LUIGI VERONESI: STRUTTURE MUSICALI DEL COLORE
di Silvia Pegoraro
“Eravamo isolati e derisi, e facevamo fatica a vivere. Eravamo tollerati. Facevamo dei piccoli formati: eravamo tutti molto
poveri; la tela e la carta costavano. Nessuno ci comperava, non dico un quadro, neanche un disegnino grande così”. E’ Luigi
Veronesi a parlare, in un’intervista rilasciata nel 1997 – l’anno prima della morte – ad Andreas Hapkemeyer. Parla della
situazione dei giovani astrattisti italiani all’inizio degli anni Trenta . Dopo gli esordi figurativi, a partire dal ’32-’33 Veronesi è
rimasto fedele per tutta la vita all’astrazione geometrica, senza il minimo cedimento alle lusinghe dei movimenti e delle correnti
che si sono succeduti. Segno limpido, esplicito, grafico, il suo, che però continuamente tradisce un piacere sensuale
dell’esecuzione, ed è proiettato verso sempre nuove possibilità di immaginazione e ricostruzione del reale.
E’ rimasto per sempre anche un grande sperimentatore, Luigi Veronesi, attento a tutte le tecniche e a tutti i materiali, non solo
nell’ambito della pittura. Lo attraevano particolarmente la scenografia teatrale e la fotografia astratta. Ha sperimentato pitture su
pellicola, fotomontaggi, solarizzazione. L’interdisciplinarità e l’interazione tra le varie arti sono stati punti cardinali del suo lavoro,
sulle tracce dei grandi maestri dell’astrattismo europeo degli anni Venti. Seguendo le orme di Moholy-Nagy e del Bauhaus,
Veronesi compie le prime ricerche unitarie per un linguaggio astrattista non solo in pittura, ma anche nel cinema, nella
scenografia,
nella
fotografia,
nel
design
e
nell’arte
grafica.
Può essere considerato il più europeo degli astrattisti italiani: partecipa al movimento Abstraction-Création; è in contatto, oltre
che con Moholy-Nagy, con Léger, Vantongerloo, Kandinskij, Albers (con il quale espone presso la galleria Il Milione nel 1934);
partecipa attivamente anche al Mac ( il Movimento d’arte concreta promosso a Milano alla fine del 1948 da Soldati e Munari).
Ma soprattutto, è l’unico fra gli astrattisti italiani a seguire fedelmente l’impostazione del Bauhaus, che implica la considerazione
dell’arte come strumento che coinvolge tutti gli aspetti della vita quotidiana e dell’esperienza estetica, ma anche l’analisi del
ruolo dell’arte in rapporto all’era tecnologica. Da qui il legame fra arte e scienza di cui è permeata tutta la riflessione estetica di
Veronesi: “osservando la vita in tutte le sue forme, nella natura, nella scienza, nella società umana, credo di alimentare la mia
fantasia”, ci dice il maestro milanese. Per questo la sua opera è scienza e insieme poesia della natura Per questo i suoi quadri
e i suoi splendidi fogli di grafica non appaiono mai freddi e “studiati”: nascono liberamente da un istintivo, vitale bisogno di
ritmica nel colore e nelle linee. Le sue astrazioni geometriche si organizzano nello spazio secondo un ordine che appare
intensamente poetico, per quanto abbia una matrice rigorosamente matematica, e in ciò sta il loro fascino maggiore.
Luigi Veronesi affronta la tematica della natura come spazio dominato da leggi fisiche universali e oggettive , ma suscettibili di
infinite applicazioni e sviluppi individuali. La natura come campo dell’oggettività scientifica, e contemporaneamente della
soggettività artistica e poietica . Lo studio delle leggi fisico-matematiche è insomma strumentale a una ricerca sulla forma
suscettibile d’infinite articolazioni, cariche di valenze estetiche, che ruotano intorno al dinamismo, alla metamorfosi, al flusso. In
questa ricerca il microcosmo dell’immaginazione simbolica dialoga dunque ininterrottamente con la dinamica della struttura
cosmica.
