Persona e stato nel pensiero di Hobbes, di Luigi Negri. Milano, Jaca Book1987 – Cap. IV L’aporia libertà/struttura politica: il suo superamento nella ripresa di una antropologia metafisico-religiosa La rilettura «critica» dell’episodio hobbesiano si impone non soltanto come termine di una ricognizione di carattere storico e speculativo ma, in senso più profondo e radicale, come tentativo di mettere in luce le linee del suo messaggio per l’oggi della nostra esistenza personale e sociale. I problemi con cui Hobbes si è misurato (primo fra tutti il problema della pace come convivenza ordinata degli uomini e dei popoli nella verità e nella libertà) sono anche i problemi dell’oggi. Se il cammino teorico, etico e politico di Hobbes fosse corretto e la soluzione proposta fosse adeguata - cioè oggettivamente rispondente alle esigenze della persona e della vita sociale - il suo sarebbe un pensiero senza possibilità di sviluppo. Se come invece riteniamo, il suo tentativo conclude ad aporie ben più gravi di quelle che hanno «provocato» il suo cammino, incombe su di noi la responsabilità «storica» di ben altri approcci e di ben altro movimento di pensiero. Come Bobbio ci ha permanentemente insegnato, la posizione di Hobbes è l’inevitabile punto di riferimento dell’intero arco della speculazione eticopolitica contemporanea1: nella varietà delle posizioni antropologiche ed etiche e delle progettazioni etico-politiche di questi ultimi due secoli, si porta alle conseguenze estreme un impatto teorico ed etico che in Hobbes appare già lucidamente e profeticamente compiuto, senza alcun disagio o perplessità nei confronti delle conseguenze più drammatiche, Belohradsky direbbe senza alcuno «scrupolo»2. Non possiamo non sentire su di noi il «peso» culturale della rivolta che l’uomo della fine del secolo XX vive nei confronti dell’impostazione e delle con- seguenze etico-antropologiche della posizione hobbesiana. Come il Concilio Ecumenico Vaticano II ha lucidamente definito, l’uomo di oggi in balìa dei grandi sistemi ideologico-politici, rischia di essere ridotto o a «pezzo di materia» o «a cittadino anonimo della città terrena»: la gravità di questa sconfitta dell’uomo è insomma il segno della sconfitta di quelle formazioni di pensiero che lo hanno condotto fino a questo punto, teorico e pratico-sociale3. «Le tragiche vicende di questo secolo, che hanno insanguinato il suolo dell’Europa in spaventosi conflitti fratricidi, l’ascesa di regimi autoritari e totalitari che hanno negato e negano la libertà ed i diritti fondamentali dell’uomo: i dubbi e le riserve che pesano su un progresso che, mentre manipola i beni dell’universo per accrescere l’opulenza ed il benessere, non solo intacca l’habitat dell’uomo, ma costruisce anche tremendi ordigni di distruzione, l’epilogo fatale delle correnti filosofico-culturali e dei movimenti di liberazione chiusi alla Trascendenza; tutto questo ha finito per disincantare l’uomo europeo, spingendolo verso lo scetticismo, il relativismo, se non ancora facendolo piombare nel nichilismo, nella insignificatezza e nella angoscia esistenziale»4. Il peso di questa angoscia esistenziale guida la nostra riflessione critica: se la cultura è, come è, il tentativo di dare voce e dignità razionale all’esperienza della persona e dei popoli, e non un movimento di pensiero che costruisce sistemi - anche «ideologicamente» corretti - ma sovrapposti alle autentiche esigenze della persona e che conducono inevitabilmente alla negazione di tali esigenze e, quindi, Pagina 1 di 14 conseguentemente, alla negazione dell’uomo, della sua responsabilità morale e della sua creatività storico-sociale5. Né può bastare una filologia che annoti i dati della vicenda, ma non si assuma la responsabilità «etica» (implicita in ogni discorso) di parlare all’uomo e di indicargli la possibilità di una autentica umanizzazione. Questo è il contesto in cui ci muoviamo: non l’abbiamo fissato noi, ma semplicemente ritrovato - dimenticare anche uno solo dei dati di questa «tensione» etica ed umana, che caratterizza la nostra epoca, sarebbe un tradimento insopportabile. Non abbiamo riletto Hobbes (come molti prima di noi) nell’ottica di un progressismo scientifico-tecnologico ed etico-politico che sembrava irresistibilmente invincibile e caratterizzato, quindi, da ottimismo, come se la società perfetta fosse ormai quasi a portata di mano: abbiamo riletto e rileggiamo Hobbes nel vivo di una tragedia umana che proprio Hobbes ha profeticamente teorizzato e storicamente preparato, storia di una totalizzazione della vita sociale «annunciata», potremmo dire. «Il messianesimo millenarista dell’ideologia tardo illuminista, assunto il potere nelle proprie mani, cominciò a sacrificare all’idolo di un radioso avvenire milioni di propri compatrioti. E mentre il mondo batteva le mani ai giganteschi sforzi illuministici, le popolazioni, irrigidite nella loro incapacità di accogliere la grande ideologia di salvezza, intridevano del proprio sangue il suolo dell’Arcipelago. Tuttavia il volontarismo tardo-illuminista non riuscì a costringere gli uomini, ad edificare il proprio mondo interiore secondo la sua immagine e non creò una nuova antropologia, ma riuscì solo ad ottenebrare la coscienza popolare in un’atmosfera di sinistro terrore..., al nostro fianco vivono generazioni mute. Esse attraversano in silenzio la vita, portando con sé nella tomba un grido inespresso. E sopra il mondo, preso dall’angoscia, come un fungo atomico, è sorto il fantasma nebbioso del socialismo. E noi che viviamo all’ombra di questi spaventosi avvenimenti ci apriamo il varco dal mondo degli spettri socialisti verso la realtà e la storia»6. Siamo di fronte ad un fondamentale irrealismo nella considerazione dell’uomo. Nella versione «ideologica» della mentalità moderno-contemporanea l’approccio alla realtà umana è condotto secondo una linea fondamentalmente astratta che non si sottopone mai, ad onta di tanta conclamata rigorosità scientifica, a nessuna verifica «critica». Domina, per esempio, di volta in volta, o un ottimismo sulla originaria perfezione dell’uomo (ottenuto in base alla rimozione della presenza di Dio avvertita come minacciante l’originaria autonomia dell’uomo, con la conseguente negazione del dogma cattolico del peccato originale) oppure un radicale pessimismo sull’uomo e sulla capacità di comprensione e di amore: ma questi approcci hanno la funzione di opzioni fondamentali «previe», non si deducono da alcuna cosciente analisi dell’esperienza fondamentale dell’uomo. Il peso «acritico» di questi a priori avrà conseguenze gravi nello svolgersi di quella «antropologia fondamentale» che sottende le varie ideologie di carattere modernocontemporaneo. Abbiamo visto che l’antropologia hobbesiana (tematizzata in funzione della riduzione etico-politica dell’antropologia stessa) è di carattere materialistico biologico. Tale biologismo materialistico offre, per altro, il materiale di base teorico alla riduzione socio-politica dell’uomo. Hobbes condivide (come tanta parte dell’antropologia di carattere umanistico) il presupposto dell’assolutezza originaria dell’io colto nella sua puntuale individualità: tale assolutezza consiste Pagina 2 di 14 nell’originario diritto di possesso su tutta la realtà. Notiamo per inciso, che assai significativamente il diritto dell’uomo è un diritto non al riconoscimento della verità, del senso della realtà e, quindi, ad un uso adeguato di essa: ma è originariamente, un diritto al possesso della realtà stessa. L’orizzonte qui è già sintomaticamente modificato in senso moderno: alla categoria della verità come espressione della potenzialità teoretica ed etica dell’uomo si è sostituita definitivamente la categoria del potere (come capacità di autoespressione dell’originaria e definitiva attualità dell’uomo). Ma proprio perché tale diritto possa essere autenticamente tematizzato ed adeguatamente attuato (per non autodistruggersi nell’inevitabile guerra dell’uno contro tutti) si esige, logicamente, il trasferimento irrevocabile dei diritti dell’individuo alla realtà super-individuale dello Stato (animale artificiale sì quest’ultimo, ma l’unico effettivamente «reale», nel quale si realizzano cioè obiettivamente e senza lacerazioni, le caratteristiche dei singoli individui). Siamo già al cuore di quel «rovinoso» passaggio che caratterizza in modo drammatico gran parte dell’antropologia, dell’etica e della politica modernocontemporanea: l’uomo da soggetto libero e creativo (tanto più enfaticamente libero e creativo quanto più ha attuato la rimozione di Dio) si trova - per lo stesso movimento di pensiero che ha rimarcato in modo così determinante la soggettività - a divenire «oggetto» essenzialmente manipolabile da parte di sistemi di carattere materialistico e politico. Nell’episodio del pensiero hobbesiano si compie, con una immediatezza lucidamente profetica, quel graduale e secolare passaggio dell’uomo da soggetto della storia ad oggetto di sistemi ideologico-politici totalizzanti, che è il dramma fondamentale del nostro tempo7. Nel linguaggio hobbesiano risulta quasi impossibile recuperare la fondamentale sostanza etica della persona. La persona non è più il luogo del dramma quotidiano della libertà (pro o contro l’Essere), e quindi soggetto di quella responsabilità irriducibile a qualsiasi contesto o condizionamento (luogo di quella fondamentale trascendenza sul mondo e sulla storia per cui la persona è costituita come interlocutrice unica ed irrepetibile di Dio). Ciò che resta della grandezza della persona (la cui tematizzazione adeguata avviene esclusivamente nell’ottica metafisico-religiosa) è quella individualità puntuale (l’individuo, appunto: un grumo di reattività individuale, in un clima di massificata intercambiabilità) che deve il più rapidamente possibile essere funzionalizzata alla vita della società ed alla sua struttura istituzionale: lo «Stato», appunto. La persona allora (o meglio l’individuo) è tale nella misura in cui si «nega» (ed anche questo è un ben tragico paradosso) come realtà che trascende l’ordine politico e nella misura in cui accetta di coincidere obiettivamente e definitivamente con la struttura socio-politica. Hobbes (anche in questo antesignano di tanto statalismo ideologico di questi secoli) concede all’individuo tutta e solo quella libertà che non «disturba» il potere dello Stato e lo svolgersi di quel diritto statale che è originario ed inalienabile. La coscienza, come categoria o dimensione fondamentale della persona, deve nel suo aspetto «pubblico» (quello appunto che ha rilievo nella società) coincidere con la logica o la ragione dello Stato. Nel suo aspetto «privato» può anche non coincidere: tale libertà di coscienza come possibilità di non coincidenza della coscienza individuale con quella collettiva è appunto «tollerata» dallo Stato, nella misura in cui accetta di essere e di rimanere «privata», cioè programmaticamente non incidente nella struttura dei rapporti sociali. La versione moderno-contemporanea Pagina 3 di 14 dello Stato (pur nella varietà delle tematizzazioni e delle formulazioni) ha teso sempre, programmaticamente, alla «separazione» dello Stato dalla Chiesa. Un’indagine storica, condotta al sicuro da precomprensioni faziose, non potrebbe non appurare che l’elemento dinamico della formula in questione è proprio la progressiva riduzione nell’ambito del privato della dimensione della realtà storica della religiosità, e, conseguentemente, della occupazione da parte dello Stato di tutta la realtà etica della persona e di tutti i suoi rapporti sociali. Appare, a questo punto, in tutta la sua oggettiva determinazione la aporia etico-politica dell’antropologia ideologica moderno-contemporanea. Essa si configura come una impossibile riconciliazione fra la persona - colta nella sua ultima individualità e quindi nella sua libertà e responsabilità etica - ed un ordine politico (e la sua struttura funzionale: lo Stato) che tende, per logica interna del discorso, ad inglobare la dimensione della persona e la sua irriducibilità etica. L’abbandono progressivo della tradizione metafisico-religiosa renderà il riferimento alla persona ed alla sua consistenza ontologica ultima «infondato», di tipo sostanzialmente esigenziale; in ogni caso teoreticamente ed eticamente non costruttivo. E di fronte al riferimento alla persona (o meglio all’individuo, come pura esigenza di valore) si troverà progressivamente uno Stato «scientificamente» determinato, che tenderà ad inglobare l’individuo. Per Hobbes la moltitudine degli individui serve esclusivamente a formare l’unico individuo artificiale che ha piena legittimità di esistere nella storia: lo Stato. Hobbes non nega l’artificiosità della compagine statuale né per certi aspetti, nonostante sconcertanti enfatizzazioni, una certa mostruosità: resta, comunque, l’osservazione che lo Stato è l’unica realtà umana e politica reale, cioè esistente con piena legittimazione logica ed etica. Persona, coscienza personale, dimensione etica dell’esistenza, libertà di scelta, espressione sociale della libertà personale e cioè libertà religiosa e sociale: tutti questi valori, che indicano la irriducibilità ontologica ed etica della persona, trovano nella struttura