell’osservatore (referenza sistemica). Sul piano metodologico,
bisogna, inoltre, tenere presente che il passaggio da un piano all’altro e il trasferimento di un
concetto da un ambito disciplinare a un altro non vanno intesi, così come i sociologi continuano a
temere, per analogia. Analogie possono anche esservi, ma solo riguardo ad aspetti parziali di un
certo livello di comparazione. Ad esempio, sia i sistemi psichici sia i sistemi sociali (non però le
macchine o gli organismi) possono essere caratterizzati dall’uso di “senso”. Nel caso delle
macchine, occorre chiedersi quali equivalenti funzionali vengano utilizzati in luogo del senso.
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Due ulteriori considerazioni credo siano necessarie per chiarire la portata della teoria dei
sistemi nella sociologia e nell’ambito più ristretto della sociologia della scienza.
La prima considerazione è di ordine gnoseologico e riguarda il rapporto soggetto/oggetto.
Tale rapporto, problematico, riguarda ogni attività conoscitiva, compresa l’attività del sociologo
della scienza quando osserva la scienza e l’attività degli scienziati in azione. Lo scienziato sociale
non è immune dai problemi relativi alla sua stessa attività conoscitiva, né si trova in una posizione
privilegiata rispetto agli altri scienziati. La teoria esposta dallo scienziato sociale che osserva
l’attività degli scienziati è o dovrebbe essere anche applicata allo stesso scienziato sociale. La
teoria, indipendentemente se corretta oppure no, va applicata all’osservatore e alla stessa teoria: in
un certo senso, è impossibile fuoriuscire dal carattere autoimplicativo di ogni teoria.
Nel libro “Il mestiere di scienziato” (Bourdieu, 2003), Bourdieu ha posto al centro
dell’attenzione il problema del rapporto soggetto/oggetto. Secondo Bourdieu, la sociologia è
maggiormente esposta a questo problema in quanto costituisce un “campo” “troppo importante e
troppo scottante dal punto di vista della vita sociale, dell’ordine sociale e dell’ordine simbolico”
(Bourdieu, 2003: 109). In pratica, la sociologia della scienza mentre osserva un campo, quale
quello scientifico, caratterizzato da lotte interne, espone se stessa alla lotta interna per la definizione
sociale del campo scientifico. Per dirla con le parole di Bourdieu: “la scienza sociale è quindi una
costruzione sociale di una costruzione sociale. C’è nell’oggetto stesso, cioè nella realtà sociale nel
suo insieme e nel microcosmo sociale all’interno del quale si costruisce la rappresentazione
scientifica di questa realtà – il campo scientifico - , una lotta a proposito di e per la costruzione
dell’oggetto cui la scienza sociale partecipa doppiamente: presa nel gioco, essa ne subisce i vincoli
e vi produce effetti, certo limitati” (Bourdieu, 2003: 110). Per Bourdieu, la sociologia della scienza,
essendo un terreno particolare caratterizzato da una forte valenza sociale e simbolica dove la posta
in gioco è la “verità”, dovrebbe uscire dalla contraddizione attraverso una sorta di riflessività della
scienza sociale capace di “oggettivare il soggetto dell’oggettivazione”. La riflessività, ancora
attraverso le parole di Bourdieu, va “intesa come il lavoro attraverso il quale la scienza sociale,
prendendo se stessa a oggetto, si serve delle proprie armi per comprendersi e controllarsi [… ], per
rafforzare le possibilità di accedere alla verità rafforzando le censure reciproche e fornendo i
principi di una critica tecnica, che permette di controllare più attentamente i fattori capaci di
orientare la ricerca. Non si tratta di perseguire una nuova forma di sapere assoluto ma di esercitare
una forma specifica di vigilanza epistemologica” (Bourdieu, 2003: 111). Però anche nella
prospettiva delineata da Bourdieu, il rapporto fra soggetto/oggetto non viene risolto, ma
semplicemente spostato verso il soggetto che dovrebbe “oggettivare il soggetto
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dell’oggettivazione”. Bourdieu risolve il problema della riflessività attraverso una sorta di
“autosocioanalisi”, confondendo così il piano propriamente individuale con il piano sociale.
La teoria dei sistemi, grazie all’approccio “costruttivista”, ha raccolto la sfida della
conoscenza spostando l’attenzione dal rapporto soggetto/oggetto al rapporto o meglio alla
distinzione sistema/ambiente (Luhmann, 2007). Con il passaggio alla distinzione sistema/ambiente,
la teoria dei sistemi mantiene inalterata l’impostazione classica del problema, ma
contemporaneamente supera tanto le teorie del soggetto, quanto le teorie dell’oggetto attraverso la
chiusura operativa del sistema cognitivo nei confronti dell’ambiente e getta le basi per una teoria
dell’osservatore che a sua volta osserva osservatori che osservano (osservazione di secondo ordine).
