riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali

LE ATTESTAZIONI DEL PROFESSIONISTA
E I PROFILI DI RESPONSABILITA’
1. Introduzione.
Nell’ambito delle procedure di risoluzione della crisi alternative al fallimento, quali fino ad ora
trattate, il professionista viene chiamato a rilasciare particolari attestazioni a tutela dell’interesse dei
soggetti coinvolti: i creditori e l’imprenditore-impresa.
Le “attestazioni” oggetto del mio intervento attengono, di fatto, alla medesima situazione di fondo:
vale a dire un piano o progetto volti al risanamento o a consentire l’atterraggio morbido
dell’impresa in crisi; stessa situazione, dunque, vista però da angolazioni parzialmente diverse.
Ecco, allora, che:

l’art. 67, terzo comma, prevede l’attestazione della “ragionevolezza” di un piano che “paia”
idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria ed il riequilibrio della situazione
finanziaria;

l’art. 161 prevede l’attestazione della “fattibilità” di un piano presentato ai fini di accedere alla
procedura di concordato preventivo, oltre che della “veridicità” dei dati aziendali sui quali il
medesimo è fondato;

ed, infine, l’art. 182-bis vuole l’“attestazione” della “attuabilità” dell’accordo di cui si chiede
l’omologazione, con particolare riferimento alla “idoneità” dello stesso ad assicurare il
“regolare” pagamento dei creditori che a tale accordo non partecipino.
Un esame sistematico, sia pure sintetico, dell’argomento comporterà perciò:

l’individuazione dei requisiti soggettivi dei titolati a rilasciare le attestazioni;

l’individuazione del soggetto cui spetta la nomina;
1

la precisazione dei contenuti e delle finalità delle attestazioni;

ed infine, la definizione del regime di responsabilità civile e penale cui gli estensori debbono
soggiacere.
In tale ottica, la norma di riferimento di ordine generale pare essere l’art. 67, 3° comma, atteso
anche il suo espresso richiamo nelle altre disposizioni citate. Ferma restando la necessità di analisi
delle singole fattispecie, con riguardo ai particolari contenuti e finalità delle diverse attestazioni.
2. I requisiti soggettivi del professionista.
La Riforma del 2006 aveva introdotto ex novo la previsione secondo cui la ragionevolezza del piano
di risanamento ex art. 67, terzo comma, lettera d) dovesse essere attestata ai sensi dell’art. 2501bis, quarto comma, c.c., senza alcuna indicazione dei requisiti che il soggetto incaricato alla
attestazione avrebbe dovuto possedere. Il decreto correttivo ha poi integrato detta definizione, “in
coerenza con le previsioni di cui ai novellati articoli 161, terzo comma e 182-bis, primo comma, …
(per cui) il professionista abilitato ad attestare la ragionevolezza del piano di risanamento previsto
dalla disposizione in esame, oltre ad avere i requisiti previsti dall’articolo 28, lettere a) e b) del r.d
deve essere iscritto nel registro dei revisori contabili (così come precisato nella Relazione
Illustrativa al D.Lgs. 12.09.2007 n. 169)”.
Ciò premesso, pare opportuno analizzare brevemente quanto proposto dalla dottrina in riferimento
ai requisiti che l’esperto avrebbe dovuto possedere in applicazione dell’unico riferimento normativo
inizialmente previsto, cioè l’art. 2501-bis, quarto comma, c.c., e successivamente commentare i
motivi che hanno indotto il legislatore ad apportare le integrazioni sopra riportate.
2
L’art. 2501-bis, quarto comma, c.c., incluso nella sezione che tratta della fusione delle società a
seguito di acquisizione con indebitamento, dispone che: “la relazione degli esperti di cui all’art.
2501-sexies, attesta la ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione…”.
Alcuni commentatori1 avevano sostenuto che, atteso il richiamo all’art. 2501-sexies, relativo alla
relazione degli esperti, lo stesso avrebbe potuto essere applicato nella sua interezza alla materia in
esame; per cui detta norma avrebbe indicato non solo le modalità di redazione, ma anche, nel
silenzio del legislatore, i criteri per individuare l’esperto ed il regime di responsabilità da applicare a
quest’ultimo.
Pertanto, si era ipotizzato che l’esperto avrebbe dovuto essere scelto, ai sensi dell’art. 2501-sexies,
tra i soggetti indicati nel primo comma dell’art. 2409-bis (che a sua volta tratta del controllo
contabile delle società), e quindi tra i revisori o le società di revisione iscritti nel registro istituito
presso il Ministero della Giustizia.
Inoltre, seguendo detta indicazione, nelle sole ipotesi in cui il piano fosse stato riferito ad una Spa o
ad una Sapa, l’esperto sarebbe stato nominato dal Tribunale, mentre nei casi in cui la società fosse
stata quotata in mercati regolamentati l’esperto sarebbe stato necessariamente scelto tra le società di
revisione iscritte all’Albo Consob. Quindi, l’imprenditore avrebbe potuto scegliere un proprio
esperto di fiducia nei casi di società personali o di Srl, mentre sarebbe spettato al Tribunale
individuare il soggetto più idoneo se le imprese avessero avuto forma giuridica di Spa o di Sapa.
Detta interpretazione, riportata in estrema sintesi, è stata superata dal correttivo, nel senso che il
legislatore ha: da un lato espressamente specificato quali siano i requisiti professionali richiesti per
l’assunzione dell’incarico, e mantenendo comunque il rinvio all’art. 2501-bis in merito ai criteri per
la redazione della relazione.
Si veda Documento Aristeia n. 84/2008 – L’esperto nelle procedure concorsuali, cui si rinvia per gli ampi
riferimenti dottrinali.
1
3
Pertanto, il professionista dovrà: sia possedere i requisiti previsti dall’art. 28, lettere a) e b), l.f., sia
essere iscritto nel registro dei revisori contabili.
Per quanto riguarda l’articolo 28, che definisce i requisiti necessari per la nomina a curatore, lo
stesso stabilisce in particolare alle lettere a) e b) che possono essere chiamati a svolgere detta
funzione, e quindi anche quella di “professionista”, i seguenti soggetti:

avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti;

studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i soci delle stesse abbiano i
requisiti professionali di cui al punto precedente. In tale caso, all’atto dell’accettazione
dell’incarico, deve essere designata la persona fisica responsabile della procedura.
La previsione, invece, secondo cui il professionista deve essere iscritto nel registro dei revisori
contabili: da un lato, risolve positivamente il dubbio interpretativo prima esposto circa i criteri di
nomina secondo l’art. 2501-sexies (al quale rinvia il quarto comma dell’art. 2501-bis) per cui
quest’ultimo troverà applicazione esclusivamente in riferimento ai criteri di redazione della
relazione.
Dall’altro, solleva un doppio interrogativo: in primis se, atteso il tenore letterale della norma, il
professionista possa essere esclusivamente un revisore persona fisica iscritto nel registro tenuto
presso il Ministero della Giustizia o anche una società di revisione, e in secundis, se possa essere
nominato sempre dal debitore o in alcuni casi dall’autorità giudiziaria.
Per quanto riguarda il primo interrogativo, alcuni commentatori2 hanno sollevato dubbi circa
l’ipotesi secondo cui l’esperto nominato potesse essere solo persona fisica, in quanto il legislatore,
con la Riforma del diritto societario del 2003, ha modificato il sistema di controllo contabile
affidando lo stesso a differenti soggetti. Ad esempio, nel caso di società che fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio, il controllo deve essere svolto da una società di revisione, e quindi
dotata di mezzi ed organizzazione diversi da quelli del revisore persona fisica, iscritta all’albo
Consob e soggetta alla vigilanza della stessa Commissione. Pertanto, se ritenuta legittima tale tesi, il
2
Si veda in tal senso Documento Aristeia n. 84/2008, cit..
4
professionista, o meglio il soggetto che dovrà attestare il piano ai sensi dell’art. 67, comma terzo,
lett. d) risulterà essere:

nel caso di Srl, Sas e Snc un revisore contabile o una società di revisione;

nel caso, invece, di Spa e Sapa un revisore contabile o una società di revisione;

