il finanziamento della societa` mediante mezzi

21 ottobre 2003
Federico Tassinari
IL FINANZIAMENTO DELLA SOCIETA’ A RESDPONSABILITA’ LIMITATA
MEDIANTE MEZZI DIVERSI DAL CONFERIMENTO
1. LE DIVERSE POSSIBILITÀ DI FINANZIAMENTO DELLA SOCIETÀ AL DI FUORI DEL CONFERIMENTO.
1.1. Finanziamento in senso giuridico e finanziamento in senso aziendalisitico.
La nozione di finanziamento differisce dal punto di vista giuridico e della finanza aziendale.
Dal punto di vista giuridico, può costituire finanziamento soltanto l’operazione che determina come
effetto la costituzione o la modificazione di un diritto di credito nei confronti della società.
In tale ottica, dunque, non è necessario che l’atto che costituisce la fonte del finanziamento sia
necessariamente un contratto di credito, idoneo a costituire in capo alla società una o più nuove
obbligazioni, quale un mutuo ex artt. 1813 ss. c.c., un’apertura di credito bancaria ex artt.1842 ss. o
non bancaria ex artt. 1322 e (eventualmente, se regolata con un sistema di conto corrente) 1823 ss.
c.c., un’anticipazione bancaria ex artt. 1846 ss. c.c., ecc., potendo altresì accadere che tale atto sia
costituito da uno strumento negoziale destinato ad incidere su un’obbligazione della società già
esistente, quale una vicenda di sostituzione della società stessa quale soggetto passivo del rapporto
obbligatorio (a titolo di delegazione, espromissione o accollo, secondo una delle forme e delle
modalità che tali istituti possono assumere ai sensi degli artt. 1268 ss. c.c.), oppure una dilazione di
pagamento concessa dal creditore o un c.d. pactum de non petendo.
Sempre dal punto di vista giuridico, tuttavia, l’operazione di finanziamento presuppone comunque
che la società sia contemplata alla stregua di un soggetto debitore, secondo la nozione generale
disciplinata dal libro IV del codice civile.
Dal punto di vista della finanza aziendale, invece, costituisce finanziamento ogni operazione idonea
a garantire alla società, in quanto impresa, i mezzi necessari per la realizzazione della propria
attività, indipendentemente dalla ricorrenza dei presupposti giuridici sopra evidenziati.
Ne consegue che, se tutto ciò che costituisce finanziamento in senso giuridico non può non essere
considerato finanziamento anche nella prospettiva della finanza aziendale, non è parimenti vero il
contrario, dal momento che si possono individuare numerose operazioni che costituiscono
finanziamento da quest’ultimo punto di vista, ma non da quello strettamente giuridico.
Nella prospettiva aziendalistica, chi finanzia la società attribuisce a questa un capitale; nella
prospettiva giuridica chi attribuisce alla società un capitale non può, per definizione, finanziare la
società.
In termini generali, poi, la finanza aziendale distingue tra finanziamento della società mediante
capitale di credito e finanziamento della società mediante capitale di rischio (1).
Ne consegue che la sottoscrizione del capitale sociale (in senso giuridico, ex art. 2463 n. 4 nuovo
testo c.c.) mediante esecuzione di un conferimento in senso tecnico ai sensi degli artt. 2464 ss.
nuovo testo c.c. costituisce, per la finanza aziendale, la prima e più diretta modalità di
finanziamento, quale attribuzione di capitale proprio.
Ne consegue ulteriormente che anche l’assunzione di obbligazioni da parte del socio a titolo di
prestazione accessoria, secondo le modalità codificate nell’art. 2478 vecchio testo c.c. (non più
1
) In questa sede non interessa soffermarsi sulle considerazioni che la disciplina aziendalistica svolge con riferimento al
rapporto ottimale che, in ciascun tipo di società, deve sussistere, per garantire al meglio la prosperità dell’impresa, tra le
due accennate forme di finanziamento, pure dovendosi ammettere che tale aspetto, con la riforma, è diventato rilevante
per il giurista non solo ai fini della giustificazione, per le società azionarie, del limite massimo di emissione delle
obbligazioni (cfr. art. 2410 vecchio testo e art. 2412 nuovo testo c.c.), ma anche al fine di una corretta applicazione del
nuovo art. 2467 c.c. .
1
riprodotto, come si vedrà in seguito, in alcuna disposizione del nuovo testo risultante dalla riforma),
oppure, ove consentito dal diritto positivo, ad altro titolo, costituisce normalmente per la società,
nella prospettiva aziendalistica ora al vaglio, un’ulteriore modalità di finanziamento, trattandosi
comunque di operazione che ha come effetto, quando non come scopo, quello di contribuire a
dotare la società dei mezzi necessari per l’esercizio della propria attività.
Ne consegue ancora, infine, che costituiscono altresì operazioni di finanziamento a favore della
società, nella medesima prospettiva aziendalistica, tutte quelle forme di apporto fuori capitale che
sono state elaborate e largamente praticate nella prassi (c.d. versamenti in conto capitale, versamenti
in conto futuro capitale, ecc.), anche se le stesse non determinano alcun effetto costitutivo,
modificativo o estintivo di obbligazioni in capo alla società stessa.
1.2. Questioni da affrontare.
La precisazione fornita nel precedente paragrafo, unitamente alle considerazioni svolte nell’ultimo
paragrafo del precedente capitolo, impongono ora di completare il ragionamento a proposito delle
valutazioni compiute dal legislatore della riforma in merito alle diverse modalità attraverso le quali
una società può essere finanziata in un’ottica aziendalistica, al fine principale di stabilire se la nuova
disciplina in tema di finanziamenti prevista dall’art. 2467 c.c. consideri quest’ultima nozione dal
punto di vista giuridico oppure proprio dal punto di vista aziendalistico.
Prima di procedere in tale direzione, tuttavia, sembra opportuno dedicare qualche riflessione a due
precise scelte parimenti compiute dal legislatore della riforma, ovvero:
1) la scelta di eliminare ogni riferimento all’istituto delle prestazioni accessorie, già
disciplinato nell’art. 2478 vecchio testo c.c. ed ora non più riprodotto in alcuna norma
della riforma;
2) la scelta di non dedicare del pari alcuna disciplina agli apporti di mezzi propri compiuti
al di fuori del capitale sociale, mediante atti giuridici diversi dal conferimento, con o
senza soprapprezzo.
L’interprete, infatti, non può limitarsi, ove desideri offrire una risposta coerente ad entrambi gli
interrogativi, a considerazioni di tipo pragmatico, come per esempio quella secondo cui
l’abbandono dell’istituto delle prestazioni accessorie deriverebbe dalla constatazione e presa d’atto
della sostanziale mancata utilizzazione del medesimo da parte della prassi in tutto il periodo di
vigenza dell’art. 2478 vecchio testo c.c., dal momento che il legislatore, così ragionando, non
avrebbe per contro potuto trascurare una compiuta disciplina del secondo istituto, quello degli
apporti fuori capitale, trattandosi di istituto che, come è noto, viene invece largamente utilizzato a
livello operativo.
Le ragioni per offrire una risposta congiunta ai due interrogativi prospettati può invero rinvenirsi
unicamente in considerazioni di carattere sistematico, tese ad approfondire le precise implicazioni
giuridiche delle diverse scelte compiute dal legislatore nel 1942 e con la riforma del 2003.
A queste considerazioni, pertanto, è bene orientare i due successivi paragrafi.
2. IL SUPERAMENTO DELLA TECNICA DELLE PRESTAZIONI ACCESSORIE.
Si è rilevato nel capitolo introduttivo, dedicato all’evoluzione storica e ai profili tipologici della
società a responsabilità limitata, che, pure dovendo dare attuazione a principi della legge delega tesi
a riconoscere la “rilevanza centrale del socio e dei rapporti contrattuali tra i soci” (art. 3 comma 1
lett. a) seconda parte l. 3 ottobre 2001, n. 366), il legislatore delegato non si è spinto fino al punto di
configurare la nuova società a responsabilità limitata come una vera e propria società di persone con
limitazione della responsabilità personale dei soci, ma, al contrario, ha ritenuto di conservare,
seppure alla stregua di regole derogabili dall’atto costitutivo, una serie di precetti che
presuppongono tuttora la permanenza di una concezione e di un’organizzazione dell’impresa con
tratti tipicamente capitalistici (es. proporzionalità tra conferimenti, partecipazione e diritti sociali;
libera trasferibilità della partecipazione sociale; organizzazione sociale per uffici o organi, e non per
persone; ecc.).
2
Pure accogliendo, nella riforma del tipo sociale, questa prospettiva “moderata”, il legislatore
delegato, tuttavia, non poteva trascurare la necessità di eliminare dal sistema quegli istituti che non
solo avrebbero ribadito una prospettiva di utilizzazione capitalistica della società a responsabilità
limitata, ma che, in più, avrebbero fornito dei possibili argomenti contrari all’introduzione nell’atto
costitutivo di clausole tese a valorizzare l’intuitus personae del singolo socio, superando ogni
residuo aspetto capitalistico.
L’istituto delle prestazioni accessorie, se non ci si inganna, avrebbe potuto essere annoverato
proprio in quest’ambito, dal momento che la previsione dell’art. 2478 vecchio testo c.c., a sua volta
modellata pedissequamente su quella dettata dall’art. 2345 c.c. in tema di società azionarie (e
rimasto invariato anche dopo la riforma), non si limitava a rendere legittima la previsione in capo ad
uno o più soci di obbligazioni ulteriori rispetto a quella assunta a titolo di conferimento, ma si
spingeva fino ad offrire di tali obbligazioni ulteriori una precisa connotazione positiva in termini di
disciplina (2).
Più precisamente, la previsione di prestazioni accessorie ai sensi del citato art. 2478 c.c., avrebbe
comportato due precise conseguenze:
a/ il collegamento oggettivo dell’obbligazione a tale titolo assunta verso la società alla
partecipazione sociale, alla stregua di una vera e propria obbligazione propter rem, trasferibile
unitamente a quest’ultima (pure con la necessità che tale trasferimento avvenisse solo previo
consenso degli amministratori, ex art. 2478 vecchio testo comma 2 c.c.), anziché direttamente ed
esclusivamente alla persona del socio;
b/ la difficoltà di legittimare ogni previsione statutaria volta a prevedere in capo al socio
obbligazioni ulteriori, pecuniarie o di altro tipo, rispetto a quelle che il medesimo avesse assunto a
titolo di conferimento e di prestazioni accessorie.