Il passaggio alla distinzione sistema/ambiente cambia radicalmente lo statuto epistemologico della
conoscenza. La conoscenza ha un rapporto stretto con l’operazione di osservazione. In un certo
senso conoscere vuol dire immediatamente osservare, il che vuol dire che la conoscenza è prodotta
da un osservatore nella sua attività di osservazione. In base a quanto espressamente dichiarato da
Spencer Brown (Spencer Brown, 1969), osservare vuol dire per un osservatore tracciare una
distinzione nel mondo indistinto. Nel tracciare una distinzione, l’osservatore taglia in due una realtà
(il mondo): indica un lato (ciò che comunemente chiamiamo sistema) e lascia sullo sfondo l’altro
(l’ambiente). L’attività di osservazione è quindi un’attività cognitiva interna all’osservatore che
utilizza una distinzione, una conoscenza costruita dall’osservatore stesso attraverso l’uso di una
distinzione, ovvero l’uso della distinzione-guida sistema/ambiente. Attenzione: il sistema non è un
dato oggettivo, isolabile e pertanto facilmente analizzabile. Il sistema è piuttosto una relazione fra
osservatore e oggetto osservato, o meglio, in chiave operativa, è l’operazione di un osservatore di
ordinare una complessità disorganizzata. Pertanto il sistema è una “costruzione” di un osservatore e
tale “costruzione” si giustifica come provvisoria e contingente, adatta a situazioni specifiche e
sottoposta al controllo di particolari procedure. Con la distinzione sistema/ambiente, l’osservatore
stabilisce che cosa è sistema e ciò che è rilevante per il sistema (quindi la sua identità) rispetto a ciò
che sistema non è e non è rilevante, ovvero l’ambiente del sistema. Il taglio stabilisce l’identità del
sistema e nello stesso tempo la differenza sistema/ambiente. L’identità del sistema è data appunto
dalla differenza sistema/ambiente. Ogni evento (azione, comunicazione, ecc.) è possibile solo
dentro un sistema e non nell’ambiente; ogni evento accettato dal sistema produce una variazione
solo all’interno del sistema e produce una nuova differenza sistema/ambiente. Ad esempio, se
parliamo di scienza è necessario chiarire che cosa includiamo, ovvero che cosa rientra nella scienza
e che cosa resta fuori. Ogni comunicazione, esplicitamente o implicitamente, contiene in sé questa
distinzione. Ciò vale per l’economia, il diritto, la politica, ecc. E’ bene ribadire che la distinzione
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sistema/ambiente è solo e soltanto un’attività dell’osservatore: non c’è nessuna corrispondenza nella
“realtà”, ovvero nella realtà non esistono distinzioni. La distinzione è solo un modo per il sistema di
orientarsi nel mondo. La conoscenza prodotta è solo interna al sistema, nel senso che un evento
esterno ha rilevanza solo come attività interna del sistema. Nell’ambiente accade ciò che accade. La
conoscenza è quindi prodotta da un osservatore attraverso la distinzione sistema/ambiente. Ma se la
conoscenza (che ribadiamo non è la realtà, ma solo la costruzione di un osservatore) è conoscenza
solo di un osservatore allora lo stesso osservatore che è nel mondo è esposto alla distinzione
sistema/ambiente di altri osservatori. In questo caso si passa dall’osservazione di primo ordine
all’osservazione di secondo ordine (von Foerster, 1987). L’osservatore di secondo ordine non
osserva la realtà, ma osserva la realtà dell’osservatore di primo ordine, ovvero le distinzioni
utilizzate da un osservatore di primo ordine, che a sua volta ha osservato attraverso la distinzione
sistema/ambiente. Lo scarto rispetto alla teoria di Bourdieu è evidente: l’operazione di osservazione
di secondo ordine non è l’oggettivazione del soggetto che ha oggettivato, cioè l’osservatore di
secondo ordine non ha nessuna pretesa di dire qualcosa sulla realtà, ma solo di dire qualcosa sul
“come” ha osservato l’osservatore di primo ordine. In pratica, l’osservatore di secondo ordine non è
un osservatore migliore: è solo un osservatore che osserva attraverso la distinzione
sistema/ambiente, ovvero distingue gli osservatori da ciò che essi stessi hanno osservato. Lo stesso
osservatore di secondo ordine è a sua volta esposto all’osservazione di altri osservatori e così via
fino all’infinito. Si può dire che l’osservatore mentre compie l’attività di osservazione, cioè nell’atto
stesso di distinguere e indicare un lato e non l’altro, non può osservare se stesso: l’osservatore è il
terzo escluso del suo stesso osservare. Nell’osservare non può vedere se stesso.
Tali riflessioni costituiscono un punto di partenza inevitabile per osservare il sistema
scienza. La scienza in quanto sistema opera in contatto con l’ambiente, ma nelle rispettive
comunicazioni distingue se stesso dall’ambiente. Le nostre analisi si situano esattamente sul piano
dell’osservatore di secondo ordine, ovvero osserviamo la capacità del sistema scienza di osservarsi
e autodescriversi, ovvero ciò che costituisce la sua identità a partire dalla differenza con l’ambiente.
Tale prospettiva, come vedremo, elimina ad esempio tutti quei problemi relativi alla mancanza di
autonomia del sistema scienza rispetto agli altri sistemi come l’economia, il diritto, la politica, ecc.
oppure elimina tutti quei problemi relativi ai rischi prodotti dal sistema scientifico. Anche in questo
caso, la distinzione sistema/ambiente non riguarda solo il sistema scienza, ma anche l’economia, il
diritto, la politica, ecc. L’osservatore stabilisce quale sistema osservare.