nel caso, ancora, di società quotate una società di revisione iscritta all’albo speciale.
In riferimento, invece, a chi spetti la nomina del professionista, la maggior parte dei commentatori 3
ha ipotizzato che la stessa sarebbe riservata solo ed esclusivamente all’imprenditore. Ciò, in quanto,
un eventuale intervento dell’autorità giudiziaria nella designazione del professionista, ovvero nel
caso la società avesse un assetto di tipo azionario, sarebbe ingiustificato ed in antitesi con l’ampia
libertà di iniziativa concessa all’imprenditore da parte del legislatore. Inoltre, posto che la funzione
richiesta al professionista non è quella di controllo contabile in senso stretto, bensì quella di
certificazione, sembra plausibile supporre che l’imprenditore possa in qualunque caso nominare il
soggetto che ritiene maggiormente idoneo allo svolgimento dell’incarico, con il solo limite che lo
stesso sia in possesso dei requisiti di cui si è detto. Infine, pare ancora opportuno accennare che
l’eventuale nomina del professionista da parte del Tribunale, nel caso di società per azioni o in
accomandita per azioni, potrebbe avere anche conseguenze sotto il profilo della responsabilità
attribuibile allo stesso, sollevando così ulteriori dubbi interpretativi, di cui si dirà più avanti, in tema
di regime sanzionatorio applicabile nell’eventualità di una condotta colposa o dolosa del
professionista.
Al di là degli interrogativi sollevati dalla dottrina, la scelta del legislatore di avere previsto un
duplice requisito, ovvero di essere revisore contabile e appartenere ad una delle categorie
3
Si veda, tra gli altri, G. Verna, I nuovi accordi di ristrutturazione, in Le nuove procedure concorsuali a cura
di S. Ambrosini, Zanichelli Editore, 2008.
5
professionali individuate dall’art. 28 l.f., per poter essere nominato alla carica di professionista, pare
coerente e condivisibile.
Ed infatti, il soggetto in possesso di tali titoli: da un lato, dovrebbe avere le competenze specifiche
ed aggiornate in materia di contabilità ed organizzazione aziendale, nonché dei metodi finanziari
applicati alla gestione dell’impresa; competenze queste indispensabili per poter svolgere
adeguatamente la propria funzione. Dall’altro, la correttezza nell’adempimento del proprio operato
da parte dell’esperto dovrebbe essere garantita dalla vigilanza e dal rispetto delle regole
deontologiche cui i professionisti iscritti agli albi delle categorie sopra menzionate devono
sottostare.
Infine, il professionista, seppure non espressamente indicato, dovrebbe essere un soggetto terzo
rispetto alla crisi d’impresa. Detta interpretazione pare condivisibile, tenuto conto che: se da un lato
il legislatore ha concesso maggiore autonomia alle parti per risolvere la crisi d’impresa, dall’altro
residua pur sempre l’esigenza di tutela del ceto creditorio. Tutela che viene affidata, in particolare,
proprio all’attività svolta dal professionista, che quindi, attesa la sua posizione di imparzialità
rispetto ai soggetti coinvolti, sarebbe opportuno fosse del tutto estraneo alle vicende della società in
crisi.
3. Il piano e l’attestazione del professionista ex art. 67, comma 3, lett. d).
L’articolo 67, terzo comma, lettera d), come precedentemente detto, prevede che gli atti, i
pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore non sono soggetti all’azione revocatoria solo
ed esclusivamente qualora siano stati posti in essere in esecuzione di un piano finalizzato al
risanamento dell’esposizione debitoria e al riequilibrio della situazione finanziaria e la cui
ragionevolezza sia attestata da un professionista. Pertanto, in caso di insuccesso del piano e della
6
successiva dichiarazione di fallimento, il curatore non potrà chiedere la revoca delle operazioni
sopra elencate portando quale prova l’inidoneità del piano medesimo.
Come si può notare, la norma in esame non specifica in dettaglio quali debbano essere: né i
contenuti minimi né le modalità di attuazione del piano affinché lo stesso possa ritenersi idoneo.
Pare, comunque, verosimile che il programma di risanamento debba perlomeno indicare: il piano
industriale, il piano economico, il prospetto dei flussi totali di cassa che assicurino il riequilibrio
della situazione finanziaria, oltre al piano specifico di riduzione dell’esposizione debitoria.
Inoltre, secondo alcuni commentatori4, il risanamento di cui si tratta deve essere realizzato in
un’ottica di continuazione dell’impresa, e ciò mediante: nuovi apporti finanziari dei soci, cessione
di attività patrimoniali che non rientrano nel core business dell’impresa, consolidamento dei debiti
con rinuncia parziale dei creditori al capitale e/o interessi di loro spettanza, o ancora concessione di
nuova finanza. Secondo altri, invece, il piano di risanamento sarebbe compatibile anche con la fase
di liquidazione volontaria della società, ovvero predisposto e valutato non necessariamente in
un’ottica di continuità aziendale. A parere di chi scrive, la prima interpretazione sembra quella
maggiormente coerente con il dettato normativo, ovvero che l’impresa dovrebbe essere in grado di
uscire dalla crisi prevedendo le modalità con cui risanare e riequilibrare la propria posizione e
quindi nella prospettiva di prosecuzione dell’attività.
Ciò detto, l’attestazione deve essere effettuata ai sensi dell’art. 2501-bis, quarto comma, c.c.,
secondo cui, nel caso di fusione a seguito di acquisizione con indebitamento, “la relazione degli
esperti di cui all’art. 2501-sexies, attesta la ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto
di fusione ai sensi del comma precedente”.
Innanzitutto, risulta opportuno chiarire i concetti di attestazione e di ragionevolezza. Per quanto
riguarda il termine attestare, lo stesso può essere ricondotto alla terminologia di uso comune nel
diritto societario, quale ad esempio certificare o asseverare, per definire la veridicità e la correttezza
4
Si veda Documento Aristeia n. 84/2008, cit., nota 7.
7
del documento oggetto di valutazione. Per quanto riguarda, invece, il termine ragionevolezza, lo
stesso deve essere intenso nel senso di congruità e sostenibilità del progetto, ovvero della sua
realizzazione.
Pertanto, la relazione del professionista ex art. 67, terzo comma, lettera d), dovrà attestare,
nell’accezione sopra riferita, che il piano sottoposto alla sua attenzione possa ragionevolmente
consentire all’impresa di porre rimedio alla sua situazione debitoria. Peraltro, atteso che il
legislatore non ha dettato, anche in questo caso, specifiche indicazioni cui l’esperto dovrebbe
attenersi nella redazione della propria relazione, parte della dottrina ha ritenuto che la stessa
dovrebbe perlomeno contenere: l’individuazione delle cause all’origine della crisi, la descrizione
dettagliata del piano, con particolare attenzione agli atti ivi contenuti (in quanto i soli a non essere
assoggettati a revocatoria), oltre al giudizio conclusivo sulla ragionevolezza dell’operazione di
risanamento. Inoltre, anche se appare superfluo ricordarlo, è necessario che la relazione abbia data
certa, potendo così individuare il momento da cui decorre l’esenzione da revoca delle azioni
contemplate dal piano.
Ciò detto, pare opportuno evidenziare che il contenuto e la finalità delle relazioni che il
professionista è chiamato a redigere, sia che riguardino il piano di cui all’art. 67, sia quello di
ammissione al concordato preventivo previsto dall’art. 161, sia ancora quello di accordo di
ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis (gli ultimi due verranno di seguito trattati), sono
all’apparenza simili, salvo ovviamente le specifiche peculiarità dei diversi istituti. Ed in effetti, da
un lato il concetto di ragionevolezza che l’esperto deve accertare ai fini dell’art. 67, terzo comma,
lettera d) richiama quelli di fattibilità e di attuabilità previsti rispettivamente dagli artt. 161 e 182bis. Dall’altro, ai sensi dell’art. 67, comma terzo, lettera e) anche gli atti, i pagamenti e le garanzie
poste in essere in esecuzione del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti
non sono soggetti all’azione revocatoria.
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Infine, alcuni commentatori5 hanno evidenziato che il professionista, nonostante il silenzio del
legislatore, dovrebbe attestare non solo la ragionevolezza del piano, ma anche la veridicità dei dati
in esso contenuti. Detta interpretazione, posto che nel prosieguo del presente intervento verrà
meglio specificato che cosa s’intende per attestazione della veridicità dei dati aziendali, è sostenuta
sulla base di un duplice ragionamento. Il primo è che il legislatore, atteso che lo stesso indica
espressamente nell’art. 161 che il professionista deve attestare, oltre alla fattibilità del piano, anche
la veridicità dei dati aziendali, avrebbe colpevolmente omesso di specificare, stante la pressoché
identica attività richiesta al professionista dalle due procedure, quest’ultima previsione anche nel
caso in commento. La seconda, di carattere generale, si riferisce al fatto che il controllo degli
elementi contenuti nel piano costituisce comunque un passaggio imprescindibile ai fini di una
corretta valutazione in ordine alla ragionevolezza del piano stesso.
Anche i sostenitori dell’applicabilità in toto dell’art. 2501-sexies ritengono, per motivi differenti da
quelli su esposti, che la relazione dovrebbe tenere conto dei dati aziendali e attestarne la veridicità.
Ciò in quanto, ai sensi dell’art. 2501-sexies, l’esperto non solo ha diritto di ottenere dalle società
partecipanti alla fusione tutte le informazioni e i documenti utili, ma anche il dovere di procedere ad
ogni necessaria verifica. Pertanto, anche il professionista, nel redigere la propria relazione, sarebbe
tenuto a controllare la completezza e la correttezza dei dati necessari al fine di poter esprime
adeguatamente il proprio giudizio.
Peraltro, alle osservazioni sopra richiamate, potrebbe essere opposta, non senza qualche
fondamento, la tesi di cui in appresso.
Si è prima riferito in ordine all’apparente similarità dei concetti di ragionevolezza, di fattibilità e di
attuabilità. Nella realtà, detti concetti possono essere simili, conseguenti o concorrenti, ma non
5
Si veda Documento Aristeia n. 84/2008, cit., nota 17.
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equivalenti: sia dal punto di vista letterale, sia dal punto di vista di specifici contenuti, e le relative
attestazioni si debbono necessariamente porre su piani del tutto differenti.
Attestare la “ragionevolezza” di un piano economico di risanamento comporta emettere un giudizio:
di razionalità economica del complesso delle operazioni proposte quali parti integranti del piano e
di attitudine delle medesime, nella concatenazione quale prevista dell’imprenditore, a conseguire il
risultato sperato: in termini economici-patrimoniali-finanziari.
Attestare la “fattibilità” di un piano economico richiede all’esperto un ampliamento ed
approfondimento dell’analisi sui:

