2.2 Prospezioni geologiche 2.2.1 Fotointerpretazione, telerilevamento, cartografia digitale, cartografia integrata Introduzione In questa sezione descriveremo il forte e rapido impatto esercitato, soprattutto negli ultimi due decenni del 20° secolo, dalle tecnologie spaziali e informatiche sulle attività di esplorazione e di sviluppo degli idrocarburi sia in terra che in mare. Per ricercare ed estrarre dal sottosuolo gli idrocarburi è indispensabile la conoscenza dettagliata della geologia, della geografia e dell’oceanografia. Occorre ricostruire l’evoluzione geologica di una regione non solo per stabilire se nel suo sottosuolo esistano rocce madri, sepolte a una profondità tale da consentire la formazione di idrocarburi, e rocce serbatoio, ma anche per determinare se sono presenti strutture che hanno consentito la migrazione e l’intrappolamento degli idrocarburi. La topografia e la geografia di superficie sono importanti sia per gli aspetti logistici relativi all’esplorazione geofisica e alla perforazione sia nelle fasi successive di produzione, costruzione di pipeline e infrastrutture di superficie. Se oggi la nostra conoscenza di gran parte della superficie e degli oceani della Terra ha raggiunto un così alto grado di sviluppo, si deve soprattutto ai rilevamenti dettagliati eseguiti nel corso della seconda metà del 20° secolo, impiegando tecnologie prima aerotrasportate e poi spaziali. Questa attività continua a essere svolta con sistemi ancora più sofisticati montati a bordo di veicoli spaziali e con l’uso generalizzato di tecniche di cartografia computerizzata che ha ormai sostituito le vecchie mappe stampate e le fotografie. Nel 19° secolo e all’inizio del 20°, rilevamenti regionali di questo tipo non esistevano e fino a non molto tempo fa, disponevamo di mappe topografiche digitali degli altri pianeti più precise di quelle terrestri. VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO Sviluppi ancora più recenti, relativi, in particolare, all’uso dello spazio e agli straordinari progressi compiuti nella produzione di potenti microcomputer, hanno esercitato un’influenza ancora più profonda sull’evoluzione delle scienze della terra. Oggi, veicoli spaziali orbitanti trasmettono dati geograficamente corretti agli operatori a terra, i quali possono interpretare con computer portatili il loro complesso contenuto spettrale, per mappare le strutture, la litologia e persino la mineralogia. I satelliti orbitanti rilevano le manifestazioni di superficie degli idrocarburi naturali e le variazioni del campo gravitazionale terrestre sugli oceani, mentre i satelliti del Global Positioning System (GPS) consentono ai geologi di determinare con grande precisione la loro posizione sul terreno. Fotogeologia La fotogeologia, che consiste nell’interpretazione geologica di fotografie aeree, si è sviluppata nel periodo tra le due guerre mondiali, rivelandosi un metodo di rilevamento efficace e rapido. In quel periodo furono sviluppate macchine fotografiche di grande formato (pellicola di 2525 cm), con cui si ottenevano coppie stereoscopiche sovrapposte di fotografie aeree in bianco e nero, successivamente interpretate con uno stereoscopio a specchio che permetteva ai geologi di osservare il terreno in tre dimensioni. Grandi aree di terreno di cui fino ad allora non esistevano mappe dettagliate furono rilevate in questo modo soprattutto in Africa e in Asia, per iniziativa delle ex potenze coloniali, e negli Stati Uniti d’America. I rilevamenti aerei erano eseguiti in particolare per scopi topografici (nelle aree più remote, la mancanza di buone mappe topografiche costituiva un serio ostacolo per qualsiasi tipo di sviluppo socio-economico). Tuttavia, i geologi ben presto si resero conto del fatto che differenti litologie e tipi di rocce subivano un processo di erosione diverso e caratteristico a seconda degli ambienti geografici e 185 ESPLORAZIONE PETROLIFERA climatici, condizione che consentì di realizzare mappe geologiche molto accurate e dettagliate con un minimo lavoro sul terreno. La visione stereoscopica (o in 3D) è utile soprattutto perché aiuta l’interprete a riconoscere le diverse morfologie del terreno, a mappare il reticolato idrografico (che spesso riflette i tipi di roccia sottostanti), la stratificazione, la direzione e l’inclinazione geologiche, così come i rigetti delle faglie. Si procedette così per la prima volta al rilevamento dettagliato della geologia delle principali regioni produttrici di petrolio del mondo, come, per esempio, i monti Zagros in Iran, i bacini interni del Nord America e le strutture giganti dell’Algeria. Oggi, come vedremo più avanti, la fotogeologia è stata ormai in gran parte sostituita dall’interpretazione delle immagini satellitari, e la visione stereoscopica ha ceduto il passo alle tecniche Digital Elevation Models (DEM) per la rappresentazione e visualizzazione 3D, rese possibili dalla grafica computerizzata. Tuttavia, le basi per l’interpretazione delle immagini satellitari rimangono le stesse della fotogeologia: un’accurata analisi visiva condotta da esperti geologi con una buona conoscenza del terreno. Un altro grande vantaggio della fotogeologia, e soprattutto dei successivi sviluppi registrati con le immagini da satellite, è l’ampia visione d’insieme fornita da queste tecniche rispetto a ciò che si può realizzare lavorando a terra. Esse non si limitano ad accelerare il lavoro di rilevamento geologico, ma consentono ai geologi di compiere osservazioni al di là dell’immediata area di interesse – spesso, per esempio, le rocce madri non affiorano all’interno del bacino preso in esame, ma a una certa distanza da quest’ultimo, a volte al di là dei confini politici del paese – e consentono di osservare grandi strutture, a volte difficili o impossibili da individuare a distanza ravvicinata sul terreno. La fotografia aerea e la fotogrammetria, tenuto conto del fatto che si sono sviluppate in un periodo in cui non esistevano ancora i computer, divennero procedimenti molto sofisticati e accurati attraverso i quali si potevano ottenere mappe topografiche dettagliate. Per combinare tra loro le fotografie come tasselli di un mosaico ed eliminare le distorsioni derivanti dal processo fotografico, furono impiegati ingegnosi metodi ottici, meccanici e fotografici. Durante la Seconda Guerra Mondiale, quando la ricognizione aerea divenne uno strumento di informazione strategico di capitale importanza, questi metodi furono ulteriormente sviluppati. Nello stesso periodo, iniziarono a emergere nuove tecniche di fotografia a colori, incluse le pellicole all’infrarosso per l’individuazione delle mimetizzazioni, e la tecnologia radar, due strumenti che si sarebbero rivelati estremamente importanti nei successivi sviluppi spaziali della ricognizione geologica. 186 La fotografia all’infrarosso o a falso colore La fotografia aerea raggiunse il culmine del suo sviluppo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, periodo in cui la maggior parte delle aree del globo furono rilevate con questo metodo, anche se le fotografie in questione e le mappe da esse ottenute spesso furono segretate dai governi nazionali per ragioni di sicurezza. Uno degli sviluppi più significativi di questo periodo fu rappresentato dal monitoraggio della mimetizzazione militare con l’impiego della pellicola all’infrarosso. Tale pellicola è sensibile alla radiazione infrarossa riflessa, in una parte dello spettro dove la sensibilità dell’occhio umano non arriva. In questa parte dello spettro, la vegetazione risulta particolarmente evidente e la gamma di risposte dei diversi tipi di vegetazione è molto ampia. Questa è la ragione per cui la pellicola all’infrarosso fu sviluppata soprattutto per rivelare la vegetazione artificiale usata per la mimetizzazione militare, ma questo tipo di pellicola permette anche di cogliere con maggiore chiarezza le minime variazioni della vegetazione naturale, che spesso risultano correlate a determinate caratteristiche geologiche. Particolari combinazioni di comunità di piante privilegiano, infatti, suoli derivati da specifici tipi di rocce e queste informazioni possono aiutare i geologi a mappare la diversità e le variazioni dei tipi di rocce, soprattutto nelle regioni in gran parte oscurate dalla copertura della vegetazione e del suolo. Un ulteriore vantaggio di questa tecnica è costituito dal fatto che nell’infrarosso vicino, la penetrazione della foschia atmosferica migliora e quindi questo tipo di fotografie a falso colore spesso appaiono più chiare, soprattutto se realizzate ad alta quota. In seguito, queste proprietà furono sfruttate nello sviluppo degli strumenti di immagine satellitare. Le immagini radar Rimanevano, tuttavia, alcune difficoltà da superare nelle regioni dell’estremo Nord e Sud e in quelle tropicali ed equatoriali dove una coltre stabile di nubi preclude l’acquisizione di fotografie nitide. Questo problema fu risolto grazie allo sviluppo di sistemi radar in grado di registrare immagini della superficie del terreno attraverso la copertura di nubi. Si tratta di sensori attivi che operano nella regione a microonde dello spettro elettromagnetico e che illuminano il terreno con una strisciata obliqua, per poi registrare le radiazioni riflesse generando un’immagine; le strisciate adiacenti sovrapposte possono essere osservate stereoscopicamente. Queste immagini radar, benché siano in generale più difficili da interpretare delle fotografie convenzionali a causa dei loro angoli obliqui di illuminazione, a volte evidenziano le caratteristiche geomorfiche e topografiche di un’area, rivelando sorprendenti dettagli geologici aggiuntivi. Negli anni Settanta, prima dell’avvento delle immagini satellitari, molte ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROSPEZIONI GEOLOGICHE aree tropicali di rilevante interesse per l’esplorazione petrolifera come, per esempio, l’America centrale e meridionale, l’Africa occidentale e l’Asia sudorientale furono mappate con radar aerotrasportati per l’interpretazione geologica. Il telerilevamento dallo spazio La cosiddetta guerra fredda portò a una intensificazione dell’informazione telerilevata aerea e a una maggiore consapevolezza delle sue possibilità e, in seguito, la vulnerabilità degli aerei da ricognizione ad alta quota guidati da equipaggi umani favorì l’uso dello spazio per scopi strategici. Lo spazio divenne così la nuova arena dell’esplorazione e dell’acquisizione di immagini della Terra. Negli anni Cinquanta e Sessanta, sia gli Stati Uniti che l’Unione Sovietica svilupparono satelliti da fotoricognizione, ma solo in alcuni rari casi ai civili fu consentito di accedere ai risultati, benché, verso la fine degli anni Sessanta, le fotografie della Terra realizzate dagli astronauti delle missioni Apollo avessero dimostrato la grande utilità per gli studiosi delle scienze della terra delle immagini fornite dai satelliti. Solo nel 1971, con il lancio del satellite statunitense ERTSl (in seguito ribattezzato Landsat), immagini satellitari coerenti e geograficamente rettificate iniziarono a divenire accessibili ai ricercatori di tutto il mondo. Le prime immagini Landsat, anche se con una risoluzione spaziale di soli 80 m, erano in falso colore a infrarossi, potevano essere ingrandite in scala di 1:250.000 e riprendevano la maggior parte delle regioni del mondo, con l’eccezione di quelle coperte da coltri di nubi. Nel corso degli anni Settanta e Ottanta, la loro diffusione contribuì alla comprensione della tettonica a placche, soprattutto in merito ad alcune caratteristiche tettoniche, come le faglie e i lineamenti, che ora potevano essere mappate su scala continentale. Da questo punto di vista, anche il rilevamento gravimetrico satellitare offshore (v. oltre) ha fornito un importante contributo. Le compagnie petrolifere iniziarono subito a sfruttare le immagini satellitari, finalmente accessibili, per studi tettonici regionali, per l’analisi dei bacini, per la pianificazione dei rilievi sismici e persino per una prima selezione degli obiettivi strutturali. Alcune aree remote del globo, mai studiate attraverso la fotografia aerea, furono rilevate per la prima volta. La serie Landsat ha continuato a svilupparsi con immagini a risoluzione spaziale di 30 m (ottenute nel 1986 tramite il Landsat ETM), con l’aggiunta di bande spettrali nel medio infrarosso, utili soprattutto per distinguere i differenti minerali argillosi, e quindi per migliorare la qualità del rilevamento geologico. L’ultimo satellite della serie, il Landsat 7, lanciato nel 1999 (anche se il sistema operativo ha smesso di funzionare nel 2003), ha prodotto immagini di 15 m di risoluzione al suolo e reso possibili rilevamenti in scala 1:50.000 (fig. 1 A). VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO In seguito a questo fallimento, il sistema satellitare per immagini ASTER (costruito in Giappone ma montato sul satellite Terra della NASA, lanciato nel 1999) si è imposto come alternativa a breve termine. ASTER è interessante per i geologi perché offre 15 m di risoluzione con 14 bande spettrali e la possibilità di produrre DEM (v. oltre). Purtroppo le bande spettrali di ASTER sono in generale più utili per l’esame delle rocce ignee, delle rocce metamorfiche e dei minerali che per la geologia dell’esplorazione petrolifera. ASTER, tuttavia, ha suscitato un vivo interesse tra i geologi soprattutto perché ha portato alla realizzazione di altri due sensori satel- fig. 1. Confronto fra immagini Landsat ETM, SPOT e Ikonos (Yemen). A. 15 m Landsat ETM B. 5 m SPOT C. 2,5 m SPOT D. 1 m Ikonos 187 ESPLORAZIONE PETROLIFERA litari iperspettrali, Hyperion della NASA, lanciato sul satellite EO-1 nel 2000 (con 220 bande spettrali e 30 m di risoluzione) e CHRIS dell’Agenzia Spaziale Europea (European Space Agency, ESA), lanciato su PROBA nel 2002 (con 18 bande spettrali e 18 m di risoluzione). A causa delle ridotte aree delle immagini di questi due sensori, della limitata copertura disponibile e della inidoneità delle bande di CHRIS per la ricerca geologica, entrambi i satelliti rivestono interesse più dal punto di vista della ricerca che da quello applicativo. Negli Stati Uniti si prevede una nuova missione Landsat, ma la maggior parte degli osservatori ritiene che ci si orienterà verso un programma diverso, probabilmente con una cooperazione internazionale. Le future linee guida di tali programmi riguarderanno soprattutto il monitoraggio ambientale, la selvicoltura, l’agricoltura e la cartografia dell’utilizzo del territorio, ma anche le scienze geologiche potranno beneficiarne. È comunque ancora possibile fare molti studi geologici con le immagini archiviate negli ultimi venti-trenta anni; in generale, infatti, l’interpretazione geologica non richiede necessariamente immagini estremamente aggiornate. Elaborazione delle immagini e cartografia mediante computer Poiché le immagini del Landsat (e della maggior parte dei satelliti) vengono trasmesse a terra sotto forma di segnali elettromagnetici, sono particolarmente adatte a essere elaborate al computer. Negli anni Settanta, i computer digitali a basso costo erano ancora in via di sviluppo e i dispositivi di input, di spazio dati e di output necessari al trattamento di grandi e complessi volumi di dati delle immagini satellitari erano pochi e molto costosi. Questa situazione ha iniziato a subire un drastico cambiamento verso la fine degli anni Ottanta con l’avvento di microcomputer meno dispendiosi che hanno finalmente permesso di sfruttare a fondo questa importante fonte di informazioni geologiche. Oggi, i geologi possono scaricare da Internet nei loro personal computer immagini di 15 m di risoluzione di quasi tutte le regioni del mondo, combinarle con i dati di quota digitale e restituire i risultati in 3D, per poi ‘colorare’ la propria interpretazione geologica sull’immagine stessa ed estrarla, alla fine del processo, sotto forma di carta geologica destinata alla stampa a colori. I geologi, inoltre, possono acquisire e registrare molti tipi di dati ausiliari come, per esempio, dati magnetometrici e gravimetrici, dati relativi al sottosuolo (sismica e pozzi) e altre informazioni generali attraverso cui elaborare e perfezionare l’interpretazione finale. Le tecniche di Image Processing (IP) permettono di migliorare e visualizzare in modo ottimale le immagini, soprattutto quelle a più bande spettrali, aiutando così l’interprete nel suo lavoro. Le immagini possono essere ottimizzate e filtrate in diversi modi, mentre la luminosità e 188 il contrasto possono essere regolati in modo da migliorare l’interpretazione. In alcune aree, la tecnica IP può essere usata anche per effettuare in modo semiautomatico alcune operazioni di cartografia, come, per esempio, la selezione di aree caratterizzate da un particolare tipo di roccia o di copertura vegetale. La maggioranza dei geologi, tuttavia, concorda nel ritenere l’interpretazione visiva di primaria importanza, grazie alla sorprendente capacità del cervello umano di compiere associazioni ottiche e di richiamare dalla memoria tutta l’esperienza acquisita sul terreno. I sistemi IP consentono, grazie a opportune funzioni, di registrare nelle immagini le note cartografiche dell’interprete, come stratificazioni, simboli strutturali e limiti litologici. L’IP facilita inoltre il merging di diverse serie di dati, in modo che la tessitura o i dettagli del terreno di un’immagine satellitare possano essere caratterizzati, per esempio, con i dati di quota coregistrati o con una mappa delle linee di livello aeromagnetiche così da formare un’immagine composita. Lo studio comparato di queste informazioni può aiutare i geologi sia nell’interpretazione della superficie sia nello studio delle relazioni esistenti tra la morfologia superficiale e la geologia del sottosuolo. Queste immagini combinate, infine, possono essere visualizzate in 3D o in prospettiva, conferendo, quindi, una dimensione addizionale. L’IP è particolarmente importante quando si opera con più canali spettrali, come avviene, per esempio, con i dati del satellite ASTER, perché è solo tramite il computer che differenti combinazioni di risposte spettrali possono essere analizzate per mappare i diversi contributi degli spettri di minerali. Tale tecnica diverrà ancora più importante nel futuro per esaminare i dati forniti dai satelliti iperspettrali di prossima generazione. Il Geographical Information System (GIS) costituisce invece il sostituto moderno delle mappe stampate con la proprietà addizionale che tutte le informazioni sono immagazzinate in forma digitale e ordinate in una banca dati relazionale. Il sistema GIS consente ai cartografi di combinare informazioni disparate – organizzando i dati di fonti molto diverse e garantendo che tutti i dati siano stati geograficamente coregistrati – e di presentare risultati con un alto grado di flessibilità (fig. 2). In generale, un GIS consente l’uso di differenti proiezioni cartografiche e di diversi dati, e contiene funzioni che permettono il confronto delle informazioni contenute e di link tra i differenti elementi che compongono il database. È possibile infine stampare mappe in un’ampia gamma di scale e di proiezioni, con appropriate sovrapposizioni di immagini o di dati geofisici a seconda delle necessità. L’evidente vantaggio dell’approccio GIS è costituito dal fatto che le mappe possono essere continuamente aggiornate e rivedute in merito al contenuto e alle correlazioni visualizzate. La tendenza attuale privilegia questo lavoro quasi esclusivamente sullo schermo del computer invece che sulla stampa. ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROSPEZIONI GEOLOGICHE elaborazione dei dati e GIS acquisizione dei dati cartografia digitale integrata fig. 2. Sistema GIS: costruzione di carte tematiche e modelli 3D digitali e georeferenziati. Lo sviluppo della tecnologia IP e GIS è legato a sua volta a quello, molto rapido, della potenza e delle capacità dei microcomputer. L’IP opera su dati raster (che includono una matrice o griglia di valori di dati, come, per esempio, un’immagine fotografica o di altro genere), spesso con un alto grado di colour depth (per esempio, 24 bit nel caso della maggior parte dei dati satellitari), mentre i GIS sono prevalentemente basati su database relazionali e sulla grafica vettoriale (che includono valori su singoli punti, spesso legati tra loro per formare linee e poligoni). Attualmente questi due approcci non convergono o non si integrano così facilmente come occorrerebbe ai geologi, ma la situazione è destinata a cambiare con l’ulteriore sviluppo di queste tecnologie. Esiste ancora una lacuna tra i sistemi specializzati di elaborazione e di visualizzazione usati per i dati relativi al sottosuolo (per esempio, sismici) e quelli usati nell’IP e nei GIS, ma è molto probabile che nel prossimo futuro questa lacuna sarà colmata. Cartografia integrata, carte tematiche, banche dati digitali e modelli tridimensionali Le mappe e i dati ottenuti sia direttamente sul terreno sia con le metodologie e gli strumenti sopra descritti, possono essere integrati tra loro all’interno del sistema GIS, per ottenere cartografie particolari (anche tridimensionali) che possano soddisfare le diverse esigenze richieste dall’attività di ricerca petrolifera. Le carte topografiche possono, per esempio, essere integrate alle carte geologiche, alle foto aeree e alle immagini da satellite (fig. 3). VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO Il merging di diversi tipi di dati telerilevati, per esempio immagini Landsat con immagini SPOT o radar (v. oltre), permette di ottenere mappe che descrivono particolari caratteristiche del territorio (litologia, lineamenti strutturali, vegetazione, umidità), evidenziate da una diversa risoluzione spettrale o da un diverso sensore (per esempio, Radar) o contraddistinte da un’elevata risoluzione spaziale (per esempio, ottenuta con le immagini SPOT). Su mappe specifiche (morfologiche, geologiche, relative a facilities petrolifere, ecc.) possono essere sovrapposte altre informazioni come strade, confini di Stato, vegetazione, fabbricati e così via. Il database geografico risulta così costituito da diversi strati, o layers (v. ancora fig. 3). All’interno del sistema GIS, i dati cartografici vengono analizzati e integrati per ottenere, oltre alle carte topografiche, anche carte tematiche digitali come mappe morfologiche, geologiche e strutturali, litologiche, idrogeologiche, stratigrafiche e cronostratigrafiche, di stabilità dei versanti, della distribuzione della vegetazione, della distribuzione delle aree umide, dell’inquinamento. Ovviamente i programmi informatici permettono di creare sovrapposizioni e confronti fra le diverse carte tematiche. Nel sistema GIS, i dati cartografici possono essere correlati a un database relazionale dove risiedono tutte le informazioni che caratterizzano un determinato elemento della carta (quota, nomi, simboli, litologia, dati strutturali, dati geochimici, ecc.) che possono essere visualizzati, editati, analizzati o aggiornati. Queste moderne mappe digitali derivano da una serie di database digitali intercorrelati, per cui dati diversi come ubicazione di pozzi, limiti di titoli minerari, tracciati di rilievi sismici, pipeline, mappe di giacimenti possono essere importati o esportati. Le fonti per questi database sono sempre più facilmente reperibili presso differenti sedi come compagnie petrolifere, contrattisti, agenzie governative, e anche il grande potere di Internet entra in gioco per ricercare i dati e mettere insieme i vari elementi che costituiscono specifiche mappe richieste per particolari applicazioni. Inoltre le più recenti tecniche di visualizzazione riducono la necessità di stampare mappe e ottimizzano la rappresentazione dei dati, particolarmente in 3D, come nel caso di mappe tematiche drappeggiate sopra modelli digitali del terreno (DEM). Nel passato le mappe erano disegnate a matita e a inchiostro e stampate a colori con sistemi litografici, un processo costoso e lungo. Oggi stampanti a colori di largo formato sono collegate direttamente ai computer e stampano rapidamente mappe secondo le esigenze richieste. D’altra parte, le mappe stampate sono sempre meno utilizzate poiché geologi e geofisici eseguono le interpretazioni su work-station, numerose delle quali hanno la possibilità di visualizzazioni 3D, sia con l’uso di speciali occhiali sia con schermi che producono direttamente proiezioni tridimensionali 189 ESPLORAZIONE PETROLIFERA visibili a occhio nudo. Qualora i diversi specialisti delle geoscienze abbiano la necessità di consultarsi insieme sono, inoltre, stati sviluppati speciali sistemi di visualizzazione 3D o centri immersivi di visualizzazione. In questo modo tutti i partecipanti possono vedere modelli 3D di superficie e di sottosuolo e persino camminarci dentro per discutere la geologia in uno spazio 3D, con le tracce delle linee sismiche riportate sulla superficie del terreno e le sezioni sismiche e i pozzi esplorativi proiettati nel sottosuolo! gini fornite dai satelliti SPOT (60 km60 km) o Landsat (185 km185 km) (v. ancora fig. 1). Altri paesi, tra i quali la Russia, l’India, il Giappone e Israele, hanno lanciato satelliti ottici, utilizzati anche nel rilevamento geologico. Nel Regno Unito è stata sviluppata una nuova generazione di microsatelliti a basso costo. Una costellazione formata da cinque di questi satelliti è specificatamente destinata al monitoraggio delle catastrofi. Tenendo conto delle esigenze di sicurezza e di carattere militare, si può essere certi che in futuro i dati ottici saranno disponibili in grande quantità. VHR e i futuri satelliti ottici Altri satelliti hanno contribuito al database di immagini ottiche e, in particolare, quelli della serie francese SPOT che, a partire dal 1986, hanno fornito immagini di 10 m di risoluzione al suolo e capacità stereo che consentono la produzione di modelli digitali di elevazione del terreno e l’interpretazione geologica in 3D. Lo SPOT 5, l’ultimo della serie, offre 2,5 m di risoluzione (fig. 1 C) ed è dotato di un sensore speciale che genera DEM. Di recente, sono apparsi i satelliti per immagini ad altissima risoluzione (Very High Resolution, VHR) che offrono una risoluzione al suolo di 1 m (Ikonos, operativo dal 1999, fig. 1 D) o di 0,65 m (Quickbird, operativo dal 2002). Anche se questi