Una seconda considerazione riguarda il titolo di “teoria”. Spesso c’è un certa confusione sul
termine teoria. Per teoria si intende talora un insieme di ipotesi controllabili empiricamente sui
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rapporti fra dati, oppure uno sforzo concettuale in senso ampio e indeterminato. Oltre a queste
definizioni è possibile indicare con il termine teoria una forma comunicativa organizzata attorno a
concetti che consentono di costruire una eteroreferenza del sapere, un riferimento alla realtà. O
meglio, le teorie servono come orientamenti per osservare il mondo esterno, ovvero il “dato”. Esse
sono strumenti di osservazione che consentono di “costruire” il “dato”: il dato (o ciò che chiamiamo
“realtà”) esiste solo perché la teoria lo interpreta. Attenzione: la realtà, in base a quanto detto sopra,
è indistinta: solo l’osservatore in base alla distinzione utilizzata rende pertinente l’esterno
(eteroreferenza) con l’interno (autoreferenza). In questo senso, le teorie non corrispondono a pezzi
di mondo, né che la loro verità provenga dalla realtà che esse indicano, piuttosto le teorie
garantiscono l’unità dell’oggetto di analisi. Se si cambia teoria, la realtà ci apparirà in modo
totalmente differente e si potranno osservare oggetti diversi. Ad esempio, se si osserva la società
moderna come società caratterizzata dalla differenziazione funzionale si dovrà di conseguenza
abbandonare l’idea di una società divisa in classi, e così via. La teoria non è la realtà: ma una sorta
di adeguamento, viabilità direbbero i costruttivisti (Watzlawick, 1988), alla realtà. In pratica, la
teoria è come la chiave che apre una serratura: la chiave non ci dice niente sulla serratura, ma
semplicemente che essa è adeguata ad aprirla. Questo ovviamente espone la teoria affermata anche
a fare i conti con altre imprese teoriche concorrenti. La distinzione sistema/ambiente come modalità
per osservare vale anche in questo caso per la presentazione di una teoria. Una teoria è un sistema
esposto all’ambiente, ovvero un sistema esposto alle provocazioni e alle sollecitazioni che
provengono da altre teorie concorrenti. Una teoria è capace di apprendere dalle sollecitazioni
esterne. Le teorie concorrenti dovranno però presentarsi sullo stesso piano, cioè affrontare gli stessi
problemi. Per questo la controversia non è la forma più conveniente di presentare una propria teoria.
Invero è che ogni teoria per essere tale deve presentare un carattere universalistico. Le teorie con
pretese universalistiche sono facilmente riconoscibili per il fatto che sono comprese nel loro oggetto
(e se volessero escludersi da esso dovrebbero rinunciare alla loro universalità). Le teorie
universalistiche, in un certo senso, si riconoscono per il fatto che includono se stesse e i loro
avversari. Si può dire che esse sono autoreferenziali, ovvero studiando il loro oggetto, apprendono
qualcosa su se stesse. Così una teoria universale se intesa come teoria della differenziazione può
considerare se stessa come il risultato di una differenziazione.
La teoria dei sistemi, per quanto appariscente e astratta possa sembrare, soddisfa in pieno
queste esigenze. Se osservata nel corso del tempo, la teoria dei sistemi è riuscita a produrre una
concettualizzazione unitaria a partire dal concetto di sistema, a migliorarsi attraverso numerose
ricerche empiriche e ad apprendere dagli errori. Infatti, nel corso del tempo la teoria dei sistemi è
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passata dal paradigma tutto/parti al paradigma sistema/ambiente (aspetto epistemologico). Tale
cambiamento ha trasformato il modo di osservare la “realtà”, ad esempio per quanto riguarda la
società. All’interno del nuovo paradigma, si sono inoltre sviluppati nuovi orientamenti che hanno
contribuito a migliorare ulteriormente la teoria. Grazie a numerose ricerche empiriche, la teoria dei
sistemi è passata dallo studio dei sistemi chiusi nei confronti dell’ambiente (restando sempre nel
paradigma sistema/ambiente) allo studio dei sistemi aperti, cioè sistemi capaci di modificarsi a
partire dalle influenze esterne dell’ambiente (von Bertalanffy, 1971), fino a giungere ai sistemi
autopoietici autoreferenziali (Maturana, Varela, 1985), ovvero sistemi capaci di produrre al proprio
interno gli elementi senza contatto con l’ambiente (autopoiesi) e capaci di aprirsi all’ambiente solo
con costante riferimento a se stessi (autoreferenzialità).
3. Le riflessioni teorico-epistemologiche costituiscono la base per affrontare un discorso
sociologico sulla scienza. Purtroppo all’interno della sociologia della scienza, così come abbiamo
sottolineato in precedenza, sono venute meno proprio quelle premesse gnoseologiche ed
epistemologiche, che pur avevano contribuito ad animare il dibattito, per orientarsi, al contrario, sul
terreno della ricerca di laboratorio (Knorr Cetina, 1993; Latour, 1998). Queste ricerche, pur
richiamandosi apertamente all’approccio costruttivista (costruttivismo di laboratorio), non sono
riuscite né a problematizzare e né a radicalizzare l’impostazione costruttivista (Hasse, Krucken,
Weingart, 1993). Il tentativo di superare lo struttural-funzionalismo di Merton (Merton, 2000) sulla
scienza non ha prodotto nessun avanzamento teorico anzi, agganciandosi all’impostazione propria
dell’etnometodologia, il costruttivismo di laboratorio ha dichiarato la rinuncia programmatica a
qualsiasi riferimento teorico generale. Anziché studiare i limiti della ricerca e ciò che impedisce alla
ricerca di essere oggettiva, il costruttivismo di laboratorio si è concentrato sulle modalità e sullo
svolgimento della ricerca, evitando di interrogarsi così sui metodi, sulle teorie implicite e sui
problemi dell’autoriferimento, aspetti centrali dell’impostazione costruttivista. In pratica, il
costruttivismo di laboratorio si è concentrato sulla “prassi” situata del laboratorio in cui viene
“fabbricata” la conoscenza.
