Nella distinzione tradizionale che si fa fra

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Nella distinzione tradizionale che si fa fra comunicazione verbale e non verbale l’enfasi è posta sul
modo in cui i dati si presentano: un discorso è verbale, mentre un sorriso non è verbale. Questa
tesi presenta una serie di insormontabili difficoltà, che mi limito qui ad accennare: una più
approfondita discussione è offerta in Pragmatica cognitiva (Bara, 1999). La più importante critica
alla dicotomia fra verbale e non verbale è che esistono linguaggi, come quello dei segni per i
sordomuti, che presentano ogni caratteristica del linguaggio, compresa la localizzazione cerebrale
della sua gestione, per essendo ovviamente non verbali, ma basati appunto sui gesti. Inoltre, è
impossibile classificare in modo adeguato tutti gli indicatori non linguistici che si accompagnano al
linguaggio, come il tono e il volume della voce.
La distinzione alternativa qui proposta è che la differenza fra comunicazione linguistica ed
extralinguistica è un processo, non un dato. L’idea consiste nel considerare i due tipi di
comunicazione diversi per il modo in cui elaborano i dati, indipendentemente da come i dati stessi
siano codificati: la comunicazione è un processo, e comunicare linguisticamente o
extralinguisticamente vuol dire usare due modi diversi di analizzare i dati.
Lo stesso tipo di input si presta quindi a un’analisi sia linguistica che extralinguistica, e
presumibilmente, tranne che in casi particolari, sarà quindi elaborato in due modi diversi. Mentre
nell’ottica della comunicazione verbale e non verbale il dato in ingresso ammette una sola
elaborazione stabilita dalla sua struttura intrinseca, nell’ottica che sto proponendo ciascun tipo di
espressione comunicativa viene contemporaneamente analizzato da due diversi processi, uno
linguistico e uno extralinguistico.
Alcuni tipi di input privilegiano la modalità linguistica, per esempio nel caso di una registrazione
audio, o di una lettera. Viceversa, altri tipi di input privilegiano la modalità extralinguistica, per
esempio nel caso di un’iterazione corporea emozionalmente carica come un commosso abbraccio
di ringraziamento, o di un film muto.
[…]
Comunicazione linguistica: composizionale
Definisco la comunicazione linguistica come l’uso comunicativo di un sistema di simboli: ciò
significa che il linguaggio è composizionale, vale a dire è costituito ricorsivamente grazie a unità
componibili, non a parti elementari. Alcune espressioni linguistiche hanno una struttura atomica,
mentre altre possiedono una struttura molecolare: a loro volta, i costituenti di una molecola
possono essere atomici o molecolari. Il contenuto semantico di un’espressione linguistica, che sia
atomica o molecolare, dipende tanto dalla sua struttura globale quanto dal contenuto semantico
dei suoi costituenti.
Per esempio, il significato di una frase comune come:
[1]
La vita imita l’arte.
È determinato sia dal significato dei costituenti molecolari (la vita; imita; l’arte), sia dai
sottocostituenti atomici (la; vita; imita; l’; arte), sia infine dalla struttura globale della frase stessa,
struttura che è portatrice di ulteriore informazione. Infatti, la struttura globale di [1] ha un significato
differente rispetto a:
[2]
L’arte imita la vita.
In [2] a parità di costituenti è la struttura globale della frase a modificare il senso della frase,
invertendo il rapporto fra soggetto e oggetto. Come anche è la struttura globale a svuotare di
significato un’ulteriore variante come:
[3]
L’imita vita arte la.
La composizionalità determina le seguenti caratteristiche del linguaggio, che definiscono il modo
linguistico di elaborare le espressioni cominucative.
a) Sistematicità
Inerente al concetto di linguaggio è quello di struttura sintattica, come definita da Noam Chomsky
in Le strutture della sintassi (1957). Le frasi di un linguaggio non sono arbitrariamente componibili,
né spezzettabili: la capacità di generare e comprendere determinate frasi è intrinsecamente – e
quindi non arbitrariamente – collegata alla capacità di generare e comprendere certe altre frasi.
Per esempio, un parlante che sia in grado di generare o di comprendere la frase [1] è anche in
grado, a patto che siano soddisfatte una serie di condizioni di base riguardo al lessico e alla
conoscenza generare, di generare e di comprendere frasi a questa sintatticamente imparentate,
come:
[4]
Chaplin imita Hitler.
Van Gogh imita i pittori giapponesi.
Il falsario imita la banconota.
[…]
Comunicazione extralinguistica: associativa
Definisco la comunicazione extralinguistica come l’uso comunicativo di un insieme di simboli. È
essenzialmente non composizionale: è cioè fatta di parti, non di costituenti. Si tratta di blocchi
molecolari non scomponibili ulteriormente, in quanto dotati di significato globale intrinseco. Le parti
non possiedono significati atomici, in cui possano essere ulteriormente scomposte. Un abbraccio è
un abbraccio e un ceffone è un ceffone: non è possibile scomporli in unità più elementari.
Ciò comporta una serie di differenze essenziali rispetto al linguaggio:
a) Associabilità
La proprietà che distingue una struttura non composizionale è quella associativa. Dato che non
esiste alcun modo sistematico di comporre fra loro i significati elementari per generarne uno
globale più ricco della semplice sequenza, ciascun significato extralinguistico rimane un atomo
indipendente: non è possibile alcuna struttura superordinata, molecolare.
Ciò non vuol dire che ogni espressione extralinguistica debba rimanere isolata, a sé stante: è
certamente possibile costruire una sequenza di simboli dai significati collegati, giustapponendoli fra
loro. Il punto è però che il significato della sequenza di atti extralinguistici sarà sempre dato per
associazione semplice fra i simboli elementari, mai per composizione di significati come avviene
nel linguaggio.
Da Bruno Bara, Il sogno della permanenza. L’evoluzione della scrittura e del numero, Bollati
Boringhieri, Torino 2003, pp. 50 – 54.
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