21 ottobre 2003 Federico Tassinari IL FINANZIAMENTO DELLA SOCIETA’ A RESDPONSABILITA’ LIMITATA MEDIANTE MEZZI DIVERSI DAL CONFERIMENTO 1. LE DIVERSE POSSIBILITÀ DI FINANZIAMENTO DELLA SOCIETÀ AL DI FUORI DEL CONFERIMENTO. 1.1. Finanziamento in senso giuridico e finanziamento in senso aziendalisitico. La nozione di finanziamento differisce dal punto di vista giuridico e della finanza aziendale. Dal punto di vista giuridico, può costituire finanziamento soltanto l’operazione che determina come effetto la costituzione o la modificazione di un diritto di credito nei confronti della società. In tale ottica, dunque, non è necessario che l’atto che costituisce la fonte del finanziamento sia necessariamente un contratto di credito, idoneo a costituire in capo alla società una o più nuove obbligazioni, quale un mutuo ex artt. 1813 ss. c.c., un’apertura di credito bancaria ex artt.1842 ss. o non bancaria ex artt. 1322 e (eventualmente, se regolata con un sistema di conto corrente) 1823 ss. c.c., un’anticipazione bancaria ex artt. 1846 ss. c.c., ecc., potendo altresì accadere che tale atto sia costituito da uno strumento negoziale destinato ad incidere su un’obbligazione della società già esistente, quale una vicenda di sostituzione della società stessa quale soggetto passivo del rapporto obbligatorio (a titolo di delegazione, espromissione o accollo, secondo una delle forme e delle modalità che tali istituti possono assumere ai sensi degli artt. 1268 ss. c.c.), oppure una dilazione di pagamento concessa dal creditore o un c.d. pactum de non petendo. Sempre dal punto di vista giuridico, tuttavia, l’operazione di finanziamento presuppone comunque che la società sia contemplata alla stregua di un soggetto debitore, secondo la nozione generale disciplinata dal libro IV del codice civile. Dal punto di vista della finanza aziendale, invece, costituisce finanziamento ogni operazione idonea a garantire alla società, in quanto impresa, i mezzi necessari per la realizzazione della propria attività, indipendentemente dalla ricorrenza dei presupposti giuridici sopra evidenziati. Ne consegue che, se tutto ciò che costituisce finanziamento in senso giuridico non può non essere considerato finanziamento anche nella prospettiva della finanza aziendale, non è parimenti vero il contrario, dal momento che si possono individuare numerose operazioni che costituiscono finanziamento da quest’ultimo punto di vista, ma non da quello strettamente giuridico. Nella prospettiva aziendalistica, chi finanzia la società attribuisce a questa un capitale; nella prospettiva giuridica chi attribuisce alla società un capitale non può, per definizione, finanziare la società. In termini generali, poi, la finanza aziendale distingue tra finanziamento della società mediante capitale di credito e finanziamento della società mediante capitale di rischio (1). Ne consegue che la sottoscrizione del capitale sociale (in senso giuridico, ex art. 2463 n. 4 nuovo testo c.c.) mediante esecuzione di un conferimento in senso tecnico ai sensi degli artt. 2464 ss. nuovo testo c.c. costituisce, per la finanza aziendale, la prima e più diretta modalità di finanziamento, quale attribuzione di capitale proprio. Ne consegue ulteriormente che anche l’assunzione di obbligazioni da parte del socio a titolo di prestazione accessoria, secondo le modalità codificate nell’art. 2478 vecchio testo c.c. (non più 1 ) In questa sede non interessa soffermarsi sulle considerazioni che la disciplina aziendalistica svolge con riferimento al rapporto ottimale che, in ciascun tipo di società, deve sussistere, per garantire al meglio la prosperità dell’impresa, tra le due accennate forme di finanziamento, pure dovendosi ammettere che tale aspetto, con la riforma, è diventato rilevante per il giurista non solo ai fini della giustificazione, per le società azionarie, del limite massimo di emissione delle obbligazioni (cfr. art. 2410 vecchio testo e art. 2412 nuovo testo c.c.), ma anche al fine di una corretta applicazione del nuovo art. 2467 c.c. . 1 riprodotto, come si vedrà in seguito, in alcuna disposizione del nuovo testo risultante dalla riforma), oppure, ove consentito dal diritto positivo, ad altro titolo, costituisce normalmente per la società, nella prospettiva aziendalistica ora al vaglio, un’ulteriore modalità di finanziamento, trattandosi comunque di operazione che ha come effetto, quando non come scopo, quello di contribuire a dotare la società dei mezzi necessari per l’esercizio della propria attività. Ne consegue ancora, infine, che costituiscono altresì operazioni di finanziamento a favore della società, nella medesima prospettiva aziendalistica, tutte quelle forme di apporto fuori capitale che sono state elaborate e largamente praticate nella prassi (c.d. versamenti in conto capitale, versamenti in conto futuro capitale, ecc.), anche se le stesse non determinano alcun effetto costitutivo, modificativo o estintivo di obbligazioni in capo alla società stessa. 1.2. Questioni da affrontare. La precisazione fornita nel precedente paragrafo, unitamente alle considerazioni svolte nell’ultimo paragrafo del precedente capitolo, impongono ora di completare il ragionamento a proposito delle valutazioni compiute dal legislatore della riforma in merito alle diverse modalità attraverso le quali una società può essere finanziata in un’ottica aziendalistica, al fine principale di stabilire se la nuova disciplina in tema di finanziamenti prevista dall’art. 2467 c.c. consideri quest’ultima nozione dal punto di vista giuridico oppure proprio dal punto di vista aziendalistico. Prima di procedere in tale direzione, tuttavia, sembra opportuno dedicare qualche riflessione a due precise scelte parimenti compiute dal legislatore della riforma, ovvero: 1) la scelta di eliminare ogni riferimento all’istituto delle prestazioni accessorie, già disciplinato nell’art. 2478 vecchio testo c.c. ed ora non più riprodotto in alcuna norma della riforma; 2) la scelta di non dedicare del pari alcuna disciplina agli apporti di mezzi propri compiuti al di fuori del capitale sociale, mediante atti giuridici diversi dal conferimento, con o senza soprapprezzo. L’interprete, infatti, non può limitarsi, ove desideri offrire una risposta coerente ad entrambi gli interrogativi, a considerazioni di tipo pragmatico, come per esempio quella secondo cui l’abbandono dell’istituto delle prestazioni accessorie deriverebbe dalla constatazione e presa d’atto della sostanziale mancata utilizzazione del medesimo da parte della prassi in tutto il periodo di vigenza dell’art. 2478 vecchio testo c.c., dal momento che il legislatore, così ragionando, non avrebbe per contro potuto trascurare una compiuta disciplina del secondo istituto, quello degli apporti fuori capitale, trattandosi di istituto che, come è noto, viene invece largamente utilizzato a livello operativo. Le ragioni per offrire una risposta congiunta ai due interrogativi prospettati può invero rinvenirsi unicamente in considerazioni di carattere sistematico, tese ad approfondire le precise implicazioni giuridiche delle diverse scelte compiute dal legislatore nel 1942 e con la riforma del 2003. A queste considerazioni, pertanto, è bene orientare i due successivi paragrafi. 2. IL SUPERAMENTO DELLA TECNICA DELLE PRESTAZIONI ACCESSORIE. Si è rilevato nel capitolo introduttivo, dedicato all’evoluzione storica e ai profili tipologici della società a responsabilità limitata, che, pure dovendo dare attuazione a principi della legge delega tesi a riconoscere la “rilevanza centrale del socio e dei rapporti contrattuali tra i soci” (art. 3 comma 1 lett. a) seconda parte l. 3 ottobre 2001, n. 366), il legislatore delegato non si è spinto fino al punto di configurare la nuova società a responsabilità limitata come una vera e propria società di persone con limitazione della responsabilità personale dei soci, ma, al contrario, ha ritenuto di conservare, seppure alla stregua di regole derogabili dall’atto costitutivo, una serie di precetti che presuppongono tuttora la permanenza di una concezione e di un’organizzazione dell’impresa con tratti tipicamente capitalistici (es. proporzionalità tra conferimenti, partecipazione e diritti sociali; libera trasferibilità della partecipazione sociale; organizzazione sociale per uffici o organi, e non per persone; ecc.). 2 Pure accogliendo, nella riforma del tipo sociale, questa prospettiva “moderata”, il legislatore delegato, tuttavia, non poteva trascurare la necessità di eliminare dal sistema quegli istituti che non solo avrebbero ribadito una prospettiva di utilizzazione capitalistica della società a responsabilità limitata, ma che, in più, avrebbero fornito dei possibili argomenti contrari all’introduzione nell’atto costitutivo di clausole tese a valorizzare l’intuitus personae del singolo socio, superando ogni residuo aspetto capitalistico. L’istituto delle prestazioni accessorie, se non ci si inganna, avrebbe potuto essere annoverato proprio in quest’ambito, dal momento che la previsione dell’art. 2478 vecchio testo c.c., a sua volta modellata pedissequamente su quella dettata dall’art. 2345 c.c. in tema di società azionarie (e rimasto invariato anche dopo la riforma), non si limitava a rendere legittima la previsione in capo ad uno o più soci di obbligazioni ulteriori rispetto a quella assunta a titolo di conferimento, ma si spingeva fino ad offrire di tali obbligazioni ulteriori una precisa connotazione positiva in termini di disciplina (2). Più precisamente, la previsione di prestazioni accessorie ai sensi del citato art. 2478 c.c., avrebbe comportato due precise conseguenze: a/ il collegamento oggettivo dell’obbligazione a tale titolo assunta verso la società alla partecipazione sociale, alla stregua di una vera e propria obbligazione propter rem, trasferibile unitamente a quest’ultima (pure con la necessità che tale trasferimento avvenisse solo previo consenso degli amministratori, ex art. 2478 vecchio testo comma 2 c.c.), anziché direttamente ed esclusivamente alla persona del socio; b/ la difficoltà di legittimare ogni previsione statutaria volta a prevedere in capo al socio obbligazioni ulteriori, pecuniarie o di altro tipo, rispetto a quelle che il medesimo avesse assunto a titolo di conferimento e di prestazioni accessorie. Con l’eliminazione, nel testo della riforma, dell’istituto delle prestazioni accessorie, il legislatore, dunque, non ha inteso limitare in alcun modo l’autonomia privata, e tanto meno vietare che la stessa possa utilizzare, mediante apposita previsione dell’atto costitutivo, tale tipo di apporto fuori capitale (laddove essa intenda, nel caso concreto, continuare a considerare la società a responsabilità limitata in una prospettiva di tipo capitalistico), bensì, più limitatamente e più precisamente, ha inteso superare definitivamente ogni lettura tendente a ribadire, in tutto o in parte, le due conseguenze sopra delineate. L’abrogazione della previsione legale in tema di prestazioni accessorie costituiva, in definitiva, un passaggio pressoché obbligato al fine non tanto di una diretta connotazione in senso personalistico del nuovo tipo sociale, quanto del superamento degli stringenti limiti che la presenza stessa dell’istituto avrebbe significato, per le due conseguenze sopra accennate, per l’autonomia privata. 