Progetto di ricerca e piano attività allegato al bando rep.n.18_2016

Discriminazioni
Pratiche istituzionali locali, migranti e confini sociali
Premessa
Le ricerche pregresse sulle migrazioni (Riccio 2006, 2007a, 2007b; 2007c; 2008; Giuffrè e Riccio 2012),
le forme sociali della religione (Riccio 2004; Riccio 2014a) le seconde generazioni e la cittadinanza
(Riccio, Russo 2009; Guerzoni, Riccio 2009; Riccio 2011b; Riccio e Russo 2011) così come su quelle
inerenti il co-sviluppo (Riccio 2009; Riccio 2011a; 2012; 2014b) hanno rilevato la crucialità della
discriminazione. Questa, evidente agli occhi degli informatori e interlocutori delle ricerche, risultava
impalpabile effetto di stereotipi, pratiche sociali diffuse e/o di prassi istituzionali. Il tema della
discriminazione, rimasto latente nei precedenti lavori di ricerca, in questo progetto diviene dunque
oggetto specifico d’indagine. Il tempo storico contingente, in cui i flussi migratori sono presentati
sempre più all’interno di paradigmi emergenziali, dove si alimentano timori che incidono sui
comportamenti e sulle rappresentazioni reciproche tra cittadini, autoctoni e migranti, e da ultimo, ma
non meno importante, in cui riemergono confini all’interno dell’Europa, rende questo progetto —
sebbene localizzato e fortemente circoscritto — potenzialmente rilevante da un punto di vista sociale
oltre che scientifico.
Stato dell’arte
La discriminazione, nella Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite1 art 1, identifica qualsiasi
distinzione, esclusione, restrizione o preferenza fondata sulla razza, il colore, l’ascendenza, l’origine nazionale o etnica che
abbia come effetto di render nullo o impari il riconoscimento, godimento o esercizio di condizioni di parità, dei diritti
umani e delle libertà fondamentali in campo politico, sociale, culturale e ogni altro aspetto della vita pubblica. Poi
prosegue art. 1 (2 e 4) precisando che la convenzione non si applica agli Stati in materia di diritti
nazionali, cittadinanza o naturalizzazione, e che misure speciali possono essere disposte al fine di
garantire il possibile esercizio delle libertà fondamentali di gruppi o individui che, per ragioni etniche o
razziali, necessitano di protezione. Queste misure, talvolta necessarie e transitorie, che inducono una
differenziazione dei diritti sulla base della differenza razziale devono essere dismesse una volta raggiunti
gli obiettivi di protezione e partecipazione sociale.
Il testo della Convenzione permette di leggere sinteticamente questioni cruciali affrontate al contempo da
filosofi politici, politologi, giuristi, storici e scienziati sociali. Le questioni poste, ovvero il ruolo degli
Stati nel garantire l’accesso ai diritti e alle libertà fondamentali di persone e gruppi sociali che abitano il
territorio, le forme di esclusione in nome delle identità ascritte (ascendenza, origine, colore, etnia) e la
dicitura specifica di razza, infatti, hanno alimentato un dibattito serrato e multi-vocale sul tema,
dibattito che qui si ripropone solo a grandi linee al fine di esplicitare la cornice teorica di riferimento del
progetto.
Il termine razza fa la sua comparsa e si utilizza nelle lingue europee sin dall’inizio dell’età moderna
sebbene identifichi in particolare la stirpe (Burgio, Gabrielli 2012), verrà impiegata negli studi
tassonomici di Linneo che individuava caratteristiche morfologiche distintive della specie umana. Per
una sua sistematizzazione concettuale occorrerà attendere gli sviluppi nel XIX secolo della razziologia
1
http://www.ohchr.org/EN/ProfessionalInterest/Pages/CERD.aspx
che avanzava in modo deterministico spiegazioni biologico-genetiche di caratteristiche prettamente
culturali. Utilizzata per giustificare il colonialismo, lo sfruttamento e l’asservimento di popoli venne
fatta propria dalle dottrine naziste (Fabietti, Remotti 1997). Questo elemento di carattere storiografico
sul termine è necessario perché proprio la seconda guerra mondiale e il nazi-fascismo sono, soprattutto
in Europa, una sorta di spartiacque sulla legittimità stessa del definire la razza. Taguieff (1994, 1999), a
tal proposito, sostiene la difficoltà di considerare il razzismo come conseguenza della gerarchizzazione
tra le razze umane dopo la sconfitta del nazi-fascismo e la sua ideologia della superiorità di una razza.