dello Stato un fattore fondamentale non di opposizione ma, più drammaticamente, di legittimazione. Così la vita sociale non è l’ambito dell’espressione della persona impegnata ad attuare il suo destino trascendente, ma è il campo «esclusivo» della vicenda personale. L’individuo «è» se accetta di coincidere totalmente con la struttura della vita sociale (lo Stato). Il tentativo di assorbimento della realtà della persona (e quindi della sua obiettiva responsabilità di carattere etico e di creatività storica) nella realtà dei rapporti sociali, o più precisamente nella struttura della società statuale, esige ovviamente la riduzione dell’intera vita sociale alla realtà dello Stato. Questo tentativo su cui si è esercitato per secoli il pensiero etico-politico di indirizzo laicistico (i tratti salienti di questo assorbimento saranno, senza dubbio, da un lato il pensiero hegeliano, dall’altro il complesso movimento di pensiero marxleninistico) è ottenuto da Hobbes con la dottrina della inevitabilità del passaggio dallo stato di natura allo Stato civile. Il quale Stato civile - giova ripeterlo - è per Hobbes uno Stato teoreticamente e praticamente assoluto, al di fuori del quale non deve esistere nulla8. La logica dell’assorbimento dell’individuo nella struttura dello Stato non si ferma per Hobbes di fronte a nessuna conseguenza: la più paradossale - e drammatica ad un tempo - è contenuta nella identificazione della libertà personale con l’obbedienza totalmente passiva alle leggi dello Stato. Le vicende dei regimi totalitari di questo XX secolo hanno tragicamente reso at- Pagina 4 di 14 tuale l’esperienza di individui totalmente spogliati di qualsiasi libertà di scelta che sono stati condizionati dal contesto ideologico dominante a porre la loro libertà e la loro responsabilità nella obbedienza passiva ai voleri dell’ideologia statale. Siamo ad un tragico paradosso (peraltro sofferto da milioni di individui, e insieme da nazioni e da popoli) per cui si è teorizzato che la libertà consisteva esattamente nella sua negazione; e così lo stesso movimento di pensiero ideologico che aveva enfatizzato la libertà come sostanziale irriducibilità dell’individuo a qualsiasi altra realtà (prima fra tutte la realtà della divinità trascendente), ha finito per affermare la libertà dell’individuo attraverso la negazione della medesima. Resta il fatto che il pensiero ideologico dell’occidente laicistico9 tenta di risolvere l’aporia in questione semplicemente con la negazione di uno dei due fattori in opposizione: la negazione della libertà e della responsabilità personale. Rimane, oggi, comunque l’inconsistenza ultima dell’uomo: un individuo disposto alla manipolazione di carattere biologico e/o politico. Se la cultura dell’occidente laicistico ha come conseguenza logica, ancor prima e più profondamente che fattuale, la riduzione dell’uomo a pezzo di materia (oggetto passivo della manipolazione di carattere scientificotecnologico) o a cittadino anonimo della città terrena (oggetto della manipolazione di carattere ideologico-politico) ci troviamo di fronte ad un «caso serio». È necessario chiedersi se non sia legittimo rimuovere l’opzione di fondo di carattere antiteistico che condiziona tutto il movimento di pensiero laicistico e chiedersi se non sia realistico un altro approccio, ben più radicalmente coerente, con l’esperienza fondamentale che l’uomo compie di sé, e porsi come adeguato obiettivo del movimento di pensiero esattamente il perseguimento della individuazione dell’autentico destino dell’uomo (la conoscenza vera della propria natura e la attuazione nella storia di tale personalità)10. «Se le nostre statistiche umane, le catalogazioni, gli umani sistemi politici, economici e sociali, le semplici umane possibilità, non riescono ad assicurare all’uomo che egli possa nascere, esistere ed operare come unico ed irripetibile, allora tutto questo glielo assicura Dio. Per Lui e di fronte a Lui, l’uomo è sempre unico ed irripetibile: qualcuno chiamato e denominato con il suo proprio nome»11. Hobbes ha radicalmente formulato la questione fondamentale dell’occidente moderno-contemporaneo: la riduzione scientifica (biologico-materialistica) dell’individuo in funzione della creazione di una società, di uno Stato assoluto, condizione unica per la pace. Antropologia, etica, politica al servizio di un progetto di totale rinnovamento dell’uomo e della società. Tale movimento di pensiero e tale progetto hanno caratterizzato l’età moderno-contemporanea. Il progetto «illuministico» dell’uomo e della società ha comunque «disteso» negli ultimi due secoli il progetto hobbesiano senza essere consapevole di dovere pagare al pensatore inglese un tributo rilevante. Il movimento per la creazione dell’uomo e della società (senza alcuna identificazione religiosa, perché la religione è sempre fonte di divisione e fanatismo) fu assunto dalla intellighenzia illuministica dell’occidente continentale e attuato secondo una linea di gradualità e di intelligente strategia, che è certo uno dei vanti intellettuali fondamentali di questo movimento di pensiero. Hobbes fu presto dimenticato, in ogni caso la sua lezione non richiamata esplicitamente. Ma alla nostra generazione, cui è possibile rileggere, simultaneamente, l’episodio hobbesiano e lo sviluppo laicistico e assolutistico della società modernocontemporanea, non può sfuggire questo rimando reciproco ed il riferimento Pagina 5 di 14 all’episodio hobbesiano risulta così la linea di comprensione più adeguata e conclusiva della vicenda etico-politica, della cultura e della società modernocontemporanee. L’illuminismo rappresenta dal punto di vista teorico (e successivamente dal punto di vista della dinamica attuativa sociopolitica) il fattore che si è fatto carico di chiarire le linee teoriche fondamentali e l’attuazione del progetto modernocontemporaneo sull’uomo e sulla società. Un progetto antropologico, etico e sociopolitico in rottura radicale con la tradizione metafisico-religiosa dell’occidente cristiano e quindi in inevitabile ed esplicita polemica con la presenza della realtà della Chiesa cattolica, come soggetto che tale posizione metafisico-religiosa custodisce, difende e a cui tende per informare la propria espressione culturale e sociale. L’immagine dell’uomo illuministico è quella di un uomo che, forte della rottura con la precedente tradizione metafisicoreligiosa, ritiene di acquisire il massimo di consistenza e di autonomia (consistenza ed autonomia precisamente minacciate dalla alienazione «religiosa»). Tale autonomia, intellettuale e morale, tende a presentarsi come il valore