Coordinamento Provinciale di Treviso delle Associazioni di Promozione Sociale CORSO DI FORMAZIONE PER I RESPONSABILI DI ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO E/O DI PROMOZIONE SOCIALE Le organizzazioni di terzo settore e il sistema di protezione sociale: visione sistemica e profili evolutivi Giuseppe Marcon Università Ca‟ Foscari Venezia Prof. Giuseppe Marcon © 2011 1 Struttura della relazione • Welfare, terzo settore, pubblica amministrazione: aspetti evolutivi • Rilevanza economica e sociale del terzo settore • Il terzo settore: aspetti definitori • Teorie sull’esistenza e sul ruolo delle organizzazioni nonprofit • La classificazione delle organizzazioni nonprofit • Le principali forme di organizzazioni nonprofit nella legislazione italiana • Considerazioni conclusive. Ancora sulla classificazione delle organizzazioni nonprofit Prof. Giuseppe Marcon © 2011 2 Welfare, terzo settore, pubblica amministrazione: aspetti evolutivi L‟evoluzione del welfare state nel processo di modernizzazione della pubblica amministrazione e il ruolo del terzo settore Prof. Giuseppe Marcon © 2011 3 Il welfare nell‟evoluzione delle concezioni e dei modelli di Stato e di pubblica amministrazione • L‟accettazione del concetto di welfare e la sua successiva diffusione sono stati storicamente fenomeni di vasta portata – Non si è trattato solo di un allargamento dei servizi alla persona … – … ma di una trasformazione • della concezione dello Stato e del suo modo di operare • e dei diritti fondamentali e del ruolo del cittadino • Il concetto di welfare state contiene un imprescindibile riferimento allo Stato come attore centrale nella garanzia dei diritti – Ma la promozione del sistema di welfare ha anche un altro attore fondamentale: il privato sociale o terzo settore o nonprofit – Conseguentemente, la trasformazione dello Stato prodotta dall‟affermazione del welfare state o stato sociale porta con sé anche la trasformazione del ruolo dei corpi sociali intermedi • Ciò fa sì che i processi di modernizzazione dello Stato s‟intreccino con l‟evoluzione del ruolo del privato sociale Prof. Giuseppe Marcon © 2011 4 Welfare e welfare state: significato /1 • Definizione di welfare state: – «Un sistema sociale nel quale lo Stato assume una responsabilità primaria per il benessere dei suoi cittadini, in materie come • • • • la sanità, l‟educazione, il lavoro e la sicurezza sociale» – Nella definizione, “Stato” va inteso come “pubblica amministrazione” – Traduzioni correnti del termine: “stato del benessere”, “stato sociale” – Evoluzioni del termine: “società del benessere”, “comunità del benessere” Prof. Giuseppe Marcon © 2011 5 Welfare e welfare state: significato /2 • Una definizione più analitica [anche se un po‟ partigiana]: – «Il welfare state è uno Stato in cui il potere organizzato è usato deliberatamente (attraverso la politica e l‟amministrazione) allo scopo di modificare le forze del mercato in almeno tre direzioni: – primo, garantendo a individui e famiglie un reddito minimo indipendentemente dal valore di mercato della loro proprietà; – secondo, restringendo la misura dell’insicurezza mettendo individui e famiglie in condizione di fronteggiare certe „contingenze sociali‟ (per esempio, malattia,vecchiaia e disoccupazione) che porterebbero a crisi individuali e familiari; – e terzo, assicurando ad ogni cittadino senza distinzione di classe o status i migliori standard disponibili in relazione a una gamma concordata di servizi sociali» [Asa Briggs, The Welfare State in Historical Perspective, in «European Journal of Sociology», 2/2,1961, p. 228] Prof. Giuseppe Marcon © 2011 6 Fasi di sviluppo del welfare state /1 • Lo Stato sociale si è essenzialmente sviluppato e consolidato in Occidente durante il XIX ed il XX secolo, di pari passo con la storia della civiltà industriale. Cinque fasi storiche: – Prima fase: embrionale • Introduzione delle leggi sui poveri (Poor Law, Inghilterra, 1601) Assistenza per i poveri nel caso in cui le famiglie non fossero in grado di provvedervi Contenuto filantropico Logica ispiratrice: riducendo il tasso di povertà, si potevano ridurre i fenomeni negativi connessi, come la criminalità Prof. Giuseppe Marcon © 2011 7 Fasi di sviluppo del welfare state /2 – Seconda fase: prima estensione • Si riconduce alla prima rivoluzione industriale ed alla legislazione inglese del 1834 – L‟estensione al continente europeo avvenne solo nel periodo tra il 1885 e il 1915 • Le forme assistenziali continuano ad essere individuali – Sono rivolte unicamente agli appartenenti ad una classe sociale svantaggiata (minori, orfani, poveri ecc.) – Nascono le prime assicurazioni sociali (a garanzia dei lavoratori nei confronti di incidenti sul lavoro, malattie e vecchiaia) » In un primo momento su base volontaria; poi obbligatorie per tutti i lavoratori » Paese pioniere nell‟introduzione dell‟assicurazione sociale obbligatoria (1883) fu la Germania di Otto von Bismarck » Gran Bretagna: 1911 » Italia: 1926-1929 Prof. Giuseppe Marcon © 2011 8 Fasi di sviluppo del welfare state /3 • Logica ispiratrice: ricerca della pace sociale conciliando le rivendicazioni di maggior protezione da parte dei lavoratori proletari e la richiesta di manodopera al minor costo possibile da parte degli industriali • Sempre in Inghilterra, un ulteriore passo avanti fu rappresentato dalla creazione delle workhouse, case di lavoro e accoglienza, che si proponevano di combattere la disoccupazione e di tenere basso il costo della manodopera – Tuttavia queste si trasformarono di fatto in luoghi di detenzione forzata; la permanenza in questi centri pubblici equivaleva alla perdita dei diritti civili e politici in cambio dell‟ottenimento dell'assistenza governativa Prof. Giuseppe Marcon © 2011 9 Fasi di sviluppo del welfare state /4 • Terza fase: consolidamento – Inizio nel secondo dopoguerra • Nel 1942, nel Regno Unito, era stato pubblicato il famoso Rapporto Beveridge [dal nome dell'economista che ne fu autore: William Beveridge] – La sicurezza sociale compie un decisivo passo avanti Vengono introdotti e definiti i concetti di sanità pubblica e pensione sociale per i cittadini Le proposte del Rapporto Beveridge vengono attuate dal governo laburista presieduto da Clement Attlee, primo ministro dal 1945 – Nel 1948 in Svezia si introduce la pensione popolare fondata sul diritto di nascita Il welfare diviene così universale, garantendo l‟eguaglianza dei diritti civili e politici, acquisiti alla nascita Prof. Giuseppe Marcon © 2011 10 Fasi di sviluppo del welfare state /5 • Quarta fase: forte crescita della spesa sociale – La spesa sociale cresce fortemente fino anni 1980 e 1990 • L‟analogo andamento del PIL lo consente – Si preparano però le condizioni della crisi dello stato sociale • Quinta fase: crisi e riforma dello stato sociale – È la fase iniziata nella seconda metà degli anni 1980 o negli anni 1990, secondo i Paesi • Il problema della sostenibilità economico-finanziaria dello stato sociale assume centralità in molti Paesi • Vengono contestualmente avviate profonde riforme della pubblica amministrazione Prof. Giuseppe Marcon © 2011 11 Modelli di stato sociale [Gøsta Esping-Andersen, The Three Worlds of Welfare Capitalism, Princeton University Press, 1990 ] /1 • Modello liberale – È definito di welfare "residuale” • • I diritti sociali conseguono alla dimostrazione dello stato di bisogno Precedenza ai poveri meritevoli (teoria della less eligibility: principio introdotto dal Poor Law Amendment Act del 1834, in Inghilterra e nel Galles, che disciplinò le workhouses, luoghi dove gli indigenti impossibilitati a badare al propio mantenimento potevano vivere e lavorare: La situazione della persona avente diritto al sussidio di povertà nel complesso non deve essere riportata al livello di quella del lavoratore autonomo della classe più bassa • Logica del «lasciare, per quanto possibile, che le persone se la cavino da sole» I servizi pubblici non vengono forniti indistintamente a tutti, ma solamente a chi ha risorse limitate, previo accertamento dello stato di bisogno Prof. Giuseppe Marcon © 2011 12 Modelli di stato sociale [Gøsta Esping-Andersen, The Three Worlds of Welfare Capitalism, Princeton University Press, 1990 ] /2 Da questo deriva la definizione di residuale: concerne una fascia di destinatari molto ristretta • Il welfare è appena tollerato come strumento residuale di stabilizzazione sociale • Utilizzato in un primo tempo per il controllo dei poveri e successivamente per integrare i lavoratori industriali a più basso reddito • Le classi medie restano escluse • Per la maggior parte della società i servizi sono acquistabili sul mercato privato dei servizi • Quando l'incontro tra domanda e offerta non si realizza [cause: eccessivo costo dei servizi e/o insufficienza del reddito]: – si ha il cosiddetto “fallimento del mercato” – come rimedio si ricorre a programmi destinati alle fasce di maggior rischio » Esempio: negli USA sono previsti organismi come il Medicaid per i poveri, il Medicare per gli anziani e l„Aid to Families with Dependent Children (AFDC) per le madri sole Prof. Giuseppe Marcon © 2011 13 Modelli di stato sociale [Gøsta Esping-Andersen, The Three Worlds of Welfare Capitalism, Princeton University Press, 1990 ] /3 – l modello liberale riflette una teoria politica che considera utile ridurre al minimo l'impegno dello Stato • «Individualizzazione dei rischi sociali» • Come conseguenza si ha un forte dualismo tra cittadini assistiti e cittadini considerati non bisognosi, e quindi non assistiti – Tale modello è tipico dei paesi anglosassoni: Australia, Nuova Zelanda, Canada, Regno Unito e Stati Uniti Predominanza del mercato Prof. Giuseppe Marcon © 2011 14 Modelli di stato sociale [Gøsta Esping-Andersen, The Three Worlds of Welfare Capitalism, Princeton University Press, 1990 ] /4 • Modello conservatore – È definito "particolaristico” • I diritti derivano dalla professione esercitata – Prestazioni del welfare condizionate al possesso di determinati requisiti, in primo luogo l'esercizio di un lavoro – In base al lavoro svolto si stipulano delle assicurazioni sociali obbligatorie che sono all‟origine della copertura per i cittadini – I diritti sociali sono quindi collegati alla condizione del lavoratore – È il modello tipico degli Stati dell‟Europa continentale e meridionale, tra cui l‟Italia [però solo per determinati servizi] – Una variante del modello è il cosiddetto welfare aziendale, presente che in alcuni Paesi occidentali ed in Giappone • Si basa su contributi dei dipendenti e dell‟azienda che, nel caso in cui si possano prevedere utili nel lungo periodo, possono rappresentare la parte principale del finanziamento dei servizi Prof. Giuseppe Marcon © 2011 15 Modelli di stato sociale [Gøsta Esping-Andersen, The Three Worlds of Welfare Capitalism, Princeton University Press, 1990 ] /5 • Modello socialdemocratico – È definito "universalistico" • I diritti vengono fatti discendere dalla cittadinanza – I servizi fondamentali vengono offerti a tutti i cittadini senza nessuna differenza – Promuove l‟uguaglianza di status Passando dal concetto di assicurazione sociale a quello di sicurezza sociale • Viene fornito un welfare mirante a garantire a tutta la popolazione degli standard di vita qualitativamente più elevati – Questo modello è tipico degli Stati dell‟Europa del Nord e dell'Italia [per determinati servizi] Prof. Giuseppe