La razza come principio di classificazione, apparentemente costituita, su presunte caratteristiche
biologiche dimostrate poi del tutto infondate nella ricerca scientifica (Cavalli-Sforza 1974, 1996), ha
attraversato i secoli perdendo la sua connotazione semantica che la assimilava a caratteristiche
biologico-genetiche e assumendone di nuove. Razza, etnia cultura —nella sfera pubblica e nel
linguaggio comune piuttosto che in ambienti accademici — sono spesso sovrapposte e identificate,
fornendo alla contemporaneità classificazioni dei gruppi umani, fondate su un differenzialismo
culturalista (Wieworka 2000), e una nuova ri-emersione dei nazionalismi (Balibar 1991). Gli slittamenti
di significato hanno indotto le scienze sociali ad analizzare le metamorfosi del razzismo. Wieworka
(1996) sottolinea come, pur non rinunciando ai principi illuministi di uguaglianza che fondano gli Stati
liberali, lo spazio del razzismo si articola nella dialettica tra modernità-identità. Egli, inoltre, delinea le
logiche che soggiacciono al razzismo nella contemporaneità: la continuità gerarchica, come ad esempio
quella applicata durante il colonialismo, e quella differenzialista che, invece, implica una netta
differenziazione tra gruppi sociali richiedendo che il gruppo dominante avvii processi di
inferiorizzazione, marginalizzazione, espulsione o violenza razzista e genocidio.
L’analisi delle logiche, qui brevemente tracciate, e delle continuità storiche tra colonialismo e
contemporaneità sono state focalizzate dagli studi postcoloniali che incrociando storia, sociologia,
filosofia e studi subalterni hanno posto attenzione a quella che è stata definita la condizione postcoloniale aprendo una prospettiva d’analisi sul ruolo del colonialismo e le politiche di controllo delle
migrazioni (Mezzadra 2008) basate, parafrasando Du Bois (2010), su linee del colore e principi di
doppia coscienza.
La razza dunque, pur non avendo alcun significato scientifico, è rimasta come termine nei testi fondativi
degli ordinamenti, elaborati dopo la seconda guerra mondiale, degli Stati (per es. Costituzione italiana
art. 3 dei Principi fondamentali), nelle convenzioni e trattati internazionali volti proprio a proteggere le
libertà individuali fondamentali, e si registra — con un’intenzionalità del tutto diversa — nel linguaggio
comune e nelle pratiche sociali tra istituzioni e cittadini (Basso 2010) e i tra i gruppi sociali (Balbo,
Manconi 1992; Fassin 2001; Silverstein 2004). Le ricerche qualitative hanno avuto il pregio di
dimostrare le forme di razzismo quotidiano guardando a una pluralità di luoghi, contesti e fenomeni e
andando a codificare quelle che sono le forme basilari del razzismo. Questo, infatti, si fonda su:
pregiudizio, segregazione, discriminazione e violenza.
La discriminazione, dunque, tutelata nelle norme giuridiche delle democrazie liberali, fondate
sull’individualismo e la tutela dei diritti individuali, diviene la traduzione in prassi di una concezione
essenzializzata del razzismo ovvero di un’ideologia fondata sulla diseguaglianza.