3. LA MANCATA DISCIPLINA DEGLI APPORTI FUORI CAPITALE. Nel sistema anteriore alla riforma, l’apporto fuori capitale, a titolo di versamento genericamente definito “in conto capitale” o “fuori capitale”, oppure più precisamente definito come “in conto futuro aumento del capitale”, veniva ritenuto legittimo (3) in forza del generale principio di autonomia privata di cui all’art. 1322 c.c. (anche argomentando dalla espressa previsione della legittimità, a prescindere da ogni rapporto quantitativo con il capitale sociale, in sede sia di 2 ) In tema di quote di s.r.l. con prestazioni accessorie, cfr., nel vigore dell’art. 2478 vecchio testo c.c., G. SANTINI, Società a responsabilità limitata, Bologna-Roma, 1984, p. 96 ss., e G.M. RIVOLTA, La società a responsabilità limitata, Milano, 1982, p. 98 ss. (secondo quest’ultimo A., in merito al rapporto tra prestazioni accessorie e prestazioni d’opera o di servizi, “non è certro l’onere del conferimento (anche) di capitale a scoraggiare l’ingresso in società dell’apportatore d’opera, ma, semmai, il fatto che l’apporto d’opera non può trovare contropartita nell’assegnazione di più ampi diritti amministrativi od organici”). 3 ) In tema v. G. TANTINI, I “versamenti in conto capitale” tra conferimenti e prestiti, Milano, 1990; M IRRERA, I “prestiti” dei soci alla società, Padova, 1992; G.B. PORTALE, Appunti in tema di “versamenti in conto futuri aumenti di capitale” eseguiti da un solo socio, in Banca, borsa, tit. di cred., 1995, I, p. 93 ss.; D. CENNI, I “versamenti fuori capitale” dei soci e la tutela dei creditori sociali, in Contr. e impr., 1995, p. 110 ss. . 3 costituzione della società sia di successivo aumento del capitale sociale a pagamento, dell’istituto del soprapprezzo). Nel contempo, tuttavia, tale ritenuta legittimità doveva fare i conti con la ritenuta illegittimità, per contro, della previsione in capo al socio di ogni obbligazione derivante direttamente dal contratto sociale, asserendosi che tali operazioni presupponevano comunque una spontaneità del versamento e non potevano essere ricollegate all’assunzione di alcuna obbligazione in tal senso in sede di stipulazione del contratto sociale. Come il socio, in quanto tale (cioè, in quanto parte del contratto di società, salva la possibilità quindi che tale obbligazione derivasse, con l’efficacia obbligatoria propria di tale strumento, da un patto parasociale o comunque da un diverso titolo), non poteva obbligarsi ad eseguire nuovi e futuri conferimenti, così, allo stesso modo, non poteva obbligarsi ad eseguire nuovi apporti di mezzi propri al di fuori del capitale sociale. Abrogando la previsione in tema di prestazioni accessorie, il legislatore delle riforma ha aperto le porte, se così si può dire, all’introduzione nell’atto costitutivo di obbligazioni ulteriori rispetto a quelle eventualmente assunte a titolo di conferimento, sia laddove si tratti di obbligazioni pecuniarie (pure restando fermo anche per la nuova società a responsabilità limitata, come si desume dall’art. 2481-bis nuovo testo comma 4 c.c., il precetto secondo cui, laddove sia previsto un soprapprezzo, questo deve essere integralmente versato fin dal momento della sottoscrizione del conferimento), sia laddove si tratti di obbligazioni di altro tipo (prestazioni lavorative, come si è visto nel precedente capitolo; obbligazioni di non concorrenza; ecc., purchè si tratti di obbligazioni strumentali all’esercizio dell’attività comune e quindi, in definitiva, finanziamenti in senso aziendalistico a favore della società). L’apertura all’autonomia privata che deriva dall’abrogazione di ogni previsione legislativa che, disciplinando le prestazioni accessorie sulla falsariga di quanto stabilito dall’art. 2478 vecchio testo c.c., legittimasse implicitamente delle precise limitazioni per l’autonomia privata, avendo eliminato ogni restrizione in merito alla possibilità di prevedere, attraverso il contratto di società, ogni forma di finanziamento (in senso aziendalistico) che sia ritenuta opportuna per garantire a ciascuna società l’adeguata formazione del proprio patrimonio, ha reso superfluo, tra l’altro, ogni specifica disciplina anche degli apporti fuori capitale ora in considerazione. Del resto, l’impronta liberale assunta dall’intero provvedimento di riforma, avrebbe reso decisamente inaccettabile (in quanto incoerente con l’ispirazione della riforma stessa) ogni tentativo legislativo di circoscrivere la legittimità dei predetti apporti fuori capitale (4). A questo riguardo, ciò che era ormai ritenuto pacificamente legittimo prima della riforma non poteva non continuare ad essere considerato tale con l’entrata in vigore della riforma medesima, senza necessità di invocare in proposito alcuna nuova specifica norma permissiva da parte del legislatore. 4. LA NUOVA NORMATIVA IN TEMA DI “FINANZIAMENTI”. 4.1. Considerazioni generali Il nuovo art. 2467 c.c., i cui due commi devono leggersi unitariamente, in quanto la prescrizione normativa dettata nel primo comma trova applicazione soltanto per i finanziamenti da parte dei soci effettuati nelle circostanze messe in evidenza nel successivo secondo comma, introduce nell’ordinamento italiano, per la prima volta, un istituto che trae origine da alcune scelte compiute in tema dal legislatore tedesco (5). 4 ) La dottrina commercialistica ha finora sostanzialmente trascurato la possibilità di eseguire apporti fuori capitale non in danaro, pure non avendo addotto argomenti idonei, una volta accolto il principio generale, per escludere tale tipo di apporti in relazione al proprio oggetto. 5 ) La materia è attualmente disciplinata, sotto la rubrica di “Restituzione dei prestiti” (Rueckgewaehr von Darlehen), dal § 32a GmbHG del 1892 e successive modificazioni (legge organica in materia di società a responsabilità limitata). 4 La disciplina deve ritenersi normativa eccezionale, insuscettibile pertanto di applicazione analogica al di fuori del proprio tenore letterale (6). L’applicazione della norma dipende da tre presupposti, che devono ricorrere cumulativamente, e che sono desumibili dalla lettura ed interpretazione del precetto contenuto nell’art. 2467 comma 2 c.c., che deve essere valutato dall’interprete alla stregua di una vera e propria definizione normativa, in presenza della quale risulta applicabile il precetto specifico dettato nel precedente primo comma. Il rapporto tra i due commi dell’articolo deve dunque, dal punto di vista logico, essere invertito. Il precetto posto nell’art. 2467 comma 1, comunque se ne interpreti il contenuto, opererà soltanto in presenza dei presupposti (e quindi, in sostanza, della definizione) contenuta nel successivo comma 2; ove ci si trovi al di fuori di tali presupposti (e, quindi, della definizione), per converso, l’operazione di finanziamento continuerà ad essere disciplinata dal diritto comune. L’intero articolo, in altre parole, non deve leggersi alla stregua di una presunzione in senso tecnico, né relativa né assoluta, non comportando alcuna riqualificazione del finanziamento. 4.2. I presupposti di applicazione della normativa L’art. 2467 comma 2 c.c., pone dunque la definizione dei presupposti in presenza dei quali appare possibile applicare il precetto di cui al primo comma. A tal fine, infatti occorre che siano riscontrabili cumulativamente i seguenti tre requisiti: a) che vi sia stato un apporto, in denaro o in natura, da parte di un socio a favore della società al di fuori di un’operazione sul capitale sociale. Per come è formulata la norma, ogni apporto effettuato da un soggetto che, nel momento in cui l’operazione è eseguita, non ricopre la veste di socio è al di fuori della previsione normativa. In tali ipotesi, la norma, in applicazione dei principi generali, potrebbe trovare applicazione solo laddove la procedura fallimentare (o comunque l’interessato) riesca a dimostrare che vi è stata una interposizione fittizia di persona ex artt. 1414 ss. c.c. e che, conseguentemente, il soggetto interposto, avente nella realtà la disponibilità della somma di denaro versata o del bene trasferito alla società, era il socio medesimo. Non rileva neppure, salvo quanto sopra precisato in tema di interposizione, la circostanza che colui che ha eseguito l’apporto a favore della società sia divenuto socio successivamente al momento del versamento e ricopra tale veste nel momento della restituzione da parte della società. Viceversa, si rientra nella definizione della norma in esame tutte le volte in cui il finanziatore, essendo socio nel momento in cui ha eseguito il finanziamento a favore della società, abbia perduto la qualifica di socio nel momento in cui il finanziamento stesso viene rimborsato. A differenza di quanto accade nell’ordinamento tedesco (7), inoltre, non rientra nella previsione della norma neppure l’ipotesi, per certi versi altrettanto insidiosa per gli altri creditori sociali, e quindi, in astratto, meritevole dello stesso trattamento, dell’apporto eseguito da un soggetto diverso dal socio in presenza di una garanzia, personale o reale, che il socio ha rilasciato in favore dello stesso finanziatore terzo (normalmente una banca); b) tale apporto sia avvenuto a titolo di finanziamento, e non a diverso titolo. Si tratta a tale riguardo, sulla base delle considerazioni generali sopra formulate, di stabilire se il finanziamento quivi considerato sia quello in senso giuridico o in senso aziendalistico. Più precisamente, se si ritiene che il finanziamento rilevante sia solo quello in senso giuridico (8), sono destinati a restare al di fuori del campo di applicazione della norma tutte le operazioni di versamento in conto capitale, a copertura perdite, in conto futuro e determinato aumento di capitale, 6 ) L’osservazione nel testo si riferisce alla materia della s.r.l., dove non è possibile applicare la previsione normativa a quei finanziamenti che non rientrano nella testuale previsione legislativa. Resta invece impregiudicata la possibilità, già ventilata in dottrina (cfr., per tutti, anche argomentando dall’analoga previsione applicabile in termini generali di cui al nuovo art. 2497-quinquies c.c., M. STELLA RICHTER jr., in Diritto delle società di capitali. Manuale breve, Milano, 2003, p. 193), che la norma sia applicabile, in quanto espressione di un principio generale “transtipico” anche ai tipi azionari (sul tema v. infra nel testo). 