satelliti sono prevalentemente impiegati per l’informazione militare, è possibile accedere alle immagini relative alla maggior parte delle aree del globo, che possono rivelarsi di grande utilità nel campo dell’esplorazione petrolifera per mappare le vie di accesso, le infrastrutture e persino gli impianti di produzione (fig. 4). La ridotta area coperta da ogni fotogramma (11 km11 km), fa tuttavia preferire per il rilevamento geologico le imma- fig. 3. Geographical Information System (GIS): cartografia integrata. I satelliti radar Parallelamente ai satelliti ottici sono stati sviluppati satelliti per immagini dotati di radar ad apertura sintetica (Synthetic Aperture Radar, SAR), destinati prevalentemente all’osservazione degli oceani ma rivelatisi molto utili anche per l’interpretazione geologica sulla terraferma nelle aree caratterizzate da una copertura di nubi alte. La prima copertura globale radar consistente è stata fornita dal satellite ERS1 lanciato dall’Agenzia Spaziale Europea nel 1991, seguito nel 1996 da ERS2. Questi satelliti erano destinati all’osservazione dello stato degli oceani come indicatore ambientale (gli oceani, infatti, governano la variazione delle condizioni atmosferiche continentali), ma la conoscenza delle condizioni degli oceani è di grande importanza anche per molti aspetti dell’esplorazione, della produzione e del trasporto offshore degli idrocarburi e i risultati così ottenuti sono stati un importante spin off in questo settore industriale. Il sensore radar fornisce inoltre anche eccellenti immagini immagine da satellite carta topografica carta geologica 40° 22' DEM 40° 19' 3° 17' coordinate (georeferenziazione) 3° 22' 190 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROSPEZIONI GEOLOGICHE fig. 4. Immagine Ikonos con le strutture di produzione intorno ad Hassi Messaoud (Algeria; NPA Satellite Mapping). del terreno, che possono essere usate sia per l’interpretazione geologica sia per un’ampia gamma di applicazioni ambientali (cfr. fig. 5, dove le immagini radar ERS mostrano un maggior numero di dettagli strutturali rispetto a quelli visibili sulle immagini ottiche Landsat relative alla stessa area; la facoltà del radar di penetrare le nuvole ha permesso di mappare faglie, lineamenti strutturali e anticlinali estesi decine di kilometri). Nel 1995, il Canada ha lanciato un satellite analogo ma più versatile, Radarsat, destinato soprattutto al monitoraggio del ghiaccio marino (un altro aspetto importante dal punto di vista ambientale per le attività di esplorazione e produzione offshore alle alte latitudini). Radarsat, con la sua capacità di puntamento variabile, può essere usato anche per realizzare mappe delle linee di livello topografiche grazie alla ‘radargrammetria’ e ha fornito alcuni dei primi modelli digitali di elevazione del terreno di aree remote del globo coperte da nubi. Mentre ERS e il suo successore, Envisat, forniscono una risoluzione al suolo di circa 20 m, Radarsat è dotato anche di una modalità a fascio ‘fine’ con una risoluzione di 10 m. Sono in via di progettazione altri satelliti con 1 m di risoluzione (Radarsat e Terrasar). Digital Elevation Models (DEM) Per l’interpretazione geologica, i modelli digitali di elevazione del terreno sono sotto molti aspetti l’equivalente moderno delle stereofotografie aeree e di conseguenza fig. 5. Confronto fra immagini ottiche Landsat ETM e immagini radar ERS (Irian Jaya; NPA Satellite Mapping). VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO 191 ESPLORAZIONE PETROLIFERA sono molto richiesti per l’esplorazione nelle aree più remote. I DEM possono essere usati da soli sia per l’interpretazione geologica e geomorfologica sia per la valutazione delle vie di accesso o della logistica, ma possono essere combinati con le immagini satellitari per ottenere serie di dati restituibili al computer per realizzare immagini in 3D o in prospettiva, comprese le simulazioni di voli aerei. I DEM possono essere ottenuti da stereofotografie aeree, digitalizzando mappe topografiche già esistenti, da immagini stereoscopiche satellitari o attraverso l’interferometria radar (InSAR) aerea o spaziale. Uno di questi sistemi InSAR, l’SRTM (Shuttle Radar Topographic Mission) è stato utilizzato in una missione Shuttle nel 2000 e ha prodotto una serie di dati ad alta definizione (30 m di risoluzione orizzontale, 15 m di precisione verticale) per la maggior parte delle regioni del mondo tra i paralleli a 60° Sud e 60° Nord. Oggi i dati SRTM a più alto livello di definizione sono protetti dal segreto militare nella maggior parte delle aree che si trovano al di là dei confini degli Stati Uniti a causa della loro importanza per la navigazione logistica, e pertanto è possibile accedere solo ai dati con 100 m di griglia orizzontale. Tra i sistemi satellitari ottici per la produzione di DEM figura lo SPOT 5, con una precisione verticale di 6-10 m e una risoluzione orizzontale di 20 m, e ASTER, con una precisione verticale di 30 m e una risoluzione orizzontale di 15 m. La fig. 6 rappresenta un’immagine 3D creata con ASTER DEM e realizzata a falsi colori, utilizzando tre delle sue bande spettrali (3-2-1, R-G-B), guardando verso nord-est, in direzione della cerniera della piega; il nucleo della piega più resistente e freddo, è costituito da carbonati dell’Eocene inferiore, circondati da marne e argille. I sistemi aerotrasportati possono fornire livelli ancora più alti di precisione, e un sistema radar interferometrico è stato impiegato per coprire interi territori come quelli del Regno Unito e dell’Indonesia, fornendo DEM di circa 0,5 m di precisione verticale. Per quanto riguarda fig. 6. DEM da immagine ASTER (Tunisia; NPA Satellite Mapping). 192 i dettagli del terreno, il più alto livello di precisione è ottenuto con i sistemi aerotrasportati Lidar, in grado di fornire una precisione verticale di pochi centimetri. I Lidar sono stati impiegati con successo per produrre DEM per la pianificazione sismica a terra in diverse tipologie di terreno, come le dune di sabbia del deserto e le paludi costiere ricoperte di mangrovia. L’esplorazione offshore. Rilevamento delle manifestazioni di idrocarburi e gravimetria satellitare L’uso delle tecniche satellitari non è confinato alle regioni sulla terraferma. Un inaspettato beneficio che i satelliti radar hanno offerto al settore dell’esplorazione petrolifera è rappresentato dalla possibilità di individuare tracce di petrolio (oil seepage) sulla superficie del mare attraverso le immagini radar satellitari. La presenza di piccole quantità di petrolio presenti sulla superficie del mare modifica le piccole onde o increspature indotte naturalmente dal vento sulla superficie del mare, creando ‘chiazze’ o aree di mare calmo. Esse appaiono molto chiaramente sulle immagini radar, poiché la lunghezza d’onda delle increspature si avvicina molto a quella del radar (5,6 cm). Molte di queste indicazioni superficiali sono il risultato degli effetti dell’inquinamento, ma alcune sono prodotte dalla fuoriuscita naturale degli idrocarburi sul fondo del mare che risalgono, poi, alla superficie. Un attento esame di queste ‘chiazze’, integrato dall’analisi della loro forma e dalla conoscenza dei venti prevalenti, permette di distinguere con un buon grado di attendibilità gli effetti dell’inquinamento dalle manifestazioni naturali (fig. 7). Questa metodologia ha consentito di studiare in modo consistente quasi tutti i bacini offshore del mondo per individuare le manifestazioni naturali, rivelandosi uno strumento di indagine economico ed efficace nell’esame dei bacini di frontiera, soprattutto in acque profonde, in modo da dare una valutazione delle rispettive potenzialità prima che le compagnie petrolifere ricorrano ai metodi geofisici, necessari nella successiva fase dell’esplorazione e molto più dispendiosi. Questa tecnica non si limita a indicare la presenza o l’assenza di idrocarburi nei bacini, ma consente anche di studiare la relazione tra il pattern di rilascio delle manifestazioni e l’assetto strutturale del bacino, che può rivelare importanti informazioni sui depocentri, sulle aree di generazione e sui percorsi di migrazione degli idrocarburi. La geologia applicata all’esplorazione petrolifera offshore ha sfruttato un’altra innovazione militare derivante dalla ricerca spaziale: i requisiti per la navigazione sottomarina. Sott’acqua, senza la vista delle stelle o l’aiuto dei satelliti per la navigazione (come il GPS), i sommergibilisti avevano bisogno di una mappa del fondo oceanico comparabile a una mappa topografica della superficie terrestre. Disegnare una carta degli oceani ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROSPEZIONI GEOLOGICHE prodotto anche la grande massa delle immagini radar della superficie oceanica usate per l’individuazione delle manifestazioni superficiali d’idrocarburi). Global Positioning System e sistemi di comunicazione fig. 7. Immagine da satellite, interpretazione gravimetrica offshore e rilevamento di manifestazioni di idrocarburi (Oman; NPA Satellite Mapping). sufficientemente dettagliata con i mezzi convenzionali è impraticabile sia operativamente che politicamente. Tuttavia, ci si rese conto che una mappa della batimetria (della profondità, cioè, delle acque) o del campo gravitazionale terrestre avrebbe fornito il necessario strumento di assistenza alla navigazione, e questo obiettivo poteva essere raggiunto attraverso i radaraltimetri, in grado di misurare l’altezza della superficie degli oceani da satelliti orbitanti. Si potrebbe pensare che la Terra sia uno sferoide quasi perfetto, di cui si conosce esattamente la forma. In realtà, la superficie degli oceani non corrisponde precisamente a questo modello, ma presenta un pattern complesso di piccole ondulazioni prodotte dalla combinazione della profondità delle acque nel punto considerato con il campo gravitazionale, quest’ultimo legato alla densità delle rocce circostanti. Osservando sistematicamente l’altezza del geoide oceanico dai satelliti per molte centinaia di orbite e ottenendo un risultato medio che mostra i piccoli gradienti superficiali oceanici, si possono costruire mappe estremamente dettagliate che mostrano la batimetria oceanica e la gravità offshore. Queste mappe, benché non possano sostituire le misurazioni batimetriche a strisciate estremamente accurate e le registrazioni gravimetriche a bordo di navi eseguite nelle fasi successive del processo di esplorazione, consentono di effettuare rilievi speditivi a basso costo nei bacini di frontiera offshore non ancora esplorati, soprattutto se accoppiate al metodo del rilevamento offshore delle manifestazioni di idrocarburi attraverso il radar satellitare in precedenza descritto (v. ancora fig. 7). I primi altimetri oceanici sono stati utilizzati dagli Stati Uniti in missioni militari, come, per esempio, quella Geosat, promossa negli anni Ottanta e desegretata solo negli anni Novanta, ma la densità di osservazioni globali è molto aumentata grazie ad alcune missioni civili più recenti come Topex/Poseidon e agli altimetri montati a bordo dei due satelliti ERS (che hanno VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO L’analisi dei contributi forniti dalla ricerca spaziale all’esplorazione petrolifera sarebbe incompleta se non si ricordassero i satelliti di posizionamento globale e di comunicazione. I dispositivi GPS portatili e persino da polso in grado di determinare la latitudine e la longitudine con un’approssimazione di pochi metri oggi sono un fatto acquisito, ma non dobbiamo dimenticare che fino agli anni Settanta, i geologi spesso dovevano ricorrere all’osservazione astronomica per determinare con certezza la loro posizione sul terreno. Inoltre i telefoni satellitari permettono ormai a chi è impegnato sul campo non solo di comunicare con la base e con le proprie case, sia in mare che sulla terraferma, ma trasmettono anche mappe, immagini, dati di campagna e documentazione di riferimento a e da archivi centrali via Internet. Naturalmente, anche questi vantaggiosi strumenti oggi a nostra disposizione in origine erano destinati a usi militari. Applicazioni ambientali Tutte le tecniche di cartografia aerea, satellitare e computerizzata in precedenza descritte sono suscettibili di molte importanti applicazioni in campo ambientale, con il fattore aggiuntivo che il monitoraggio dei cambiamenti temporali è molto più importante in campo ambientale che in quello geologico. I satelliti sono estremamente efficienti anche in termini di costi per la produzione ripetuta di immagini e per il monitoraggio a lungo termine. Inoltre, sono più adatti, per esempio, all’individuazione dei cambiamenti della vegetazione e del suolo o al rilevamento dell’ecologia costiera, piuttosto che alla geologia. Con la crescente consapevolezza che è necessario adottare un atteggiamento responsabile in difesa dell’ambiente, è certo che molti progetti in aree sensibili saranno realizzati in base a criteri ambientali sviluppati usando dati satellitari archiviati storicamente, e saranno monitorati con i satelliti di ultima generazione disponibili. Queste tecniche sono applicabili anche alle facilities impiegate nell’esplorazione e nella produzione, alle pipeline e agli impianti di trattamento, dove la difesa contro i movimenti del terreno non è meno importante degli aspetti ambientali. Gli ultimi sviluppi dell’interferometria radar satellitare (fig. 8) consentono di misurare i movimenti del terreno o i cambiamenti relativi della superficie della Terra a livello millimetrico, con una precisione molto maggiore di quella attualmente conseguibile con i GPS. Di conseguenza, possiamo non solo rilevare il movimento incipiente della reptazione del suolo (piccoli smottamenti 193 ESPLORAZIONE PETROLIFERA fig. 8. Trend di subsidenza sopra il giacimento ad olio di Jibal (Oman) ricavato da interferometria radar da satellite: ogni frangia di colore rappresenta 28 mm di subsidenza (Oman; NPA Satellite Mapping). superficiali del terreno o spoil creep) come indizio di frane che potrebbero colpire condotte o impianti industriali, ma siamo in grado di misurare anche la subsidenza del suolo conseguente allo svuotamento di reservoir e controllarne i possibili effetti ambientali. In aree sensibili o instabili, ciò potrebbe portare a munire pipeline e altre installazioni di speciali riflettori (corner reflectors) o transponditori (trasponders) per facilitare il monitoraggio e le misurazioni satellitari. Nel campo dell’ingegneria dei giacimenti sono inoltre individuabili altre possibili applicazioni, poiché questo tipo di rilevamento può aiutare a comprendere la risposta stocastica del giacimento. Il futuro delle tecnologie e degli strumenti di telerilevamento È in via di progettazione il lancio di molti satelliti per l’osservazione terrestre e, in particolare, di sistemi per immagini radar e ottici ad alta risoluzione. Saranno senza dubbio costruiti più satelliti per immagini ‘iperspettrali’ con centinaia di bande spettrali che amplieranno molto la nostra capacità di distinguere e mappare differenti tipi di rocce, anche se la copertura del suolo e della vegetazione seguiterà a costituire un problema. Si può inoltre prevedere l’emergere di modelli digitali di elevazione della superficie della Terra sempre più dettagliati che faciliteranno, insieme all’interpretazione geologica, la pianificazione delle vie di accesso e della difesa ambientale. Tuttavia, gli accumuli di idrocarburi si trovano in generale a una certa profondità al di sotto della super- 194 ficie della Terra e per il momento gli strumenti a nostra disposizione possono esaminarne solo la superficie. Idealmente lo scopo sarebbe quello di poter disporre di strumenti montati a bordo di aerei o veicoli spaziali in grado di rivelare la presenza di idrocarburi a una certa profondità, ma questo obiettivo è ancora irraggiungibile. Sappiamo che in molti bacini, se non in tutti, gli idrocarburi possono migrare fino alla superficie, ma sulla terraferma le manifestazioni di superficie più evidenti sono già conosciute. Un importante risultato del metodo di individuazione radar delle manifestazioni di idrocarburi in offshore, precedentemente descritto, è costituito dal fatto che in mare aperto i pattern di rilascio sono molto più diffusi e pervasivi di quanto ci si potrebbe aspettare basandosi esclusivamente sull’osservazione onshore, dato che, sulla terraferma, il quadro è incompleto a causa del mascheramento dovuto alla copertura del suolo e della vegetazione. Gli effetti più deboli, come la emissione di gas, sono estremamente difficili da individuare anche con metodi molto accurati sul terreno, per non parlare del loro riconoscimento dall’aria o dallo spazio. Anche rocce ben esposte e fortemente alterate dagli effetti a lungo termine della emissione di idrocarburi gassosi si sono rivelate molto difficili da individuare con i sensori termici o spettrali attualmente esistenti. Molto probabilmente saranno compiuti notevoli progressi in quest’area quando satelliti più sofisticati, soprattutto iperspettrali, diverranno operativi, ma va tenuto presente che questi satelliti saranno prevalentemente impiegati per scopi diversi da quelli dell’esplorazione petrolifera. Riguardo alla ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROSPEZIONI GEOLOGICHE mappatura a distanza del sottosuolo (cioè non sismica) è probabile che si registreranno notevoli perfezionamenti della sensibilità e della capacità delle tecniche a bordo di aerei, come la magnetometria e la gravimetria, ma poiché è molto difficile che questi risultati possano essere conseguiti dall’altezza a cui operano i satelliti orbitanti, gli sviluppi continueranno a riguardare le tecniche aerotrasportate. Un’area che potrebbe rivelarsi promettente è quella dell’uso dell’interferometria radar satellitare per rivelare cambiamenti millimetrici dell’elevazione della superficie della Terra nel tempo. Come abbiamo già osservato, gli attuali satelliti radar sono già impiegati in questo modo per controllare piccole variazioni nella subsidenza al di sopra di giacimenti a gas e a olio in via di svuotamento. Questa tecnica è così sensibile, in grado di risolvere cambiamenti fino al livello millimetrico, che potrebbe fornire indizi di accumuli sotterranei e del loro probabile contenuto (petrolio o gas) dalle variazioni differenziali superficiali in funzione dello stato di marea della Terra. I satelliti per scopi ambientali sono già paragonati alla tecnologia medica in quanto permettono di esercitare un ‘controllo sulla salute del pianeta Terra’. In termini geologici, è lecito aspettarsi che le future missioni spaziali forniscano analisi spettrografiche e tomografiche della superficie terrestre, approfondendo la nostra conoscenza del sottosuolo, dove sono ancora nascosti giacimenti di gas e di petrolio. Si tratta forse di una visione avveniristica, ma non del tutto inverosimile, tenuto conto del grande progresso già compiuto: dall’osservazione a occhio nudo dalla cima delle colline all’attuale era spaziale. VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO Bibliografia generale Berger Z. (1994) Satellite hydrocarbon exploration. Interpretation and integration techniques, Berlin-New York, Springer. Bernhardsen T. (2002) Geographic Information Systems. An introduction, Chichester, John Wiley. Drury S.A. (1987) Image interpretation in geology, London, Allen & Unwin. Foster N.H., Beaumont E.A. (edited by) (1992) Photogeology and photogeomorphology, Tulsa (OK), American Association of Petroleum Geologists. Foster N.H., Beaumont E.A. (edited by) (1992) Remote sensing, Tulsa (OK), American Association of Petroleum Geologists. Maune D. (edited by) (2001) Digital elevation model technologies and applications, Bethesda (MD), American Society for Photogrammetry and Remote Sensing. Prost G. (2001) Remote sensing for geologists, New York, Taylor & Francis. Ryerson R.A. (editor in chief ) (1997- ) Manual of remote sensing, Bethesda (MD), American Society for Photogrammetry and Remote Sensing; v.I (1997) Earth observing platforms and sensors; v.II (1998) Principles and applications of imaging radar; v.III (1999) Remote sensing for the Earth sciences. Wolf P.R., Devitt B.A. (2000) Elements of photogrammetry with applications in GIS, Boston (MA), McGraw-Hill. Nigel Press NPA Group Edenbridge, Kent, Regno Unito Mattia Sella Eni - Divisione E&P San Donato Milanese, Milano, Italia 195 ESPLORAZIONE PETROLIFERA 2.2.2 Rilevamento geologico Il rilevamento geologico è il metodo di indagine più antico nella ricerca petrolifera. È stato applicato fin dalla seconda metà dell’Ottocento, quando si cominciò a capire che la presenza dei giacimenti era legata alla geometria delle rocce (trappole) e alle loro caratteristiche litologiche, e che era possibile, a volte, riconoscere in affioramento l’espressione di geometrie profonde. L’esplorazione in aree con queste caratteristiche è ormai pressoché esaurita, anche se la mappatura con immagini da satellite dei lineamenti strutturali a grande scala è ancora molto utile negli studi regionali. Attualmente il rilievo geologico viene realizzato per lo più come integrazione delle prospezioni geofisiche, soprattutto quando l’esplorazione interessa le aree dove, in assenza di sondaggi, sono disponibili solo dati indiretti (sismologia, gravimetria, ecc.). Questo tipo di rilevamento consiste nella raccolta sistematica di dati geologici, atta a fornire informazioni sulla costituzione geologica di una data zona. I risultati delle osservazioni sul terreno devono essere integrati da analisi stratigrafiche, strutturali, petrografiche, sedimentologiche e paleontologiche che nel loro complesso consentono la realizzazione di elaborati sintetici (carte e sezioni geologiche, colonne e schemi stratigrafici), i quali delineano le rocce presenti nell’area in oggetto, la loro distribuzione in affioramento e i loro rapporti spaziali. Il rilevamento geologico ha un’importanza fondamentale nella geologia degli idrocarburi perché permette di inquadrare sia la stratigrafia della regione, e pertanto l’esistenza di potenziali rocce madre, rocce serbatoio e rocce di copertura, sia la conformazione strutturale dell’area da esplorare. Poiché per la maggior parte le strutture contenenti idrocarburi sono sepolte, cioè non direttamente osservabili sul terreno, il rilevamento geologico può essere condotto in aree limitrofe alla zona di esplorazione mineraria, quando esiste un’analogia (litologica, stratigrafica, strutturale, ecc.) tra le unità rocciose sepolte e quelle in affioramento. Le informazioni dedotte dal rilevamento geologico devono quindi essere estrapolate all’area di esplorazione. Per esempio le rocce potenziali serbatoio con relative coperture, sedi di giacimenti di idrocarburi in Pianura Padana, affiorano ampiamente sulle Alpi. Il rilevamento geologico, effettuato sulla catena alpina da generazioni di geologi, ha offerto un quadro completo della suc- 196 cessione stratigrafica che è stato ampiamente utilizzato nell’esplorazione profonda delle strutture sepolte della Pianura Padana. Lo scopo primario di un rilevamento geologico è la rappresentazione cartografica della distribuzione delle rocce in affioramento (carta geologica). Di norma questa carta viene rappresentata su una base topografica già esistente; se nell’area in esame non esiste una base topografica, essa deve essere prodotta allo scopo. Attualmente tale rappresentazione viene effettuata con il telerilevamento (immagini da satellite, aerofotogrammetria, ecc.). Sulla carta geologica vengono rappresentate le rocce affioranti, la cui distinzione viene effettuata essenzialmente sulla base delle caratteristiche litologiche con l’ausilio di tecniche di rilevamento (Low, 1957; Lahee, 1961; Cremonini, 1973; Damiani, 1984). Il concetto di formazione La formazione è un corpo geologico le cui caratteristiche litologiche osservabili sul terreno, non necessariamente uniformi, ne permettono il riconoscimento e la distinzione. Nella ricerca di idrocarburi hanno particolare rilievo le rocce di origine sedimentaria. Poiché la litologia di un corpo sedimentario è dovuta all’ambiente di sedimentazione, compito del geologo è rilevare la stretta corrispondenza fra gli ambienti di sedimentazione, la loro evoluzione verticale e i loro passaggi laterali. La posizione stratigrafica di una formazione è di fondamentale importanza: rocce con caratteristiche litologiche e sedimentologiche analoghe ma di differente età vanno riferite a formazioni diverse; rocce coeve ma di litologia differente, in quanto formate in diversi ambienti sedimentari, vanno pure attribuite a formazioni diverse. I criteri distintivi fra una formazione e l’altra sono molto numerosi. La litologia può differenziarsi anche nell’ambito di una stessa formazione: alcune formazioni hanno una litologia abbastanza uniforme (come la Dolomia Principale), mentre altre sono costituite dall’alternarsi di due litotipi diversi (come la Formazione Marnoso-Arenacea). Altri criteri distintivi sono: le caratteristiche della stratificazione, che può essere massiccia (come nella Dolomia dello Sciliar in ambiente di scogliera) o più articolata (come nella già citata Dolomia Principale in ambiente di piattaforma); il colore (la Scaglia Rossa, ben distinguibile dalla Scaglia Cinerea); le caratteristiche sedimentologiche (le Arenarie di Serravalle sono molto più cementate delle Sabbie di Asti); ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROSPEZIONI GEOLOGICHE l’età (le ultime due formazioni sono rispettivamente del Miocene e del Pliocene). Quest’ultima a volte può non essere identificabile direttamente sul terreno, con l’esame dei macrofossili, ma solo grazie all’esame micropaleontologico di laboratorio. Fra gli esempi citati, alcune formazioni sono state denominate con un criterio litologico cui è stato associato il nome della località tipo ove la formazione assume la migliore caratterizzazione. È in questa località tipo che la formazione viene di norma descritta nelle sue peculiarità litologiche, sedimentologiche e paleontologiche, con la misurazione dello spessore, l’interpretazione ambientale e le variazioni verticali e laterali. L’esplorazione mineraria può raggiungere formazioni non affioranti o comunque meglio valutabili nel sottosuolo; molte formazioni sono state recentemente riconosciute e descritte