Proprio il concetto discriminazione invece che diseguaglianza esprime la tensione tra forme e terminologie
di ordinamenti giuridici volti alla tutela dei diritti individuali fondamentali e la ricognizione socioantropologica dei rapporti sociali tra diseguali. La nozione di disuguaglianza nelle discipline
antropologiche non è così diffusa. Essa, infatti, viene utilizzata per discutere l’etnicità (Comaroff 1987)
la stratificazione socio-economica, o le relazioni di genere (Strathern 1987) e sono pochi gli studi che
ambiscono a rileggere l’ineguaglianza con un approccio più olistico, a questo proposito si veda lo studio
di Godelier (1992) sulle gerarchie sociali in Nuova Guinea. La marginalità nell’uso della nozione di
diseguaglianza, che potrebbe trovar le sue ragioni nella tensione etnografica verso la descrizione di
particolari rapporti ineguali delle società altre, pone all’antropologia contemporanea che sempre più
indaga, grazie agli strumenti e al corpus di conoscenze maturato sull’alterità, le società occidentali, un
nodo di riflessione e una pista di esplorazione concettuale. La disuguaglianza, ci indica Beteille (1987), è
consustanziale nelle società umane all’attribuzione di valore; le società, infatti, hanno da sempre ideato
criteri di divisione del lavoro, del potere, degli spazi che di per sé implicano capacità e competenze
(Beteille 1987). Con la modernità, la nascita dell’homo oeconomicus (Dumont 1984) e dell’individualismo, la
riconfigurazione di questa pone sotto la lente delle scienze sociali (includendo anche i saperi giuridici) il
tema delle disparità e di come coniugare uguaglianza e attribuzione di valore dei singoli tutelandone i
diritti.
Gli studi socio-antropologici contemporanei (Silverstein 2004; Rivera 2003; Fassin 2006; Cohen et al.
2012) hanno investigato le forme di concretizzazione, di fabbricazione della discriminazione,
evidenziando il prodursi sociale delle disparità e ineguaglianze, così come dei cosiddetti confini interni
(Fassin 2011) alla società. Confini materiali e simbolici per i quali si attribuiscono ai singoli, perché
afferenti a gruppi sociali e di volta in volta diversi (migranti, donne, seconde generazioni, africani),
caratteristiche specifiche, percorsi scolastici e traiettorie lavorative e professionali predeterminate e/o
itinerari inefficaci di cura producendo concrete forme di discriminazione ed esclusione sociale.
La costruzione di confini interni alla società emerge, a un primo sguardo, come più evidente nei paesi
che hanno elaborato criteri d’inclusione degli stranieri in termini comunitaristici portando con sé
pratiche e forme istituzionalizzate di riconoscimento dell’origine, del colore e della razza. Nel Nord
America per esempio — e di conseguenza negli studi socio-antropologici che, dando conto di visioni
emiche, negoziano nei contesti le modalità descrittive stesse — Race è utilizzato proprio per andare a
leggere i processi di esclusione valorizzando, nelle prospettiva di attivisti e intellettuali, un punto di vista
marginalizzato nella storia. L’uso stesso del termine per descrivere minoranze e rapporti sociali ineguali
era pressoché misconosciuto in Europa, dove invece si sottolineava l’inesistenza delle razze (Guillamin
1972). Più di recente, seppur nel solco di quanto sostenuto da Guillamin, gli studi di taglio socioantropologico hanno sempre più considerato le razze come fatti sociali analizzando la produzione dei
rapporti d’ineguaglianza che è stata definita, per l’appunto, razzializzazione. Razzializzazione (Murji,
Solomos 2005) è quel processo per cui, in una data società, si attribuisce un valore diversificato a singoli
e gruppi producendo dispositivi veri e propri di gerarchizzazione ed esclusione. L’asimmetria,
legittimata da stereotipi, discorsi pubblici e saperi specialistici, ricostruendo forme tassonomiche spurie,
situa gruppi sociali eterogenei lungo linee di distinzione in nome del colore della pelle, della cultura di
provenienza e della differenza rispetto alla popolazione autoctona e/o maggioritaria.