7 ) Cfr, § 32a, Absatz 2 GmbHG. 8 ) In tale senso, espressamente, E. FAZZUTI, Commento art. 2467, in La riforma delle società, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, Torino, 2003, vol. 3, p. 48. 5 ecc. , in forza delle quali la società non acquisisce una veste debitoria in senso tecnico-giuridico nei confronti del finanziatore stesso. Se invece si ritiene che la nozione di finanziamento rilevante sia quella in senso aziendalistico, anche le operazioni da ultimo considerate sono ricompresse nell’ambito applicativo della norma. La risposta, stante la rilevata ambiguità dell’espressione, dipende essenzialmente dalle finalità che l’interprete ritiene di attribuire alla norma. Una prima finalità appare fuori dubbio, essendo confortata anche dall’esperienza straniera che della disposizione in commento costituisce indubbiamente il modello: scopo della norma consiste nell’impedire una lesione della posizione degli altri creditori sociali, in ossequio al principio generale della par condicio creditorum posto dall’art. 2741 c.c., che, nel caso di specie, può risultare vulnerato dalla posizione di socio ricoperta dal finanziatore (il socio, infatti, può eseguire il finanziamento in oggetto al solo fine di usufruire, qualora le successive vicende economicofinanziarie della società lo consentano, di un vantaggio uti socius, e non anche uti creditor) (9). Si tratta di una finalità, del resto, chiaramente evidenziata nella Relazione ministeriale, ove si precisa che la norma affronta “il tema…dei finanziamenti effettuati dai soci a favore della società che formalmente si presentano come capitale di credito, ma nella sostanza economica costituiscono parte del capitale proprio”, rilevandosi altresì che “il problema più difficile è senza dubbio quello di individuare criteri idonei a distinguere tale forma di apporto rispetto ai rapporti finanziari tra soci e società che non meritano di essere distinti da quelli con un qualsiasi terzo”. Se lo scopo della norma fosse esclusivamente quello indicato, la nozione di finanziamento rilevante dovrebbe essere quella in senso giuridico e non aziendalistico, in quanto l’unica preoccupazione del legislatore dovrebbe essere quella di impedire: - che il creditore socio ottenga la restituzione anticipata del proprio credito, oppure - che, in sede esecutiva, concorra a parità di condizioni con gli altri creditori che in realtà, non potendo contare sulle anzidette prospettive uti socii, si trovano in condizione deteriore. Infatti, in tutti i casi di apporto fuori dal capitale a titolo diverso dal finanziamento in senso tecnicogiuridico, il socio, essendo privo della titolarità di un credito, non può, per definizione, pregiudicare in nessuna delle due accennate maniere la posizione degli altri creditori sociali che la legge ha inteso tutelare (10). La prospettiva muta ove si condividano invece le considerazioni svolte nell’ultimo paragrafo del precedente capitolo, secondo cui ulteriore scopo della previsione al vaglio è quello di offrire una tutela indiretta alla consistenza del capitale sociale (o, detto in negativo, di contrastare la sottocapitalizzazione della società), rendendo inconvenienti, per i soci, sia i finanziamenti in senso giuridico (c.d. sottocapitalizzazione in senso sostanziale), sia i finanziamenti in senso aziendalistico, ma non giuridico, eseguiti al di fuori dell’aumento del capitale nominale, quali i versamenti in conto aumento capitale, copertura perdite, ecc. (c.d. sottocapitalizzazione in senso formale). La tutela dei creditori sociali, in tale seconda ottica, verrebbe garantita anche in via preventiva, inducendo i soci ad eseguire gli apporti programmati per lo svolgimento dell’attività sociale, nei limiti in cui ciò risulta congruo secondo la finanza aziendale, attraverso lo strumento primario della formazione del capitale sociale nominale. 9 ) Così anche la Relazione ministeriale, secondo cui rientrano nella previsione della norma quelle operazioni in cui “la causa del finanziamento è da individuare nel rapporto sociale (e non in un generico rapporto di credito)”. 10 ) Ai fini dell’applicazione della norma, in ogni caso, non sembra decisivo, neppure in questa prima restrittiva lettura, il titolo negoziale in forza del quale il socio ha effettuato il finanziamento a favore della società (mutuo o altro negozio giuridico), stante la genericità del termine impiegato dal legislatore e, soprattutto, stante la precisazione contenuta nel comma 2 dell’art. in commento (finanziamenti “in qualsiasi forma effettuati”). Per tale ragione, al di là della nozione di finanziamento che si accoglierà, si deve ipotizzare che anche operazioni di dilazione di debito eseguite dal socio creditore della società ad altro titolo (es. per avere concluso una vendita con pagamento in tutto o in parte differito) rientrino nella previsione della norma in commento, essendo evidente che anche la dilazione di debito costituisce uno strumento per fare credito. 6 Sempre in tale ottica, il socio, ricorrendo l’ulteriore presupposto di cui alla successiva lettera c), ovvero la situazione patologica delineata nel secondo comma dell’art. 2467 c.c., sarebbe indotto a scegliere lo strumento dell’aumento del capitale sociale in quanto tale strumento, contrariamente all’attuale prassi operativa, risulterebbe non solo quello più trasparente e più conveniente per i creditori sociali, ma anche quello più conveniente per lui stesso nell’ottica della futura restituzione. La vera preoccupazione del socio che finanzia la società al di fuori del capitale sociale, infatti, non è tanto quella (pure senz’altro presente) di evitare un domani, in caso di insolvenza della società, di perdere l’intero valore del finanziamento non potendo concorrere a parità di condizioni con i creditori sociali, bensì, soprattutto, quella di incontrare difficoltà in sede di restituzione del valore che è stato oggetto dell’operazione di finanziamento. Normalmente (con esclusione cioè delle situazioni in cui la probabilità di una procedura concorsuale è ormai elevatissima), come l’esperienza insegna, il socio finanziatore, pure in presenza di società sottocapitalizzata, pensa in positivo, scommettendo sui risultati positivi dell’attività sociale e desiderando, in tale prospettiva, garantirsi un meccanismo di restituzione dell’apporto agevole e, possibilmente, senza costi accessori. Dei tre possibili sistemi di finanziamento (in senso aziendalistico) della società, l’aumento del capitale sociale appare oggi, alla luce dell’indicato interesse del socio, quello più penalizzante, dal momento che da un lato l’esecuzione dell’operazione comporta i tempi e i costi delle modificazioni dell’atto costitutivo (atto notarile, pubblicità nel registro delle imprese, ecc.), dall’altro la restituzione, in più, presuppone il requisito oggettivo dell’esuberanza e la mancata opposizione da parte dei creditori sociali. I finanziamenti da parte dei soci a titolo di mutuo infruttifero e gli stessi versamenti in conto capitale eseguiti al di fuori di qualsiasi operazione di aumento a pagamento del capitale stesso appaiono invece, in assenza di creditori forti (soprattutto banche) che siano in grado di imporre l’aumento del capitale nominale, gli strumenti più appetibili, in quanto privi di costi accessori (anche fiscali) e agevolmente restituibili. La lotta alla sottocapitalizzazione, come si è già accennato alla fine del precedente capitolo, non può avvenire, da parte di un legislatore liberale, attraverso strumenti coercitivi diretti, imponendo il rispetto di prefissati parametri astratti o, ancora peggio, controlli preventivi discrezionali da parte di una qualsivoglia pubblica autorità. Esso può avvenire soltanto indirettamente, rendendo preferibile per lo stesso socio finanziatore (in presenza di una situazione patrimoniale che, per la finanza aziendale, richiederebbe tale tipo di intervento) l’apporto a titolo di capitale rispetto ai due sistemi alternativi. L’interpretazione dell’art. 2467 comma 2 c.c qui ipotizzata, tale da estendere la portata della norma di cui al comma 1 a qualsiasi tipo di apporto fuori capitale, appare indispensabile per raggiungere questo obiettivo (unitamente all’interpretazione del precetto di cui allo stesso art. 2467 comma 1, come si vedrà nel successivo paragrafo) (11); c) il finanziamento sia stato effettuato in una delle seguenti due circostanze, concernenti la sfera giuridica della società e riferite alla situazione economico-finanziaria della medesima: ca) quando “risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto”; cb) quando esiste “una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”. Tali due circostanze, la cui previsione attribuisce finalmente una rilevanza normativa espressa all’annoso problema della sottocapitalizzazione della società, e la cui corretta applicazione attiene a valutazioni proprie dell’aziendalista e non del giurista (12), presentano, come già accennato, un 11 ) Non osta a tale interpretazione, evidentemente, il passo della Relazione ministeriale in cui si precisa, prudentemente, che la soluzione accolta “è stata quella, comune alla maggior parte degli ordinamenti e sostanzialmente già affermata in giurisprudenza, di una postergazione dei relativi crediti rispetto a quelli degli altri creditori”. 12 ) Appare pertanto imprecisa, o generica, l’affermazione, ricorrente in sede di primi commenti alla riforma (cfr., per tutti, D. SANTOSUOSSO, La riforme del diritto societario, Milano, p.2003, p. 201), secondo cui sarà compito della 7 denominatore comune, a sua volta direttamente riconducibile alla ratio della norma in commento: se è vero che, per definizione, nell’uno e nell’altro caso la società non è in grado di attingere a finanziamenti utilizzando gli ordinari canali bancari e finanziari, deve essere altresì vero che il socio è indotto ad eseguire il finanziamento stesso proprio in considerazione di tale propria veste e dei vantaggi che, sempre in tale veste, gli possono in futuro derivare. Per valutare la ricorrenza, nel caso di specie, di una delle due indicate circostanze, e quindi del presupposto in oggetto ai fini dell’applicazione della norma, l’interprete deve tenere conto, per espressa previsione dettata in tal senso da parte del legislatore, “del tipo di attività esercitata dalla società”. 