Marta Polselli

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Marta Polselli*
Tra essere e forma. Riflessioni sul diritto
«Gli oggetti prendono forma solo grazie all’immaginazione di ciò che chiamiamo forma reale. È detta forma
reale la forma che ci appare quando l’oggetto occupa tutto
il nostro campo visivo … Tutte le linee che limitano gli oggetti, che costituiscono delle forme, ci sono date dai nostri
riflessi, dal nostro movimento»1
«Il fondo del fondo è la forma»2
«Il soggetto è creatore di atti … le forme umanamente accessibili spingono la mente a cercare la forma che le munisce d’essere … e questa forma della forma è l’arte … la
forma è il senso di tutti gli elementi, e il senso della forma
è la forma stessa»3
L’opera di Bruno Romano Filosofia della forma. Relazioni e regole4, può essere letta comparativamente con quella di Jeanne
Hersch, Essere e forma. Al centro dell’indagine filosofica deve porsi
il diritto, mosso dalla differenza formologica, intesa – secondo Romano – come differenza tra una ‘forma formata’ e una ‘forma in
formazione’.
*
Università degli Studi di Cassino.
S. WEIL, Lezioni di filosofia, Milano, 1999, p. 44.
2
J. HERSCH, Rischiarare l’oscuro, Milano, 2006, p. 63.
3
ID., Essere e forma, Milano, 2006, p. 107.
4
B. ROMANO, Filosofia della forma. Relazioni e regole, Torino, 2010.
1
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Il diritto, che per la sua natura controfattuale si allontana dal
dato normativo e legale, dal fatto ‘creato come la legge’5, si fonda
sul riconoscimento reciproco dell’altro e si pone come terzo di
fronte ad una scelta libera e responsabile dell’io, che – secondo
Hersch – «dipende da un atto del soggetto»6 il quale si emancipa
da una condizione meramente fattuale.
Per Hersch, come per Arendt, ‘la forma’ a partire da Aristotele,
‘ha un senso dinamico’7 le cui radici possono riscontrarsi proprio nell’analisi del diritto, da intendersi non come diritto posto, positivizzato,
quello dei Lineamenti di dottrina pura del diritto8 di Kelsen, ma come
continua e costante ricerca della giustizia nella legalità formale.
La ‘forma formata’, per usare il lessico di Romano, «si attualizza
completamente solo quando svolge la sua funzione … è soltanto un
assemblaggio di materiali in cui non c’è creazione»9 e può essere
letta in contrapposizione all’arte del diritto «che è prima di tutto
creazione nel dato»10, eccedendo così una situazione già data per
proiettarsi verso una ‘forma in formazione’, da intendersi come costante emancipazione da una legalità formale e positivizzata.
Fenomenologicamente «si tratta di portare un oggetto all’esistenza»11, al di là di qualunque teoria formalistica o scientifica che
ha un ruolo essenzialmente funzionale12, poiché «la scienza tende
… a una forma che sarebbe il dato puro»13.
5
J. HERSCH, Essere e forma, cit., p. 36.
Ivi, p. 51.
7
Ivi, p. 6 e p. 41.
8
Cfr. H. KELSEN, Lineamenti di dottrina pura del diritto, Torino, 2000, p. 47.
9
J. HERSCH, Essere e forma, cit., p. 27.
10
Ibid.
11
Ivi, p. 28.
12
Si vd., tra gli altri, N. LUHMANN, Comunicazione ecologica, Milano, 1990,
pp. 140-158; ID., Sistemi sociali, Bologna, 1994; ID., La differenziazione del diritto, Bologna, 1990; ID., Sistema giuridico e dogmatica giuridica, Bologna, 1978.
Cfr. anche J. HERSCH, Essere e forma, cit., p. 105.