La razzializzazione, in cui al contempo si naturalizzano le caratteristiche culturali dei gruppi e i rapporti
d’ineguaglianza, è efficace nel delineare le forme di discriminazione e il prodursi delle stesse perché
riesce a cogliere l’interconnessione nelle politiche e pratiche che regolano le migrazioni tra i processi
sociali, politici e burocratici.
Il dibattito francese degli anni Novanta sulla migrazione permette di leggere le discrasie e le tensioni tra
un modello di integrazione fondato sui diritti di cittadinanza individuale che esclude, nelle sue retoriche
e nelle sue norme legali, ogni eventuale segno di alterità e provenienza e le politiche migratorie sempre
più stringenti che irrigidiscono le frontiere. L’irrigidimento delle frontiere francesi, la rivolta dei sans
papier, che hanno rivelato come l’irregolarità sia stata creata legalmente (De Genova 2004, 2005), e da
ultimo l’ammissione della discriminazione nelle fabbriche, nelle scuole, negli ospedali ha creato un
serrato dibattito pubblico e scientifico rivelando tutte le tensioni tra rappresentazioni dello stato/ della
cittadinanza e quotidiane pratiche esclusive che hanno rimodellato la società francese. Altro evento
importante che ha segnato ancora una volta la relazione tra stato, cittadini e asimmetrie sociali è stata la
rivolta delle banlieue che ha riproposto all’attenzione il tema della discriminazione, della violenza e
dell’esclusione sociale allargando nelle pratiche quotidiane lo spettro dei comportamenti e dei dati da
celare a tutela del diritto individuale (cfr. eliminazione dato indirizzo su CV per evitare discriminazioni
nel mondo del lavoro) ma anche nuove prassi istituzionali di controllo del territorio da parte della
polizia (Fassin 2014).
Nelle ricerche antropologiche che prendono in considerazione i modi con cui gli apparati statali
governano, rispondono e re-inventano prassi di gestione della migrazione, delle richieste d’asilo e dei
permessi di soggiorno/ricongiungimento famigliare risulta, pur nella diversità dei contesti e degli
approcci, l’inestricabilità tra pratiche sociali, norme giuridiche e pratiche amministrative. Queste nella
loro sovrapposizione, reciproca influenza e combinazione producono cittadini, rifugiati o alieni per
eccellenza. Osservare i meccanismi di produzione dell’accoglienza dei rifugiati e/o dei migranti, che in
gran parte oscillano e combinano politiche securitarie ed ethos compassionevole (Ong 2005), favorisce
una lettura bifocale e bidirezionale sia sulla migrazione che sulle forme organizzative che la regolano,
forme organizzative tra cui lo stato, con le sue articolazioni locali, emerge nella sua eccellenza.
Il progetto
Nel solco di quanto sinora esposto questo progetto di ricerca, con l’intento di avviare uno studio
antropologico della discriminazione e colmare una lacuna sulla mancanza di dati empirici sulla
discriminazione in Italia (Rivera 2003), individua come strategia e oggetto preferenziale di ricerca i
dispositivi istituzionali messi in campo per rispondere alle vittime di discriminazioni e soprusi.
L’approccio di ricerca si colloca nella recente tendenza a evidenziare la natura pratica e politica delle
discriminazioni, dagli aspetti relazionali a quelli più istituzionali (Cole 1997; Riccio 1999; Silverstein
2004; Fassin 2006).