4.3. La disciplina speciale applicabile in tema di rimborso. La disciplina prevista dall’art. 2467 comma 1 c.c., a sua volta, consta di due autonomi precetti: a) in ogni caso, “il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato alla soddisfazione degli altri creditori”. Sia l’influenza del modello tedesco (13), sia lo stesso termine “postergazione” utilizzato dal legislatore italiano (14) inducono in prima istanza a ritenere che il precetto anzidetto operi esclusivamente all’interno di una procedura concorsuale, e abbia quindi come unici destinatari, non i soci e gli amministratori della società, bensì gli organi della procedura stessa (15). Tuttavia, meglio riflettendo sull’utilizzazione del termine “postergazione” da parte del legislatore, non può non trascurarsi una duplice osservazione, a sua volta desumibile dal confronto con il testo utilizzato dal legislatore tedesco: mentre il legislatore d’oltralpe si è preoccupato di chiarire espressamente che il precetto che stava dettando era diretto esclusivamente al caso di concorso in sede di procedura di insolvenza, il legislatore italiano, che pure ha tenuto ben presente il modello, ha ritenuto di omettere tale precisazione. Ne consegue che la mancanza di ogni richiamo, nel nuovo testo dell’art. 2467 comma 1 c.c., all’applicabilità della norma esclusivamente in sede di procedura concorsuale assume, ai fini dell’individuazione dell’ambito del precetto legislativo, un significato più incisivo della mera utilizzazione del termine “postergazione”, la cui esclusiva applicabilità in sede processuale è una consuetudine e non una necessità giuridica, e non appare comunque tale da pregiudicare quell’interpretazione della norma meglio idonea a garantire una piena affermazione della ratio ad essa sottesa. Alla luce di tali considerazioni, diviene allora importante evidenziare come il precetto ora al vaglio risulti applicabile indipendentemente dall’assoggettamento della società a fallimento o ad altra procedura concorsuale o comunque esecutiva, e come lo stesso, conseguentemente, vincoli anche i soci e gli amministratori di una società in bonis, sotto pena di una loro responsabilità ex art. 2476 c.c. nuovo testo (16). giurisprudenza definire i contorni della nuova norma, dal momento che tale compito la stessa giurisprudenza dovrà rimetterlo, attraverso consulenze tecniche d’ufficio, ai cultori della finanza aziendale. 13 ) Il già citato § 32° GmbHG precisa espressamente che il diritto al rimborso soffre limitazioni im Insolvenzverfahren (ovvero, in sede di procedura di insolvenza), e che, in tale procedura, il socio creditore può soddisfarsi sul patrimonio sociale soltanto come “nachrangiger Insolvenzglaeubiger” (creditore concorsuale postergato). 14 ) L’espressione postergazione, alla luce dell’utilizzazione che di essa è stata finora fatta nei testi legislativi, si connota, tecnicamente, in un’ottica processualistica, presupponendo che, nell’ambito di una procedura esecutiva individuale o concorsuale, vi sia il concorso tra più soggetti aventi diritto di partecipare al riparto e taluno di essi possa essere soddisfatto solo successivamente agli altri. 15 ) In tale senso anche E. FAZZUTI, Commento…, cit., p. 50, che però, opportunamente, ha cura di precisare che, non subordinando il legislatore l’applicazione della norma all’apertura di una procedura concorsuale, deve ammettersi, in astratto, che la stessa trovi applicazione anche in sede di un’eventuale procedura esecutiva individuale. 16 ) Pure non prendendo posizione sul punto, sembra aderire alla lettura “sostanzialistica” (e non “processualistica”) dell’art. 2467 comma 1 c.c. qui proposta A. GAMBINO, Spunti di riflessione sulla riforma: l’autonomia societaria e la risposta legislativa alle esigenze di finanziamento dell’impresa, in Giur. comm., 2002, I, p. 653, nella parte in cui afferma che “poiché in tal modo il debito societario diviene sostanzialmente parte del patrimonio netto sul modello dei 8 Il divieto desumibile dall’utilizzazione, da parte del legislatore, del termine postergazione non deve tuttavia considerarsi assoluto, essendo legittimo, pure in presenza di finanziamenti eseguiti in presenza i tutti i presupposti di cui all’art. 2467 comma 2 c.c., che si proceda comunque al rimborso una volta che tutti gli altri creditori sociali (non postergati) siano stati soddisfatti o adeguatamente garantiti. A tale riguardo sembra che l’interprete possa attingere alla normativa dettata dal legislatore relativamente alla possibilità di effettuare operazioni di fusione e di scissione prima del termine concesso ai creditori per opporsi (art. 2503 c.c., richiamato per la scissione dall’art. 2506-ter comma 5 c.c.), ove la possibilità di procedere è subordinata alla circostanza che: - consti il consenso dei creditori (nel caso di specie, occorrerà il consenso da parte di tutti i creditori in essere al momento del rimborso del finanziamento “postergato”, coinvolgendo anche il singolo creditore postergato con riferimento al rimborso degli altri); - consti il pagamento dei creditori che non hanno dato il loro consenso; - consti il deposito delle somme corrispondenti al credito dei creditori che non hanno prestato il proprio consenso presso banca (ritenendosi che al deposito bancario, secondo una prassi ormai accolta in sede di interpretazione del citato art. 2503 c.c.) possa essere equiparato il rilascio di fideiussione bancaria a prima richiesta e senza eccezioni. Il riferimento alla normativa dettata in tema di operazioni straordinarie di fusione e di scissione appare infatti preferibile rispetto al riferimento alla diversa normativa prevista in materia di riduzione del capitale mediante rimborso ai soci in caso di avvenuta opposizione da parte dei creditori (art. 2445 comma 4 c.c. per la s.p.a. ed art. 2482 comma 3 c.c. per la s.r.l.), in quanto in quest’ultima ipotesi il legislatore, ammettendo il rimborso a favore dei soci solo previo intervento del tribunale, presuppone che il creditore si sia precedentemente attivato attraverso l’atto giudiziale dell’opposizione, e risulta pertanto inapplicabile all’ipotesi al vaglio, di stampo chiaramente stragiudiziale. Tornando al precetto posto dall’art. 2467 comma 1 c.c., deve essere sottolineato, inoltre, trattandosi di questione che può comportare conseguenze operative rilevanti, come, stando al tenore letterale della legge, violi la norma in oggetto, e sia conseguentemente responsabile, nei precisi termini posti dal nuovo art. 2476 c.c. comma 6, anche l’amministratore che ha restituito il finanziamento (eseguito a suo tempo da un socio in presenza dei presupposti indicati dal secondo comma dell’art. in esame, anche laddove lo stesso, secondo la conclusione che si è ritenuto di accogliere sopra, sia avvenuto tramite versamento in conto capitale) nell’ipotesi in cui la società, nel momento della restituzione, abbia riacquistato il proprio equilibrio finanziario e sia quindi in condizione, in quel momento, di attingere ai normali canali di erogazione del credito. La funzione della norma, infatti, è anche (e, in definitiva, soprattutto) quella di prevenire efficacemente, dettando precetti applicabili a prescindere dalla successiva instaurazione di una procedura concorsuale o esecutiva, l’effettuazione stessa dei finanziamenti da parte dei soci nelle circostanze di cui al secondo comma dell’articolo in commento; b) se eseguito nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento, il rimborso del finanziamento a suo tempo eseguito in presenza dei presupposti indicati nel secondo comma deve essere restituito. Ai fini dell’applicazione di questo secondo precetto, occorre, dunque, che la società sia stata dichiarata fallita. Trattandosi di norma eccezionale, non sembra possibile, nel silenzio della legge, applicare la norma in oggetto a procedure concorsuali diverse dal fallimento. Per quanto concerne il termine di un anno stabilito dal legislatore, devono applicarsi le regole ordinarie per il computo dei termini, dovendosi il termine anno interpretare alla lettera, senza alcuna possibilità di confonderlo con l’esercizio sociale. L’espressione “il rimborso…deve essere restituito”, forse non ineccepibile sul piano della formulazione linguistica, esprime comunque chiaramente la volontà del legislatore di rendere automaticamente inefficaci nei confronti della proceduta fallimentare i relativi spostamenti di prestiti subordinati bancari, esso tenderà a porsi come volano per nuovi finanziamenti di terzi innescando per l’impresa un percorso finanziario virtuoso”. 9 risorse dalla società al socio, sia nell’ipotesi in cui il rimborso costituisca adempimento di un debito sociale, sia nelle ipotesi in cui il rimborso costituisca la semplice distribuzione al socio di apporti eseguiti fuori capitale (17). Per effetto della norma al vaglio, il curatore fallimentare diverrà in via automatica, senza necessità di alcuna dichiarazione giudiziale, creditore del socio (o ex socio) rimborsato e potrà quindi richiedere al medesimo, anche coattivamente, l’adempimento della prestazione di restituzione di cui egli abbia beneficiato nel periodo sospetto, ponendo in essere ogni attività cautelare e conservativa eventualmente opportuna. Tornando al precetto di cui all’art. 2467 comma 1 in generale, deve rilevarsi che, al di fuori delle due prescrizioni testuali sopra analizzate (e quindi al di fuori di ogni ipotesi di rimborso), non sembra che siano ipotizzabili altre conseguenze a carico del socio finanziatore, dal momento che, come si è già accennato, la norma non autorizza alcuna riqualificazione dell’operazione di finanziamento rispetto alle regole desumibili dal diritto comune. Ne deriva che non potrebbe negarsi l’applicabilità, nell’ipotesi in cui il socio finanziatore fosse qualificabile come creditore della società, alla luce del rilevato divieto di rimborso (da leggersi in senso sostanziale e non meramente processuale), di tutte le norme previste dallo stesso diritto comune a tutela della posizione creditoria, dall’azione revocatoria alla decadenza della società dal beneficio del termine, non apparendo congruo che tali rimedi siano sottratti ad un soggetto che, per quanto postergato agli altri creditori, resta comunque a pieno titolo, a sua volta, creditore della società. Ne deriva, ancora, che, trattandosi di eseguire una riduzione del capitale sociale per perdite, anche i versamenti in conto capitale e le altre poste del netto patrimoniale che siano state eventualmente costituite in presenza dei presupposti previsti dall’art. 2467 comma 2 dovranno essere utilizzate secondo le normali regole in materia al fine dell’individuazione dell’entità della perdita destinata ad incidere sul capitale sociale. 