Marcon © 2011 16 Fasi e aspetti dell‟evoluzione della pubblica amministrazione: dallo stato di diritto allo stato sociale /1 • Prima dell‟affermazione dello stato sociale … – … Lo stato di diritto • Definizione: – «Organismo politico che fonda la sua legittimità non sul potere arbitrario del sovrano, ma su una costituzione, che tutela i diritti fondamentali del cittadino e stabilisce la distribuzione del potere fra i vari apparati» • Origine: – Nasce sul finire del XVIII secolo dal superamento dello stato assoluto e si perfeziona progressivamente, grazie al contributo del pensiero liberale e democratico • Il termine stato di diritto deriva dall‟espressione originaria tedesca "Rechtsstaat” Prof. Giuseppe Marcon © 2011 17 Fasi e aspetti dell‟evoluzione della pubblica amministrazione: dallo stato di diritto allo stato sociale /2 • Fondamento di questa forma dello Stato è la salvaguardia – della supremazia del diritto – e delle connesse libertà dell'uomo • La concezione dello stato di diritto presuppone che l'agire dello Stato stesso – e dunque non solo l‟agire del cittadino – sia sempre vincolato e conforme alle leggi vigenti – Lo Stato sottopone se stesso al rispetto delle norme di diritto, e questo avviene tramite una Costituzione scritta Prof. Giuseppe Marcon © 2011 18 Fasi e aspetti dell‟evoluzione della pubblica amministrazione: dallo stato di diritto allo stato sociale /3 – Lo stato di diritto si qualifica dunque come prima organica affermazione dei fondamentali diritti umani e civili della persona – Ma nelle sue prime manifestazioni la funzione amministrativa dello Stato appare limitata all‟applicazione della legge e a garantire le condizioni formali di esercizio dei diritti – Ne deriva che il concetto di stato di diritto si esplica in due nozioni: lo stato di diritto in senso formale e lo stato di diritto in senso materiale – La fondamentale concretizzazione dello stato di diritto in senso materiale si ha con lo stato sociale Prof. Giuseppe Marcon © 2011 19 La “modernizzazione” della pubblica amministrazione [dagli anni 1980 ad oggi] /1 • Il «New Public Sector» [«New Public Administration», «New Public Management»]: a partire dalla fine degli anni 1980 – Riduzione delle aree di intervento pubblico – Attenzione alla creazione di “economie di sistema” – Miglioramento dell‟economicità e della qualità dei servizi – Aziendalizzazione – Managerializzazione • Gestione per obiettivi • Delega gestionale – “Accountability” Prof. Giuseppe Marcon © 2011 20 La “modernizzazione” della pubblica amministrazione [dagli anni 1980 ad oggi] /2 • La «New Public Governance»: a partire dalla metà degli anni 1990 – Dalla logica di governo alla logica di governance – Da una visione «monocentrica e monorazionale», in cui la PA guida i processi sociali dall‟alto di una posizione sovraordinata e usando il suo potere d‟imperio, ad una visione «policentrica e poliforme», il cui cardine è costituito dalla nozione di interazione fra gli attori sociali nell‟ambito dell‟«azione collettiva» – Dalla democrazia rappresentativa alla democrazia partecipativa o «deliberativa» (o «dialogica») Prof. Giuseppe Marcon © 2011 21 21 La “modernizzazione” della pubblica amministrazione [dagli anni 1980 ad oggi] /3 • Il «New Public Service»: tendenza in corso [?] – La funzione della pubblica amministrazione non è più «remare» (ovvero produrre ed erogare direttamente beni e servizi), come nella visione tradizionale, dipinta efficacemente da Osborne e Gabler [Reinventing Government, Addison-Wesley Publ. Co., 1992], né «guidare» (ovvero stimolare e coordinare), come nell‟NPM, ma «servire» – In altri termini, «il ruolo primario dell‟operatore pubblico è aiutare i cittadini ad articolare e soddisfare i loro comuni interessi, piuttosto che cercare di controllare e guidare la società» (Denhardt e Denhardt, in “The New Public Service” Public Administration Review, 60(6), 2000, p. 549 Prof. Giuseppe Marcon © 2011 22 22 Il mutamento del ruolo del terzo settore: cenni e rinvio • I mutamenti intervenuti nella pubblica amministrazione dalla seconda metà degli anni 1980 hanno visto una parallela evoluzione della rilevanza e del ruolo del terzo settore – Alla riduzione della presenza diretta dello Stato ha fatto seguito l‟aumento della presenza del terzo settore – Alla trasformazione del ruolo e delle modalità d‟azione dello Stato [NPM ï NPG ï NPS] ha fatto seguito la trasformazione del ruolo e delle modalità d’azione del terzo settore • Dalla funzione di produttore/erogatore di beni e servizi [spesso in supplenza dello Stato] ad un ruolo di protagonismo nella definizione e nell’attuazione delle politiche sociali – V. più avanti il passaggio dalla concezione di welfare state, a quella di welfare society, a quella di welfare community Prof. Giuseppe Marcon © 2011 23 Dal welfare state alla welfare society /1 • L‟idea tradizionale di welfare state comincia ad entrare in crisi verso la metà degli anni 1970, anche se in molti paesi la spesa sociale continuerà a crescere fino agli anni 1980-1990 • Si affaccia la preoccupazione per la sostenibilità economico-finanziaria • Si mettono fortemente in discussione le teorie keynesiane che avevano guidato la ricostruzione postbellica – Non si crede più al “circolo virtuoso”: forte crescita economica forte spesa sociale nuovo impulso alla crescita • Si diffondono idee contrarie alla tassazione elevata • Si afferma l‟idea che il welfare determini una negativa “dipendenza” del cittadino • Il welfare tradizionale non appare adeguato a fronteggiare le nuove povertà (non più “assolute”, ma “relative”) Prof. Giuseppe Marcon © 2011 24 Dal welfare state alla welfare society /2 – Si ipotizza che un certo welfare (quello universalistico) abbia favorito in modo rilevante i ceti medi, penalizzando «chi aveva veramente bisogno» – «Socializzazione dei costi e privatizzazione dei benefici» • Si apre un periodo neoliberista » Si manifestano due posizioni » Una “radicale”, che invoca il sostanziale smantellamento dell‟intervento pubblico nel sistema di protezione sociale » Un‟altra più “moderata”, tesa alla ricerca di modi per equilibrare la tutela dei diritti con le esigenze di sostenibilità Prof. Giuseppe Marcon © 2011 25 Dal welfare state alla welfare society /3 • Il cambiamento che si avvia si sviluppa lungo tre direttrici principali: – Estensione della collaborazione fra pubblico e privato • Viene in evidenza soprattutto il “privato sociale” – Valorizzazione delle funzioni delle comunità locali • Si tende ad affermarne la centralità rispetto al riconoscimento dei bisogni • Si affermano logiche come quella del “mutuo aiuto”, che esaltano il potenziale di autonomia delle comunità locali – Tentativo di coniugare “universalismo” e “selettività” • Si cercano meccanismi di misurazione del bisogno (“merito”) e del reddito dei cittadini • In altri termini, si profila un tentativo di estendere la responsabilizzazione intorno al sistema di welfare – Si riduce la centralità dello Stato nella garanzia dei diritti e si afferma corrispondentemente la responsabilità delle diverse espressioni della società (gli individui, le famiglie, le diverse forme di aggregazione, …) Prof. Giuseppe Marcon © 2011 26 Dal welfare state alla welfare society /4 • Mentre la contestazione “radicale” dello stato sociale postula il ritorno alla visione “residuale” del welfare state, la posizione più moderata [= riforma e ristrutturazione, piuttosto che sostanziale ridimensionamento del sistema di welfare pubblico] propugna un nuovo modello di welfare nel quale – allo Stato compete la “gestione strategica” del sistema e il presidio dei meccanismi di redistribuzione delle risorse [garanzia della giustizia sociale] – le molteplici articolazioni (formali e informali) della società si fanno carico della produzione ed erogazione di una parte rilevante dei servizi necessari per garantire i diritti • Dal welfare state alla welfare society Prof. Giuseppe Marcon © 2011 27 Dal welfare state alla welfare society /5 • La welfare society, potenzialmente, persegue due vantaggi rispetto al welfare state: – Il contenimento delle risorse pubbliche impegnate nel sistema di welfare [grazie al trasferimento di compiti al privato sociale] – La creazione di un tessuto sociale più esteso e più forte • Ci sono però dei rischi: – Possono mancare i presupposti per un vero protagonismo della società • L‟”arretramento” dello Stato può non essere compensato da un‟attivazione delle realtà sociali • Rischio di “scaricare” sulle famiglie e sui corpi sociali intermedi una serie di bisogni, invece di “valorizzare” la società – Si perpetuano o si ricreano disparità e diseguaglianze fra le diverse aree territoriali Prof. Giuseppe Marcon © 2011 28 Dal welfare state alla welfare society: qualche approfondimento /1 • Lo stato sociale tradizionale [soprattutto quello non universalistico] si basa su una particolare concezione della cittadinanza: – Cittadinanza concepita come un rapporto diretto Stato-cittadino, consistente in un complesso di diritti-doveri riferiti al cittadino, in quanto appartenente allo Stato – Il governo della società avviene attraverso un compromesso fra Stato e mercato, nel cui quadro lo Stato, attraverso il welfare, rimedia alle insufficienze del mercato – Le politiche sociali sono principalmente espressione di processi di concertazione fra attori pubblici e attori di mercato Prof. Giuseppe Marcon © 2011 29 Dal welfare state alla welfare society: qualche approfondimento /2 • La nuova concezione: – Superamento della visione della cittadinanza come appartenenza allo Stato, in favore di una concezione che intende la cittadinanza come un complesso di diritti-doveri di “soggetti di cittadinanza”, individui o attori collettivi (corpi sociali intermedi) – Il governo della società, e quindi la gestione della cittadinanza, poggia sulla concertazione fra una pluralità di attori sociali: Stato, mercato, privato sociale. I soggetti di mercato non sono più interlocutori privilegiati – Politiche sociali: espressione di redistribuzione del potere fra gli attori sociali: Stato, mercato, privato sociale • Questa è la welfare society Prof. Giuseppe Marcon © 2011 30 Dal welfare state alla welfare society: qualche approfondimento /3 • Welfare society: alcune ulteriori caratteristiche – “Pluralizzazione” degli attori e degli strumenti del welfare, ovvero della protezione sociale – Le politiche sociali non coincidono più con le politiche pubbliche • Diventano una funzione sociale diffusa ï Governance sociale – Deregolazione dei sistemi di protezione sociale, come è avvenuto per il resto della società e dell‟economia • Schemi selettivi e diversificati Prof. Giuseppe Marcon © 2011 31 Dal welfare state alla welfare society: qualche approfondimento /4 – Il benessere deve essere espressione più della società che dello Stato: i destinatari dei programmi di welfare devono giocare un ruolo più attivo • I cittadini come prosumers, cioè produttori, distributori e consumatori dei servizi di welfare – Prosumer = Producer/Professional + Consumer » Termine che, in generale, si riferisce ad un utente che, svincolandosi dal classico ruolo passivo, assume un ruolo più attivo nel processo che coinvolge le fasi di creazione, produzione, distribuzione, consumo Prof. Giuseppe Marcon © 2011 32 Il welfare mix • La nuova concezione della welfare society contiene l‟idea di welfare mix – Tale idea è nata dalla