Commentando, nel suo saggio L’origine dell’opera d’arte, una frase di Dürer, secondo cui l’arte «è in verità dentro la natura, e
chi è capace di trarla fuori la possiede», Heidegger afferma che «trar-fuori significa qui cogliere il tratto e tirarlo sulla carta. Ma si
potrebbe obiettare : in qual modo il tratto potrebbe esser tratto-fuori se non apparisse come tratto, se cioè, fin dall’inizio, non
fosse in chiaro come lotta fra misura e dismisura in seno al progetto artistico?» Così, “misura” dell’intelletto e “dismisura” dela
fantasia s’incontrano, nel lavoro di Veronesi.
Lo spazio interiore e quello esterno, di cui noi stessi, con il nostro corpo e la nostra coscienza, siamo il confine, sono racchiusi
in quest’opera in cui tutto si muove e tutto è leggero. E’ una vera complexio oppositorum di dati e leggi naturali e di “artifici”
volti a “interpretarli”, curvandoli verso una fenomenologia dell’individualità estetica . Si può pensare alla città onirica
rappresentata da Borges nel racconto L’immortale (L’aleph) : si tratta di lasciarsi coivolgere da un lavoro in cui l’assoluto rigore
ideativo e compositivo si annoda inscindibilmente alla consapevolezza dell’immensità cosmica e dell’infinità creativa delle sue
manifestazioni . Un lavoro in cui gli elementi parziali sono noti, ma le modalità del loro accordarsi sono spesso stranianti e
misteriose. Rebus di una condizione originaria e assoluta, questa ricerca artistica indaga l’essenza della natura, reinventandola. Per questo le figure del fisico, del matematico, dell’architetto, del musicista e del poeta si assommano in quella di
Luigi Veronesi.
Caratteristica peculiare dell’astrattismo di Veronesi è la volontà di comporre in unità stilistica l’estrema complessità e
molteplicità delle sue ricerche. La dimensione equilibrata - armonica e armoniosa - a cui perviene è comunque, prima ancora
che formale, logica e filosofica. Nessun riduttivismo scientifico, come pure nessuno spiritualismo nebuloso, dunque: nulla
appare più lontano dall’arte di Veronesi, che non si risolve mai né su un piano meramente razionale e geometrico, né su un
piano indistintamente e approssimativamente “spiritualista”, ma implica una dimensione intensamente percettiva ed emozionale
: “La gioia e il piacere di cui parlo nascono dalla percezione di puri rapporti, tensioni e ritmi istituiti con chiarezza e metodo” ,
dice nel corso di una conversazione con Piero Quaglino nel 1983.
La sua pittura non si affida alla rappresentazione della realtà, ma piuttosto alla sua costruzione : “Consideravo i costruttivisti
russi i miei padri spirituali”, afferma nell’intervista ad Hapkemeyer . Ed è esattamente questo, in ultima analisi, il messaggio che
egli intende trasmettere con la sua opera: l’uomo deve costruire con le proprie forze, a partire dalla caotica e inquietante
incomprensibilità del reale, una superiore condizione di armonia, ordine, bellezza. L’elemento irrazionale è quello da cui
dipendono la dinamicità e la flessibilità, della natura come dell’arte. Esso esalta la funzione ordinatrice della mente, in un
rapporto dialettico che è il solo a rendere la pienezza e la complessità dell’esistenza.
Veronesi ha dunque posto sin dall’inizio a fondamento del proprio lavoro un attento studio e un’interpretazione creativa dei
meccanismi della percezione, nonché la considerazione dell’opera d’arte come esperienza conoscitiva fondata sulle funzioni
percettive dell’uomo. Arte come processo, funzione, apertura su eventi in divenire, non più come oggetto. Arte che però non si
pone semplicemente e pedissequamente sulle orme della scienza, ma piuttosto ricerca la propria consanguineità con essa :
quel comune principio creativo alla radice della scienza e dell’arte, teorizzato con grande convinzione e passione anche dal
grande filosofo della scienza Paul Feyerabend.