4.4. Applicabilità ai finanziamenti eseguiti nel regime transitorio Dal punto di vista dell’applicazione della norma in oggetto nel tempo, è necessario precisare come la stessa (che rende rilevante il solo momento del rimborso e non anche quello di esecuzione del finanziamento), stando al tenore letterale dell’art. 2467 c.c., trovi applicazione unicamente a partire dal giorno 1 gennaio 2004, ma in relazione non solo a tutti i finanziamenti eseguiti a partire da tale data, ma anche a tutti i rimborsi eseguiti, a partire da tale data, da parte di una società che, nel momento in cui il finanziamento fu effettuato, anche se anteriormente all’entrata in vigore della legge, o addirittura alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, si trovava in una delle circostanze previste dal secondo comma. Tale conclusione, d’altra parte, non rende retroattiva la norma, né pregiudica la posizione di quei soci che hanno a suo tempo eseguito il finanziamento, nelle condizioni indicate dal secondo comma dell’art. 2467 c.c. . Infatti, l’assenza, a suo tempo, di qualsiasi espressa norma legislativa che penalizzasse il rimborso successivo di siffatto finanziamento non implica necessariamente che, in presenza della situazione di cui all’art. 2467 comma 2 nuovo testo c.c. e della connessa patologia nell’ottica della finanza aziendale, l’operazione dovesse considerarsi, in un’ottica giuridica, priva di ogni possibile conseguenza pregiudizievole per il socio finanziatore. 4.5. Considerazioni finali Se si accolgono le considerazioni complessivamente delineate nel presente paragrafo, e, in particolare, si accetta da un lato che la norma si applichi ad ogni operazione di finanziamento in senso puramente aziendalistico, ivi inclusi i versamenti in conto capitale, e dall’altro che il precetto che vieta il rimborso dei finanziamenti imponga a soci ed amministratori di astenersi dal rimborso a prescindere dall’apertura di ogni procedura concorsuale, si deve necessariamente concludere non 17 ) Si deve segnalare la posizione di E. FAZZUTI, Commento…, cit., p. 50, secondo cui, laddove i soci abbiano proceduto, nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, come spesso succede, a continui prelevamenti e versamenti, “sembra iniquo, prima ancora che contrario alla ratio della norma, pretendere la restituzione senza tener conto di quanto versato dal socio nello stesso periodo”. 10 solo che il nuovo art. 2467 c.c. costituisce una delle norme più importanti dell’intero diritto societario, ma anche che tale norma, pure traendo spunto da scelte precedentemente effettuate dal legislatore tedesco, costituisce una risposta tipicamente italiana al problema dell’abuso della posizione di socio in danno degli altri creditori e, più in generale, della sottocapitalizzazione della società. In tale ottica, conseguentemente, non devono stupire le differenze che sussistono tra la norma italiana e quella tedesca, come, per esempio, l’inesistenza, in Italia (18), di ogni eccezione che renda inapplicabile la norma stessa nel caso in cui il socio, nel momento in cui esegue il finanziamento a favore della società, sia titolare di una percentuale del capitale non superiore al dieci per cento e non rivesta la qualifica di amministratore, oppure nel caso in cui il socio esegua il finanziamento in una situazione di crisi dell’impresa al dichiarato scopo di consentire il superamento di tale crisi, dal momento che tali eccezioni possono essere giustificate alla luce dell’obiettivo specifico di non pregiudicare i creditori sociali attraverso operazioni di finanziamento giustificabili uti socius (fatto proprio dal legislatore tedesco), ma non anche alla luce del più ampio obiettivo di favorire l’adeguata capitalizzazione anche formale della società (fatto proprio, in ipotesi, dall’ordinamento italiano). La peculiarità della soluzione italiana può destare infine qualche perplessità, in prima impressione, sul piano della scelta di politica del diritto, laddove si accetti il principio di concorrenza tra gli ordinamenti e si ammetta, come dato di fatto, la ricerca, da parte degli imprenditori, di quegli ordinamenti che adottano le norme più idonee a tutelare i propri interessi. La giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee, in particolare, ritiene conforme al trattato e alle norme comunitarie, la scelta di un ordinamento straniero anche da parte di quegli imprenditori che intendono operare esclusivamente all’interno dell’ordinamento di cui sono cittadini (19). Ora, la presenza nell’ordinamento italiano del nuovo precetto di cui all’art. 2467 c.c., soprattutto ove lo stesso venga interpretato nel senso rigoroso qui proposto, potrebbe determinare una fuga sia dal tipo della s.r.l., sia, più radicalmente, dall’ordinamento italiano. Tuttavia tale considerazione, al di là dell’ovvio auspicio che si addivenga quanto prima alla formazione di un diritto societario uniforme a livello comunitario, almeno per quanto riguarda gli istituti posti a tutela di interessi di soggetti esterni rispetto ai soci, ed in particolare dei creditori sociali, prova troppo, dal momento che l’adesione assoluta a tale prospettiva, dovrebbe, per conseguenzialità, portare ad escludere, in contrasto con la tradizione di tutti gli ordinamenti europei continentali e con le stesse scelte di fondo del legislatore italiano della riforma, ogni scelta interna imperativa che non si fondi su vincoli comunitari (con la conseguenza che per le s.r.l. non dovrebbe essere prevista alcuna norma imperativa in tema di capitale sociale, trattandosi di tipo sociale al quale non si applica la seconda direttiva comunitaria). In particolare, per quanto riguarda la prospettata fuga dal tipo, deve rilevarsi come la questione, per l’imprenditore interessato, si ponga in ogni caso in termini globali, dal momento che, da un lato, la scelta di un tipo azionario potrebbe essere determinata anche da altre norme dettate per la s.r.l. diverse da quella ora al vaglio (si pensi, per es., al nuovo art. 2476 comma 7 c.c. che prevede una responsabilità direttamente in capo al socio), dall’altro lato non deve trascurarsi l’esistenza, proprio nelle società azionarie, di norme imperative poste a tutela dell’organizzazione corporativa, la cui presenza può di per sé costituire, per la complessità ed i costi di gestione che ne derivano, un deterrente significativo nei confronti dell’adozione del tipo stesso. Per quanto concerne invece la paventata fuga dall’ordinamento, deve rilevarsi come la scelta di costituire la società all’estero e di assoggettare la stessa alla normativa di un ordinamento straniero, 18 ) A differenza di quanto accade in Germania a seguito dell’introduzione, nel 1998, di un terzo paragrafo nel citrato § 32a GmbHG che ha previsto le due eccezioni di cui al testo. 19 ) Ci si riferisce, in particolare, al noto caso Centros Ltd. (Corte di Giustizia CE, 9 marzo 1999, n. 212, in Giur.comm., 2000, II, p. 553 ss. con nota di Mucciarelli) e la più recente caso Uberseering Bv. (Corte di Giustizia CE, 5 novembre 2002, n. 208, in Giust.civ., 2002, I, 3015, e in corso di pubblicazione su Notariato, 5/2003, con nota di Licini). 11 in ipotesi più morbido nell’individuazione delle norme imperative poste a tutela degli interessi dei terzi, non sia, a prescindere dalla distanza geografica del confine di Stato, priva di controindicazioni di altro tipo, soprattutto per quanto riguarda la conoscenza della legge straniera applicabile ed i costi di transazione (e di gestione) che tale scelta comporterebbe di per sé per l’imprenditore, con la conseguenza che, soprattutto per le imprese medio-piccole, naturale riferimento del tipo s.r.l., il desiderio di sottrarsi all’art. 2467 c.c. difficilmente costituirà di per sé una sufficiente ragione per addivenire all’esterovestizione (del resto, nell’esperienza europea, risultano ancora marginali le situazioni in cui, in assenza di criteri di collegamento con lo stato estero e a parità di trattamento fiscale, si sceglie un ordinamento straniero solo perché la relativa normativa societaria presenta un minore tasso di imperatività). Anzi, proprio la considerazione da ultimo fatta può spiegare e rendere apprezzabile la scelta compiuta dal legislatore italiano della riforma di non estendere alle società azionarie, in attesa di una normativa uniforme a livello europeo, il nuovo precetto di cui all’art. 2467 c.c., dal momento che le imprese medio-grandi, naturale riferimento del tipo s.p.a., potrebbero, molto più di quanto accada per le s.r.l., trovare interesse a sfuggire al rigore della norma attraverso una fuga dall’ordinamento italiano (20). 5. LA NUOVA NORMATIVA IN MATERIA DI EMISSIONE DI TITOLI DI DEBITO. 