SMG Jazz Festival, L`Ariston Urban Center Sabato 23 marzo ore 21

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SMG Jazz Festival, L’Ariston Urban Center
Ingresso 6 euro,
biglietto unico
info Ufficio Cultura 0293598267-66
[email protected]
Sabato 23 marzo ore 21,15
LA DRUMMERIA
ovvero
‘QUANDO LA BATTERIA CANTA’
Ellade Bandini, Walter Calloni, Maxx Furian, Paolo Pellegatti
La DRUMMERIA è nata dall’affiatamento e l’amicizia tra grandi protagonisti della scena musicale italiana,
grandi interpreti dei diversi linguaggi musicali, persone lontane per età, vissuto, gusti, esperienze e
temperamenti ma accomunate dal medesimo spirito di avventura e sperimentazione.
Un autentico “SUPER GRUPPO”, un viaggio etnico-musicale attraverso diverse "tradizioni dei tamburi"
proposto da esponenti tra i più completi e rappresentativi. Lo spettacolo si snoda attraverso sezioni
"obbligate" e momenti in assolo, con composizioni scritte da diversi musicisti e completate da
improvvisazioni, giochi e palleggi musical percussivi per concludersi con un gran finale in crescendo;
insomma, una formula unica, originale e nuova.
LA DRUMMERIA si nutre del talento di artisti da anni protagonisti della scena musicale italiana: ognuno di
loro porta alla band qualcosa di speciale:
ELLADE BANDINI porta una cultura totale fatta di musica, vita vissuta e di infiniti concerti; porta le idee
di chi ha calcato i palcoscenici di tutto il mondo, affrontando ogni genere musicale in totale sintonia con i
bisogni veri del pubblico.
WALTER CALLONI porta la potenza, l'energia e tutto il groove che ha fatto la storia del rock italiano, e
con il suo calore e la precisione dei suoi colpi, racconta al pubblico una vita vissuta con la musica.
MAXX FURIAN porta le emozioni legate alla nuova generazione del batterista eclettico, tecnicamente
perfetto, che, grazie alla qualità totale dell'esecuzione garantisce la compattezza musicale del gruppo.
PAOLO PELLEGATTI porta tutto il sapore del jazz e tutti i conflitti di quella sua anima nera dannatamente
rock, che si libera in dinamiche coinvolgenti.
Nella DRUMMERIA 4 tra i migliori batteristi italiani hanno unito storie di musica e di vita, di groove e di
colore, di tecnica e d’inventiva, per offrire al pubblico un grande spettacolo musicale e d’intrattenimento
che va ben oltre tutto quello che ci si potrebbe aspettare dalla batteria.
Sabato 13 aprile ore 21,15
ARTCHIPEL ORCHESTRA
ARTCHIPEL è un’orchestra di grande impatto scenico e musicale, nata da un’idea del batterista,
compositore e direttore d’orchestra Ferdinando Faraò. Risultata vincitrice come MIGLIORE FORMAZIONE
DELL'ANNO nel referendum annuale "Top Jazz" della rivista specializzata Musica Jazz, propone un
repertorio centrato su alcuni autori britannici legati a quell'area di confine tra jazz e progressive rock che
è stata chiamata "scuola di Canterbury".
Brani di: Alan Gowen, Fred Frith, Dave Stewart (fondatori di gruppi storici come Gilgamesh, Henry Cow,
Art Bears, Egg, Hatfield And The North, National Health), Robert Wyatt e Hugh Hopper (dei leggendari
e pionieristici Soft Machine), Mike Westbrook (uno dei più influenti compositori e bandleader della New
Thing britannica). Tutte composizioni originali trascritte e arrangiate per orchestra conservando il senso e
la forza espressiva di una musica ancora estremamente fresca e creativa che ben si inserisce in una
prospettiva di jazz contemporaneo.
FORMAZIONE ARTCHIPEL ORCHESTRA
Trombe: Marco Fior – Marco Mariani - Gianni Sansone
Trombone: Francesca Petrolo
Sax soprano: Felice Clemente
Sax alto: Paolo Profeti
Sax tenore: Germano Zenga
Sax baritono: Rudi Manzoli
Flauto: Carlo Nicita
Clarinetto Basso: Simone Mauri
Archi: Paolo Botti – Eloisa Manera - Carmelo Patti
Chitarra elettrica: Giampiero Spina
Pianoforte: Beppe Barbera
Synthesizer: Massimo Giuntoli
Basso elettrico: Gianluca Alberti
Batteria: Stefano Lecchi
Percussioni: Lorenzo Gasperoni
Voci: Naima Faraò - Serena Ferrara - Giusy Lupis - Filippo Pascuzzi
Direzione: Ferdinando Faraò
Domenica 21 Aprile, ore 21,15
Antonio Faraò Trio featuring Luca Jurman
Antonio Faraò piano, Martin Gjakonovski contrabasso, Vladimir Kostadinovic alla batteria, Luca Jurman
voce.
Pianista dalle eccezionali doti virtuosistiche, perfetta sintesi tra il pianismo afro di McCoy Tyner, Erroll
Garner, Oscar Peterson ed Herbie Hancock e l’eleganza di Bill Evans e Keith Jarrett, Antonio Faraò ci
propone con il suo trio il repertorio del suo ultimo lavoro “Domi”, un album particolarmente ispirato.