presupposti della crisi;

concreta attuabilità delle misure proposte, in termini di: reale fattibilità ed effettiva utilità; il
che presuppone una seria analisi della veridicità dei dati aziendali (contabili ed extracontabili),
presenti e prospettici, idonea a consentire una attendibile valutazione sul divenire di una realtà
economica data.
Sulla scorta delle pregresse considerazioni, quindi, pare corretto affermare che la mancata
inclusione da parte del legislatore della attestazione di veridicità relativamente al piano ex art. 67,
comma 3, lett. d) non consegua a colpevole dimenticanza, ma piuttosto alla corretta connotazione
delle differenze sostanziali delle attestazioni di cui trattasi.
In ogni caso, qualora l’attestazione fosse priva di una esplicita dichiarazione avente ad oggetto la
veridicità dei dati, stante il dettato letterale della norma, la relazione dovrebbe essere comunque
ritenuta formalmente valida.
4. Il piano e l’attestazione del professionista ex art. 161.
10
Per quanto riguarda il concordato preventivo, l’art. 160 individua i presupposti per l’ammissione a
detta procedura. Più precisamente, l’imprenditore che si trova in stato di crisi può proporre ai
creditori un concordato preventivo sulla base di un piano che può prevedere:

la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche
mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l’attribuzione
ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche
convertibili in azioni, altri strumenti finanziari e titoli di debito;

l’attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un
assuntore; possono costituirsi come assuntori anche i creditori o società da questi partecipate o
da costituire nel corso della procedura, le azioni delle quali siano destinate ad essere attribuite
ai creditori per effetto del concordato;

la suddivisione dei creditori in classi secondo la posizione giuridica e interessi economici
omogenei;

trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse.
La proposta, inoltre, può disporre che i creditori muniti di diritto di privilegio, pegno o ipoteca, non
vengano soddisfatti integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non
inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di
liquidazione.
Fatto tale breve richiamo generale alla novellata definizione delle condizioni per poter accedere alla
procedura di concordato preventivo, passiamo ora alla disamina di quanto previsto dall’art. 161,
oggetto di esame del presente intervento.
Innanzitutto, detta norma prevede che la domanda per l’ammissione alla procedura di concordato
preventivo sia proposta con ricorso, sottoscritto dal debitore, al tribunale del luogo in cui l’impresa
ha la propria sede principale. Inoltre, unitamente al ricorso, il debitore deve presentare:

una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa;
11

uno stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nominativo dei creditori, con
l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione;

l’elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore;

il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili.
Pertanto, in via meramente esemplificativa, il piano di ristrutturazione potrebbe essere suddiviso
nelle seguenti fasi:

raccolta dati e informazioni inerenti all’impresa;

individuazione delle cause all’origine della crisi;

predisposizione di un piano industriale o gestionale;

predisposizione di un piano economico;

predisposizione di un piano finanziario;