In particolare l’analisi verterà su un dispositivo peculiare: le reti territoriali antidiscriminazione. Queste,
nate proprio per intercettare un bisogno, sono reti composte da istituzioni, enti del terzo settore e
associazioni. L’idea che nei primi anni duemila aveva guidato, in alcune regioni italiane tra cui l’Emilia
Romagna, la sperimentazione delle reti territoriali (Carchedi, Ruggerini, Scaramella 2008) era proprio
quella di sensibilizzare con campagne ad hoc la cittadinanza, formare alcuni attori sociali che, per
prossimità e capacità, erano già in contatto con persone potenzialmente vittime di discriminazione,
supportare scambi di saperi e conoscenze tra istituzioni di governo locale e soggetti eterogeni della
società civile. La città di Bologna, tra i contesti territoriali italiani, si distingue per aver costruito una rete
particolarmente ampia e capillarmente diffusa. Questa, almeno a una prima valutazione, sembrerebbe
estremamente forte e articolata.
Nel contesto locale i servizi alla migrazione, in particolar modo, sono pensate come azioni integrate tra
pubblico e privato, tra istituzioni e soggetti della società civile (associazionismo, gruppi informali di
pressione, servizi di tutela dei diritti). La rete territoriale antidiscriminazione, come esempio di
interconnessione tra questi elementi, potrebbe essere una buona lente con cui indagare le pratiche
discriminatorie agite e le rappresentazioni diffuse — nel tessuto sociale e istituzionale — su cosa si
configuri come discriminazione e, in particolare, su cosa si possa fare per rispondervi. La rete
territoriale è nata nel 2007 a poco meno di dieci anni di vita com’è cambiata l’idea di discriminazione?
Tra norme legislative nazionali e sovranazionali a tutela delle vittime, irrigidimento delle legislazioni in
materia d’immigrazione, “emergenza profughi”, politiche securitarie e terrorismo internazionale, come
cambiano le politiche locali di inclusione sociale? E i discorsi pubblici?
Attraverso alcune tecniche di ricerca qualitativa si cercherà di indagare la breve storia della rete locale,
l’aderenza o meno ai suoi principi ispiratori, l’effettiva capacità di muoversi come rete sociale per
l’empowerment delle persone più vulnerabili, le pratiche organizzative della rete. Il fuoco analitico
prenderà in considerazione il punto di vista degli attori sociali convolti, da una prospettiva actor-oriented
(Arce, Long 2000), sollecitando la riflessività (Fabietti 1998) degli interlocutori di ricerca, si mira a
descrivere le modalità con cui gli operatori, che s’imbattono con un sistema di vincoli e opportunità
stringente e stratificato, agiscono e implementano azioni sia di supporto alle vittime che di più ampio
raggio come ad esempio le campagne di sensibilizzazione.
Mediante l’analisi della rete come dispositivo ad hoc si indagheranno i modi con cui le istituzioni e i
diversi attori sociali della rete territoriale immaginano, producono, e/o condividono rappresentazioni
della discriminazione, della migrazione e della cittadinanza. La discriminazione, infatti, può minare la
partecipazione sociale, sfociare nella protesta e/o innescare processi di costruzione di nuove forme di
rappresentanza a livello non solo locale. Appadurai (2011) descrive bene, nelle lotte per il diritto alla
casa i processi inter e transnazionali che hanno portato alla costruzione di gruppi di pressione nelle
città.
La discriminazione, proprio per la sua caratterizzazione di norma giuridica fondata sul principio
d’uguaglianza e di tutela dei diritti individuali è materia per legislazioni nazionali, sovranazionali come
nel caso dell’Europa e internazionali (Convenzione ONU), essa però risponde a logiche locali e a storie
politiche. In Italia l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazione non è indipendente dal governo, e
l’organizzazione dei servizi di promozione dell’antidiscriminazione e sostegno alle vittime è organizzato
su base regionale, questa proprio nel 2015 ha subito delle modifiche che stanno progressivamente
centralizzando i servizi di tutela. E così mentre l’Italia sul tema specifico taglia le poche risorse
disponibili e pianifica una nuova organizzazione a controllo nazionale, in Francia nella primavera 2015
è stata lanciata una campagna per la promozione attiva dell’antidiscriminazione in cui coinvolgere
soggetti della società civile e organizzazioni non governative. Le scelte organizzative che
decentralizzano o accentrano poteri a livello nazionale, l’impiego o il taglio di risorse economiche
incidono sulla forma dei dispositivi di contrasto e forse sul “farsi stesso” della discriminazione. Il
percorso inverso che in Italia e Francia si sta delineando nel coinvolgimento di soggetti della società
civile per implementare azioni a contrasto della discriminazione li rende, da un punto di vista analitico,
due contesti/paesi interessanti in un’ottica di raffronto e analisi.