circostanza [e dalla riforma] in base alle quali le società hanno dovuto far ricorso crescente alle famiglie, al privato sociale, alle cooperative e alle reti informali • Non più solo lo Stato • Attori del benessere: Stato, mercato, terzo settore, reti informali – Benessere come prodotto di una logica complessa, un prodotto “composto” di vari elementi, fra i quali: • La qualità del capitale sociale presente • La combinazione degli attori sociali Prof. Giuseppe Marcon © 2011 33 La welfare community /1 • Due possibili significati della welfare community ¶ Sinonimo di welfare comunitario • Area di welfare che si riferisce a luoghi e opportunità di relazione e definisce “servizi di prossimità” con valore di promozione sociale – Tra questi i centri sociali per anziani, i centri di aggregazione per adolescenti e giovani, i centri diurni per disabili, ecc. • Nell‟espressione “servizi di prossimità il termine “prossimità” indica la distanza ravvicinata rispetto a delle situazioni o a delle persone; in senso figurativo suggerisce anche affinità morale e spirituale – Cfr. Giuliano Tacchi e Roberto Drago, Dizionario narrativo del welfare, http://www.dizionariodelwelfare.it/Home/tabid/36/Default.as px Prof. Giuseppe Marcon © 2011 34 La welfare community /2 • I servizi di prossimità sono una risposta a bisogni che implicano una relazione forte fra coloro che erogano i servizi e coloro che ne beneficiano • Questi servizi sono tipicamente offerti nell‟ambito di un territorio ristretto, ad una popolazione data, da parte di un organismo senza scopo di lucro, inserito in un processo di empowerment collettivo · Un particolare sviluppo dell’espressione welfare society • Per capire bisogna anzitutto risalire all‟etimologia del termine comunità [«communitas»]. Due chiavi: – Communis, «che è di tutti» Prof. Giuseppe Marcon © 2011 35 La welfare community /3 – Cum-munus: » Dono obbligato » Qualcuno che abbia accettato il munus è posto in obbligo di ricambiarlo » Il munus esprime la gratitudine che esige di essere ricambiata, il «dono che si dà perché non si può non dare» [crf. R. Esposito, Origine e destino della comunità, Torino, Einaudi, 1998] » «Ciò che unisce i membri della comunità è un onere, un debito, una comune privazione: vi è tutta la forza dell‟impegno morale che si è contratto nel confronto degli altri e che necessita di una pronta disobbligazione…] » Il munus è reciprocità Prof. Giuseppe Marcon © 2011 36 La welfare community /4 – Utile risalire alla distinzione introdotta da Ferdinand Tönnies fra Gemeinschaft («comunità») e Gesellschaft («società») » Gemeinschaft ï cooperazione comunitaria » Gesellschaft ï cooperazione associativa [Cfr. F. Tönnies, Gemeinschaft und Gesellschaft; trad. it. Comunità e società, Milano, Edizioni di Comunità, 1963] – Alla base della distinzione c‟è la natura dell‟azione cooperativa: » Per legami forti nella cooperazione comunitaria » Per legami più deboli nella cooperazione associativa + N.B. Viene usata anche per distinguere la logica dell‟impresa cooperativa rispetto a quella dell‟impresa capitalistica Prof. Giuseppe Marcon © 2011 37 La welfare community /5 • Communis, cum-munus, Gemeinschaft: – Danno l‟idea di una società nella quale • • • • • • • Si creano legami forti Si ha condivisione di valori e di fini (e non solo di mezzi) Il capitale sociale che si genera e di cui si fruisce è rilevante [tessuto sociale fitto] Grazie ad un contesto diffuso di fiducia [elemento cruciale per il capitale sociale] vi è partecipazione ai massimi livelli della scala della partecipazione Si ha diffusione delle partnership pubblico-privato Si mettono in comune risorse umane, finanziarie, materiali, per il raggiungimento dei fini comuni «La comunità è considerata buona, perché i suoi membri cooperano; si aiutano l‟un l‟altro. La cooperazione presuppone un‟effettiva ed efficace comunicazione, che è considerata un‟altra caratteristica della comunità: caratteristica che la distingue dalla società, i cui membri – spesso estranei gli uni agli altri – o non comunicano o comunicano con minor successo» [Yi-Fu Tuan, Community, Society, and the Individual, in Geographical Review, Vol. 92, No. 3 (Jul., 2002), pp. 307-308] Prof. Giuseppe Marcon © 2011 38 Valore aggiunto, valore sociale e valore pubblico /1 • Il passaggio dal welfare state al welfare mix e alla welfare society e alla welfare community provoca una serie di conseguenze. Fra queste, una diversa combinazione dei valori in gioco: – Valore pubblico – Valore sociale – Valore privato (valore aggiunto) • Cambiano i metri di giudizio delle azioni – Il privato for profit, entrando in una partnership pubblicoprivato per la gestione di servizi di welfare, tenderà ad agire secondo logiche di valore aggiunto privato (divario fra il valore della produzione e i costi sopportati per ottenerla) • Tenderà a privilegiare quantità interne, rappresentate nel conto economico • Attraverso lo scambio economico, verranno in evidenza la reciproca convenienza del produttore/erogatore e dell‟utente Prof. Giuseppe Marcon © 2011 39 Valore aggiunto, valore sociale e valore pubblico /2 – Organizzazioni pubbliche e nonprofit: il valore generato ha significato compiuto solo attraverso la combinazione di quantità interne ed esterne ï benefici sociali [interni + esterni] meno costi sociali [interni + esterni] • Il valore sociale e il valore pubblico comprendono: – oltre ai benefici generati per l‟utente • benefici che, in certe condizioni, potrebbero essere garantiti anche dal mercato ed avere corrispondenza nel valore aggiunto del produttore/erogatore – i benefici per il cittadino o per la comunità Prof. Giuseppe Marcon © 2011 40 Valore aggiunto, valore sociale e valore pubblico /3 • Come esempio di elementi di valore sociale o valore pubblico, che il valore aggiunto privato non può determinare, si considerino i benefici della prevenzione sanitaria attraverso programmi di public health • Quando ci si allontana dal welfare state si pone inevitabilmente un interrogativo: quale sistema di valori (combinazione di valori) entra in gioco? • Illusorio attendersi che la ristrutturazione del welfare possa limitarsi ad incidere sull‟efficienza attraverso il contenimento dei costi ed il miglioramento della produttività – Cambieranno anche le priorità, l‟efficacia e l‟equità, in un “mix” che dipende dalla combinazione degli attori e dei loro valori Prof. Giuseppe Marcon © 2011 41 Rilevanza economica e sociale del terzo settore Numerosità delle organizzazioni Ambiti di attività Distribuzione territoriale Occupazione Prof. Giuseppe Marcon © 2011 42 Primo censimento delle istituzioni nonprofit /1 • Le istituzioni nonprofit attive sono 221.412 • Di queste, la metà è localizzata nell'Italia settentrionale (21.092 nel Veneto) • … e i due terzi circa svolgono l'attività prevalente nel settore della cultura, sport e ricreazione • Inoltre, il 55,2% è nato nel corso dell'ultimo decennio, a conferma della relativa novità del fenomeno • Nel 91,3% dei casi sono associazioni, riconosciute (61.313) e non (140.746) • Tuttavia, sono attive anche 3.008 fondazioni e 4.651 cooperative sociali, le quali, sebbene meno numerose, ricoprono un ruolo molto significativo per le attività svolte, la quota di occupati utilizzati e la consistenza economica delle loro iniziative Prof. Giuseppe Marcon © 2011 43 Primo censimento delle istituzioni nonprofit /2 • Nelle istituzioni nonprofit sono impiegati 630 mila lavoratori retribuiti, di cui 532 mila sono lavoratori dipendenti, 80 mila addetti con contratto di collaborazione coordinata e continuativa e 18 mila lavoratori distaccati o comandati da altre imprese e/o istituzioni • A questi vanno ad aggiungersi 3,2 milioni di volontari, 96 mila religiosi e 28 mila obiettori di coscienza • Nel complesso, le istituzioni nonprofit italiane dichiarano circa 73 mila miliardi di lire di entrate (quasi 38 miliardi di Euro) e 69 mila miliardi di uscite (oltre 35 miliardi di Euro) • Questi sono i principali risultati della prima rilevazione censuaria sulle istituzioni e le imprese nonprofit attive in Italia al 31 dicembre 1999 Prof. Giuseppe Marcon © 2011 44 Le Organizzazioni Non Governative (ONG) • 159 ORGANIZZAZIONI NONGOVERNATIVE ITALIANE • Il Comitato di Collegamento delle ONGS dell‟Unione Europea rappresenta, rispetto alle istituzioni dell‟Unione Europea, più di 800 Organizzazioni Non Governative di Sviluppo europee (ONGS) che operano nel campo dello sviluppo e dell‟aiuto umanitario, raggruppate in 15 Piattaforme Nazionali Prof. Giuseppe Marcon © 2011 45 Terzo settore: occupazione /1 • • • La percentuale di occupazione nella cooperazione e nel nonprofit in Italia eguaglia la percentuale di occupazione del settore credito e assicurazioni Il valore della produzione per l‟intero settore nonprofit è cresciuto del 7% tra 1992 e 1998 (quando il PIL cresceva di 1,5-2 punti percentuali), mentre l‟occupazione è salita del 3% annuo Le aree occupazionali più interessanti e con maggiori margini di sviluppo sono quelle dei servizi alla comunità, in cui piccole strutture - con meno di 15 lavoratori - sono attive nel campo della cultura, della comunicazione, dell‟ambiente, dello sport amatoriale, secondo formule di integrazione e arricchimento (comunque non sostituzione) dell‟intervento pubblico (Alessandro Messina, http://www.lunaria.org/sbilanciamoci/articolo_manifesto_am_2909.ht ml) Prof. Giuseppe Marcon © 2011 46 Terzo settore: occupazione /2 • Occupazione (% su occupazione totale) (Barbetta, 1996) – – – – – – – U.S.A: 6,8% Francia: 4,2% Gran Bretagna: 4,0% Germania: 3,7% Giappone: 2,5% Italia: 1,8% Ungheria: 0,8% Prof. Giuseppe Marcon © 2011 47 Il terzo settore: aspetti definitori (v. Sandro Stanzani, La specificità relazionale del terzo settore, Angeli, 1999) Prof. Giuseppe Marcon © 2011 48 Aspetti definitori /1 • Nella cultura anglosassone – Termini che enfatizzano le motivazioni sociali • Charities o charitable sector (di origine inglese) – Il termine sottolinea l‟output • Philanthropy o philanthropic sector (di origine statunitense) • Voluntary sector (di origine inglese) – Il termine sottolinea le caratteristiche dell‟input – Coinvolgimento volontario dei membri dell‟organizzazione – Fornitura volontaria di lavoro gratuito – Donazione volontaria di risorse economiche da cittadini e imprese Prof. Giuseppe Marcon © 2011 49 Aspetti definitori /2 • Termini che enfatizzano le relazioni che le organizzazioni del settore intrattengono con la pubblica amministrazione – Independent sector – Private nongovernmental sector • Nongovernmental organizations (NGOs): – “Organizzazioni private, per lo più di volontariato, finanziate da paesi occidentali e impegnate nella cooperazione internazionale con i paesi del terzo mondo o in via di sviluppo” – Anche nei paesi destinatari degli aiuti si sono costituite ONG omologhe, che dialogano con i paesi nord-occidentali nella gestione dei programmi di cooperazione Prof. Giuseppe Marcon © 2011 50 Aspetti definitori /3 • Il termine oggi più diffuso: – Nonprofit (sector, organizations) • Organizzazioni private • Senza fine di lucro – Che dunque si distinguono tanto dallo Stato che dal mercato » Però nonprofit sta per “non profit distribution constraint”: » Assenza del vincolo di distribuzione di utili » Non incapacità di produrre profitto Prof. Giuseppe Marcon © 2011 51 Aspetti definitori /4 • Nella cultura europea continentale – Termine di maggiore