13
J. HERSCH, Essere e forma, cit., p. 106.
6
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La filosofia della forma14 riceve proprio una direzione a partire
dalla discussione sulla forma del diritto, che ha la sua genesi nel garantire ad ogni soggetto un diritto alla forma, ad una identità esistenziale, nella ‘coalescenza’ del ‘principio dialogico’ (logos) con il
‘principio di uguaglianza’ (nomos), poiché «nulla è reale nella coscienza umana senza aver preso forma. Per la coscienza esiste soltanto un essere specifico e limitato, esistono delle forme»15, da
intendersi, nell’ottica del criticismo kantiano, che «la forma ha una
vera esistenza, ma soltanto per l’uomo»16, perché l’uomo è autore
libero e responsabile dei suoi atti.
In tale prospettiva, si può leggere la ‘differenza nomologica’,
che in Romano e in Hersch si esplica attraverso il duplice piano
della realtà-legale e della possibilità-diritto che «dipende dall’essenziale discontinuità dei modi e degli atteggiamenti umani che li
pongono, e garantisce la libertà umana»17, attiene alla sfera del diritto, orientato dalla giustizia che «è alla base di ogni teoria e tra i
fondamenti della morale»18 e si sostanzia in «una nozione distributiva, che definisce un rapporto delle parti tra loro e delle parti
con l’insieme, rapporto tale che ogni parte riceve in proporzione a
ciò che dà o a ciò che è … e che l’insieme forma un ordine armonico in quanto risulta da tutte queste proporzioni»19.
Tutto ciò rimanda alla struttura complessa e rinviante del linguaggio dialogico, aperto agli interrogativi sulla forma del senso,
14
I. KANT, Forma e principi del mondo sensibile e del mondo intelligibile,
Milano, 1995, sezione IV, pp. 119-129.
15
J. HERSCH, Essere e forma, cit., p. 4.
16
Ivi, p. 5.
17
Ivi, p. 144.
18
Ivi, p. 81.
19
Ivi, p. 83: «La nozione di giustizia implica il soggetto di fronte agli oggetti,
i valori soggettivi, l’esistenza di un tutto avvolgente (englobant). Si definisce giusta un’organizzazione che realizza queste esigenze, si definisce giusto anche
l’uomo che subordina i suoi desideri alle esigenze». Cfr. per la nozione di giustizia anche pp. 84-86; si vd. S. WEIL, Morale e letteratura, Pisa, 1990, pp. 36-69.
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dis-funzionale, perché si allontana, come l’io, da ogni sistemazione
logica, assumendo la responsabilità derivante dalla parola polisensa, che rende l’io imputabile perché è esclusivamente l’io che rischia nella possibilità della parola, in quanto detentore di un sapere
parziale, sempre in formazione, mentre tutto il non-umano, e ‘l’oltre umano’20, riprendendo Nietzsche, è portatore di un sapere totale, ‘assoluto’, poiché ‘il pezzo di realtà al quale è interessato lo
assorbe sempre come una totalità’21.
Da ciò deriva che l’imputazione non può sovrapporsi e coincidere con la sfera ed il piano della imputabilità, perché quest’ultima
attiene alla sfera del parziale, del possibile; è ‘un autentico trompel’oeil’22, che, per definizione «non è mai compiuto … non assume
mai una forma, non si richiude mai su una parte di essere»23, come
l’arte, anche quella del diritto.
Nella situazione ‘linguistico-relazionale’, le parti, portatrici del
singolo io, possono essere descritte nella loro concretezza esistenziale, costituita da una forma specifica di vita, propria dell’io di ogni
uomo, autore della sua formazione, e ciò è possibile nell’incontro
con l’altro, perché «essere, esistere, è rappresentare un incontro
possibile»24, in uno spazio terzo, quello del diritto, dove ‘l’uomo è
di fronte all’altro’25. Con le parti e tra le parti nasce la relazione non
imputabile, perché la soggettività è esercitabile solo dall’io, ed ogni
soggettività priva dell’io costituisce una finzione strumentale, come
la soggettività della persona giuridica, come i partiti politici, per citare Weil26, che si differenziano dall’io persona, in carne ed ossa,
parte e partecipe della relazione interpersonale.
