Competenza testuale dell’italiano scritto e orale Queste dispense sulla Competenza testuale dell’italiano scritto ed orale hanno come scopo principale quello di fornire indicazioni, suggerimenti e strumenti utili per acquisire una migliore padronanza della scrittura e dell’espressione, parte importante dello scrivere. Occorre innanzitutto partire dalla consapevolezza della centralità della competenza linguistica per tutte le forme di comunicazione della vita privata e professionale: al di là di qualsiasi abilità specifica richiesta sapersi esprimere verbalmente, per iscritto od oralmente, in modo chiaro, corretto e consapevole significa essere di elaborare e comprendere “testi”. Chi si iscrive all’Università, qualunque sia il corso di laurea prescelto, deve essere ancor più consapevole dell’importanza di acquisire, oltre ai fondamenti della sua professionalità, anche la piena capacità di formulare e comprendere messaggi complessi. A conferma di ciò si pensi alla necessità di dover scrivere e discutere una tesi al termine di qualunque percorso universitario: la valutazione finale di ogni iter universitario dipende, infatti, anche dalla qualità di un testo che verrà preso in considerazione non solo per il suo rigore scientifico ma anche per la correttezza linguistica, l’efficacia argomentativa e la chiarezza espositiva. Il testo verbale e i suoi requisiti Una delle possibili definizioni di “testo” fa riferimento al significato etimologico del termine (che deriva dal participio passato latino textus con il significato di “tessuto, intrecciato”). Gli elementi che lo compongono, infatti, costituiscono un tessuto i cui fili per costituire un insieme organico devono essere intrecciati secondo determinati criteri. Il testo verbale – dal latino verbum ‘parola’ – è sia scritto che orale, potendosi realizzare attraverso parole scritte o pronunciate. Un testo – parlato o scritto, in versi o in prosa, sotto forma di dialogo o monologo – è innanzitutto un’unità comunicativa, cioè una produzione linguistica realizzata con l’intenzione di comunicare nella quale, quindi, devono essere individuabili un mittente e un destinatario. Per questo, quando ci esprimiamo, per iscritto od oralmente, dobbiamo ricorrere alle abilità specificamente necessarie che non si limitano alla correttezza ortografica e grammaticale o alla capacità di formulare frasi di senso compiuto, ma riguardano appunto l’abilità di produrre “testi”, ovvero messaggi adeguati al contesto in cui vengono prodotti e recepiti. Un testo è dunque un’unità comunicativa che realizza l’obiettivo di mettere in comune informazioni in una concreta situazione comunicativa: da tale definizione si evince che un testo è sia un’opera letteraria sia una semplice scritta che indichi la norma ‘vietato fumare’: entrambe le produzioni linguistiche sono infatti dotate di un contenuto comunicativo, ossia di uno o più significati più o meno complessi e in entrambe sono individuabili il mittente e i destinatari. Quindi è facile riconoscere un testo da un non-testo: ogni qualvolta non sia ravvisabile un mittente, un destinatario, uno o più contenuti comunicativi siamo in presenza di un non-testo. Sulla base di tali considerazioni si può affermare che non una qualunque sequenza di parole o frasi costituiscono un testo che, per essere considerato tale, deve possedere almeno sette requisiti: coesione, coerenza, informatività, intenzionalità, accettabilità, situazionalità e intertestualità. La coesione attiene alla forma, ossia al livello cosiddetto ‘superficiale’ del testo e può infatti essere definita il corretto collegamento formale tra le sue varie parti. Essa si riferisce non solo all’esattezza degli elementi grammaticali ma anche, ad esempio, all’uso appropriato dei coesivi, dei connettivi, dei procedimenti di rinvio, di richiamo o di anticipazione così come dei rapporti di coordinazione e di subordinazione. La coerenza riguarda il livello più ‘profondo’ del testo e può essere definita l’insieme delle connessioni logiche e semantiche che permettono di realizzare un testo che abbia una continuità tematica senza contenere al suo interno argomenti non ben ordinati, strutturati e collegati. Quando si parla di coerenza testuale se ne distinguono in realtà almeno tre tipi: logica, semantica e stilistica. Essa, infatti, oltre che a livello logico, si realizza anche a livello semantico quando riguarda la pertinente selezione dei vocaboli e a livello stilistico quando esiste uniformità di registro e sua conformità alla situazione comunicativa. Il testo è infatti un’unità comunicativa che, come tale, avviene tra un emittente e un destinatario che si trovano in una determinato contesto, la cui conoscenza da parte dell’emittente è fondamentale anche per la scelta del registro, ossia del ‘tipo’ di linguaggio che permetta di adeguare il messaggio a una situazione specifica e di realizzare, quindi, una forma di comunicazione appropriata. Esistendo in ogni lingua una grande quantità di termini, di modi di dire e di costruzioni linguistiche per esprimere uno stesso