prospetto dei flussi totali di cassa.
Ciò detto, ai sensi del terzo comma dell’articolo in commento, il piano e la documentazione
presentati dal debitore con il ricorso devono essere accompagnati dalla relazione di un
professionista, in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lettera d), che attesti la
veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo.
Come più volte ricordato, quindi, anche in questo caso il legislatore ha: da un lato definito,
richiamando espressamente quanto previsto dall’art. 67, comma terzo, lett. d), chi siano i
professionisti che possono assumere la funzione di esperto; dall’altro la funzione di attestazione
svolta dall’esperto. Argomenti entrambi già esaminati in precedenza.
Di contro, è stato parzialmente modificato dal legislatore, rispetto alla previsione di cui all’art. 67, il
contenuto della relazione. In questo caso devono essere certificati: la veridicità dei dati aziendali e
la fattibilità del piano.
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Per quanto riguarda la veridicità dei dati aziendali, il professionista dovrà presumibilmente
verificare l’autenticità e la correttezza degli elementi non solo contabili, ma anche extracontabili
contenuti nel piano o utilizzati per l’elaborazione del piano medesimo, nonché dei documenti in
esso citati. Sembra, infatti, largamente diffusa la tesi per cui la relazione debba essere effettuata con
un adeguato livello di approfondimento e di chiarezza in relazione alle verifiche svolte al fine di
dimostrare la veridicità dei dati analizzati. Il che significa che non tutti i dati contabili devono
essere necessariamente attestati, ma solo quelli sui quali si fonda il piano. D’altronde, seguendo tale
impostazione, dovranno essere analizzati anche tutti quegli elementi di natura non meramente
contabile, ma comunque presenti nel piano. Quindi, ad esempio, la relazione del professionista
dovrà attestare l’esistenza e la veridicità di una eventuale proposta irrevocabile d’acquisto di beni
aziendali, o di contratti in essere di fondamentale importanza per la riuscita del piano, nonché di
potenziali sopravvenienze passive o rischi futuri. Di fatto, l’attività richiesta all’esperto può essere
assimilabile a quella di una due diligence, volta però ad attestare solo quei fattori considerati nel
piano che siano determinanti per il suo successo.
Inoltre, a parere di chi scrive, posto che la norma non specifica alcun riferimento temporale in
relazione al quale sia obbligatorio effettuare i suddetti controlli, gli stessi debbono limitarsi alla
situazione dell’impresa al momento della redazione della relazione. In effetti, un’analisi estesa ad
anni precedenti rispetto alla predisposizione del piano: da un lato esula dalle competenze specifiche
affidate al professionista, atteso che lo stesso non deve svolgere un’attività di revisione contabile in
senso stretto, ma deve “semplicemente” controllare l’attendibilità dei dati inseriti nel piano; e ciò,
comunque, con la finalità: non tanto di valutare o censurare a posteriori le vicende societarie,
quanto piuttosto in un’ottica prospettica, di buon esito dell’operazione per i creditori. Dall’altra,
tenuto conto che le procedure in commento sono solitamente caratterizzate dall’urgenza e
necessitano quindi di essere eseguite con una certa speditezza, dilungarsi eccessivamente sulle
vicende passate potrebbe comprometterne il buon esito.
13
Il professionista, quindi, una volta verificata l’attendibilità dei dati, deve dare un giudizio di
fattibilità del piano sulla base di opportune valutazioni economico – finanziarie che tengano conto:
sia dei tempi di realizzo del piano medesimo, sia ovviamente delle percentuali offerte ai creditori.
Non solo, ma egli sarà tenuto ad esprimere la propria valutazione analizzando anche eventuali
fattori che potrebbero influenzare, se non impedire, la regolare attuazione del piano stesso. Pertanto,
la relazione dovrà contenere anche specifiche previsioni in caso di possibili imprevisti, in modo tale
che i destinatari, ed in primis i creditori, possano comprendere e valutare i rischi insiti nel piano e
quindi approvarlo o meno consapevoli delle proprie scelte.
Sulla base di quanto sopra riferito, quindi, il piano deve illustrare gli interventi che l’imprenditore
intende effettuare per risanare la situazione economico-finanziaria della società al fine di garantire
la massima soddisfazione dei creditori, mentre la relazione del professionista deve analizzare le
scelte operate dall’imprenditore ed attestarne la validità.
Pare, infine, opportuno evidenziare che, a differenza di quanto previsto dall’art. 67, il piano e la
relazione di cui si tratta sono comunque sottoposti al controllo del Tribunale. Ed infatti,
quest’ultimo, qualora ritenesse non rispettate le condizioni di cui agli artt. 160 e 161, e quindi che i
due documenti menzionati fossero privi di completezza e di adeguata motivazione, o che gli
ulteriori chiarimenti e/o integrazioni richiesti dal Tribunale stesso all’esperto non dovessero essere
esaustive, potrebbe dichiarare inammissibile la domanda di concordato. Ciò detto, alcuni
commentatori ritengono che il controllo da parte del Tribunale sarebbe esclusivamente di tipo
formale, non potendo quest’ultimo intervenire nel merito delle valutazioni esposte dal professionista
sulla veridicità dei dati aziendali, né tanto meno sul suo giudizio di fattibilità. In tal senso si è
espresso il Tribunale di Torino, il quale, nella sentenza del 17.11.2005, ha precisato che la relazione
del professionista: “essendo diretta a sostituire l’attività istruttoria del tribunale e a garantire che i
creditori siano adeguatamente e correttamente informati sugli esatti termini della proposta, non
può essere un mero atto di fede dei dati aziendali….”. Pertanto, l’autorità giudiziaria non sembra
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poter sovrapporre il suo giudizio a quello del professionista, ma è chiamata a verificare che
l’operato di quest’ultimo sia stato svolto in maniera più che adeguata.
5. Gli accordi di ristrutturazione e la relazione del professionista ex art. 182-bis.