Così, le opere di Veronesi sono architetture di forme e segni accampati in uno spazio geometrico, organizzato sulla base del
principio di misurabilità ; segni che affiorano da un universo di rigore, controllo, misura. Ma qui il lavoro sull’immagine non
esprime né fa emergere la “pura essenza”, statica e immutabile, della realtà. Labirinto metamorfico di segni e di variazioni
cromatiche, specchio di se stessa, della sua articolazione, quest’arte non obbedisce che alla propria lingua, che è la stessa
della mente e dei sensi dell’uomo, in una presa di contatto col mondo che è ininterrotta, variabile interazione.
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L’istanza primaria sembra quella di lasciar trasparire la trasparenza cristallina dell’idea, mediante l’impiego di figure archetipiche
e modulari. Ma al rifiuto della rappresentazione fenomenica quale “figurazione” di corpi e oggetti, non viene fatta seguire
un’adesione all’assoluto quale sistema cosmico altamente organizzato, onnicomprensivo ed immutabile, che sostanzia e
vertebra la concezione generale dello spazio pittorico, architettonico e geometrico. Subentra invece un sistema di
complementarità semantica tra pensiero, sensi e definizione geometrica, che “costruisce” nello spazio strutture nitide,
contrastate e intersecate, ma sempre intensamente dinamiche.
La geometria stessa si manifesta come un porsi dell’immediatezza e della variabilità percettive: trascorrere dinamico di tutti i
suoi modi di essere e di esistere. Una forma di attraversamento in profondità di tutte le apparenze del dipingere e del costruire,
quasi una poesia “ulteriore”: manifestazione dell’incessante misurare-misurarsi dell’esperienza umana con il mondo della
percezione e della mente.
Le forme funzionano qui in un’ottica molto simile a quella del reale parlato, fatto esistere dal linguaggio (dal suono) e nel
linguaggio, e ad esso continuamente rimandano, in un ininterrotto processo semantico, che rende la stessa decifrazione infinita,
tenacemente aperta.
Lo spazio in Veronesi non è allora lo spazio logico-razionale della deduzione geometrica, ma quasi un husserliano Eidos,
concentrazione di pura sensibilità formale, ma nutrita degli echi della psicologia individuale, e per questo incline a farsi storia,
narrazione. Le sue figure geometriche assumono così la fisionomia individuale, la forza espressiva e l’originalità caratteriale di
veri e propri personaggi.
Veronesi riporta il linguaggio umano al suo ritmo rarefatto ed essenziale, in qualche modo mallarmeano, il ritmo di base delle
strutture logico-formali, senza rimuovere la matrice psico-fisiologica dell’esperienza. Ciò è evidente sin dai primi lavori astratti,
all’inizio degli anni Trenta, dove i segni sono inseguiti dai sintagmi cromatici, di una pasta pittorica sottile, eppure sensibilmente
materica , e la loro connessione è garantita non tanto dallo statuto della logica formale quanto da procedimenti di assemblaggio
intuitivo e “orfico”, o da strutture di logica inferenziale (free logic), che tendono contemporaneamente all’identità e alla relazione
dissimigliante, in un gioco di de-costruzione e ri-codificazione .Visione del fondamento dell’esistenza in quanto linguaggio e al
contempo - sulla traccia di Wittgenstein - immagine, la logica pittorica di Veronesi è giocosa gnoseologia., in limine tra visibile
e invisibile.
La posizione di Veronesi nell’ambito dell’astrattismo italiano e dei movimenti artistici che si sviluppano nei primi decenni del
Novecento, è assolutamente particolare. Il suo astrattismo, pur perseguendo obiettivi di chiarezza e razionalità, nel rispetto
delle tendenze dominanti, rifugge sempre, come si è detto, da un ordine immodificabile e assoluto. Oltre a ciò, sono chiare le
valenze sinestetiche e “trasversali” della ricerca artistica di Veronesi : in particolare, riveste un’assoluta centralità lo studio del
rapporto suono-colore che, se da una parte, s’inquadra in una tradizione che prende l’avvio dal romanticismo di fine
Settecento-primo Ottocento, dall’altra anticipa fortemente un certo tipo di sperimentazioni “polisensoriali” dell’arte più attuale.