Una massa di relazioni, una folla, non pensa, non vuole, non
20
Cfr. A. CAMUS, L’uomo in rivolta, Milano, 2009, pp. 77-92.
J. HERSCH, Essere e forma, cit., p. 82.
22
Ivi, p. 138.
23
Ibid.
24
Ivi, p. 2 e p. 86.
25
Ivi, p. 89.
26
Cfr. S. WEIL, Manifesto per la soppressone dei partiti politici, Roma, 2008.
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rischia, ed in quanto tale non è imputabile davanti ad un magistrato, ‘il noi non ha un io’27 – sostiene Romano – perché il pensare
e il volere sono atti individuali, appartengono al singolo io, in
quanto unico, responsabile ed imputabile ‘essere particolare’, ‘già
individualizzato, umanamente qualificato’28.
L’uomo, infatti, tramite la parola che per sua natura ha più significati, polisensa, per usare ancora il lessico di Romano, dialoga,
come dialogano i sordi e i muti; solo le funzioni non comunicano,
perché comunica l’io, il soggetto che compie gli atti, che esternano
l’interiorità, oltre l’accadere impersonale dei fatti, privi dell’interiorità dell’io e attengono ad un qualcosa, e non ad un qualcuno, ad
un chi che conferisce un senso, pensato e voluto ai fatti stessi. Pertanto, le memorie biologiche o macchinali non hanno un io, funzionano semplicemente, senza interrogarsi sulla ‘forma immateriale
del senso’, identificabile con la qualità immateriale dello spirito,
che prepara alla scelta responsabile ed imputabile, genesi della giuridicità, presentata dagli uomini nel distinguere le forme aristoteliche delle quattro cause – finale, efficiente, formale, materiale –,
delle quali l’io è autore nelle diverse possibili gerarchie e, secondo
Hersch, anche nell’organizzazione «dell’ordine gerarchico in cui
le forme si attualizzano»29.
Ci si avvia verso una disciplina delle relazioni che determina
l’istituzione della forma del diritto, assente nel non-umano, dove
tutto accade come una successione di fatti, lontani dagli atti degli
uomini e dalle ipotesi, possibili esclusivamente nella relazione dialogica che ha la propria dimensione nel diritto.
Alain, maestro di Simone Weil, alla domanda «che cosa è il diritto?» risponde che «è l’uguaglianza. Se un contratto contiene
qualche ineguaglianza, sospettate subito che esso violi il diritto»30.
27
B. ROMANO, Filosofia della forma. Relazioni e regole, cit., p. 21.
J. HERSCH, Essere e forma, cit., p. 3.
29
Ivi, p. 5
30
ALAIN, Cento e un ragionamenti, Torino, 1975, p. 154.
28
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In tal modo appare con evidenza come il diritto si oppone al libero
gioco delle forze ed «è contro l’ineguaglianza che il diritto è stato
inventato, e le leggi giuste sono quelle che tendono a far sì che gli
uomini, le donne, i bambini, i malati, gli ignoranti, siano tutti uguali.
È dunque un ben povero argomento quello di chi afferma, contro
il diritto, che l’ineguaglianza è nella natura delle cose»31 o che ‘il diritto dei deboli sia un debole diritto’32; «così l’uguaglianza è di diritto, non di fatto; e si scontra con una disuguaglianza che è di fatto,
non di diritto … in questo senso, quando dico che tutti gli uomini
sono uguali, è come se dicessi che è ragionevole agire pacificamente
con tutti, non regolando … le mie azioni sulla forza, sull’intelligenza, sulla scienza o sulla ricchezza degli altri»33.
