Lezione di Fo: quei Giotto sono falsi

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Spettacoli 39
Corriere della Sera Martedì 30 Giugno 2009
Il Nobel
Spettacolo in due
serate a Cesena
su un ciclo
attribuito al
pittore. «Dovevo
andare ad Assisi
ma dimostrare
pubblicamente
che quei dipinti
sono di altri
artisti dà molto
fastidio»
Con Beckett
Bob Wilson
seduce Spoleto
da attore
DAL NOSTRO INVIATO
Critico
Qui sopra Dario Fo che si
appresta a tenere una
lezione-spettacolo in due
serate, al Teatro Bonci di
Cesena, in cui confuterà alcune
tesi su Giotto. A sinistra uno
dei disegni realizzati da Fo a
sostegno della sua narrazione
Lezione di Fo: quei Giotto sono falsi
«Affreschi su San Francesco non suoi. Ma il vescovo mi nega la Basilica»
MILANO — Giotto o non
Giotto... Questo è il problema.
Dario Fo, amletico giullare e attento studioso di storia dell’arte, pone l’ardita questione: di
chi sono realmente gli affreschi della Basilica Superiore di
Assisi? «Non di Giotto», risponde sicuro il premio Nobel
ribaltando d’un colpo solo tutte le certezze tramandate dai libri di scuola e da miriadi di critici. «Il maestro di Bondone
non è l’autore del ciclo delle
Storie di San Francesco, ma solo dei dipinti della Basilica Inferiore, della magnifica Cappella
della Maddalena», sostiene.
E per dimostrare la sua tesi
Fo, a sua volta pittore di talento, porta in scena Giotto. Anzi,
Giotto o non Giotto, come dice
il titolo della lezione-spettacolo in due serate, giovedì e venerdì al Teatro Bonci di Cesena. «A dire il vero — precisa
— questa anteprima avrebbe
dovuto tenersi ad Assisi, proprio sul sagrato della Basilica o
nel magnifico quadriportico
sottostante. L’invito mi era arrivato direttamente dal sindaco
di Assisi Claudio Ricci. E anche i frati francescani, con cui
intrattengo ottimi rapporti dai
tempi de Lo Santo Jullare Francesco, erano d’accordo».
Ma a mettersi di mezzo ecco
che arriva, proprio come in un
Mistero Buffo, un vescovo. Nel
caso monsignor Domenico
Sorrentino, vescovo di Assisi.
Saputo dello spettacolo, nega
senza appello a Fo quella ribal-
ta per proporre il suo Giotto
«eretico». «Certo, il mio nome
non è tra quelli con l’aureola...
Certo ci sono scomode verità...
Ma soprattutto quel divieto è
un modo per la Chiesa di riaffermare la sua autorità sui frati. Proprio come ai tempi di
Francesco. La storia si ripete».
La sacralità del luogo non
c’entra. «Solo qualche settimana fa, in quello stesso spazio,
lo stesso vescovo ha dato il benestare per uno spettacolo di
varietà, ripreso dalla Rai, con
Renato Zero e altri. Ma si sa, le
canzonette non spaventano
nessuno. Dimostrare pubblicamente che gli affreschi di Giotto non sono di Giotto, invece
può infastidire molti». L’opinione in effetti è «scandalosa», ma condivisa, ricorda Fo,
Un particolare
di un affresco
su San
Francesco
attribuito a
Giotto
da studiosi come Bernard Berenson, Bruno Zanardi, Federico Zeri. «Ciascuno di loro pone seri dubbi sull’attribuzione
a Giotto di quel ciclo. A mia
volta, proseguendo su quella
strada, ho scoperto altri indizi
che confermano l’ipotesi».
Pitture di Giotto alla mano,
proiettate su due grandi schermi, affiancate ad altri disegni
realizzati da Fo a sostegno della sua narrazione, l’attore-autore illustrerà dettagli, confronterà immagini, stili pittorici. «E
con l’aiuto dei "patroni", sagome -marionette usate dai pitto-
L’annuncio
Il forfait
La confessione
«Cats» in italiano
per la prima volta
Sabrina Ferilli:
no al cinepanettone
Banderas: a disagio
nelle scene di sesso
ROMA — Dopo Belen Rodriguez,
anche Sabrina Ferilli non sarà in
Natale a Beverly Hills,
cinepanettone di Aurelio De
Laurentiis. L’attrice aveva il ruolo
di protagonista ma non è riuscita
a far combaciare gli impegni di
lavoro. «Cado dalle nuvole. Per me
Sabrina fa parte ancora nel cast»,
ha commentato De Laurentiis.
NEW YORK — «A cinquant’anni
tutto cambia, la tua mente, il
corpo, il tuo approccio con la
vita». Lo ha detto Antonio
Banderas che, in un’intervista
rilasciata in questi giorni al New
York Post, ha confessato che non
ama più girare le scene di sesso.