Con questo progetto dedicato al figlio Dominique e a tutti bambini del mondo il pianista ci mostra il
suo lato più lirico, nostalgico e malinconico. E' accompagnato da Martin Gjakonovski al basso e da
Vladimir Kostadinovic alla batteria.
“Non mi capita spesso di essere sorpreso da registrazioni di musicisti, come lo sono stato quando per la
prima volta ascoltai uno degli ultimi CD di Antonio Faraò. Ciò che mi ha colpito è stata la sensazione che
ho sentito dentro di me. C'è talmente tanto calore, convinzione e grinta nel suo modo di suonare. Mi ha
immediatamente attratto la sua concezione armonica, la gioia dei suoi ritmi e il suo senso di swing, la
grazia e il candore delle sue linee melodiche improvvisate. Antonio non è solo un ottimo pianista, è un
grande". (Herbie Hancock)
Antonio Faraò
Considerato dalla critica europea uno dei più interessanti pianisti jazz dell'ultima generazione, Antonio
Faraò nasce a Roma nel 1965 in una famiglia dalle radici musicali ben salde. Il padre, appassionato di jazz,
lo introduce fin da giovane all'ascolto di Benny Goodman, Count Basie e Duke Ellington, trasmettendogli
un gusto per lo swing che resterà intatto anche negli anni successivi, diventando elemento peculiare del
suo modo di comporre.
Faraò si distingue fin da ragazzo per uno spiccato interesse verso la musica nero-americana
d'avanguardia. I suoi primi modelli di riferimento sembrano essere due musicisti che, seppur diversi tra
loro per le strade verso cui indirizzano la loro ricerca, sono legati da un'identica tensione al rinnovamento
del linguaggio. Da un lato, McCoy Tyner, storico protagonista dell'avanguardia modale e componente
fondamentale del quartetto di John Coltrane che incise le leggendarie "My Favorite Things" e "A Love
Supreme". Dall'altro il più giovane Herbie Hancock, che lasciato il quintetto di Miles Davis poco prima
dell'incisione di "Bitches Brew" si era diretto verso una più intensa stagione elettrica, culminata con
l'introduzione di elementi funky nel gruppo che incise l'epocale "Maiden Voyage".
Solo in seguito, Faraò scopre Bill Evans, pianista imprescindibile per chiunque voglia suonare jazz in trio,
padre di un panismo sottile e raffinato che coniuga l'improvvisazione afroamericana con la tradizione
romantica europea. L'influenza di Evans sull'estetica di Faraò (pur nella peculiarità dei rispettivi
linguaggi), appare oggi più evidente rispetto al passato, soprattutto quando gli impeti più marcatamente
percussivi lasciano spazio ad una maggiore consapevolezza melodica.
La carriera solistica di Antonio Faraò è ricca di successi sin dal principio. Si ricorda la vittoria, ottenuta
nella categoria "Nuovi Talenti", al referendum indetto dalla rivista "Musica Jazz" (1991) e la chiamata a
numerosi festival internazionali nei quali ha potuto suonare a fianco dei maggiori maestri del jazz
contemporaneo. Sarebbe troppo lungo elencare le prestigiose collaborazioni del pianista. Basti qui citare,
in elenco sparso, Didier Lockwood, Daniel Humair, Randy Brecker, Gary Bartz, Lee Konitz, Steve
Grossman, Joe Lovano, Tony Scott, Chico Freeman, Toots Thielemann, John Abercrombie, Richard
Galliano e, tra i protagonisti della musica leggera, la grande Mina.
A suggellare un percorso musicale di per sé straordinario, nel 1998 arriva il più prestigioso dei
riconoscimenti: il primo premio al "Concorso Internazionale Piano Jazz Martial Solal", indetto dalla Città di
Parigi ogni 10 anni. Un evento che ha lanciato Faraò ancora più intensamente nei circuiti europei della
musica contemporanea, e lo ha portato ad incidere, vari album da leader con i più prestigiosi musicisti di
jazz (Jack DeJohnette, Chris Potter, Bob Berg, Miroslav Vitous, André Ceccarelli…).
Martin Gjakonovski
Il bassista del trio è Martin Gjakonovski, conosciuto dai jazzisti italiani come “il macedone” per la sua
patria natia, ma vive da molti anni a Colonia, in Germania. E’ un componente essenziale dei gruppi di
Faraò ormai da molti anni, ancor prima che Antonio incidesse “Far out” con il compianto Bob Berg. Martin
è uno di quei bassisti che tutti vorrebbero avere: note precise con suono intenso, sempre a tempo, linee di
basso che aiutano il solista e una grande arte improvvisativa. Gjakonovski si è trovato benissimo con il
giovane talento della batteria Vladimir Kostadinovic tanto da costituire una ritmica eccellente di supporto
e stimolo per il grande pianista.
Vladimir Kostadinovic
Nato a Kovin (serbia). Vincitore del premio Tuscia in Jazz 2008 e del concorso Jimmy Wood (juria: Kenny
Barron, Shawn Monteiro, Rick Margitza, Ray Mantilla, Flavio Boltro, Giorgio Rosciglione...Ha iniziato a
suonare la batteria a l'età di 11 anni. Ad agosto del 2009 viene invitato in Scozia per dei concerti dal
organista Tony Monaco. Lo stesso anno, registra a New York il suo primo disco con sideman americani
(Jimmy Greene, Danny Grissett, Matt Brewer). Un giovane batterista pieno di talento e maturità che ha da
poco raggiunto la ritmica di Antonio Faraò.
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