D’altra parte sul tema delle discriminazioni, a livello europeo, si sta assistendo a un progressivo
allargamento della gamma di diritti negati che vengono rubricati sotto la dicitura discriminazione.
Progressivamente ai diritti delle minoranze su base etnico-razziale, o di genere e orientamento sessuale,
si sono aggiunti i diritti per i disabili2, i principi di non discriminazione per età o indirizzo (Francia)
2
Nell’economia generale di questo progetto non si focalizzerà l’attenzione nello specifico sulla tipologia e analisi dei gruppi
vulnerabili e delle discriminazioni multiple. Basandosi sui risultati delle precedenti indagini sul territorio condotte da questo
Sebbene il processo in atto stia inglobando, nella categorizzazione giuridica di tutela, diritti sempre
diversi di componenti sociali eterogenee, dal punto di vista antropologico ci si chiede se questo
inglobamento in unica categoria d’analisi non ostacoli la lettura dei processi sociali di ineguaglianza che
sembrerebbero descrivere un continuum di posizioni in cui, come il diritto riconosce, spesso ricopre più
posizioni rendendolo vittima di discriminazioni multiple.
L’ottica comparativa che guarda alle somiglianze e differenze tra i dispositivi di contrasto in Italia e
Francia (Rivera 2005) guiderà la ricerca che però, per gli intenti e i tempi che si prevedono in questa
fase, focalizzerà la produzione di dati empirici esclusivamente a un livello micro: la rete locale.
Quali sono state le strategie della rete per il contrasto alla discriminazione? Esistono
temi/discriminazioni che più facilmente emergono nel contesto locale? Quale idea di
discriminazione/cittadinanza condividono gli attori sociali della rete? La rete territoriale, che offre
servizi alle vittime, può esser vista nella sua articolazione come un prolungamento del governo locale?
Chi sono i suoi interlocutori principali? E i destinatari delle sue azioni?
Metodologia di ricerca
Alle domande poste nel paragrafo precedente si proverà a rispondere attraverso l’incrocio di due
prospettive teorico-metodologiche. Un approccio che guarda all’etnografia delle istituzioni (Herzfeld
1992; Abelès 2001; Shore, Wright 2011) combinato con l’analisi delle esperienze degli operatori della
rete antidiscriminazione. Collocare le esperienze personali all’interno di cornici organizzative e dentro
prassi istituzionali permette di leggere come le azioni del soggetto si inscrivano in logiche più ampie.
L’etnografia delle istituzioni, che per sua attitudine osserva e verifica le pratiche concrete con cui canali
informali di potere intersecano o coesistono con le gerarchie ufficiali permetterà, infatti, di leggere
analiticamente gli spazi di elaborazione della discriminazione, delle sue diverse rappresentazioni oltre
che le tensioni e mediazioni nelle prassi, nelle direttive e nei documenti ufficiali. Si auspica di cogliere,
attraverso la tensione etnografica con cui si procederà nella ricerca, un mondo sociale da cui trarre
indicazioni più generali. «L’obiezione, spesso rivolta all’etnografia, sulla pertinenza di attribuire risultati empirici
raccolti attraverso l’osservazione locale alla società nel suo insieme è male articolata» (Fassin 2013: 24), egli infatti nel
suo studio etnografico sulla polizia nei sobborghi parigini identifica nella capacità di dar senso, in un
dato momento, ai dettagli di uno specifico mondo sociale l’evenienza di cogliere processi di portata più
ampia. Paradossalmente, prosegue l’autore, attraverso la ricerca etnografica il particolare rivelerebbe il
generale. Lo studio di Fassin osserva e analizza i modi e le esperienze delle forze dell’ordine prestando
attenzione alle rappresentazioni, alle routine quotidiane e ai meccanismi dei sistemi di valutazione,
incentivo, o sanzione che orientano le pratiche dei poliziotti.