autonomo della persona: è una circolarità «retorica» che non è assolutamente in grado di esibire in modo criticamente fondato il valore dell’uomo, nella sua irriducibilità ontologica ed etica, e che quindi non è in grado di difendere l’uomo dalle innumerevoli minacce che seguiranno lo sviluppo ideologico e politico modernocontemporaneo. Ma l’autonomia intellettuale e morale di stampo illuministico tende ad esprimersi nella capacità di conoscenza assoluta (che caratterizza l’enfasi moderna sulla scienza e sulla tecnologia) e tende ad attuarsi nella capacità di manipolare in modo scientificotecnologico tutta la realtà mondana (e- sterna all’uomo) fino alla realtà sociale. Così il progetto illuministico è il progetto per l’instaurazione dello Stato, appunto «moderno»: come opera di costruzione storica, quale obiettivo ultimo dell’intera capacità di comprensione e di manipolazione scientifica della realtà. È un obiettivo che deve essere compiuto dalla intelligenza e dalla volontà umana e che si contrappone specularmente a quell’ordine sociale tradizionale che faceva riferimento alla dimensione metafisico-religiosa. «Il secolo dell’illuminismo gli conferì la forma più radicale. S’incominciò a vedere nello Stato il riassunto e la rappresentazione dell’intera ragione e dell’intero diritto: conclusioni radicali di tutte le reazioni contro la pretesa di dominio ecclesiastico. Di qui in avanti l’idea dello Stato onnipotente - generalmente nella forma dello Stato nazionale - domina l’intera evoluzione della vita fino alla seconda guerra mondiale. Questa vive nonostante tutto ancora oggi in gran parte sia nelle libere democrazie di formazione, sia vecchia come nuova, sia negli Stati totalitari comunisti. Tutto il lavoro di ricostruzione che la Chiesa ha sempre cercato di compiere è caratterizzato da questo fatto: lungo tutto il secolo XIX come compito fondamentale fa emergere in forma nuova, l’antico impegno della libertas: riconquistare alla Chiesa, nello Stato indipendente, l’indipendenza necessaria alla propria libera attività»12. Siamo giunti a quello che costituisce, secondo noi, il nucleo «duro» della nostra indagine a carattere etico e sociopolitico del pensiero di Hobbes, nella prospettiva della vicenda etico e sociopolitica moderno-contemporanea. Tale nucleo «duro» è rappresentato dall’idea di Stato moderno - come Stato «assoluto» -. Si tratta di una assolutezza di tipo teorico ed etico, la concezione cioè dello Stato come la realtà che definisce Pagina 6 di 14 in modo permanente la personalità dell’uomo, che informa definitivamente la struttura sociale e quindi regola il corso degli avvenimenti storici. «La coscienza moderna si annuncia con il sorgere di due nuove discipline che hanno esercitato un’influenza determinante sulla storia della civiltà occidentale: la scienza naturale galileiana fondata sulla matematizzazione del cosmo e la machiavellica scienza dello Stato fondata sulla riduzione della politica ad una tecnica del potere alla quale è perfettamente indifferente ogni scopo che oltrepassi il problema pratico del successo nel mantenimento e nello sviluppo del potere stesso. Ora la politica è soltanto una tecnica del potere così come la natura è matematica: la natura è un libro scritto in formule matematiche, mentre lo Stato è un libro scritto dalla violenza, dalla furbizia, dall’astuzia, dalla capacità organizzativa dell’uomo e così via... La parola Stato introdotta da Machiavelli indica il risultato di un’azione specifica, e cioè della conquista del potere; ciò che interessa Machiavelli sono i vari procedimenti che mettono capo alla costruzione di un solido Stato, niente altro»13. Tale immagine dello Stato è quella, peraltro, cui fa riferimento tutta la tradizione laicistica moderno-contemporanea e che ha trovato la sua formulazione più sintetica e più drammaticamente espressiva nella proposizione XXXIX del Sillabo di Pio IX: «Lo Stato come norma e fonte di tutti i diritti gode di un diritto che non ammette confini». La concezione dello Stato come assoluto in termini teorici e pratici ha una dimensione che è più profonda e più decisiva del funzionamento della struttura stessa del potere. L’assolutismo come progressivo e programmatico assorbimento nella dimensione socio-politica delle dimensioni fondamentali della persona e del suo agire sociale e quindi l’organizzazione della vita politica come assorbente l’intero arco della società, è il filo conduttore fondamentale della riflessione etico-sociopolitica moderna e contemporanea. La storia della società modernocontemporanea è il progressivo chiarirsi e programmarsi di questa visione assolutistica della vita politica come vera e propria «religione» che sostituisce l’altra grande forma di religione, quella cristiana, che è stata messa radicalmente in discussione dalla modernità. La storia del chiarirsi e del programmarsi anche a livello socio-politico, dell’idea di Stato assoluto, si intreccia con la storia di una progressiva «democratizzazione» della vita politica, cioè con la storia di un progressivo allargamento della partecipazione al potere e dell’esercizio del potere; è questo uno degli interessi fondamentali dello studio che abbiamo condotto. Il pensiero e la storiografia laicistica hanno identificato questi due livelli della vicenda, ma tale identificazione è obiettivamente insostenibile. Lo Stato moderno, in quanto teoricamente ed eticamente assoluto, non riconosce alcun elemento di trascendenza nei confronti della dimensione socio-politica; è quindi obiettivamente antidemocratico perché funzionalizza la persona alla organizzazione del potere politico: per questo è sostanzialmente ed inequivocabilmente contro l’uomo. Può prevedere, e di fatto prevede e realizza, forme e strutture di attuazione del potere più dinamiche e più tecnicamente democratiche dello Stato precedente (per es. quello medievale), ma la sostanza teorica ed etica di questo Stato è programmaticamente contro l’uomo e l’esercizio della sua libertà. Lo Stato tradizionale, invece, che riconosceva la priorità della dimensione religiosa e personale sulla stessa struttura di organizzazione del potere, che perciò non Pagina 7 di 14 considerava l’organizzazione del potere (lo Stato appunto) come l’elemento determinante della vita personale e sociale, era realmente democratico (cioè preoccupato della persona e del libero esercizio della sua vita, sia a livello personale come a livello sociale). Questa sostanziale democraticità conviveva con un esercizio «tecnico» del potere obiettivamente più inevoluto e quindi meno democratico14. Ci sembra di essere arrivati così al