durante la ricerca di idrocarburi. È molto frequente il caso in cui una formazione è meglio conosciuta nel sottosuolo, ove un’intensa esplorazione l’ha attraversata con numerosi pozzi, piuttosto che in affioramento. Spesso inoltre nel sottosuolo essa è meno deformata e quindi meglio ricostruibile nella sua interezza, come per esempio la Frio Formation in rocce dell’Oligocene del Texas (Galloway et al., 1982), o la Formazione Cellino in rocce del Pliocene inferiore dell’Italia centrale (Casnedi, 1983). La carta geologica La carta geologica è il frutto di un lavoro sistematico che di norma richiede diverse fasi. La prima fase consiste nello studio preliminare effettuato con rilevamenti speditivi attraverso l’area oggetto di esame; il geologo potrà individuare le principali formazioni affioranti e i loro rapporti stratigrafici. Nella seconda fase viene eseguita una cartografia dell’area con itinerari a maglie via via più fitte; in questo stadio il geologo acquisisce maggiori dati sulle formazioni presenti, distingue in esse unità a maggior dettaglio (la formazione può essere distinta in membri) e stabilisce i rapporti stratigrafici relativi, cioè di sovrapposizione o passaggio laterale, qualora le formazioni siano coeve. Nello stesso tempo raccoglie dati stratimetrici (direzione, immersione e inclinazione degli strati), utili per stabilire i rapporti di sovrapposizione degli strati e l’assetto strutturale dell’area. Sulla carta devono essere riportate, con la massima precisione possibile, le linee di delimitazione fra le formazioni laddove esse sono in contatto. Nel delineare tali linee va specificato se il contatto fra due formazioni è di natura stratigrafica, corrispondente a una normale successione cronologica, oppure di natura tettonica, dovuto a una deformazione (faglia) che sposta irregolarmente i corpi rocciosi. Nel caso di un contatto stratigrafico, la superficie di separazione fra due formazioni è raffigurata da una linea VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO che rappresenta l’intersezione di detta superficie con la superficie topografica: se gli strati sono orizzontali, la linea corre in orizzontale, cioè parallelamente alle isoipse; se gli strati sono a reggipoggio, cioè immergenti in senso opposto a quello del versante, la linea segue le isoipse addolcendone la curvatura; se gli strati sono a franapoggio, cioè immergenti parallelamente al versante, ma con inclinazione minore di quella del pendio, la linea accentua la curvatura delle isoipse; se gli strati sono a franapoggio ma con inclinazione superiore a quella del pendio, la linea assume disposizione contraria alle isoipse; infine in strati verticali la linea è retta e segue la direzione (strike) degli strati. Sul terreno possono essere raccolti anche dati paleontologici (per lo più consistenti in macrofossili), sedimentologici (come le impronte di fondo degli strati che permettono di risalire alla direzione di provenienza dei sedimenti clastici), petrografici, strutturali e geochimici. La terza fase consiste nell’elaborazione dei dati raccolti; questo stadio, che segue oppure si alterna al lavoro di campagna, è essenziale per un esauriente rilevamento geologico. In esso può essere completata la delimitazione delle formazioni quando il loro contatto sul terreno non è osservabile, per copertura vegetale o per inaccessibilità: i dati stratimetrici sono molto utili per tracciare o completare le linee di delimitazione, poiché permettono l’interpolazione e l’estrapolazione della giacitura relativa delle formazioni, tenuto conto, come si è detto, dell’andamento degli strati rispetto all’inclinazione del pendio. Inoltre, un’adeguata rete di sezioni geologiche interpretative fornisce utili indicazioni per controllare l’esattezza del rilevamento di campagna. In questa fase si interpreta la natura delle superfici tettoniche rilevate sul terreno: se la successione è stratigraficamente normale e i fenomeni erosivi hanno agito soprattutto sulle aree sollevate, una faglia porterà all’affioramento delle formazioni più antiche nel fianco sollevato. Una corretta traccia della superficie di faglia permetterà di riconoscere l’immersione del piano di faglia e quindi di distinguere le faglie di distensione, in cui il fianco ribassato coincide con l’immersione del piano di faglia, da quelle di compressione, in cui si verifica il caso opposto. Anche i fenomeni di piegamento, se non riconosciuti direttamente sul terreno (come nel caso di pieghe ad ampia scala), possono essere ricostruiti durante la fase di elaborazione cartografica: una piega anticlinale si presenta con strati divergenti rispetto a una linea (asse della piega) e, nella gran parte dei casi, affioramenti di rocce più antiche lungo il nucleo della piega stessa, normalmente disposto in corrispondenza dell’asse. Il piegamento in cui si verifica il caso opposto è detto sinclinale. Anche le geometrie delle pieghe vengono riconosciute con l’analisi della cartografia geologica, specie se corredata dal corrispettivo 197 ESPLORAZIONE PETROLIFERA fig. 1. Blocco-diagramma di una regione piegata con ondulazioni assiali (assi di elevazione o culminazione e assi di depressione); 1-6, colonna stratigrafica in sequenza cronologica (Jaroszewski, 1984). verso l’asse di depressione asse di culminazione asse di depressione 6 5 4 3 2 verso l’asse di culminazione blocco-diagramma (fig. 1): una piega anticlinale può presentare zone in cui il piegamento è più pronunciato (culminazione strutturale) o meno (depressione strutturale); lo stesso avviene per le pieghe sinclinali. Le culminazioni strutturali sono favorevoli all’accumulo degli idrocarburi (v. cap. 1.3). L’ultima fase si compie in laboratorio, dove vengono effettuati gli studi petrografici e sedimentologici che permettono di risalire alle composizioni chimico-mineralogiche delle formazioni; in parallelo vengono condotti studi sedimentologici atti sia a riconoscere l’ambiente in cui è avvenuta la sedimentazione, sia a definire le tessiture dei sedimenti (dimensioni, forma e disposizione dei costituenti). Questi studi sono di grande utilità nella ricerca degli idrocarburi, poiché forniscono indicazioni sulle caratteristiche petrofisiche delle potenziali rocce serbatoio, in primo luogo sulla porosità. Di massima importanza sono le analisi paleontologiche: mentre il riconoscimento di un macrofossile può essere effettuato direttamente sul terreno, lo studio dei microfossili e delle loro associazioni, alla base della stratigrafia, viene fatto al microscopio, su sezioni sottili o su residui di lavaggio di campioni opportunamente scelti. Le analisi geochimiche possono essere effettuate sia su campioni di roccia madre (per studi di correlazione olio-roccia madre), sia su campioni di olio o gas quando sono presenti manifestazioni superficiali di idrocarburi. Un rilevamento geologico ben organizzato si basa sulla collaborazione dei rilevatori, che operano sul terreno oppure a tavolino sulla base di quanto raccolto in campagna, e degli analisti che lavorano in laboratorio, fra cui i petrografi, particolarmente del sedimentario, e i micropaleontologi. 198 1 Le carte tematiche Dalla cartografia geologica possono derivare diversi elaborati tematici riferiti a particolari caratteri di interesse scientifico o applicato alla ricerca mineraria. Le carte che interessano la ricerca degli idrocarburi, che comprendono sia i dati di superficie sia quelli di sottosuolo, per una valutazione tridimensionale dei corpi rocciosi, sono: le carte strutturali, le carte isopache, le carte isolite, le carte di litofacies, le carte paleogeografiche e le carte palinspastiche. Le carte strutturali possono essere di due tipi: quelle che rappresentano le aree di affioramento delle maggiori unità strutturali (per esempio la carta strutturale delle Alpi che riporta la cartografia di affioramento di Elvetidi, Pennidi, Austridi, ecc.) e quelle, di maggior dettaglio e interesse minerario, che riportano la struttura di una singola formazione nel sottosuolo e sono configurate per mezzo di isobate (contours). Queste ultime carte, utilizzate per rappresentare la struttura di una roccia serbatoio, permettono di individuare le aree mineralizzate nelle parti strutturalmente più alte delle rocce serbatoio stesse. Le carte isopache rappresentano con isolinee la distribuzione dello spessore di una determinata formazione; se essa costituisce una roccia serbatoio, la carta dà informazioni sul volume del giacimento. Le carte isolite rappresentano, nell’ambito di una formazione con differenti litologie, lo spessore di un solo litotipo; anch’esse vengono disegnate con isolinee di uguale spessore del litotipo in oggetto, che nella ricerca mineraria è di norma quello della frazione poroso-permeabile (per esempio in una formazione ad alternanze di sabbie e argille si riportano gli spessori delle sole sabbie, che possono contenere gli idrocarburi). ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROSPEZIONI GEOLOGICHE Le carte di litofacies rappresentano, per un dato intervallo cronologico, le litofacies delle formazioni, con particolare risalto alle litofacies poroso-permeabili, e integrano i dati di superficie con quelli derivanti dalle perforazioni. A tale carta, che fornisce un panorama delle aree potenzialmente sede di serbatoi, si sovrappone la carta di litofacies dell’intervallo cronologico superiore. Il fine di questa sovrapposizione è quello di individuare le aree in cui litofacies impermeabili possono costituire copertura (roccia di copertura) a quelle con litofacies porosopermeabili (potenziali rocce serbatoio), presupposto stratigrafico indispensabile per la presenza di idrocarburi nei serbatoi stessi. Le carte paleogeografiche rappresentano la geografia di una regione nel periodo di riferimento e quindi riportano la distribuzione e l’altitudine delle aree emerse, delle linee di costa e delle aree sommerse, con la profondità del mare nel periodo in oggetto. Sono utilizzate nella ricerca di idrocarburi per individuare trappole stratigrafiche (v. cap. 1.3). Le carte palinspastiche riportano le formazioni alla loro posizione originaria, prima che dislocazioni successive abbiano modificato i loro rapporti primari. L’utilizzo degli strumenti classici, bussola e altimetro, può essere integrato con strumenti più moderni come il GPS (Global Positioning System) per la georeferenziazione diretta dei punti rilevati, che usa una rete di satelliti geostazionari, e la bussola elettronica, fornita di una memoria digitale che permette l’immediata memorizzazione dei dati misurati. Questi strumenti facilitano l’immissione dei dati in formato digitale. Particolari aspetti del terreno (morfologia, fratturazione delle rocce) possono essere acquisiti attraverso la stereofotogrammetria, che permette di ricostruire rappresentazioni fotografiche tridimensionali di affioramenti significativi come tagli di cave, pareti rocciose, frane. La cartografia acquisita direttamente sul terreno può essere inoltre integrata con le informazioni ottenute con il telerilevamento (aerofotogrammetria, immagini da satellite, ecc.). I dati possono venire elaborati utilizzando il GIS (Geographic Information System), un sistema informatico sviluppato per gestire, manipolare e analizzare dati spaziali (cartografia numerica digitale); ciò significa che si utilizzano dati di cui si conoscono o si possono calcolare le coordinate geografiche (la latitudine, la longitudine e, se disponibile, anche l’altitudine). Per la cartografia sono poi particolarmente importanti le elaborazioni DEM (Digital Elevation Model), nelle quali i dati cartografati corrispondono alla quota media del terreno in quel punto; tali elaborazioni possono essere ricavate dalle immagini telerilevate oppure dalla digitalizzazione di carte topografiche già esistenti. Le carte tematiche (topografiche, geologiche, morfologiche, strutturali, ecc.), realizzate con l’ausilio delle VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO metodologie e degli strumenti sopra descritti (georeferenziazione, bussole elettroniche, modelli digitali del terreno, stereofotogrammetria, immagini da satellite, ecc.), permettono la costruzione di data base digitali che integrano i prodotti cartografici (spesso tridimensionali) con i relativi dati litologici, strutturali, petrografici, ecc. 2.2.3 Petrografia La petrografia è lo studio dei processi genetici delle rocce, della loro struttura e composizione. Poiché gli idrocarburi, salvo rare eccezioni, sono strettamente legati alle rocce sedimentarie, sia nella formazione che nella migrazione e nell’accumulo, sarà trattata esclusivamente la petrografia del sedimentario (Pettijohn, 1957; Bosellini et al., 1989; Blatt, 1992; Tucker, 2001) e in particolare la natura, la composizione e la classificazione delle rocce sedimentarie. In campo petrolifero, le analisi quantitative e gli studi petrografici vengono condotti attraverso l’uso di microscopia ottica ed elettronica e di diffrattometria e fluorescenza a raggi X e consentono di determinare la composizione dei costituenti delle rocce, di riconoscere le fasi autogene (cementi) formatesi durante il seppellimento delle rocce stesse, di evidenziare fenomeni di dissoluzione di determinati costituenti, di ricostruire la successione degli eventi di cementazione-dissoluzione che hanno interessato il sedimento fino a determinarne l’attuale struttura e infine di specificare, attraverso l’uso di analisi d’immagine, le caratteristiche geometriche della componente porosa presente nei sedimenti. Gli studi petrografici, nell’attività petrolifera, vengono condotti sui campioni di rocce provenienti da carote di pozzo e da affioramenti e anche sui detriti di perforazione, detti cuttings (piccoli frammenti di roccia prodotti dallo scalpello e portati in superficie dal fango di perforazione). L’insieme di questi dati viene poi inquadrato nel modello sedimentologico e geologico del bacino al fine di prevedere la qualità, in termini di caratteristiche di reservoir (porosità e permeabilità), delle rocce sedimentarie anche in zone non ancora interessate da perforazioni. In questo modo si ottengono importanti informazioni che, insieme ad altre, permettono di valutare l’opportunità di eseguire o meno un pozzo esplorativo o di programmare lo sviluppo e la messa in produzione dei giacimenti individuati. Frequenza delle rocce sedimentarie I processi endogeni sono responsabili dell’origine delle rocce magmatiche, mentre le rocce sedimentarie nascono da quelli esogeni; di conseguenza, la frequenza di queste ultime aumenta progressivamente man mano che ci si avvicina alla superficie terrestre. Mentre la crosta terrestre, nel suo insieme, contiene meno del 5% di 199 ESPLORAZIONE PETROLIFERA Classificazione delle rocce sedimentarie Esistono due criteri principali di classificazione: il primo è basato sulla genesi delle rocce, l’altro sulla loro composizione chimico-mineralogica. I due criteri spesso danno luogo a tipologie analoghe, in quanto la genesi di un sedimento influisce sulla sua composizione. Criterio genetico. La roccia originaria, esposta all’azione degli agenti atmosferici, viene degradata sia da processi fisici (disgregazione) che da processi chimici (alterazione). Gran parte dei prodotti di disgregazione (clasti) viene asportata e subisce un processo di trasporto (in sospensione o per rotolamento) a opera dei corsi d’acqua e del vento, dando luogo alle rocce epiclastiche, costituite da particelle che si sedimentano per decantazione; altre rocce particellari o granulari sono rappresentate dalle rocce piroclastiche, di derivazione vulcanica, e allochimiche, come i calcari oolitici e i calcari formati da frammenti fossili. L’alterazione chimica genera prodotti che di norma sono trasportati in soluzione nelle acque meteoriche e, in seguito a evaporazione o variazione degli equilibri chimici, si sedimentano per precipitazione formando rocce cristalline di origine sedimentaria, da non confondere con quelle di origine metamorfica. Dopo la sedimentazione, la diagenesi dei calcari, che avviene con scambio ionico con l’acqua marina, può dare luogo alla formazione di dolomie. La parte di roccia che non viene asportata dopo la degradazione o la decomposizione rimane in situ e forma le rocce residuali. L’azione degli organismi viventi dà luogo alle rocce organogene o biocostruite, costituite interamente da scheletri o frammenti di gusci di animali o vegetali (le scogliere formate essenzialmente da coralli e alghe) o da fissazione carbonatica da parte di vegetali (le stromatoliti) (fig. 2). Criterio composizionale. I componenti fondamentali delle rocce sedimentarie sono i terrigeni, gli allochimici e gli ortochimici (Bosellini et al., 1989; fig. 3). 200 gruppi fattori-controllo famiglie processi idrodinamici arenarie allochimiche calcari precipitate salgemma diagenetiche dolomia secrete scogliere fissate stromatoliti inorganiche suoli organiche carbone cristalline processi chimici biocostruite secrezione biochimica esempi epiclastiche particellari rocce sedimentarie e loro principali fattori-controllo rocce sedimentarie e di rocce metamorfiche di genesi sedimentaria, gran parte (circa il 75%) delle rocce affioranti in superficie è di origine sedimentaria. La ragione principale di questa abbondanza di rocce sedimentarie affioranti è l’instabilità, o la metastabilità, chimica delle rocce magmatiche in presenza di atmosfera. Infatti rocce e minerali sono in equilibrio solo nelle condizioni fisico-chimiche in cui si sono formati. Temperatura e pressione di formazione delle rocce magmatiche sono molto superiori a quelle che si riscontrano sulla superficie terrestre; inoltre gli ambienti profondi in cui esse si sono formate contengono minori quantità di ossigeno, acqua, biossido di carbonio e materia organica, sostanze di cui le rocce sedimentarie si arricchiscono con processi di ossidazione, idratazione, idrolisi, salificazione. residuali degradazione chimica e/o fisica fig. 2. Schema generale delle rocce sedimentarie in base alle loro caratteristiche genetico-tessiturali (Bosellini et al., 1989). I componenti terrigeni sono costituiti da particelle generate dalla disgregazione e dalla frammentazione di rocce preesistenti, erose e trasportate singolarmente nel bacino di sedimentazione. Questo processo di alterazione agisce nel tempo modificando la composizione chimico-mineralogica della roccia (fig. 4). I più importanti terrigeni sono il quarzo (35-50%), i feldspati (5-15%), i minerali argillosi (25-35%), le miche e i minerali pesanti (meno dell’1%), i frammenti di roccia e la selce (5-25%). I componenti allochimici sono costituiti da particelle che si formano per precipitazione chimica o secrezione organica direttamente nel bacino di sedimentazione, nel quale possono venire spostate e accumulate. I componenti ortochimici sono precipitati chimici formati entro il bacino di sedimentazione, come le evaporiti, o derivati da soluzioni circolanti entro lo stesso sedimento, come il cemento. Nella descrizione dei vari tipi di rocce sedimentarie si utilizzano i criteri genetici (arenarie), quelli composizionali (rocce carbonatiche), oppure ambedue (argille). ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROSPEZIONI GEOLOGICHE T. Rocce terrigene - esempio: molte argilliti, arenarie e conglomerati. Costituiscono il 65-75% della colonna stratigrafica; gran parte di esse cade nell’area scura. terrigeni Ai. Rocce allochimiche impure - esempio: argille molto fossillifere, calcari arenacei, marne. Costituiscono il 10-15% della colonna stratigrafica. T 50% Ai 50% Oi. Rocce ortochimiche impure - esempio: gesso argilloso. Costituiscono il 2-5% della colonna stratigrafica. Oi A. Rocce allochimiche - esempio: calcari oolitici e fossiliferi. Costituiscono l’8-15% della colonna stratigrafica. 10% 10% A 10% allochimici O O. Rocce ortochimiche - esempio: sale, anidrite, selce. Costituiscono il 2-8% della colonna stratigrafica. ortochimici fig. 3. Diagramma triangolare per la suddivisione delle rocce sedimentarie in base ai loro tre componenti fondamentali (Bosellini et al., 1989). casnedi2_f3 quarzo % di minerali feldspati argille minerali ferromagnesiaci intensità dell’alterazione fig. 4. Variazione di composizione mineralogica che subisce una sabbia di derivazione granitica sottoposta a progressiva alterazione in un clima temperato (Bosellini et al., 1989). Tipi di rocce sedimentarie I principali tipi di rocce sedimentarie sono: argille (60%), sabbie, arenarie, ghiaie e conglomerati (20%), rocce carbonatiche come calcari e dolomie (15%); a queste vanno aggiunte, in percentuali molto inferiori, le evaporiti in senso stretto, soprattutto salgemma e solfati. Le argille sono formate da particelle inferiori a 4 mm di diametro; a esse si possono aggiungere i silt, con dimensioni da 4 a 62 mm. Per questo motivo, tali particelle possono essere facilmente mantenute in sospensione anche da correnti molto deboli. Gli accumuli più considerevoli di argille si trovano sulle piattaforme continentali o, alternate ad arenarie, ai piedi delle scarpate, ove formano successioni, con spessore anche di alcuni chilometri, VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO nelle conoidi torbiditiche. Sono costituite in gran parte da minerali argillosi, derivanti da processi di idrolisi sui silicati; nei silt prevalgono il quarzo e i feldspati. Sono molto porose ma impermeabili e quindi costituiscono un’ottima roccia di copertura, mentre non offrono possibilità di accumulo come roccia serbatoio. Sotto carico geostatico e, in genere, sottoposte a pressione, vengono compattate con perdita di porosità e si definiscono argilliti (o peliti, o lutiti). Le arenarie comprendono tutte le rocce detritiche composte da particelle di diametro superiore a 62 mm; quando le arenarie non sono coerenti vengono definite sabbie. Se le particelle sono superiori a 2 mm, le arenarie rientrano nel gruppo dei conglomerati (o ghiaie se incoerenti, o brecce se composte da elementi a spigoli vivi). La loro composizione è in relazione con quella della roccia da cui derivano: prevalgono il quarzo e i feldspati, specialmente quelli acidi, che sono i minerali più stabili. I processi di alterazione tendono a trasformare i minerali meno stabili, come gli anfiboli, i pirosseni, l’olivina e in genere quelli più basici, che quindi sono meno frequenti. L’arenaria viene definita matura appunto quando l’alterazione chimica ha agito a lungo e con maggiore intensità sia nell’area di provenienza che durante il trasporto. Parallelamente agiscono gli agenti fisici, come il trasporto: il rotolamento ha un effetto abrasivo e tende a smussare gli spigoli e arrotondare le particelle. Dopo la sedimentazione, fra i processi diagenetici il più importante è la cementazione per precipitazione, a opera di soluzioni circolanti nei pori della roccia. La cementazione è fondamentale per la determinazione dei valori di porosità. Le arenarie vengono classificate in base alle dimensioni delle particelle o in funzione della loro composizione mineralogica. La distinzione per dimensioni è effettuata in scala geometrica: da 116 di mm, pari a 62,5 mm, 201 ESPLORAZIONE PETROLIFERA a 18 di mm, sabbia (o arenaria) molto fine; da 18 a 14 di mm sabbia fine; da 14 a 12 di mm sabbia media; da 12 a 1 mm sabbia grossolana; da 1 a 2 mm sabbia molto grossolana. Analogamente si prosegue nelle rocce a grana maggiore come i conglomerati. Più diversificata è la classificazione basata sulla composizione mineralogica: a una terminologia classica molto articolata, con numerosissimi termini per rappresentare i diversi tipi di arenarie, si preferisce attualmente la classificazione introdotta all’inizio del 20° secolo dal geologo tedesco Amadeus William Grabau, che in sintesi definisce una roccia con un prefisso composizionale e un suffisso dimensionale (Grabau, 1913); fra le arenarie le silicoareniti, per esempio, hanno composizione silicatica e suffisso derivante dal latino arena «sabbia» e vengono distinte da calcareniti, doloareniti, gessoareniti, ecc. Questa terminologia può essere estesa a tutte le rocce detritiche o clastiche, dalle più fini (per esempio le silicolutiti, dal latino lutum «fango») alle più grossolane (per esempio le silicoruditi, dal latino rudus «ciottolo»). È da notare che le rocce clastiche a composizione carbonatica (come le calcareniti), malgrado la loro genesi sia diversa da quella delle rocce carbonatiche di origine chimica od organogena, vengono di norma descritte insieme a queste ultime, dando maggiore importanza all’aspetto della composizione che a quello genetico. Le rocce carbonatiche derivano dalla precipitazione chimica di CaCO3, diretta o per fissazione da parte di organismi con guscio o scheletro calcareo. Alla formazione di calcari segue spesso, per scambio ionico con l’acqua di mare contenente magnesio, la loro trasformazione in dolomie, il cui minerale costituente, la dolomite, ha formula CaMg(CO3)2. L’interesse scientifico per le rocce carbonatiche è accentuato dal loro contenuto in fossili: infatti è soprattutto grazie allo studio fig. 5. Classificazione delle rocce carbonatiche secondo la terminologia proposta da Folk (1959), in accordo ai componenti tessiturali (Bosellini et al., 1989). paleontologico dei resti contenuti nelle rocce carbonatiche che si conosce la storia della Terra nella sua evoluzione biologica. Oltre che per la loro connessione con il mondo biologico, le rocce carbonatiche si differenziano dalle altre rocce sedimentarie per la deposizione in situ, senza apprezzabile intervento di processi di trasporto (salvo il già citato caso delle rocce carbonatiche clastiche), per una diagenesi precoce e per la composizione spesso monominerale. Infatti i minerali che le compongono sono il carbonato di calcio (nelle sue forme di calcite e aragonite, spesso determinate da un diverso stato cristallino dei gusci degli organismi) o la dolomite, derivata da processi secondari successivi alla sedimentazione; raramente il carbonato può essere quello di ferro (siderite) o magnesio (magnesite). Abbastanza frequenti sono i minerali argillosi, la cui presenza dà luogo a tipiche rocce miste, come i calcari marnosi e le marne. La classificazione delle rocce carbonatiche presenta problemi più complessi rispetto a quella delle rocce clastiche, poiché, oltre che della composizione mineralogica, si