Con l’eliminazione, nel testo della riforma, dell’istituto delle prestazioni accessorie, il legislatore,
dunque, non ha inteso limitare in alcun modo l’autonomia privata, e tanto meno vietare che la stessa
possa utilizzare, mediante apposita previsione dell’atto costitutivo, tale tipo di apporto fuori capitale
(laddove essa intenda, nel caso concreto, continuare a considerare la società a responsabilità limitata
in una prospettiva di tipo capitalistico), bensì, più limitatamente e più precisamente, ha inteso
superare definitivamente ogni lettura tendente a ribadire, in tutto o in parte, le due conseguenze
sopra delineate.
L’abrogazione della previsione legale in tema di prestazioni accessorie costituiva, in definitiva, un
passaggio pressoché obbligato al fine non tanto di una diretta connotazione in senso personalistico
del nuovo tipo sociale, quanto del superamento degli stringenti limiti che la presenza stessa
dell’istituto avrebbe significato, per le due conseguenze sopra accennate, per l’autonomia privata.
3. LA MANCATA DISCIPLINA DEGLI APPORTI FUORI CAPITALE.
Nel sistema anteriore alla riforma, l’apporto fuori capitale, a titolo di versamento genericamente
definito “in conto capitale” o “fuori capitale”, oppure più precisamente definito come “in conto
futuro aumento del capitale”, veniva ritenuto legittimo (3) in forza del generale principio di
autonomia privata di cui all’art. 1322 c.c. (anche argomentando dalla espressa previsione della
legittimità, a prescindere da ogni rapporto quantitativo con il capitale sociale, in sede sia di
2
) In tema di quote di s.r.l. con prestazioni accessorie, cfr., nel vigore dell’art. 2478 vecchio testo c.c., G. SANTINI,
Società a responsabilità limitata, Bologna-Roma, 1984, p. 96 ss., e G.M. RIVOLTA, La società a responsabilità limitata,
Milano, 1982, p. 98 ss. (secondo quest’ultimo A., in merito al rapporto tra prestazioni accessorie e prestazioni d’opera o
di servizi, “non è certro l’onere del conferimento (anche) di capitale a scoraggiare l’ingresso in società dell’apportatore
d’opera, ma, semmai, il fatto che l’apporto d’opera non può trovare contropartita nell’assegnazione di più ampi diritti
amministrativi od organici”).
3
) In tema v. G. TANTINI, I “versamenti in conto capitale” tra conferimenti e prestiti, Milano, 1990; M IRRERA, I
“prestiti” dei soci alla società, Padova, 1992; G.B. PORTALE, Appunti in tema di “versamenti in conto futuri aumenti di
capitale” eseguiti da un solo socio, in Banca, borsa, tit. di cred., 1995, I, p. 93 ss.; D. CENNI, I “versamenti fuori
capitale” dei soci e la tutela dei creditori sociali, in Contr. e impr., 1995, p. 110 ss. .
3
costituzione della società sia di successivo aumento del capitale sociale a pagamento, dell’istituto
del soprapprezzo).
Nel contempo, tuttavia, tale ritenuta legittimità doveva fare i conti con la ritenuta illegittimità, per
contro, della previsione in capo al socio di ogni obbligazione derivante direttamente dal contratto
sociale, asserendosi che tali operazioni presupponevano comunque una spontaneità del versamento
e non potevano essere ricollegate all’assunzione di alcuna obbligazione in tal senso in sede di
stipulazione del contratto sociale.
Come il socio, in quanto tale (cioè, in quanto parte del contratto di società, salva la possibilità
quindi che tale obbligazione derivasse, con l’efficacia obbligatoria propria di tale strumento, da un
patto parasociale o comunque da un diverso titolo), non poteva obbligarsi ad eseguire nuovi e futuri
conferimenti, così, allo stesso modo, non poteva obbligarsi ad eseguire nuovi apporti di mezzi
propri al di fuori del capitale sociale.
Abrogando la previsione in tema di prestazioni accessorie, il legislatore delle riforma ha aperto le
porte, se così si può dire, all’introduzione nell’atto costitutivo di obbligazioni ulteriori rispetto a
quelle eventualmente assunte a titolo di conferimento, sia laddove si tratti di obbligazioni pecuniarie
(pure restando fermo anche per la nuova società a responsabilità limitata, come si desume dall’art.
2481-bis nuovo testo comma 4 c.c., il precetto secondo cui, laddove sia previsto un soprapprezzo,
questo deve essere integralmente versato fin dal momento della sottoscrizione del conferimento),
sia laddove si tratti di obbligazioni di altro tipo (prestazioni lavorative, come si è visto nel
precedente capitolo; obbligazioni di non concorrenza; ecc., purchè si tratti di obbligazioni
strumentali all’esercizio dell’attività comune e quindi, in definitiva, finanziamenti in senso
aziendalistico a favore della società).
L’apertura all’autonomia privata che deriva dall’abrogazione di ogni previsione legislativa che,
disciplinando le prestazioni accessorie sulla falsariga di quanto stabilito dall’art. 2478 vecchio testo
c.c., legittimasse implicitamente delle precise limitazioni per l’autonomia privata, avendo eliminato
ogni restrizione in merito alla possibilità di prevedere, attraverso il contratto di società, ogni forma
di finanziamento (in senso aziendalistico) che sia ritenuta opportuna per garantire a ciascuna società
l’adeguata formazione del proprio patrimonio, ha reso superfluo, tra l’altro, ogni specifica disciplina
anche degli apporti fuori capitale ora in considerazione.
Del resto, l’impronta liberale assunta dall’intero provvedimento di riforma, avrebbe reso
decisamente inaccettabile (in quanto incoerente con l’ispirazione della riforma stessa) ogni tentativo
legislativo di circoscrivere la legittimità dei predetti apporti fuori capitale (4).
A questo riguardo, ciò che era ormai ritenuto pacificamente legittimo prima della riforma non
poteva non continuare ad essere considerato tale con l’entrata in vigore della riforma medesima,
senza necessità di invocare in proposito alcuna nuova specifica norma permissiva da parte del
legislatore.
4. LA NUOVA NORMATIVA IN TEMA DI “FINANZIAMENTI”.
4.1. Considerazioni generali
Il nuovo art. 2467 c.c., i cui due commi devono leggersi unitariamente, in quanto la prescrizione
normativa dettata nel primo comma trova applicazione soltanto per i finanziamenti da parte dei soci
effettuati nelle circostanze messe in evidenza nel successivo secondo comma, introduce
nell’ordinamento italiano, per la prima volta, un istituto che trae origine da alcune scelte compiute
in tema dal legislatore tedesco (5).
4
) La dottrina commercialistica ha finora sostanzialmente trascurato la possibilità di eseguire apporti fuori capitale non
in danaro, pure non avendo addotto argomenti idonei, una volta accolto il principio generale, per escludere tale tipo di
apporti in relazione al proprio oggetto.
5
) La materia è attualmente disciplinata, sotto la rubrica di “Restituzione dei prestiti” (Rueckgewaehr von Darlehen),
dal § 32a GmbHG del 1892 e successive modificazioni (legge organica in materia di società a responsabilità limitata).
4
La disciplina deve ritenersi normativa eccezionale, insuscettibile pertanto di applicazione analogica
al di fuori del proprio tenore letterale (6).
L’applicazione della norma dipende da tre presupposti, che devono ricorrere cumulativamente, e
che sono desumibili dalla lettura ed interpretazione del precetto contenuto nell’art. 2467 comma 2
c.c., che deve essere valutato dall’interprete alla stregua di una vera e propria definizione normativa,
in presenza della quale risulta applicabile il precetto specifico dettato nel precedente primo comma.
Il rapporto tra i due commi dell’articolo deve dunque, dal punto di vista logico, essere invertito.
Il precetto posto nell’art. 2467 comma 1, comunque se ne interpreti il contenuto, opererà soltanto in
presenza dei presupposti (e quindi, in sostanza, della definizione) contenuta nel successivo comma
2; ove ci si trovi al di fuori di tali presupposti (e, quindi, della definizione), per converso,
l’operazione di finanziamento continuerà ad essere disciplinata dal diritto comune.
L’intero articolo, in altre parole, non deve leggersi alla stregua di una presunzione in senso tecnico,
né relativa né assoluta, non comportando alcuna riqualificazione del finanziamento.
4.2. I presupposti di applicazione della normativa
L’art. 2467 comma 2 c.c., pone dunque la definizione dei presupposti in presenza dei quali appare
possibile applicare il precetto di cui al primo comma.
A tal fine, infatti occorre che siano riscontrabili cumulativamente i seguenti tre requisiti:
a) che vi sia stato un apporto, in denaro o in natura, da parte di un socio a favore della società al di
fuori di un’operazione sul capitale sociale.
Per come è formulata la norma, ogni apporto effettuato da un soggetto che, nel momento in cui
l’operazione è eseguita, non ricopre la veste di socio è al di fuori della previsione normativa.
In tali ipotesi, la norma, in applicazione dei principi generali, potrebbe trovare applicazione solo
laddove la procedura fallimentare (o comunque l’interessato) riesca a dimostrare che vi è stata una
interposizione fittizia di persona ex artt. 1414 ss. c.c. e che, conseguentemente, il soggetto
interposto, avente nella realtà la disponibilità della somma di denaro versata o del bene trasferito
alla società, era il socio medesimo.
Non rileva neppure, salvo quanto sopra precisato in tema di interposizione, la circostanza che colui
che ha eseguito l’apporto a favore della società sia divenuto socio successivamente al momento del
versamento e ricopra tale veste nel momento della restituzione da parte della società.
Viceversa, si rientra nella definizione della norma in esame tutte le volte in cui il finanziatore,
essendo socio nel momento in cui ha eseguito il finanziamento a favore della società, abbia perduto
la qualifica di socio nel momento in cui il finanziamento stesso viene rimborsato.
A differenza di quanto accade nell’ordinamento tedesco (7), inoltre, non rientra nella previsione
della norma neppure l’ipotesi, per certi versi altrettanto insidiosa per gli altri creditori sociali, e
quindi, in astratto, meritevole dello stesso trattamento, dell’apporto eseguito da un soggetto diverso
dal socio in presenza di una garanzia, personale o reale, che il socio ha rilasciato in favore dello
stesso finanziatore terzo (normalmente una banca);
b) tale apporto sia avvenuto a titolo di finanziamento, e non a diverso titolo.
Si tratta a tale riguardo, sulla base delle considerazioni generali sopra formulate, di stabilire se il
finanziamento quivi considerato sia quello in senso giuridico o in senso aziendalistico.
