Ritrovare il flusso evolutivo
(Famiglia Oggi, 3/2002, pp. 18-23)
di Massimo Ammaniti
(psicoanalista, docente di Psicopatologia dello sviluppo presso l’Università La Sapienza di Roma)
In adolescenza è fondamentale distinguere le semplici crisi di crescita dai disturbi mentali veri e propri. In tal
modo si può evitare di trattare terapeuticamente i malesseri che possono risolversi spontaneamente e non si
rischia di sottovalutare più gravi sofferenze legate all’identità.
Nel 1900 Freud curò, per la prima volta, il disagio mentale di un’adolescente. Si aprì, così, un nuovo capitolo
della psicoanalisi. Dopo quest’inizio illuminante passarono molti decenni, prima che gli studiosi ricominciassero a occuparsene.
Vienna, ottobre 1900. Un signore di mezz’età e una ragazza suonano al portone di un austero palazzo
residenziale, situato in Berggasse 19. La giovane segue con aria intimidita l’uomo, che è suo padre: ha una
lunga gonna di lana, una giacca attillata da cui si intravede una camicia bianca dal collo alto, un cappello
che le nasconde i capelli raccolti. Questo potrebbe essere l’inizio del racconto del caso di Dora, prima che la
ragazza e suo padre entrassero nello studio del dottor Freud.
Come sappiamo, quello di Dora rappresenta il più noto caso clinico di un’adolescente nella storia della
psicoanalisi. Dalla sua storia clinica, sappiamo che Dora presentava fin dall’età di dodici anni dolori
emicranici e accessi di tosse nervosa. In seguito, poco prima del trattamento psicoanalitico, aveva
manifestato un sintomo particolarmente fastidioso, la perdita totale della voce, che forse l’aveva convinta a
intraprendere l’analisi con Freud. Ma ciò che preoccupava i genitori erano anche altri comportamenti della
figlia, che, come scrive Freud, «cercava di evitare le relazioni sociali... e dopo una banale discussione fra
padre e figlia, quest’ultima fu per la prima volta colta da svenimento».
Durante il breve trattamento psicoanalitico, la ragazza raccontò a Freud due sogni che rappresentarono per
lui un importante materiale clinico su cui basare la teoria sull’origine sessuale delle nevrosi che viene
esplicitata nel poscritto: «Io non posso che ripetere in ogni occasione, perché in ogni occasione ne ho la
riprova, che la sessualità è la chiave del problema delle psiconevrosi e delle nevrosi in genere. Chi la
disdegna, non sarà mai in grado di forzare l’accesso».
Per ritornare a Dora, è certo verosimile che le fantasie sessuali ed edipiche entrassero in modo travolgente
nel suo mondo psichico e nei suoi sogni, anche se le sue censure intervenivano continuamente a rimuovere
e ad allontanare dalla coscienza i suoi desideri. Ed essendo la famiglia, durante l’adolescenza, il luogo
centrale di socializzazione, si può senz’altro ipotizzare che la ragazza vivesse in modo particolarmente
intenso le dinamiche familiari.
Infatti Dora partecipava con grande turbamento ai tradimenti paterni e alle proprie vicissitudini sentimentali
con il signor K., un amico di famiglia. In quest’ottica le dinamiche edipiche, riattivate dall’adolescenza,
venivano alimentate da un contesto di sviluppo i cui orizzonti coincidevano con la famiglia e gli amici dei
genitori.
Il trattamento di Dora apre un nuovo capitolo della psicoanalisi, oltre all’infanzia ci si comincia a interessare
delle dinamiche psicologiche dell’adolescenza e si iniziano a intravedere le difficoltà e gli scogli quando si
affronti una psicoterapia con un adolescente. Tuttavia lo stesso Freud fu preso in contropiede da Dora che
dopo pochi mesi interruppe il trattamento, forse perché si erano attivate delle dinamiche inconsce nella loro
relazione che il padre della psicoanalisi, a quell’epoca, non era ancora in grado di riconoscere
adeguatamente.