Il nostro tentativo è ora appunto quello di spostare l’attenzione da un discorso più
propriamente epistemologico all’ambito delle applicazioni del costruttivismo: ciò di cui si tratta non
è tanto il discorso epistemologico sul costruttivismo, quanto piuttosto la sua portata e le sue
conseguenze quando lo si adotta nella ricerca sociologica.
E’ indubbio che la proposta di un discorso sociologico sulla scienza sia fortemente
caratterizzata da un insieme di teoria della conoscenza (aspetto epistemologico-gnoseologico) e di
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teoria della società (aspetto sociologico). Le intenzioni in questo senso sono abbastanza esplicite:
ogni discorso sociologico sulla scienza non può che essere fatto solo e soltanto in riferimento alla
società nel suo complesso; o meglio, ogni comunicazione scientifica (accettazione, legittimazione,
pratiche di utilizzo del sapere scientifico, ecc.) non può che avere come riferimento ultimo la
società. E’ da questo punto di vista, che poi costituisce anche il punto di partenza per un discorso
“sociologico” sulla scienza, che va affrontato il rapporto fra scienza e società e il rapporto fra
scienza e gli altri ambiti della società. E’ impensabile (almeno in base alle premesse da noi
delineate) fare un’analisi sulla scienza senza un preciso riferimento alle modalità di coordinamento
della società e quindi alla forma di differenziazione della società. Solo a partire dalla forma di
differenziazione della società è possibile comprendere le modalità di accettazione o rifiuto della
comunicazione scientifica negli altri sistemi parziali.
C’è indubbiamente in questa prospettiva la pretesa di circoscrivere l’ambito della sociologia
della scienza (l’oggetto, il metodo, la posizione dell’osservatore, ecc.), ma questa stessa pretesa
però costituisce anche una limitazione per la disciplina e per l’osservatore, senza cadere in
contraddizione o di includere aspetti che appartengono ad altri ambiti difficilmente collocabili
nell’ambito della sociologia della scienza. D’altronde tale prospettiva non esclude l’osservatore
(distanza nei confronti dell’oggetto scienza o dell’oggetto società), né lo pone in posizione
privilegiata rispetto all’oggetto: l’osservatore che osserva la società è inserito nella società che
osserva, così come l’osservatore che osserva la scienza è inserito nel sistema scienza, ovvero
pretende di dire qualcosa di scientifico sulla scienza ed eventualmente di dire qualcosa sul rapporto
fra quest’ultima e la società. Questa mia comunicazione non è esterna né alla scienza, ovvero essa è
sottoposta al controllo, alla verifica, alle modalità che la stessa scienza impone (aspetti
epistemologici), né alla società, ovvero come riferimento ultimo di ogni comunicazione (aspetto
sociologico).
Riflettere su queste condizioni non significa evidenziare la parzialità o la posizione
dell’osservatore rispetto all’oggetto di osservazione (può essere la scienza, alcuni aspetti
dell’attività scientifica, l’economia, la politica, ecc.), ma vuol dire semplicemente chiarire la
“referenza sistemica”di ogni comunicazione. Ogni comunicazione, implicitamente o esplicitamente,
in forma tematica o meno, dichiara la propria appartenenza ad un sistema. La comunicazione va
sempre attribuita e imputata. Non esiste una comunicazione fuori dal sistema. Una comunicazione
scientifica, qualunque essa sia, appartiene solo e soltanto al sistema scientifico e non appartiene a
nessun altro sistema o ambito della società. Una comunicazione fatta da un imprenditore appartiene
solo e soltanto all’economia, una comunicazione politica appartiene solo e soltanto alla politica e
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così via. Attenzione a non confondere l’appartenenza di una comunicazione: uno studio sulle forme
organizzative aziendali capace di migliorare i profitti di un’azienda è una comunicazione
scientifica, cioè è sapere scientifico prodotto in quell’ambito particolare del sistema scientifico; la
possibilità da parte di un imprenditore di utilizzare questo sapere per migliorare le prestazioni
dell’azienda è al contrario una comunicazione che fa parte del sistema economico. Spetta
all’imprenditore decidere se utilizzarlo o meno (condizione di rischio!). Questo esempio ci permette
di osservare i rapporti di interdipendenza e autonomia dei diversi sistemi, in cui uno costituisce però
l’ambiente dell’altro. Interdipendenza vuol dire che esistono scambi fra i diversi sistemi; ad
esempio molto forte è il rapporto fra sistema economico e scienza o fra sistema politico e scienza.
Autonomia vuol dire che il sistema, nel nostro caso quello scientifico, è indipendente rispetto a
quello economico, non tanto nell’orientamento della ricerca (ad esempio un’industria può finanziare
la scienza per un particolare settore o per una particolare ricerca; vale anche per i finanziamenti
pubblici ecc.), quanto piuttosto nella produzione dei risultati. Solo alla scienza spetta il compito di
produrre sapere scientifico. Solo la scienza al suo interno grazie ai vincoli epistemologici può
stabilire ciò che è vero e ciò che è falso. Nessun sistema esterno è competente: né l’economia, né la
religione, né la politica, così come nessun altro sistema. Spesso si dice che la scienza sia meno
autonoma rispetto al passato proprio perché eccessivamente dominata dal sistema economico e dai
vincoli sociali (ad esempio, l’eccessiva invadenza della religione nella ricerca). Ma questa
affermazione non solo appare errata, ma anche inadeguata a comprendere il funzionamento del
sistema scienza. L’autonomia non consiste nella mancanza di interdipendenza, ma nella produzione
dei risultati. Certamente il sistema economico (un’industria) può anche comprare la “verità”, ma è
lo scienziato che si espone a questa comunicazione e nessun altro. Ribadiamo: l’autonomia sta nella
funzione che il sistema scienza svolge per la società: ovvero produrre sapere scientifico. Tutto un
altro discorso è la validità di questo sapere prodotto: in questo caso il sapere prodotto è sottoposto ai
vincoli propri del sistema scienza, ovvero si tratta di un discorso interno alla scienza.