concetto, si possono individuare molteplici registri linguistici, ma per semplicità se ne indicano tre: informale, colloquiale o familiare; medio; formale. Saper padroneggiare la lingua significa essere in grado di usarla in modo adeguato in ogni circostanza, utilizzando il registro linguistico adatto ad ogni situazione comunicativa. Quando si parla di informatività ci si riferisce al fatto che la comunicazione ha successo quando le informazioni presupposte come note non includano alcune ignorate dal lettore e quelle proposte come nuove siano effettivamente non possedute precedentemente dal lettore. È a volte opportuno considerare l’informatività anche da un punto di vista ‘quantitativo’ cercando di essere né troppo sintetici, né troppo prolissi ed evitando, quindi, di produrre sia testi che contengano quasi nessuna nuova informazione, sia testi che ne contengano talmente tante e complesse da vanificare di fatto il successo della comunicazione. L’intenzionalità è quella proprietà che riguarda l’atteggiamento del mittente e la sua intenzione di comunicare qualcosa che possa essere recepito da uno o più destinatari in un determinato modo e con un preciso scopo. Occorre, infatti, che il mittente sappia con chiarezza che obiettivo vuole raggiungere conoscendo possibilmente i destinatari dei suoi messaggi. Con accettabilità ci si riferisce, invece, al destinatario, al suo atteggiamento, alle sue le sue intenzioni e alle sue aspettative. Il destinatario deve, cioè, riconoscere il testo come tale e di questo deve naturalmente tener conto il mittente cercando di essere chiaro ed efficace nella comunicazione. La situazionalità concerne l’ambito comunicativo nel quale il testo è prodotto che permette di chiarirne il senso escludendo altre interpretazioni e quindi eventuali ambiguità. Un testo, infatti, è tale solamente se realizzato all’interno di una situazione comunicativa, ovvero di un contesto condiviso da mittente e destinatario del quale il mittente deve tener conto per scegliere, ad esempio, l’uso di un registro più o meno formale e di uno stile adeguato. L’intertestualità riguarda la conoscenza di altri testi per un’efficace realizzazione ed utilizzazione di quello preso in considerazione. I testi, infatti, non sempre possono essere considerati autonomi ma di alcuni di essi è possibile chiarire i contenuti solo grazie alle relazioni che intercorrono con altri precedentemente prodotti. Ogni testo è, quindi, da considerare in rapporto ad altri e si inserisce in determinate tipologie sulle quali ci si soffermerà successivamente. Coesivi e connettivi testuali Due strumenti fondamentali in grado di garantire la coesione testuale sono i coesivi e i connettivi. I coesivi sono le varie modalità che permettono di richiamare nel testo un elemento già espresso consentendo di risalire ad esso correttamente. Oltre a forme grammaticali, come i pronomi – utilizzati sia nello scritto che nel parlato ma sicuramente maggiormente presenti nella lingua scritta, generalmente più controllata – altre possibilità si hanno attraverso le sostituzioni lessicali con sinonimi, iperonimi (termini che hanno un significato più ampio e generale rispetto ad altri, che ‘stanno sopra’ ad altre parole definendone la classe di appartenenza, ad esempio il termine fiore è iperonimo rispetto a margherita, rosa, tulipano, ecc.), con nomi di significato generico (usati frequentemente nell’orale), con espressioni riformulate, ecc. Affinché un testo abbia coesione occorre che le proposizioni che lo compongono siano adeguatamente ‘intrecciate’ attraverso relazioni coesive, che si distinguono in: - esoforiche, quando si riferiscono a elementi esterni al testo, es. La lezione successiva si terrà qui mercoledì prossimo alle 16. (l’avverbio ‘qui’ presuppone la conoscenza di un dato esterno al testo); - endoforiche, quando, invece, si riferiscono a elementi interni al testo stesso, es. Ho scritto a tua sorella. La incontrerò la prossima settimana. (il pronome ‘la’ rimanda a un referente presente nel testo). Le relazioni endoforiche si distinguono, a loro volta, in: - anaforiche, quando parte del testo richiama un elemento di cui si è parlato precedentemente (es. Ieri mi è stato regalato Il fu Mattia Pascal. Da tempo desideravo leggere il romanzo) - cataforiche, quando parte del testo rinvia a qualcosa di cui si parlerà successivamente (es. L’ho chiamato molte volte. Marco non mi ha mai risposto). Un testo scorrevole è quello in cui tali relazioni sono opportunamente dosate. I connettivi, che fanno parte della categoria più generale dei segnali discorsivi, garantiscono la coesione testuale assicurando i rapporti sintattici e logici tra le varie parti del testo. Pur tenendo conto che la terminologia utilizzata per descrivere i vari tipi di segnali discorsivi non è sempre uniforme, occorre evidenziare che essi svolgono almeno due funzioni principali: organizzare il testo secondo criteri delimitativi (formule di apertura e chiusura del discorso) attraverso i segnali di delimitazione o demarcativi e secondo criteri logico-narrativi (elementi di articolazione interna tra le varie parti) attraverso i connettivi. Con i termini ‘demarcativo’ e ‘connettivo’ ci si riferisce a qualunque parola o espressione che svolga rispettivamente una funzione di delimitazione e una funzione di raccordo tra le varie parti del testo stabilendo delle connessioni e dei legami di significato. Tra i demarcativi si segnalano le formule di apertura e di chiusura, le formule di saluto e di congedo seguite o precedute da un testo; i connettivi sono invece tutte quelle parole o espressioni che, indipendentemente dalla categoria grammaticale di appartenenza (congiunzioni: eppure, poiché, perché, quindi, pertanto, cioè, ma, ecc.; locuzioni congiuntive: dal momento che, dato che, per il fatto che, ecc.; interiezioni; forme verbali: riassumendo, parafrasando, ecc.; intere frasi: come è stato detto, come prima ricordato, come diremo in seguito, ecc.) svolgono una funzione di connessione tra le varie parti del testo assicurando i rapporti sintattici e logici sia all’interno della frase sia tra le varie proposizioni. Tra i principali connettivi testuali si possono indicare, in base alla loro funzione, i connettivi aggiuntivi: es. in più, ancora, inoltre; causali: es. poiché, siccome, dato che; concessivi: es. nonostante, tuttavia; conclusivi: es. quindi, pertanto; di enumerazione: es. in primo, in secondo luogo; di parafrasi: es. in breve, parafrasando, riassumendo; di esemplificazione: per esempio, ecc.; di richiamo: es. come prima ricordato, come è stato detto; di rinvio: es. vedremo successivamente, come diremo in seguito; esplicativi: es. cioè, ossia, infatti; eventuali: es. nel caso in cui, qualora; finali: es. affinché, allo scopo di; garanti: es. in base a, secondo quanto sostiene; temporali: es. in quel momento, poi. Parlare e scrivere Normalmente sia quando si parla, sia quando si scrive, si produce un testo. Parlare e scrivere sono, naturalmente, due attività distinte, anche se esistono diverse occasioni nelle quali esse sono strettamente legate: è il caso, ad esempio, dei testi scritti per essere letti (es. la stesura di relazioni destinate all’esposizione orale, i servizi giornalisti letti alla radio o alla televisione), o dei testi scritti per essere detti come se non fossero scritti poiché recitati (es. i copioni imparati a memoria dagli attori per essere interpretati) o il caso dei discorsi orali destinati a essere riferiti dalla scrittura (es. le interviste pubblicate sui giornali, i verbali, gli appunti che riassumono lezioni e conferenze). La differenziazione tra testo scritto e testo orale va quindi considerata tenendo presente che tra i due tipi esiste una ricca gamma di contaminazioni in cui lo scritto e il parlato si incrociano secondo una diversa gradualità che dipende dai vari casi. Come si evince dallo schema relativo, il parlato spontaneo (una conversazione faccia a faccia o telefonica, un monologo), essendo per sua definizione non pianificato, è quello che maggiormente si allontana dallo scritto. Il parlato può essere, però, anche parzialmente pianificato, come nel caso di un monologo che amplia un testo scritto (la ripetizione ad alta voce di quanto studiato su appunti o libri, l’esposizione di relazioni a partire dalla pianificazione di una scaletta, ecc.) oppure di un dialogo in parte programmato (per esempio in occasione di un esame, di un’intervista o di un colloquio di lavoro); può essere infine totalmente pianificato quando, ad esempio, si ripete a memoria o si legge ad alta voce. Lo scritto può essere realizzato per se stessi (ad esempio un diario personale); può essere detto come se non fosse scritto (come nel caso precedentemente ricordato dei copioni e delle sceneggiature); può essere ampliato nel parlato corrispondendo quindi al parlato parzialmente pianificato; può essere letto ad alta voce corrispondendo al parlato pianificato; può essere scritto per essere letto integralmente o per essere consultato. Nonostante lo scritto e il parlato possano essere quindi in alcuni casi connessi, ciò non significa che riportando fedelmente le parole di un discorso orale nella scrittura senza opportuni adattamenti si otterrà un risultato soddisfacente dal momento che confondere i due piani della comunicazione porterebbe, ad esempio, ad una mancanza di precisione che deve essere evitata nello scritto. Premettendo che esiste una varietà sia nel parlato che nello scritto dalla quale dipendono le caratteristiche di entrambi, si possono, in generale, individuare le principali differenze. Innanzitutto l’apprendimento del parlato avviene nei primi anni di vita se posti in un ambiente linguistico e segue vie naturali, quello dello scritto (e della lettura) richiede un ‘addestramento’ specifico. Il parlato è istantaneo, termina la sua funzione nel momento in cui viene pronunciato, nell’immediatezza della comunicazione; in genere è il veicolo della comunicazione quotidiana e spesso non lascia tracce nel tempo (ad eccezione di alcune situazioni in cui la sua funzione ha anche il potere di intervenire sulla realtà: si