Il tecnico delle norme, lo scienziato del normativo, visto come
‘cinico nichilista’, si comporta come tutti i ‘viventi non-umani’,
perché nelle norme non cerca e non discute la ‘forma immateriale
del senso’ del diritto, non coglie il ‘senso della differenza nomologica’, che distingue le norme costituzionalmente garantite dai diritti
dell’io, rispetto ad una legalità formale34 lontana dall’interpretazione giuridica che ha la forma dell’arte e non possiede la certezza
delle formule scientifiche verificabili nei laboratori delle tecnoscienze. L’attività del comprendere si allontana dal conoscere e «si
compie sempre a spese dell’irriducibilità delle cose date»35, eccede
l’ambito materialistico, la forma già formata.
31
Ivi, p. 155.
B. ROMANO, Filosofia della forma. Relazioni e regole, cit., p. 193.
33
ALAIN, Cento e un ragionamenti, cit., pp. 173-174 « … ne segue che
l’uguaglianza è inseparabile dal diritto e dalla pace, e che è perfetta tra gli uomini finché restano nei limiti del diritto; mentre, appena i loro rapporti cominciano a essere regolati dalla disuguaglianza, si cade nello stato di guerra … la
disuguaglianza definisce sempre l’ingiustizia».
34
Cfr. J. HERSCH, Essere e forma, cit., p. 15 «Le leggi si creano esse stesse
mentre si pongono e, al tempo stesso, pongono come esistente una realtà legale».
35
Ibid.
32
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La contemplazione di un’opera d’arte è riferibile esclusivamente all’io, poiché nel non umano è assente lo stupore, il meravigliarsi, l’ansia del cercare ed interpretare la forma immateriale del
senso, costitutiva dell’attività dello spirito. Residuano in tal modo
solo i cosiddetti ‘sistemi biologici’, intesi, per Romano e per Luhmann ‘come sistemi funzionali’36 e che Alain, proprio nel ragionamento sulla giustizia, pone in discussione, facendo esplicito
riferimento al diritto, istituito dall’uomo, dotato di linguaggio, il
quale «non agisce come agisce il ventre … perché l’occhio non è il
braccio, pur essendo entrambi figli della terra»37.
È evidente il richiamo alla differenza tra una forma formata
– l’essere uomo anche nella propria natura biologica – ed una
forma in formazione della identità esistenziale, che caratterizza
esclusivamente l’io, soggetto dello sguardo che eccede la vista.
Da ciò deriva che l’io ha una sua peculiare forma, personale,
creativa, artistica, responsabile, e come tale questa forma costituisce la ragione per poter essere chiamati a rispondere davanti al terzo
giudice di tutte quelle scelte compiute nel perseguire una ‘forma in
formazione’, che nell’uomo si traduce in «qualcosa in più che non
è il corpo, qualcosa che si definisce anima»38, mai data totalmente,
in cui la sua volontà rimanda a degli atti, che non si riducono a dei
semplici fatti, esclusivi e limitati ad una forma già formata.
La società complessa, cui fa riferimento anche il diritto, può
considerarsi origine del nichilismo giuridico, orientato verso il formalismo e derivante dal formalismo stesso in cui «la legge che vi
regna è l’assenza di ogni legge. La relazione di causalità è qui evidentemente abolita, o viene utilizzata soltanto come una regola
provvisoria del gioco che si potrà infrangere al primo capriccio.
Tutto ciò che accade qui è dunque un punto, assolutamente leg36
B. ROMANO, Sistemi biologici e giustizia. Vita animus anima, Torino, 2009,
p. 37 e ss.
37
ALAIN, Cento e un ragionamenti, cit., p. 146.
38
J. HERSCH, Essere e forma, cit., p. 33.
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gero, senza antecedenti, senza conseguenti. È il mondo del ‘puntismo’ totale»39 declinato nella contingenza del reale, come sostiene
Luhmann, dove tutto è privo di causalità.