Resta una domanda: che cosa ci sta dietro? La risposta a questa domanda è semplice: la
società moderna differenziata funzionalmente, o meglio quella particolare forma organizzativa della
società moderna che è la differenziazione funzionale.
Un discorso “sociologico” sulla scienza (modalità operative, attività degli scienziati,
legittimazione del sapere scientifico, ecc.) non può non essere fatto senza un preciso riferimento
alla società e alle modalità di coordinamento dei sistemi parziali. Solo la particolare forma
organizzativa della società consente di osservare le posizioni dei rispettivi sistemi parziali e quindi
le rispettive comunicazioni all’interno della società.
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La questione su come dobbiamo intendere la società non elimina le riflessioni
epistemologiche e gnoseologiche fin qui svolte. L’osservatore, appunto, non è in posizione
privilegiata: non sta fuori. Per la sociologia tale affermazione ha grande importanza in quanto
spesso le teorie prodotte fondano la propria validità su presupposti morali o ideologici piuttosto che
scientifici, nella supposizione implicita che il critico non faccia parte della società che critica. Le
questioni messe in campo si muovono esattamente nella direzione opposta: il sociologo deve tenere
conto che ciò che dice vale anche per lui e non solo per gli altri.
Parlare di società significa quindi immediatamente per l’osservatore tracciare una
distinzione tra ciò che include nel termine società e ciò che resta fuori. In base a quanto detto prima,
manteniamo la distinzione sistema/ambiente come distinzione-guida per osservare la società. La
società è il sistema sociale complessivo che include in sé tutti gli altri sistemi sociali. Ma questa
definizione non ci dice ancora nulla su cosa sia società. Piuttosto è necessario procedere verso
ulteriori determinazioni, specificando prima la peculiarità dei sistemi sociali e poi specificando la
peculiarità del sistema sociale società. Per specificare la peculiarità dei sistemi sociali è necessario
indicare con precisione quella operazione affinché si possa realizzare l’identità del sistema e nello
stesso tempo delimitare il sistema dal suo ambiente. Nel caso dei sistemi sociali questo accade
mediante la comunicazione. E’ la comunicazione che rende possibile il costituirsi di un sistema e,
nello stesso tempo, di realizzare ciò che è interno al sistema rispetto a ciò che è esterno. A partire
dalla semplice interazione ego/alter fino ad arrivare ai sistemi più complessi ciò che consente la
formazione di un sistema è appunto la comunicazione. Se la società è il sistema sociale complessivo
che include in sé tutti gli altri sistemi sociali, e se la comunicazione è l’unica operazione che
permette l’identità del sistema e stabilisce il confine con l’ambiente allora la società è l’intero
sistema della comunicazione: nella misura in cui comunicano, tutti i sistemi sociali partecipano alla
società; nella misura in cui comunicano in modo diverso, si distinguono. La società permette un
allargamento o una limitazione alle possibilità della comunicazione a partire dalla forma della
differenziazione primaria. In questo senso, la società è quel sistema sociale che istituzionalizza le
ultime basilari riduzioni di complessità e, con ciò, crea le premesse per l’operare di tutti gli altri
sistemi parziali.
Aspetto centrale è la forma della differenziazione primaria della società. Con
differenziazione non si intende niente altro che la differenza fra sistema/ambiente. Con
differenziazione primaria intendiamo la formazione di sistemi parziali e di relazioni
sistema/ambiente. La forma della differenziazione, all’interno di un sistema globale, determina il
rapporto dei sistemi parziali, cioè le relazioni fra sistemi. Ovviamente non si tratta in questo caso di
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uno spostamento da una differenza-guida (sistema/ambiente) ad un’altra (sistema/sistema), quanto
piuttosto sottolineare il raccordo fra sistemi con una totalità. In pratica, la differenza-guida
sistema/ambiente non viene abbandonata: ogni sistema è, infatti, contemporaneamente sistema per
sé e ambiente per un altro, e viceversa. Ciò che è importante in questa sede è la forma delle
relazioni fra sistemi parziali. La forma stabilisce la struttura del sistema totale e la comunicazione.
Non è il caso in questa sede approfondire le diverse forme di differenziazione che si sono
sviluppate nella storia della società. Qui basta elencare le quattro forme di differenziazione indicate
da Luhmann: segmentaria, centro/periferia, stratificata, funzionale (Luhmann, De Giorgi, 1992).
Ciò che va però sottolineato è che il passaggio da una forma della differenziazione a un’altra non
riguarda, come spesso accade, i processi di differenziazione dei sistemi parziali (aumento della
complessità), ma costituisce l’evoluzione della società. Per questa ragione non accettiamo ad
esempio le diverse connotazioni attribuite alla società odierna (postmoderna, postindustriale,
postfordista, ecc.) e manteniamo invece il termine società moderna. Noi, per il ragionamento che
stiamo portando avanti sul rapporto fra scienza (sistema parziale) e società (sistema sociale
complessivo) e fra scienza e gli altri sistemi parziali, ci concentriamo solo sulla differenziazione
funzionale.