deve tenere conto delle caratteristiche tessiturali e diagenetiche che maggiormente caratterizzano il tipo di roccia. Le classificazioni più adottate (Bosellini, 1991) sono quella proposta da R.L. Folk nel 1959 (fig. 5) e quella realizzata da R.J. Dunham nel 1962 (fig. 6). La classificazione di Folk è basata sui componenti tessiturali: gli allochimici, cioè le varie particelle costituenti; la matrice, costituita da fango carbonatico (micrite); il cemento, formato da calcite spatica, o sparite. Più usata è la classificazione di Dunham, basata sulla tessitura deposizionale originaria in rapporto al suo significato idrodinamico, che introduce la distinzione fra particelle senza fango, quindi deposte in ambiente ad alta energia (scogliera), e particelle sostenute da fango, quindi deposte fossili e bioclasti ooidi peloidi intraclasti biomicrite oomicrite pelmicrite intramicrite biosparite oosparite pelsparite intrasparite matrice > 2/3 altre categorie micrite con cavità (dismicrite) (fenestra, birdseye) biolitite cemento > 2/3 cemento micrite principali allochimici 202 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROSPEZIONI GEOLOGICHE fig. 6. Classificazione delle rocce carbonatiche secondo la terminologia proposta da Dunham (1962), in accordo alla tessitura deposizionale (Bosellini et al., 1989). tessitura deposizionale riconoscibile componenti originali (grani) non legati assieme durante la deposizione fango presente (particelle < 30 µm) tessitura fango-sostenuta grani < 10% grani > 10% mudstone wackestone in ambiente relativamente tranquillo (laguna). Per le rocce carbonatiche di origine clastica possono essere mantenuti i termini già descritti (calcarenite, ecc.). Nelle rocce carbonatiche le caratteristiche di porosità e permeabilità sono in relazione soprattutto ai processi secondari, primo fra tutti la dolomitizzazione. Le rocce di origine evaporitica, meno frequenti delle altre, rivestono molta importanza nell’industria petrolifera perché sono impermeabili e formano delle tipiche rocce di copertura. Prendono il nome dalla loro origine, legata a processi di evaporazione, particolarmente attivi in climi caldi e aridi. Essendo rocce molto solubili, sono facilmente oggetto di dissoluzione a opera delle acque meteoriche. L’evaporazione di acqua marina in un sistema chiuso causa la precipitazione progressiva di sali in ordine inverso alla loro solubilità. Il primo a precipitare è il carbonato di calcio, la cui scarsa solubilità dà luogo a formazione di rocce carbonatiche; queste ultime possono formarsi anche con scarsa evaporazione (la precipitazione è legata alla liberazione nell’atmosfera di biossido di carbonio). Segue, con concentrazione salina molto maggiore, la deposizione di solfato di calcio, sotto forma di anidrite ad alte temperature, o di gesso e quindi di salgemma. Gli ultimi minerali a formarsi, in quantità minore per la loro scarsa concentrazione nell’acqua marina, sono il solfato di magnesio e il cloruro di potassio (silvite). Spesso l’evaporazione non avviene in un sistema chiuso: saltuari apporti di acqua marina possono causare innumerevoli ripetizioni e alternanze. Nel Mediterraneo e aree limitrofe, per esempio, hanno particolare importanza le successioni evaporitiche del Miocene superiore, che sono state messe in relazione con fasi di disseccamento di tutto il mare in seguito alla chiusura dello Stretto di Gibilterra. VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO fango assente tessitura grano-sostenuta packstone grainstone non riconoscibile componenti originari legati assieme durante la deposizione boundstone carbonati cristallini Fra le altre rocce sedimentarie sono compresi i depositi silicei di origine biogenica, dovuti all’accumulo di organismi a scheletro siliceo (spicole di spugne, diatomee, radiolari), e di origine diagenetica (noduli, lenti e letti di selce), spesso presenti nelle successioni carbonatiche; sono inoltre frequenti i depositi ferro-manganesiferi, fosfatici e di carbone. Nella geologia degli idrocarburi sono importanti anche i sedimenti anossici, dovuti alla sedimentazione di materia organica in ambiente riducente; per un maggiore approfondimento su questi sedimenti, strettamente legati alle rocce madri degli idrocarburi, v. cap. 1.2. 2.2.4 Principii di stratigrafia e sedimentologia La stratigrafia La stratigrafia studia il succedersi cronologico degli eventi che hanno interessato la storia della Terra, determinando i rapporti di giacitura spaziali e temporali delle rocce. Strettamente legata alla sedimentazione, la stratigrafia analizza altresì altri fenomeni come il magmatismo, il metamorfismo, le deformazioni, le variazioni climatiche e i cambiamenti della distribuzione dei mari e delle terre emerse. Poiché gran parte delle attribuzioni cronologiche è dovuta allo studio dei fossili e dell’evoluzione biologica propria delle rocce sedimentarie, la stratigrafia ha un valido supporto nella paleontologia e nella sedimentologia. I metodi per definire la cronologia di una successione stratigrafica si basano su criteri relativi e su criteri assoluti. Cronologia relativa. Il concetto stesso di successione è un criterio relativo, legato ai rapporti verticali e quindi temporali delle unità stratigrafiche. Il principio base 203 ESPLORAZIONE PETROLIFERA fig. 7. La successione sedimentaria del Grand Canyon del Colorado mostra una sovrapposizione di strati dal Precambriano al Terziario, per un intervallo cronologico di oltre 600 milioni di anni (per cortesia RIT, New York). della cronologia relativa è infatti il principio di sovrapposizione che presuppone il succedersi di unità sempre più recenti dal basso verso l’alto, salvo particolari eccezioni, facilmente riconoscibili, di successioni intensamente deformate o rovesciate. L’esempio più spettacolare di applicazione del principio di sovrapposizione è mostrato dall’incisione del Grand Canyon del Colorado (fig. 7), nella quale affiorano in regolare successione formazioni che vanno dal Precambriano al Terziario, per un intervallo cronologico di oltre 600 milioni di anni. Questo principio è confermato dalla paleontologia che riconosce forme fossili sempre più evolute nella successione verticale. Il secondo principio è quello di correlazione, che permette di riconoscere l’equivalenza cronologica fra unità di successioni stratigrafiche diverse. Esso può essere stabilito confrontando le caratteristiche litologiche delle successioni (litostratigrafia) e distinguendo le varie unità (formazioni) o sottounità (membri). La ricerca petrolifera ha permesso di affiancare l’analisi litologica fatta in superficie con l’analisi di sottosuolo: con le registrazioni (log) elettriche e radioattive degli strati nei sondaggi si possono effettuare correlazioni basate sull’analogia delle loro caratteristiche; analogamente le prospezioni sismiche hanno permesso di tracciare sezioni che possono essere interpretate dalla stratigrafia (sismostratigrafia) con possibilità di ricostruire la geometria dei corpi sedimentari. Un’unità ha di norma uno sviluppo orizzontale limitato poiché la sua litologia cambia al variare dell’ambiente di sedimentazione; per correlazioni a vasto raggio si preferisce utilizzare il criterio paleontologico (biostratigrafia) che consente di effettuare confronti anche tra un continente e l’altro. Questo criterio ha permesso di istituire una scala cronologica (cronostratigrafia) valida a livello globale, che costituisce la base della storia della Terra. 204 La cronostratigrafia permette di datare l’età degli strati rocciosi e di stabilire le relazioni temporali esistenti tra gli stessi. L’unità geocronologica fa riferimento esclusivamente all’intervallo di tempo durante il quale è avvenuta la deposizione di una certa sequenza di rocce; nell’unità cronostratigrafica il tempo geologico è invece rappresentato dalla stessa sequenza. Le unità cronostratigrafiche, nel loro complesso, rappresentano quindi la visualizzazione di quella che è stata la storia della Terra, suddivisa, in ordine gerarchico decrescente, in ere, periodi, epoche ed età in funzione della loro importanza e della relativa durata (si vedano i dati offerti dalla International Commission on Stratigraphy; Hedberg, 1976); le unità geocronologiche esprimono invece solo il dato numerico temporale. Altre correlazioni sono basate sul paleomagnetismo: i minerali ferromagnetici, se posti in un campo magnetico, acquisiscono una magnetizzazione che viene conservata durante il raffreddamento e che quindi fissa le caratteristiche del campo magnetico al momento della cristallizzazione di detti minerali; poiché le caratteristiche del campo magnetico variano nel tempo, la loro determinazione su campioni orientati permette valutazioni di magnetostratigrafia. Discordanze. Il rilievo terrestre è soggetto a erosione per l’azione degli agenti atmosferici: il continuo spostamento di materiali dai continenti agli oceani determina la peneplanazione del rilievo alla fine di un ciclo orogenetico, finché un’invasione del mare sull’area precedentemente emersa (trasgressione) innesca il ciclo successivo. I prodotti dell’erosione, sedimentati in ambiente sottomarino, possono dar luogo a una successione continua di unità stratigrafiche, senza che si verifichino interruzioni nella sedimentazione. In altri casi, eventi di norma legati a fasi di deformazione comportano un’interruzione, registrata dalla mancanza delle unità ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROSPEZIONI GEOLOGICHE corrispondenti, spesso ben documentata dalla paleontologia (hiatus sedimentario-cronologico). Il caso più comune è quello del sollevamento di una parte della successione con conseguente emersione (regressione). Durante questa fase la sedimentazione può proseguire in ambiente continentale ma più spesso si attiva un processo di smantellamento e denudazione, totale o parziale, per opera degli agenti erosivi. Una successiva trasgressione può dar luogo a una nuova fase di sedimentazione e sovrapposizione di strati orizzontali su quelli deformati (discordanza). La casistica riguardante le discordanze stratigrafiche è molto varia. Le oscillazioni del livello del mare hanno incidenza soprattutto sui margini continentali, dando luogo a variazioni della linea di costa, con conseguente diversa paleogeografia. Le cause di queste oscillazioni possono essere di natura globale (eustatismo), come l’aumento di temperatura che determina lo scioglimento dei ghiacci, o locale, come il vulcanismo o le deformazioni della crosta terrestre. Sono state ricostruite curve di variazione eustatica a livello globale (Vail et al., 1977) di grande interesse per la geologia degli idrocarburi, poiché un abbassamento del livello del mare (low-stand) determina un’attivazione dei fenomeni erosivi e una progradazione nel mare di corpi sedimentari nei quali possono accumularsi idrocarburi. Cronologia assoluta. Mentre i principii di cronologia relativa derivano dall’osservazione diretta sul terreno, quelli di cronologia assoluta si basano sul decadimento degli elementi radioattivi presenti nelle rocce. Ogni elemento radioattivo si trasforma, emettendo radiazioni, in uno o più elementi non radioattivi, cioè stabili. Il tempo necessario perché una certa quantità di elemento radioattivo si riduca della metà (semiperiodo) è rigorosamente costante per ciascun isotopo dell’elemento stesso. La misura di questo tempo fornisce l’età assoluta della roccia. Per datazioni di rocce molto antiche si usano le misure di decadimento del torio e dell’uranio che si trasformano rispettivamente in piombo ed elio; la trasformazione del torio 232 in piombo 208 ha un semiperiodo di 2⋅ 1010 anni. Misure del rapporto fra il piombo comune (204Pb) e quelli radiogenici, cioè derivati dal decadimento di torio e uranio (206Pb, 207Pb e 208Pb), consentono determinazioni di età assoluta. Per le prime datazioni vennero utilizzati minerali ricchi di uranio, come la pechblenda, e si notò subito che le rocce erano molto più antiche delle stime effettuate in precedenza, basate sulla velocità di sedimentazione. Altri metodi per datazioni molto antiche sono quelli del decadimento del rubidio che si trasforma in stronzio (semiperiodo di 91010 anni) e del potassio che si trasforma in calcio e argon. In campo petrolifero la stratigrafia è fondamentale perché permette di inquadrare nel tempo e nello spazio VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO le successioni sedimentarie incontrate nel sottosuolo, in particolare le rocce madri e le rocce serbatoio. Fornisce, inoltre, informazioni per altre indagini quali correlazioni tra pozzi, interpretazione dei dati sismici, modellizzazione di bacino e caratterizzazione dei reservoir. Per attribuire un’età ai sedimenti attraversati dalla perforazione e identificare il loro originario ambiente di sedimentazione ci si avvale soprattutto della micropaleontologia (studio dei microfossili); grazie alle loro esigue dimensioni, questi microrganismi possono essere individuati anche in piccole quantità di sedimento o in frammenti di roccia (per esempio i cuttings). Il riconoscimento dei microfossili si effettua con il microscopio ottico su diversi tipi di preparati (campioni lavati, sezioni sottili, ecc.) e permette di datare la successione incontrata e di costruire la colonna stratigrafica del pozzo, con le età e i nomi delle unità stratigrafiche attraversate. La stratigrafia trova applicazione anche durante la perforazione, poiché, identificando gli strati che si stanno attraversando sulla base della litologia e dei microfossili presenti, consente di stabilire la posizione alla quale è giunto il sondaggio, permettendo una migliore programmazione delle operazioni successive e, soprattutto, una previsione più precisa dei tempi necessari per raggiungere la roccia serbatoio. La stratigrafia è dunque uno strumento molto utile quando la perforazione si effettua con pozzi direzionati. La conoscenza dettagliata degli strati che si stanno attraversando permette, infatti, di stabilire, nel corso della perforazione, le variazioni di direzione da imporre allo scalpello al fine di intercettare e seguire, lungo la loro estensione, gli strati mineralizzati a idrocarburi. La sedimentologia La sedimentologia studia la natura e la composi zione dei sedimenti attuali e di quelli del passato (rocce se dimentarie) per conoscerne l’origine, l’ambiente in cui si formano, le modalità di trasporto e di deposito, nonché i processi successivi che modificano e trasformano gli accumuli sedimentari (Ricci Lucchi, 1973-1978; Reineck e Singh, 1980; Selley, 1988; Zimmerle, 1995). Le modalità di trasporto, deposito e sedimentazione e le trasformazioni successive influiscono sulla porosità e sulla permeabilità, che sono fra i parametri fondamentali degli accumuli di idrocarburi. In campo petrolifero questa disciplina viene principalmente utilizzata per determinare la distribuzione areale e la geometria delle rocce che possono costituire rocce madri, vie di migrazione, serbatoi, rocce di copertura, variazioni di facies e quindi potenziali trappole. Alla scala regionale, di bacino, sono importanti sia le informazioni che si ottengono dai pozzi già eseguiti, sia quelle che provengono dai rilievi geologici di superficie. I dati di pozzo danno, infatti, informazioni ‘puntuali’, localizzate nello spazio, mentre la ricostruzione 205 ESPLORAZIONE PETROLIFERA di strutture sedimentarie visibili negli affioramenti permette di creare modelli geologico-sedimentari, che possono essere utilizzati come riferimento per l’interpretazione di situazioni analoghe nel sottosuolo. Alla scala, più ridotta, di giacimento, la sedimentologia permette di studiare in dettaglio come si distribuiscono le facies del reservoir, fornendo informazioni che consentono una migliore conoscenza del giacimento. 2.2.5 Tettonica e geologia strutturale La tettonica e la geologia strutturale sono discipline che studiano i movimenti che hanno deformato e modellato la crosta terrestre. Il movimento può realizzarsi con il semplice trasporto di un corpo roccioso da un luogo a un altro o, più comunemente, con una deformazione che rompe la roccia o ne modifica la forma e le dimensioni. La tettonica generalmente studia la storia dei movimenti e delle deformazioni dalla scala regionale fino a quella globale, mentre la geologia strutturale va dalla scala regionale alle deformazioni microscopiche (Boccaletti e Tortorici, 1987; Twiss e Moores, 1997). In ambito petrolifero si applica la tettonica per studiare le deformazioni che hanno caratterizzato l’evoluzione geologica di un bacino sedimentario e che possono aver contribuito a determinare le condizioni favorevoli all’accumulo di idrocarburi. La geologia strutturale viene impiegata in aree più limitate per stabilire ugualmente modalità e tempi di formazione delle trappole. Con gli studi di geologia strutturale è possibile definire la configurazione attuale, ricostruire l’evoluzione progressiva delle deformazioni nel tempo (sintesi cinematica) e stabilire le relazioni esistenti fra gli sforzi applicati e le deformazioni risultanti (sintesi dinamica). Questa disciplina studia anche quei processi di fratturazione che possono avere determinato, per esempio nelle rocce carbonatiche, condizioni petrofisiche idonee alla formazione di reservoir. Nel contesto della geologia degli idrocarburi, sono di interesse le deformazioni delle rocce sedimentarie (Maltman, 1994); quando queste rocce vengono sottoposte a sforzi subiscono una deformazione (strain) e offrono una resistenza (stress) che dipende dal loro stato fisico e dalla loro forma geometrica. Quindi un sedimento incoerente può assumere un particolare stato di strain in risposta a un debole sforzo, con un leggero stress, mentre un sedimento litificato richiederà una forza più intensa, con un forte stress, per assumere lo stesso stato di strain. La prima forza che agisce su un sedimento è la forza di gravità che, in funzione della comprimibilità del sedimento stesso, produce uno strain di compattazione associato a uno stress verticale, ambedue in aumento con la profondità, secondo una relazione che lega il carico geostatico a densità e profondità. Forze tangenziali determinano deformazioni di diversa natura in rapporto allo stato fisico della roccia sedimentaria, alla sua elasticità, alla sua omogeneità, all’intensità con cui la forza agisce in funzione del tempo e alle condizioni di pressione e temperatura. Si effettua una prima distinzione fra le deformazioni rigide (brittle) e le deformazioni plastiche (ductile). Le prime avvengono su rocce compatte (calcari e arenarie), che reagiscono con fratture e faglie, le seconde su rocce plastiche o incoerenti (argille e sabbie), che si deformano piegandosi. Se la forza agisce con bassa intensità ma in tempi lunghi, una roccia compatta può deformarsi plasticamente; analogamente temperature e pressioni alte favoriscono deformazioni plastiche (per esempio piegamenti in calcari e arenarie compatte). Al contrario, forti giaciture di faglie coniugate half-grabens horst faglia di distacco faglie faglia faglia antitetiche principale principale horst faglie sintetiche half-grabens graben faglia di distacco faglia listrica faglia listrica fig. 8. Sistemi di faglie normali di norma caratterizzate da una faglia principale associata a faglie secondarie e da faglie di distacco a basso angolo (Twiss e Moores, 1997). casnedi2_f08 206 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROSPEZIONI GEOLOGICHE limite del ricoprimento fig. 9. Schema di falda di ricoprimento (allochthon) in stile compressivo che si sovrappone alla successione autoctona con faglia di scivolamento (thrust fault). L’autoctono è esposto in finestra tettonica (window) e un lembo di ricoprimento (klippe) rappresenta l’alloctono più esterno, avulso dalla falda per erosione (Twiss e Moores, 1997). limite del ricoprimento alloctono autoctono finestra tettonica superficie di ricoprimento intensità in tempi brevi possono produrre deformazioni rigide in rocce plastiche (per esempio fratture e faglie nelle argille). Un fattore molto influente è l’omogeneità della successione sedimentaria: calcari o arenarie sono quasi sempre deformati rigidamente se si trovano in stratificazione massiccia; se invece si alternano ad argille, come avviene in una successione torbiditica, l’insieme tenderà a deformarsi plasticamente in pieghe anche a stretto raggio. Lo stile di deformazione è fondamentale nella geologia degli idrocarburi, così come il sistema roccia di copertura-trappola strutturale (v. cap. 1.3). Esiste un’ampia casistica di deformazioni per faglia, sia di origine distensiva (faglie normali, fig. 8) che compressiva (faglie inverse), il cui effetto più evidente si manifesta nella struttura a falde che caratterizza le catene (fig. 9), in particolare quella alpina (fig. 10). Anche i fenomeni di piegamento determinano trappole strutturali riconoscibili 48° falde Elvetidi e Ultraelvetidi lembo di ricoprimento della Dent Blanche falde Austroalpine finestra tettonica dei Tauri Giura Alpi meridionali 46° falde Pennidiche Appennini 44° Mare Adriatico Mar Ligure 6° 8° lembo di ricoprimento 10° 12° fig. 10. Carta strutturale delle Alpi con la distribuzione delle maggiori falde. Le falde Austroalpine si sovrappongono sulle Pennidi, affioranti altresì in due finestre tettoniche (Engadina e Tauri), che ricoprono a loro volta le Elvetidi. All’esterno della catena il Giura autoctono ripiegato (Twiss e Moores, 1997). VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO 14° dalla morfologia delle pieghe, in particolare nelle loro culminazioni assiali (v. ancora fig. 1). Diverse tecniche permettono di ottenere tutte le informazioni che contribuiscono alla definizione dei sistemi fratturati e alla ricostruzione delle deformazioni strutturali. I dati acquisiti possono essere a tutte le scale: campioni e log di pozzo danno, per esempio, informazioni a scala da pochi mm a poco più di 1 m, mentre i dati derivati dalla sismica o dalle immagini da satellite sono ovviamente a scala maggiore, da alcune decine di m a qualche km. Quando i dati sono completi si possono ricostruire modelli geologico-strutturali tridimensionali. Bibliografia citata Blatt H. (1992) Sedimentary petrology, New York, W.H. Freeman. Boccaletti M., Tortorici L. (1987) Appunti di geologia strutturale, Bologna, Patron. Bosellini A. (1991) Introduzione allo studio delle rocce carbonatiche, Ferrara, Bovolenta. Bosellini A. et al. (1989) Rocce e successioni sedimentarie, Torino, UTET. Casnedi R. (1983) Hydrocarbon-bearing submarine fan system of Cellino formation, Central Italy, «American Association of Petroleum Geologists. Bulletin», 67, 359-370. Cremonini G. (1973) Rilevamento geologico, Bologna, Pitagora. Damiani A.V. (1984) Geologia sul terreno e rilevamento geologico, Bologna, Grasso. Dunham R.J. (1962) Classification of carbonate rocks according to depositional texture, «American Association of Petroleum Geologists. Memoir», 1, 108-121. Folk R.L. (1959) Practical petrographic classification of limestones, «American Association of Petroleum Geologists. Bulletin», 43, 1-38. Galloway W.E. et al. (1982) Frio formation of Texas Gulf coastal plain. Depositional systems, structural framework, and hydrocarbon distribution, «American Association of Petroleum Geologists. Bulletin», 66, 649-688. Grabau A.W. (1913) Principles of stratigraphy, New York, Seiler. 207 ESPLORAZIONE PETROLIFERA Hedberg H.D. (editor) (1976) International stratigraphic guide. A guide to stratigraphic classification, terminology and procedure, New York, John Wiley. Jaroszewski W. (1984) Fault and fold tectonics, Chichester, Hellis Horwood. Lahee F.H. (1961) Field geology, New York-London, McGrawHill. Low J.W. (1957) Geologic field methods, New York, Harper & Brothers. Maltman A. (edited by) (1994) The geological deformation of sediments, London, Chapman & Hall. Pettijohn F.J. (1957) Sedimentary rocks, New York, Harper & Brothers. Reineck H.E., Singh I.B. (1980) Depositional sedimentary environments, New York, Springer. Ricci Lucchi F. (1973-1978) Sedimentologia, Bologna, Cooperativa Libraria Universitaria, 3v. Selley R.C. (1988) Applied sedimentology, London, Academic Press. Tucker M.E. (2001) Sedimentary petrology. An introduction to the origin of sedimentary rocks, Cambridge, Blackwell. 