Più precisamente, se si ritiene che il finanziamento rilevante sia solo quello in senso giuridico (8),
sono destinati a restare al di fuori del campo di applicazione della norma tutte le operazioni di
versamento in conto capitale, a copertura perdite, in conto futuro e determinato aumento di capitale,
6
) L’osservazione nel testo si riferisce alla materia della s.r.l., dove non è possibile applicare la previsione normativa a
quei finanziamenti che non rientrano nella testuale previsione legislativa. Resta invece impregiudicata la possibilità, già
ventilata in dottrina (cfr., per tutti, anche argomentando dall’analoga previsione applicabile in termini generali di cui al
nuovo art. 2497-quinquies c.c., M. STELLA RICHTER jr., in Diritto delle società di capitali. Manuale breve, Milano,
2003, p. 193), che la norma sia applicabile, in quanto espressione di un principio generale “transtipico” anche ai tipi
azionari (sul tema v. infra nel testo).
7
) Cfr, § 32a, Absatz 2 GmbHG.
8
) In tale senso, espressamente, E. FAZZUTI, Commento art. 2467, in La riforma delle società, a cura di M. Sandulli e V.
Santoro, Torino, 2003, vol. 3, p. 48.
5
ecc. , in forza delle quali la società non acquisisce una veste debitoria in senso tecnico-giuridico nei
confronti del finanziatore stesso. Se invece si ritiene che la nozione di finanziamento rilevante sia
quella in senso aziendalistico, anche le operazioni da ultimo considerate sono ricompresse
nell’ambito applicativo della norma.
La risposta, stante la rilevata ambiguità dell’espressione, dipende essenzialmente dalle finalità che
l’interprete ritiene di attribuire alla norma.
Una prima finalità appare fuori dubbio, essendo confortata anche dall’esperienza straniera che della
disposizione in commento costituisce indubbiamente il modello: scopo della norma consiste
nell’impedire una lesione della posizione degli altri creditori sociali, in ossequio al principio
generale della par condicio creditorum posto dall’art. 2741 c.c., che, nel caso di specie, può
risultare vulnerato dalla posizione di socio ricoperta dal finanziatore (il socio, infatti, può eseguire il
finanziamento in oggetto al solo fine di usufruire, qualora le successive vicende economicofinanziarie della società lo consentano, di un vantaggio uti socius, e non anche uti creditor) (9).
Si tratta di una finalità, del resto, chiaramente evidenziata nella Relazione ministeriale, ove si
precisa che la norma affronta “il tema…dei finanziamenti effettuati dai soci a favore della società
che formalmente si presentano come capitale di credito, ma nella sostanza economica costituiscono
parte del capitale proprio”, rilevandosi altresì che “il problema più difficile è senza dubbio quello di
individuare criteri idonei a distinguere tale forma di apporto rispetto ai rapporti finanziari tra soci e
società che non meritano di essere distinti da quelli con un qualsiasi terzo”.
Se lo scopo della norma fosse esclusivamente quello indicato, la nozione di finanziamento rilevante
dovrebbe essere quella in senso giuridico e non aziendalistico, in quanto l’unica preoccupazione del
legislatore dovrebbe essere quella di impedire:
- che il creditore socio ottenga la restituzione anticipata del proprio credito, oppure
- che, in sede esecutiva, concorra a parità di condizioni con gli altri creditori che in realtà, non
potendo contare sulle anzidette prospettive uti socii, si trovano in condizione deteriore.
Infatti, in tutti i casi di apporto fuori dal capitale a titolo diverso dal finanziamento in senso tecnicogiuridico, il socio, essendo privo della titolarità di un credito, non può, per definizione, pregiudicare
in nessuna delle due accennate maniere la posizione degli altri creditori sociali che la legge ha
inteso tutelare (10).
La prospettiva muta ove si condividano invece le considerazioni svolte nell’ultimo paragrafo del
precedente capitolo, secondo cui ulteriore scopo della previsione al vaglio è quello di offrire una
tutela indiretta alla consistenza del capitale sociale (o, detto in negativo, di contrastare la
sottocapitalizzazione della società), rendendo inconvenienti, per i soci, sia i finanziamenti in senso
giuridico (c.d. sottocapitalizzazione in senso sostanziale), sia i finanziamenti in senso aziendalistico,
ma non giuridico, eseguiti al di fuori dell’aumento del capitale nominale, quali i versamenti in conto
aumento capitale, copertura perdite, ecc. (c.d. sottocapitalizzazione in senso formale).
La tutela dei creditori sociali, in tale seconda ottica, verrebbe garantita anche in via preventiva,
inducendo i soci ad eseguire gli apporti programmati per lo svolgimento dell’attività sociale, nei
limiti in cui ciò risulta congruo secondo la finanza aziendale, attraverso lo strumento primario della
formazione del capitale sociale nominale.
9
) Così anche la Relazione ministeriale, secondo cui rientrano nella previsione della norma quelle operazioni in cui “la
causa del finanziamento è da individuare nel rapporto sociale (e non in un generico rapporto di credito)”.
10
) Ai fini dell’applicazione della norma, in ogni caso, non sembra decisivo, neppure in questa prima restrittiva lettura,
il titolo negoziale in forza del quale il socio ha effettuato il finanziamento a favore della società (mutuo o altro negozio
giuridico), stante la genericità del termine impiegato dal legislatore e, soprattutto, stante la precisazione contenuta nel
comma 2 dell’art. in commento (finanziamenti “in qualsiasi forma effettuati”). Per tale ragione, al di là della nozione di
finanziamento che si accoglierà, si deve ipotizzare che anche operazioni di dilazione di debito eseguite dal socio
creditore della società ad altro titolo (es. per avere concluso una vendita con pagamento in tutto o in parte differito)
rientrino nella previsione della norma in commento, essendo evidente che anche la dilazione di debito costituisce uno
strumento per fare credito.
6
Sempre in tale ottica, il socio, ricorrendo l’ulteriore presupposto di cui alla successiva lettera c),
ovvero la situazione patologica delineata nel secondo comma dell’art. 2467 c.c., sarebbe indotto a
scegliere lo strumento dell’aumento del capitale sociale in quanto tale strumento, contrariamente
all’attuale prassi operativa, risulterebbe non solo quello più trasparente e più conveniente per i
creditori sociali, ma anche quello più conveniente per lui stesso nell’ottica della futura restituzione.
La vera preoccupazione del socio che finanzia la società al di fuori del capitale sociale, infatti, non è
tanto quella (pure senz’altro presente) di evitare un domani, in caso di insolvenza della società, di
perdere l’intero valore del finanziamento non potendo concorrere a parità di condizioni con i
creditori sociali, bensì, soprattutto, quella di incontrare difficoltà in sede di restituzione del valore
che è stato oggetto dell’operazione di finanziamento.
Normalmente (con esclusione cioè delle situazioni in cui la probabilità di una procedura
concorsuale è ormai elevatissima), come l’esperienza insegna, il socio finanziatore, pure in presenza
di società sottocapitalizzata, pensa in positivo, scommettendo sui risultati positivi dell’attività
sociale e desiderando, in tale prospettiva, garantirsi un meccanismo di restituzione dell’apporto
agevole e, possibilmente, senza costi accessori.
Dei tre possibili sistemi di finanziamento (in senso aziendalistico) della società, l’aumento del
capitale sociale appare oggi, alla luce dell’indicato interesse del socio, quello più penalizzante, dal
momento che da un lato l’esecuzione dell’operazione comporta i tempi e i costi delle modificazioni
dell’atto costitutivo (atto notarile, pubblicità nel registro delle imprese, ecc.), dall’altro la
restituzione, in più, presuppone il requisito oggettivo dell’esuberanza e la mancata opposizione da
parte dei creditori sociali.
I finanziamenti da parte dei soci a titolo di mutuo infruttifero e gli stessi versamenti in conto
capitale eseguiti al di fuori di qualsiasi operazione di aumento a pagamento del capitale stesso
appaiono invece, in assenza di creditori forti (soprattutto banche) che siano in grado di imporre
l’aumento del capitale nominale, gli strumenti più appetibili, in quanto privi di costi accessori
(anche fiscali) e agevolmente restituibili.
La lotta alla sottocapitalizzazione, come si è già accennato alla fine del precedente capitolo, non
può avvenire, da parte di un legislatore liberale, attraverso strumenti coercitivi diretti, imponendo il
rispetto di prefissati parametri astratti o, ancora peggio, controlli preventivi discrezionali da parte di
una qualsivoglia pubblica autorità.
Esso può avvenire soltanto indirettamente, rendendo preferibile per lo stesso socio finanziatore (in
presenza di una situazione patrimoniale che, per la finanza aziendale, richiederebbe tale tipo di
intervento) l’apporto a titolo di capitale rispetto ai due sistemi alternativi.
L’interpretazione dell’art. 2467 comma 2 c.c qui ipotizzata, tale da estendere la portata della norma
di cui al comma 1 a qualsiasi tipo di apporto fuori capitale, appare indispensabile per raggiungere
questo obiettivo (unitamente all’interpretazione del precetto di cui allo stesso art. 2467 comma 1,
come si vedrà nel successivo paragrafo) (11);
c) il finanziamento sia stato effettuato in una delle seguenti due circostanze, concernenti la sfera
giuridica della società e riferite alla situazione economico-finanziaria della medesima:
ca) quando “risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto”;
cb) quando esiste “una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un
conferimento”.
Tali due circostanze, la cui previsione attribuisce finalmente una rilevanza normativa espressa
all’annoso problema della sottocapitalizzazione della società, e la cui corretta applicazione attiene a
valutazioni proprie dell’aziendalista e non del giurista (12), presentano, come già accennato, un
11
) Non osta a tale interpretazione, evidentemente, il passo della Relazione ministeriale in cui si precisa, prudentemente,
che la soluzione accolta “è stata quella, comune alla maggior parte degli ordinamenti e sostanzialmente già affermata in
giurisprudenza, di una postergazione dei relativi crediti rispetto a quelli degli altri creditori”.
12
) Appare pertanto imprecisa, o generica, l’affermazione, ricorrente in sede di primi commenti alla riforma (cfr., per
tutti, D. SANTOSUOSSO, La riforme del diritto societario, Milano, p.2003, p. 201), secondo cui sarà compito della
7
denominatore comune, a sua volta direttamente riconducibile alla ratio della norma in commento:
se è vero che, per definizione, nell’uno e nell’altro caso la società non è in grado di attingere a
finanziamenti utilizzando gli ordinari canali bancari e finanziari, deve essere altresì vero che il socio
è indotto ad eseguire il finanziamento stesso proprio in considerazione di tale propria veste e dei
vantaggi che, sempre in tale veste, gli possono in futuro derivare.