cuore della dialettica etico-politica che connota gran parte della vicenda del pensiero moderno-contemporaneo. La storia dello Stato moderno è certamente la storia di una progressiva riduzione dell’uomo, della sua personalità, della sua responsabilità etica e storica alla dimensione politica e quindi allo Stato come organizzazione del potere della vita sociale e, in questo senso, da un lato è la storia di una progressiva dimenticanza della democrazia come ambito dell’esercizio vivo e libero della persona e della vita sociale; dall’altro è innegabilmente la storia di forme di esercizio sempre più «democratico» (in modo istituzionalmente più corretto), di un potere assolutistico. Indubbiamente è la situazione in cui viviamo: quella che ha visto l’affermarsi vigoroso in pieno XX secolo di totalitarismi di carattere ideologico che compromettono gravemente la possibilità di un’autentica espressione della libertà personale e sociale. Una storiografia ed una riflessione eticopolitica scevra da preconcetti non possono non riconoscere che soltanto la Chiesa cattolica ha esercitato una funzione di «resistenza» nei confronti dell’attuazione di questo progetto di assolutizzazione della vita politica e quindi dello Stato come struttura di organizzazione del potere. «L’urto fra la rivoluzione francese e la Chiesa non fu soltanto la conseguenza di un movimento sociale in lotta contro il sistema feudale. Vi confluirono piuttosto, come nei movimenti settari del tardo Medioevo, tendenze politico-sociali e religiose (spesso anticlericali). Ambedue le correnti hanno questa volta un unico nome: illuminismo. La rivoluzione francese fu il risultato logico delle idee illuministiche quali si erano venute sviluppando in Francia a partire dal 1750 con Voltaire, Diderot, Rousseau ed altri, i quali si basavano sul diritto naturale, tendevano alla uguaglianza generale, ma nutrivano anche un odio dichiarato contro ogni religione rivelata e contro ogni Chiesa gerarchica. Da queste idee nacque a poco a poco un movimento diretto immediatamente contro la Chiesa che per essa rappresenta niente di meno che un pericolo di vita: una vera e propria persecuzione la quale con tenacia e sicurezza mirò al punto nevralgico della Chiesa: al clero, organizzato nella diocesi nel più vasto ambito della Chiesa papale»15. Dalla rivoluzione francese fino alle forme dello statalismo assoluto del XX secolo l’elemento fondamentale, direzionale di questi tentativi è quello di emarginare dalla vita della società la presenza della Chiesa. La Chiesa prende coscienza della sua funzione anche sociale: dalla seconda metà del secolo XIX si parla di dottrina sociale della Chiesa. Di tale dottrina la preoccupazione fondamentale è quella di difendere la persona umana, i suoi diritti fondamentali di libertà, la sua irriducibilità alla vita sociale ed alle sue strutture, la difesa della ricchezza del tessuto sociale nei confronti dello Stato. La preoccupazione dunque della dottrina sociale della Chiesa è quella di contrapporre alla riduzione di carattere socio-politico della persona e quindi alla riduzione della società alla struttura organizzativa del potere, un progetto di vita sociale e politica al servizio della persona e che consenta l’espressione adeguata dell’individuo nella sua valenza Pagina 8 di 14 anche sociale. Mentre il progetto laicistico tende con la teoria della separazione della Chiesa dallo Stato ad un vero e proprio assorbimento della dimensione religiosa nella dimensione politica e la riduzione della dimensione politica alla pura struttura statale, a questa separazione della Chiesa dallo Stato, la Chiesa oppone la riattualizzazione della dottrina tradizionale della distinzione dei due poteri cioè delle due dimensioni: quella religiosa e quella politica. La ripresentazione della distinzione fra vita religiosa e vita politica consentì il determinarsi graduale, a livello anche concettuale, di una concezione autenticamente «laica» dello Stato. Uno Stato quello teorizzato dalla dottrina sociale della Chiesa - che si concepisce come determinato dall’obiettivo di favorire al massimo il bene comune della persona e delle realtà sociali presenti. A tale Stato «laico» l’ideologia laicistica contrappone uno Stato che, in quanto assoluto, cioè «etico», tende a porsi come il punto di riferimento in ultima istanza di tutte le dimensioni della vita, della persona e della sua espressività sociale16. In questa resistenza al progetto di totalitarizzazione della vita personale e sociale in dimensione politica e quindi in forme di carattere statuale, la Chiesa cattolica è stata pressoché l’unica17. Una verifica sufficientemente significativa di questo nodo della vicenda etico e socio-politica moderno-contemporanea, nel suo progressivo attuarsi, è certamente rappresentata dal tema oggi drammaticamente attuale dei cosiddetti diritti umani. Il XX secolo è certamente il secolo delle più solenni e significative affermazioni dei diritti fondamentali dell’uomo nella dimensione personale come nelle varie dimensioni sociali. Si tratta comunque di proclamazioni e di affermazioni che mantengono un notevole alone di equivocità. I diritti fondamentali dell’uomo, quando siano pensati ed af- fermati senza riferimento obiettivo all’ambito di formazione metafisica ed etico-religiosa, rimangono «infondati»: peggio ancora sottoposti, come di fatto sono stati e rimangono, ad una autentica manipolazione di carattere ideologico, scientifico e tecnologico, così che alle solenni affermazioni di principio fa da contrappunto - e non solo come incoerenza una situazione in cui i diritti fondamentali dell’uomo vengono obiettivamente traditi. Soltanto in riferimento alla tradizione religiosa, ed in particolare alla rivelazione cristiana, che costituisce l’ambito di una adeguata ed esplicita tematizzazione e fondazione dei diritti fondamentali dell’uomo, essi raggiungono il massimo di chiarezza teorica ed il massimo dell’animazione etica e spirituale. La dottrina sociale della Chiesa, nella vigorosa ripresentazione che il Magistero di Giovanni Paolo II ne ha fatto18, rappresenta oggi la condizione obiettiva e storicamente rilevante per un discorso autentico sui diritti fondamentali dell’uomo e per una loro difesa ed adeguata promozione. La resistenza opposta dalla Chiesa cattolica come erede e depositaria della grande tradizione metafisico-religiosa dell’occidente, si incontra oggi con una ripresa innegabile del senso religioso. La progressiva eliminazione dell’uomo come soggetto vivo, libero e responsabile della storia operata dal progetto neoilluministico che ha portato ad attuazione