Dopo queste prime e illuminanti osservazioni, lo studio dell’adolescenza viene trascurato per molti decenni
proprio perché l’interesse psicoanalitico si concentra sui primi anni di vita. Va tuttavia segnalato il lavoro
dello psicoanalista August Aichorn che creò a Vienna negli anni ’20 dei consultori per adolescenti in difficoltà
che presentavano comportamenti antisociali e negli anni ’30 il libro di Anna Freud, L’Io e i meccanismi di
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difesa, di cui alcuni capitoli erano specificamente dedicati ai meccanismi di difesa tipici dell’adolescenza,
ossia l’ascetismo e l’intellettualizzazione.
Solo dopo la seconda Guerra mondiale l’adolescenza viene ad assumere una grande rilevanza; in campo
psicoanalitico se ne studiano i processi e le dinamiche di sviluppo e si affrontano applicazioni
psicoterapeutiche in modo più sistematico. Non tutti condividono l’utilità di trattare gli adolescenti, ad
esempio Anna Freud ritiene che essi non siano analizzabili al pari dei pazienti che sono presi da un
innamoramento o da un grave lutto, proprio perché il loro baricentro psichico si troverebbe al di fuori del
contesto psicoterapeutico. Ci si può chiedere se questo nuovo interesse per l’adolescenza sia legato a
un’evoluzione della disciplina psicoanalitica o non sia piuttosto influenzato dal nuovo clima in cui i giovani
diventano sempre più protagonisti della vita sociale, testimoniato anche da film come Gioventù bruciata
oppure West Side Story o romanzi come Il giovane Holden.
In questi ultimi decenni gli adolescenti sono cambiati molto, nei comportamenti, nelle mode, negli
atteggiamenti verso i consumi e i "new media" e il gruppo è diventato il luogo principale di riferimento
sociale. Il mondo di Dora appare molto lontano ed è legittimo chiedersi se le dinamiche psicologiche
dell’adolescenza descritte da Freud siano le stesse di quelle che possiamo osservare oggi. Anche i malesseri
giovanili e i disturbi psicologici degli adolescenti si sono diversificati e sono diventati più complessi, non solo
i quadri clinici descritti da Freud, come ad esempio l’isteria, la nevrosi fobica e ossessiva, ma nuove forme
come il disturbo borderline di personalità, le tossicodipendenze, i disturbi di identità, i disturbi alimentari. E
sono quadri in rapida evoluzione, influenzati dai comportamenti degli adolescenti che si diffondono con
grande rapidità, anche per i meccanismi di imitazione e di uniformismo che caratterizzano i gruppi degli
adolescenti.
Tutto questo si riflette sui modelli del funzionamento psicologico in adolescenza e sugli obiettivi e i metodi
dell’intervento psicoterapeutico. Come ho cercato di sintetizzare nel grafico soprastante, gli indirizzi in
campo psicoterapeutico sono molteplici. In primo luogo quelli più classici che si rifanno al modello pulsionale
di Freud, che è stato ampliato dalla figlia Anna e più recentemente da Peter Blos e dai coniugi Laufer, i quali
ultimi hanno creato a Londra il famoso Brent Consultation Center in cui sono trattati specificamente
adolescenti. Questo indirizzo tende a focalizzare il mondo intrapsichico degli adolescenti sottolineando
l’importanza in psicoterapia di interpretare le dinamiche inconsce legate alla sessualità e alle trasformazioni
puberali del corpo.
Sempre nella prospettiva di valorizzazione del "mondo interno", ossia della dimensione intrapsichica, vi è da
segnalare il più recente e interessante sviluppo delle teorie kleiniane e in particolare il contributo di Donald
Meltzer. Secondo Meltzer l’adolescente vive in aree psichiche diverse fra cui può fluttuare, per cui ci si deve
chiedere dove si trovi in quel momento, ad esempio nella consultazione terapeutica. È l’adolescente che vive
in un rapporto di complicità nel gruppo dei coetanei, oppure è l’adolescente isolato che si ritira nel suo
mondo popolato di fantasie megalomaniche investito da una missione unica, oppure è l’adolescente che
regredisce al mondo dell’infanzia bisognoso di protezione e di rassicurazioni o infine è l’adolescente che
entra nel mondo degli adulti in modo sbrigativo e cinico, interessato solo al successo e all’affermazione
personale? Si tratta sicuramente di interrogativi importanti che riguardano i mondi mentali degli adolescenti,
ma che trascurano il contesto sociale che è ugualmente investito durante l’adolescenza di significati coscienti
e inconsci.