Per valutare la ricorrenza, nel caso di specie, di una delle due indicate circostanze, e quindi del
presupposto in oggetto ai fini dell’applicazione della norma, l’interprete deve tenere conto, per
espressa previsione dettata in tal senso da parte del legislatore, “del tipo di attività esercitata dalla
società”.
4.3. La disciplina speciale applicabile in tema di rimborso.
La disciplina prevista dall’art. 2467 comma 1 c.c., a sua volta, consta di due autonomi precetti:
a) in ogni caso, “il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato alla
soddisfazione degli altri creditori”.
Sia l’influenza del modello tedesco (13), sia lo stesso termine “postergazione” utilizzato dal
legislatore italiano (14) inducono in prima istanza a ritenere che il precetto anzidetto operi
esclusivamente all’interno di una procedura concorsuale, e abbia quindi come unici destinatari, non
i soci e gli amministratori della società, bensì gli organi della procedura stessa (15).
Tuttavia, meglio riflettendo sull’utilizzazione del termine “postergazione” da parte del legislatore,
non può non trascurarsi una duplice osservazione, a sua volta desumibile dal confronto con il testo
utilizzato dal legislatore tedesco: mentre il legislatore d’oltralpe si è preoccupato di chiarire
espressamente che il precetto che stava dettando era diretto esclusivamente al caso di concorso in
sede di procedura di insolvenza, il legislatore italiano, che pure ha tenuto ben presente il modello,
ha ritenuto di omettere tale precisazione.
Ne consegue che la mancanza di ogni richiamo, nel nuovo testo dell’art. 2467 comma 1 c.c.,
all’applicabilità della norma esclusivamente in sede di procedura concorsuale assume, ai fini
dell’individuazione dell’ambito del precetto legislativo, un significato più incisivo della mera
utilizzazione del termine “postergazione”, la cui esclusiva applicabilità in sede processuale è una
consuetudine e non una necessità giuridica, e non appare comunque tale da pregiudicare
quell’interpretazione della norma meglio idonea a garantire una piena affermazione della ratio ad
essa sottesa.
Alla luce di tali considerazioni, diviene allora importante evidenziare come il precetto ora al vaglio
risulti applicabile indipendentemente dall’assoggettamento della società a fallimento o ad altra
procedura concorsuale o comunque esecutiva, e come lo stesso, conseguentemente, vincoli anche i
soci e gli amministratori di una società in bonis, sotto pena di una loro responsabilità ex art. 2476
c.c. nuovo testo (16).
giurisprudenza definire i contorni della nuova norma, dal momento che tale compito la stessa giurisprudenza dovrà
rimetterlo, attraverso consulenze tecniche d’ufficio, ai cultori della finanza aziendale.
13
) Il già citato § 32° GmbHG precisa espressamente che il diritto al rimborso soffre limitazioni im Insolvenzverfahren
(ovvero, in sede di procedura di insolvenza), e che, in tale procedura, il socio creditore può soddisfarsi sul patrimonio
sociale soltanto come “nachrangiger Insolvenzglaeubiger” (creditore concorsuale postergato).
14
) L’espressione postergazione, alla luce dell’utilizzazione che di essa è stata finora fatta nei testi legislativi, si
connota, tecnicamente, in un’ottica processualistica, presupponendo che, nell’ambito di una procedura esecutiva
individuale o concorsuale, vi sia il concorso tra più soggetti aventi diritto di partecipare al riparto e taluno di essi possa
essere soddisfatto solo successivamente agli altri.
15
) In tale senso anche E. FAZZUTI, Commento…, cit., p. 50, che però, opportunamente, ha cura di precisare che, non
subordinando il legislatore l’applicazione della norma all’apertura di una procedura concorsuale, deve ammettersi, in
astratto, che la stessa trovi applicazione anche in sede di un’eventuale procedura esecutiva individuale.
16
) Pure non prendendo posizione sul punto, sembra aderire alla lettura “sostanzialistica” (e non “processualistica”)
dell’art. 2467 comma 1 c.c. qui proposta A. GAMBINO, Spunti di riflessione sulla riforma: l’autonomia societaria e la
risposta legislativa alle esigenze di finanziamento dell’impresa, in Giur. comm., 2002, I, p. 653, nella parte in cui
afferma che “poiché in tal modo il debito societario diviene sostanzialmente parte del patrimonio netto sul modello dei
8
Il divieto desumibile dall’utilizzazione, da parte del legislatore, del termine postergazione non deve
tuttavia considerarsi assoluto, essendo legittimo, pure in presenza di finanziamenti eseguiti in
presenza i tutti i presupposti di cui all’art. 2467 comma 2 c.c., che si proceda comunque al rimborso
una volta che tutti gli altri creditori sociali (non postergati) siano stati soddisfatti o adeguatamente
garantiti.
A tale riguardo sembra che l’interprete possa attingere alla normativa dettata dal legislatore
relativamente alla possibilità di effettuare operazioni di fusione e di scissione prima del termine
concesso ai creditori per opporsi (art. 2503 c.c., richiamato per la scissione dall’art. 2506-ter comma
5 c.c.), ove la possibilità di procedere è subordinata alla circostanza che:
- consti il consenso dei creditori (nel caso di specie, occorrerà il consenso da parte di tutti i
creditori in essere al momento del rimborso del finanziamento “postergato”, coinvolgendo
anche il singolo creditore postergato con riferimento al rimborso degli altri);
- consti il pagamento dei creditori che non hanno dato il loro consenso;
- consti il deposito delle somme corrispondenti al credito dei creditori che non hanno prestato
il proprio consenso presso banca (ritenendosi che al deposito bancario, secondo una prassi
ormai accolta in sede di interpretazione del citato art. 2503 c.c.) possa essere equiparato il
rilascio di fideiussione bancaria a prima richiesta e senza eccezioni.
Il riferimento alla normativa dettata in tema di operazioni straordinarie di fusione e di scissione
appare infatti preferibile rispetto al riferimento alla diversa normativa prevista in materia di
riduzione del capitale mediante rimborso ai soci in caso di avvenuta opposizione da parte dei
creditori (art. 2445 comma 4 c.c. per la s.p.a. ed art. 2482 comma 3 c.c. per la s.r.l.), in quanto in
quest’ultima ipotesi il legislatore, ammettendo il rimborso a favore dei soci solo previo intervento
del tribunale, presuppone che il creditore si sia precedentemente attivato attraverso l’atto giudiziale
dell’opposizione, e risulta pertanto inapplicabile all’ipotesi al vaglio, di stampo chiaramente
stragiudiziale.
Tornando al precetto posto dall’art. 2467 comma 1 c.c., deve essere sottolineato, inoltre, trattandosi
di questione che può comportare conseguenze operative rilevanti, come, stando al tenore letterale
della legge, violi la norma in oggetto, e sia conseguentemente responsabile, nei precisi termini posti
dal nuovo art. 2476 c.c. comma 6, anche l’amministratore che ha restituito il finanziamento
(eseguito a suo tempo da un socio in presenza dei presupposti indicati dal secondo comma dell’art.
in esame, anche laddove lo stesso, secondo la conclusione che si è ritenuto di accogliere sopra, sia
avvenuto tramite versamento in conto capitale) nell’ipotesi in cui la società, nel momento della
restituzione, abbia riacquistato il proprio equilibrio finanziario e sia quindi in condizione, in quel
momento, di attingere ai normali canali di erogazione del credito.
La funzione della norma, infatti, è anche (e, in definitiva, soprattutto) quella di prevenire
efficacemente, dettando precetti applicabili a prescindere dalla successiva instaurazione di una
procedura concorsuale o esecutiva, l’effettuazione stessa dei finanziamenti da parte dei soci nelle
circostanze di cui al secondo comma dell’articolo in commento;
b) se eseguito nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento, il rimborso del finanziamento a
suo tempo eseguito in presenza dei presupposti indicati nel secondo comma deve essere restituito.
Ai fini dell’applicazione di questo secondo precetto, occorre, dunque, che la società sia stata
dichiarata fallita. Trattandosi di norma eccezionale, non sembra possibile, nel silenzio della legge,
applicare la norma in oggetto a procedure concorsuali diverse dal fallimento.
Per quanto concerne il termine di un anno stabilito dal legislatore, devono applicarsi le regole
ordinarie per il computo dei termini, dovendosi il termine anno interpretare alla lettera, senza alcuna
possibilità di confonderlo con l’esercizio sociale.
L’espressione “il rimborso…deve essere restituito”, forse non ineccepibile sul piano della
formulazione linguistica, esprime comunque chiaramente la volontà del legislatore di rendere
automaticamente inefficaci nei confronti della proceduta fallimentare i relativi spostamenti di
prestiti subordinati bancari, esso tenderà a porsi come volano per nuovi finanziamenti di terzi innescando per l’impresa
un percorso finanziario virtuoso”.
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risorse dalla società al socio, sia nell’ipotesi in cui il rimborso costituisca adempimento di un debito
sociale, sia nelle ipotesi in cui il rimborso costituisca la semplice distribuzione al socio di apporti
eseguiti fuori capitale (17).
Per effetto della norma al vaglio, il curatore fallimentare diverrà in via automatica, senza necessità
di alcuna dichiarazione giudiziale, creditore del socio (o ex socio) rimborsato e potrà quindi
richiedere al medesimo, anche coattivamente, l’adempimento della prestazione di restituzione di cui
egli abbia beneficiato nel periodo sospetto, ponendo in essere ogni attività cautelare e conservativa
eventualmente opportuna.
Tornando al precetto di cui all’art. 2467 comma 1 in generale, deve rilevarsi che, al di fuori delle
due prescrizioni testuali sopra analizzate (e quindi al di fuori di ogni ipotesi di rimborso), non
sembra che siano ipotizzabili altre conseguenze a carico del socio finanziatore, dal momento che,
come si è già accennato, la norma non autorizza alcuna riqualificazione dell’operazione di
finanziamento rispetto alle regole desumibili dal diritto comune.
Ne deriva che non potrebbe negarsi l’applicabilità, nell’ipotesi in cui il socio finanziatore fosse
qualificabile come creditore della società, alla luce del rilevato divieto di rimborso (da leggersi in
senso sostanziale e non meramente processuale), di tutte le norme previste dallo stesso diritto
comune a tutela della posizione creditoria, dall’azione revocatoria alla decadenza della società dal
beneficio del termine, non apparendo congruo che tali rimedi siano sottratti ad un soggetto che, per
quanto postergato agli altri creditori, resta comunque a pieno titolo, a sua volta, creditore della
società.