208 Twiss R.J., Moores E.M. (1997) Structural geology, New York, W.H. Freeman. Vail P.R. et al. (1977) Relative change of sea level from coastal onlap and global cycles of relative changes of sea level, in: Payton C.E. (edited by) Seismic stratigraphy. Applications to hydrocarbon exploration, «American Association of Petroleum Geologists. Memoir», 26, 63-98. Zimmerle W. (1995) Petroleum sedimentology, DordrechtBoston-London, Kluwer Academic Publishers. Raffaele Casnedi Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Pavia Pavia, Italia Mattia Sella Eni - Divisione E&P San Donato Milanese, Milano, Italia ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROSPEZIONI GEOLOGICHE 2.2.6 Geologia del sottosuolo Introduzione La geologia del sottosuolo è una disciplina che studia, mediante la tecnica della perforazione, sia la struttura delle formazioni geologiche sia i fluidi che queste possono contenere (gas, olio e/o acqua). Tale indagine avviene sul luogo dell’impianto di perforazione, dove il geologo della compagnia petrolifera supervisiona il lavoro dello specialista di una società di servizio (mud logger o diagrafista). Nel laboratorio collegato all’impianto, il geologo studia i detriti di roccia frantumata (cuttings) disponibili per l’intera lunghezza perforata del pozzo, oppure studia le carote di fondo estratte dalle zone di interesse e le carote di parete dove quelle di fondo non erano mai state ricavate in precedenza. Un rivelatore di gas e un gascromatografo collegati a un degassatore forniscono informazioni sulla fuoriuscita di gas durante il flusso del fango. Il rilevamento di gas è molto importante per motivi di sicurezza e per determinare il tipo di idrocarburi presenti nei potenziali giacimenti. Altre informazioni riguardanti i parametri di perforazione e le caratteristiche del fango – densità, resistività e temperatura – vengono trasmesse al laboratorio di cantiere da sensori situati sull’impianto di perforazione. Ciò consente di ottenere un’interpretazione delle caratteristiche della colonna litologica del pozzo, di stabilire correlazioni con i pozzi vicini e, basandosi sull’analisi dei gas, di determinare la presenza di giacimenti di idrocarburi. Detriti di perforazione (cuttings) La dimensione dei detriti di perforazione (cuttings) dipende dal tipo di scalpello utilizzato, poiché più lunghi sono i denti dello scalpello, maggiori sono le dimensioni dei detriti; per esempio, gli scalpelli a inserti di diamanti policristallini (Polycrystalline Diamond Compact, PDC) scalfiscono la formazione ottenendo detriti molto piccoli, alquanto difficili da analizzare. Una volta in superficie, il fango procede tramite una condotta verso i vibrovagli dove i detriti vengono separati dal fango. È possibile mettere un contenitore o una pedana sotto il vibrovaglio in modo da recuperare parte dei detriti da raccogliere per essere analizzati dal geologo o dal diagrafista (fig. 1). Detriti di notevoli dimensioni (più di 5 mm), detti caving, possono cadere dalla parete del pozzo e non vengono frammentati sul fondo dallo scalpello. Il processo di caving è un segno di instabilità del pozzo e può creare dei grossi problemi, dall’occlusione del condotto al crollo del pozzo stesso. La perforazione ad aria compressa, anche conosciuta col termine inglese dusting the hole, produce detriti molto fini. È necessario estrarre una gran quantità di campioni per recuperare dalla polvere alcuni detriti utili. fig. 1. Cuttings osservati al microscopio (per cortesia di Geoservices S.A.). VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO 209 ESPLORAZIONE PETROLIFERA Un’altra potenziale fonte di difficoltà consiste nella perdita di fango in pozzo, in quanto alcuni dei detriti vengono persi oppure arrivano in ritardo rispetto al loro tempo di risalita teorico. L’analisi viene resa più complicata dall’aggiunta al fango di materiali per controllare le perdite e dalla difficoltà nell’eliminarli. Tempo di risalita dei detriti (lag time) Il tempo impiegato dal flusso di fango per trasportare i detriti dal fondo del pozzo alla sua superficie è conosciuto con il nome di tempo di risalita o lag time, la cui formula generale è la seguente: tempo di risalita (min) volume anulare del pozzo (l) / portata del fango (l/min) Il volume anulare viene calcolato nel modo seguente: volume anulare volume del/i foro/i aperto/i volume interno del tubo di rivestimento volume lineare interno volume interno della eventuale colonna montante (riser) volume esterno della batteria di perforazione La portata è data dall’espressione: portata volume della corsa del pistone della pompa rendimento della pompa numero delle corse del pistone della pompa al minuto Potrebbe rivelarsi utile sapere anche il numero delle corse del pistone della pompa necessarie a far risalire il flusso di fango dal fondo, secondo la relazione: numero di corse volume anulare / (volume descritto dalle corse rendimento della pompa) Nella perforazione offshore in acque profonde, è talvolta necessaria una pompa ausiliaria per aumentare la velocità del fango nel riser di grande diametro. In questo caso, il tempo necessario al fango per spostarsi dallo scalpello alla testa del pozzo e da questa alla superficie deve essere calcolato separatamente e quindi sommato. Il problema nasce dal fatto che il tempo di risalita dipende dal diametro del foro del pozzo aperto, il quale, in teoria, è lo stesso del diametro dello scalpello. In realtà, tuttavia, il caving potrebbe aumentare notevolmente il volume del pozzo rendendo il tempo di risalita calcolato minore rispetto a quello reale. Vi sono diverse tecniche per controllare l’accuratezza della valutazione del tempo di risalita. Originariamente ciò veniva fatto versando riso colorato di rosso nel condotto, in superficie, e lasciando che il riso venisse trasportato verso il fondo dal flusso di fango e poi di nuovo verso la superficie. La misurazione del tempo che il riso impiegava per arrivare al vibrovaglio forniva un valore accurato del cosiddetto ciclo breve, cioè della somma del tempo di risalita più il tempo che il fango 210 impiegava per andare all’interno della batteria di perforazione a partire dalla superficie fino al fondo. Per evitare l’occlusione dell’ugello, è di uso comune ricorrere al carburo di calcio (che forma acetilene quando si trova a contatto con l’acqua), o al propano (i due gas vengono poi monitorati da un rivelatore). Con questa tecnica occorre assolutamente prendere in considerazione il tempo di transito del gas dal degassatore al rivelatore. Campionatura Diversi tipi di campioni vengono prelevati dallo specialista della società contrattista e mandati ai clienti per analisi ulteriori: • terreno umido e non lavato: 500 cm3 di campione non lavorato (direttamente dal vibrovaglio) e riposto in una busta di plastica sigillata; • terreno umido e lavato: 150 cm3 di campione lavato e riposto in una busta di plastica sigillata; • terreno lavato ed essiccato: 20 cm3 di campione lavato, essiccato al forno e riposto in buste di carta sigillate; • campione geochimico: 750 cm3 di campione non lavorato, riposto in un contenitore e poi coperto con una soluzione battericida; questo tipo di campione è utilizzato per gli studi geochimici. Un campione puntuale consiste in una piccola quantità di detriti prelevata, con l’unico scopo di analizzarla, alla fine della circolazione, prima di una manovra (trip) o quando una qualche drastica variazione nella velocità di penetrazione indica una variazione litologica. Procedimento generale d’analisi Secondo il programma di esplorazione geologica, lo specialista della società contrattista preleva un campione di detriti a un dato intervallo della perforazione (per esempio ogni 5 m). Ciò significa che se lo scalpello sta perforando a una profondità di 1.000 m alle ore 12, conoscendo il tempo di risalita (per esempio 45 min), l’analizzatore prenderà un campione sul vibrovaglio alle ore 12 e 45 min. Ciò che viene recuperato corrisponde quindi all’intervallo compreso tra 995 e 1.000 m. Nel laboratorio di cantiere in cui viene svolta l’attività di registrazione dei dati della perforazione (mudlogging), la prima cosa che occorre fare è controllare l’esistenza o meno di un fenomeno di fluorescenza, che potrebbe indicare la presenza di una impregnazione da olio; a tale scopo una piccola quantità di detriti viene osservata con una lampada a raggi ultravioletti chiamata fluoroscopio. Per ottenere un’analisi accurata, un volume costante di detriti deve essere lavato attraverso tre setacci (di 5 mm, 0,25 mm e 0,063 mm), come mostrato in fig. 2. Con un fango a base d’acqua, i campioni vengono lavati con acqua; con un fango a base d’olio, vengono lavati con olio ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROSPEZIONI GEOLOGICHE e, nel caso di una deposizione ritmica, esso conterrà diversi tipi di roccia. setaccio 2 (o 5) mm Attrezzatura per l’analisi dei detriti franamenti ? campione grezzo setaccio 0,25 mm lavaggio setaccio 0,063 mm essiccazione lavaggio I materiali necessari per analizzare i detriti sono fondamentalmente: a) le pinzette per maneggiarli; b) un ago per saggio ‘alla tocca’ per esaminarne la durezza; c) un vassoio di porcellana per effettuare i test chimici ‘alla tocca’; d) un microscopio binoculare per osservare i detriti umidi; e) un calcimetro per determinare la quantità di carbonato di calcio e di dolomite. I reagenti chimici utilizzati per i test in generale sono: a) una soluzione al 10% di acido cloridrico; b) una soluzione al 10% di acido nitrico; c) il cloruro di bario; d) il nitrato di argento; e) i coloranti alizarina e fenolftaleina. Calcimetria fluoroscopio microscopio campioni di riferimento La calcimetria è un metodo di indagine mediante il quale si misura il contenuto di carbonato di calcio di una roccia, consentendo così di determinare la quantità di calcare e di dolomite in essa presenti. Esso consiste nel trattare con acido cloridrico un peso standard di campione finemente macinato e nel misurare il volume di biossido di carbonio, per esempio sviluppato dalla reazione chimica: CaCO32HCl→ CaCl2CO2H2O bagnato non lavato trattamento geochimico calcimetria densità delle argille lavato ed essiccato fig. 2. Procedura di analisi del campione. diesel o con olio, e poi vengono risciacquati con un detergente. Quando si perfora argilla plastica è importante che il volume dei campioni sia costante; il materiale argilloso è molto piccolo e passa attraverso il setaccio da 0,063 mm, risultando alla fine completamente dilavato. La parte rimanente è costituita prevalentemente da sabbia e il suo volume viene misurato in un tubo graduato al fine di determinare le percentuali relative di sabbia e di argilla. La frazione grossolana che rimane nel setaccio superiore proviene dal caving. La parte che rimane nei due setacci inferiori viene osservata con un microscopio in modo tale da poter descrivere i diversi tipi di roccia. Esistono numerosi test chimici che permettono di individuare il tipo di roccia con il quale abbiamo a che fare. Inoltre è anche importante determinare le percentuali dei diversi tipi litologici; il campione prelevato, infatti, corrisponde a un intervallo di profondità che va da 1 a 10 m VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO La registrazione della velocità di questa reazione ci fornisce informazioni sulla presenza delle sostanze sopracitate, soprattutto della dolomite; una reazione veloce (meno di 1 min) indica, infatti, la presenza di calcare, mentre una reazione lenta è caratteristica della dolomite. Nel caso del calcare dolomitico, la curva è divisa in due parti: la prima riguarda la reazione del calcare (fino a 1 min), la seconda quella della dolomite (dopo 1 min fino alla fine del processo). Anche dall’esame del residuo si possono ottenere dati interessanti poiché potrebbe fornire un’indicazione della presenza di sabbia, di argilla o di minerali accessori presenti nei carbonati. La calcimetria quantitativa, inoltre, permette anche di tener conto delle combinazioni argilla-carbonato: a) un’argilla calcarea contiene dal 10 al 35% di carbonati; b) una marna dal 35 al 65%; c) un calcare argilloso dal 65 al 90%; d) un calcare puro ne contiene più del 90%. Densità delle argille È anche possibile misurare la densità delle argille allo scopo di prevedere sovrapressioni dovute alle argille sotto compattazione. In condizioni normali, la compattazione aumenta con la profondità e l’acqua di formazione è espulsa con il diminuire della porosità; in alcuni casi, tuttavia, l’acqua non può essere eliminata in tempo e rimane intrappolata nel sedimento. L’eliminazione dell’acqua dalle argille dipende da tre fattori: la permeabilità verticale molto bassa dell’argilla; la sedimentazione 211 ESPLORAZIONE PETROLIFERA e le velocità di affossamento (se la velocità di sedimentazione è molto alta, l’argilla è sepolta a notevole profondità prima che l’acqua abbia il tempo di fluire via e quindi rimane intrappolata nel sedimento, per esempio in zone deltizie); l’efficacia del drenaggio (gli strati sabbiosi agiscono da drenaggio e facilitano l’eliminazione dell’acqua; per esempio, se l’argilla ha meno del 15% di contenuto sabbioso, si avrà un’assenza di drenaggio). L’acqua in eccesso provoca una diminuzione nella densità dell’argilla. Quando si riporta in un grafico la densità delle argille in funzione della profondità, un’inversione nella tendenza della densità individua la parte superiore che è una zona sottocompattata. Il principio della misurazione della densità delle argille consiste nel dividere il peso in aria di un campione d’argilla per lo stesso peso nell’aria meno il peso del campione immerso nell’acqua. Preparazione e uso delle soluzioni analitiche più comuni Per distinguere il carbone dalla lignite si utilizza acido nitrico al 10%, poiché la lignite dà luogo a una soluzione tendente al marrone; invece, per individuare il carbonato di calcio e la dolomite si usa acido cloridrico al 10%. A contatto con l’acido, il carbonato di calcio reagisce velocemente producendo un’effervescenza dovuta all’emissione di biossido di carbonio, mentre la dolomite ha una reazione più lenta. Per determinare i solfati presenti nel gesso e nell’anidrite si ricorre a una soluzione di cloruro di bario preparata con 61 g di questo sale diluito in 1.000 cm3 di acqua distillata. In questa soluzione i solfati danno luogo a un precipitato lattiginoso. L’alite viene individuata utilizzando una soluzione di nitrato di argento con la quale darà un precipitato lattiginoso, che diventa nero se viene esposto alla luce. Per mettere in evidenza i cristalli di dolomite in un calcare dolomitico si adopera una soluzione di rosso di alizarina preparata con un 1 g di alizarina rossa dissolta in 998 cm3 di acqua distillata e 2 cm3 di acido cloridrico concentrato. La soluzione di alizarina colora di rosso il calcare ma non agisce sulla dolomite. Il cemento industriale viene rilevato con una soluzione di fenolftaleina preparata con 1 g di polvere di questa sostanza in 50 cm3 di metanolo o di etanolo. Tale soluzione viene usata dopo una cementazione del casing per determinare la quantità di cemento nei campioni. Il cemento, infatti, viene colorato di rosso dalla fenolftaleina. Analisi dei detriti Il primo passo nell’analisi dei detriti implica l’uso di un ago per determinare se la roccia è tenera, compatta o dura. Una roccia bianca, tenera e adesiva, che si dissolve completamente nell’acido, è il calcare tipo gesso; se la roccia non reagisce chimicamente con un acido si tratta 212 di argilla, mentre una reazione minima indica una presenza di marna, definibile mediante un’analisi calcimetrica quantitativa, che fornisce un risultato che va dal 35 al 65% di carbonato di calcio. Granelli disciolti possono essere definiti sabbia, ma potrebbero anche essere interpretati come arenaria frantumata dallo scalpello. Un campione che mostra una minima o nessuna reazione all’acido, può essere facilmente graffiato con un’unghia, è trasparente da bianco a rosa e dà un test positivo di cloruro di bario, è gesso o anidrite (il primo, inoltre, è più fragile e più leggero della seconda). L’alite (salgemma) ha una minima o nessuna reazione all’acido, è trasparente da bianco a rosa, si scioglie nell’acqua, ha un sapore salato e reagisce positivamente al test col nitrato d’argento. La lignite è una roccia nera e fibrosa che reagisce positivamente al test dell’acido nitrico. L’argilla è un detrito solido con una minima o nessuna reazione in acido, si graffia e si rompe facilmente con un ago e, infine, è refrattaria a qualsiasi test chimico. Per quanto riguarda le rocce dure, una forte reazione con un acido e una quantità di carbonato di calcio superiore al 65% sono indici caratteristici del calcare. La dolomite dà luogo a una reazione chimica più lenta. Inoltre un test colorimetrico all’alizarina consente di individuare i cristalli di dolomite in un calcare dolomitico. Una minima reazione all’acido ma con una gran quantità di residuo molto fine indica la presenza di marna. Una roccia molto dura che non può essere graffiata con un ago, ma che graffia il vetro, è una roccia silicea (chiamata selce se è nera, mentre le selci verdi o rosse sono il diaspro o le radiolariti). Un calcare siliceo reagirà con l’acido cloridrico. Talvolta alcune rocce ignee, come per esempio il basalto, possono essere perforate. Un insieme di molti grani cementati tra loro può essere interpretato in modi diversi: se è possibile separare visivamente i grani e se vi sono delle sabbie disciolte presenti nel campione, si tratta di arenaria. Dopo la cementazione del casing, nei campioni il cemento può assumere l’aspetto di un’arenaria, ma esso può essere identificato mediante il test con la fenolftaleina. Se invece i grani si uniscono e sono disposti a caso, con molta mica, siamo in presenza di granito o di un’altra roccia plutonica. Preparazione di sezioni sottili Le sezioni sottili vengono realizzate allo scopo di determinare il tipo di roccia, per fornire informazioni qualitative riguardanti la dimensione dei pori e la loro interconnessione e infine per facilitare l’identificazione dei microfossili. Tali sezioni – molto utili per l’individuazione dei carbonati – possono essere realizzate sui detriti di perforazione o su quelli delle carote. Esistono due metodi per ottenere sezioni sottili: quello convenzionale, dove i campioni vengono incollati direttamente su un vetrino, e quello in cui i campioni ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROSPEZIONI GEOLOGICHE la natura e la cristallizzazione del cemento o della matrice, i minerali accessori (pirite, calcite, quarzo e così via), i fossili, la stima della porosità visiva e indicazioni sulla presenza di idrocarburi, che possono essere di vario tipo: visive (macchie, eruzione di gas), da fluorescenza diretta (estensione, intensità, colore), da fluorescenza indiretta (velocità, intensità, colore). Altre caratteristiche possono essere aggiunte alla fine della descrizione. Il masterlog o mud log fig. 3. Cuttings con la fluorescenza diretta (Geoservices S.A.). (non coerenti o molto fragili) vengono invece collocati in una matrice modellata fatta con una resina trasparente. Il primo metodo è utilizzato al meglio quando le rocce sono aderenti e non molto fragili e i detriti vengono levigati su un piattino di vetro ricoperto da polveri abrasive, finché diventano trasparenti e possono essere osservati con un microscopio. Il masterlog è il documento finale che contiene tutti i dati riguardanti il pozzo. Una interpretazione della colonna litologica sul masterlog viene realizzata con l’ausilio di tutte le informazioni disponibili (percentuale dei detriti, velocità di avanzamento, manifestazioni di gas, raggi gamma e così via). Un masterlog standard contiene le seguenti colonne (da sinistra a destra): a) data; b) curva della velocità di avanzamento, dati dei log elettrici (raggi gamma, resistività), profondità, caratteristiche dello scalpello, indicazioni della manovra, diametro del casing e profondità della scarpa; c) percentuali dei detriti; d ) fluorescenza diretta e indiretta da frazione del detrito; e) curva totale del gas; f ) tutti i gas individuati con l’analisi cromatografica (dal metano al pentano); g) interpretazione litologica; h) dati del fango; i) descrizione geologica e misura della deviazione del pozzo. Rilevamento degli idrocarburi Gli oli danno fenomeni di fluorescenza se sottoposti all’azione dei raggi ultravioletti, mediante un’apposita lampada. Gli oli naturali hanno un colore fluorescente opaco e ‘sporco’ (fig. 3), mentre quelli artificiali e i grassi hanno un colore brillante e ‘vistoso’. È importante distinguere fra i due perché il grasso della batteria di perforazione potrebbe essere presente anche nei detriti e quindi essere inteso, erroneamente, per una manifestazione della presenza di idrocarburi. Un test di ‘fluorescenza indiretta’ viene effettuato su un campione essiccato: alcune gocce di solvente vengono versate sui detriti e poi messe sotto una lampada a raggi ultravioletti. Questo test elimina il rischio di interpretare la fluorescenza minerale (eventualmente dovuta alla calcite e alla fluorite) come fluorescenza da olio (fig. 4). Gli oli morti e gli asfalti non possiedono una fluorescenza diretta ma mostrano una forte fluorescenza indiretta. Interpretazione della colonna litologica L’interpretazione di una colonna litologica si effettua con l’ausilio di diverse fonti di informazione, innanzitutto le percentuali e le descrizioni dei detriti. Tali percentuali sono rappresentative di un intervallo di perforazione (1 m se la perforazione è lenta, ma potrebbe arrivare a 10 m all’inizio del pozzo o nel caso in cui ci Descrizione del campione Il campione viene sempre descritto nel seguente modo standard: nome della roccia, colore, durezza e fissilità, elementi o granuli. La descrizione di quest’ultimo fattore dipende dal tipo di roccia: per esempio, per i carbonati viene riportata la natura del granulo e la sua dimensione, mentre per le rocce clastiche si definiscono anche la dimensione del granulo, la rotondità, la sfericità e l’assortimento. La descrizione continua poi con il tipo, VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO fig. 4. Cuttings con la fluorescenza indiretta (Geoservices S.A.). 213 ESPLORAZIONE PETROLIFERA fosse un’alta velocità di perforazione) e quindi potrebbero contenere varie litologie mescolate insieme. La presenza di manifestazioni di gas aiuta a determinare la posizione dei livelli porosi/permeabili (generalmente arenarie o calcari fratturati). Le variazioni rilevabili sulla curva della velocità di perforazione permettono di localizzare le parti superiori e quelle inferiori degli strati di diversa durezza o perforabilità. La curva calcimetrica evidenzia i livelli dei carbonati (calcare, dolomite e marne). La presenza di livelli di sale è indicata da una diminuzione nella resistività del fango. Altre informazioni utili vengono fornite dai log di raggi gamma e dal log di resistività quando durante la perforazione è disponibile la registrazione elettrica, detta in inglese Logging While Drilling (LWD). I log di raggi gamma mostrano i livelli di argilla, e la resistività può individuare diversi tipi di fluidi (è alta per l’acqua dolce e gli idrocarburi ed è bassa per l’acqua salata). Carote L’analisi dei detriti è limitata poiché è molto difficile trovare elementi macroscopici da valutare; essi, però, possono essere studiati in una carota, cioè in un cilindro di roccia perforata con uno scalpello diamantato a forma di corona circolare (il cilindro è intrappolato in un carotiere posto sopra lo scalpello). Possono essere prelevati due tipi di carote: per gli studi litologici oppure per conoscere le caratteristiche del giacimento. La carota litologica fornisce informazioni sulle strutture sedimentarie, le fratture, i macrofossili, l’inclinazione e lo spessore della stratificazione, la granulometria nei conglomerati, ecc. Una carota prelevata in un giacimento permette di valutare la sua porosità, la sua permeabilità e il suo grado di saturazione in acqua e in olio. La più semplice analisi della carota effettuata in cantiere include un esame fisico della superficie della carota, il prelevamento di frammenti per la descrizione litologica e un test per individuare la presenza di idrocarburi (con luce normale e ultravioletta). Se la carota è protetta da un manicotto, i campioni possono essere prelevati solo dalle estremità di ciascuna sezione. Alla fine, il geologo di cantiere compila un rapporto nel quale descrive la carota basandosi su tale esame. Se la carota non è protetta da un manicotto, è possibile osservarne l’intensità e il colore della fluorescenza. L’intera carota, inoltre, dovrebbe essere descritta dettagliatamente nel modo seguente: aspetto, caratteristiche litologiche degli strati, strutture sedimentarie. Si preleva un piccolo campione ogni volta che vi è un cambiamento degno di nota (facies, litologia, durezza, porosità apparente, granulometria e colore). Se la litologia è uniforme, viene prelevato un campione a ogni metro. Se si vuole effettuare un’analisi dettagliata della carota in un posto diverso dal cantiere, essa deve essere imballata il prima possibile dopo il prelevamento dei campioni. 