definitiva le indicazioni eticoantropologiche e socio-politiche di Hobbes, è oggi un avvenimento «scandaloso» per l’intelligenza. La cultura esige oggi di riprendere un contatto diretto con il vissuto dell’esperienza umana; la questione culturale si pone come ripresa radicale della questione antropologica ed è in questo che si aprono alla cultura contemporanea prospettive di riflessione e di sviluppo che sembravano fino ad ora Pagina 9 di 14 impossibili. Si sta operando un definitivo superamento della cultura come riflessione astratta dal contesto della esperienza viva dell’uomo e quindi del suo bisogno di senso ultimo per la vita, così come si sta operando un superamento di quella concezione dell’esperienza umana ridotta ad esperienza sensibile (e quindi programmaticamente riconducibile ad uno schema di carattere matematico-fisico) che ha caratterizzato la filosofia moderno-contemporanea fino all’idealismo. «La crisi del razionalismo europeo è la crisi dell’escatologia dell’impersonalità. L’umanità europea ha cercato il terreno della universalità nella impersonalità e cioè nella possibilità di raggiungere un punto di vista impersonale che sia accettabile per tutti proprio perché impersonale. Husserl dimostra che una tale escatologia conduce alla catastrofe e che pertanto la questione va posta in un modo completamente opposto; il fondamento dell’universale comprensibilità e comunicabilità del mondo sta nella struttura dell’esperienza personale vissuta»19. La ripresa del senso religioso - cioè la ripresa della struttura naturale dell’uomo come struttura aperta al mistero, come tensione al superamento di sé nella individuazione e nel rapporto con un fondamento trascendente che costituisce l’esperienza dell’uomo nella sua irrepetibilità - rappresenta dunque, il tessuto più «nervoso» del momento culturale che stiamo vivendo. È il luogo infiammato di un nuovo dibattito che non intende più ripiegarsi semplicemente sulla strumentazione o sulla metodologia del pensiero, ma che intende riaffrontare coraggiosamente il discorso di una fondazione radicale dell’uomo e del suo valore. Sembra essere, dunque, il momento della metafisica, o meglio, il momento in cui la metafisica non subisce più una censura indiscriminata da parte del contesto culturale. La metafisica è la rigorosa fon- dazione del senso religioso, e per questo, si assume oggi la responsabilità di dare contenuto alla fondazione rigorosa e trascendente dell’uomo. Così esso si pone oggi come l’unico discorso che costituisce l’uomo come valore assoluto, come irriducibilità di fronte al mistero dell’Essere. Soltanto la metafisica impedisce teoricamente quella disponibilità dell’uomo ad essere manipolato biologicamente o politicamente. Fase terminale questa di quel processo antimetafisico e scientificotecnologico dell’Occidente europeo negli ultimi secoli che è stato rigorosamente tematizzato e compiuto nell’episodio di pensiero hobbesiano. Soltanto la struttura del discorso metafisico innalza l’uomo di fronte a Dio come interlocutore libero e responsabile: così ne impedisce il suo affondamento nel mondo, la sua riduzione alla mondanità materiale, biologica o socio-politica, che è il destino inevitabile di ogni immanentismo. L’immanentismo ha preteso di fondare l’unicità e l’irrepetibilità dell’uomo proprio facendo leva esclusivamente sull’auto-immanenza, sull’autosufficienza dell’uomo, ma tale posizione non ha impedito, anzi, ha rigorosamente condotto all’autoannullamento dell’uomo, o meglio alla sua autodissoluzione materialistico-biologica o socio-politica. La metafisica dunque torna ad essere oggi un’ipotesi credibile, l’ipotesi che accoglie l’istanza religiosa dell’uomo, l’istanza di significato e che guida all’individuazione rigorosa del tema della libertà, della responsabilità morale e sociale. Per secoli un presupposto di carattere teorico-antropologico ha guidato il pensiero moderno-contemporaneo: metafisica o libertà; l’affermazione di un assoluto trascendente è sembrata all’immanentismo modernocontemporaneo la negazione stessa della possibilità della libertà dell’uomo, della sua capacità di autodeterminazione e Pagina 10 di 14 quindi della sua capacità di coinvolgimento libero e responsabile nel contesto della società. Oggi questo presupposto esige di essere rifiutato rigorosamente e si esige che ad esso sia sostituito una nuova articolazione di pensiero: metafisica e libertà. La fondazione trascendente dell’uomo è l’unica condizione perché l’uomo sia autenticamente còlto nella sua unicità, nella sua irrepetibilità, nella sua responsabilità libera, nella sua capacità di costruzione storica. La negazione di Dio risulta essere per il contesto ideologico e scientificotecnologico del nostro tempo, la negazione dell’uomo. Per ripetere un’espressione di padre De Lubac, si può organizzare certamente il mondo contro Dio, ma il risultato è che il mondo organizzato contro Dio è poi sostanzialmente un mondo organizzato contro l’uomo20. La metafisica appare dunque come la condizione della libertà e quindi come il fondamento di un’etica della libertà, di un’etica della personalità e quindi di un’etica della creatività storica. La metafisica della creazione (occorre protrarre secondo l’insegnamento bontadiniano, il discorso metafisico fino alla enucleazione del teorema della creazione)21 fonda la metafisica della creatura come personalità strutturalmente in dialogo con il mistero dell’Essere e quindi capace di determinarsi liberamente, responsabilmente di fronte a questo mistero dell’Essere. Dalla metafisica, dunque, emerge come prima articolazione quella di un’antropologia assolutamente personale; come seconda articolazione, quella di un’etica della libertà e della responsabilità. L’espressione di tale etica consiste nell’interiorizzare la legge fondamentale dell’Essere, che è condizione per il riconoscimento e l’attuazione della propria personalità. La terza articolazione è quella della vita socio-politica, come ambito di espressione e di verifica della verità della persona; proprio perché l’uomo è fondato come valore esclusivamente nel riferimento a Dio, l’uomo esprime il suo valore trascendente nella società: una società che deve essere organizzata perché questa libertà possa esprimersi nel modo più ampio e più compiuto possibile. Ecco, dunque, il superamento teorico dell’assolutismo statale. O l’assolutezza è di Dio, e di fronte ad essa l’uomo riscopre per partecipazione il proprio valore come valore assoluto e lo incarna nella responsabilità etica e socio-politica, oppure l’assolutezza della persona non può che essere meccanicamente trasferita