Ne deriva, ancora, che, trattandosi di eseguire una riduzione del capitale sociale per perdite, anche i
versamenti in conto capitale e le altre poste del netto patrimoniale che siano state eventualmente
costituite in presenza dei presupposti previsti dall’art. 2467 comma 2 dovranno essere utilizzate
secondo le normali regole in materia al fine dell’individuazione dell’entità della perdita destinata ad
incidere sul capitale sociale.
4.4. Applicabilità ai finanziamenti eseguiti nel regime transitorio
Dal punto di vista dell’applicazione della norma in oggetto nel tempo, è necessario precisare come
la stessa (che rende rilevante il solo momento del rimborso e non anche quello di esecuzione del
finanziamento), stando al tenore letterale dell’art. 2467 c.c., trovi applicazione unicamente a partire
dal giorno 1 gennaio 2004, ma in relazione non solo a tutti i finanziamenti eseguiti a partire da tale
data, ma anche a tutti i rimborsi eseguiti, a partire da tale data, da parte di una società che, nel
momento in cui il finanziamento fu effettuato, anche se anteriormente all’entrata in vigore della
legge, o addirittura alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, si trovava in una delle
circostanze previste dal secondo comma.
Tale conclusione, d’altra parte, non rende retroattiva la norma, né pregiudica la posizione di quei
soci che hanno a suo tempo eseguito il finanziamento, nelle condizioni indicate dal secondo comma
dell’art. 2467 c.c. . Infatti, l’assenza, a suo tempo, di qualsiasi espressa norma legislativa che
penalizzasse il rimborso successivo di siffatto finanziamento non implica necessariamente che, in
presenza della situazione di cui all’art. 2467 comma 2 nuovo testo c.c. e della connessa patologia
nell’ottica della finanza aziendale, l’operazione dovesse considerarsi, in un’ottica giuridica, priva di
ogni possibile conseguenza pregiudizievole per il socio finanziatore.
4.5. Considerazioni finali
Se si accolgono le considerazioni complessivamente delineate nel presente paragrafo, e, in
particolare, si accetta da un lato che la norma si applichi ad ogni operazione di finanziamento in
senso puramente aziendalistico, ivi inclusi i versamenti in conto capitale, e dall’altro che il precetto
che vieta il rimborso dei finanziamenti imponga a soci ed amministratori di astenersi dal rimborso a
prescindere dall’apertura di ogni procedura concorsuale, si deve necessariamente concludere non
17
) Si deve segnalare la posizione di E. FAZZUTI, Commento…, cit., p. 50, secondo cui, laddove i soci abbiano
proceduto, nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, come spesso succede, a continui prelevamenti e
versamenti, “sembra iniquo, prima ancora che contrario alla ratio della norma, pretendere la restituzione senza tener
conto di quanto versato dal socio nello stesso periodo”.
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solo che il nuovo art. 2467 c.c. costituisce una delle norme più importanti dell’intero diritto
societario, ma anche che tale norma, pure traendo spunto da scelte precedentemente effettuate dal
legislatore tedesco, costituisce una risposta tipicamente italiana al problema dell’abuso della
posizione di socio in danno degli altri creditori e, più in generale, della sottocapitalizzazione della
società.
In tale ottica, conseguentemente, non devono stupire le differenze che sussistono tra la norma
italiana e quella tedesca, come, per esempio, l’inesistenza, in Italia (18), di ogni eccezione che renda
inapplicabile la norma stessa nel caso in cui il socio, nel momento in cui esegue il finanziamento a
favore della società, sia titolare di una percentuale del capitale non superiore al dieci per cento e non
rivesta la qualifica di amministratore, oppure nel caso in cui il socio esegua il finanziamento in una
situazione di crisi dell’impresa al dichiarato scopo di consentire il superamento di tale crisi, dal
momento che tali eccezioni possono essere giustificate alla luce dell’obiettivo specifico di non
pregiudicare i creditori sociali attraverso operazioni di finanziamento giustificabili uti socius (fatto
proprio dal legislatore tedesco), ma non anche alla luce del più ampio obiettivo di favorire
l’adeguata capitalizzazione anche formale della società (fatto proprio, in ipotesi, dall’ordinamento
italiano).
La peculiarità della soluzione italiana può destare infine qualche perplessità, in prima impressione,
sul piano della scelta di politica del diritto, laddove si accetti il principio di concorrenza tra gli
ordinamenti e si ammetta, come dato di fatto, la ricerca, da parte degli imprenditori, di quegli
ordinamenti che adottano le norme più idonee a tutelare i propri interessi.
La giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee, in particolare, ritiene conforme
al trattato e alle norme comunitarie, la scelta di un ordinamento straniero anche da parte di quegli
imprenditori che intendono operare esclusivamente all’interno dell’ordinamento di cui sono
cittadini (19).
Ora, la presenza nell’ordinamento italiano del nuovo precetto di cui all’art. 2467 c.c., soprattutto
ove lo stesso venga interpretato nel senso rigoroso qui proposto, potrebbe determinare una fuga sia
dal tipo della s.r.l., sia, più radicalmente, dall’ordinamento italiano.
Tuttavia tale considerazione, al di là dell’ovvio auspicio che si addivenga quanto prima alla
formazione di un diritto societario uniforme a livello comunitario, almeno per quanto riguarda gli
istituti posti a tutela di interessi di soggetti esterni rispetto ai soci, ed in particolare dei creditori
sociali, prova troppo, dal momento che l’adesione assoluta a tale prospettiva, dovrebbe, per
conseguenzialità, portare ad escludere, in contrasto con la tradizione di tutti gli ordinamenti europei
continentali e con le stesse scelte di fondo del legislatore italiano della riforma, ogni scelta interna
imperativa che non si fondi su vincoli comunitari (con la conseguenza che per le s.r.l. non dovrebbe
essere prevista alcuna norma imperativa in tema di capitale sociale, trattandosi di tipo sociale al
quale non si applica la seconda direttiva comunitaria).
In particolare, per quanto riguarda la prospettata fuga dal tipo, deve rilevarsi come la questione, per
l’imprenditore interessato, si ponga in ogni caso in termini globali, dal momento che, da un lato, la
scelta di un tipo azionario potrebbe essere determinata anche da altre norme dettate per la s.r.l.
diverse da quella ora al vaglio (si pensi, per es., al nuovo art. 2476 comma 7 c.c. che prevede una
responsabilità direttamente in capo al socio), dall’altro lato non deve trascurarsi l’esistenza, proprio
nelle società azionarie, di norme imperative poste a tutela dell’organizzazione corporativa, la cui
presenza può di per sé costituire, per la complessità ed i costi di gestione che ne derivano, un
deterrente significativo nei confronti dell’adozione del tipo stesso.
Per quanto concerne invece la paventata fuga dall’ordinamento, deve rilevarsi come la scelta di
costituire la società all’estero e di assoggettare la stessa alla normativa di un ordinamento straniero,
18
) A differenza di quanto accade in Germania a seguito dell’introduzione, nel 1998, di un terzo paragrafo nel citrato §
32a GmbHG che ha previsto le due eccezioni di cui al testo.
19
) Ci si riferisce, in particolare, al noto caso Centros Ltd. (Corte di Giustizia CE, 9 marzo 1999, n. 212, in Giur.comm.,
2000, II, p. 553 ss. con nota di Mucciarelli) e la più recente caso Uberseering Bv. (Corte di Giustizia CE, 5 novembre
2002, n. 208, in Giust.civ., 2002, I, 3015, e in corso di pubblicazione su Notariato, 5/2003, con nota di Licini).
11
in ipotesi più morbido nell’individuazione delle norme imperative poste a tutela degli interessi dei
terzi, non sia, a prescindere dalla distanza geografica del confine di Stato, priva di controindicazioni
di altro tipo, soprattutto per quanto riguarda la conoscenza della legge straniera applicabile ed i costi
di transazione (e di gestione) che tale scelta comporterebbe di per sé per l’imprenditore, con la
conseguenza che, soprattutto per le imprese medio-piccole, naturale riferimento del tipo s.r.l., il
desiderio di sottrarsi all’art. 2467 c.c. difficilmente costituirà di per sé una sufficiente ragione per
addivenire all’esterovestizione (del resto, nell’esperienza europea, risultano ancora marginali le
situazioni in cui, in assenza di criteri di collegamento con lo stato estero e a parità di trattamento
fiscale, si sceglie un ordinamento straniero solo perché la relativa normativa societaria presenta un
minore tasso di imperatività).
Anzi, proprio la considerazione da ultimo fatta può spiegare e rendere apprezzabile la scelta
compiuta dal legislatore italiano della riforma di non estendere alle società azionarie, in attesa di
una normativa uniforme a livello europeo, il nuovo precetto di cui all’art. 2467 c.c., dal momento
che le imprese medio-grandi, naturale riferimento del tipo s.p.a., potrebbero, molto più di quanto
accada per le s.r.l., trovare interesse a sfuggire al rigore della norma attraverso una fuga
dall’ordinamento italiano (20).
5. LA NUOVA NORMATIVA IN MATERIA DI EMISSIONE DI TITOLI DI DEBITO.
5.1. Considerazioni generali
A seguito della riforma del diritto societario, il legislatore, nell’art. 2468 comma 1 c.c., ha ritenuto
di stabilire espressamente che “le partecipazioni dei soci …non possono costituire oggetto di
sollecitazione all’investimento”.
La previsione normativa, in sé valutabile con favore in quanto recettiva di un insegnamento ormai
consolidato nella prassi e nella dottrina occupatasi della s.r.l. prima della riforma (21), appare invece
fonte di possibili equivoci dal punto di vista sistematico.
Ciò, principalmente, per due ragioni:
a) la presenza della nuova norma in tema di s.r.l. rende più difficile argomentare la stessa
conclusione, fino ad oggi, a sua volta, pressochè pacifica, per le società personali, a meno di
volere giustificare un intervento ad hoc in tema di s.r.l. sulla base dell’appartenenza di
quest’ultima ai tipi capitalistici, nel presupposto che solo per questi ultimi sia prospettabile un
dubbio in tal senso, divenendo la sollecitazione stessa parte integrante dello statuto della
personalità giuridica;
b) la presenza della nuova norma, di per sé, non consentirebbe di escludere con la stessa
perentorietà che la nuova s.r.l. possa sollecitare l’investimento attraverso l’emissione di
strumenti finanziari di debito oppure “atipici”, ovvero di titoli diversi dai titoli partecipativi.