L’art. 182-bis, comma 1, prevede che l’imprenditore in stato di crisi può domandare, depositando la
documentazione di cui all’art. 161, l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti
stipulato con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti, unitamente ad una relazione
redatta da un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lettera d)
sull’attuabilità dello stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare
pagamento dei creditori estranei.
Pertanto, anche in riferimento all’accordo di ristrutturazione, il legislatore ha previsto la stesura di
una relazione da parte di un esperto circa l’attuabilità dell’accordo.
Anche in questo caso il legislatore, sempre mediante il decreto correttivo, ha: da un lato definito,
richiamando nuovamente quanto previsto dall’art. 67, comma terzo, lett. d), chi siano i
professionisti che possono assumere la funzione di esperto; dall’altro la funzione di attestazione
svolta dall’esperto. In particolare, la norma, seppure utilizzando un ulteriore termine, cioè quello di
attuabilità, anziché quello di fattibilità ex art. 161, non muta nella sostanza quanto richiesto al
professionista, ovvero di attestazione dell’accordo mediante l’analisi del programma di
ristrutturazione e la conseguente previsione dei possibili scenari futuri. Più in dettaglio, egli dovrà
verificare l’attuabilità dell’accordo stipulato dall’imprenditore con i creditori, valutando in
particolare che lo stesso sia idoneo a garantire il regolare pagamento dei creditori estranei. A tale
proposito, alcuni autori hanno sollevato dubbi su cosa intenda il legislatore con l’espressione
“regolare pagamento dei creditori estranei”. In effetti, considerato che la maggior parte dei debiti
15
anteriori alla stipula dell’accordo difficilmente potranno essere pagati dal debitore entro il termine
originariamente previsto, ammesso che detto termine non sia già scaduto, per regolare pagamento
dovrebbe intendersi il soddisfacimento integrale dei creditori estranei alle nuove scadenze stabilite
nell’accordo. Il che significa che un pagamento potrà definirsi regolare anche se effettuato in un
momento successivo a quello originariamente pattuito, atteso il riconoscimento al creditore degli
interessi di legge relativi a tale dilazione, e nonostante non avvenga con mezzi normali, ovvero
tramite cessione di crediti o dismissioni di cespiti aziendali.
Inoltre, tenuto conto che parte della dottrina ritiene che la ristrutturazione del debito non implica
necessariamente la sua cessazione, ma può portare anche alla sua continuazione, si è ipotizzato che
la relazione del professionista possa anche indicare una futura previsione dell’andamento
economico e finanziario dell’impresa. Detta analisi pare coerente con il compito affidato all’esperto
di valutare, attraverso un dettagliato schema previsionale dei flussi di cassa, la possibilità che i
creditori estranei potranno essere regolarmente soddisfatti.
Infine, risulta necessario riferire da chi possa essere nominato il professionista incaricato a redigere
la relazione ex art. 182-bis e se lo stesso possa coincidere con colui che sia stato incaricato a
redigere il piano di ristrutturazione, elemento quest’ultimo indispensabile per poter giungere
all’accordo.
Per quanto riguarda la nomina, considerata la previsione per cui l’imprenditore ha l’obbligo di
depositare, oltre al piano e alla documentazione di cui all’art. 161, l’accordo di ristrutturazione dei
debiti unitamente alla relazione, nonché la natura contrattuale dell’accordo medesimo, è lecito
ritenere che l’esperto debba essere nominato direttamente dal debitore, per i motivi
precedentemente detti, o dallo stesso di comune accordo con i creditori.
Per quanto riguarda, invece, se lo stesso soggetto possa essere chiamato a redigere sia il piano di
ristrutturazione e sia la relativa relazione, è opinione comune che tra le due funzioni sussista
un’assoluta incompatibilità. Infatti, attesa l’attività di controllo svolta dal professionista
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sull’attuabilità dell’accordo e quindi anche sulla correttezza del piano di ristrutturazione del debito,
pare incoerente affidare il compito di verifica a chi ha stilato di proprio pugno ciò che deve essere
vagliato.
6. La responsabilità civile del professionista.
L’esponente, avuto riguardo al fatto che il legislatore non ha esplicitamente previsto alcun regime di
responsabilità, né sotto il profilo civile, né sotto quello penale, cui l’esperto deve sottostare, ritiene
opportuno proporre le seguenti osservazioni.
In via preliminare, alla luce delle novità volute dal legislatore in riferimento ai requisiti soggettivi
che deve possedere il professionista, va detto che pare ormai superata l’interpretazione secondo cui
quest’ultimo avrebbe dovuto essere assoggettato al regime di responsabilità previsto dall’art. 2501sexies c.c.. In effetti, alcuni commentatori, sostenitori dell’applicazione di detto articolo anche per
individuare i criteri di nomina del professionista, avevano ipotizzato, di conseguenza, che lo stesso
avrebbe dovuto rispondere dei danni causati nei confronti della società, dei soci e dei terzi secondo
le disposizioni ex art. 64 c.p.c..
Si ricorda, infatti, che a norma dell’art. 2501-sexies, comma quinto: “L’esperto risponde dei danni
causati alle società partecipanti alle fusioni, ai loro soci, e ai terzi. Si applicano le disposizioni
dell’articolo 64 del Codice di procedura civile.”
A contrario si è sostenuto che l’art. 64 c.p.c., e quindi i relativi rimandi alle disposizioni del codice
penale in merito alla figura del perito, non sarebbero stati comunque applicabili al professionista,
posto che lo stesso non è ausiliare del giudice, in quanto la sua nomina non perviene dall’autorità
giudiziaria, e comunque la sua attività ha carattere stragiudiziale e non è integrativa di quella svolta
dalla citata autorità.
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Ciò detto, la dottrina ha quindi individuato la responsabilità del professionista sulla base dei
requisiti che lo stesso deve possedere.
Egli deve essere iscritto ad un albo professionale e al registro dei revisori.