5.1. Considerazioni generali A seguito della riforma del diritto societario, il legislatore, nell’art. 2468 comma 1 c.c., ha ritenuto di stabilire espressamente che “le partecipazioni dei soci …non possono costituire oggetto di sollecitazione all’investimento”. La previsione normativa, in sé valutabile con favore in quanto recettiva di un insegnamento ormai consolidato nella prassi e nella dottrina occupatasi della s.r.l. prima della riforma (21), appare invece fonte di possibili equivoci dal punto di vista sistematico. Ciò, principalmente, per due ragioni: a) la presenza della nuova norma in tema di s.r.l. rende più difficile argomentare la stessa conclusione, fino ad oggi, a sua volta, pressochè pacifica, per le società personali, a meno di volere giustificare un intervento ad hoc in tema di s.r.l. sulla base dell’appartenenza di quest’ultima ai tipi capitalistici, nel presupposto che solo per questi ultimi sia prospettabile un dubbio in tal senso, divenendo la sollecitazione stessa parte integrante dello statuto della personalità giuridica; b) la presenza della nuova norma, di per sé, non consentirebbe di escludere con la stessa perentorietà che la nuova s.r.l. possa sollecitare l’investimento attraverso l’emissione di strumenti finanziari di debito oppure “atipici”, ovvero di titoli diversi dai titoli partecipativi. In realtà, in merito a questo secondo problema, il legislatore della riforma ha inteso dare una soluzione specifica attraverso l’emanazione dell’art. 2483 nuovo testo c.c., collocato sistematicamente all’ultimo posto tra gli articoli dettati a proposito della nuova s.r.l. . Infatti, a differenza di quanto accade per la sollecitazione all’investimento attraverso l’emissione di titoli partecipativi, dove il divieto assume carattere perentorio ed assoluto, il divieto di sollecitazione all’investimento attraverso l’emissione di titoli di debito (da interpretarsi estensivamente, in contrapposizione ai titoli partecipativi, e quindi comprensiva di qualsiasi strumento finanziario “atipico”, purchè “non partecipativo”) non assume il medesimo carattere, dal 20 ) Il rilievo non esclude che si ritenga applicabile anche alla società azionarie, alla stregua di un principio generale ed in funzione della tutela degli altri creditori sociali, secondo quanto ipotizzato dalla stessa Relazione ministeriale, la postergazione (di tipo processuale, e non sostanziale) di quei soci che hanno eseguito a favore della società dei finanziamenti (in senso giuridico) in presenza dei presupposti distorsivi di cui all’art. 2467 comma 2 novo testo c.c. . 21 ) Cfr. A. PAVONE LA ROSA, Titoli “atipici” e libertà di emissione nell’ambito delle strutture organizzative della grande impresa, in Riv.soc., 1982, p. 705; G. NICCOLINI, Il prestito obbligazionario delle società per azioni, in Riv. dir.comm., 1988, I, p. 472 ss.; G. ZANARONE, La società a responsabilità limitata come “tipo” normativo, in Tratt. di dir. comm. e dir. pubbl. dell’economia diretto da F. Galgano, VIII, Padova, 1985, p. 50 ss. . 12 momento che il nuovo art. 2483 c.c. consente l’emissione di tali titoli, anche mediante sollecitazione all’investimento, purchè l’atto costituivo lo preveda, stabilendo competenza, limiti e modalità della relativa deliberazione (comma 1), e, soprattutto, purchè tali titoli siano sottoscritti da “investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali” (comma 2). Prima di entrare nel merito del significato della nuova previsione e delle principali questioni sollevate dalla disciplina positiva dettata, conviene tuttavia rendere due precisazioni: - la nozione di sollecitazione all’investimento coincide con la definizione normativa contenuta nell’art. 1 comma 1 T.U.F. (c.d. legge Draghi), secondo cui deve intendersi per tale “ogni offerta, invito a offrire, messaggio promozionale, in qualsiasi forma rivolti al pubblico, finalizzati alla vendita o alla sottoscrizione di prodotti finanziari”, e la relativa disciplina primaria, ovvero mediante norme di rango legislativo, trovasi contenuta negli artt. 94 ss. stesso T.U.F.; - l’emissione di titoli di debito, pure dovendosi prendere atto senza esitazioni che il titolo di debito è una specie del genere strumento finanziario, non presuppone necessariamente una sollecitazione all’investimento ai sensi della citata normativa. Ne consegue, pertanto, che il nuovo art. 2483 c.c., se da un lato legittima la s.r.l. ad emettere titoli di debito destinati ad essere sottoscritti da investitori professionali (conformemente alla prescrizione contenuta nell’art. 100 comma 1 lett. a) T.U.F., secondo cui le disposizioni di cui agli artt. 94 ss. non si applicano alle sollecitazioni all’investimento rivolte a tali soggetti), dall’altro presenta portata più ampia, in quanto legittima la s.r.l. ad emettere titoli di debito, nel rispetto delle condizioni previste dalla norma, anche senza che vi sia sollecitazione all’investimento ai sensi della citata normativa (ad es., perché i relativi strumenti finanziari, per espressa disposizione dell’atto di emissione, sono riservati, anche in sede di futura circolazione, agli attuali soci). Il nuovo art. 2483 c.c. invece, ancora insistendo sui rapporti non coincidenti tra le due nozioni di sollecitazione all’investimento e di emissione di titoli di debito, non è idoneo, pure non essendo la formulazione della normativa delegata sufficientemente univoca per giustificare in maniera inoppugnabile tale restrittiva conclusione, a rendere legittima, a condizione che i titoli di debito emessi siano sottoscritti da investitori professionali, una sollecitazione all’investimento direttamente da parte della s.r.l. emittente, anziché da parte degli investitori professionali sottoscrittori. Quest’ultima conclusione, invero, si ricava agevolmente dalla formulazione della legge delega sul punto, dal momento che in tale sede si ha cura di precisare che l’emissione di titoli di debito dovrà comunque prevedere “il divieto di appello diretto del pubblico risparmio”. Ne consegue, pertanto, che quelle attività idonee a costituire sollecitazione all’investimento ai sensi della riportata definizione del T.U.F. (es. messaggi promozionali) non potranno in alcun caso essere posti in essere da una s.r.l., neppure fondandosi sulla prescrizione di cui all’art. 2483 c.c. al vaglio e confidando sulla sottoscrizione del titolo da parte dell’investitore professionale (e della connessa responsabilità a suo carico). Con la conseguenza, a sua volta, che alla s.r.l. emittente tali strumenti finanziari non si applicheranno le prescrizioni previste dalla legislazione bancaria e in tema di intermediari finanziari (22). 5.2. Emissione di titoli di debito ed obbligazioni. Se la nozione di titolo di debito costituisce una specie del genere strumento finanziario, la nozione di obbligazione di cui agli artt. 2410 ss. c.c. costituisce una sottospecie della precedente. Con la nuova previsione dell’art. 2483 c.c., dunque, il legislatore ha inteso superare il precetto contenuto nel precedente art. 2486 comma 3 c.c., secondo cui “alla società a responsabilità limitata non è consentita l’emissione di obbligazioni”. Conviene quindi sottolineare come l’emissione di titoli di debito, con i limiti posti dalla nuova normativa, costituisca uno strumento che, relativamente alla nuova s.r.l., accentua i tratti capitalistici dell’istituto rispetto alla precedente, pure in presenza di un tipo caratterizzato in linea 22 ) In tale senso, P. SPADA, L’emissione di titoli di debito nelle s.r.l., Atti del Convegno di studi organizzato a Milano dalla società Paradigma in data 17 e 18 marzo 2003. 13 generale da tratti più spiccatamente personalistici rispetto a quanto accadeva per la s.r.l. prima della riforma, a conferma della circostanza che il principale profilo del nuovo tipo sociale di cui agli artt. 2462 ss. c.c. non è tanto il carattere personalistico, quanto la flessibilità e la polifunzionalità (23). Invero, l’art. 2483 c.c. non si limita a prevedere la possibilità di emettere obbligazioni secondo lo schema tipologico di tali titoli nelle società azionarie, riconoscendo all’autonomia privata, sulla falsariga di una tendenza generale che ha trovato nella nuovo disciplina degli strumenti finanziari a disposizione delle società azionarie e delle società cooperative la propria espressione più evidente, la facoltà di emettere qualsiasi tipo di titolo di debito, quand’anche le relative caratteristiche si discostassero da quelle proprie dei titoli obbligazionari (per es., prevedendo l’emissione di un unico titolo di debito, privo del carattere della serialità, oppure di più titoli che non siano destinati ad essere incorporati in titoli di credito ex artt. 1992 ss. c.c.). L’unico limite, desumibile dalla stessa nozione di titolo di debito (oltre che dal divieto specifico di cui all’art. 2468 comma 1 nuovo testo c.c.), concerne l’inesistenza in capo al sottoscrittore di qualsiasi diritto di partecipare all’attività sociale (anche eventuale a seguito, per es., dell’esercizio di diritti di conversione o di warrant), ritenuto incompatibile con il principio cardine della legge delega della centralità della figura del socio e dei rapporti contrattuali tra soci; quella distinzione tra socio azionista e terzo obbligazionista che connotava in maniera netta la s.p.a. del codice del 1942 e che si è progressivamente attenuata nei successivi sviluppi storici dello stesso tipo azionario, fino a scomparire quasi completamente con la riforma, resta, grazie alla limitazione ora in esame, centrale nella disciplina della s.r.l. . Sul piano dell’interesse tutelato, al legislatore è parso opportuno rimuovere un limite tipologico concernente la possibilità stessa per la s.r.l. di finanziarsi attraverso capitale di debito (in senso aziendalisitico) rappresentato da strumenti finanziari destinati al pubblico dei risparmiatori allo scopo di offrire alle società interessate ed al sistema degli investitori professionali un ulteriore strumento di raccolta del pubblico risparmio, ritagliato su misura sulle caratteristiche e sulle prospettive di realtà imprenditoriali normalmente circoscritte e a dimensione locale. In tale ottica, l’auspicio del legislatore è di consentire attraverso questo istituto, utilizzando il sistema degli intermediari professionali ed inducendo questi a scommettere sul buon esito della specifica iniziativa di una società nota sul territorio, di favorire mirati investimenti produttivi, anche al fine di potere garantire in tale modo ai risparmiatori interessati, ferma la garanzia offerta dalla responsabilità del sottoscrittore, strumenti finanziari economicamente appetibili e più vicini alla realtà imprenditoriale locale (circostanza, quest’ultima, rilevante soprattutto laddove la performance del titolo sia in tutto o in parte commisurata a parametri di rendimento aziendale) (24). Normalmente, quindi, il finanziamento attraverso l’emissione di titoli di debito dovrebbe assumere le caratteristiche del finanziamento di scopo. Non c’è dubbio, comunque sia, che le fortune dell’istituto, difficilmente ipotizzabili a breve termine alla luce della mentalità oggi diffusa tra gli operatori italiani, dipenderanno in larga parte dalla capacità e dallo spirito di iniziativa dei soggetti coinvolti. 