In realtà, in merito a questo secondo problema, il legislatore della riforma ha inteso dare una
soluzione specifica attraverso l’emanazione dell’art. 2483 nuovo testo c.c., collocato
sistematicamente all’ultimo posto tra gli articoli dettati a proposito della nuova s.r.l. .
Infatti, a differenza di quanto accade per la sollecitazione all’investimento attraverso l’emissione di
titoli partecipativi, dove il divieto assume carattere perentorio ed assoluto, il divieto di
sollecitazione all’investimento attraverso l’emissione di titoli di debito (da interpretarsi
estensivamente, in contrapposizione ai titoli partecipativi, e quindi comprensiva di qualsiasi
strumento finanziario “atipico”, purchè “non partecipativo”) non assume il medesimo carattere, dal
20
) Il rilievo non esclude che si ritenga applicabile anche alla società azionarie, alla stregua di un principio generale ed
in funzione della tutela degli altri creditori sociali, secondo quanto ipotizzato dalla stessa Relazione ministeriale, la
postergazione (di tipo processuale, e non sostanziale) di quei soci che hanno eseguito a favore della società dei
finanziamenti (in senso giuridico) in presenza dei presupposti distorsivi di cui all’art. 2467 comma 2 novo testo c.c. .
21
) Cfr. A. PAVONE LA ROSA, Titoli “atipici” e libertà di emissione nell’ambito delle strutture organizzative della
grande impresa, in Riv.soc., 1982, p. 705; G. NICCOLINI, Il prestito obbligazionario delle società per azioni, in Riv.
dir.comm., 1988, I, p. 472 ss.; G. ZANARONE, La società a responsabilità limitata come “tipo” normativo, in Tratt. di
dir. comm. e dir. pubbl. dell’economia diretto da F. Galgano, VIII, Padova, 1985, p. 50 ss. .
12
momento che il nuovo art. 2483 c.c. consente l’emissione di tali titoli, anche mediante
sollecitazione all’investimento, purchè l’atto costituivo lo preveda, stabilendo competenza, limiti e
modalità della relativa deliberazione (comma 1), e, soprattutto, purchè tali titoli siano sottoscritti da
“investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali” (comma 2).
Prima di entrare nel merito del significato della nuova previsione e delle principali questioni
sollevate dalla disciplina positiva dettata, conviene tuttavia rendere due precisazioni:
- la nozione di sollecitazione all’investimento coincide con la definizione normativa contenuta
nell’art. 1 comma 1 T.U.F. (c.d. legge Draghi), secondo cui deve intendersi per tale “ogni
offerta, invito a offrire, messaggio promozionale, in qualsiasi forma rivolti al pubblico,
finalizzati alla vendita o alla sottoscrizione di prodotti finanziari”, e la relativa disciplina
primaria, ovvero mediante norme di rango legislativo, trovasi contenuta negli artt. 94 ss. stesso
T.U.F.;
- l’emissione di titoli di debito, pure dovendosi prendere atto senza esitazioni che il titolo di
debito è una specie del genere strumento finanziario, non presuppone necessariamente una
sollecitazione all’investimento ai sensi della citata normativa.
Ne consegue, pertanto, che il nuovo art. 2483 c.c., se da un lato legittima la s.r.l. ad emettere titoli di
debito destinati ad essere sottoscritti da investitori professionali (conformemente alla prescrizione
contenuta nell’art. 100 comma 1 lett. a) T.U.F., secondo cui le disposizioni di cui agli artt. 94 ss.
non si applicano alle sollecitazioni all’investimento rivolte a tali soggetti), dall’altro presenta
portata più ampia, in quanto legittima la s.r.l. ad emettere titoli di debito, nel rispetto delle
condizioni previste dalla norma, anche senza che vi sia sollecitazione all’investimento ai sensi della
citata normativa (ad es., perché i relativi strumenti finanziari, per espressa disposizione dell’atto di
emissione, sono riservati, anche in sede di futura circolazione, agli attuali soci).
Il nuovo art. 2483 c.c. invece, ancora insistendo sui rapporti non coincidenti tra le due nozioni di
sollecitazione all’investimento e di emissione di titoli di debito, non è idoneo, pure non essendo la
formulazione della normativa delegata sufficientemente univoca per giustificare in maniera
inoppugnabile tale restrittiva conclusione, a rendere legittima, a condizione che i titoli di debito
emessi siano sottoscritti da investitori professionali, una sollecitazione all’investimento direttamente
da parte della s.r.l. emittente, anziché da parte degli investitori professionali sottoscrittori.
Quest’ultima conclusione, invero, si ricava agevolmente dalla formulazione della legge delega sul
punto, dal momento che in tale sede si ha cura di precisare che l’emissione di titoli di debito dovrà
comunque prevedere “il divieto di appello diretto del pubblico risparmio”.
Ne consegue, pertanto, che quelle attività idonee a costituire sollecitazione all’investimento ai sensi
della riportata definizione del T.U.F. (es. messaggi promozionali) non potranno in alcun caso essere
posti in essere da una s.r.l., neppure fondandosi sulla prescrizione di cui all’art. 2483 c.c. al vaglio e
confidando sulla sottoscrizione del titolo da parte dell’investitore professionale (e della connessa
responsabilità a suo carico).
Con la conseguenza, a sua volta, che alla s.r.l. emittente tali strumenti finanziari non si
applicheranno le prescrizioni previste dalla legislazione bancaria e in tema di intermediari finanziari
(22).
5.2. Emissione di titoli di debito ed obbligazioni.
Se la nozione di titolo di debito costituisce una specie del genere strumento finanziario, la nozione
di obbligazione di cui agli artt. 2410 ss. c.c. costituisce una sottospecie della precedente.
Con la nuova previsione dell’art. 2483 c.c., dunque, il legislatore ha inteso superare il precetto
contenuto nel precedente art. 2486 comma 3 c.c., secondo cui “alla società a responsabilità limitata
non è consentita l’emissione di obbligazioni”.
Conviene quindi sottolineare come l’emissione di titoli di debito, con i limiti posti dalla nuova
normativa, costituisca uno strumento che, relativamente alla nuova s.r.l., accentua i tratti
capitalistici dell’istituto rispetto alla precedente, pure in presenza di un tipo caratterizzato in linea
22
) In tale senso, P. SPADA, L’emissione di titoli di debito nelle s.r.l., Atti del Convegno di studi organizzato a Milano
dalla società Paradigma in data 17 e 18 marzo 2003.
13
generale da tratti più spiccatamente personalistici rispetto a quanto accadeva per la s.r.l. prima della
riforma, a conferma della circostanza che il principale profilo del nuovo tipo sociale di cui agli artt.
2462 ss. c.c. non è tanto il carattere personalistico, quanto la flessibilità e la polifunzionalità (23).
Invero, l’art. 2483 c.c. non si limita a prevedere la possibilità di emettere obbligazioni secondo lo
schema tipologico di tali titoli nelle società azionarie, riconoscendo all’autonomia privata, sulla
falsariga di una tendenza generale che ha trovato nella nuovo disciplina degli strumenti finanziari a
disposizione delle società azionarie e delle società cooperative la propria espressione più evidente,
la facoltà di emettere qualsiasi tipo di titolo di debito, quand’anche le relative caratteristiche si
discostassero da quelle proprie dei titoli obbligazionari (per es., prevedendo l’emissione di un unico
titolo di debito, privo del carattere della serialità, oppure di più titoli che non siano destinati ad
essere incorporati in titoli di credito ex artt. 1992 ss. c.c.).
L’unico limite, desumibile dalla stessa nozione di titolo di debito (oltre che dal divieto specifico di
cui all’art. 2468 comma 1 nuovo testo c.c.), concerne l’inesistenza in capo al sottoscrittore di
qualsiasi diritto di partecipare all’attività sociale (anche eventuale a seguito, per es., dell’esercizio di
diritti di conversione o di warrant), ritenuto incompatibile con il principio cardine della legge
delega della centralità della figura del socio e dei rapporti contrattuali tra soci; quella distinzione tra
socio azionista e terzo obbligazionista che connotava in maniera netta la s.p.a. del codice del 1942 e
che si è progressivamente attenuata nei successivi sviluppi storici dello stesso tipo azionario, fino a
scomparire quasi completamente con la riforma, resta, grazie alla limitazione ora in esame, centrale
nella disciplina della s.r.l. .
Sul piano dell’interesse tutelato, al legislatore è parso opportuno rimuovere un limite tipologico
concernente la possibilità stessa per la s.r.l. di finanziarsi attraverso capitale di debito (in senso
aziendalisitico) rappresentato da strumenti finanziari destinati al pubblico dei risparmiatori allo
scopo di offrire alle società interessate ed al sistema degli investitori professionali un ulteriore
strumento di raccolta del pubblico risparmio, ritagliato su misura sulle caratteristiche e sulle
prospettive di realtà imprenditoriali normalmente circoscritte e a dimensione locale.
In tale ottica, l’auspicio del legislatore è di consentire attraverso questo istituto, utilizzando il
sistema degli intermediari professionali ed inducendo questi a scommettere sul buon esito della
specifica iniziativa di una società nota sul territorio, di favorire mirati investimenti produttivi, anche
al fine di potere garantire in tale modo ai risparmiatori interessati, ferma la garanzia offerta dalla
responsabilità del sottoscrittore, strumenti finanziari economicamente appetibili e più vicini alla
realtà imprenditoriale locale (circostanza, quest’ultima, rilevante soprattutto laddove la performance
del titolo sia in tutto o in parte commisurata a parametri di rendimento aziendale) (24).
Normalmente, quindi, il finanziamento attraverso l’emissione di titoli di debito dovrebbe assumere
le caratteristiche del finanziamento di scopo.
Non c’è dubbio, comunque sia, che le fortune dell’istituto, difficilmente ipotizzabili a breve termine
alla luce della mentalità oggi diffusa tra gli operatori italiani, dipenderanno in larga parte dalla
capacità e dallo spirito di iniziativa dei soggetti coinvolti.
5.3. Emissione di titoli di debito e tutela del risparmiatore.
Il cardine del nuovo istituto, dal punto di vista della disciplina, è contenuto nei precetti dettati
dall’art. 2483 comma 2 c.c., secondo cui tali titoli “possono essere sottoscritti soltanto da investitori
professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali” e “in caso di successiva
circolazione dei titoli di debito, chi li trasferisce risponde della solvenza della società nei confronti
degli acquirenti che non siano investitori professionali ovvero soci della società”.