In linea con quanto affermato da Fassin si proverà, attraverso il dispositivo locale e circoscritto della
rete antidiscriminazione a delineare logiche e processi di significato più ampio che orientano decisioni,
implicano scelte politico-organizzative a livello nazionale e producono sulla discriminazione discorsi
e/o silenzi nella sfera pubblica.
Come già esposto, infatti, l’oggetto privilegiato di ricerca sarà la rete locale territoriale, che proprio per
la sua natura ibrida che raccoglie attori istituzionali di diversa grandezza, soggetti della società civile con
storie eterogenee, sarà fonte per la produzione di dati empirici. La ricerca nello specifico, dopo una
Dipartimento (cfr. Caldin 2012), guarderà piuttosto alle risposte avviate, da istituzioni e non, verificando strategie, dispositivi
e capacità di rilevazione dei processi di esclusione sociale.
prima fase di studio della letteratura scientifica e grigia (mesi 0-4) sul tema e una rilevazione (mesi 2-4)
delle iniziative della rete in una prospettiva temporale cadenzata (avvio e primi due anni,
consolidamento e rilevazioni degli ultimi due anni) consentirà al/la ricercatore/ricercatrice di descrivere
con puntualità la storia dell’oggetto illustrandone l’evoluzione, i cambiamenti e la collocazione dentro
prospettive politiche istituzionali locali, regionali e/o nazionali. Si prevede poi l’avvio della ricerca
empirica (mesi 4-9) con interviste a testimoni privilegiati, focus groups (almeno 3) con attori della rete,
monitoraggio delle pagine web dei soggetti della rete per verificare la presenza e i modi di
comunicazione sul tema e sulle iniziative, osservazione partecipante a eventi inerenti le attività della
rete, elaborazione dei dati qualitativi (mesi 9-11) e avvio delle stesure di articoli e saggi sul tema (dal
mese 11 in poi) da sottoporre al peer review.
Con l’intento analitico di osservare i dispositivi di contrasto delle discriminazioni si mira ad avviare una
ricerca empirica privilegiando l’uso di alcune tecniche di rilevazione qualitativa (interviste a testimoni
chiave, web survey, focus groups, interviste in profondità) piuttosto che avviare, in questa fase, un vero e
proprio fieldwork3. Si privilegerà, dunque, una rilevazione di dati qualitativi, una mappatura degli
interventi fatti e uno studio sul tema al fine di verificare anche eventuali e futuri sviluppi per una ricerca
etno-antropologica sul tema.
L’analisi delle esperienze degli operatori e la sollecitazione della loro capacità riflessiva permetterà al
contempo:
•
•
Dal punto di vista del ricercatore/ricercatrice di leggere i gap tra procedure, pratiche e
rappresentazioni così come le tensioni, i punti di convergenza o i conflitti tra attori della rete
territoriale nelle azioni/visioni sulle discriminazioni.
Dal punto di vista degli interlocutori di ricerca di pensare e agire sul proprio operato, favorendo
meccanismi di consapevolizzazione sulle pratiche.
Proprio la riflessività, indotta dalla ricerca tra gli operatori, potrebbe produrre l’avvio di un processo di
ripensamento delle pratiche routinarie e della tipologia di servizi producendo degli effetti che
potremmo definire di antropologia applicata. Evidentemente, vista la fase del tutto iniziale e i tempi
brevi di questa ricerca, non è possibile stabilire in modo aprioristico queste finalità, ma l’attenzione sulle
ricadute e le scelte etico-metodologiche di posizionamento verranno discusse e affrontate tra tutor e
titolare dell’assegno di ricerca, al fine di valutare attentamente potenzialità e strategie di intervento.