5.3. Emissione di titoli di debito e tutela del risparmiatore. Il cardine del nuovo istituto, dal punto di vista della disciplina, è contenuto nei precetti dettati dall’art. 2483 comma 2 c.c., secondo cui tali titoli “possono essere sottoscritti soltanto da investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali” e “in caso di successiva circolazione dei titoli di debito, chi li trasferisce risponde della solvenza della società nei confronti degli acquirenti che non siano investitori professionali ovvero soci della società”. La norma richiede alcune osservazioni sia dal punto di vista soggettivo, sia dal punto di vista oggettivo. 23 ) Per alcune considerazioni in tale senso, proprio relativamente alla nuova facoltà di emissione di titoli di debito, v. G. ZANARONE, Introduzione alla nuova società a responsabilità limitata, in Riv.soc., 2003, p. 89. 24 ) Cfr. A. GAMBINO, Spunti di riflessione…, cit., p. 642. 14 Dal primo punto di vista, secondo le osservazioni della dottrina che si è già occupata della norma (25), occorre individuare correttamente il soggetto legittimato alla sottoscrizione dei titoli, nella consapevolezza che l’espressione utilizzata costituisce la fusione di due espressioni impiegate finora solo in maniera distinta da parte del legislatore (l’espressione “investitore professionale”, più precisamente, si rinviene nell’art. 30 comma 2 T.U.F., che a sua volta rinvia, per la definizione, al regolamento da emanarsi dalla Consob, sentita la Banca d’Italia; l’espressione “vigilanza prudenziale”, invece, si rinviene, con riferimento alle banche e agli altri enti che esercitano attività assicurativa o finanziaria, nell’art. 11 comma 4 lett. e) T.U.B.). La normativa secondaria rilevante, in forza del cennato richiamo contenuto nell’art. 30 comma 2 T.U.F., è costituita dal regolamento Consob approvato con deliberazione 1 luglio 1998, n. 11522, art. 31, in quanto richiamato dall’art. 28 del regolamento Consob approvato con deliberazione 11971 del 1999, a sua volta emanato per dare esecuzione alla norma di legge sopra richiamata. Ne deriva che costituiscono soggetti legittimati alla sottoscrizione dei titoli di debito in oggetto: a) le banche; b) le società di investimento mobiliare; c) le società di gestione del risparmio; d) le SICAV; e) i fondi pensione; f) le imprese di assicurazione; g) gli altri enti sottoposti a vigilanza prudenziale quali intermediari autorizzati. Dal secondo punto di vista, definito oggettivo, giova precisare che la legge non si è limitata a sancire la responsabilità del sottoscrittore per la solvenza della s.r.l. emittente (rectius: per l’adempimento dei debiti della s.r.l. emittente), ma ha previsto in termini generali che la responsabilità derivi dalla circolazione dei titoli successiva alla sottoscrizione, ponendo a carico del cedente una responsabilità ex lege assimilabile, pure con alcune importanti differenze, come si vedrà in seguito, a quella prevista dalle leggi cambiarie a carico del girante e sottratta all’autonomia privata, in quanto operante in ogni caso di trasferimento a favore di soggetto diverso dall’investitore professionale (come sopra definito) o dal socio della società emittente (dovendosi ritenere all’uopo rilevante il momento del trasferimento, e non quello anteriore dell’emissione). Il sistema delineato dal legislatore pare coerente, per quanto complesso: ciascun acquirente del titolo di debito emesso da una s.r.l. potrà contare, se soggetto diverso da quelli contemplati nel periodo finale dell’art. 2483 coma 2 c.c., sulla responsabilità ex lege non solo del proprio dante causa, ma di tutti i precedenti danti causa, tra i quali l’investitore professionale originario sottoscrittore. La responsabilità di chi trasferisce il titolo di credito opera infatti non solo a beneficio del proprio avente causa immediato, ma anche a beneficio degli eventuali futuri aventi causa mediati, sempre che questi non rientrino in una delle due categorie eccettuate da tale beneficio. Essa, per quanto concerne il proprio ambito, opera a prescindere dal valore del corrispettivo percepito, e quindi a prescindere dal meccanismo stabilito in termini generali dall’art. 1267 c.c. per ogni caso di cessione del credito con garanzia convenzionale della solvenza del debitore ceduto (che individua come tetto della responsabilità del cedente quanto questi ha ricevuto), dal momento che quest’ultima norma presuppone che il cedente sia responsabile nei confronti del solo cessionario immediato, e non anche dei successivi cessionari, e che l’interesse dell’investitore acquirente tutelato dalla norma speciale, a garanzia del buon funzionamento del mercato di tali titoli, non può non concernere nel suo complesso le obbligazioni a cui è tenuto l’emittente. La responsabilità del soggetto che trasferisce il titolo di debito, inoltre, deve considerarsi, in ossequio ai principi (cfr. art. 1291 c.c.) di tipo solidale con quella del debitore emittente, e non di tipo sussidiario; ne deriva, ancora una volta, l’inapplicabilità dell’art. 1267 c.c., nella parte in cui 25 ) Cfr. P. SPADA, op.cit.; v. anche M. STELLA RICHTERjr., op.cit., p. 194. 15 include nella responsabilità del cedente del credito gli interessi, le spese della cessione, le spese sostenute dal cessionario per escutere il debitore ed il risarcimento del danno. Tale responsabilità, che solo descrittivamente può essere definita come fideiussione ex lege, è soggetta, per quanto non previsto dalla norma, alle regole generali in tema di responsabilità contrattuale. 5.4. Competenza, limiti e modalità dell’emissione. L’emissione di titoli di debito da parte di una s.r.l. presuppone, ai sensi dell’art. 2483 comma 1 c.c., che l’atto costitutivo preveda tale possibilità (26). Tale previsione, in base ai principi, può derivare anche da una successiva modificazione dell’atto costituivo, secondo le regole previste nel caso di specie per l’adozione di tale tipo di deliberazione. La previsione in oggetto, per rendere concretamente possibile l’emissione, deve stabilire se la relativa competenza spetti ai soci o agli amministratori, dal momento che il legislatore considera perfettamente compatibile con il tipo sociale l’una e l’altra possibilità. Giova sottolineare come, in entrambi i casi, non sia necessaria una deliberazione collegiale, potendo l’atto costituivo rimettere anche tale specifica competenza ad una decisione dei soci (ex art. 2479 comma 3 c.c.) o degli amministratori (ex art. 2475 comma 4 c.c.) non collegiale, adottata mediante consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto. In ogni caso, l’eventuale clausola dell’atto costituivo attributiva della competenza agli amministratori non esclude che la decisone sia avocata ai soci, senza necessità di alcuna modifica dell’atto costitutivo stesso, ai sensi dell’art. 2479 comma 1 c.c. . Viceversa, in caso di competenza attribuita ai soci, non sembra che questi possano delegare la decisone agli amministratori senza provvedere preventivamente ad una modificazione dell’atto costitutivo sul punto. La legge non prevede limiti di emissione dei titoli di debito, rimettendo la relativa decisione all’atto costitutivo; anche in tale caso, però, la prescrizione dei limiti di emissione non è obbligatoria, dal momento che la legge si limita a prevedere che la relativa previsione sia eventuale (art. 2483 comma 1 c.c.). L’eventuale previsione di limiti di emissione in sede di atto costitutivo non è infatti funzionale ad alcun interesse generale, essendo posta nell’interesse esclusivo dei soci. Conferma di tale conclusione può ricavarsi, sul piano sistematico, dall’art. 2412 nuovo testo c.c. in tema di limiti all’emissione di prestiti obbligazionari da parte delle società azionarie, dove il limite generale stabilito dalla legge a tutela di interessi generali può essere superato “se le obbligazioni emesse in eccedenza sono destinate alla sottoscrizione da parte di investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma elle leggi speciali” (utilizzando quindi un’espressione identica a quella utilizzata dall’art. 2483 c.c. sopra commentata). Ne deriva altresì che l’atto costituivo può fissare l’eventuale limite di emissione anche oltre la soglia legale delle società azionarie per l’emissione di titoli obbligazionari. L’art. 2483 c.c. prevede che l’atto costitutivo stabilisca altresì le modalità e le maggioranze necessarie per la decisione, trattandosi, in entrambi i casi, di elementi indispensabili ai fini della validità della clausola. Per quanto riguarda le modalità, una volta ribadito che l’autonomia privata può configurare nel modo più ampio l’emissione, senza necessità di vincolare l’operazione ad un mutuo sottostante (non vi sono difficoltà, per esempio, ad immaginare che l’emissione del titolo di debito si riferisca ad una preesistente posizione creditoria dell’investitore professionale sottoscrittore o anche di un terzo 26 ) In dottrina, si ritiene che l’eventuale assenza di una clausola dell’atto costitutivo che preveda l’emissione in parola determini nullità dell’intera operazione di emissione, senza che il terzo sottoscrittore possa invocare a propria tutela il disposto dell’art. 2475-bis comma 2 c.c., che esclude l’opponibilità ai terzi che hanno contratto con il rappresentante di s.r.l. delle eventuali limitazioni alla rappresentanza degli amministratori derivanti dall’atto costituivo o dall’atto di nomina, dal momento che nel caso di specie si tratta di una vera e propria limitazione legale, sottratta pertanto all’ambito applicativo della norma che fa salvo il diritto del terzo (così, P.SPADA, op.cit.; in senso conforme, pure senza riferirsi espressamente al caso di specie, N. ABRIANI, Decisione dei soci. Amministrazione e controlli, in Diritto delle società di capitali. Manuale breve, cit., p. 218). 