tradizione: Economia sociale: • Azione economica ispirata al primato della persona e guidata dai valori della mutualità e della solidarietà • Meccanismi di governo – “Una testa un voto” – Regola della “porta aperta” (libertà di entrare e di uscire) – Elezione democratica dei dirigenti – Indivisibilità delle riserve – Devoluzione del patrimonio al momento dello scioglimento della società Prof. Giuseppe Marcon © 2011 52 Aspetti definitori /5 • Nel solco della tradizione dell‟Economia sociale è stato recentemente proposto il concetto di settore dei servizi di prossimità (nel contesto italiano anche servizi relazionali) – Servizi alla persona caratterizzati da: • Riferimento ad un territorio ristretto • Risposta a bisogni quotidiani (rapidità di risposta) • Innovazione: rispondono in genere a bisogni non soddisfatti dal sistema pubblico • Coinvolgimento di una molteplicità di soggetti: operatori, dirigenti, cittadini utenti – Obiettivi: democratizzare i servizi e attivare processi di animazione/rivitalizzazione della comunità locale Prof. Giuseppe Marcon © 2011 53 Aspetti definitori /6 • Altro termine derivante dal filone dell‟Economia sociale: impresa sociale – Impresa che agisce come tale (cioè con obiettivi di mercato), ma avendo un forte orientamento solidaristico e sociale • Nasce da un orientamento che sottolinea la necessità dello sviluppo della dimensione economico-produttiva del terzo settore – A molti appare un‟alternativa alla mera privatizzazione Prof. Giuseppe Marcon © 2011 54 Aspetti definitori /7 • Altri termini derivano da riflessioni sociologiche – Intermediary system (Bauer 1993) – Azione volontaria (Ascoli 1987) – Terza dimensione (Ardigò 1980, 1981, 1988, 1993) – Privato sociale (Donati 1978, 1991, 1993, 1997) Prof. Giuseppe Marcon © 2011 55 Aspetti definitori /8 • Oggi si possono contrapporre due concetti – Nonprofit (origine anglosassone, sintesi di charities, voluntary, philanthropy, nongovernmental, independent, ecc.) • Principio di non distribuzione di utili come indicatore dell‟utilità pubblica delle organizzazioni di terzo settore – Economia sociale (origine europea continentale) • Si distingue dal concetto di nonprofit per due caratteri distintivi: – Democraticità interna – Mutualità (= mutualità che lega principalmente i membri dell‟organizzazione) – Lascia spazio anche ad organizzazioni con fini di lucro (come le cooperative), purché la distribuzione di utili abbia finalità mutualistiche interne » Le cooperative come strumento per rispondere ai limiti del mercato del lavoro e al problema della disoccupazione Prof. Giuseppe Marcon © 2011 56 Le caratteristiche delle aziende di terzo settore • Dalla ricerca dell‟Università John Hopkins di Baltimora (John Hopkins, Comparative Nonprofit Sector Project, 1990) – Sono formalmente costituite – Sono private, cioè separate a livello organizzativo dallo Stato – Non distribuiscono profitti – Si autogovernano – Si basano in modo significativo sul lavoro volontario Prof. Giuseppe Marcon © 2011 57 Teorie sull’esistenza e sul ruolo delle organizzazioni nonprofit Le teorie economiche Prof. Giuseppe Marcon © 2011 58 Le teorie dell‟economia sociale /1 • Economia sociale intesa in senso lato come “economia degli aspetti sociali dell‟esistenza umana” – Ricerca di vie alternative ai modelli industriali fordiano e keynesiano • Due orientamenti di fondo: – L‟orientamento “micro” • Punta a nuove forme organizzative, capaci di generare: – Metodi alternativi di produzione (“umanizzazione” dei processi produttivi, tecnologie a basso consumo di energia, unità produttive di dimensione ridotta) – Nuove forme d‟impresa (forte coinvolgimento dei lavoratori, gestione collettiva, utilità sociale della produzione) – Modelli alternativi di consumo (riduzione volontaria dei consumi, nuovi stili di vita) – Sviluppo locale e comunitario Prof. Giuseppe Marcon © 2011 59 Le teorie dell‟economia sociale /2 – L‟orientamento “macro” • Nasce dall‟idea che l‟approccio “micro” sia insufficiente a superare i limiti della società industriale contemporanea • Si interroga sui cambiamenti sociali capaci di ottenere tale risultato • Riconsiderazione del rapporto fra l‟economico e il non economico, il mercato e il non mercato – – – – Priorità alla persona Attenzione alla diversità dei bisogni delle persone Valorizzazione della qualità piuttosto che della quantità Considerazione della totalità del lavoro e non solo di quello remunerato • Esempi di strumenti proposti: – Riduzione dei tempi di lavoro – Reddito minimo garantito – Alternanza fra lavoro remunerato e non Prof. Giuseppe Marcon © 2011 60 Le teorie dell‟economia sociale /3 • L‟economia sociale tende a fare sintesi dei due orientamenti (micro e macro) • Lo schema di Henri Desroche (Pour un traité d’economie sociale, 1983): – L‟economia sociale è composta da tre attori principali [1] • Le imprese cooperative • Le associazioni • Le mutue – Tali attori entrano in relazione con quattro tipi di ambienti [2] • • • • Il settore pubblico Il settore comunitario Il settore sindacale Il settore privato (dell‟economia di mercato) • • • • Imprese semipubbliche locali Imprese comunitarie e popolari Imprese “paritarie” Imprese partecipative – Fra [1] e [2] vi sono numerose “interfacce” Prof. Giuseppe Marcon © 2011 61 Le teorie del nonprofit sector /1 (v. W. Powell. The Nonprofit Sector 1987; S. Rose-Ackerman, The Economics of Nonprofit Institutions 1986) • Due principi interpretativi di base: – La presenza di asimmetrie informative nei meccanismi di mercato • Si ha asimmetria informativa quando il consumatore non è in grado di valutare pienamente la relazione fra il proprio bisogno e le caratteristiche quali-quantitative di un bene o servizio – L‟esistenza di beni pubblici [meglio: beni collettivi] e della loro “limitata appropriabilità” • Beni pubblici = beni caratterizzati da non escludibilità e non rivalità nel godimento • Beni collettivi = beni che, per loro natura, sarebbero producibili anche privatamente e affidabili al mercato, ma che per ragioni politico-sociali si preferisce far produrre alla pubblica amministrazione Prof. Giuseppe Marcon © 2011 62 Le teorie del nonprofit sector /2 (v. W. Powell. The Nonprofit Sector 1987; S. Rose-Ackerman, The Economics of Nonprofit Institutions 1986) • Asimmetrie informative – Conseguenza: • “Fallimento del mercato” [v. H. Hansmann, Economic Theories of Nonprofit Organizations, 1987] o “fallimento del contratto” – Ruolo delle ANP: • Contenimento dell‟incertezza e dei rischi derivanti da comportamenti opportunistici dei produttori • Incompleta appropriabilità dei beni pubblici [o meglio dei beni collettivi] – Conseguenza: • Fallimento dello Stato – Ruolo delle ANP: • Erogazione privata di beni pubblici Prof. Giuseppe Marcon © 2011 63 Le teorie del nonprofit sector /3 (v. W. Powell. The Nonprofit Sector 1987; S. Rose-Ackerman, The Economics of Nonprofit Institutions 1986) • Critica della teoria del fallimento del mercato /a – Il fallimento del mercato non può essere considerato condizione sufficiente a spiegare l‟esistenza del terzo settore [v. J. Douglas, Why Charity? The Case for a Third Sector, 1983] • Il fallimento del mercato, per certi aspetti, non dipende dai meccanismi interni al mercato, ma da fattori esterni (ad esempio, la regolazione giuridica del mercato) • La teoria non spiega perché, in presenza di fallimento del mercato, la produzione di certi servizi dovrebbe riuscire meglio al terzo settore che allo Stato – La teoria del fallimento del mercato è debole, perché non considera i numerosi correttivi che oggi sono disponibili [v. Krashinsky, Transaction costs and a Theory of the Nonprofit Organizations, 1986]: • Controllo di qualità imposto dallo Stato • Norme a favore della trasparenza delle informazioni • Autoregolazione delle imprese in termini certificazione della qualità – Più convincente ipotizzare che le organizzazioni di terzo settore nascano come conseguenza dell‟esistenza di costi di transazione fra produttore e consumatore e fra finanziatore e consumatore » Costi di transazione = costi che produttori, acquirenti e finanziatori devono sopportare affinché lo scambio avvenga in condizioni di ottimizzazione dell‟efficienza sociale Prof. Giuseppe Marcon © 2011 64 Le teorie del nonprofit sector /4 (v. W. Powell. The Nonprofit Sector 1987; S. Rose-Ackerman, The Economics of Nonprofit Institutions 1986) • Critica della teoria del fallimento del mercato /b – La teoria non fornisce nemmeno una condizione necessaria per la nascita del nonprofit • Non è detto che in caso di fallimento del mercato le condizioni per l‟organizzazione del nonprofit si manifestino automaticamente – Vi sono casi di fallimento del mercato che sfuggono alla teoria economica • Le donazioni mettono in discussione il principio stesso del mercato: il perseguimento dell‟interesse individuale Prof. Giuseppe Marcon © 2011 65 Le teorie del nonprofit sector /5 (v. W. Powell. The Nonprofit Sector 1987; S. Rose-Ackerman, The Economics of Nonprofit Institutions 1986) • Una spiegazione alternativa alla teoria del fallimento del mercato: il fallimento dello Stato (B. Weisbrod, Toward a Theory of the Voluntary Non-Profit Sector in a Three-Sector Economy, 1975) – La produzione di beni collettivi da parte dello Stato presenta anch‟essa delle sub-ottimalità (una parte di cittadini sarà insoddisfatta dei livelli quali-quantitativi dei beni prodotti) – I cittadini insoddisfatti possono: • Migrare • Promuovere la formazione di nuovi enti locali • Rivolgersi al mercato privato for profit – Questa soluzione ha dei limiti: » Assenza di sostituti soddisfacenti » Costo eccessivo » Generazione di sub-ottimalità sociali indesiderati (come nel caso del cittadino che si arma per provvedere da solo alla carenza dei servizi di ordine pubblico) – Quindi: nonprofit come candidato naturale alla funzione di sostituzione della produzione di beni pubblici e come alternativa alla fornitura privata Prof. Giuseppe Marcon © 2011 66 La teoria imprenditoriale [v. Helmut K. Anheier (2005), Nonprofit Organizations] • • • Diversamente dalle teorie del fallimento dello Stato e del fallimento del mercato, che focalizzano l‟attenzione sulla domanda, cerca di spiegare l‟esistenza delle ANP dalla prospettiva dell‟offerta Diversamente dalle altre teorie, che fanno derivare la nascita e lo sviluppo da problemi interni al mercato e al settore pubblico, questa teoria tende ad assegnare al nonprofit forza ed identità proprie L‟imprenditore è inteso come un individuo che ha una peculiare capacità di governare il cambiamento – Egli è parte fondamentale di processi di “creazione distruttiva” = innovare introducendo nuovi modi di vedere e di fare le cose, superando quelli vecchi • Il “motore” principale della nascita e dello sviluppo del nonprofit, come dell‟impresa capitalistica, è lo spirito imprenditoriale – Naturalmente, qui sono diversi i valori e gli obiettivi che portano ad intraprendere – Le ANP cercano di massimizzare risultati non monetari • Esse sono principalmente interessate a qualche forma di valore immateriale Prof. Giuseppe Marcon © 2011 67 Teoria dell‟interdipendenza /1 [v. Helmut K. Anheier (2005), Nonprofit Organizations] • Mentre precedenti teorie tendono a porre in evidenza una sorta di competizione fra il nonprofit e la pubblica amministrazione (vedi fallimento dello Stato), questa teoria poggia sull‟osservazione in base alla quale