La sua responsabilità, pertanto, dovrà essere valutata sulla base del disposto degli artt. 2407 e 2236
c.c.. Più in particolare, egli dovrà svolgere l’attività cui è chiamato con la professionalità e la
diligenza richieste dalla natura dell’incarico e la sua responsabilità sarà verosimilmente limitata ai
soli casi di dolo o colpa grave.
E’, infatti, verosimile ritenere che, nella maggior parte dei casi, il professionista dovrà affrontare
situazioni particolarmente complesse che comporteranno attività di vario genere, quali ad esempio
la valutazione dei beni aziendali, le stime dei probabili flussi di cassa, la stipula o la rinuncia di
contratti, nonché l’analisi della società e del mercato di appartenenza. Pertanto, la responsabilità del
soggetto nella sua qualità di professionista sarà messa alla prova, attese le riflessioni sopra proposte,
solo in presenza di dolo o colpa grave dello stesso. In particolare, in caso di colpa del professionista,
considerato che il suo giudizio conclusivo dovrà basarsi soprattutto su valutazioni che potranno
subire modifiche indipendenti dal suo controllo, dovute ad esempio a variazioni rispetto al
prevedibile andamento del mercato, o a cessioni di beni ad un valore inferiore a quanto previsto per
un crollo improvviso delle richieste, è lecito supporre che, nell’eventualità di esito negativo della
procedura, la sua responsabilità potrà avere notevoli attenuanti.
Infine, risulta necessario specificare se la responsabilità del professionista sia di tipo contrattuale e/o
extracontrattuale. Detta valutazione deve essere effettuata considerando il rapporto tra il
professionista e i soggetti coinvolti, in primis i creditori e l’imprenditore.
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Nei confronti dei singoli creditori danneggiati è ipotizzabile, secondo autorevole dottrina 6, una
responsabilità di tipo extracontrattuale del professionista per violazione del principio generale del
neminem ledere. Ai sensi dell’art. 2043 c.c., dovrà quindi essere provato: il danno subito, il nesso di
causalità tra danno e condotta tenuta dall’esperto, oltre al dolo o alla colpa grave dell’esperto
medesimo. Inoltre, in caso di successivo fallimento, la dottrina ha valutato se potesse ravvisarsi una
responsabilità del professionista anche nei confronti della massa dei creditori e se quindi il curatore
avesse la facoltà di proporre un’azione risarcitoria contro il suddetto professionista. In questo caso,
parte della dottrina ha ipotizzato che il curatore, atteso che lo stesso può esercitare esclusivamente
azioni riferite a danni arrecati alla società ovvero al ceto creditorio e non anche ai singoli creditori,
potrebbe agire solo se fosse in grado di dimostrare il nesso di causalità tra la falsa attestazione del
professionista e le perdite subite dalla società a seguito dell’esecuzione del piano.
Viceversa, la responsabilità del professionista nei confronti dell’imprenditore, se ad esempio
venisse attestato e reso esecutivo un piano di risanamento risultante, nei fatti, privo del requisito
indispensabile della ragionevolezza, sarebbe di tipo contrattuale e quindi, qualora la società dovesse
essere successivamente dichiarata fallita, la legittimazione ad agire spetterebbe al curatore.
7. La responsabilità penale del professionista.
Per quanto riguarda la responsabilità penale del professionista, così come riferito in precedenza per
quella civile, non pare legittimo applicare allo stesso il sistema sanzionatorio indicato dall’art.
2501-sexies (art. 373 c.p.: da 2 a 6 anni, più interdizione dai pubblici uffici e dalle professioni), e
ciò sulla base di una duplice motivazione.
Si vedano, in particolare, le riflessioni di L. Mandrioli espresse nel proprio intervento al Convegno – La
riforma del diritto fallimentare, tenutosi a Carate Brianza, l’11 e il 12 novembre 2005.
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La prima è che, come spiegato precedentemente, dal tenore letterale della norma ex art. 67, terzo
comma, lettera d) è plausibile supporre che il richiamo all’art. 2501-sexies operi limitatamente ai
criteri e alle modalità di redazione della relazione di attestazione. La seconda, di carattere generale,
è che un’interpretazione estensiva della norma che, attraverso reiterati rimandi individui la sanzione
penale da applicare al professionista, finisce per contrastare con il principio di tassatività e
determinatezza che presiedono alla formulazione del diritto penale, assicurando certezza legale e
tutela della libertà.
Ciò detto, permane la questione di quali possano essere le sanzioni configurabili nei confronti del
professionista che compia abusi o falsità nello svolgimento del proprio incarico.
Parte della dottrina7 ha sostenuto la possibilità di applicare quanto previsto per i delitti di falsità in
atti ex artt. 453 e ss. c.p.. In particolare, qualora il professionista attesti falsamente la ragionevolezza
del piano, lo stesso può essere chiamato a rispondere del reato di “falsità ideologica in certificati
commessa dall’esercente un pubblico servizio”, previsto dall’art. 481 c.p.. Detta norma prevede che
chiunque, nell’esercizio di una professione sanitaria e forense, o di altro servizio di pubblica
necessità, attesta, falsamente, fatti dei quali è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione
fina ad un anno o con la multa da 51 euro a 516 euro.
I sostenitori di detta tesi, ritengono infatti che l’esperto, dal punto di vista soggettivo, potrebbe
essere qualificato come persona esercente un servizio di pubblica utilità.
Ed in effetti, secondo il diritto penale, ex art. 359 c.p., i soggetti esercenti un servizio di pubblica
necessità sono anche quei professionisti che svolgono una attività il cui esercizio sia per legge
vietato senza una speciale abilitazione dello Stato e della cui attività il pubblico sia per legge
obbligato a valersi. Pertanto, secondo la dottrina, la nozione sopra riportata indica una attività di
natura privata, esercitata da soggetti privati in nome e per conto proprio, oggettivamente
caratterizzata da un rilievo pubblico e come tale sottoposta a controllo da parte dello Stato. Da un