214 Quando l’imballaggio è completo, viene effettuata un’ulteriore analisi sui campioni: a) indagine col microscopio binoculare; b) analisi calcimetrica; c) test della fluorescenza indiretta; d) realizzazioni di sezioni sottili. Una volta che l’analisi è completa, viene compilato un rapporto sulla descrizione della carota con le seguenti informazioni: a) intervallo carotato e percentuale di recupero (il più delle volte si perde parte della carota nel foro quando viene estratto il carotiere); b) profondità della campionatura; c) descrizione litologica; d) risultati della calcimetria; e) fluorescenza qualitativa (diretta e indiretta). Carote di parete Le carote di parete sono utili per l’acquisizione di informazioni dopo aver perforato un pozzo o parte di esso senza che sia stato effettuato alcun carotaggio. Le carote vengono prelevate per mezzo di uno speciale fucile disceso mediante un cavo. I minicarotieri vengono sparati con esplosivi che penetrano la formazione. Essendo i carotieri collegati al fucile da un cavo, l’estrazione del fucile fa estrarre tutte le carote. Le carote di parete vengono prelevate a discrezione del geologo di cantiere, di solito dopo aver completato la perforazione in una determinata fase. Vengono prelevate numerose carote sulla parete del pozzo al fine di sondare la zona di interesse (giacimento o altra zona critica). Per impedire la perdita dei fluidi recuperati, subito dopo il recupero le carote vengono conservate in recipienti di vetro. Sul cantiere di perforazione, l’esame della carota di parete è dunque limitato soltanto a una descrizione visiva, senza che venga effettuato alcun esame microscopico. Fango di perforazione L’analisi del fango di perforazione costituisce anch’essa una ricca fonte di informazioni. Una diminuzione nella resistività del fango che fuoriesce dal pozzo può indicare la presenza di sali, che può avere due origini: perforazione di strati di sali oppure acqua salata prodotta da una formazione ad alta pressione. Se i sali si trovano in strati sottili, potrebbero dissolversi completamente in un fango a base d’acqua e non sarà possibile individuarli nei detriti. Le variazioni nella densità del fango permettono di distinguere questi vari tipi di origine dei sali. L’aggiunta di acqua al fango ne diminuisce la densità, e tale diminuzione di densità si manifesta anche in presenza di invasione fluida, come gas od olio. Gas Idrocarburi I più importanti idrocarburi rilevati sono gli alcani o paraffine. La rilevazione che va dal metano al pentano è realizzabile con attrezzature standard, ma l’uso di ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROSPEZIONI GEOLOGICHE spettrometri di massa associati a un degassatore/riscaldatore permette di individuare gli alcani che vanno dal metano all’ottano, nonché i composti aromatici (benzene, toluene, xilene). Tutte queste sostanze sono altamente infiammabili e potenzialmente pericolose in caso di eruzione. A seconda della proporzione gas-olio nel giacimento, possiamo definire diversi tipi di gas: un gas secco, che contiene meno di 1,3 l di liquidi condensabili per 100 m3 di gas e un gas umido, che ha più di 4 l di liquidi condensabili per 100 m3 di gas. In un giacimento sottosaturo, il gas è dissolto in olio. Un giacimento saturo ha una cappa di gas (denominato gas libero) che occupa la parte superiore del giacimento stesso; in generale, comunque, il gas potrebbe anche essere dissolto in acqua. Gli idrocarburi, infine, possono essere contenuti all’interno di una gabbia di acqua congelata sotto forma di clatrati (idrati di idrocarburo), che hanno l’aspetto della neve e sono stabili ad alta pressione e a bassa temperatura. I clatrati sono stati riscontrati in alcuni sedimenti in Alaska e in Siberia, ma anche in operazioni di perforazione in mare profondo. Altri gas Un gas contenente idrogeno solforato (H2S) è chiamato gas acido. Quando l’idrogeno solforato è presente in basse concentrazioni ha lo stesso odore delle uova marce, invece le alte concentrazioni rendono l’odore meno forte. Esso è estremamente tossico e letale quando le concentrazioni in atmosfera superano 500 ppm. Inoltre è anche infiammabile e molto corrosivo nei confronti dei metalli (l’attrezzatura di perforazione diventa nera e si spezza facilmente). Il rischio maggiore in un impianto di perforazione è proprio la possibilità di una eruzione di questo gas. Il biossido di carbonio (CO2) non è infiammabile, ma la sua alta solubilità in acqua provoca una grande espansione del suo volume e quando arriva in superficie può causare una eruzione. L’idrogeno (H2) è altamente infiammabile, ma la sua presenza in un pozzo è spesso dovuta all’azione di metallo contro metallo o a reazioni elettrolitiche provocate da un contatto metallo-prodotti fangosi. L’elio (He) è un gas inerte creato sotto forma di radiazione alfa a causa della disintegrazione di elementi radioattivi riscontrati nella crosta terrestre; esso si sposta attraverso la litosfera nelle fratture delle rocce. Valutazione dei gas Un gas che raggiunge la superficie potrebbe esistere in una fase diversa nel giacimento, a seconda della temperatura e della pressione, della composizione in idrocarburi, della quantità di gas dissolto nell’olio e nell’acqua e del tipo di giacimento (saturo o insaturo). Durante il percorso verso la superficie, ovviamente il volume VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO del gas aumenta con il diminuire della pressione. Questa espansione segue l’equazione: VS(VRZSTSPR) (ZRTRPS) dove PR rappresenta la pressione del gas nel giacimento (kPa), PS la pressione del gas in superficie (kPa), TR la temperatura del gas nel giacimento (K), TS la temperatura del gas in superficie (K), VR il volume del gas nel giacimento (m3), VS il volume del gas in superficie (m3), ZR il fattore di compressibilità del gas nel giacimento e ZS il fattore di compressibilità del gas in superficie. Il gas liberato è quello contenuto nei pori del volume di roccia perforato, di conseguenza la sua quantità dipende dalla porosità della roccia medesima. Il volume di gas liberato aumenta con la permeabilità e con la porosità della formazione, con il diametro del pozzo e con la velocità di penetrazione dello scalpello. Il gas prodotto si manifesta quando la pressione del gas di formazione è maggiore della pressione idrostatica della colonna del fango di perforazione. In tal caso il gas fluisce dalla formazione fin dentro il foro del pozzo provocando un kick, ossia l’ingresso improvviso di un fluido nel pozzo, o, peggio ancora, una eruzione. Il gas riciclato è quello che non è stato eliminato dalle attrezzature di superficie e che viene pompato di nuovo nel pozzo. Più pesante è il gas, più difficile è la sua estrazione dal fango. Con un degassatore collocato nelle vasche è possibile valutare e rimuovere il gas riciclato dal gas liberato. In tal caso è necessario conoscere il tempo di ciclo lungo del fango, cioè il tempo che il fango impiega a compiere un ciclo completo da/verso le vasche di aspirazione. Si denomina gas di manovra (trip gas) quello prodotto dal pistonaggio durante la manovra. Mentre il gas viene trasferito durante il tempo di manovra, il trip gas potrebbe arrivare prima del tempo di risalita (specialmente se la manovra è lunga). Il pistonaggio durante la connessione delle aste produce un pipe connection gas che dovrebbe arrivare dopo un certo tempo di risalita. Se tale gas arriva con un tempo superiore al tempo di risalita, ciò sta a indicare uno scavernamento. Acquisizione dei dati pratici Rilevamento Il degassatore rappresenta una parte importante della catena e degli strumenti per l’analisi dei gas. Esso è collocato dopo il vibrovaglio o sul condotto di erogazione ed estrae dal fango, sotto forma di soluzione, una parte del gas che viene poi mescolato con aria nella camera di degassaggio. Un degassatore standard è composto da una camera di degassaggio immersa nel flusso di fango: un agitatore a forma di ‘T’ ruota e rimuove il gas dal fango; una linea collega la parte superiore della camera con una 215 ESPLORAZIONE PETROLIFERA tubo di gomma 8 mm. I.D. all’unità mud logging serbatoio cilindrico tubo di decantazione valvola di controllo galleggiante bracci montanti tubolari tubo di gomma 12 mm I.D. motore uscita del gas presa d’aria raccordo a femmina uscita fanghi pala rotante piastra rotante per raccordo camera di degassamento livello dei fanghi raccomandato fig. 5. Degassatore standard. pompa a vuoto nel rivelatore di gas posto nel laboratorio geologico (fig. 5). Il problema che sorge con questo strumento consiste nel fatto che la lettura della percentuale del gas dipende dalle variazioni del livello del fango nella camera di degassaggio. Per eliminare tale inconveniente può essere utilizzato un degassatore di livello costante. Il principio di base è lo stesso, ma la camera di degassaggio non è immersa nel flusso mentre una pompa porta il fango attraverso una sonda di aspirazione dalla linea di flusso alla camera di degassaggio. È importante posizionare la sonda di aspirazione in prossimità del nipplo a campana per evitare il degassaggio spontaneo del fango. Il rivelatore di gas fornisce la percentuale di gas nella miscela aria/gas. Il più comune sistema di individuazione del gas si basa sulla tecnologia FID (Flame Ionization Detection). La combustione di idrocarburi gassosi con una fiamma a idrogeno origina ioni carbonio-idrogeno caricati positivamente e raccolti da un catodo. La conta degli ioni viene compiuta da un elettrometro. L’intero processo è equivalente a un contatore di carbonio. Infatti, la combustione di una molecola di metano (CH4, detto C1) produce uno ione, cioè il contatore del carbonio segna il valore 1. Per una molecola combusta dell’etano, C2H6 (detto C2), il contatore segna il valore 2 e così via per gli altri gas con atomi di carbonio superiori a 2 (C3, C4, ecc.). Di conseguenza, l’individuazione del gas totale basata sul conteggio degli atomi di carbonio da una miscela di 216 gas è fatta in termini di un equivalente di metano (dal momento che il metano è considerato l’unità di base avendo un solo atomo di carbonio). Tale rilevamento è continuo e rende bene l’idea delle variazioni della percentuale di gas, che è di enorme importanza ai fini della sicurezza. È possibile ottenere un dato quantitativo delle diverse percentuali di gas mediante la cromatografia, che consiste in una separazione dei gas in una colonna riempita di un materiale in grado di adsorbirli in modo differenziato in base al loro peso molecolare. Così il tempo di percorrenza del metano nella colonna sarà minore rispetto a quello dell’etano e così via. I gas lasciano la colonna cromatografica uno alla volta e in questo modo possono essere bruciati e misurati nel rilevatore che utilizza il FID. L’intero processo cromatografico impiega 3 min. Con questo metodo possono essere rilevati poche ppm di gas, ma esso è valido solo per gli alcani (dal metano al pentano). La sostituzione del FID con uno spettrometro di massa permette di effettuare un’analisi più rapida, di ottenere una maggiore precisione (da 1 ppm) e di analizzare un’ampia gamma di gas (gli alcani dal metano all’ottano, i composti aromatici, il biossido di carbonio, l’elio, l’idrogeno solforato e così via). Per quanto riguarda il campionamento del gas, si usano due tubi di metallo collegati in parallelo al gasdotto fra il degassatore e la pompa a vuoto del rivelatore. Un dispositivo consente di chiudere un tubo e aprire l’altro. Il tubo chiuso contiene un campione di gas e può essere rimosso, il tubo aperto viene riempito dal flusso del gas. Questo sistema evita l’interruzione del flusso del gas in direzione del rivelatore. Normalizzazione del gas L’indice corretto di gas (Corrected Gas Index, CGI) rappresenta una percentuale di gas normalizzato corretta per le variazioni della portata, la velocità di penetrazione (Rate Of Penetration, ROP) e il diametro dello scalpello. Il CGI è dato dalla formula seguente: CGI(gas-nell’aria portata ROP) /volume metrico del pozzo dove il CGI è espresso in percentuale decimale, il gasnell’aria in percentuale decimale, la portata in m3min, la ROP in minm, il volume metrico del pozzo in m3m. La normalizzazione volumetrica cerca di fornire la relazione fra i valori del gas realmente letti e un insieme standard di condizioni di perforazione per la stessa profondità: Gn[GaRn(Dn)2Qa] / [Ra(Da)2Qn] dove Gn rappresenta il gas normalizzato in percentuale, Ga la reale percentuale del gas letta dal rivelatore del gas totale, Rn la normale velocità di penetrazione in questo ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROSPEZIONI GEOLOGICHE tipo di formazione in ft/h o m/h (l’usuale velocità di penetrazione in aree produttive va dai 20 ai 30 m/h), Dn il diametro normale del pozzo in pollici (dove esistono le aree produttive, il diametro usuale è pari al valore standard di 8,5), Qa la portata reale in gal/min o l/min, Ra la velocità di penetrazione reale in ft/h o m/h, Da il diametro reale del pozzo in pollici, Qn la portata normale in gal/min o l/min (la portata usuale quando viene perforata un’area produttiva è 900-1.000 l/min). Saturazione del gas L’indice potenziale della superficie (Surface Potential Index, SPI) rappresenta il volume di gas recuperato in superficie per ogni m3 di roccia perforata (questo indice richiede di conoscere la percentuale di gas nel fango). Lo SPI è dato dalla formula: SPI (gas-nel-fango portataROP) / (100 volume del pozzo) dove lo SPI è adimensionale, il gas-nel-fango è indicato in percentuale decimale, la portata in m3min, la ROP in minm e il volume del pozzo in m3m. La saturazione del gas calcolata (Calculated Gas Saturation, CGS) rappresenta il volume di gas per m3 di roccia perforata alle condizioni della temperatura e della pressione del fondo del pozzo: CGS(100SPIPaZTu) / (PuTa ) dove CGS è data in percentuale, Pa (pressione in superficie) in kgcm2, Z (compressibilità del gas) è ricavata dal diagramma di Katz, Tu (temperatura della formazione) in K, Pu (pressione della formazione) in kgcm2, Ta (temperatura della superficie) è 288 K. Rapporti fra i gas L’analisi dei rapporti fra i gas ha molte applicazioni: a) la determinazione dell’origine del fluido (termogenica o biogenica); b) la possibile miscela o diffusione nel giacimento; c) i processi di alterazione (biodegradazione, lavaggio con acqua e così via); d) i contatti con i fluidi; VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO e) la valutazione indipendente sulla collocazione delle pay zones sui siti dell’area di pagamento (contesto di acqua dolce, letti sottili, presenza di zone stagne); f ) l’identificazione del marcatore per il geosteering, studio della connettività; g) l’efficacia della roccia di copertura; h) i criteri per il campionamento del fluido del giacimento; i) le origini dei cambiamenti di composizione e così via. Il confronto fra i rapporti di gas di diversi pozzi fornisce un buono strumento di correlazione. Molti rapporti di gas sono disponibili per quest’analisi, per esempio, leggeripesanti, C1C3, percentuali di isomeri. I rapporti iC4nC4 , iC5nC5 consentono il rilevamento della biodegradazione esercitata dai batteri che attaccano preferibilmente gli alcani normali. Se il fluido non è stato biodegradato, alcuni autori stimano che una percentuale di C1C2 da 2 a 15 indichi un’area potenzialmente ricca di olio, mentre una percentuale fra 15 e 65 indichi un’area a gas. Più bassa è la percentuale di C1C2 , più ricco sarà il gas (o più bassa la densità dell’olio). Una percentuale di C1C2 minore di 2 o maggiore di 65 probabilmente indica una zona non produttiva. Bibliografia generale Breviere J. et al. (2002) Gas chromatography. Mass spectrometry (GCMS). A new wellsite tool for continuous C1-C8 gas measurement in drilling mud. Including original gas extractor and gas line concepts. First results and potential, in: Transactions of the Society of Petrophysicists and Well Log Analysts annual logging symposium, Oiso (Japan), 2-5 June, 2002. Kandel D. et al. (2000) Improved integrated reservoir interpretation using the Gas While Drilling (GWD) data, in: Proceedings of the Society of Petroleum Engineers annual technical conference and exhibition, Dallas (TX), 1-4 October, SPE 65176. Jean-Claude Dereuder Geoservices S.A. Le Blanc Mesnil, Francia 217 ESPLORAZIONE PETROLIFERA tura o di faglia, avviene in sedimenti argilloso/siltosi non consolidati e pregni di acqua. Le eruzioni di fango creano corpi conici e sono frequenti gli episodi parossistici a carattere esplosivo e le forti emissioni gassose in grado di alimentare fiamme poderose. Solitamente questi corpi misurano pochi metri in altezza, come quelli dell’Appennino Emiliano, ben descritti fin dal Settecento da naturalisti come Antonio Vallisneri e Lazzaro Spallanzani, ma alcuni, come quelli dell’area di Baku in Azerbaigian, raggiungono altezze di diverse decine di metri. L’area di Baku, con i suoi vulcani di fango e tutti i fenomeni connessi (fontane di petrolio, esplosioni e accensioni di gas metano) è, nella storia, la località petrolifera più celebrata, visitata e descritta da viaggiatori, naturalisti e geologi che si occupano di petrolio. Basti ricordare l’antichissimo tempio di Zoroastro (il tempio del fuoco perenne), le citazioni delle ‘fontane di olio’ nel Milione di Marco Polo (seconda metà del 13° secolo), gli antichi pozzi di petrolio scavati a mano (documentati già nel 16° secolo) e il primo moderno pozzo di petrolio (perforato, vicino a Baku, nel 1848, 11 anni prima del più celebrato pozzo del Colonnello Drake in Pennsylvania), A differenza dei gas, per i quali le analisi offrono di regola solo indicazioni sul tipo di fenomeno generativo (biogenico o termogenico) e sul suo grado, per gli oli/bitumi si può spesso ricostruire, in assenza di alterazioni come la biodegradazione, una più precisa caratterizzazione della roccia madre. I campioni di bitumi/asfalti devono essere scelti fra i meno alterati, avendo l’accortezza di conservarli o in recipienti di vetro o avvolti in pellicola di alluminio. Tramite analisi gascromatografiche, isotopiche e di spettrometria di massa, è possibile dedurre la facies litologica, l’ambiente di sedimentazione, il tipo di materia organica e l’età approssimativa della roccia madre. Inquadrando correttamente i diversi tipi di oli/bitumi, la loro distribuzione areale, la frequenza e l’entità dei ritrovamenti, è possibile dedurre l’importanza di un determinato evento naftogenico. Con l’analisi degli idrocarburi liberi estraibili da potenziali livelli naftogenici, è possibile ottenere una esaustiva correlazione olioroccia madre. Le manifestazioni in superficie di petroli e asfalti hanno incuriosito l’uomo fin dall’antichità ed è superfluo ricordarne gli innumerevoli usi. I primi sfruttamenti avvenivano per semplice coltivazione del prodotto che emergeva naturalmente, o con la tecnica dei pozzi di grande diametro scavati a mano. Lo sfruttamento industriale tramite pozzi di piccolo diametro trivellati è, nei vari luoghi del mondo, sempre partito dalle aree che presentavano ricche manifestazioni naturali in superficie. Le manifestazioni sono molto spesso espressione di dismigrazioni di petrolio da giacimenti solitamente piccoli e poco profondi. Esse generalmente danno vita, in 220 fig. 6. Sorgente di acqua, petrolio e gas di Tramutola (Val d’Agri, Basilicata). Nel ruscello, immediatamente a valle della sorgente, sono evidenti le chiazze di denso petrolio, mentre al bordo è visibile una concrezione di asfalto (Eni). una determinata area petrolifera, a un primo ciclo di esplorazione, sovente limitato nel tempo e nelle quantità di olio recuperato. Solo con il maturare di nuovi approcci di ricerca un’area può essere soggetta a rivalutazioni continue che possono alla fine alimentare più cicli esplorativi. La storica sorgente di acqua e petrolio di Tramutola in Val d’Agri, Basilicata (fig. 6), per esempio, è stata originata dall’emersione in superficie, per scarsa tenuta della roccia di copertura, di petrolio e gas da un modesto accumulo poco profondo sfruttato negli anni Trenta del secolo scorso. Quest’accumulo è, a sua volta, il risultato di una dismigrazione da un accumulo più profondo. Un secondo ciclo esplorativo, iniziato negli anni Ottanta, avente come obiettivo il reservoir sottostante, dotato di coperture più efficaci, ha permesso di scoprire il più grande giacimento onshore di petrolio dell’Europa occidentale. L’olio affiorante in superficie è risultato, quindi, l’indizio di un processo naftogenico identificante un sistema petrolifero attivo di primaria importanza. Nel corso dell’ultimo decennio si stanno affermando metodologie in grado di rilevare e interpretare le minime tracce di idrocarburi che arrivano in superficie da un accumulo anche molto profondo. Tramite l’analisi geochimica di queste tracce di idrocarburi è possibile elaborare carte di anomalie positive in base alla comparazione con mappe strutturali di orizzonti profondi. Il campionamento si attua tramite carotaggio del suolo (o di sedimenti di fondo mare), o cattura diretta (solo in terraferma) degli idrocarburi tramite moduli adsorbenti lasciati infissi nel terreno per alcuni giorni. Questa metodologia è meglio applicabile in aree con giacimenti noti. Si può infatti eseguire una calibrazione ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROSPEZIONI GEOLOGICHE delle caratteristiche delle tracce di idrocarburi rilevabili in superficie sulla verticale dei pozzi mineralizzati (segnale oil-like) e una sulla verticale dei pozzi sterili, in modo che si possa ottenere anche un segnale di background, cioè un valore di fondo determinato dall’insieme di segnali estranei al tipo dell’olio dei giacimenti. Successivamente, attraverso un opportuno trattamento statistico dei dati, si può attribuire a ogni punto di campionamento, in aree non esplorate da pozzi, un valore che indica la probabilità di appartenere alla categoria oil-like (segnalazione di un possibile accumulo profondo) o a quella di background, cioè di fondo, sterile. Un metodo indiretto di ricerca, l’iperspettrometria, utilizza uno spettrometro montato su un aereo. Lo spettrometro analizza un elevato numero di bande dello spettro elettromagnetico e lo studio si basa sull’analisi dei cambiamenti chimico/biologici indotti nei suoli e nella vegetazione dagli idrocarburi. Questa metodologia è utilizzata soprattutto per individuare le aree inquinate da petrolio, facilitando le operazioni di ripristino ambientale. In fase sperimentale è applicata in aree di esplorazione di frontiera, per le quali si hanno solitamente dati geologici limitati e di difficile accesso, per individuare, nel terreno, eventuali manifestazioni naturali di idrocarburi, indizio di un possibile sistema petrolifero attivo in quel bacino sedimentario. In mare si può individuare la presenza di manifestazioni di idrocarburi utilizzando strumenti di telerilevamento (per esempio, radar satellitari o laser aerotrasportati); studi comparativi di immagini eseguite in tempi successivi permettono di distinguere le anomalie generate da inquinamento (per esempio scarichi di petroliere) da quelle determinate da manifestazioni naturali di idrocarburi. Roccia madre: un componente del sistema petrolifero Per capire dove sia possibile trovare e mettere in produzione giacimenti di olio o gas è necessario studiare il sistema petrolifero. Il termine petrolio in questo contesto si riferisce alla generazione di olio e di gas da una roccia madre. Quantità commerciali di idrocarburi possono essere trovate solo quando tutti gli elementi e i processi di un sistema petrolifero sono presenti al momento opportuno. Gli elementi di un sistema petrolifero sono: la roccia madre, il percorso di migrazione, la trappola, la copertura impermeabile e il carico sedimentario. I processi di un sistema petrolifero sono: la generazione, l’espulsione, la migrazione, la degradazione termica, l’alterazione batterica e la miscelatura di più oli. Per permettere che una trappola possa essere caricata, i vari processi devono avvenire secondo una sequenza ben determinata, per esempio la trappola deve essere pre- VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO sente durante la fase di generazione ed espulsione degli idrocarburi, che altrimenti andrebbero persi o accumulati in quantità non commerciali. Se sono disponibili campioni di roccia provenienti da pozzi o da affioramenti, essi rappresentano un buon punto di partenza per la valutazione delle potenziali rocce madri. Comunque, anche i campioni di olio rappresentano un eccellente punto di partenza per arrivare a conoscere, attraverso una tecnica di inversione geochimica (Bissada et al., 1993), le caratteristiche della roccia madre. L’inversione geochimica è una tecnica grazie alla quale dall’analisi di un olio si ricavano informazioni sulla fonte dell’olio come, per esempio, il grado di maturità termica, la litologia e l’ambiente di deposizione. Queste informazioni permettono al geologo o geochimico di indirizzare la ricerca della roccia madre verso una particolare litologia e possono anche suggerire direttamente l’età della roccia madre stessa. Inoltre, la frazione pesante di un olio (asfalteni) ha una buona analogia con la materia organica presente in una roccia madre e può essere utilizzata per valutare sia il tipo di idrocarburi che si può formare a diversi livelli di maturità termica, sia la loro velocità di generazione. Nel corso della ricerca delle effettive rocce madri in un bacino sedimentario i dati possono provenire da diverse fonti quali: pubblicazioni scientifiche, pozzi campione disponibili e archivi. In generale, per identificare la roccia madre di un particolare campione di olio si devono considerare tutti gli intervalli rocciosi che hanno capacità di generare idrocarburi. Questo vuol dire analizzare campioni che possono andare dall’affioramento, al pozzo, a specifiche litologie o intervalli stratigrafici suggeriti dalle analisi dei campioni di olio. Una roccia si definisce possibile roccia madre quando non è stata ancora caratterizzata dal punto di vista geochimico, e potrà esserlo o meno solo sulla base del risultato delle analisi e della correlazione con un giacimento di olio o di gas noto. Una roccia si definisce invece effettiva roccia madre quando è stata provata la sua correlazione con un giacimento di olio o di gas noto (Magoon e Dow, 1994). Una roccia si definisce infine potenziale roccia madre quando dopo essere stata analizzata risulta immatura e quindi non ha prodotto quantità commerciali di idrocarburi (Magoon e Dow, 1994). Una roccia madre potenziale per diventare effettiva deve trovarsi a grandi profondità o esposta a elevate temperature e successivamente risultare correlata con un olio già scoperto. Le caratteristiche geochimiche dell’olio o il modello geologico relativo alla storia di sedimentazione possono essere utilizzati per ipotizzare quale potrebbe essere la roccia madre. Gli obiettivi dell’identificazione e della caratterizzazione di una roccia madre sono: a) identificare l’origine dell’olio e del gas; b) determinare la sua capacità di generare ed espellere idrocarburi; c) identificare il tipo di prodotti generati; d) identificare il livello di maturità 221 ESPLORAZIONE PETROLIFERA termica per la valutazione dei percorsi di migrazione; e) misurare la sua velocità di decomposizione (cinetica) per valutare accuratamente il momento della generazione degli idrocarburi. Inoltre attraverso i dati ricavati dall’analisi di una roccia madre è possibile valutare la probabilità di ritrovare idrocarburi in un dato prospect o in una data regione. Lo scopo ultimo della valutazione di una roccia madre è quello di definire i prospect per la perforazione e produzione degli idrocarburi. Sicuramente se uno degli elementi del sistema petrolifero è mancante o non presente al momento opportuno, non ci sarà la possibilità di avere una scoperta commerciale di idrocarburi. Analisi per la valutazione della roccia madre Campionamento Generalmente i cutting, vale a dire i frammenti di roccia prodotti dalla perforazione, vengono raccolti in superficie con un intervallo di campionatura da 3 a 10 m. È molto importante identificare e assegnare una profondità a ogni frammento di roccia che arriva in superficie, considerando anche la lag correction (tempo di ritardo dovuto alla risalita del fango dal fondo del pozzo). Per le analisi geochimiche i cutting sono utili perché le carote (prelevate a fondo pozzo) vengono raramente campionate negli intervalli argillosi utili per valutare le potenziali rocce madri; durante questa fase non deve essere fatta una selezione dei campioni. Generalmente argille di colore da grigio a nero o altre rocce scure sono indicative di possibili rocce madri. Approssimativamente si raccomanda di campionare una quantità di roccia equivalente a circa 30 g, anche se è preferibile una quantità di circa 160 g. In alcuni casi la quantità di roccia necessaria per le analisi preliminari può essere molto piccola (1-5 g), ma ciò dipende dalla quantità di materia organica contenuta nella roccia oltre che dal tipo e dal numero di analisi che si devono eseguire. Per ottenere una misurazione ottimale della frazione leggera (LH, Light Hydrocarbons) di un olio i campioni devono essere conservati surgelati o bagnati e in quest’ultimo caso devono essere leggermente essiccati prima dell’analisi. Espitalie et