questi due soggetti sono più frequentemente dei “partner” che dei “nemici” – Bisogna tener presente l‟affinità degli scopi (fini sociali, fini collettivi; contrapposizione ai fini tipicamente individuali dell‟impresa for profit) – Lo Stato, piuttosto che mirare a soppiantare il nonprofit, tende a sostenerlo e a valorizzarlo, in considerazione dell‟affinità degli scopi Prof. Giuseppe Marcon © 2011 68 Teoria dell‟interdipendenza /2 [v. Helmut K. Anheier (2005), Nonprofit Organizations] • Il meccanismo dell‟interdipendenza funziona nel modo seguente: – Le ANP esistono non perché fallisce lo Stato (né perché fallisce il mercato), ma in virtù delle naturali tendenze degli individui all‟azione collettiva – Frequentemente le ANP “anticipano” lo Stato nel promuovere l‟attenzione verso determinati bisogni – Una volta che la sensibilizzazione operata dal nonprofit si è estesa, frequentemente le esigenze promosse dal nonprofit vengono fatte proprie dallo Stato, che a questo punto decide di intervenire – Lo Stato potrebbe decidere di sostituirsi alle ANP, ma di solito tende piuttosto a forme di partnership con il nonprofit: ecco l‟interdipendenza – Una spinta nella stessa direzione viene anche dal nonprofit, il quale, va spesso incontro a problemi di inefficienza e di carenza di risorse, per risolvere i quali può trovare conveniente cercare l‟appoggio dello Stato – Infatti, in molti casi le ANP diventano “bracci operativi” della p.a. nella gestione di una serie di servizi di rilevanza collettiva Prof. Giuseppe Marcon © 2011 69 Teoria socio-politica o delle origini sociali del nonprofit [v. Helmut K. Anheier (2005), Nonprofit Organizations] • Analisi comparate dimostrano che Paesi con livelli di sviluppo non dissimili hanno tassi di presenza della p.a. e del nonprofit molto diversi – Grande sviluppo sia della p.a. che del nonprofit (es.: Francia, Germania) – Limitato sviluppo sia della p.a. che del nonprofit (es.: Giappone, molti Paesi in via di sviluppo) – Grande presenza della p.a. e limitata presenza del nonprofit (Paesi scandinavi) – Limitata presenza della p.a. e grande presenza del nonprofit (USA e GB) • Nessuna delle teorie considerate in precedenza può spiegare compiutamente questa varietà di situazioni • Gli autori che propugnano la teoria socio-politica o delle origini sociali del nonprofit vanno risalire lo sviluppo del nonprofit alla diversità delle culture e dei sistemi sociali e politici e alle modalità e ai tempi dei processi di sviluppo dei vari Paesi Prof. Giuseppe Marcon © 2011 70 La classificazione delle organizzazioni nonprofit Soggetto dominante e soggetto beneficiario Prima tipologia delle organizzazioni nonprofit Prof. Giuseppe Marcon © 2011 71 Soggetto dominante e soggetto beneficiario /1 • C. Travaglini, Contabilità e bilancio per la rendicontazione e il controllo delle aziende nonprofit, 1998: – Soggetto o categoria dominante: • Persone cui spettano le decisioni fondamentali sulla gestione aziendale: – nomina degli amministratori – approvazione del bilancio – modifiche dello statuto – Soggetto beneficiario: • Categoria o gruppo di persone (acquirenti, assistiti, lavoratori, investitori, venditori in rapporto con l‟ANP) che l‟ANP si propone di avvantaggiare e nel cui interesse essa è condotta • Ai beneficiari viene destinato il residuo gestionale potenziale, attraverso condizioni di favore nei servizi (fino alla totale gratuità) Prof. Giuseppe Marcon © 2011 72 Soggetto dominante e soggetto beneficiario /2 – La categoria dominante e quella beneficiaria possono coincidere • Diversamente, la categoria dominante può essere rappresentata da amministratori fiduciari e donatori, che non possono trarre benefici dall‟attività dell‟ANP • Conseguentemente, si hanno: – Organizzazioni mutualistiche, in cui beneficiari e dominanti coincidono – Organizzazioni senza fini di lucro in senso stretto, in cui le due categorie non coincidono e i dominanti non possono trarre benefici dall‟ANP Prof. Giuseppe Marcon © 2011 73 ANP pure e ANP mutualistiche • ANP pure – Esclusa ogni forma di distribuzione del residuo gestionale, implicita od esplicita, alla categoria dominante – Potere di governo separato dalla possibilità di essere beneficiari • Associazioni di volontariato • Fondazioni di pubblica utilità • ANP mutualistiche – Escluse forme esplicite, ma ammesse forme implicite di distribuzione del residuo gestionale agli associati – Fornire benefici agli associati è l‟obiettivo principale • • • • Aziende mutualistiche Cooperative di consumo Circoli culturali Associazioni professionali Prof. Giuseppe Marcon © 2011 74 Classificazione delle ANP: un approfondimento /3 • ANP donative – Derivano i propri proventi principalmente da donazioni e contributi • ANP commerciali – Derivano i propri proventi principalmente da vendite a membri e/o soggetti esterni • Possibili forme “intermedie”, in cui convivono fonti commerciali e donative – Le fonti condizionano i comportamenti: • ANP donative più sensibili alla visibilità pubblica • ANP commerciali più attente ai bisogni dei clienti e alle condizioni di economicità • ANP-Fondazioni (= prevale il patrimonio come fonte di finanziamento) maggiormente svincolate dall‟esigenza del consenso, e quindi più autonome e innovative Prof. Giuseppe Marcon © 2011 75 Classificazione delle ANP: un approfondimento /5 • ANP operative (operating) – Producono ed erogano direttamente servizi (es., formazione) • ANP erogative (grant-giving) – Rendono possibili gli stessi risultati agendo indirettamente, attraverso erogazioni finanziarie (es., borse di studio) • Le fondazioni come tipiche ANP erogative – Possibili destinatari delle erogazioni, sia i beneficiari che i produttori/erogatori • Possibili incentivazioni tanto dal lato della domanda che da quello dell‟offerta • Possibili forme intermedie, nelle quali coesistono attività operative ed attività erogative Prof. Giuseppe Marcon © 2011 76 Classificazione delle ANP: un approfondimento /6 • ANP orientate ai soci – La maggior parte dei servizi va ai soci e la maggior parte dei proventi proviene dai soci • ANP orientate ai clienti – La maggior parte dei servizi viene venduta a clienti esterni, dai quali dunque proviene la maggior parte dei proventi • Le ANP partecipative commerciali ed operative, orientate ai soci, attuano tipicamente processi di autoconsumo (es., un‟associazione culturale, un gruppo teatrale amatoriale) • Le ANP orientate ai clienti sono più simili alle imprese commerciali Prof. Giuseppe Marcon © 2011 77 Le principali forme di organizzazioni nonprofit nella legislazione italiana Tipologia e caratteri distintivi Prof. Giuseppe Marcon © 2011 78 Quadro d‟insieme /1 • • • Mancanza di un quadro normativo organico generale sulle organizzazioni di terzo settore Strutture giuridiche di portata generale: – Codice civile, libro I, titolo II, capi I-III (circa 30 articoli) • • • • Fondazioni [fondazioni di diritto civile, o “tradizionali”] Associazioni riconosciute Associazioni non riconosciute Comitati Ci sono molte leggi specifiche: – Legge-quadro sul volontariato (l. 11 agosto 1991, n. 266) – Disciplina delle cooperative sociali (l. 8 novembre 1991, n. 381) – Disciplina dell‟attività delle società sportive facenti parte di federazioni aderenti al C.O.N.I che impiegano atleti professionisti (l. 23 marzo 1981, n. 91) – Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (d. lgs. 4 dicembre 1997, n. 460) – Disciplina delle associazioni di promozione sociale (l. 7 dicembre 2000, n. 383) – Delega al governo concernente la disciplina dell'impresa sociale (l. 13 giugno 2005, n. 118) • Disciplina dell'impresa sociale, a norma della legge 13 giugno 2005, n. 118 (d. lgs. 24 marzo 2006, n. 155) Prof. Giuseppe Marcon © 2011 79 Quadro d‟insieme /2 • Va poi ricordato la diffusione di “nuovi” tipi di fondazione – Fondazioni individuate nella prassi (fondazioni a patrimonio progressivo) • • Fondazioni di partecipazione Fondazioni di comunità – Fondazioni di diritto speciale • Fondazioni create ex novo dal legislatore – – – • Fondazioni derivanti dalla trasformazione di determinate categorie di enti pubblici – – – – • Fondazioni universitarie (l. n. 388/2000) Fondazioni costituite o partecipate dal Ministero per i beni e le attività culturali (d.lgs. n. 368/1998) Fondazioni che gestiscono fondi pensionistici (d.lgs. n. 124/1993) Fondazioni bancarie (l. n. 21/1990) Fondazioni casse di previdenza e assistenza (l. n. 537/1993) Fondazioni liriche (d.lgs. n. 367/1996) IPAB (l. n. 328/2000) Fondazioni derivanti dalla trasformazione di singoli enti pubblici – – – – Scuola nazionale di cinema Istituto nazionale per il dramma antico La Triennale di Milano Museo della scienza e della tecnica Prof. Giuseppe Marcon © 2011 80 Quadro d‟insieme /3 • La categoria delle fondazioni di diritto speciale comprende anche alcuni casi di più antica formazione – Fondazioni di istruzione agraria (1913) – Fondazioni scolastiche (1928) – Fondazioni militari (1927) – Fondazioni di culto (1929) Prof. Giuseppe Marcon © 2011 81 La fondazione [fondazione di diritto civile, o “tradizionale”] /1 • Definizione: – Ente cui può dar vita una persona fisica o giuridica… • …conferendo un patrimonio… • …vincolato al perseguimento di uno scopo istituzionale di pubblica utilità o, comunque, altruistico – La tipica fondazione di pubblica utilità è un‟ANP pura ed erogativa » Però molte fondazioni hanno attività commerciali, di fund raising ed operative, oltre alle attività erogative e di gestione patrimoniale Prof. Giuseppe Marcon © 2011 82 La fondazione [fondazione di diritto civile, o“tradizionale”] /2 • Lo scopo istituzionale della fondazione (tipicamente: caritativo, assistenziale, socio-sanitario, ricreativo, culturale, di ricerca)… – …si concretizza nel soddisfacimento di bisogni di definite categorie di soggetti diversi dal fondatore • La gestione comprende due aree di attività: – Generazione/acquisizione di risorse • Ottimizzazione del reddito monetario, attraverso: – Gestione di beni da reddito – Fund raising – Attività d‟impresa – Impiego delle risorse • Consumo di risorse per il perseguimento dello scopo istituzionale – Vincoli: » Salvaguardia dell‟integrità del patrimonio, per preservare la futura capacità d‟intervento » Destinazione di una parte del reddito ad incremento del patrimonio netto Prof. Giuseppe Marcon © 2011 83 La fondazione [fondazione di diritto civile, o “tradizionale”] /3 • Aspetti particolari – Estesi controlli dell‟autorità tutoria in fase costitutiva • Conseguenza di un certo “deficit di democraticità” rispetto alle associazioni – L‟atto costitutivo è un atto unilaterale (dichiarazione del fondatore o testamento) • Non un contratto, come nelle associazioni • Deve indicare lo scopo di pubblica utilità (che non può essere un vantaggio del fondatore) e un patrimonio… – …che dev‟essere adeguato allo scopo da raggiungere • Deve contenere indicazioni sull‟ordinamento e sull‟amministrazione: – L‟amministratore o gli amministratori – Criteri e poteri di nomina degli stessi (poteri che possono essere demandati ad enti pubblici o a persone che rivestano cariche civili o religiose) Prof. Giuseppe Marcon © 2011 84 La fondazione [fondazione di diritto civile, o “tradizionale”] /4 • Altri aspetti particolari – La vita ordinaria è sottoposta a controllo e vigilanza da parte dell‟autorità tutoria, la quale: • Può annullare deliberazioni contrarie a norme imperative dell‟atto di fondazione, all‟ordine pubblico, al buon costume • Può sciogliere l‟amministrazione dell‟ente che non agisca in conformità allo statuto o allo scopo istituzionale • Può nominare un commissario straordinario, che ha anche il potere di esercitare azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori revocati • Alla cessazione della gestione commissariale può nominare direttamente i nuovi amministratori, quando non siano proficuamente applicabili le norme dell‟atto di fondazione • Può procedere ad un‟ordinaria sostituzione degli amministratori quando non sia possibile provvedere ai sensi dell‟atto di fondazione Prof. Giuseppe Marcon © 2011 85 Associazione riconosciuta /1 • Definizione: – Organizzazione collettiva stabile, avente per oggetto la gestione di un interesse comune agli associati • Si caratterizza per il fatto che lo scopo di tipo sociale (culturale, assistenziale, ecc.)