«Sono sempre a disagio sul set
quando entro in un letto con una
donna — ha confessato il
protagonista di La maschera di
Zorro —. È molto difficile perchè
hai circa cinquanta persone
intorno. Tutto questo mi rende
inquieto. E poi ho 50 anni...». In
realtà Banderas compirà 49 anni
il prossimo 10 agosto.
MILANO — Per la prima volta i
gatti di Cats canteranno in
italiano. Il musical di Andrew
Lloyd Webber, basato sul libro
del poeta inglese Thomas
Stearns Eliot «Old Possum ’s
Book of Practical Cats», verrà
proposto in una versione tutta
italiana curata dalla Compagnia
della Rancia, che debutterà il 28
ottobre al teatro Sistina di
Roma. Per la prima volta il
musical, che in 28 anni ha
mantenuto coreografie,
scenografie e costumi originali,
sarà riallestito con due unici
punti fermi: le musiche di
Webber e le poesie di Eliot.
ri dell’epoca come base per gli
affreschi, documenterò come
quel ciclo su Francesco sia invece riconducibile a tre altri
maestri del tempo: Cavallini,
Rusuti, Arnolfo da Cambio».
Giotto no. «Giotto lì non
c’è». Ci sarà invece, eccome,
nelle pitture della Basilica Inferiore. «Dove lui rende omaggio a Maria Maddalena. Una figura che deve averlo colpito
molto. Che tornerà in uno dei
sublimi dipinti della Cappella
degli Scrovegni, dove tra le Storie di Cristo Giotto fa comparire un bambino, rifugiato nelle
vesti di un personaggio misterioso, spacciato sempre per un
apostolo, in realtà, a ben guardare, proprio Maddalena. Quel
bimbo è il figlio suo e di Gesù», azzarda Fo sulle orme di
Dan Brown.
Giotto sì. E anche di più, nel
secondo spettacolo. «Dove parleremo dei dipinti di Padova,
agli Scrovegni, e di quelli di Firenze, in Santa Croce».Proprio
nella piazza antistante quella
splendida basilica, capolavoro
del gotico, lì dove Benigni
trionfò con il suo Dante, Fo racconterà il suo Giotto l’8 e il 9
sera. E quindi, il 24 e il 25 luglio, approderà a Perugia, a
San Francesco in Campo. E se
il giallo di Giotto non convincerà tutti, vale comunque ricordare Berenson: «Lasciamo che
gli altri sciolgano il garbuglio.
Noi godiamoci la sua irripetibile genialità».
Giuseppina Manin
SPOLETO — Con un piccolo grido come
d’animale spaventato nella tana, Robert
Wilson, trucco da Nô giapponese
discepolo degli Ennosuke, ha fermato i
venti minuti di tuoni e pioggia
scrosciante di luci livide alla Hitchcock.
Ed è cominciata la notte buia e
tempestosa di Krapp e della sua
solitudine. Poi, con gesti lenti e
concentrati come appunto gli attori
orientali, il regista scenografo
light-designer si è calato nel monologo
di Beckett, «L’ultimo nastro di Krapp»,
prima mondiale al Festival di Spoleto da
un progetto della Change Performing
Arts. Monologo per modo di dire: tra
scaffali gelidi e movenze chapliniane,
contrasti grafici da film muto e fragori
da guerre stellari, il «vecchio» Krapp ad
ogni compleanno riorganizza il passato,
guidato dalla finta casualità di un
prototecnologico registratore — siamo
nel ’58 quando Samuel Beckett presenta
la pièce al Royal Court di Londra. E il
passato si ripiega, balza in avanti come
una belva, come un rimorso, le figure
evocate sono
ombre giganti o
piccole a seconda
del suono delle
parole. Gli
oggetti in
Beckett, si sa,
sono
fondamentali: da
consumare con
lo sguardo come
lo spazzolino da
denti di
Winnie-Adriana
Asti nel «Giorni
Wilson in scena
felici» che ha
dato il via venerdì alla sezione Teatro
del Festival; da mangiare come le
banane falliche di Krapp o come, su altri
palcoscenici, la famosa carota del
barbone di Godot. Wilson condivide il
piacere fisico del personaggio,
aggiungendovi le sue inconfondibili
amplificazioni: luce, azioni, suoni. L’eco
degli amori perduti di Krapp aggira la
consolazione metafisica, ma la
commovente nostalgia con cui si
agitano brandelli di felicità è un grido
afono che la invoca, fosse anche per
maledirla. «Giorni felici» e l’inno alla
vita di una sparkling Winnie sepolta in
un «vesuvio» d’asfalto; il bilancio
virtuale di un uomo ne «L’ultimo nastro
di Krapp»: il doppio Beckett, insomma,
con la Asti e con Wilson, ha affascinato
il 52esimo Festival di Spoleto fin
dall’inizio. Ha ritrovato la verve la
cittadina segnata dal romanico e dal
gotico delle sue chiese: ancora, forse
unica in Italia, mescola cultura ça va
sans dire e mondanità intellettuale ma
cerca una nuova identità nel fresco work
in progress del «Gabbiano» di Luca
Ronconi.
Claudia Provvedini
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