al. (1985) hanno misurato quantità ottimali di LH essiccando per 20 minuti campioni di roccia freschi. La frazione leggera di un olio può essere rilevata tramite estrazione termica gascromatografica in alta risoluzione (Jarvie e Walker, 1998; Odden et al., 1998) o utilizzando una speciale tecnica di estrazione (Jarvie, dati non pubblicati). Si raccomanda la raccolta di campioni in contenitori a tenuta di gas (Iso-Jars; Coleman et al., 2004); questa modalità permette di ottenere un campione ben preservato e in quantità sufficiente per ogni analisi che dovesse essere successivamente necessaria. Nel contenitore a tenuta deve sempre essere aggiunto un 222 battericida per evitare che l’attività batterica alteri gli idrocarburi. Contenuto di carbonio organico L’analisi iniziale per la valutazione della roccia madre è la misurazione del suo contenuto di carbonio organico totale (TOC, Total Organic Carbon), che fornisce un’indicazione della quantità di carbonio disponibile per la generazione di olio e gas. La quantità di carbonio organico totale necessaria per poter avere un accumulo commerciale di idrocarburi è stata spesso oggetto di discussione nelle pubblicazioni scientifiche. È possibile classificare il contenuto di carbonio organico sulla base di valori medi, come proposto da Baker (1962): • valori inferiori all’1,00% sono sotto la media: minore probabilità che sia una roccia madre; • valori superiori all’1,00% sono sopra la media: maggiore probabilità che sia una roccia madre. Altri autori utilizzano termini quantitativi (Peters, 1986) o valutano il contenuto di carbonio organico in funzione della litologia della roccia madre argillosa o carbonatica (Tissot e Welte, 1984). Jones (1984) ha dimostrato che rocce madri argillose o carbonatiche devono essenzialmente avere lo stesso contenuto minimo di materia organica per produrre quantità commerciali di idrocarburi. Si deve anche considerare che, quando si analizzano i frammenti di roccia provenienti dalla perforazione, i valori di carbonio organico totale sono spesso inferiori rispetto a quelli misurati sulle carote, a causa dell’effetto di diluizione provocato dalla possibilità di includere anche intervalli poveri di carbonio organico, soprastanti le rocce madri. Comunque, è importante sottolineare che non tutto il carbonio organico presente in una roccia madre può essere convertito in idrocarburi a causa della mancanza di idrogeno. Il kerogene migliore per produrre idrocarburi liquidi mostra un rapporto idrogeno/carbonio di circa 1,5. Durante la fase di generazione degli idrocarburi il contenuto di carbonio organico reattivo diminuisce, mentre aumenta quello di carbonio inerte in funzione del consumo di idrogeno (fig. 7), avendo come risultato finale una struttura carboniosa condensata e povera in idrogeno. Questo materiale non ha potenziale petrolifero a causa del suo basso contenuto di idrogeno. Quando gli idrocarburi generati vengono espulsi dalla roccia madre, il contenuto di carbonio organico diminuisce in seguito alla perdita di carbonio associato con gli idrocarburi espulsi (v. ancora fig. 7). La stima del contenuto di carbonio organico totale originario in una roccia madre matura è importante per calcolare la quantità di olio o gas che potrebbe essere stata generata. A elevati livelli di maturità termica, il contenuto di carbonio organico per un kerogene di Tipo II (algale marina, in grado di generare principalmente ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROSPEZIONI GEOLOGICHE materia organica totale altri composti contenenti carbonio organico carbonio organico totale originale carbonio organico totale al tempo attuale perdita di carbonio per espulsione di olio, gas e CO2 carbonio in olio e gas indigeni S1 carbonio inerte carbonio attivo nel kerogene carbonio inerte S2 (Tmax misurato al picco dell’S2) fig. 7. Modello della materia organica totale contenuta in un campione di roccia. Analisi Rock-Eval L’analisi del carbonio organico totale è associata ai dati ottenuti dall’estrazione termica e dalla pirolisi, comunemente chiamata Rock-Eval (Espitalie et al., 1977) o SR Analyser (Jarvie et al., 1996). In questo tipo di analisi una piccola quantità di roccia (25-100 mg) viene inizialmente riscaldata a temperature inferiori alla pirolisi (<350 °C) per separare gli idrocarburi volatili; successivamente, per velocità di riscaldamento programmate, la temperatura viene aumentata progressivamente fino a 550-900 °C ottenendo così la pirolisi (cracking) della materia organica (fig. 8). Gli idrocarburi prodotti dalla pirolisi vengono misurati tramite un rilevatore a ionizzazione di fiamma (FID), che produce un segnale corrispondente al contenuto di carbonio. In questo modo è possibile conoscere il contenuto di idrocarburi liberi (S1) e valutare il potenziale generativo residuo (S2). La temperatura alla quale si ottiene la massima generazione di idrocarburi (Tmax) viene registrata ed è direttamente legata alla maturità termica del campione (quando si è in presenza di solo kerogene). Alcuni strumenti registrano anche la produzione di biossido di carbonio, che per definizione è organico a temperature inferiori alla degradazione termica dei carbonati. VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO Comunque, biossido di carbonio di origine inorganica può contaminare questa misura, specialmente in presenza di campioni alterati o ossidati. Dalla combinazione dei dati ricavati dal contenuto di carbonio organico totale e dall’analisi Rock-Eval/SR Analyser si ottengono le seguenti informazioni: a) la quantità totale di carbonio organico disponibile per la formazione di idrocarburi (% in peso di TOC); b) il potenziale petrolifero attuale della roccia madre (quantità potenziale di idrocarburi residua, quantità di S2 in mg di idrocarburi/g roccia); c) il tipo di kerogene al tempo attuale (potenziale per olio o gas, indice di idrogeno o S2/TOC·100); d) la maturità termica della roccia madre (Tmax in °C); e) manifestazioni di olio e potenziali intervalli serbatoio (contenuto di olio normalizzato in mg S1/TOC·100). Questi valori misurati sono riferiti al tempo attuale perché tutti questi parametri sono condizionati dalla matu- S4 Tmax temperatura (non isoterma 25 ° C/min) quantità idrocarburi liquidi) si riduce del 30-50%. Per un kerogene di Tipo I (algale lacustre, in grado di generare principalmente idrocarburi liquidi) la riduzione in carbonio organico sarà del 30-80%, mentre per il kerogene di Tipo III (terrestre, in grado di generare principalmente idrocarburi gassosi) la riduzione sarà inferiore al 30%. Questo significa che, di solito, meno della metà del contenuto di carbonio organico di una roccia madre immatura è convertito in idrocarburi in fase di alta maturità; pertanto i valori minimi di carbonio organico totale necessari per avere una roccia madre ‘commerciale’ sono molto probabilmente vicini a 2,00%. S2 600 ° C S3 S1 300 ° C tempo (min) fig. 8. Pirogramma dell’analisi Rock-Eval. 223 ESPLORAZIONE PETROLIFERA tab. 1. Schema di classificazione delle rocce madri in funzione dell’indice di idrogeno (Jones, 1984) tipo di indice di indice di kerogene idrogeno ossigeno rapporto H/C I 700-1.000+ 10-40 1,4 II 350-700 20-60 1,2-1,4 II/III 200-350 40-80 III 50-200 IV <50 materia organica struttura interna prodotti principali Algale; Amorfa; Raramente terrestre Anossico (salino); Lacustre; Raramente marino Finemente laminata Olio Algale; Amorfa; Comunemente terrestre Anossico; Marino Laminata; Ben stratificata Olio 1-1,2 Mista marina; Terrestre Variabile; Deltaico Poco stratificata Misto olio/gas 50-150 0,7-1,0 Terrestre; Principalmente vitrinite; Algale alterata Poco ossidante; Piattaforma/Scarpata; Carboni Poco stratificata; Bioturbata Gas 20-200 0,4-0,7 Altamente ossidata; Rimaneggiata Altamente ossidante; Ovunque Caotica; Bioturbata rità termica. Pertanto, l’interpretazione di questi dati deve tenere conto del grado di maturità raggiunto dalla roccia madre. Uno dei parametri più utili per la valutazione iniziale del tipo di kerogene è l’indice di idrogeno (HI). Jones (1984) ha proposto uno schema per l’interpretazione dei valori di HI in funzione dell’ambiente di deposizione e del tipo di idrocarburi prodotti (tab. 1). È necessario ricordare che la valutazione del tipo di kerogene basato sui valori di HI non è infallibile. Per esempio, valori di HI maggiori di 700 indicano che il kerogene è di tipo lacustre; tuttavia questo non è sempre vero perché molte rocce con kerogene lacustre mostrano valori di HI inferiori a 700, come diversi intervalli della formazione geologica Green River Oil Shale o della formazione Cacheuta (Argentina). In rocce madri mature l’HI rappresenta solo il potenziale al tempo attuale. Il suo potenziale genetico è stato ridotto in funzione del grado di maturità termica raggiunto. Dovendo eseguire delle stime quantitative è importante conoscere il valore originale dell’HI che può essere determinato o approssimato una volta calcolato il TOC originale in base alla seguente formula: TOCoTOCp 11111 S2 p 0,083 111111333333333 HIo TOCo·100 dove o tempo originale e p tempo attuale. Valori originali di HI sono utili per calcolare il grado di trasformazione del kerogene in idrocarburi. Una formula per il calcolo del grado di trasformazione (TR, Transformation Ratio) del kerogene è (Espitalie et al., 1985): 224 ambiente di deposizione Gas secco HIoHIp TR 11132 HIo oppure una versione modificata della precedente proposta da Pelet (1985): 1.200(HIoHIp) TR 11111132 HIo(1.200HIp) Il parametro denominato Tmax è un indicatore chimico di maturità termica e, come tale, varia al variare del tipo di kerogene. Generalmente non è un parametro affidabile per valutare la maturità di rocce madri con kerogene lacustre o aventi una composizione molto uniforme. I valori di Tmax possono essere convertiti, tramite una semplice equazione, in valori equivalenti di riflettanza della vitrinite per un kerogene di Tipo III e per alcuni tipi di kerogene di Tipo II (Jarvie et al., 2001): Ro0,0180 (Tmax)7,16 dove Ro è la percentuale di riflettanza della vitrinite in olio. Questa formula può essere applicata solo quando la maturità della roccia madre non è particolarmente elevata e si mantiene all’interno della finestra di generazione di olio, corrispondente a valori di Tmax compresi tra 430 e 459 °C. Per gradi di maturità più elevati, i valori di Tmax sono irregolari perché, a causa del basso contenuto in kerogene, spesso il picco massimo di generazione non è facilmente riconoscibile. Infine, bisogna ricordare che in alcuni tipi di kerogene la presenza di impregnazioni di idrocarburi solidi nella roccia madre può portare a una sottostima dei valori di Tmax. ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROSPEZIONI GEOLOGICHE Una finalità propria dell’esplorazione petrolifera è la valutazione della probabilità che una data roccia madre possa produrre idrocarburi in grado di caricare una trappola. La valutazione della potenzialità della roccia madre deve quindi comprendere anche il volume di olio o gas che può essere generato. Una metodologia per la valutazione quantitativa degli idrocarburi generati è stata proposta da Schmoker (1994). Tale metodologia permette il calcolo della quantità di olio e di gas generati se si conoscono o possono essere stimati i valori di carbonio organico originale, di HI originale e al tempo attuale, la densità della roccia, lo spessore e l’estensione areale della roccia madre. Questo metodo di calcolo tende a sovrastimare i volumi di olio e gas prodotti. Modifiche a questo approccio metodologico forniscono stime più realistiche dei volumi generati; per esempio, i valori di TOC devono essere solo quelli relativi al carbonio organico reattivo e non a tutto il carbonio organico totale. Il grado di conversione in gas deve tenere conto anche della mancanza di idrogeno in quantità sufficiente per idrogenare tutto il carbonio, anche quello reattivo. Inoltre, una parte degli idrocarburi può essere espulsa in altri serbatoi, e, in più, non tutto l’olio e non tutto il gas possono essere recuperati. Tenendo conto di queste limitazioni, il metodo proposto da Schmoker può fornire un confronto relativo tra le quantità in volume che possono essere generate da diverse rocce madri. spore, tecnica conosciuta come indice di alterazione termica (TAI), o indice di colorazione delle spore (SCI). Queste tecniche, come anche le misure chimiche (per esempio Tmax), se disponibili, aiutano nella selezione dei frammenti indigeni di vitrinite nel kerogene isolato. È relativamente più facile riconoscere i frammenti di vitrinite indigena nei campioni interi di roccia perché possono essere identificati dal piano di giacitura nella matrice rocciosa. Il numero di misure di riflettanza della vitrinite in un campione di roccia preparato è propriamente di 20 o meno, mentre in un campione di kerogene isolato può essere superiore a 50. Si deve sottolineare il fatto che il numero di misure è meno importante dell’accuratezza nel determinare la popolazione indigena dei frammenti di vitrinite, anche se è sempre auspicabile un numero minimo di misure pari a 10-20. Raramente i campioni di rocce madri rappresentano il campione ideale per la misura della riflettanza della vitrinite, a causa del loro basso contenuto in frammenti di vitrinite o per la sottostima del potere di riflettanza dovuto al fenomeno noto come suppression (v. oltre). È spesso consigliabile utilizzare campioni provenienti dagli strati sottostanti o soprastanti la roccia madre (specialmente gli intervalli carboniosi) e proiettare i valori di maturità così ottenuti sull’intervallo corrispondente alla roccia madre; in questo modo è possibile calcolare paleogradienti di temperatura in pozzo. Spesso i profili di maturità mostrano un andamento lineare attraverso Riflettanza della vitrinite, indice di alterazione termica e analisi ottica del kerogene VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO frequenza 30 25 20 15 10 0,2 0,4 0,6 0,8 1,0 1,2 1,4 1,6 1,8 2,0 2,2 2,4 2,6 2,8 3,0 3,2 3,4 3,6 3,8 4,0 5 0 A riflettanza della vitrinite in olio (Ro) 40 35 frequenza La percentuale di riflettanza della vitrinite in olio (Ro) rappresenta un’ulteriore indicazione della massima temperatura raggiunta da una roccia e quindi della sua maturità termica. La misura viene eseguita attraverso l’analisi visuale del kerogene isolato o di un campione di roccia preparato su un supporto non fluorescente. Il suo utilizzo è dovuto al lavoro embrionale di Rogers (1860), che per primo ha compreso che un carbone si comporta come un geotermometro. In seguito White (1915) ha riscoperto il lavoro di Rogers mettendo in relazione i processi di carbonificazione con i ritrovamenti di olio e gas nel Bacino Appalachiano (USA). Un eccellente resoconto di questa storia si trova in Burgess (1977). La misura della riflettanza della vitrinite è basata sull’abilità del microscopista di identificare in maniera accurata i frammenti di vitrinite derivati dalla biomassa legnosa che sono ‘indigeni’ nella matrice rocciosa. Talvolta accade che, a causa della presenza di bitume, di idrocarburi solidi, di kerogene riciclato o di frammenti di inertinite, l’identificazione della popolazione indigena di vitrinite non è ovvia e certamente può essere soggettiva (fig. 9). Per validare la misura della maturità termica il microscopista utilizza anche il colore dei palinomorfi o delle 40 35 30 25 20 15 10 bitume solido frammenti ricaduti (carboni) frammenti di vitrinite indigeni frammenti di vitrinite rimaneggiati inertinite 5 0 B 0,2 0,4 0,6 0,8 1,0 1,2 1,4 1,6 1,8 2,0 2,2 2,4 2,6 2,8 3,0 3,2 3,4 3,6 3,8 4,0 Quantità di olio e gas prodotti riflettanza della vitrinite in olio (Ro) fig. 9. Istogrammi della riflettanza della vitrinite: A, distribuzione del numero totale di letture; B, interpretazione della sola frazione indigena. 225 ESPLORAZIONE PETROLIFERA intervalli carboniosi o privi di proprietà da roccia madre, mentre mostrano valori più bassi nella roccia madre stessa. Questo fenomeno è noto come suppression ed è dovuto alla presenza o alla non identificazione di idrocarburi intimamente legati al kerogene. Lo (1993) ha proposto un metodo basato sui valori di HI per correggere queste misure sottostimate di riflettanza. Anche Landis e Castaño (1995) hanno pubblicato una curva di calibrazione e regressione per correggere questi valori di riflettanza misurati su bitumi solidi, rendendo così queste misure utilizzabili nella valutazione della maturità delle rocce madri. L’analisi ottica del kerogene permette anche di valutare i diversi tipi di kerogene presenti in un campione sulla base della distribuzione dei macerali dei carboni. L’analisi tipo comprende l’identificazione delle seguenti popolazioni: amorfa, erbacea, vitrinite e inertinite. A discrezione del microscopista possono essere incluse percentuali di altri specifici macerali quali liptinite, alginite, cutinite, sporinite, ecc. Questi dati petrografici sono di grande aiuto nella valutazione del tipo di kerogene o di parametri chimici selezionati, quali l’HI e la Tmax. Per esempio, la presenza primaria di inertinite come macerale spesso comporta valori di Tmax molto elevati (500 °C o superiori). Estrazione con solvente Lo scopo finale dello studio di una roccia madre effettiva è quello di ottenere una correlazione con un campione di olio. Per procedere alla correlazione bisogna trattare con un solvente organico la roccia madre per estrarre gli idrocarburi liberi o il bitume. Il campione ottimale per questo tipo di analisi deve avere una maturità compresa all’interno della finestra di generazione di olio, perché campioni immaturi non hanno le caratteristiche necessarie mentre in campioni troppo maturi gli estratti sono impoveriti in marker biologici a causa dell’elevato stress termico. Per ulteriori procedure analitiche per la preparazione di un estratto, v. oltre. Gascromatografia abbinata alla pirolisi Una tecnica analitica semplice per valutare il potenziale di generazione di olio o gas di una roccia madre è la pirolisi gascromatografica (Py-GC). Estratti da campioni di roccia o kerogene isolato vengono pirolizzati e fatti passare attraverso una colonna gascromatografica. I composti che vengono separati producono sullo spettro doppietti corrispondenti ad alcheni e alcani e picchi intermedi corrispondenti a vari altri composti chimici (aromatici, tiofeni, fenoli, ecc.). Sulla base del rapporto tra la quantità totale di gas (somma degli idrocarburi C1-C4) e la quantità totale di gas sommata alla quantità totale di olio è possibile ricavare informazioni sulla capacità del kerogene di produrre olio o gas. Diversi rapporti gas/olio sono stati proposti e chiamati con vari nomi, come per 226 tab. 2. Indice di generazione gas-olio Valore di GOGI Interpretazione <0,35 0,35-0,50 >0,50 principalmente olio misto olio-gas principalmente gas esempio l’indice di generazione gas-olio (GOGI; tab. 2), BP (British Petroleum). Altri schemi interpretativi utilizzano distribuzioni ternarie dei composti C1-C5, C6-C14, e C15 (Horsfield, 1990), oppure altri composti (Larter, 1985), oppure approcci multivariati utilizzando specifici composti determinati attraverso la tecnica statistica nota come analisi delle componenti principali (PCA; John Zumberge, comunicazione personale). Pirolisi con il metodo MicroScale Sealed Vessel Un metodo usato per generare idrocarburi in laboratorio è quello noto come MSSV (MicroScale Sealed Vessel; Horsfield et al., 1989). Questo approccio utilizza microfiale in pyrex o tubi di quarzo (40 µ l) che vengono sigillati dopo aver aggiunto una piccola quantità di kerogene isolato (1-2 mg) o asfaltene, e riempiendo il resto del contenitore con quarzo. Successivamente, il contenitore MSSV viene riscaldato in condizioni isoterme o non isoterme, producendo così una traccia gascromatografica, chiamata fingerprint, dei composti che si sono generati, confrontabile con un olio che si è generato in condizioni geologiche naturali. Questa analisi rappresenta un mezzo insostituibile per studiare una roccia madre a diversi livelli di maturità e determinare i cambiamenti della quantità e distribuzione dei prodotti. Questa metodica viene applicata su campioni di olio biodegradati o su manifestazioni superficiali per ottenere una fingerprint dell’olio originale generato. Le analisi possono andare dalla valutazione delle quantità di olio e gas generate, ai rapporti pristano/fitano o al contenuto in paraffine e alla loro distribuzione. Cinetica della degradazione della materia organica I parametri cinetici descrivono la velocità alla quale la materia organica si decompone in idrocarburi in funzione di un determinato andamento della temperatura nel tempo. Per primi si decompongono i legami più deboli, seguiti da quelli più forti. Numerose reazioni intervengono durante i processi di trasformazione del kerogene (diagenesi) e di formazione degli idrocarburi (catagenesi). Le reazioni di decomposizione sono influenzate dalla composizione chimica e dalla struttura della materia organica (Claxton et al., 1994). Le velocità di decomposizione di diverse rocce madri, espresse come grado di trasformazione calcolato in funzione della temperatura, sono ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI di decomposizione della materia organica per diverse rocce madri. 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 grado di trasformazione del kerogene calcolato (%) fig. 10. Velocità 20 40 60 2,0 1,8 1,6 1,4 1,2 1,0 0,8 0,6 0,4 0,2 80 100 120 140 160 180 200 temperatura (° C) illustrate nella fig. 10 (Jarvie et al., 1996). Questa figura mostra che la posizione della finestra di generazione dell’olio è variabile, cioè, a parità di riflettanza della vitrinite o di maturità termica, la velocità di trasformazione per le diverse rocce madri cambia. Anche la posizione della finestra di generazione del gas varia molto in funzione della roccia madre e dei prodotti primari che si formano durante la decomposizione della materia organica. Schemi cinetici composizionali descrivono anche la formazione di specifici idrocarburi quali metano, etano e propano, e di idrocarburi con più alto peso molecolare così come di composti non idrocarburici (Espitalie et al., 1988; Jarvie et al., 1998). Per la misurazione dei parametri cinetici si possono usare sia campioni di rocce madri sia campioni di asfalteni da oli o da manifestazioni superficiali. Altre tecniche per la valutazione della roccia madre Esistono numerose altre tecniche analitiche per la valutazione delle potenziali rocce madri. L’analisi elementare è stata comunemente utilizzata nel passato (van Krevelen, 1961), ma oggi è rimpiazzata dai valori di HI e di indice di ossigeno (OI) nel diagramma modificato di van Krevelen (Espitalie et al., 1977). L’analisi elementare del kerogene isolato, comunque, fornisce una valutazione più accurata del tipo di materia organica e del suo percorso di maturazione. Questa tecnica però è sfavorita dal fatto che l’isolamento del kerogene dalla sua matrice rocciosa comporta problematiche di tipo ambientale e chimico e costi di analisi. L’analisi isotopica del gas da mud logging (MGIL, Mud Gas Isotopic Logging; Ellis et al., 2003) e il gas da headspace rappresentano ulteriori tecniche di valutazione di una potenziale roccia madre o anche di un serbatoio con gas. Per esempio, se durante la perforazione si attraversa una roccia madre, la composizione del gas e i valori isotopici del carbonio possono essere confrontati con quelli ricavati dal gas prodotto durante una prova o durante la produzione. La stratigrafia da inclusione fluida (FIS) è una recente metodica di analisi che esamina le inclusioni di paleofluidi intrappolati nella matrice rocciosa. Questa VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO riflettanza della vitrinite calcolata (Ro) PROSPEZIONI GEOLOGICHE Monterey kg-4 (tipo II-ons) Monterey kg-16 (tipo II-S) Kimmeridge (tipo II) Woodford (tipo II) Green River (tipo I) Indiana coal (tipo III) Ro analisi richiede che i campioni di roccia siano accuratamente puliti per evitare ogni tipo di contaminazione da olio indigeno o migrato. La tecnica FIS è veloce, poco costosa e fornisce una grande abbondanza di informazioni molecolari sia sulla frazione idrocarburica che su quella non idrocarburica. Questi dati sono stati utilizzati (Hadley et al., 1997; Hall et al., 1997) per delineare e caratterizzare gli intervalli produttivi di un pozzo (pay zone). L’idropirolisi (HP) è una tecnica di maturazione in laboratorio che è stata largamente utilizzata per generare idrocarburi da una roccia madre (Lewan, 1985). È anche utilizzata per la determinazione dei parametri cinetici (Hunt et al., 1991; Lewan e Ruble, 2002; Lewan e Jarvie, 2003). Correlazioni olio-olio e olio-roccia madre Background Le correlazioni olio-olio e olio-roccia madre forniscono informazioni fondamentali per capire quali sistemi petroliferi siano funzionali in un bacino sedimentario. Il geologo che opera nell’esplorazione utilizza queste informazioni per valutare i prospect da perforare in funzione della possibilità di caricamento, per individuare i percorsi di migrazione dell’olio e del gas e per valutare l’estensione di andamenti produttivi esistenti o la probabilità di individuarne di nuovi. Il geologo o l’ingegnere di produzione utilizzano accurate analisi di fingerprint dell’olio per valutare la continuità laterale e verticale in serbatoio, per quantificare la produzione da più livelli e per migliorare il recupero di olio e il well plumbing (tenuta delle apparecchiature di produzione). Quest’ultimo tipo di analisi può essere eseguito senza dover chiudere temporaneamente un pozzo e quindi perdere produzione. Una delle funzioni più importanti della geochimica organica è quella di identificare la roccia madre specifica di un olio per fornire utili indicazioni che possano portare alla scoperta di nuovi giacimenti di olio e di gas. Per fare ciò è necessario correlare un olio agli estratti da 227 Proprietà molecolari La gascromatografia (GC) è una tecnica utilizzata per caratterizzare un olio e ricavarne la sua impronta digitale o fingerprint, ossia, sostanzialmente, un istogramma della quantità e della distribuzione dei componenti che sono separati e rilevati dal lettore gascromatografico. La fingerprint di un olio è riportata nella fig. 11 A, mentre nella fig. 11 B si può vedere l’istogramma della quantità e della distribuzione delle paraffine normali. Un parametro semplice e largamente utilizzato nella correlazione olio-olio è il rapporto tra due isoprenoidi, il pristano e il fitano (Illich, 1983). Un elevato contenuto di fitano è indicativo di un ambiente di sedimentazione fortemente riducente (anossico), tipico di una roccia madre carbonatica. Un elevato contenuto di pristano è indicativo di un ambiente di sedimentazione poco riducente o caratterizzato da una concentrazione di idrogeno relativamente inferiore. Nella tab. 3 sono riportate le indicazioni per l’interpretazione dei rapporti pristano/fitano (Pr/Ph; Hughes et al., 1995). A elevati livelli di maturità termica questi rapporti devono essere utilizzati con cautela perché il fitano si decompone prima del pristano e quindi il rapporto Pr/Ph risulta più alto a causa della diminuzione preferenziale del fitano. Il rapporto di questi isoprenoidi con i corrispondenti n-alcani viene usato per ricavare informazioni sulla maturità e sulla biodegradazione di un olio o di una roccia madre (Connan e Cassou, 1980). Un diagramma del rapporto tra Pr/n-C17 e Ph/n-C18 è generalmente utilizzato per suddividere in gruppi oli o estratti da rocce madri sulla base del tipo e della maturità termica. 