… – …non è affidato ad un esecutore o gruppo di esecutori che attingono ai frutti di un patrimonio vincolato… – …ma invece viene perseguito direttamente da una pluralità di persone che lo hanno espresso e ci credono • La natura contrattuale dell‟atto costitutivo ne fa un negozio aperto, con la possibilità di successive adesioni all‟associazione, e quindi al contratto – Gli associati esistenti hanno comunque il diritto di verificare l‟affinità d‟intenti di nuovi candidati all‟ingresso nell‟associazione Prof. Giuseppe Marcon © 2011 86 Associazione riconosciuta /2 • Aspetti particolari – Il controllo interno • Agli associati sono attribuiti alcuni dei compiti che per la fondazione spettano all‟autorità tutoria • Tali compiti sono demandati all‟assemblea degli associati (organo che non trova corrispondenza nella struttura della fondazione) – – – – L‟assemblea deve essere convocata dagli amministratori… …almeno una volta all‟anno per l‟approvazione del bilancio… …e quando se ne ravvisa la necessità… …o ne sia fatta richiesta motivata da almeno un decimo degli associati » Se gli amministratori non provvedono gli associati possono chiedere e ottenere l‟ordine di convocazione dell‟assemblea dal presidente del tribunale • L‟assemblea delibera sulle modifiche dell‟atto costitutivo e dello statuto, sullo scioglimento dell‟associazione e la devoluzione del patrimonio, e sulle azioni di responsabilità contro gli amministratori Prof. Giuseppe Marcon © 2011 87 Associazione riconosciuta /3 • Altri aspetti particolari – Controllo esterno (controllo giudiziario) • Il controllo avviene sugli atti dell‟assemblea ed è demandato all‟autorità giudiziaria ordinaria – Le deliberazioni dell‟assemblea contrarie alla legge, all‟atto costitutivo o allo statuto possono essere annullate dall‟autorità giudiziaria ordinaria su istanza… » …degli organi dell‟ente… » …di qualunque associato… » …del pubblico ministero Prof. Giuseppe Marcon © 2011 88 Riconoscimento e registrazione della fondazione e dell‟associazione – La fondazione deve essere costituita per atto pubblico e può essere disposta per testamento – L‟atto costitutivo dell‟associazione deve essere stipulato per atto pubblico, affinché l‟associazione possa aspirare al riconoscimento – Il riconoscimento determina l‟acquisto della personalità giuridica della fondazione e dell‟associazione – Con la registrazione (obbligatoria) presso il registro delle persone giuridiche la fondazione e l‟associazione • Acquisiscono piena autonomia patrimoniale – Quindi, gli amministratori sono sollevati dalla responsabilità personale, solidale e illimitata per le obbligazioni assunte Prof. Giuseppe Marcon © 2011 89 Associazione non riconosciuta • Ha la medesima natura sostanziale dell‟associazione riconosciuta • I più evidenti effetti della mancanza di riconoscimento sono: – L‟alleggerimento dei requisiti formali per la costituzione – Una maggiore libertà nella determinazione del contenuto dello statuto – I contributi degli associati e i beni acquisiti confluiscono in un fondo comune, di cui gli associati non possono chiedere la divisione, né pretendere la quota in caso di recesso, finché dura l‟associazione – Mancato acquisto della personalità giuridica • Le persone che hanno agito in nome e per conto dell‟associazione rispondono personalmente e solidalmente delle obbligazioni contratte Prof. Giuseppe Marcon © 2011 90 Comitato /1 • Gli articoli 39-42 c.c. disciplinano – i comitati di soccorso o di beneficenza – e i comitati promotori di opere pubbliche, monumenti, esposizioni, mostre, festeggiamenti e simili • Definizione: – Gruppo associato di persone che annuncia, con un programma, uno scopo (tipicamente d‟interesse pubblico e comunque non egoistico), per la realizzazione del quale sollecita le oblazioni del pubblico • Può essere riconosciuto o non riconosciuto Prof. Giuseppe Marcon © 2011 91 Comitato /2 • • • • • Gli organizzatori e coloro che assumono la gestione dei fondi raccolti sono responsabili personalmente e solidalmente della conservazione dei fondi e della loro destinazione allo scopo annunciato Qualora il comitato non abbia ottenuto la personalità giuridica, i suoi componenti rispondono personalmente e solidalmente delle obbligazioni assunte I sottoscrittori sono tenuti soltanto a effettuare le oblazioni promesse Il comitato può stare in giudizio nella persona del presidente Qualora i fondi raccolti siano insufficienti allo scopo, o questo non sia più attuabile, o, raggiunto lo scopo, si abbia un residuo di fondi, l'autorità governativa stabilisce la devoluzione dei beni, se questa non è stata disciplinata al momento della costituzione Prof. Giuseppe Marcon © 2011 92 L‟organizzazione di volontariato (l. n. 266/1991) /1 • La Repubblica Italiana riconosce il valore sociale… • …e la funzione della attività di volontariato… • …come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo • …ne promuove lo sviluppo salvaguardandone l'autonomia… • …e ne favorisce l'apporto originale per il conseguimento delle finalità di carattere sociale, civile e culturale individuate dallo Stato, dalle Regioni, dalle province autonome di Trento e di Bolzano e dagli Enti locali • La legge stabilisce i principi cui le Regioni e le province autonome devono attenersi nel disciplinare i rapporti fra le istituzioni pubbliche e le organizzazioni di volontariato… • … i criteri cui debbono uniformarsi le amministrazioni statali e gli Enti locali nei medesimi rapporti Prof. Giuseppe Marcon © 2011 93 L‟organizzazione di volontariato (l. n. 266/1991) /2 • L‟attività di volontariato – = Attività prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l'organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà – Non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario – Al volontario possono essere soltanto rimborsate dall' organizzazione di appartenenza le spese effettivamente sostenute per l'attività prestata, entro limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse – La qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di contenuto patrimoniale con l'organizzazione di cui fa parte Prof. Giuseppe Marcon © 2011 94 L‟organizzazione di volontariato (l. n. 266/1991) /3 • Organizzazioni di volontariato – = Ogni organismo liberamente costituito al fine di svolgere attività di volontariato, che si avvalga in modo determinante e prevalente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti – Le organizzazioni di volontariato possono assumere la forma giuridica che ritengono più adeguata al perseguimento dei loro fini, salvo il limite di compatibilità con lo scopo solidaristico – Possono assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo esclusivamente nei limiti necessari al loro regolare funzionamento oppure occorrenti a qualificare e specializzare l'attività da essa svolta – Svolgono le attività di volontariato mediante strutture proprie o, nelle forme e nei modi previsti dalla legge, nell'ambito di strutture pubbliche o con queste convenzionate Prof. Giuseppe Marcon © 2011 95 L‟organizzazione di volontariato (l. n. 266/1991) /4 • • • • • • • • • Negli accordi degli aderenti, nell'atto costitutivo o nello statuto, …oltre a quanto disposto dal codice civile per le diverse forme giuridiche che l'organizzazione assume, …devono essere espressamente previsti l'assenza di fini di lucro, la democraticità della struttura, l'elettività e la gratuità delle cariche associative …nonché la gratuità delle prestazioni fornite dagli aderenti, … i criteri di ammissione e di esclusione di questi ultimi, … i loro obblighi e diritti. Devono essere altresì stabiliti … l'obbligo di formazione del bilancio, dal quale devono risultare i beni, i contributi o i lasciti ricevuti, …nonché le modalità di approvazione dello stesso da parte dell'assemblea degli aderenti Prof. Giuseppe Marcon © 2011 96 L‟organizzazione di volontariato (l. n. 266/1991) /5 • Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento per gli affari sociali, è stato istituito il Fondo per il volontariato, finalizzato a sostenere finanziariamente – progetti sperimentali elaborati, anche in collaborazione con gli Enti locali, da organizzazioni di volontariato iscritte nei registri per far fronte ad emergenze sociali e per favorire l'applicazione di metodologie di intervento particolarmente avanzate • Gli enti creditizi pubblici che hanno conferito l‟intera azienda bancaria ad una S.p.A. (all'articolo 12, comma 1, del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356), devono prevedere nei propri statuti che una quota non inferiore ad un quindicesimo dei propri proventi, al netto delle spese di funzionamento e dell'accantonamento ad una riserva finalizzata alla sottoscrizione di aumenti di capitale della società medesima venga destinata alla costituzione di – fondi speciali presso le Regioni, al fine di istituire, per il tramite degli Enti locali, centri di servizi a disposizione delle organizzazioni di volontariato, e da queste gestiti, con la funzione di sostenerne e qualificarne l'attività. Prof. Giuseppe Marcon © 2011 97 L‟associazione di promozione sociale /1 • Le associazioni di promozione sociale sono disciplinate dalla legge 7 dicembre 2000, n. 383, che ha i seguenti principi ispiratori: – La Repubblica: • Riconosce il valore sociale dell’associazionismo liberamente costituito e delle sue molteplici attività – L‟associazionismo viene inteso come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo • Ne promuove lo sviluppo in tutte le sue articolazioni territoriali, nella salvaguardia della sua autonomia • Favorisce il suo apporto originale al conseguimento di finalità di carattere sociale, civile, culturale e di ricerca etica e spirituale • La legge ha lo scopo dichiarato di favorire il formarsi di nuove realtà associative e di consolidare e rafforzare quelle già esistenti • Nel complesso, si tratta di un‟impostazione molto simile a quella della legge-quadro sul volontariato [legge n. 266/1991] Prof. Giuseppe Marcon © 2011 98 L‟associazione di promozione sociale /2 • Sono considerate associazioni di promozione sociale: – le associazioni riconosciute e non riconosciute, i movimenti, – i gruppi e i loro coordinamenti o federazioni … • costituiti al fine di svolgere: – attività di utilità sociale a favore di associati o di terzi, senza finalità di lucro e nel pieno rispetto della libertà e dignità degli associati Prof. Giuseppe Marcon © 2011 99 L‟associazione di promozione sociale /3 • Nella definizione è evidente una diversità rispetto