pensi, ad esempio, alle espressioni con cui viene irrogata una sentenza o un contratto o un matrimonio). Le informazioni, quindi, devono essere afferrate nel momento in cui il discorso viene pronunciato altrimenti sono soggette a perdersi. Partendo da questo presupposto il discorso orale è spesso ridondante anche se nel parlato dialogico vi è sempre la possibilità di poter intervenire anche per correggere eventuali disturbi nella comunicazione. Nel parlato gli interlocutori si trovano nello stesso luogo e nello stesso tempo, interagiscono e ciò fa sì che si proceda nella conversazione anche in conseguenza delle reazioni e degli stimoli degli stessi. Lo scritto, invece, ha una durata nel tempo e, potendo essere conservato, permette il recupero delle informazioni. Viene realizzato, di norma, in assenza dei destinatari; la comunicazione, in tal caso, avviene in tempi e luoghi diversi per chi scrive, che procede individualmente pur tenendo conto dei destinatari (sia contemporanei, sia posteri) e chi legge. Il parlato presenta numerose differenze dialettali e di registro linguistico a differenza dello scritto che in genere richiede una maggiore cura nel rispetto della grammatica e della sintassi e quindi è più ‘stabile’. Il discorso orale, in genere, ha un controllo e una programmazione minori rispetto allo scritto (si pone minore cura nella scelta delle parole e nell’uso delle ripetizioni, si ricorre spesso a frasi semplici nonché all’uso di parole come “praticamente”, “chiaramente”, “così”, “appunto”, ecc., utilizzate non per il loro preciso significato, come nella lingua scritta, ma come ‘riempitivi’, per evitare interruzioni troppo lunghe). Un’altra differenza riguarda anche l’uso della sintassi: nello scritto si interrompe meno il discorso ricorrendo spesso all’ipotassi (uso delle subordinate), nel parlato si fa maggiormente ricorso alla paratassi (uso delle coordinate). Il parlato, inoltre, è meno esplicito dello scritto, facendo spesso ricorso al contesto comunicativo, innanzitutto attraverso la presupposizione (considerando noti elementi non espliciti) e la deissi, attraverso riferimenti al contesto, in relazione alle persone (io, tu), al tempo (oggi, ieri) e allo spazio (lì, qui, questo). Si chiamano, infatti, deittici gli elementi linguistici che non possono essere interpretati senza riferimento al contesto, spaziale o temporale. Chi scrive, inoltre, avendo più tempo a disposizione di chi parla, ha maggiore possibilità di riflessione e può effettuare infinite modifiche o “cambi di progetto” rispetto a una prima formulazione che non appariranno nel risultato finale mentre saranno evidenti e frequenti nel parlato. Lo scritto permette altresì una lettura non esclusivamente sequenziale, una ad alta voce ma anche una lettura mentale, chiamando in campo non solo la sfera uditiva ma anche quella visiva attraverso l’adozione di determinati segni grafici nonché la rappresentazione efficace della gerarchia delle informazioni mediante la divisione del testo in capitoli, paragrafi e capoversi. Il discorso orale, inoltre, in genere coinvolge non molte persone mentre lo scritto si rivolge ad un pubblico indifferenziato e a volte imprevisto. La comunicazione orale avviene, inoltre, anche grazie ad altri codici: - - - linguaggio gestuale: costituito dai gesti, compiuti soprattutto con le mani e la testa, che assumono un preciso significato (si pensi ai movimenti del capo dall’alto in basso o orizzontalmente per affermare o negare); linguaggio mimico: costituito dall’espressione degli occhi o del volto per esprimere un sentimento, per rafforzare i contenuti del linguaggio verbale e per suggerirne la corretta chiave di lettura; linguaggio prossemico: connesso alla distanza spaziale tra gli interlocutori e alla postura del corpo. La comunicazione orale, quindi, si realizza anche attraverso questi linguaggi e l’intonazione della voce mentre quella scritta fa affidamento esclusivamente sulle parole che devono comunicare anche ciò che nell’orale si comunica con i linguaggi sopra descritti. Anche a tale riguardo un elemento fondamentale è la punteggiatura che serve a indicare le pause e a dare intonazione alle frasi. Modello processuale della scrittura di John Hayes e Linda Flower Lo schema del modello del processo della scrittura è stato elaborato agli inizi degli anni ottanta del secolo scorso dagli scienziati americani Hayes e Flower. I due studiosi, partendo da alcune idee di fondo (la scrittura non è un dono divino; scrivere è cercare di risolvere un problema; nel processo di scrittura esiste un continuo ‘monitoraggio’ tra quanto è stato scritto e quanto si deve ancora scrivere), hanno analizzato le modalità di pensiero di alcuni esperti scrittori invitati a pensare ‘ad alta voce’ – cioè a dire tutto ciò che veniva loro in mente mentre procedevano alla scrittura di vari testi su argomenti assegnati – e sono giunti ad una generalizzazione dei diversi “protocolli” evidenziando molti fattori importanti ed individuando alcune fasi comuni. Come è possibile evincere dallo schema vi sono tre aree