La norma richiede alcune osservazioni sia dal punto di vista soggettivo, sia dal punto di vista
oggettivo.
23
) Per alcune considerazioni in tale senso, proprio relativamente alla nuova facoltà di emissione di titoli di debito, v. G.
ZANARONE, Introduzione alla nuova società a responsabilità limitata, in Riv.soc., 2003, p. 89.
24
) Cfr. A. GAMBINO, Spunti di riflessione…, cit., p. 642.
14
Dal primo punto di vista, secondo le osservazioni della dottrina che si è già occupata della norma
(25), occorre individuare correttamente il soggetto legittimato alla sottoscrizione dei titoli, nella
consapevolezza che l’espressione utilizzata costituisce la fusione di due espressioni impiegate
finora solo in maniera distinta da parte del legislatore (l’espressione “investitore professionale”, più
precisamente, si rinviene nell’art. 30 comma 2 T.U.F., che a sua volta rinvia, per la definizione, al
regolamento da emanarsi dalla Consob, sentita la Banca d’Italia; l’espressione “vigilanza
prudenziale”, invece, si rinviene, con riferimento alle banche e agli altri enti che esercitano attività
assicurativa o finanziaria, nell’art. 11 comma 4 lett. e) T.U.B.).
La normativa secondaria rilevante, in forza del cennato richiamo contenuto nell’art. 30 comma 2
T.U.F., è costituita dal regolamento Consob approvato con deliberazione 1 luglio 1998, n. 11522,
art. 31, in quanto richiamato dall’art. 28 del regolamento Consob approvato con deliberazione
11971 del 1999, a sua volta emanato per dare esecuzione alla norma di legge sopra richiamata.
Ne deriva che costituiscono soggetti legittimati alla sottoscrizione dei titoli di debito in oggetto:
a) le banche;
b) le società di investimento mobiliare;
c) le società di gestione del risparmio;
d) le SICAV;
e) i fondi pensione;
f) le imprese di assicurazione;
g) gli altri enti sottoposti a vigilanza prudenziale quali intermediari autorizzati.
Dal secondo punto di vista, definito oggettivo, giova precisare che la legge non si è limitata a
sancire la responsabilità del sottoscrittore per la solvenza della s.r.l. emittente (rectius: per
l’adempimento dei debiti della s.r.l. emittente), ma ha previsto in termini generali che la
responsabilità derivi dalla circolazione dei titoli successiva alla sottoscrizione, ponendo a carico del
cedente una responsabilità ex lege assimilabile, pure con alcune importanti differenze, come si
vedrà in seguito, a quella prevista dalle leggi cambiarie a carico del girante e sottratta all’autonomia
privata, in quanto operante in ogni caso di trasferimento a favore di soggetto diverso dall’investitore
professionale (come sopra definito) o dal socio della società emittente (dovendosi ritenere all’uopo
rilevante il momento del trasferimento, e non quello anteriore dell’emissione).
Il sistema delineato dal legislatore pare coerente, per quanto complesso: ciascun acquirente del
titolo di debito emesso da una s.r.l. potrà contare, se soggetto diverso da quelli contemplati nel
periodo finale dell’art. 2483 coma 2 c.c., sulla responsabilità ex lege non solo del proprio dante
causa, ma di tutti i precedenti danti causa, tra i quali l’investitore professionale originario
sottoscrittore.
La responsabilità di chi trasferisce il titolo di credito opera infatti non solo a beneficio del proprio
avente causa immediato, ma anche a beneficio degli eventuali futuri aventi causa mediati, sempre
che questi non rientrino in una delle due categorie eccettuate da tale beneficio.
Essa, per quanto concerne il proprio ambito, opera a prescindere dal valore del corrispettivo
percepito, e quindi a prescindere dal meccanismo stabilito in termini generali dall’art. 1267 c.c. per
ogni caso di cessione del credito con garanzia convenzionale della solvenza del debitore ceduto (che
individua come tetto della responsabilità del cedente quanto questi ha ricevuto), dal momento che
quest’ultima norma presuppone che il cedente sia responsabile nei confronti del solo cessionario
immediato, e non anche dei successivi cessionari, e che l’interesse dell’investitore acquirente
tutelato dalla norma speciale, a garanzia del buon funzionamento del mercato di tali titoli, non può
non concernere nel suo complesso le obbligazioni a cui è tenuto l’emittente.
La responsabilità del soggetto che trasferisce il titolo di debito, inoltre, deve considerarsi, in
ossequio ai principi (cfr. art. 1291 c.c.) di tipo solidale con quella del debitore emittente, e non di
tipo sussidiario; ne deriva, ancora una volta, l’inapplicabilità dell’art. 1267 c.c., nella parte in cui
25
) Cfr. P. SPADA, op.cit.; v. anche M. STELLA RICHTERjr., op.cit., p. 194.
15
include nella responsabilità del cedente del credito gli interessi, le spese della cessione, le spese
sostenute dal cessionario per escutere il debitore ed il risarcimento del danno.
Tale responsabilità, che solo descrittivamente può essere definita come fideiussione ex lege, è
soggetta, per quanto non previsto dalla norma, alle regole generali in tema di responsabilità
contrattuale.
5.4. Competenza, limiti e modalità dell’emissione.
L’emissione di titoli di debito da parte di una s.r.l. presuppone, ai sensi dell’art. 2483 comma 1 c.c.,
che l’atto costitutivo preveda tale possibilità (26).
Tale previsione, in base ai principi, può derivare anche da una successiva modificazione dell’atto
costituivo, secondo le regole previste nel caso di specie per l’adozione di tale tipo di deliberazione.
La previsione in oggetto, per rendere concretamente possibile l’emissione, deve stabilire se la
relativa competenza spetti ai soci o agli amministratori, dal momento che il legislatore considera
perfettamente compatibile con il tipo sociale l’una e l’altra possibilità.
Giova sottolineare come, in entrambi i casi, non sia necessaria una deliberazione collegiale, potendo
l’atto costituivo rimettere anche tale specifica competenza ad una decisione dei soci (ex art. 2479
comma 3 c.c.) o degli amministratori (ex art. 2475 comma 4 c.c.) non collegiale, adottata mediante
consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto.
In ogni caso, l’eventuale clausola dell’atto costituivo attributiva della competenza agli
amministratori non esclude che la decisone sia avocata ai soci, senza necessità di alcuna modifica
dell’atto costitutivo stesso, ai sensi dell’art. 2479 comma 1 c.c. . Viceversa, in caso di competenza
attribuita ai soci, non sembra che questi possano delegare la decisone agli amministratori senza
provvedere preventivamente ad una modificazione dell’atto costitutivo sul punto.
La legge non prevede limiti di emissione dei titoli di debito, rimettendo la relativa decisione all’atto
costitutivo; anche in tale caso, però, la prescrizione dei limiti di emissione non è obbligatoria, dal
momento che la legge si limita a prevedere che la relativa previsione sia eventuale (art. 2483
comma 1 c.c.).
L’eventuale previsione di limiti di emissione in sede di atto costitutivo non è infatti funzionale ad
alcun interesse generale, essendo posta nell’interesse esclusivo dei soci. Conferma di tale
conclusione può ricavarsi, sul piano sistematico, dall’art. 2412 nuovo testo c.c. in tema di limiti
all’emissione di prestiti obbligazionari da parte delle società azionarie, dove il limite generale
stabilito dalla legge a tutela di interessi generali può essere superato “se le obbligazioni emesse in
eccedenza sono destinate alla sottoscrizione da parte di investitori professionali soggetti a vigilanza
prudenziale a norma elle leggi speciali” (utilizzando quindi un’espressione identica a quella
utilizzata dall’art. 2483 c.c. sopra commentata).
Ne deriva altresì che l’atto costituivo può fissare l’eventuale limite di emissione anche oltre la
soglia legale delle società azionarie per l’emissione di titoli obbligazionari.
L’art. 2483 c.c. prevede che l’atto costitutivo stabilisca altresì le modalità e le maggioranze
necessarie per la decisione, trattandosi, in entrambi i casi, di elementi indispensabili ai fini della
validità della clausola.
Per quanto riguarda le modalità, una volta ribadito che l’autonomia privata può configurare nel
modo più ampio l’emissione, senza necessità di vincolare l’operazione ad un mutuo sottostante (non
vi sono difficoltà, per esempio, ad immaginare che l’emissione del titolo di debito si riferisca ad una
preesistente posizione creditoria dell’investitore professionale sottoscrittore o anche di un terzo
26
) In dottrina, si ritiene che l’eventuale assenza di una clausola dell’atto costitutivo che preveda l’emissione in parola
determini nullità dell’intera operazione di emissione, senza che il terzo sottoscrittore possa invocare a propria tutela il
disposto dell’art. 2475-bis comma 2 c.c., che esclude l’opponibilità ai terzi che hanno contratto con il rappresentante di
s.r.l. delle eventuali limitazioni alla rappresentanza degli amministratori derivanti dall’atto costituivo o dall’atto di
nomina, dal momento che nel caso di specie si tratta di una vera e propria limitazione legale, sottratta pertanto
all’ambito applicativo della norma che fa salvo il diritto del terzo (così, P.SPADA, op.cit.; in senso conforme, pure senza
riferirsi espressamente al caso di specie, N. ABRIANI, Decisione dei soci. Amministrazione e controlli, in Diritto delle
società di capitali. Manuale breve, cit., p. 218).
16
estraneo nei confronti della società), sembra opportuno domandarsi se esistano limiti per quanto
concerne la legge di circolazione dei titoli emessi.
A tale specifico riguardo, appare senz’altro condivisibile l’opinione secondo cui la responsabilità
dell’alienante prevista dall’art. 2483 comma 2 c.c., inderogabile dall’autonomia privata in quanto
posta a tutela dell’interesse degli acquirenti dei titoli, è incompatibile con l’emissione di titoli al
portatore (27).
L’art. 2483 comma 3 stabilisce inoltre che la decisione di emissione dei titoli deve prevedere le
condizioni del prestito e le modalità del rimborso (non dovendo, peraltro, necessariamente ispirarsi
al modello rappresentato dai titoli obbligazionari di s.p.a.), mentre può (e non necessariamente
deve) prevedere che, previo consenso della maggioranza dei possessori dei titoli (posta dal
legislatore come un minimo inderogabile, e comunque da computarsi per capi, salvo previsione di
una diversa modalità, da considerare legittima, da parte della decisione stessa), la società possa
modificare tali condizioni e modalità (con decisone presa dallo stesso “organo” che deliberato
l’emissione, salva sempre la possibilità di un’avocazione da parte dei soci).