Il fervente clima creativo - sebbene circoscritto e poco riconosciuto all'epoca - che animava la galleria milanese del Milione, a
cui Veronesi faceva capo, e dove l’astrattismo italiano muoveva i suoi primi passi, incoraggiava frequenti interscambi tra
linguaggio musicale e linguaggio pittorico. Alla fondazione della galleria avevano partecipato anche i musicologi e critici musicali
Luigi Rognoni e Ferdinando Ballo. Vi si ascoltavano Schönberg, Berg, Webern - banditi dalle sale da concerto e dai teatri italiani
- e ci si collegava strettamente alle analoghe esperienze europee di rapporti tra esponenti della pittura astratta, musicisti e
compositori.
Queste prime e innovative esperienze di comunicazione e di intrecci linguistici portano Veronesi, nel '36, alla realizzazione delle
14 Variazioni di un tema pittorico, sulla base delle quali Riccardo Malipiero compone nel '38 le 14 Variazioni di un tema
musicale.
Il celebre adagio goethiano, “che esista una certa relazione del colore col suono, questo fu sentito sempre”, vale certo
profondamente per Veronesi, che tenta anche di indagare scientificamente le relazioni tra il linguaggio visivo e quello musicale,
seguendo un metodo misurabile scientificamente. I presupposti di questa ricerca sono gli studi di cromatologia, che l’artista
aveva avviato fin dagli inizi degli anni '30, e che subiscono una svolta decisiva durante il periodo di insegnamento
all'Accademia di Belle Arti a Venezia. Qui, grazie all'uso di un oscilloscopio, Veronesi riesce a stabilire un allineamento
soddisfacente tra la lunghezza d'onda delle vibrazioni luminose dei colori e quella dei suoni. “Veronesi, anziché partire dal
problema timbro (musicale)-colore (pittorico), come hanno fatto, bene o male, i suoi predecessori - dirà giustamente Rognoni parte dal rapporto altezza tra nota e nota, e altezza tra colore e colore: quindi da un rapporto intervallare rigorosamente
controllabile”. Incoraggiato dai suggerimenti di Rognoni, Veronesi visualizzerà, mediante forme colorate, i suoni relazionati alle
partiture musicali. L'intensità del tono con cui i suoni vengono eseguiti viene tradotta in “quantità di suono”, a cui corrisponde
una “quantità di colore”. La “mancanza di suono”, la pausa, il silenzio, sono resi con una “mancanza di colore”, individuabile
nello stato di riposo dell'occhio, percettivamente connesso all'osservazione del colore grigio neutro. Tutti i parametri di lettura
del codice sonoro vengono trasformati in altrettanti codici di scrittura cromatica e formale. Tutti ad eccezione del timbro, che
non a caso rimane un fattore intimamente legato alla parte esecutiva, strumentale.
Tali ricerche sfoceranno nelle visualizzazioni cromatiche di numerose partiture musicali, tra le quali una delle prime è la
Visualizzazione cromatica del Contrappunto n. 2 di J.S. Bach, del 1970.
Nonostante sembrino prendere le mosse da una matrice di natura “positivista”, implicante la volontà di mettere al bando
qualsiasi forma di interpretazione soggettiva, queste sperimentazioni hanno riflessi assolutamente poetici sul lavoro pittorico di
Luigi Veronesi.
E’ estremamente chiara la frequente impostazione “seriale” dei lavori, che si propongono come sviluppo di un motivo tematicoformale, vere e proprie “variazioni su un tema”, in senso musicale : lo spazio che ci viene proposto è leggerezza, evanescenza
e altalena musicale di variazioni segniche. Il luogo dei suoi segni è Spiel, gioco e musica .