generali: l’area del “contesto del compito” che contiene la conoscenza del tema, dei destinatari e le motivazioni comunicative del testo (perché e a chi si scrive) ma anche il “testo prodotto fino a questo punto”, ossia l’influenza di ciò che è stato già scritto su quello che si deve ancora scrivere; l’area della “memoria a lungo termine dello scrittore”, cioè l’insieme delle conoscenze che già possiede; l’area della scrittura vera e propria, che contiene le fasi della pianificazione, comprendente la generazione, l’organizzazione e la sistemazione degli obiettivi, della stesura e della revisione. Tra le aree vi è un continuo interscambio (indicato nello schema dalle frecce) attraverso cui passa chi scrive, si dice infatti che il processo di scrittura è “ricorsivo” poiché durante il percorso si passa più volte per uno stesso punto. Prima di tale studio si era portati a considerare generalmente il prodotto finale e non il processo che porta al testo definitivo, Hayes e Flower dimostrano invece per la prima volta che la scrittura, risultato dell’interazione di diversi fattori, è un’abilità complessa che si compone di varie fasi. Le fasi della scrittura La scrittura di un testo pianificato (distinta da quella di un testo spontaneo che per sua definizione è scarsamente pianificata) è un processo composto di almeno tre fasi, abbastanza simili per ogni tipo di testo: progetto o piano; stesura; revisione. È naturale che tali fasi si intreccino e, a volte, si sovrappongano: si pensi al momento della revisione che porta a modificare ciò che è stato scritto o della stesura che porta a riesaminare la scaletta. Prima di scrivere un testo di qualunque tipo è importante pianificare l’argomento da trattare anche in funzione dello scopo che si vuole raggiungere, dei destinatari dello scritto e dei vincoli di tempo e di spazio che vengono imposti dal contesto o dall’autore. Le prime domande che occorre porsi riguardano, quindi, la funzione del testo, ossia il motivo per cui lo stesso viene realizzato, il tipo di destinatario a cui esso si rivolge e il genere di testo che si vuole scrivere (una lettera, un saggio, ecc); le risposte a tali domande devono avvenire prima della stesura e sono decisive per la pianificazione del testo. Occorre sempre essere consapevoli della situazione comunicativa in cui ci si trova (a chi si scrive, con quale scopo, quanto spazio e quanto tempo si hanno a disposizione, ecc.) perché, ad esempio, in relazione al destinatario si valuterà meglio quali informazioni rendere esplicite e quali dare per scontate. È necessario, inoltre, stabilire quali informazioni introdurre, elencando quelle che il destinatario deve conoscere, decidendo una prima ipotesi di ordine di presentazione, di organizzazione logica, stabilendo le modalità di spiegazione, quali esempi, quali elenchi di dati e quali definizioni utilizzare. A tal fine occorre raccogliere ed organizzare idee, dati ed elementi utili scrivendo appunti che indichino gli aspetti del tema da trattare e le informazioni che si vogliono introdurre, senza doversi necessariamente preoccupare, in questo primo momento, dell’ordine di successione degli argomenti e della forma linguistica che potranno essere curati nella fase della stesura. Ognuno può naturalmente decidere il modo di raccogliere le proprie idee scegliendo, ad esempio, di scriverle sotto forma di: - lista disordinata, con la quale vengono elencati in colonna, secondo un ordine casuale, periodi brevi, parole chiave e intuizioni; - grappolo associativo, ossia rappresentazione grafica con la quale si evidenziano le associazioni tra le idee ponendo intorno a un nucleo centrale, attraverso varie raggiere, i diversi aspetti che vengono in mente sull’argomento; - flusso di scrittura, ovvero trascrizione, nel modo più rapido possibile, di pensieri e di informazioni su un determinato argomento, allo scopo di produrre una grande quantità di materiali. Il prodotto del flusso di scrittura, va precisato, è solo una prima tappa del proprio lavoro e sarà utilizzabile nella sua veste linguistica solo in minima parte nello scritto finale; sarà infatti preferibile per la stesura procedere ad una nuova generazione del testo. Una volta raccolte le idee, occorre metterle in ordine e organizzarle: esistono alcune tecniche che possono aiutare anche in questa fase. Una prima operazione da compiere è quella di raggruppare, ossia suddividere le idee in gruppi che corrispondano a parti unitarie dello scritto. Ciascun gruppo deve essere a sua volta suddiviso in sottogruppi in modo da costruire una mappa delle idee che, a differenza del grappolo associativo, rappresenti i vari elementi secondo un ordine gerarchico, dai più importanti ai secondari. A questo punto è possibile scrivere la scaletta, un elenco organizzato, analogamente a un indice, secondo un ordine e una gerarchia, da utilizzare come guida per la stesura. La scaletta, infatti, è un tipo di testo scritto che esprime sinteticamente e nello stesso ordine in cui saranno esposte le varie parti che si ritroveranno nel testo definitivo