nella dimensione socio-politica e quindi alla sua struttura organizzativa, che è lo Stato. Ancora una volta il riferimento all’episodio hobbesiano è assolutamente chiarificante: la posizione antimetafisica e antireligiosa di Hobbes non poteva non sfociare necessariamente in una assolutizzazione della vita politica, e in particolare di quella struttura organizzativa di essa che è la realtà dello Stato. La ripresa della metafisica, la possibilità di una fondazione rigorosa della persona come ‘partner’ di Dio, dà invece un fondamentale contributo ad un superamento dell’assolutismo e ad una ripresentazione dello Stato come struttura che consente il perseguimento del bene comune, cioè l’insieme delle condizioni teoriche e pratiche che rendono possibile nella storia l’esercizio della libertà singola od organizzata; libertà che è l’espressione obiettiva ed irriducibile del valore trascendente della persona. È evidente che la metafisica, come metafisica della personalità creata, come metafisica della libertà, e della costruttività storica, dà oggi il suo contributo ad una rigorosa autolimitazione dello Stato. Lo Stato è chiamato ad organizzare una realtà sociale più vasta di sé, e non può più cedere alla tentazione «ideologica» di pensarsi come società ‘tout-court’. Il destino della persona si gioca dunque Pagina 11 di 14 oggi in una rinnovata dialettica sociale; la vita della società contiene ed esprime tutta la creatività della persona, la creatività della famiglia, dei popoli, delle formazioni sociali che nascono nella storia della dinamica comunicativa ed aggregativa fondamentale, che è la dinamica di carattere religioso. Occorre riaprire una dialettica fra società e Stato: dalla parte della società si pone la persona, la sua coscienza, la sua libertà, la sua responsabilità, la sua capacità di creazione; dall’altra si pone lo Stato come punto di riferimento organico e come condizione storica per l’esercizio di questa libertà. Non è più dunque la dialettica coscienza-Stato, coscienza-autorità cui ci ha introdotti il pensiero hobbesiano e che ci ha drammaticamente testimoniato la linea di pensiero e gli avvenimenti del mondo secolarizzato. Tale dialettica sembra risolvibile soltanto nella negazione di uno dei due termini: o un anarchismo esasperato (la hobbesiana guerra dell’uno contro tutti) o l’ordine di una realtà artificiale che nasce dalla soppressione dei diritti fondamentali del singolo. Questa contrapposizione frontale che è il filo rosso degli ultimi secoli di riflessione etico-politica e di esperienza sociale ha oggi di fronte a sé un’altra possibilità, quella di una sintesi organica ed ordinata di due fattori irriducibili: persona e Stato. La priorità della persona sulla struttura dello Stato, cioè la priorità dell’antropologia personale e sociale sull’organizzazione del potere apre la possibilità di una società a misura d’uomo. In sostanza oggi la metafisica può e deve dare un suo contributo fondamentale ad una nuova qualificazione del termine democrazia; è finito il tempo di una democrazia puramente formale: è necessario andare al fondo della sostanza religiosa ed etica che qualifica l’ethos della democrazia. La democrazia è un ethos, è una possibilità di libera ed ordinata con- vivenza di realtà personali e di formazioni sociali, che possono anche avere caratterizzazioni culturali, religiose, sociali molto diverse, ma delle quali nessuno deve o può pretendere di coincidere con la forma della società. Metafisica e libertà: metafisica come possibilità di fondazione critica di una antropologia della libertà e della responsabilità storica, è oggi la condizione anche per una democrazia che sia innanzitutto un ethos, una forma, una caratterizzazione di carattere culturale, sociale ed etico; prima di essere un funzionamento od un insieme di meccanismi di carattere socio-politico. Abbiamo parlato di una convergenza fra la tradizionale difesa della persona, della sua libertà, della sua responsabilità, della sua creatività storica operata come resistenza dal soggetto ecclesiale lungo il corso dell’età moderno-contemporanea; abbiamo parlato del risveglio del senso religioso come di una caratteristica fondamentale e, in qualche modo stupefacente, dell’attuale momento culturale; abbiamo parlato della metafisica come di un necessario raccordo fra tali due fattori. La metafisica fornisce alla realtà ecclesiale una sua autentica e rigorosa capacità critica, così come lo fornisce al senso religioso impedendo la degradazione dell’uno e dell’altro a fenomeni parziali, ridotti, manipolabili dal contesto ideologico dominante. La possibilità di incontro, di confronto, di valorizzazione e di dialogo fra l’avvenimento del cattolicesimo come risposta definitiva data dalla realtà di Dio alla dimensione religiosa dell’uomo, con le istanze religiose presenti nella società una volta che sia assicurata una possibilità di rigorizzazione metafisica, tutto questo costituisce un elemento di novità. Nella voce e nella testimonianza di un grande maestro del nostro tempo, si coglie la speranza certa di un «momento nuovo» dell’uomo e per l’uomo: «La Pagina 12 di 14 Chiesa con il suo cuore, che in sé comprende tutti i cuori umani, chiede allo Spirito Santo la felicità, che solo in Dio ha la sua completa attuazione: la gioia che ‘nessuno potrà togliere’, la gioia che è frutto dell’amore. E, dunque, di Dio che è amore; chiede la giustizia, la pace e la gioia nello ‘Spirito Santo’ in cui, secondo S. Paolo, consiste il Regno di Dio. Anche la pace è frutto dell’amore: quella pace interiore, che l’uomo affaticato cerca nell’intimo del suo essere; quella pace chiesta dall’umanità, dalla famiglia umana, dai popoli, dalle nazioni, dai con- tinenti, con una trepida speranza di ottenerla nella prospettiva del passaggio dal secondo al terzo millennio cristiano. Poiché la via della pace passa in definitiva attraverso l’amore e tende a creare la civiltà dell’amore, la Chiesa fissa lo sguardo in Colui che è l’amore del Padre e del Figlio e, nonostante le crescenti minacce, non cessa di avere fiducia, non cessa di invocare e di servire la pace dell’uomo sulla terra»22. A questa speranza certa - sostanziata di preghiera - ha inteso introdurre il nostro lavoro. Note Cfr. N. Bobbio, Da Hobbes a Marx, Morano, Napoli, 1965 L’insegnamento di questo giovane filosofo cecoslovacco, espressione lucida del movimento di pensiero e di azione che ha determinato Charta 77 (manifesto del dissenso «laico» cecoslovacco), è un punto di riferimento sostanziale per la riflessione che svolgiamo in queste pagine. Cfr. V. Belohradsky, II mondo della vita: un