Con differenziazione funzionale quindi si intende la forma della differenziazione della
società moderna. Differenziazione funzionale vuol dire che ogni sistema adempie ad una funzione,
cioè la differenza fra un sistema e un altro (in questo caso considerato ambiente) sta nella funzione
che il sistema differenziato svolge per l’intero sistema. La funzione non consiste nell’automantenimento del sistema di funzioni, ma sta nel riferimento ad un problema della società, cioè la
funzione viene svolta solo nel sistema di funzioni e non nel suo ambiente. Il sistema monopolizza
per se stesso la sua funzione e tale funzione non può essere svolta da nessun altro sistema.
Differenziazione funzionale vuol dire quindi che ogni sistema adempie ad una funzione e che
questa funzione è prioritaria e preordinata rispetto alle altre. Da ciò consegue l’impossibilità che
possa essere riconosciuta una gerarchia di funzioni universalmente valida e vincolante per tutti i
sistemi parziali. Nello stesso tempo, per i sistemi parziali significa abbandonare l’idea di un
impegno che possa estendersi a tutta la società. Per questo motivo la società differenziata
funzionalmente è spesso definita decentrata e non gerarchica. Essa è decentrata perché non ha più
un centro, cioè non c’è più un sistema che tiene assieme tutti gli altri sotto-sistemi. Essa è non
gerarchica perché nessun sistema può prevalere su un altro.
In questa descrizione della società moderna, la scienza viene intesa come un sistema
funzionalmente differenziato all’interno della società. Nei confronti della società globale, la scienza
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svolge la funzione di costruire e ottenere conoscenza (sapere scientifico). Tutto questo non vuol dire
che l’unico “sapere” della società sia quello prodotto dalla scienza: anche altri ambiti della società
producono “sapere”. Però solo quello prodotto dalla scienza è l’unico sapere scientifico. Solo il
sistema scienza al suo interno è in grado di stabilire ciò che vero e ciò che è falso. Vero/falso
costituisce il codice operativo del sistema scienza. Il codice è la modalità operativa di ogni sistema.
Ogni sistema opera con un codice proprio diverso da quello di un altro sistema. Ad esempio, il
sistema giuridico opera con il codice lecito/non lecito, quello medico con il codice sano/malato, ecc.
quello scientifico con quello appunto vero/non vero. L’operatività del codice consente di eliminare
terze possibilità: per quanto riguarda il sistema scienza un’affermazione è vera o è falsa, una teoria
è vera o è falsa. Inoltre il codice di un sistema non può essere trasferito, né può essere utilizzato da
un altro sistema. Il codice rappresenta la forma attraverso la quale un sistema di funzione tratta ogni
possibile oggetto, evento, ecc. Uno stesso evento quindi è trattato da prospettive diverse in base al
codice di riferimento del sistema. Il codice consente al sistema di osservare le proprie operazioni e
di legarle una all’altra contribuendo così alla sua riproduzione (autopoiesi). Ogni comunicazione
scientifica orientata al codice vero/non vero è frutto di comunicazioni scientifiche precedenti
orientate al codice vero/non vero ed esposta a comunicazioni future esposte sempre allo stesso
codice. Tale ricorsività orientata al codice vero/non vero contribuisce a fissare i confini del sistema
scienza nei confronti di ciò che è esterno ad esso e a specificare i collegamenti interni. Ogni
comunicazione scientifica orientata al codice vero/non vero genera un confine tra interno e esterno,
ovvero tra autoreferenza e eteroreferenza.
Bisogna fare attenzione: il codice vero/non vero però non ha niente a che vedere con la
capacità della scienza di produrre conoscenza vera e oggettiva. La scienza in questo senso pone dei
confini a se stessa attraverso l’epistemologia. Ogni comunicazione scientifica è di fatto esposta a
vincoli epistemologici (verificazionismo, falsificazionismo, anarchismo metodologico, ecc.). Ma
anche in questo caso, il dibattito non è esterno alla scienza, cioè non c’è nessun sistema esterno
capace di controllare il sistema scientifico, ma è lo stesso sistema scientifico attraverso
l’epistemologia che si interroga sulle condizioni del suo operare. In termini tecnici e in base a ciò
che deriva dal calcolo logico di Spencer Brown (Spencer Brown, 1969), l’epistemologia
rappresenta una re-entry, ovvero la duplicazione del codice all’interno del sistema stesso.
Possiamo parlare dunque della scienza come sistema autopoietico autoreferenziale.
Autopoietico in quanto le operazioni (comunicazioni, azioni, ecc.) che portano alla produzione di
nuovi elementi dipendono da precedenti operazioni dello stesso sistema e costituiscono il
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presupposto delle operazioni che seguiranno. Autoreferenziale in quanto il sistema si riferisce a se
stesso per ogni operazione.