Lo spazio di questa pittura non è solo pensato, secondo strutture euclidee, ma contemporaneamente vissuto-immaginato
dall’artista. Il solido scompare nel fluido, la luce nei colori . L’aria, l’acqua, il fuoco, la musica, sembrano trasfigurarsi nelle
immagini di Veronesi, sia in quelle più rigorosamente strutturate in senso geometrico-matematico, sia in quelle più fluide e
“aperte” del periodo degli “Organici”, negli anni Ottanta. Soprattutto osservando le opere di questo periodo si è portati a pensare
alla forma stocastica e inafferrabile della fiamma : pensarla improvvisamente “gelata”, come a formare misteriose quanto
imprevedibili mappe, ed ecco che si avranno queste alchimie dell’immagine. Più che di una scoperta, di una invenzione o di
un’interpretazione, siamo messi al cospetto di una presa d’atto misteriosa, lucidamente sintonizzata con l’energia germinale che
misura le cause, gli stadi e l’effetto manifesto delle virtualità remote. Virtualità “biologiche”, ma anche biologia del segno,
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metafora della germinazione semiologica, cellula della forma. Oltre il segno, e a partire dal segno, la profondità dello sguardo di
Veronesi illumina la modificazione dell’energia, il mistero e la complessità delle organizzazioni formali. Questa complessità
dimostra che il segno, quando viene assunto - come in tanta parte dell’arte contemporanea - come mero significante, è pura
larva e desolante nichilismo, se non si traduce in di-segno, linea d’articolazione o segmentalità a più strati, focalizzazione dello
sguardo su un lavorio che in tempo reale svela e rivela, valore che fissa sull’opera il significato del messaggio visivo garantito
dal reale.
L’opera di Veronesi evoca un felice senso di simbiosi tra colore, materia, luce, suono; il senso del loro essere tutt’uno con l’idea
e insieme col gesto, col tratto, col tocco. Per questo il suo astrattismo è molto particolare: qui il mentale e il materiale, la sfera
del pensiero e quella della percezione, arrivano a toccarsi e quasi a identificarsi. “Astrazione sensibile” può essere forse, allora,
un’espressione adatta a definire l’arte del maestro milanese. Qui le schegge luminose del pensiero non si perdono nel labirinto
della pittura, ma vi s’incastonano come segni di una soglia tra visibile e invisibile. La pittura esita sulla soglia della musica, la
materia sulla soglia del vuoto. Veronesi ci spinge nel regno dell’immaginario, nell’universo del puro possibile, con la sua pittura
che genera e trasforma ininterrottamente le strutture musicali del colore. Conduce un finissimo gioco di tratti e di nuances,
basato sul continuo differenziarsi dei “quanta” luminosi che dinamizzano il rapporto intervallare tra i diversi colori dello spettro.
Un gioco che, strutturandosi in modo affine a una composizione musicale, sembra anche fare riferimento alla doppia natura,
continua/discontinua, del tempo.
In La pensée et le mouvant, Bergson contrapponeva al carattere “musicale” della conoscenza intuitiva la metafora della collana
di perle come esempio della rappresentazione intellettuale. In Veronesi, la “musicalità” dell’intuizione, che si fa azionepercezione immediata e coinvolgente, si unisce all’estrema lucidità di una tensione cognitiva perennemente vigile e inquieta. Le
perle della collana che il pittore sgrana davanti ai nostri occhi sono le sue danzanti “figure”, coinvolte in un intrigante g ioco
dinamico e vettoriale di flussi e riflussi. Se riusciamo a entrare in quest’ottica, vedremo una dimensione spaziale dove non
esistono confini - termines - ma soltanto sconfinamenti . Un’ottica che abbraccia anche l’invisibile, il flusso metamorfico del
tempo che fa “sfumare” i corpi l’uno nell’altro.
Nel XX secolo il fondamento della cultura materiale si è spostato dall’energia meccanica all’energia elettronica, e ciò ha
determinato lo sviluppo della cibernetica, dell’informatica, della telematica, che ha trasformato radicalmente non solo le modalità
di produzione di “oggetti”, ma anche la loro natura, e dunque il nostro modo di percepirli. La rigidità schematica della struttura
meccanica ha lasciato il posto alla complessità della struttura elettronica.
Veronesi sembra perfettamente consapevole di ciò, e sfrutta brillantemente in senso estetico questa consapevolezza della
ciclica e infinita convertibilità reciproca materia-energia, che si fa immagine di bellezza nei suoi lavori.