problema politico, Jaca Book, Milano 1981 3 La sollecitudine del Magistero della Chiesa nei confronti dell’uomo nel mondo modernocontemporaneo, che è stato oggetto dell’insegnamento del Concilio, ha trovato il suo sviluppo coerente nel Magistero di Paolo VI e di Giovanni Paolo II. Il riferimento al Magistero di Papa Wojtyla ha costituito un elemento essenziale per la nostra riflessione etico-politica. Per questo, cfr. L. Negri, L’uomo e la cultura nel Magistero di Giovanni Paolo II, CSEO, Bologna 1983 4 Giovanni Paolo II, ai partecipanti al V Simposio del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, «La Traccia», a. III, p. 1131/IX 5 «L’evidenza è anzitutto un vissuto, un’esperienza personale che mostra una sua struttura universale; la crisi del razionalismo europeo deriva dal fatto che questa esperienza in cui qualche cosa mi diventa chiaro è stata ‘brevi manu’ identificata con l’evidenza formale di tipo matematico. La nostra civiltà non diventerà mai autenticamente razionale ed universale finché non libererà l’esperienza dell’evidenza dal suo imprigionamento oggettivistico e non tematizzerà esplicitamente la struttura del mondo della vita dato già sempre in ogni esperienza personale: un tale compito costituisce il vero tema della vita filosofica, la missione irrinunciabile dell’intellettuale». V. Belohradsky, op. cit., p. 17 6 AA.VV., Sulle ceneri dell’ideologia, La Casa di Matriona, Milano 1983, pp. 68-69. Consideriamo questo volume di testimonianza sulla riscoperta della religiosità da parte delle giovani generazioni russe, arrivato in Occidente nonostante la brutale repressione del potere sovietico, un libro capitale per la comprensione dell’attuale momento etico e culturale. 7 Cfr. Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, La Liberazione. Istruzioni su: «Alcuni aspetti della teologia della liberazione» e «Libertà cristiana e liberazione», Documenti n. 6, Litterae Communionis, Milano 1986. 8 In questo momento sembra essere significativa, anche se particolare, la polemica di Hobbes a livello giuridico: in difesa della esclusività del diritto positivo, cioè quello promulgato dallo Stato, nei confronti di tutte le forme del cosiddetto diritto consuetudinario. Cfr. T. Hobbes, Dialogo fra un filosofo e uno studioso di diritto comune in Inghilterra, in Opere politiche di Thomas Hobbes, a cura di N. Bobbio, Torino 1948. 9 Intendiamo con il termine laicismo, l’insieme di quegli orientamenti di pensiero in cui l’autonomia 1 2 Pagina 13 di 14 dell’uomo e la sua espressività culturale, storica e sociale è sostanzialmente pensata nei termini di una rottura con il Trascendente. In questo senso il laicismo è per noi sostanzialmente connesso con una posizione di tipo ateistico. 10 Alcuni autori sono da noi considerati essenziali punti di riferimento per l’articolazione della nostra osservazione. Citiamo a puro titolo esemplificativo H. De Lubac, Il dramma dell’umanesimo ateo, Morcelliana, Brescia 1978. Cfr. R. Guardini, La fine dell’epoca moderna. Il Potere, Morcelliana, Brescia 1984. Cfr. J. Lortz, Storia della Chiesa nello sviluppo delle sue idee, Edizioni Paoline, Alba 1967, 2 Voll. Cfr. A. Toynbee, Storia e religione, Rizzoli, Milano 1984. Cfr. U. Galeazzi, Laicità e laicismo, Città Nuova, Roma 1984. Cfr. N. Bobbio, Stato, governo, società, Einaudi, Torino 1985. 11 Giovanni Paolo II, Messaggio di Natale 1978, in L. Negri, op. cit., p. 85. 12 J. Lortz, op. cit., Vol. II, p. 335. 13 V. Belohradsky, op. cit., pp. 19-21. 14 Osservazioni storicamente determinate, ma con un valore permanente per quanto concerne la dinamica cristiana persona-struttura sociale, sono rintracciabili in uno studio fondamentale del Rahner. Cfr. H. Rahner, Chiesa e struttura politica nel cristianesimo primitivo, Jaca Book, Milano 1970. Cfr. J. Höffner, La dottrina sociale cristiana, Edizioni Paoline, Roma 1979. Cfr. P. De Laubier, II pensiero sociale della Chiesa cattolica, Editrice Massimo, Milano 1986. Cfr. A. Fanfani, Capitalismo, socialità, partecipazione, Mursia, Milano 1976. Cfr. O. Giacchi, Lo Stato laico, Vita e Pensiero, Milano 1986 (III ristampa). 15 J. Lortz, op. cit., Vol. II, pp. 353-354. 16 Le linee fondamentali di una concezione autenticamente laica dello Stato sono andate formulandosi nella dottrina sociale della Chiesa dal Magistero di Leone XIII, caratterizzato da un fondamentale ripensamento della tradizione scolastica e si sono andate evolvendo, nella accettazione delle varie «sfide» ricevute dai vari totalitarismi del XX secolo. Cfr. per questo De Laubier, op. cit.. 17 «In questa separazione dello Stato dalla coscienza e dalla responsabilità personale bisogna cercare l’autentica origine del totalitarismo moderno; questo obiettivismo statalista che paralizza ogni tentativo di una valutazione morale della politica costituzionale costituisce il massimo pericolo dell’epoca moderna. La matematizzazione della natura e l’irruzione della tecnologia del potere nella società sono pertanto i prodotti della nuova disciplina del sapere che pervade la vita quotidiana e mobilita tutte le facoltà umane al fine di accrescere il potere; la storia si separa dalla memoria e dalla coscienza religiosa e diventa anzitutto la storia dello Stato». V. Belohradsky, op. cit., p. 21. Non si può non rilevare, anche se la questione dovrebbe essere ulteriormente analizzata, che in tale resistenza il Protestantesimo ha avuto un ruolo sostanzialmente equivoco. Il Protestantesimo ha «ripensato» il Cristianesimo in termini «moderni» individualistici, soggettivistici, emozionali, negando che la religione possa determinare in linea di diritto una autentica visione della realtà: il Protestantesimo non può non avallare in ultima istanza la concezione culturale e sociale. Per questo cfr. Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Sansoni, Firenze 1965. Cfr. Ernst Troeltsch, Le dottrine sociali delle Chiese e dei gruppi cristiani, 2 Voll., La Nuova Italia, Firenze 1960. Cfr. Friedrich Meinecke, L’idea della ragion di Stato nella storia moderna, Sansoni, Firenze 1970. Cfr. R. H. Tawney, La religione e la genesi del capitalismo, Feltrinelli, Milano 1967. 18 A titolo esemplificativo, cfr. Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, n. 17. 19 V. Belohradsky, op. cit., p. 15. 20 Anche a distanza di decenni rimangono determinanti le osservazioni di Padre H. De Lubac. Cfr. H. De Lubac, Il dramma dell’umanesimo ateo, Morcelliana, Brescia 1978 (ristampa). 21 Cfr. G. Bontadini, Metafisica e deellenizzazione, Vita e Pensiero, Milano 1975, pp. 16-34. 22 Giovanni Paolo II, Dominum et Vivificantem, n. 67. Pagina 14 di 14