Prodotti e Impatto della Ricerca
1) Rapporto di ricerca finale comprensivo di:
ü Analisi della letteratura interdisciplinare sulla discriminazione.
ü Elaborazione dei risultati dell'indagine qualitativa.
ü Analisi in una prospettiva comparativa.
2) Pubblicazioni di carattere scientifico in Riviste Nazionali e Internazionali.
3
Una ricerca etnografica necessita, infatti, di tempi medio-lunghi per sviluppare un’osservazione partecipante di lunga
durata, un’interazione quotidiana e prolungata oltre che le fondamentali negoziazioni per l’accesso al campo.
3) Comunicazioni Scientifiche sui temi di ricerca in convegni nazionali e internazionali. Questo al fine
di permettere al/la titolare dell’assegno di ricerca di maturare e/o affinare le competenze di ricerca,
favorire lo scambio sulle analisi e partecipare attivamente al dibattito scientifico nonché favorendo la
diffusione dei risultati di ricerca del dipartimento e in generale dell’Università di Bologna.
La ricerca, dato il tema che è un terreno di per sé interdisciplinare, mira a fornire risultati che possano
supportare studi e interventi formativi in ambito e socio-educativo.
Dal punto di vista squisitamente disciplinare colma un gap di ricerca empirica consentendo di cogliere
come le norme, sociali e giuridiche, si articolino nelle prassi quotidiane degli attori sociali. Consente poi
di guardare come le istituzioni e la cosiddetta società civile riarticolino risposte locali a direttive e
orientamenti politici a livello nazionale e sovranazionale.
Dal punto di vista dell’antropologia applicata questo progetto, nonostante la sua caratterizzazione di
ricerca “pura”, potrebbe contribuire a rafforzare i risultati positivi dell’intervento formativo fatto dal
Dipartimento in convenzione con il Comune di Bologna e fornire alcuni dei risultati alle istituzioni
locali interessate al tema verificando se possano esserci occasioni di collaborazione ed eventuali
progettazioni condivise. A scopo illustrativo si rammenta che Bologna presiede l’European Coalition of
Cities against Racism (ECCAR). Questa è una rete di città, lanciata da Unesco nel 2004, interessate a
condividere esperienze per migliorare le politiche per la lotta al razzismo, la discriminazione e
xenofobia.
Si potrà infine, inscrivendo questo progetto nella tradizione del Dipartimento, contribuire allo sviluppo
di un dibattito pubblico informato in continuità con le iniziative già realizzate in collaborazione con enti
locali e fondazioni.
Piano di formazione
Il/la ricercatore/ricercatrice che avrà l’opportunità di svolgere questa ricerca potrà affinare le
competenze etnografiche, che si auspica siano state già acquisite e consolidate, misurandosi con un
terreno di ricerca complesso qual è quello delle istituzioni. La ricerca, che qui si prevede di realizzare,
infatti, verterà al contempo sulle pratiche degli operatori della rete anti-discriminazione così come sui
dispositivi istituzionali costruiti. Inoltre, dato il tema e la letteratura interdisciplinare, pur tenendo in
considerazione che la ricerca si collocherà all’interno della cornice di analisi etno-antropologica, il/la
ricercatore/ricercatrice potrà sviluppare capacità critica di analisi con uno studio attento e incrociato di
linguaggi disciplinari diversificati. Si prevede la partecipazione alle attività del Centro di Ricerca MODI
(Mobilità, Diversità e Inclusione sociale) al fine di favorire oltre che l’acquisizione di competenze
specifiche su migrazioni, processi sociali di inclusione/esclusione e ricerca etno-antropologica, la
crescita e maturazione scientifica del titolare dell’assegno che avrà l’opportunità di presentare i risultati
della sua ricerca confrontandosi con ricercatori di livello nazionale e internazionale.
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