16 estraneo nei confronti della società), sembra opportuno domandarsi se esistano limiti per quanto concerne la legge di circolazione dei titoli emessi. A tale specifico riguardo, appare senz’altro condivisibile l’opinione secondo cui la responsabilità dell’alienante prevista dall’art. 2483 comma 2 c.c., inderogabile dall’autonomia privata in quanto posta a tutela dell’interesse degli acquirenti dei titoli, è incompatibile con l’emissione di titoli al portatore (27). L’art. 2483 comma 3 stabilisce inoltre che la decisione di emissione dei titoli deve prevedere le condizioni del prestito e le modalità del rimborso (non dovendo, peraltro, necessariamente ispirarsi al modello rappresentato dai titoli obbligazionari di s.p.a.), mentre può (e non necessariamente deve) prevedere che, previo consenso della maggioranza dei possessori dei titoli (posta dal legislatore come un minimo inderogabile, e comunque da computarsi per capi, salvo previsione di una diversa modalità, da considerare legittima, da parte della decisione stessa), la società possa modificare tali condizioni e modalità (con decisone presa dallo stesso “organo” che deliberato l’emissione, salva sempre la possibilità di un’avocazione da parte dei soci). A differenza di quanto accade nel caso delle obbligazioni, la legge, per i titoli di debito di s.r.l., non prevede alcuna forma obbligatoria di organizzazione tra i possessori dei titoli emessi, rimettendo ogni eventuale scelta in tal senso all’atto costitutivo o, semplicemente, come si evince dalla norma in commento, alla decisione di emissione (la quale potrà attingere alla normativa in materia di obbligazioni, come pure creare un diverso meccanismo organizzativo sulla base delle proprie esigenze). Giova piuttosto sottolineare come, nel silenzio dell’atto costitutivo e della decisione di emissione sul punto, la società non possa confidare su una successiva modificazione a maggioranza (dei possessori dei titoli) delle regole dell’operazione, trovando piena applicazione le regole generali in materia di modificazioni contrattuali, ammesse solo con il consenso di ciascuno dei paciscenti. Comunque sia, anche nel caso dei titoli di debito, deve ritenersi che siano modificabili a maggioranza dei possessori, in presenza dell’apposita clausola, soltanto quelle modalità che non incidono sulla sostanza della posizione creditoria del possessore (tra le quali deve comprendersi il rimborso dell’intero capitale, ma non necessariamente, almeno in assenza di operazioni eseguite con emissione di titoli di massa e a differenza di quanto accade per gli obbligazionisti di s.p.a., la permanenza dell’incorporazione del credito in un titolo avente le caratteristiche di cui agli artt. 1992 ss. c.c.) o sulla parità di trattamento tra gli stessi. L’art. 2483 comma 3 c.c, infine, stabilisce che la decisione di emissione è iscritta a cura degli amministratori presso il registro delle imprese. La previsione specifica di una competenza degli amministratori, l’impossibilità di applicare analogicamente le diverse prescrizioni all’uopo dettate in materia di obbligazioni di s.p.a. e, infine, la garanzia offerta al terzo, sul piano patrimoniale, dalla responsabilità dell’investitore professionale cedente inducono a ritenere superflua, pure nella consapevolezza che l’interesse dei terzi richiederebbe comunque un preventivo filtro di legalità, ogni redazione notarile della relativa decisione. 5.5. Emissione di titoli di debito e trasformazione della società. Il nuovo art. 2483 c.c., pure con le limitazioni che si sono viste, è destinato ad affrancare la s.r.l. da quella marginalizzazione finanziaria, frutto della scelta del legislatore del 1942 che aveva decisamente indirizzato tale tipo sociale verso il finanziamento bancario, vietando sia l’incorporazione delle partecipazioni sociali in azioni (art. 2472 comma 2 vecchio testo c.c.), sia l’emissione di prestiti obbligazionari (art. 2486 comma 3 vecchio testo c.c.). La stessa Relazione ministeriale, affermando che con l’art. 2483 nuovo testo c.c. “si è dettata sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo una soluzione analoga a quella prevista dall’articolo 2412, comma secondo, per l’emissione di obbligazioni da parte di società per azioni”, testimonia chiaramente tale avvenuta affrancazione. 27 ) In tale senso, ancora, P. SPADA, op.cit. . 17 Ne consegue, pertanto, che, a seguito dell’entrata in vigore della riforma, non sembra più possibile addurre alcun tipo di ostacolo per ammettere che anche una s.r.l. che ha emesso titoli di debito ex art. 2483 c.c. si possa trasformare, in pendenza dell’emissione, non solo in società per azioni, ma anche in società di persone o in un altro tipo organizzativo ammesso dalla legge, dal momento che la tutela dei terzi finanziatori è garantita dalla responsabilità ex lege prevista dall’art. 2483 c.c. in capo all’investitore professionale abilitato alla sottoscrizione, destinata a rimanere anche a seguito dell’avvenuta trasformazione da parte della società emittente. Anzi, la riforma introdotta con l’art. 2483 c.c. può assumere un significato sistematico più pregante, consentendo: - da un lato, di superare la tesi tradizionale dominante (28) che vietava alle stesse società azionarie di trasformarsi in s.r.l. in pendenza del prestito obbligazionario stesso: alla luce della nuova normativa introdotta per le s.r.l., infatti, sembra possibile concludere che anche quest’ultima deliberazione di trasformazione è valida ed efficace tutte le volte in cui il rimborso delle obbligazioni in circolazione al momento della deliberazione di trasformazione in s.r.l. sia garantito mediante apposita fideiussione rilasciata da soggetto abilitato alla sottoscrizione ai sensi dello stesso art. 2483 c.c.; - dall’altro di ipotizzare che la s.r.l. che ha in corso un’emissione di titoli di debito possa usufruire del nuovo istituto della c.d. trasformazione eterogenea di cui all’art. 2500-septies nuovo testo c.c. (trasformazione eterogenea da società di capitali), dal momento che la tutela dei creditori sociali, tra i quali i sottoscrittori e gli acquirenti dei titoli emessi, potranno in tale sede tutelare le proprie ragioni attraverso l’istituto dell’opposizione di cui all’art. 2500-novies nuovo testo c.c., al pari di quanto avviene per tutti gli altri creditori i sociali. 5.6. Prime possibili applicazioni dell’istituto. Una diffusione su larga scala dell’istituto presuppone, secondo quanto si è sopra ipotizzato, un cambio di mentalità da parte delle imprese, delle banche e, in misura minore, degli stessi risparmiatori, con la conseguenza che occorrerà mettere in preventivo un periodo di “rodaggio” realisticamente non breve. A prescindere da tale più o meno probabile evoluzione, tuttavia, sembra possibile indicare, in aggiunta a quella prospettata nel precedente paragrafo e concernente la società per azioni che intende trasformarsi in società a responsabilità limitata in pendenza di un prestito obbligazionario, due ulteriori ipotesi in cui l’istituto di cui al nuovo art. 2483 c.c. può trovare applicazione senza alcuna modificazione degli attuali percorsi finanziari, in base a ragioni di ordine esclusivamente tecnico. La prima ipotesi concerne l’eventualità che una società a responsabilità limitata voglia fruire di quei vantaggi, soprattutto tributari e finanziari, che, specialmente alcuni anni addietro (in periodo di tassi di interesse più elevati), avevano suggerito un ampio impiego, senza alcun ricorso al mercato, ma circoscrivendo la sottoscrizione ai soli soci o familiari dei soci, del prestito obbligazionario ex artt. 2410 ss. c.c. . Mentre fino ad oggi tutte le società che intendevano utilizzare l’istituto erano costrette, stante il divieto assoluto di cui all’art. 2486 comma 3 vecchio testo c.c., a deliberare preventivamente la propria trasformazione in s.p.a. o in s.a.p.a., oggi si può ipotizzare che l’operazione venga compiuta, con la cautela in appresso evidenziata, conservando la veste di società a responsabilità limitata. La cautela che si raccomanda al fine di compiere tale operazione è costituita dalla previsione, in sede di decisione di emissione dei titoli di debito (ed al limite già nella clausola dell’atto costitutivo che prevede ex art. 2483 c.c. i limiti e le modalità dell’operazione: cfr. retro), che la sottoscrizione ed il successivo acquisto dei titoli in oggetto potranno avvenire soltanto da parte di investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali oppure da soggetti che, nel momento della sottoscrizione, siano soci della società. In tale modo né l’investitore 28 ) Cfr., per tutte, Cass., 14 febbraio 1995, n. 1574, in Giur.it., 1995, I, 1 ss. . 18 professionale che, per legge, deve eseguire la sottoscrizione, né gli eventuali successivi investitori e i successivi soci acquirenti dei titoli risponderanno in alcun modo, come stabilito dall’art. 2483 comma 2 c.c., della solvenza della società, con la conseguenza che l’operazione di sottoscrizione e successiva immediata ricollocazione dei titoli presso i soci da parte dell’investitore sottoscrittore potrà avvenire senza che i soci siano costretti, di fatto, a vincolare somme in garanzia e comunque a sostenere oneri finanziari ulteriori rispetto al pagamento della semplice commissione per l’investitore. Il pagamento di quest’ultima commissione, peraltro, sarà normalmente ampiamente compensato dalla possibilità di strutturare il prestito senza necessità, come si è visto, di fare ricorso alla c.d. organizzazione degli obbligazionisti richiesta, per le s.p.a., dagli artt. 2415 ss. c.c. . La seconda ipotesi che può suggerire un’immediata utilizzazione dell’istituto concerne, invece, l’utilizzo dell’emissione dei titoli di debito quale strumento per rendere inapplicabile al finanziamento eseguito dal socio in favore della società la disciplina restrittiva, ritenuta come si è visto di natura sostanziale e non processuale, di cui all’art. 2467 comma 1 c.c. Infatti, come si è visto, non può rientrare nella previsione (eccezionale) della norma, per difetto del presupposto soggettivo, né il finanziamento eseguito da parte di una banca per conto del socio (anche in caso di previa garanzia internamente rilasciata da quest’ultimo), né il finanziamento eseguito attraverso la sottoscrizione dei titoli di debito da parte di un investitore istituzionale che non riveste la qualifica di socio. La conclusione, peraltro, non deve essere vista né come un aggiramento della norma stessa, né come un varco idoneo ad attentare alla coerenza del sistema: nel caso di cui all’art. 2483 c.c., infatti, la prevenzione del rischio di una eccessiva sottocapitalizzazione della società viene affidata non alla norma generale di cui all’art. 2467 comma 1 c.c., bensì alla complessiva normativa che sovrintende alla erogazione del credito da parte del sistema bancario e finanziario che, anche in vista della prossima entrata in vigore delle norme contenute nell’accordo tra le banche centrali europee noto con il nome di Basilea 2, deve considerare l’adeguatezza della capitalizzazione della società beneficiaria tra i parametri rilevanti ai fini di selezionare i destinatari dell’operazione. Se il titolo di debito, come deve essere, viene sottoscritto dall’investitore istituzionale, in altre parole, si potrà agire ex ante, ovvero prevenire il rischio di sottocapitalizzazione grazie alle regole operative bancarie e finanziarie, e non ci sarà bisogno di intervenire ex post attraverso l’applicazione dell’art. 2467 c.c. . 19