A differenza di quanto accade nel caso delle obbligazioni, la legge, per i titoli di debito di s.r.l., non
prevede alcuna forma obbligatoria di organizzazione tra i possessori dei titoli emessi, rimettendo
ogni eventuale scelta in tal senso all’atto costitutivo o, semplicemente, come si evince dalla norma
in commento, alla decisione di emissione (la quale potrà attingere alla normativa in materia di
obbligazioni, come pure creare un diverso meccanismo organizzativo sulla base delle proprie
esigenze).
Giova piuttosto sottolineare come, nel silenzio dell’atto costitutivo e della decisione di emissione
sul punto, la società non possa confidare su una successiva modificazione a maggioranza (dei
possessori dei titoli) delle regole dell’operazione, trovando piena applicazione le regole generali in
materia di modificazioni contrattuali, ammesse solo con il consenso di ciascuno dei paciscenti.
Comunque sia, anche nel caso dei titoli di debito, deve ritenersi che siano modificabili a
maggioranza dei possessori, in presenza dell’apposita clausola, soltanto quelle modalità che non
incidono sulla sostanza della posizione creditoria del possessore (tra le quali deve comprendersi il
rimborso dell’intero capitale, ma non necessariamente, almeno in assenza di operazioni eseguite con
emissione di titoli di massa e a differenza di quanto accade per gli obbligazionisti di s.p.a., la
permanenza dell’incorporazione del credito in un titolo avente le caratteristiche di cui agli artt. 1992
ss. c.c.) o sulla parità di trattamento tra gli stessi.
L’art. 2483 comma 3 c.c, infine, stabilisce che la decisione di emissione è iscritta a cura degli
amministratori presso il registro delle imprese.
La previsione specifica di una competenza degli amministratori, l’impossibilità di applicare
analogicamente le diverse prescrizioni all’uopo dettate in materia di obbligazioni di s.p.a. e, infine,
la garanzia offerta al terzo, sul piano patrimoniale, dalla responsabilità dell’investitore professionale
cedente inducono a ritenere superflua, pure nella consapevolezza che l’interesse dei terzi
richiederebbe comunque un preventivo filtro di legalità, ogni redazione notarile della relativa
decisione.
5.5. Emissione di titoli di debito e trasformazione della società.
Il nuovo art. 2483 c.c., pure con le limitazioni che si sono viste, è destinato ad affrancare la s.r.l. da
quella marginalizzazione finanziaria, frutto della scelta del legislatore del 1942 che aveva
decisamente indirizzato tale tipo sociale verso il finanziamento bancario, vietando sia
l’incorporazione delle partecipazioni sociali in azioni (art. 2472 comma 2 vecchio testo c.c.), sia
l’emissione di prestiti obbligazionari (art. 2486 comma 3 vecchio testo c.c.).
La stessa Relazione ministeriale, affermando che con l’art. 2483 nuovo testo c.c. “si è dettata sia dal
punto di vista soggettivo che oggettivo una soluzione analoga a quella prevista dall’articolo 2412,
comma secondo, per l’emissione di obbligazioni da parte di società per azioni”, testimonia
chiaramente tale avvenuta affrancazione.
27
) In tale senso, ancora, P. SPADA, op.cit. .
17
Ne consegue, pertanto, che, a seguito dell’entrata in vigore della riforma, non sembra più possibile
addurre alcun tipo di ostacolo per ammettere che anche una s.r.l. che ha emesso titoli di debito ex
art. 2483 c.c. si possa trasformare, in pendenza dell’emissione, non solo in società per azioni, ma
anche in società di persone o in un altro tipo organizzativo ammesso dalla legge, dal momento che
la tutela dei terzi finanziatori è garantita dalla responsabilità ex lege prevista dall’art. 2483 c.c. in
capo all’investitore professionale abilitato alla sottoscrizione, destinata a rimanere anche a seguito
dell’avvenuta trasformazione da parte della società emittente.
Anzi, la riforma introdotta con l’art. 2483 c.c. può assumere un significato sistematico più pregante,
consentendo:
- da un lato, di superare la tesi tradizionale dominante (28) che vietava alle stesse società azionarie
di trasformarsi in s.r.l. in pendenza del prestito obbligazionario stesso: alla luce della nuova
normativa introdotta per le s.r.l., infatti, sembra possibile concludere che anche quest’ultima
deliberazione di trasformazione è valida ed efficace tutte le volte in cui il rimborso delle
obbligazioni in circolazione al momento della deliberazione di trasformazione in s.r.l. sia
garantito mediante apposita fideiussione rilasciata da soggetto abilitato alla sottoscrizione ai
sensi dello stesso art. 2483 c.c.;
- dall’altro di ipotizzare che la s.r.l. che ha in corso un’emissione di titoli di debito possa usufruire
del nuovo istituto della c.d. trasformazione eterogenea di cui all’art. 2500-septies nuovo testo
c.c. (trasformazione eterogenea da società di capitali), dal momento che la tutela dei creditori
sociali, tra i quali i sottoscrittori e gli acquirenti dei titoli emessi, potranno in tale sede tutelare le
proprie ragioni attraverso l’istituto dell’opposizione di cui all’art. 2500-novies nuovo testo c.c.,
al pari di quanto avviene per tutti gli altri creditori i sociali.
5.6. Prime possibili applicazioni dell’istituto.
Una diffusione su larga scala dell’istituto presuppone, secondo quanto si è sopra ipotizzato, un
cambio di mentalità da parte delle imprese, delle banche e, in misura minore, degli stessi
risparmiatori, con la conseguenza che occorrerà mettere in preventivo un periodo di “rodaggio”
realisticamente non breve.
A prescindere da tale più o meno probabile evoluzione, tuttavia, sembra possibile indicare, in
aggiunta a quella prospettata nel precedente paragrafo e concernente la società per azioni che
intende trasformarsi in società a responsabilità limitata in pendenza di un prestito obbligazionario,
due ulteriori ipotesi in cui l’istituto di cui al nuovo art. 2483 c.c. può trovare applicazione senza
alcuna modificazione degli attuali percorsi finanziari, in base a ragioni di ordine esclusivamente
tecnico.
La prima ipotesi concerne l’eventualità che una società a responsabilità limitata voglia fruire di quei
vantaggi, soprattutto tributari e finanziari, che, specialmente alcuni anni addietro (in periodo di tassi
di interesse più elevati), avevano suggerito un ampio impiego, senza alcun ricorso al mercato, ma
circoscrivendo la sottoscrizione ai soli soci o familiari dei soci, del prestito obbligazionario ex artt.
2410 ss. c.c. .
Mentre fino ad oggi tutte le società che intendevano utilizzare l’istituto erano costrette, stante il
divieto assoluto di cui all’art. 2486 comma 3 vecchio testo c.c., a deliberare preventivamente la
propria trasformazione in s.p.a. o in s.a.p.a., oggi si può ipotizzare che l’operazione venga
compiuta, con la cautela in appresso evidenziata, conservando la veste di società a responsabilità
limitata.
La cautela che si raccomanda al fine di compiere tale operazione è costituita dalla previsione, in
sede di decisione di emissione dei titoli di debito (ed al limite già nella clausola dell’atto costitutivo
che prevede ex art. 2483 c.c. i limiti e le modalità dell’operazione: cfr. retro), che la sottoscrizione
ed il successivo acquisto dei titoli in oggetto potranno avvenire soltanto da parte di investitori
professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali oppure da soggetti che,
nel momento della sottoscrizione, siano soci della società. In tale modo né l’investitore
28
) Cfr., per tutte, Cass., 14 febbraio 1995, n. 1574, in Giur.it., 1995, I, 1 ss. .
18
professionale che, per legge, deve eseguire la sottoscrizione, né gli eventuali successivi investitori e
i successivi soci acquirenti dei titoli risponderanno in alcun modo, come stabilito dall’art. 2483
comma 2 c.c., della solvenza della società, con la conseguenza che l’operazione di sottoscrizione e
successiva immediata ricollocazione dei titoli presso i soci da parte dell’investitore sottoscrittore
potrà avvenire senza che i soci siano costretti, di fatto, a vincolare somme in garanzia e comunque a
sostenere oneri finanziari ulteriori rispetto al pagamento della semplice commissione per
l’investitore.
Il pagamento di quest’ultima commissione, peraltro, sarà normalmente ampiamente compensato
dalla possibilità di strutturare il prestito senza necessità, come si è visto, di fare ricorso alla c.d.
organizzazione degli obbligazionisti richiesta, per le s.p.a., dagli artt. 2415 ss. c.c. .
La seconda ipotesi che può suggerire un’immediata utilizzazione dell’istituto concerne, invece,
l’utilizzo dell’emissione dei titoli di debito quale strumento per rendere inapplicabile al
finanziamento eseguito dal socio in favore della società la disciplina restrittiva, ritenuta come si è
visto di natura sostanziale e non processuale, di cui all’art. 2467 comma 1 c.c.
Infatti, come si è visto, non può rientrare nella previsione (eccezionale) della norma, per difetto del
presupposto soggettivo, né il finanziamento eseguito da parte di una banca per conto del socio
(anche in caso di previa garanzia internamente rilasciata da quest’ultimo), né il finanziamento
eseguito attraverso la sottoscrizione dei titoli di debito da parte di un investitore istituzionale che
non riveste la qualifica di socio.
La conclusione, peraltro, non deve essere vista né come un aggiramento della norma stessa, né
come un varco idoneo ad attentare alla coerenza del sistema: nel caso di cui all’art. 2483 c.c., infatti,
la prevenzione del rischio di una eccessiva sottocapitalizzazione della società viene affidata non alla
norma generale di cui all’art. 2467 comma 1 c.c., bensì alla complessiva normativa che sovrintende
alla erogazione del credito da parte del sistema bancario e finanziario che, anche in vista della
prossima entrata in vigore delle norme contenute nell’accordo tra le banche centrali europee noto
con il nome di Basilea 2, deve considerare l’adeguatezza della capitalizzazione della società
beneficiaria tra i parametri rilevanti ai fini di selezionare i destinatari dell’operazione.
Se il titolo di debito, come deve essere, viene sottoscritto dall’investitore istituzionale, in altre
parole, si potrà agire ex ante, ovvero prevenire il rischio di sottocapitalizzazione grazie alle regole
operative bancarie e finanziarie, e non ci sarà bisogno di intervenire ex post attraverso
l’applicazione dell’art. 2467 c.c. .
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