Tale prospettiva (la scienza come sistema autopoietico autoreferenziale) si estende allora
anche al rapporto fra scienza e gli altri sistemi parziali della società come l’economia, il diritto, la
politica, ecc. Se nel rapporto con la società nel suo complesso la scienza viene osservata in base alla
funzione che essa svolge e cioè di produrre sapere scientifico, nel caso del rapporto con gli altri
sistemi parziali il rapporto tra sistema della scienza e gli altri sistemi della società si realizza nei
termini di prestazione. La prestazione indica la relazione che la scienza instaura con gli altri sistemi
(che vengono intesi dalla scienza come ambiente). Nel caso specifico, la possibilità per gli altri
sistemi di utilizzare o meno il sapere scientifico prodotto dalla scienza. Un punto è importante
chiarire: il modo in cui il sapere viene trattato all’interno della scienza è del tutto indifferente dal
modo in cui viene utilizzato altrove. Per la scienza, il sapere ha valore appunto solo per la ricerca,
cioè solo in funzione del sapere stesso, mentre negli altri sistemi il sapere scientifico deve sottostare
a strutture, codici e processi comunicativi del tutto diversi da quelli tipici della scienza.
4. La scienza come sistema autopoietico autoreferenziale costituisce un punto di partenza
per riflettere attorno ad alcuni problemi relativi al rapporto fra scienza e società.
Nel dibattito attuale, la scienza viene presentata come un sistema in crisi, incapace di
produrre “verità assolute” in grado di orientare gli altri sistemi parziali della società (economia,
politica, diritto, ecc.) e quindi di porsi come guida per l’intera società. Secondo Beck, la fase attuale
della scienza è caratterizzata da una scientifizzazione riflessiva, ovvero una fase in cui la scienza si
confronta con se stessa, con i suoi successi e anche con i suoi errori. Il dibattito tutto interno alla
scienza (l’incertezza che caratterizza la ricerca scientifica, la crisi dei paradigmi di riferimento,
ecc.) viene di fatto trasferito dal sistema scientifico agli altri sistemi parziali della società fino a
coinvolgere gli individui nella loro vita quotidiana, provocando così veri e propri problemi di
legittimazione del discorso scientifico. Non di rado si incontrano atteggiamenti di incredulità e di
forte scetticismo nei confronti della scienza e dei risultati prodotti. Come sottolinea Beck: “nella
prassi e nella sfera pubblica le scienze sono messe sempre più di fronte non soltanto al bilancio dei
loro successi, ma anche a quello delle loro sconfitte, cioè allo specchio delle loro promesse non
mantenute” (Beck, 2000: 220). E’ anche vero però il contrario: nel bene o nel male la società nel
suo complesso sembra chiedere alla scienza sempre più sapere nuovo: basti pensare all’economia, o
anche ai singoli individui, che chiedono alla scienza non soltanto di migliorare le condizioni di vita,
ad esempio nella cura delle malattie, ma anche di soddisfare qualunque esigenza (mi riferisco
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soprattutto alla procreazione). La scienza però, proprio nella sua attività di ricerca, produce rischi,
ovvero nel tentativo di migliorare le condizioni di vita, la scienza produce rischi che derivano
proprio dalla ricerca stessa. In pratica, nel contesto attuale, la scienza sembra essere collocata in una
posizione ambivalente: da un lato è esposta alla valutazione dei non esperti rispetto ai risultati
prodotti, dall’altro la scienza stessa è chiamata a produrre sempre nuovo sapere. Per Beck, la
scienza è una delle cause della società del rischio. Nella società del rischio, la legittimazione del
discorso scientifico passa attraverso processi di negoziazione tra i diversi ambiti della società
(economia, politica, opinione pubblica, ecc.).
A questa crisi della scienza al suo interno (aspetto epistemologico) e all’esterno nel rapporto
con la società (aspetto sociologico), si accompagna anche l’accusa rivolta nei confronti del sistema
scientifico di non essere più autonomo rispetto ad altri sistemi parziali della società. In particolare,
si accusa il sistema scientifico di essere sottomesso agli interessi economici e alle seduzioni
mediatiche, soprattutto in quegli ambiti in cui i risultati della ricerca sono particolarmente redditizi.
Per Beck, fuoriuscire dalla crisi in cui versa il sistema scientifico vuol dire soprattutto creare
le condizioni per una nuova scienza alternativa capace di riflettere su se stessa e di mettere al centro
dell’attenzione gli effetti collaterali imprevedibili dell’agire tecnico-scientifico. Sempre secondo
Beck: “la scienza deve essere concepita come la fonte (o meglio: come una delle fonti) dei vincoli
oggettivi dai quali scaturisce la generale insicurezza” (Beck, 2000: 251). A partire da ciò Beck
sostiene che bisognerebbe orientarsi alla ricerca di una teoria dell’apprendimento della razionalità
scientifica “che concepisca quest’ultima come modificabile nel confronto con i pericoli autoprodotti” (Beck, 2000: 252).
In base a quanto detto finora, non condividiamo l’idea di “crisi” della scienza. Ciò che mi
sembra di poter dire è che si tratti piuttosto di una “crisi della semantica”, ovvero del patrimonio
concettuale utilizzato per descrivere la società e il funzionamento della scienza. La semantica
vetero-europea, legata ancora a valori capaci di orientare la società nel suo complesso, non appare
più adeguata a descrivere l’attuale evoluzione della società e né sembra capace di descrivere
adeguatamente il funzionamento della scienza. La stessa riflessione di Beck si presenta ancora
legata alla tradizione semantica della “Vecchia Europa” (per dirla con le parole di Luhmann),
ovvero si tratta di un tentativo di riproporre una sorta di illuminismo “ragionato” o “ragionevole”
capace di proteggere la società dai rischi prodotti dal sistema scientifico. Sarebbe interessante
chiedere a Beck: chi è questo osservatore privilegiato che dice tutto questo? E ancora: chi è
l’osservatore che distingue in questo modo, perché così e non in altro modo?