e il suo scopo è quello di costituire una prima intelaiatura del testo da comporre: esso può riprodurne fedelmente le indicazioni, altrimenti, come spesso accade, può discostarsi notevolmente da esse. Anche in quest’ultimo caso, tuttavia, la scaletta è utile poiché il risultato del testo dipende anche da questa prima fase di partenza. Nella realizzazione di alcuni testi a queste attività di pre-scrittura è possibile e necessario affiancare una fase di documentazione, ovvero di raccolta di informazioni che permetta, innanzitutto, di arricchire conoscenze e di maturare opinioni. In tale fase occorre ricercare fonti (libri, articoli, relazioni, giornali, ecc.) sull’argomento creando un archivio di informazioni utili. Dopo la fase di progettazione inizia la stesura vera e propria nella quale si scrivono le informazioni, spesso organizzate in paragrafi, che in genere sviluppano i vari punti della scaletta garantendo la leggibilità dello scritto. Al termine della stesura si dovrebbe aver composto un testo corretto dal punto di vista linguistico, coerente dal punto di vista dei contenuti e adeguato nell’uso del registro linguistico. Tale fase, nella quale si procede a dare una veste linguistica personale all’argomento, è complessa e coinvolge una serie di aspetti che sono stai in parte già presi in considerazione (la coerenza e coesione di un testo, la sua scansione, la punteggiatura, ecc.). L’elaborazione del testo può essere guidata da alcune domande di ‘controllo’ (es. il testo è chiaro e preciso in ogni sua parte? Sono state inserite tutte le informazioni necessarie? Le parti sono ben collegate tra loro? La scelta delle parole è adeguata?) che aiutano nella fase di rilettura permettendo i cambiamenti che si ritengono opportuni. La fase della revisione – spesso quella più trascurata perché una volta scritto un testo si tende a liberarsene – può avvenire dopo un singolo paragrafo o alla fine del testo ed è fondamentale per realizzare un testo chiaro e completo da un punto di vista informativo e comunicativo. Essa serve, infatti, non solo per correggere eventuali errori linguistici verificando la correttezza ortografica, sintattica e di uso della punteggiatura ma per verificare, innanzitutto, la coesione e la coerenza, se ciò che è stato scritto è chiaro, se le idee sono state presentate in modo efficace e se il registro linguistico utilizzato è adatto alla situazione comunicativa in cui ci si trova. Diversi consigli vengono dati anche per la fase della revisione: leggere ad alta voce il testo, ricorrere ad un orecchio altrui, ecc., ma, dal momento che per cogliere i difetti di un testo occorre leggerlo acquisendo un certo distacco, si invita a rileggersi a distanza di tempo proprio per giungere ad avere quella distanza critica che una rilettura immediata non permette di avere. Le tipologie testuali Risulta ormai evidente che quando si scrive è necessario ricorrere alle abilità specificamente necessarie che non si limitano, naturalmente, alla correttezza ortografica, grammaticale e di uso della punteggiatura, ma riguardano la capacità di scrivere messaggi dotati di coesione e coerenza e adeguati al contesto comunicativo in cui vengono prodotti. Così come esiste una molteplicità nel parlato, esistono anche molte varietà di italiano scritto e diverse tipologie testuali. Saper riconoscere le varie tipologie dovrebbe garantirci contro il rischio – nel momento in cui saremo noi a diventare dei produttori di messaggi scritti – di scrivere testi non pertinenti e inadeguati. I testi possono essere diversamente classificati: c’è chi propone, ad esempio, una distinzione in base al vincolo interpretativo che viene imposto al destinatario (dai testi scientifici, che non ammettono margini di interpretazione soggettiva, a quelli letterari, che, invece, non vincolano il lettore a un’interpretazione così ‘rigida’). È poi possibile classificare i testi in base al destinatario distinguendo la cosiddetta scrittura “personale” – destinata a se stessi con vari scopi (ad esempio lo studio) – più spontanea e meno sorvegliata, dalla cosiddetta scrittura “destinata ad altri” della quale fanno parte la scrittura pubblica e sociale (richieste, proteste, avvisi, lettere, inviti, telegrammi, ecc.) e quella istituzionale, realizzata in quanto facenti parte di una specifica categoria istituzionale: studente, docente, medico, ingegnere, avvocato, ecc. Vi è inoltre una fondamentale distinzione che prende in considerazione lo scopo per cui i testi sono prodotti, con la precisazione che ciascuna tipologia ha sue proprie caratteristiche che permettono di distinguerla dalle altre ma che, all’interno di uno stesso testo, soprattutto ampio, vi possono essere dei segmenti riconducibili a tipologie diverse, come ad esempio nel caso del romanzo in cui spesso si trovano parti narrative alternate a parti descrittive e, in alcuni casi, anche alcune di commento. In base a tale classificazione si possono individuare i seguenti tipi. I testi regolativi Si possono definire regolativi i testi in cui compaiono