Più attenti agli aspetti interpersonali e sociali sono gli indirizzi di Kohut e di Erikson che valorizzano il sé e
l’identità negli adolescenti. Può essere utile ricordare che il tema dell’identità ha assunto un significato
sempre più attuale dopo gli anni ’60, quando è avvenuta una sorta di mutazione antropologica fra l’uomo
colpevole, che fa riferimento alla lotta fra pulsioni e moralità, e l’uomo tragico, il quale ultimo lotta contro gli
ostacoli che gli si frappongono per realizzare sé stesso. Gli adolescenti di oggi sono infatti costantemente
preoccupati della propria identità, ossia di chi sono, di che cosa vogliono e quanto gli altri li riconoscano.
Proprio l’indirizzo di Kohut, che ha trovato interessanti applicazioni in Italia nel lavoro di Tommaso Senise,
tende a valorizzare un approccio terapeutico di rispecchiamento da parte del terapeuta che aiuta in questo
modo l’adolescente a riconoscere e a ritrovare l’immagine di sé e un senso di coesione.
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Incertezze transitorie
Comunque aldilà degli indirizzi e delle finalità della psicoterapia è ormai ampiamente accettato che durante
l’adolescenza, nel caso di disturbi psicologici importanti, il trattamento psicoterapico è senz’altro efficace.
Credo che sia importante sottolineare che occorre distinguere in adolescenza le crisi evolutive dai disturbi
veri e propri, anche se non è sempre facile tracciare un chiaro confine di differenziazione. Prendiamo ad
esempio la crisi di identità in adolescenza, che come ha messo in luce Erikson costituisce una tappa
inevitabile legata al distacco dalle figure familiari dell’infanzia e alle trasformazioni corporee e sessuali. Si
tratta di uno stato psicologico caratterizzato da un vissuto di incertezza rispetto a sé, ai propri valori e
orientamenti che riguarda anche le relazioni con gli altri. Pur determinando oscillazioni dei propri punti di
vista e difficoltà nelle relazioni con gli altri e nel rendimento scolastico, la crisi di identità corrisponde a una
fase che ha un carattere transitorio e che non determina ansie e stati depressivi accentuati. È ben diverso il
disturbo di identità in adolescenza, presente nella classificazione del Dsm-III-R (Manuale statistico e
diagnostico dei disturbi psichici) e non riconfermato nel Dsm-IV, in cui sono presenti incertezze profonde
sugli obiettivi personali a lungo termine, sulle amicizie da privilegiare, sugli orientamenti sessuali, sui sistemi
di valori e sulle convinzioni religiose che può durare per un certo periodo anche piuttosto prolungato con
una grave limitazione personale. Tale distinzione diagnostica è importante per evitare di trattare crisi
evolutive che potrebbero risolversi spontaneamente con le risorse personali oppure, e questo sarebbe più
grave, sottovalutare disturbi di identità che se non trattati potrebbero interferire seriamente con il
superamento dell’adolescenza e l’ingresso nel mondo adulto.
Lo stesso si può verificare con le difficoltà alimentari nel corso dell’adolescenza, che ormai sono molto
diffuse non solo fra le ragazze ma anche fra i ragazzi, proprio perché diete e restrizioni alimentari, attenzioni
ossessive per il corpo e attività fisiche costituiscono comportamenti quasi ritualizzati fra i giovani, in cui si
esprimono le preoccupazioni per il proprio sé e allo stesso tempo un senso di appartenenza al gruppo. Il
compito del clinico è quello di riconoscere i comportamenti di controllo alimentare che caratterizzano le
preoccupazioni per il corpo che sta cambiando rispetto ai disturbi alimentari veri e propri, come sono
appunto l’anoressia e la bulimia, e a quell’area ancora poco definita costituita dai disturbi da abbuffata
(binge eating disorders) in cui è presente un disturbo del controllo degli impulsi. Anche qui vale quello che è
stato detto in precedenza, è opportuno utilizzare dei criteri clinici basati sui sintomi ma soprattutto sulle
caratteristiche della struttura psichica. Ci si può riferire ad esempio ai criteri strutturali proposti dallo
psicoanalista Otto Kernberg, basati sulla integrazione/diffusione dell’identità, sulla presenza del giudizio di
realtà che consenta di distinguere le percezioni di sé e del mondo esterno e infine la presenza di meccanismi
difensivi più o meno maturi. Tuttavia nonostante si possano utilizzare criteri clinici sufficientemente
collaudati, è opportuno che questi tengano presente le dinamiche evolutive in adolescenza.