alle organizzazioni di volontariato: – Nelle organizzazioni di volontariato domina la visione solidaristica, poiché i benefici ricercati e prodotti devono andare a vantaggio di terzi – Le APS, invece, svolgono attività di utilità sociale a favore di associati [visione mutualistica] o di terzi [visione solidaristica] Prof. Giuseppe Marcon © 2011 100 L‟associazione di promozione sociale /4 • Non sono considerate associazioni di promozione sociale, ai fini e per gli effetti della legge n. 383/2000: – – – – – i partiti politici le organizzazioni sindacali le associazioni dei datori di lavoro le associazioni professionali e di categoria e … tutte le associazioni che hanno come finalità la tutela esclusiva di interessi economici degli associati Prof. Giuseppe Marcon © 2011 101 L‟associazione di promozione sociale /5 • Inoltre non costituiscono associazioni di promozione sociale: – i circoli privati e le associazioni comunque denominate … • … che dispongono limitazioni con riferimento alle condizioni economiche … • … e discriminazioni di qualsiasi natura in relazione all‟ammissione degli associati … • … o prevedono il diritto di trasferimento, a qualsiasi titolo, della quota associativa … • … o che, infine, collegano, in qualsiasi forma, la partecipazione sociale alla titolarità di azioni o quote di natura patrimoniale Prof. Giuseppe Marcon © 2011 102 L‟associazione di promozione sociale /5 • Ci sono differenze rispetto alle organizzazioni di volontariato per quanto attiene alle risorse economiche: – Sono previste “entrate derivanti da prestazioni di servizi convenzionati”: • Sottende la vendita di servizi [vietata alle organizzazioni di volontariato] – Sono previsti “proventi delle cessioni di beni e servizi agli associati e a terzi, anche attraverso lo svolgimento di attività economiche di natura commerciale, artigianale o agricola, svolte in maniera ausiliaria e sussidiaria e comunque finalizzate al raggiungimento degli obiettivi istituzionali” • Nelle organizzazioni di volontariato le attività commerciali possono essere solo “marginali” Prof. Giuseppe Marcon © 2011 103 L‟associazione di promozione sociale /6 • Prestazioni degli associati – Le associazioni di promozione sociale si avvalgono prevalentemente delle attività prestate in forma volontaria, libera e gratuita dai propri associati per il perseguimento dei fini istituzionali • Maggiore possibilità, rispetto alle organizzazioni di volontariato, di ricorrere al lavoro remunerato – Le associazioni possono, inoltre, in caso di particolare necessità, assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo, anche ricorrendo a propri associati • Ciò non è invece consentito alle organizzazioni di volontariato Prof. Giuseppe Marcon © 2011 104 L‟associazione di promozione sociale /7 • Diritto all‟informazione ed accesso ai documenti amministrativi – Alle associazioni di promozione sociale è riconosciuto il diritto di accesso ai documenti amministrativi [di cui all‟articolo 22, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241] – A tal fine sono considerate situazioni giuridicamente rilevanti quelle attinenti al perseguimento degli scopi statutari delle associazioni di promozione sociale Prof. Giuseppe Marcon © 2011 105 L‟associazione di promozione sociale /8 • Tutela degli interessi sociali e collettivi – Le associazioni di promozione sociale sono legittimate: • a) a promuovere azioni giurisdizionali e ad intervenire nei giudizi promossi da terzi, a tutela dell’interesse dell‟associazione • b) ad intervenire in giudizi civili e penali per il risarcimento dei danni derivanti dalla lesione di interessi collettivi concernenti le finalità generali perseguite dall‟associazione • c) a ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi lesivi degli interessi collettivi relativi alle finalità di cui alla lettera b) – Le associazioni di promozione sociale sono legittimate altresì ad intervenire nei procedimenti amministrativi ai sensi dell‟articolo 9 della legge 7 agosto 1990, n. 241 Prof. Giuseppe Marcon © 2011 106 Le organizzazioni non lucrative di utilità sociale [ONLUS] (d. lgs. n. 460/1997) /1 • Elementi costitutivi delle ONLUS 1. Operare in settori di attività (uno o più) definiti dalla norma 2. Una finalità definita, da perseguire in via esclusiva • finalità di solidarietà sociale 3. Divieto di svolgere attività diverse da quelle definite (i settori), ad eccezione di quelle direttamente connesse 4. Divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell'organizzazione, a meno che la destinazione o la distribuzione non siano imposte per legge o siano effettuate a favore di altre ONLUS che per legge, statuto o regolamento fanno parte della medesima ed unitaria struttura 5. Obbligo di impiegare gli utili o gli avanzi di gestione per la realizzazione delle attività istituzionali (solidarietà sociale) e di quelle ad esse direttamente connesse 6. Obbligo di devolvere il patrimonio dell'organizzazione, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale o a fini di pubblica utilità 7. Obbligo di redigere il bilancio o rendiconto annuale 8. Una particolare disciplina del rapporto associativo e delle modalità associative 9. L'uso, nella denominazione ed in qualsivoglia segno distintivo o comunicazione rivolta al pubblico, della locuzione "organizzazione non lucrativa di utilità sociale" o dell'acronimo "ONLUS" Prof. Giuseppe Marcon © 2011 107 Le organizzazioni non lucrative di utilità sociale [ONLUS] ( d. lgs. n. 460/1997) /2 • Forme possibili – – – – – le associazioni i comitati le fondazioni le società cooperative e gli altri enti di carattere privato, con o senza personalità giuridica, i cui statuti o atti costitutivi, redatti nella forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata, prevedano espressamente il rispetto degli elementi costitutivi fissati dalla norma Prof. Giuseppe Marcon © 2011 108 Le organizzazioni non lucrative di utilità sociale [ONLUS] ( d. lgs. n. 460/1997) /3 • I settori d‟attività 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Assistenza sociale e socio-sanitaria Assistenza sanitaria Beneficenza Istruzione Formazione Sport dilettantistico Tutela, promozione e valorizzazione delle cose d'interesse artistico e storico 8. Tutela e valorizzazione della natura e dell'ambiente, con esclusione dell'attività, esercitata abitualmente, di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi 9. Promozione della cultura e dell'arte 10. Tutela dei diritti civili 11. Ricerca scientifica di particolare interesse sociale svolta direttamente da fondazioni ovvero da esse affidata ad università, enti di ricerca ed altre fondazioni che la svolgono direttamente Prof. Giuseppe Marcon © 2011 109 Le organizzazioni non lucrative di utilità sociale [ONLUS] (d. lgs. n. 460/1997) /4 • Definizione di finalità di solidarietà sociale – Si intende che vengono perseguite finalità di solidarietà sociale quando le cessioni di beni e le prestazioni di servizi relative alle attività statutarie nei settori dell'assistenza sanitaria, dell'istruzione, della formazione, dello sport dilettantistico, della promozione della cultura e dell'arte e della tutela dei diritti civili non sono rese nei confronti di soci, associati o partecipanti, fondatori, componenti gli organi amministrativi e di controllo, persone che a qualsiasi titolo operino per l'organizzazione o ne facciano parte, soggetti che effettuano erogazioni liberali a favore dell'organizzazione, loro parenti entro il terzo grado e loro affini entro il secondo grado, nonché società da questi direttamente o indirettamente controllate o collegate, effettuate a condizioni più favorevoli in ragione della loro qualità, ma dirette ad arrecare benefici a: • a) persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari • b) componenti collettività estere, limitatamente agli aiuti umanitari – Le finalità di solidarietà sociale s'intendono realizzate anche quando tra i beneficiari delle attività statutarie dell'organizzazione vi siano i propri soci, associati o partecipanti, ecc., se costoro si trovano nelle condizioni di svantaggio di cui alla lettera a) del punto precedente Prof. Giuseppe Marcon © 2011 110 Le organizzazioni non lucrative di utilità sociale [ONLUS] (d. lgs. n. 460/1997) /5 • A prescindere dalle condizioni di cui al punto precedente (presupposto soggettivo), si considerano comunque inerenti a finalità di solidarietà sociale (presupposto oggettivo) – le attività statutarie istituzionali svolte nei settori della assistenza sociale e sociosanitaria, della beneficenza, della tutela, promozione e valorizzazione delle cose d'interesse artistico e storico, della tutela e valorizzazione della natura e dell'ambiente con esclusione dell'attività, esercitata abitualmente, di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi, della ricerca scientifica di particolare interesse sociale svolta direttamente da fondazioni – nonché le attività di promozione della cultura e dell'arte per le quali sono riconosciuti apporti economici da parte dell'amministrazione centrale dello Stato Prof. Giuseppe Marcon © 2011 111 Le organizzazioni non lucrative di utilità sociale [ONLUS] (d. lgs. n. 460/1997) /6 • Attività direttamente connesse – Si considerano direttamente connesse a quelle istituzionali le attività statutarie di assistenza sanitaria, istruzione, formazione, sport dilettantistico, promozione della cultura e dell'arte e tutela dei diritti civili • svolte in assenza del presupposto soggettivo (vedi punto /4), • nonché le attività accessorie per natura a quelle statutarie istituzionali, in quanto integrative delle stesse. – L'esercizio delle attività connesse è consentito a condizione che, in ciascun esercizio e nell'ambito di ciascuno dei settori d‟intervento, le stesse non siano prevalenti rispetto a quelle istituzionali e che i relativi proventi non superino il 66 per cento delle spese complessive dell'organizzazione Prof. Giuseppe Marcon © 2011 112 Le organizzazioni non lucrative di utilità sociale [ONLUS] (d. lgs. n. 460/1997) /7 • Sono in ogni caso considerati ONLUS, nel rispetto della loro struttura e delle loro finalità – gli organismi di volontariato iscritti nei registri – le organizzazioni non governative riconosciute idonee – e le cooperative sociali • Sono fatte salve le previsioni di maggior favore relative agli organismi di volontariato, alle organizzazioni non governative e alle cooperative sociali di cui, rispettivamente, alle leggi n. 266 del 1991, n. 49 del 1987 e n. 381 del 1991 Prof. Giuseppe Marcon © 2011 113 Le cooperative sociali (l. n. 381/1991) /1 • Definizione – Le cooperative sociali hanno lo scopo di perseguire l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini attraverso: • a) la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi • b) lo svolgimento di attività diverse - agricole, industriali, commerciali o di servizi - finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate • Norme applicabili – Si applicano alle cooperative sociali, in quanto compatibili con la legge n. 381/1991, le norme relative al settore in cui le cooperative stesse operano • La denominazione sociale, comunque formata, deve contenere l'indicazione di "cooperativa sociale” Prof. Giuseppe Marcon © 2011 114 Le cooperative sociali (l. n. 381/1991) /2 • Soci volontari – Gli statuti delle cooperative sociali possono prevedere la presenza di soci volontari che prestino la