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Le considerazioni in tema di responsabilità penale sono tratte dal Documento Aristeia n. 84/2008, cit., cui si
rimanda per gli ampi riferimenti alla dottrina.
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punto di vista oggettivo, stante la definizione sopra accennata, la nozione di attestazione conferma
che quanto certificato assume maggiore rilevanza rispetto alle comuni scritture private per la
posizione giuridica di colui che è chiamato a sottoscriverlo. Tanto più che, da alcuni, vengono
definiti “documenti quasi pubblici” proprio al fine di indicare la loro appartenenza ad una classe
intermedia tra gli atti pubblici e le scritture private.
In riferimento allo specifico compito affidato al professionista dall’art. 67 l.f., avuto riguardo ai
requisiti richiesti per essere nominato a tale carica e alla particolare rilevanza giuridica attribuita
dalla legge alla relazione che attesta la ragionevolezza del piano, sembra corretto: da una parte
qualificare il professionista “persona esercente un servizio di pubblica necessità”, e dall’altra
definire “documento quasi pubblico” la relazione richiesta dall’imprenditore.
Quindi, il professionista che attesti falsamente la ragionevolezza del piano di risanamento, ad
esempio fondando il proprio giudizio su elementi non rispondenti al vero, nonostante ne sia a
conoscenza, potrebbe rispondere per il reato di cui all’art. 481 c.p.. Inoltre, il dolo richiesto per
l’illecito in esame è generico. Pertanto, sarà sufficiente provare la coscienza e la volontà di alterare
la verità per integrare il reato di cui si tratta, senza quindi dover dimostrare anche il fine di
cagionare ad altri un danno o di procurarsi un vantaggio.
Oltre al delitto di falsità ideologica, potrebbe ritenersi configurabile, laddove ne ricorrano gli
elementi costitutivi, anche il reato di truffa ex art. 640 c.p., secondo cui chiunque, con artifizi o
raggiri, inducendo taluni in errore, procuri a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è
punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032. Pertanto,
atteso che in questo caso l’elemento oggettivo consiste nell’artificio o nel raggiro, e non nel falso, il
reato sussisterebbe solo quando: la falsità della certificazione sia stata fraudolentemente impiegata
nella redazione della relazione e da ciò sia seguito un effetto pregiudizievole per i creditori e un
ingiusto profitto per l’imprenditore.
Residua, ancora, la possibilità di un coinvolgimento del professionista nel procedimento penale a
titolo di concorso per i reati fallimentari commessi dall’imprenditore. Ad esempio, nel caso di
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insuccesso del piano di risanamento dei debiti e conseguente dichiarazione di fallimento
dell’impresa, il professionista potrebbe essere considerato corresponsabile dei reati di bancarotta
fraudolenta (artt. 216 e 223 l.f.) qualora, mediante una sua falsa attestazione in accordo con
l’imprenditore, avesse aggravato il dissesto dell’impresa. In realtà, secondo la dottrina, la nuova
disciplina dell’azione revocatoria imporrebbe una interpretazione restrittiva delle condotte
incriminate dal reato di bancarotta fraudolenta. Più in dettaglio, dal momento che l’art. 67, comma
terzo, esclude dalla proponibilità dell’azione revocatoria taluni atti, pagamenti e garanzie effettuati
dall’imprenditore successivamente sottoposto al fallimento, si ritiene che siffatti atti siano inidonei
a configurare il reato di bancarotta preferenziale. Quindi, dovrebbe escludersi la responsabilità
penale a titolo di bancarotta preferenziale per l’imprenditore che esegua i pagamenti previsti dal
piano di risanamento. Ciò impedisce, di fatto, che il professionista possa essere considerato coautore di detto reato.
Infine, tutte le considerazioni sopra esposte in riferimento alla responsabilità sia civile che penale
del professionista valgono, con gli opportuni accorgimenti, non solo all’attività svolta ai sensi
dell’art. 67 l.f., ma anche per quella prevista dagli artt. 161 e 182-bis l.f..
In particolare, sotto il profilo penale, in caso di condotta dolosa da parte del professionista nella
redazione della relazione ai fini di ammissione della società al concordato preventivo, sarebbe
configurabile un ipotetico concorso dello stesso con l’imprenditore ai sensi dell’art. 236 l.f., che
prevede specifiche sanzioni limitatamente alla procedura di concordato.
Invece, in presenza di un piano di ristrutturazione dei debiti, qualora la relazione di
accompagnamento redatta dal professionista celasse fraudolentemente il pagamento preferenziale a
favore dei creditori stipulanti l’accordo, a discapito di quelli rimasti esclusi dallo stesso, il
professionista, in concorso con l’imprenditore, potrebbe essere accusato del reato di bancarotta
preferenziale ex art. 216, comma terzo, l.f..
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8. Conclusioni.
Lo scrivente, al termine del proprio intervento, ritiene opportuno proporre le seguenti osservazioni.
Innanzitutto, l’integrazione effettuata dal legislatore in merito ai requisiti che il soggetto incaricato
alla attestazione deve possedere è risultata più che opportuna al fine di eliminare i dubbi su chi
potesse essere nominato a tale carica.
Inoltre, pare condivisibile la previsione di un intervento da parte del professionista chiamato ad
attestare la validità dei piani predisposti al fine di poter accedere alle diverse procedure sopra
esaminate. Ciò, infatti, dovrebbe garantire ai soci, ai creditori e ai terzi che quanto proposto o
concordato dall’imprenditore sia finalizzato ad una effettiva soluzione della crisi dell’azienda il più
vantaggiosa possibile verso tali soggetti.
In riferimento poi alla responsabilità del professionista, sarebbe opportuno, se non necessario, un
nuovo intervento del legislatore al fine di meglio precisare le possibili conseguenze a seguito di una
sua condotta colposa o dolosa, ed evitare così possibili errori interpretativi circa le norme da
applicare in tali casi.
Maurizio Gili
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