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La società attuale sembra al contrario evolvere in un modo diverso, ovvero la società attuale
più che essere orientata a norme e valori condivisi, sembra al contrario orientata ad inglobare quote
sempre più elevate di contingenza e quindi di rischio. Nella società differenziata funzionalmente
non c’è più nessuna possibilità (reversibilità?) di attribuire responsabilità a singoli sistemi, né è più
possibile assegnare una posizione privilegiata ad un sistema anziché ad un altro. La società moderna
differenziata funzionalmente è una società senza centro e senza gerarchia. Ogni sistema è rinviato a
sé. Ciò vale anche per il sistema scienza. Il rischio, ad esempio, non è un prodotto della scienza, ma
una condizione e una conseguenza della società differenziata funzionalmente. La scienza stessa nel
momento stesso in cui fa ricerca è esposta al rischio. La ricerca è rischiosa per definizione. Sui
progetti di ricerca bisogna decidere a condizione che non si sappia in anticipo cosa ne salterà fuori
(altrimenti non sarebbe affatto necessario iniziare). Il rischio di un progetto di ricerca sta soprattutto
nell’eventualità che le ipotesi di base si dimostrino errate. Anche il contraddire può essere visto
come un successo della ricerca.
La dimensione del rischio vale per la scienza, ma anche per gli altri sistemi parziali della
società. Qui non si tratta di un trasferimento del rischio da un ambito (quello scientifico) ad un altro
(politico, economico, ecc.). I sistemi parziali della società sono essi stessi sistemi autopoietici
autoreferenziali che operano in base al codice di riferimento interno per trattare il sapere scientifico.
In questo caso, spetta evidentemente al sistema di riferimento (in base al codice) decidere (quindi
rischio) se utilizzare o meno questo sapere. Ad esempio, spetta alla politica, sistema in cui vengono
prese decisioni vincolanti, decidere se costruire le centrali nucleari oppure no; spetta all’economia
decidere se utilizzare o meno un’innovazione per migliorare i profitti, ecc. Ma ogni sistema decide,
quindi si assume i rischi, per sé: la scienza, nel caso della politica, è politicamente incompetente: la
possibilità di realizzare la bomba atomica è cosa ben diversa dall’utilizzarla. In questo caso, la
scienza non è più competente.
Bisogna però fare attenzione: l’impossibilità del sistema scientifico di orientare gli altri
sistemi parziali della società non vuol dire crisi di legittimazione del sapere scientifico. Come
abbiamo già detto, la società moderna è organizzata per sistemi funzionali e la scienza è il sistema
funzionale in cui viene svolta la funzione di produrre sapere scientifico orientato al codice vero/non
vero. Nei casi in cui dovessero sorgere problemi relativi alla scientificità del sapere sarebbe solo il
sistema scientifico ad essere interpellato e nessun altro sistema funzionale. L’esempio più eclatante
è stato quello del Dott. Di Bella. In questo caso è stato interpellato solo il sistema scientifico: né
quello politico, né quello economico e nemmeno l’opinione pubblica. Il caso si è risolto in termini
sistemici, senza nessuna negoziazione tra sistemi o ambiti della società. Se per la società solo e
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soltanto la scienza è in grado di comunicare “sapere scientifico”(dimensione sociale), tuttavia oggi
nessuno ci può vietare di vivere eventualmente (dimensione individuale) facendo ricorso
all’astrologia o alla magia. Ma tutto questo non ha niente a che vedere con la comunicazione sociale
del sapere scientifico.
L’autonomia della scienza e la legittimità del discorso scientifico risiedono nel primato della
funzione. Ciò elimina anche le numerose critiche rivolte al sistema scientifico di non essere più
autonomo rispetto ad altri sistemi parziali della società (soprattutto l’economia). Certamente
l’economia finanzia molta ricerca scientifica. Certamente i finanziamenti pubblici o privati possono
orientare la ricerca in una direzione anziché un’altra, ma non possono assolutamente intervenire sui
risultati della ricerca. I risultati della ricerca dipendono solo e soltanto dal sistema scientifico:
l’autonomia sta nel primato della funzione: ovvero solo la scienza può stabilire ciò che è vero e ciò
che è falso.
Resta un ultimo punto ed è la posizione dello scienziato e quindi dello scienziato sociale
nella società differenziata funzionalmente. Nella società differenziata funzionalmente, lo scienziato
sarà soltanto colui che sarà capace di comunicare sensatamente all’interno del sistema. Certamente
porterà con sé i suoi valori, ma questi valori non determineranno più i risultati della ricerca, né
costituiranno più dei limiti alla ricerca stessa. La scienza autopoitica autoreferenziale procederà
sempre più verso campi finora inesplorati: un domani prossimo sarà lecito tutto ciò che sarà
possibile. Il carattere autopoietico autoreferenziale del sistema scienza non è eliminabile, a meno
che non si voglia riconoscere ad un sistema esterno a quello scientifico l’autorità di intervenire sulle
comunicazioni scientifiche. In questo caso, si interromperebbe il circolo autoreferenziale, così come
avveniva nel passato con la religione.
Certamente, la teoria qui espressa potrà apparire non adeguata a descrivere il rapporto fra
società e scienza e il rapporto fra scienza e gli altri sistemi parziali, ma allo stesso modo sarà
inevitabile proporre un’altra teoria capace di descrivere meglio tale rapporto. In ogni caso sarà
sempre un’altra teoria, esposta ai vincoli scientifici e ai problemi dell’autoriferimento.
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