In una lettera augurale al fratello Carlo per il capodanno 1799, Friedrich Hölderlin indugiava nella considerazione che è un
errore pensare che «tutto sarebbe bell’e fatto, una volta che il mondo fosse finalmente simmetrico». Veronesi lavora anche su
una sottile ambiguità tra simmetria e asimmetria, individuando l’ordine sotteso all’apparente disordine e alle asimmetrie della
natura, e valorizzando nel contempo la pregnanza estetica di queste manifestazioni.
E’ lontano, quindi, da un algido mondo di geometrie platoniche. La sua arte si mostra contemporaneamente come controllo
totale sull’oggetto, che diventa materializzazione di visioni alternative, e la consapevolezza del mondo fisico-naturale come
inesauribile repertorio visivo, labirinto di immagini metamorfiche dove è possibile smarrirsi.
Veronesi conduce l’opera alle soglie del visibile, nel regno del puro ascolto, dell’udibile, della musicalità : la fine della pittura
coincide con l’inizio della musica. E la musica esalta la semplicità e l’umiltà della materia-colore : si tratta della metafora del
mondo e del gioco del mondo, che pone il mondo tra parentesi . La sua opera è la differenza tra il mondo finito della realtà e il
mondo infinito del desiderio, del sogno, del gioco. «La poesia - annotava Novalis - rappresenta l’irrappresentabile, vede
l’invisibile, ode il non udibile» (Frammento1208).
Questa assenza di vincoli, questa leggerezza assoluta, è la condizione del meraviglioso. Ancora Novalis, scriveva: «La favola è
come una visione di sogno senza nesso. Un insieme di cose, fatti meravigliosi, fantasia musicale, le sequenze armoniche di
un’arpa eolia...» (Frammento 1200) . E così lo spazio pittorico diventa spazio aperto, tempo utopico di un mondo in cui il destino
è gioco di libertà.
In questo approdare verso segni e dimensioni in cui il mondo si fa gioco fra il visibile e il non-visibile, Veronesi è vicino a Mirò, a
Paul Klee, a Wols, a Licini : al sogno dell’esistenza inteso non come passione violenta e conflittualità tellurica, ma come
ebbrezza di un mondo senza gravità, di uno spazio del quadro ambiguo, inafferrabile ed evanescente. Ma sempre altamente
poetico.
Il cammino di questo pensiero-pittura, o pittura-pensiero, si biforca ininterrottamente tra il visibile e l’invisibile, tra il dato della
natura e la sua trasfigurazione mentale e immaginativa. Se il cammino si biforca il bordo è fluttuante, è la fluttuante fedeltà dei
sensi nel teatro mutevole e periclitante della mente. Dal visibile naturale si passa così alla raffigurazione pittorica di un invisibile
che altro non è se non la febbrile energia che anima la natura stessa .
E’ come se Luigi Veronesi guardasse le cose, e subito chiudesse gli occhi , come consigliava il grande pittore romantico Caspar
David Friedrich, per distillarne, nel silenzio e nel buio della mente, il quid sub-stanziale: colore, luce, energia; per visualzzare ,
nei propri spazi interiori, l’invisibile, risalendo al nucleo cosmogonico, indistinto, nuancé, in-de-cidibile, dell’esistente.
Posto in una regione di ambiguità tra il silenzio della rarefazione, del vuoto, e la scansione calibrata ma inesauribilmente vitale
di una melodia, leggero come il gioco, esaltante come la coscienza della libertà, veloce e in-consistente come il pensiero, il
segno di Veronesi gioca col vuoto come con una materia privilegiata, dove il sogno si annida in uno spazio senza dimensioni.
Ciò che esprime è la linea di forza, lieve e inafferrabile, di una dinamica metamorfica inesauribile, innervata nella patria a-topica
del gioco e della poesia, che sfugge a qualsiasi costrittiva determinazione di spazio e di tempo.
Il sorprendente apparire di questa musica colorata di segni dà vita a un’icona enigmatica, intessuta di elementi imponderabili e
infinitesimali: rende visibile l’invisibile, che per Veronesi è rappresentabile, letteralmente aperto alla possibilità di entrare nel
nostro presente, negli istanti eterni e illimitati che costituiscono l’unica vera esperienza del tempo nella nostra esistenza.
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