loro attività gratuitamente – I soci volontari sono iscritti in un'apposita sezione del libro dei soci. Il loro numero non può superare la metà del numero complessivo dei soci – Ai soci volontari non si applicano i contratti collettivi e le norme di legge in materia di lavoro subordinato ed autonomo, ad eccezione delle norme in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali – Ai soci volontari può essere corrisposto soltanto il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate, sulla base di parametri stabiliti dalla cooperativa sociale per la totalità dei soci – Nella gestione dei servizi di cui all'articolo 1, comma 1 lettera a) della l. n. 381/1991, da effettuarsi in applicazione dei contratti stipulati con amministrazioni pubbliche, le prestazioni dei soci volontari possono essere utilizzate in misura complementare e non sostitutiva rispetto ai parametri di impiego di operatori professionali previsti dalle disposizioni vigenti. Le prestazioni dei soci volontari non concorrono alla determinazione dei costi di servizio, fatta eccezione per gli oneri connessi alla copertura assicurativa e al rimborso spese Prof. Giuseppe Marcon © 2011 115 Le cooperative sociali (l. n. 381/1991) /3 • Alle cooperative sociali si applicano le clausole relative ai requisiti mutualistici di cui all'articolo 26 del decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, ratificato, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 1951, n. 302, e successive modificazioni: – “Agli effetti tributari si presume la sussistenza dei requisiti mutualistici quando negli statuti delle cooperative siano contenute le seguenti clausole: • a) divieto di distribuzione dei dividendi superiori alla ragione dell'interesse legale ragguagliato al capitale effettivamente versato • b) divieto di distribuzione delle riserve fra i soci durante la vita sociale • c) devoluzione, in caso di scioglimento della società, dell'intero patrimonio sociale - dedotto soltanto il capitale versato e i dividendi eventualmente maturati - a scopi di pubblica utilità conformi allo spirito mutualistico Prof. Giuseppe Marcon © 2011 116 Tipologia giuridica ed aziendale delle ANP: le cooperative sociali (l. n. 381/1991) /4 • Persone svantaggiate – Nelle cooperative che svolgono le attività di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b) della l. n. 381/1991, si considerano persone svantaggiate gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, gli ex degenti di istituti psichiatrici, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, i condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione – Si considerano inoltre persone svantaggiate i soggetti indicati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, di concerto con il Ministro della Sanità, con il Ministro dell'Interno e con il Ministro per gli Affari Sociali, sentita la Commissione centrale per le cooperative • Le persone svantaggiate devono costituire almeno il trenta per cento dei lavoratori della cooperativa e, compatibilmente con il loro stato soggettivo, essere socie della cooperativa stessa. La condizione di persona svantaggiata deve risultare da documentazione proveniente dalla pubblica amministrazione, fatto salvo il diritto alla riservatezza • Le aliquote complessive della contribuzione per l'assicurazione obbligatoria previdenziale ed assistenziale dovute alle cooperative sociali, relativamente alla retribuzione corrisposta alle persone svantaggiate, sono ridotte a zero Prof. Giuseppe Marcon © 2011 117 L‟impresa sociale (l. n. 118/2005 e d. lgs. n. 155/2006) /1 • Definizione: – Possono acquisire la qualifica di impresa sociale … • tutte le organizzazioni private, ivi compresi gli enti di cui al libro V del codice civile, che esercitano … • … in via stabile e principale un'attività economica organizzata … • al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, … • … diretta a realizzare finalità di interesse generale, e che hanno i seguenti requisiti (articoli 2, 3, 4, d. lgs. n. 155/2006): – Produrre e scambiare beni e servizi considerati di utilità sociale in quanto rientranti in definiti settori – Assenza dello scopo di lucro – Rispetto di alcune caratteristiche strutturali – [Per attività principale si intende quella per la quale i relativi ricavi sono superiori al settanta per cento dei ricavi complessivi dell'organizzazione che esercita l'impresa sociale – Con decreto del Ministro delle attività produttive e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali sono definiti i criteri quantitativi e temporali per il computo della percentuale del settanta per cento dei ricavi complessivi dell'impresa] Prof. Giuseppe Marcon © 2011 118 L‟impresa sociale (l. n. 118/2005 e d. lgs. n. 155/2006) /2 • Campo di applicazione: – Sono escluse le pubbliche amministrazioni, in armonia con la definizione internazionale di “nonprofit” – Le norme si applicano anche agli enti ecclesiastici e agli enti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, limitatamente allo svolgimento delle attività elencate come di utilità sociale – Indipendentemente dall'esercizio dell‟attività d‟impresa nei settori definiti di utilità sociale, possono acquisire la qualifica di impresa sociale le organizzazioni che esercitano attività di impresa, al fine dell'inserimento lavorativo di soggetti che siano: • a) lavoratori svantaggiati ai sensi dell'articolo 2, primo paragrafo 1, lettera f), punti i), ix) e x), del regolamento (CE) n. 2204/2002 della Commissione, 5 dicembre 2002, della Commissione relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di Stato a favore dell'occupazione; • b) lavoratori disabili ai sensi dell'articolo 2, primo paragrafo 1, lettera g), del citato regolamento (CE) n. 2204/2002 – [I lavoratori svantaggiati e/o disabili devono essere in misura non inferiore al trenta per cento dei lavoratori impiegati a qualunque titolo nell'impresa] Prof. Giuseppe Marcon © 2011 119 L‟impresa sociale (l. n. 118/2005 e d. lgs. n. 155/2006) /3 • Si considerano beni e servizi di utilità sociale quelli prodotti o scambiati nei seguenti settori: – – – – – a) assistenza sociale, ai sensi della legge 8 novembre 2000, n. 328, recante legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali; b) assistenza sanitaria, per l'erogazione delle prestazioni di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 29 novembre 2001, recante «Definizione dei livelli essenziali di assistenza», e successive modificazioni, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 33 dell'8 febbraio 2002; c) assistenza socio-sanitaria, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 14 febbraio 2001, recante «Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 129 del 6 giugno 2001; d) educazione, istruzione e formazione, ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53, recante delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale; e) tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, ai sensi della legge 15 dicembre 2004, n. 308, recante delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione, con esclusione delle attività, esercitate abitualmente, di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi; … Prof. Giuseppe Marcon © 2011 120 L‟impresa sociale (l. n. 118/2005 e d. lgs. n. 155/2006) /4 – … • f) valorizzazione del patrimonio culturale, ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; • g) turismo sociale, di cui all'articolo 7, comma 10, della legge 29 marzo 2001, n. 135, recante riforma della legislazione nazionale del turismo; • h) formazione universitaria e post-universitaria; • i) ricerca ed erogazione di servizi culturali; • l) formazione extra-scolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica ed al successo scolastico e formativo; • m) servizi strumentali alle imprese sociali, resi da enti composti in misura superiore al settanta per cento da organizzazioni che esercitano un'impresa sociale Prof. Giuseppe Marcon © 2011 121 Considerazioni conclusive. Ancora sulla classificazione delle organizzazioni nonprofit Una tripartizione proposta dall‟economia aziendale Prof. Giuseppe Marcon © 2011 122 La classificazione delle ONP nella visione aziendale /1 • Aziende di erogazione – Perseguono finalità socialmente rilevanti e d‟interesse generale – I destinatari dell‟attività sono soggetti diversi da quelli che contribuiscono al sostegno dell‟organizzazione – Cedono i beni/servizi prodotti attraverso atti di liberalità • Senza alcuna controprestazione o con controprestazione che copre solo una parte limitata del costo – Devono necessariamente poter contare sull‟apporto gratuito di risorse da parte di soggetti che ne condividono i fini e le modalità operative • Risorse in natura (es. lavoro gratuito) • Risorse finanziarie Prof. Giuseppe Marcon © 2011 123 La classificazione delle ONP nella visione aziendale /2 • Aziende autoproduttrici – Nascono per iniziativa di soggetti che, per soddisfare bisogni comuni,”uniscono le forze”, associandosi – I destinatari della produzione sono gli stessi aderenti all‟organizzazione (coincidenza tra soggetto beneficiario e soggetto dominante) – Le risorse necessarie per coprire i costi della produzione vengono fornite dagli aderenti – Si differenziano dalle “imprese” perché la copertura dei costi non è affidata al mercato, bensì garantita dagli aderenti – Le “ricompense” degli aderenti/beneficiari sono rappresentate dalla fruizione di condizioni preferenziali di utilizzo di beni e servizi • Nelle “imprese”, invece, le ricompense di chi fornisce le risorse sono rappresentate dalla remunerazione periodica del capitale investito e/o dalla valorizzazione della quota di partecipazione Prof. Giuseppe Marcon © 2011 124 La classificazione delle ONP nella visione aziendale /3 • Imprese sociali – Destinano la loro produzione al mercato, ma agiscono per finalità diverse dal profitto (finalità sociali o d‟interesse generale) – Il profitto può comunque esistere, come condizione per garantire la durabilità dell‟impresa – Come le altre imprese sono soggette al rischio di mercato – I fornitori dei fattori di produzione (lavoro, capitale, materie prime, ecc.) vengono remunerati entro un limite massimo – Il residuo gestionale viene reinvestito nell‟impresa, a garanzia della continuità Prof. Giuseppe Marcon © 2011 125 Aziende di erogazione, aziende autoproduttrici e imprese sociali: schemi di sintesi [Cfr. A. Hinna (a cura di), Organizzare e gestire nel terzo settore, 2005] Prof. Giuseppe Marcon © 2011 126 Privato for-profit, pubblico, non-profit: schemi di sintesi a confronto [Cfr. A. Hinna (a cura di), Organizzare e gestire nel terzo settore, 2005] Prof. Giuseppe Marcon © 2011 127 Le condizioni di successo: confronto forprofit/non-profit Risultati Risultati economici economici Valore Valore sociale sociale Capacità di sopravvivenza Risultati economici Valore sociale Capacità di sopravvivenza Prof. Giuseppe Marcon © 2011 For-profit: allineamento delle tre condizioni di successo Non-profit: possibile disallineamento delle tre condizioni di successo 128 Le condizioni di successo dell‟azienda nonprofit e il rapporto mezzi-fini [Cfr. A. Hinna (a cura di), Organizzare e gestire nel terzo settore, 2005] Mezzi Fini Capacità di sopravvivenza Legittimazione sociale Valore sociale Capacità operativa Produzione di valore Efficienza economica Il triangolo strategico dell‟azienda nonprofit Prof. Giuseppe Marcon © 2011 129