Ci si allontana, in tal modo, da un’attività di interpretazione e
di comprensione del diritto, per giungere ad una forma regolata
esclusivamente dalla conoscenza, fatta di enunciati scientifici che
‘possono imporsi a chiunque’40, poiché «ogni dimostrazione matematica o fisica si svolge in completa solitudine. Le ricerche scientifiche escludono … ogni comunione e ogni comunicazione»41 e
ciò diventa il nucleo essenziale dell’univocità del linguaggio scientifico. Nella conoscenza, il diritto è semplicemente posto, positivizzato e ridotto – secondo Hersch – a livello di legge, laddove «la
legge esiste nella natura … lo scienziato scopre la legge, non la inventa»42. Sulla base di queste considerazioni «ci si può domandare
… perché lo scienziato sia costretto a scegliere con tanta cura la sua
legislazione, perché l’una convenga e l’altra no»43; tale interrogativo
implica che una legislazione, come pure i diritti fondamentali, a
differenza dei diritti dell’uomo, possano essere scelti esclusivamente sulla base di criteri di convenienza, assumendo anche una
natura completamente ‘a-legale’ o illegale, con ‘efficacia momentanea’.
Anche per Weil la società moderna ha assunto una sorta di
‘ideale della forma’44 che tende ad una declinazione di formalismo,
laddove emerge che l’uomo, essendosi ormai completamente svuotato del proprio senso esistenziale ed avendo raggiunto una dimensione di costante nichilismo, ha perso la sua identità e si è
39
Ivi, p. 23.
Ivi, p. 30
41
Ibid.
42
Ivi, p. 35.
43
Ibid.
44
Cfr. in part. il paragrafo Profilo della vita sociale contemporanea, in S.
WEIL, Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale, Milano, 2003,
pp. 108-127.
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abbandonato completamente ad una collettività cieca, che lo ha
reso incapace persino di pensare. È evidente uno stato di impotenza e di angoscia dell’uomo stesso dinanzi alla ‘macchina sociale’,
divenuta esclusivamente «una macchina per fabbricare incoscienza, stupidità, corruzione, ignavia»45 in cui tutto nasce da uno
squilibrio che «è essenzialmente un fatto di quantità»46.
Le nuove forme di vita, quelle derivanti da una modernità sempre più lacerata e lontana da una reale assiologia di valori, «sono
tutte, da molto tempo, in decadenza, ma si decompongono lentamente»47 a causa del ‘progresso’48.
In tale direzione, la terzietà del diritto, il luogo terzo, il tra dei
parlanti diventa un ‘luogo funzionale’, uno spazio dominato dalla
funzione che si va a svolgere, nell’economicità e nella sterilità dei
rapporti, mossi solo dal mercato e dalla moneta, funzionale anche
ai non luoghi delle reti telematiche.
Anticipando Luhmann, Weil nel saggio del 1933 Allons-nous
vers la révolution prolétarienne?49 o in quello del 1941 Quelques
réflexions autour de la notion de valeur 50 ha infatti individuato che
alle due forme di oppressione conosciute dall’umanità, quella delle
armi e del denaro se ne aggiunge una terza: l’oppressione esercitata
mediante la funzione e che Caumus, in L’uomo in rivolta riprende
nell’identificare «chi dispone della macchina e coloro di cui la macchina dispone»51.
Si perde quindi il senso del Politico, di derivazione platonica e
ciceroniana, per giungere verso un nuovo nichilistico ‘spazio funzionale’ che diventa il «sempre la forma reale, cioè l’attualizzazione
45
Ivi, p. 108.
Ivi, p. 109.
47
ID., Sul Colonialismo, Milano, 2003, p. 48.
48
Cfr. la nozione di progresso in ALAIN, Cento e un ragionamenti, cit., pp.
160-162.
49
S. WEIL, Oeuvres complètes, tomo II, volume I, pp. 260-281.
50
ID., Oeuvres, Paris, 2008, pp. 119-126.
51
A. CAMUS, L’uomo in rivolta, cit., p. 235.
46
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dello spazio esistenziale»52, privo del rapporto autentico tra gli individui, considerati nella loro unicità.
52
J. HERSCH, Essere e forma, cit., p. 119.
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