norme, prescrizioni, istruzioni, regole di comportamento e d’uso: le istruzioni per il funzionamento di un’apparecchiatura, per compilare dei moduli, i foglietti illustrativi che accompagnano le confezioni dei medicinali, le istruzioni dell’insegnante o dei libri per eseguire un particolare esercizio, le ricette di cucina, le regole dei giochi, i regolamenti che siamo tenuti a rispettare in diverse situazioni sociali (biblioteche, scuole, piscine, ecc.). Essendo i messaggi fortemente orientati sul destinatario, poiché lo spingono a comportarsi in un determinato modo, la caratteristica più evidente è il tono imperativo che viene reso con l’uso di forme verbali quali l’infinito; l’imperativo in seconda persona sia singolare che plurale; il presente indicativo in costruzioni impersonali che ha lo scopo di dare un effetto di scientificità comunicando al destinatario, attraverso una constatazione e non un comando, che non esiste altro modo di fare una certa operazione; il congiuntivo esortativo, in genere ormai poco usato; il futuro indicativo che, a differenza degli altri, non è mai forma verbale esclusiva ma viene utilizzato sempre in associazione con le forme verbali sopra esaminate, sottolineando spesso che nelle indicazioni impartite c’è una sequenza da rispettare. I testi informativo-espositivi Si definiscono informativi i testi che contengono informazioni, dati e notizie (su un argomento, un fenomeno, un’idea) mentre si definiscono informativo-espositivi i testi che forniscono informazioni attraverso delle spiegazioni. Per riconoscere un testo informativo correttamente formulato si può applicare la norma coniata in ambito giornalistico anglosassone, nota come regola delle “cinque wh-”, in base alla quale un articolo è efficace se informa su: che cosa è accaduto (what?), quando (when?), dove (where?), perché (why?), a chi (who?). I testi informativo-espositivi presentano strutture e caratteristiche molto varie a seconda delle forme di scrittura, dell’argomento trattato e della situazione comunicativa. Il loro obiettivo principale è quello di dare delle informazioni che devono essere presentate con la massima chiarezza possibile: fondamentali, a tale scopo, sono la precisa suddivisione in capitoli e paragrafi, le chiarificazioni, gli esempi e la successione logica delle informazioni. Sono generalmente caratterizzati dal taglio prevalentemente obiettivo dell’esposizione e, riferendosi alla realtà che ci circonda, costituiscono un esempio di tipologia orientata sul contesto. Esempi di testo espositivo sono le lettere ufficiali, le domande cui si ricorre per diversi scopi (il rilascio di documenti, la partecipazione a concorsi, le richieste di lavoro), gli inviti, l’illustrazione di fenomeni, la relazione di esperienze, il riassunto, la presentazione di libri, spettacoli e mostre. I testi descrittivi Descrivere significa scegliere le parole adatte per rappresentare persone, animali, oggetti, luoghi, situazioni e stati d’animo. I testi descrittivi, infatti, illustrano le proprietà di individui, fenomeni e cose. Le descrizioni possono essere “oggettive”, ossia impersonali, condotte in maniera distaccata, indipendentemente dall’interpretazione dell’osservatore, o “soggettive”, ossia condizionate dalla personalità e dal coinvolgimento emotivo di chi scrive: la descrizione oggettiva prevale nei dizionari e nei manuali, quella soggettiva è spesso inserita nei racconti, nelle fiabe, nei romanzi, ecc. I tempi verbali caratteristici di qualsiasi testo descrittivo sono il presente e l’imperfetto indicativo, adatti a indicare lo stato delle cose e non il movimento. Non si deve pensare, naturalmente, che le descrizioni siano un equivalente verbale di un’immagine, sia perché a volte vengono descritti aspetti apprezzabili con sensi diversi dalla vista quali, ad esempio, un aroma particolare, un suono di uno strumento, ecc., sia perché una buona descrizione fornisce il più efficace percorso di osservazione riportando solo gli aspetti più significativi e caratteristici. I testi argomentativi Un testo si definisce argomentativo quando chi scrive presenta un problema o un fatto ed esprime un’opinione propria o altrui rispetto a ciò che presenta, giustificandola con adeguate argomentazioni e prove persuasive, con lo scopo di ottenere un consenso da parte dei destinatari e di persuaderli delle proprie idee. Esempi di testo argomentativo sono: gli articoli di commento, le recensioni a film, libri, concerti, programmi televisivi, che generalmente contengono una parte informativa ed una critica, la saggistica, la tesi di laurea, il tema scolastico di italiano, ecc. Gli scritti argomentativi sono riconoscibili perché hanno delle caratteristiche comuni contenendo tutti un giudizio su un particolare fenomeno e le prove adatte a sostenerlo (dati, indizi, esempi, citazioni). Le principali categorie argomentative (ovvero gli elementi riconoscibili in un testo argomentativo) sono: il tema; l’enunciazione della tesi, ovvero la formulazione della propria opinione; l’argomentazione tesa a sostenere l’opinione espressa