È proprio questo che giustifica una formazione specifica e approfondita per quanti vogliono operare in
questa importante fascia di età in cui si possono ottenere risultati significativi e si possono prevenire
distorsioni psichiche più gravi in età adulta. Come è noto può essere difficile distinguere il disturbo
borderline di personalità dalle nevrosi sintomatiche che in adolescenza possono avere effetti disorganizzanti
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che possono ricordare disturbi più seri. Oppure la tendenza dell’adolescente ad avere crisi di identità con
fluttuazioni nelle sue identificazioni può lasciar sospettare una sindrome più grave di dispersione
dell’identità. Ugualmente i comportamenti di opposizione e di ribellione nei confronti dei genitori possono
essere il segno di una difficoltà ad affrontare il distacco dai genitori e superare la dipendenza mentre in altre
situazioni ci si può trovare di fronte a un disturbo di personalità. È opportuno tener presente quanto
illustrato fino a ora per la formazione degli psicoterapeuti in adolescenza, che oltre ad approfondire la
valutazione clinica e i metodi di intervento devono conoscere le dinamiche, le fasi dell’adolescenza normale
e in quella a rischio.
Difficoltà alimentari
Per quanto riguarda l’intervento terapeutico in adolescenza, c’è da tener presente che la domanda di aiuto è
fortemente aumentata negli ultimi anni con un proliferare di sportelli psicologici nelle scuole, di consultori
per giovani e adolescenti, di servizi di psicoterapia. Nel caso in cui la valutazione clinica, operazione
preliminare e indispensabile, evidenzi disturbi sufficientemente strutturati che non si risolvano con la spinta
evolutiva, occorre prendere in considerazione la psicoterapia. Allo stesso tempo occorre schivare due scogli,
rappresentati da quanti affermano, e sono perlopiù pediatri e medici, che con l’adolescenza stessa i problemi
si risolvono oppure da quelli che difronte a qualsiasi difficoltà di un adolescente vorrebbero mandarlo in
psicoterapia e in questo caso sono perlopiù psicoterapeuti e psicoanalisti.
Una volta riconosciuto il disturbo di un adolescente, ci si può chiedere quale psicoterapia. Qui è opportuno
che l’adolescente sia aiutato in modo da garantirgli uno spazio di incontro protetto e continuativo che lo aiuti
a ritrovare sé stesso, evitando tuttavia che l’impegno in termini di sedute possa interferire con lo studio e
con le necessarie frequentazioni dei coetanei.
Altro aspetto importante riguarda l’atteggiamento dello psicoterapeuta che non si trincera dietro una
neutralità terapeutica ma interagisce attivamente e spontaneamente mettendo in gioco sé stesso. Non
dimentichiamo che gli adolescenti non hanno soltanto bisogno di rivivere le esperienze traumatiche del
passato, ma anche di sperimentare nuove relazioni significative, come quelle col terapeuta.
C’è un’ultima questione nella psicoterapia degli adolescenti e che la diversifica da quella degli adulti. Può
succedere che un adolescente intraprenda anche con molta convinzione una psicoterapia, ma che poi per
motivi diversi, ad esempio un innamoramento o un’occupazione scolastica, decida di interromperla. Nel caso
di un adulto il terapeuta lo considererebbe un fallimento, mentre nel caso di un adolescente anche un
intervento relativamente breve può essere efficace consentendogli di ritrovare il flusso evolutivo, proprio
come una macchina che per entrare nell’autostrada deve riuscire a trovare la velocità giusta per immettersi
nelle colonne delle macchine che sopraggiungono.
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