attraverso affermazioni che diano sostegno all’argomentazione; l’enunciazione dell’antitesi, ossia di un’opinione diversa e opposta alla propria; la confutazione dell’antitesi, attraverso argomentazioni e prove che smentiscono l’opinione contraria; la conclusione. Chi scrive fa ricorso a diverse tecniche argomentative: scomporre un argomento in tutti i suoi aspetti per poi trarne delle conclusioni; ricorrere all’analogia o affinità tra due o più cose per poi sviluppare nuove relazioni; basarsi su argomenti pragmatici, valutando i fatti in funzione delle loro conseguenze; ricorrere alla deduzione, attraverso la quale da una verità generale si discende ad una conseguenza particolare implicita ecc. L’argomentazione può essere “semplice”, quando a sostegno della propria tesi si porta una sola prova, “complessa”, quando se ne portano più di una, “celata”, ossia indiretta, quando la tesi si deduce dal testo per mezzo di alcune spie linguistiche, come il punto interrogativo o la doppia negazione (es. Vuoi dire che la violenza non è da biasimare?), “cooperativa”, quando si cerca di coinvolgere l’interlocutore (es. È noto anche a te che la guerra deve essere condannata perché alimenta l’odio e il rancore), “formale” (soprattutto nelle discipline scientifiche), quando il suo scopo non è convincere, bensì dimostrare attraverso un ragionamento rigoroso e lineare. I testi narrativi Dei testi narrativi è pressoché impossibile dare una definizione univoca che possa comprenderne i vari tipi. Si può affermare (molto genericamente) che essi raccontano una storia sviluppata attraverso personaggi che esprimono pensieri, dialogano e svolgono azioni e che sono caratterizzati quindi dalla presenza di un processo di modificazione che porta una situazione iniziale a trasformarsi conducendo ad una vicenda conclusiva. Considerando come narrativo qualsiasi testo in cui vi è un narratore che racconta una storia possono ritenersi degli esempi non solo i romanzi, le novelle, i racconti, le fiabe, ecc., ma anche testi non esclusivamente verbali che si estendono alla comunicazione di massa (spot pubblicitari), alla pittura (cicli pittorici) e alla musica (operistica). Nell’analisi dei testi narrativi si può distinguere la fabula, ovvero l’insieme degli avvenimenti così come vengono ricostruiti dal lettore nella loro successione cronologica, dall’intreccio, ossia l’insieme degli avvenimenti così come sono presentati dallo scrittore. La riduzione del testo Un testo non va sempre considerato come un’entità fissa e intoccabile ma può anche essere rielaborato. Riformularlo, ossia formularlo in modo diverso, è un’operazione che permette prima di tutto di verificare quanto e come esso sia stato capito, sia nelle informazioni che vuole trasmettere, sia negli scopi che vuole raggiungere, che può essere effettuata in vari modi: tra essi fondamentale è la riduzione ovvero la sintesi di ciò che è stato scritto o detto da altri con lo scopo di condensarne il significato. La difficoltà maggiore è dunque l’individuazione delle informazioni essenziali, di quelle che, seppur importanti, possono essere taciute, e delle marginali. Occorre quindi saper individuare tale gerarchia che, a volte, è visibile anche attraverso caratteristiche materiali del testo (i titoli, i sottotitoli, i capitoli, i paragrafi, i capoversi, le note, le parti in corpo minore, ecc.). Per realizzare una buona riduzione, trovando le informazioni più importanti per poi ‘ridirle in meno parole’, facendo quindi proprio il contenuto del testo e rielaborandolo brevemente in forma personale, occorre seguire diverse fasi di lavoro: - comprensione, in modo che risulti chiaro il contenuto, lo scopo e il significato; - selezione delle informazioni, attraverso la distinzione delle principali dalle secondarie che può essere effettuata in modi diversi, dalla tecnica più semplice della cancellatura, ossia dell’eliminazione con un tratto di penna di informazioni ed elementi linguistici secondari, alla tecnica più elaborata della generalizzazione, che si avvale, ad esempio, o della frase sintesi, che riassume parti di testo ampie, o dell’uso di un iperonimo per sostituire termini specifici, o la nominalizzazione, ossia la trasformazione delle voci verbali in sostantivi con lo stesso significato. Dal momento che lo scopo è quello di ridurre, occorre eliminare tutto ciò che risulta ridondante e che serve a ‘gonfiare’ l’esposizione; - rielaborazione, fase che consiste nel dare una forma linguistica personale ai contenuti ritenuti essenziali per la produzione del nuovo testo (è ad esempio buona norma trasformare i discorsi diretti in indiretti); - revisione, fase sempre necessaria per il controllo dell’ortografia, della sintassi, della punteggiatura, dell’ordine logico e della chiarezza espositiva. Nella sua forma ‘pura’ il riassunto rispetta anche il taglio espositivo del testo di partenza, altrimenti lo riformula più liberamente. Esso deve essere indipendente, non deve contenere elementi superflui, riducendo l’informazione e salvando quella indispensabile. Michela Zompetta