228 n-C15 n-C40 n-C7 tempi di ritenzione n-C15 A n-C40 quantità una roccia madre. Tuttavia non è sempre possibile sottoporre ad analisi la roccia madre e, in questo caso, la roccia madre deve essere identificata attraverso ipotesi o deduzioni ricavate dalla geochimica. Le tecniche di correlazione includono la misura delle proprietà generali (o di bulk) e dettagliate analisi geochimiche. Le proprietà di bulk comprendono le caratteristiche chimico-fisiche quali la densità specifica API (American Petroleum Institute) e misure chimiche come il contenuto di zolfo e di acidi. Le analisi geochimiche forniscono dettagli a livello molecolare essenziali per la distinzione di oli che sulla base delle proprietà di bulk possono sembrare simili. Infine l’inversione geochimica può essere utilizzata per dedurre le caratteristiche della roccia madre più probabile per un olio (Bissada et al., 1993). Le proprietà generali di un olio e le relative analisi sono utili per una caratterizzazione iniziale degli oli. Per esempio, il Ministero delle Miniere statunitense caratterizza gli oli del Bacino Permiano usando i rapporti atomici di zolfo, azoto e carbonio (Jones e Smith, 1965). Tra le proprietà chimico-fisiche di bulk si segnalano anche il contenuto di zolfo espresso in percentuale del peso, il contenuto in nichel e vanadio e le quantità per frazione secondo LC (Liquid Chromatography). quantità ESPLORAZIONE PETROLIFERA B tempi di ritenzione fig. 11. Analisi gascromatografica: A, traccia gascromatografica; B, istogramma che mostra la distribuzione delle paraffine. Altri parametri ricavati dalla gascromatografia e usati per fini correlativi comprendono la traccia di inviluppo delle paraffine, che varia in funzione del tipo di roccia madre e della sua maturità, il rapporto tra n-C17 e n-C27, che è indicativo di paraffinicità, e il Carbon Preference Index (CPI), che viene usato per una preliminare valutazione della litologia e della maturità termica della roccia madre. A bassi livelli di maturità generalmente questo indice è dispari, mentre nei carbonati è generalmente pari. Questi dati sono usati come strumenti complementari per l’interpretazione dei rapporti pristano/fitano, dei marker biologici e dei rapporti isotopici. Gli idrocarburi leggeri (LH) sono sempre più utilizzati per la correlazione olio-olio e olio-roccia madre. Studi di valutazione (Thompson, 1983; Mango, 1990, 1992; Mango et al., 1994; Bement et al., 1994; Halpern, 1995; tab. 3. Interpretazione dei rapporti pristano fitano (Pr/Ph) Pr/Ph <1,00 1,00-3,00 >3,00 Descrizione altamente riducente, litologia della roccia da carbonatica a marnosa, ambiente talvolta lacustre moderatamente riducente, litologia da marnosa ad argillosa, ambiente talvolta lacustre moderatamente ossidante, ambiente fluviale-deltaico, carboni ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI Isotopi del carbonio C30H Gli isotopi del carbonio sono generalmente misurati sulla frazione intera di un olio o sulle frazioni separate quali la satura e l’aromatica. Il rapporto tra il 180.000 150.000 A 50 60 tempi di ritenzione 90.000 80.000 60.000 50.000 VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO B 40 Tm Ts C22tri C21tri 10.000 C20tri 20.000 C19tri I marker biologici (biomarker) sono molecole fossili che permettono di mettere in relazione l’olio con il suo precursore biologico originario. Per oli che non sono fortemente biodegradati può essere utilizzato un gran numero di biomarker o di relativi frammentogrammi per la correlazione olio-olio e olio-roccia madre. Uno degli approcci più semplici è il riconoscimento degli andamenti dei cromatogrammi di diversi ioni. Per esempio, C25tri (S+R) C24tet C26tri 40.000 50 60 tempi di ritenzione norH C29Ts more.30-nor-29-homohopane C31HRC31HS Gam C32HRC32HS C33HS C33HR C34HS C34HR C35HS C35HR 70.000 30.000 Correlazioni mediante rapporti fra biomarker 70 C29H C30H 40 C35HS C35HR 30.000 C29H norH C29Ts more. C31HS Gam C31HR C32HR C31HS C33HS C34HS 60.000 C28tri C29tri Ts Tm C23tri 90.000 C25tri (S+R) C24tet C26tri 120.000 C23tri Ten Haven, 1996; Jarvie, 2001) hanno mostrato che gli LH forniscono utili informazioni sulle associazioni genetiche, l’alterazione e la maturità termica degli oli. È fondamentale includere l’analisi degli LH negli studi dei sistemi petroliferi, per evitare di sottostimare gli effetti dell’alterazione o della presenza di miscele di oli. Gli LH costituiscono il componente primario nei campioni di olio condensato generati durante le fasi terminali della catagenesi e possono essere usati come parametro correlativo quando, a causa dell’elevata maturità, i marker biologici come sterani e terpani sono impoveriti o assenti. Halpern (1995) ha proposto dei diagrammi polari che usano i valori di C7 LH per valutare il grado di correlazione e trasformazione dei campioni analizzati. Inoltre, è stato dimostrato che l’analisi della frazione leggera di un olio può essere applicata nelle correlazioni olio-roccia madre perché la frazione più leggera (C5-C8) di una roccia madre può essere ricavata tramite estrazione termica (Jarvie e Walker, 1998; Odden et al., 1998) o altre speciali tecniche di estrazione. Infine, dai dati di LH è possibile ottenere informazioni sulla litologia della roccia madre. La distribuzione normalizzata delle paraffine e i fattori di pendenza sono particolarmente utili per determinare se il dato della gascromatografia è influenzato da alterazione o da miscelazione. I campioni di olio ‘morto’ (campioni di olio conservati a pressione atmosferica che hanno perso la maggior parte del gas in soluzione) mostrano sempre contenuti ridotti delle paraffine più leggere; ciò si traduce in una diminuzione del profilo delle paraffine a partire da valori inferiori a C6. Migrazioni secondarie di olio leggero possono modificare questo profilo che sarà così riconoscibile e identificabile (fig. 12). C21tri fig. 12. Profilo normalizzato delle paraffine per un olio non alterato e per un olio alterato da migrazione secondaria di idrocarburi leggeri provenienti dalla Libia. C22tri 25 30 35 40 5 10 15 20 numero di atomi di carbonio normal-alcani (da n-4 a n-42) C20tri 0 è facile distinguere una roccia madre carbonatica da una argillosa mediante l’analisi gascromatografica associata alla spettrometria di massa (GC-MS, Gas Chromatography-Mass Spectrometry) dei terpani, considerando lo ione caratteristico 191m/z (fig. 13). Uno dei vantaggi nell’uso dei marker biologici è la loro resistenza alla biodegradazione. Peters e Moldowan (1993) hanno proposto una scala per valutare il livello di biodegradazione di un olio, partendo da un valore 1 (biodegradazione leggera) fino a un valore 10 (biodegradazione severa). Generalmente il livello di biodegradazione di un olio viene misurato confrontando la scala di riferimento con il grado di impoverimento del dato misurato. Numerosi composti o classi di composti e rapporti sono usati per caratterizzare un olio o un estratto da una roccia madre (Peters e Moldowan, 1993; Peters et al., 2005). C19tri olio con migrazione primaria olio con migrazione secondaria quantità relativa 1,4 1,2 1,0 0,8 0,6 0,4 0,2 0,0 quantità relativa valori normalizzati PROSPEZIONI GEOLOGICHE 70 fig. 13. Cromatogramma GC-MS dei terpani (ione 191 m/z) per oli provenienti dal Bacino Permiano (USA): A, olio carbonatico; B, olio argilloso. 229 ESPLORAZIONE PETROLIFERA carbonio-13 e il carbonio-12 (13C/12C, riportato a uno standard) può essere usato per separare gruppi di oli. Per esempio, Sofer (1984) ha dimostrato che oli generati da una materia organica terrestre possono essere separati da quelli generati da una materia organica marina tramite il diagramma degli idrocarburi saturi in funzione di quelli aromatici. Recentemente tecniche geochimiche di alta risoluzione sono state utilizzate per misurare il rapporto isotopico di singoli idrocarburi e marker biologici come terpani e sterani (Mello et al., 2003; Moldowan et al., 2004). campioni di olio originali (non alterati) provenienti per esempio dal Bacino Williston, USA (Mango e Jarvie, 2001). In questo caso sono stati usati i composti isoalcani C6 e C7 secondo la seguente formula: ln GOR(1,33 ln 2MP)(2,81 ln 3MP) (3,19 ln 2MH)(0,875 ln 3MH)7,2 dove MP sta ad indicare il metilpentano e MH indica invece il metilesano. L’utilizzo di questi parametri per altri giacimenti di idrocarburi o in differenti bacini sedimentari potrebbe richiedere una fase di calibrazione dei dati. Valori isotopici del carbonio dei singoli biomarker La misura del rapporto isotopico di specifici composti, quali alcani, isoprenoidi, hopani (detti anche terpani) e sterani, ha permesso di separare oli che, sulla base delle classiche analisi geochimiche, risultavano simili. Per esempio, oli generati da rocce madri del Cretaceo inferiore e del Giurassico superiore provenienti dal Medio Oriente e dal Golfo del Messico sono stati separati utilizzando questo approccio metodologico (Moldowan et al., 2004). Per approfondimenti su questo argomento e per informazioni dettagliate sulla tecnica analitica e sulla strumentazione, si rimanda a Peters e Moldowan, 1993 e Peters et al., 2005. Valutazione della maturità dell’olio Per valutare il livello di maturità di un olio vengono normalmente utilizzati specifici rapporti tra marker biologici. Generalmente vengono usati il rapporto Ts/Tm (dove Ts è il C27 18- trisnorhopano e Tm è il C27 17trisnorhopano), i rapporti tra gli stereoisomeri R e S negli hopani o negli sterani e i rapporti degli sterani triaromatici (TAS). In oli derivati da materia organica terrestre i metil-fenantreni sono risultati particolarmente utili per la definizione del livello di maturità raggiunto. In aggiunta a questi rapporti anche gli idrocarburi leggeri possono essere usati per la valutazione del grado di maturità. Schaeffer e Littke (1988) hanno dimostrato la variazione della concentrazione di dimetilciclopentano in relazione ai valori di riflettanza della vitrinite. La temperatura di espulsione di un olio (CTemp, in °C) può essere calcolata, sulla base degli studi di Frank D. Mango e altri autori presso il Bellaire Research Center di Shell (Bement et al., 1994; Mango, 1997), come segue: 2,4DMP CTemp (°C)14015 ln 11113 2,3DMP dove DMP indica il dimetilpentano. Dal momento che la quantità di LH aumenta con l’aumentare della maturità termica, questi composti sono stati usati per la stima dei rapporti olio/gas (GOR) per 230 Alterazione dell’olio L’ambiente in cui si trovano sia le rocce madri che gli oli è dinamico e in costante evoluzione nel tempo. Per esempio, un giacimento che si è caricato inizialmente con un olio a bassa maturità può ricevere in un secondo tempo un olio a maturità più elevata proveniente dalla stessa roccia madre o da altre rocce madri che hanno raggiunto il livello di espulsione. È pertanto possibile che un singolo olio possa aver ricevuto diversi contributi, anche se spesso non vengono riconosciuti. Inoltre, i processi di alterazione possono complicare l’interpretazione dei dati. Questi processi possono essere rappresentati da: a) miscele di oli (mixing); b) degradazione batterica; c) frazionamento evaporativo; d) dilavamento da parte di gas (gas washing); e) dilavamento da parte di acqua (water washing); f ) precipitazione degli asfalteni (deasphalting); g) riduzione termochimica dei solfati (TSR); h) cracking dell’olio o qualsiasi combinazione di questi processi. Water washing e biodegradazione Il processo di water washing riguarda il contatto tra idrocarburi e acqua all’interno di un giacimento. Questo tipo di alterazione produce due effetti sull’olio: perdita selettiva degli idrocarburi leggeri aromatici più solubili in acqua e, nel caso di acque dolci, introduzione di batteri con conseguente biodegradazione. Un esempio di water washing in oli del Nevada è riportato da Palmer (1984). La biodegradazione è un processo di demolizione di un olio, attraverso fenomeni biochimici catalizzati da batteri, che procede secondo una successione ben precisa di stadi. Inizialmente l’attacco batterico elimina di preferenza le molecole più semplici e leggere, in un secondo tempo quelle più complesse e pesanti. L’effetto finale della biodegradazione è quello di aumentare la viscosità e la densità di un olio (vale a dire diminuire i gradi API). Diversi livelli di biodegradazione sono stati riportati da Peters e Moldowan (1993) ed espressi secondo una scala da 1 (leggermente biodegradato) a 10 (severamente biodegradato). ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROSPEZIONI GEOLOGICHE Frazionamento per evaporazione Qualsiasi processo di frazionamento implica un cambiamento nella composizione di un olio o di un gas. Il metano è l’idrocarburo più leggero e la sua elevata volatilità gli permette di espandersi e di migrare facilmente attraverso i sedimenti. In presenza di una dismigrazione di gas da un giacimento di idrocarburi liquidi, gli alcani leggeri sono selettivamente dissolti nel gas mentre l’olio residuale si arricchisce in idrocarburi aromatici leggeri. Questo processo è stato descritto e definito sperimentalmente da Thompson. Il diagramma di aromaticità/paraffinicità di Thompson è parte integrante di qualsiasi studio di caratterizzazione di un olio (fig. 14). La presenza di frazionamento per evaporazione indica inoltre che esistono due giacimenti di idrocarburi, di cui uno più profondo. Precipitazione degli asfalteni La migrazione secondaria di gas non idrocarburici, di idrocarburi gassosi o condensati in un giacimento di idrocarburi liquidi può causare la precipitazione degli asfalteni, con la conseguente formazione di un residuo asfaltenico pesante chiamato tar mat. Questo processo è stato descritto da Milner et al. (1977) nel Western Canada Basin ed è comune nei sistemi petroliferi dove sono avvenuti episodi di migrazione verticale. Riduzione termochimica dei solfati Il solfuro di idrogeno H2S (detto anche acido solfidrico o idrogeno solforato) è un gas che, se presente in elevate concentrazioni in un giacimento, deriva dalla riduzione termochimica dei solfati (TSR; Orr, 1974). Durante il processo di TSR l’H2S si forma per riduzione del solfato, che porta alla formazione di zolfo elementare il quale, reagendo a sua volta con gli idrocarburi, forma come suoi sottoprodotti H2S e CO2 peggiorando la qualità dell’olio. Il risultato di questa reazione è che il rapporto isotopico δ 13C del CO2 è simile a quello dell’olio, mentre il valore isotopico δ 34S dell’H2S è simile a quello del solfato. Giacimenti che presentano rocce serbatoio con litologia carbonatica-evaporitica mostrano elevate concentrazioni di H2S (Le Tran, 1972). Questi giacimenti hanno concentrazioni di H2S che variano dal 6 al 98% rispetto al gas totale. Le sequenze rocciose sopracitate favoriscono la presenza di alte concentrazioni di solfato nelle VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO evaporiti e di basse concentrazioni di ferro nei carbonati che altrimenti trasformerebbero l’H2S in pirite, come accade nelle argille. Craking dell’olio Gli oli si decompongono, come il kerogene, in idrocarburi più semplici e leggeri, formando un residuo carbonioso che è refrattario a elevate temperature. Il cracking delle frazioni pesanti di un olio (resine e asfalteni) avviene a temperature comprese tra 100 e 150 °C, prossime a quelle richieste per la decomposizione del kerogene in idrocarburi. Per decomporre la frazione paraffinica di un olio in gas sono necessarie temperature superiori a 145 oC. Questo tipo di decomposizione può essere modellata utilizzando i parametri cinetici proposti da Waples (2000). È stato dimostrato che l’analisi dei diamantoidi è particolarmente efficace per valutare il grado di cracking di un olio (Mello et al., 2003; Moldowan et al., 2004). Mentre molecole quali gli hopani estesi o gli sterani vengono trasformate in idrocarburi più leggeri a elevate temperature, i diamantoidi sono molto stabili. Pertanto, il rapporto tra molecole di composti con diversa stabilità fornisce un’indicazione del livello di cracking dell’olio. Questa tecnica è molto importante perché i parametri di maturità derivati dai marker biologici non sono più utilizzabili per valori di riflettanza della vitrinite superiori a 0,90%. Miscele di oli Gli oli originariamente presenti in un giacimento si possono mischiare con idrocarburi più leggeri derivati dalla stessa roccia madre a più elevati livelli di maturità rapporto toluene-eptano (indice di aromaticità) Di solito, la biodegradazione è rallentata o assente quando un giacimento si trova a temperature superiori a circa 80 oC. A causa di cambiamenti nella storia geologica di seppellimento dei sedimenti può accadere che un giacimento più profondo, un tempo più caldo, possa essere sollevato e quindi portato a temperature più basse, alle quali i batteri diventano attivi, prima di una successiva fase di seppellimento, o viceversa. 5,00 4,50 4,00 3,50 3,00 2,50 2,00 1,50 1,00 0,50 0,00 0,00 0,50 1,00 1,50 2,00 2,50 3,00 3,50 4,00 4,50 5,00 rapporto eptano-metilcicloesano (indice di paraffinicità) oli generati da una roccia madre carbonatica oli generati da una roccia madre argillosa oli generati da materia organica terrestre oli generati da una roccia madre ordoviciana oli frazionati per evaporazione oli alterati da dilavamento di acque fig. 14. Diagramma di aromaticità/paraffinicità di Thompson. 231 ESPLORAZIONE PETROLIFERA tab. 4. Linee guida per l’interpretazione delle analisi di TOC, Rock-Eval, riflettanza della vitrinite e olio, gas e condensati Descrizione Valori Interpretazione Riferimento bibliografico <1,00 >1,00 Sotto la media Sopra la media Baker, 1962 0-50 50-200 200-350 350-700 700-1.000 Tipo IV gas secco Tipo III gas (terrestre) Miscela Tipo II/III olio-gas Tipo II olio (marina) Tipo I olio (lacustre) Espitalie et al., 1977 <430 430-439 440-450 451-459 460-475 >475 Ro0,0180 (Tmax )7,16 Immaturo Inizio generazione di olio Picco generazione di olio Fine generazione di olio Generazione gas umidi Generazione gas secchi Espitalie et al., 1985 0,20-0,55 0,55-0,74 0,75-0,94 0,95-1,09 1,10-1,39 >1,40 Immaturo Inizio di generazione di olio Picco generazione di olio Fine generazione di olio Generazione gas umidi Generazione gas secchi Dow e O’Connor, 1982 I. Analisi dei campioni di roccia TOC (% in peso) Indice di Idrogeno (HI) (mg idrocarburi/g TOC) Tmax (°C) Tmax eq. Ro Riflettanza della vitrinite in olio (Ro) II. Linee guida per l’interpretazione delle analisi di olio, gas e condensati A. Gas Isotopi del carbonio ca.60 da 55 a 60 <55 Gas biogenico Gas misto Gas termogenico Schoell, 1983 B. Oli e condensati Indicatori di facies organica e litologica Indicatori di litologia e carbonatica Pristano / fitano Dibenzotiofene / fenantrene C35 homohortani Diasterani / sterani C24 tetraciclico / C26 terpani triciclici Argille marine Pristano / fitano C29 / C30 hopani C35 / C34 hopani Disterano / sterani regolari Materia organica terrestre / carboniosa Pristano / fitano Presenza di oleanano e lupani C19 e C20 dominanti nei tarpani triciclici Elevato contenuto di cere Diasterani C27 C28 e C29 sterani C31 hopani C24 tetraciclico / C26 terpano triciclico Ambiente lacustre 4-metilsterano Disterano / sterani regolari <1,00 >1,00 Abbondanti Pochi diasterani >1,00 Didyk et al., 1978 Hughes et al., 1995 1,00-3,00 C29<<C30 <1,00 Abbondanti diasterani >3,00 Ekweozor et al., 1979 Abbondanti C29>>C27, C28 Molto abbondante >1,00 Abbondante Abbondanti diasterani Maturità termica Analisi idrocarburi leggeri Temperatura calcolata14015[ln(2,4DMP/2,3DMP)] Analisi dei marker biologici C29 aaa sterano 20S/(20S20R) Hopani estesi C32 22S/(22S22R) C27 hopani Ts/(TsTm) C20C21/(C26C29) sterani triaromatici C28TA/(C29Ma+C28TA) (triaromatici- e monoaromatici steroidi) Indice di metilfenantrene MP1,5(3MP2MP)/(P9MP1MP) 232 95-150 °C Mango, 1997 da 0,00 a 0,55 da 0,00 a 0,62 da 0 a 1,00 Relativo da 0 a 1,00 Seifert e Moldowan, 1986 Ensminger et al., 1977 Seifert e Moldowan, 1978 0,6-1,5 Generazione di olio ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROSPEZIONI GEOLOGICHE interfaccia di combustione fig. 15. Caratterizzazione geochimica del gas naturale mediante analisi chimica e isotopica. ossidazione forno + CvO gascromatografo + O2 C1 C2 C3 C4 CO2 spettrometro di massa CO2 standard sorgente ionica CO2 campione 12C 16O 16O 13C 16O 16O 12C 16O 18O o con olio e gas generati da altre rocce madri. Di solito, la presenza di miscele di oli è un processo difficile da riconoscere tranne nel caso ovvio in cui un condensato si mischia con un olio biodegradato. Tipicamente le correlazioni olio-olio si basano sugli idrocarburi con medio e alto peso molecolare derivati dalle analisi GC e GC-MS e sugli isotopi del carbonio delle frazioni degli oli. In questo caso possono essere necessarie numerose analisi, ma spesso è possibile riconoscere le miscele di oli mediante una accurata interpretazione degli LH, specialmente per gli slope factor (o fattori di pendenza, parametri che considerano la pendenza della distribuzione degli n-alcani nel cromatogramma), gli idrocarburi a medio peso molecolare e i marker biologici. Quindi tutti gli studi di caratterizzazione di un olio dovrebbero includere la valutazione della presenza di miscele. Interpretazione dei parametri geochimici Le linee guida per l’interpretazione preliminare dei parametri geochimici discussi in questo testo sono riportate dettagliatamente nella tab. 4. Caratterizzazione geochimica del gas naturale magnete 44 + 12C 16O 17O 45 46 Le metodologie analitiche impiegate sono la gascromatografia (per determinare la composizione chimica dei gas) e l’analisi degli isotopi stabili. Gli isotopi sono atomi che contengono lo stesso numero di protoni ma diverso numero di neutroni e si dividono in due categorie: radioattivi e stabili. Gli isotopi radioattivi si disintegrano spontaneamente per formare atomi di altri elementi con l’emissione di radiazioni che in alcuni casi possono essere pericolose. Gli isotopi stabili hanno, viceversa, un nucleo stabile e quindi non pongono rischi radiogeni (v. schematizzazione del set-up analitico nella fig. 15). La caratterizzazione isotopica degli idrocarburi si effettua attraverso l’analisi degli isotopi stabili del carbonio e dell’idrogeno, anche se quest’ultimo viene impiegato solo in casi particolari. Come detto sopra, il gas naturale si forma attraverso due meccanismi principali: il processo biogenico e quello termogenico. In realtà tutti gli accumuli di idrocarburi hanno un’origine biogenica in quanto derivano dalla decomposizione della materia organica, ma in questo contesto si utilizza il termine biogenico per indicare un particolare meccanismo di formazione del gas naturale a bassa temperatura. In alternativa a gas biogenico è usata anche la denominazione di gas batterico. Gas biogenico Il gas naturale è la parte gassosa del petrolio ed è costituito da una miscela di idrocarburi gassosi quali metano, etano, propano, butani, pentani. Gli idrocarburi gassosi possono essere formati attraverso differenti meccanismi di generazione. Tra i principali processi genetici ricordiamo la formazione biogenica (a opera di batteri metanogeni, a bassa temperatura) e la formazione termogenica. Le analisi geochimiche permettono di determinare l’origine degli accumuli gassosi o di manifestazioni gassose di superficie e di ricavare informazioni sulla presenza di un effettivo sistema petrolifero (Mattavelli et al., 1983; Schoell, 1983, 1988; Faber, 1987; Rice, 1993). Grazie a recenti sviluppi tecnologici, oggi è possibile caratterizzare geochimicamente anche le minuscole quantità di gas che si rinvengono disciolte nei fanghi di perforazione durante la perforazione di un pozzo (campionamento headspace). VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO Il gas biogenico come risorsa naturale di energia rappresenta, su base mondiale, circa il 20% delle risorse disponibili di idrocarburi (Rice, 1993). Il meccanismo di generazione del gas a opera di batteri si svolge a basse profondità, in condizioni anossiche (assenza di ossigeno) e a temperature relativamente basse (inferiori a 70 °C) su materia organica immatura. Per la formazione di accumuli commerciali di gas biogenico si richiedono tuttavia particolari condizioni geologiche che favoriscono la preservazione di tali accumuli (sistemi di intrappolamento precoce, formazione di coperture efficienti e alte velocità di sedimentazione). La maggior parte degli accumuli di gas biogenico è contenuta in sequenze deposizionali costituite da alternanza di sabbia e argilla: la materia organica continentale (kerogene di Tipo III, derivato da materiale organico terrestre, piante superiori e frammenti di legno) in condizioni di anossia viene degradata a opera di batteri 233 ESPLORAZIONE PETROLIFERA metanogeni e il gas formato è quasi sempre perso per la mancanza di una copertura efficace. Laddove sussistono le condizioni favorevoli (apporto di materiale organico continentale, alta velocità di sedimentazione e formazione di una copertura adeguata) si possono formare accumuli di gas anche commercialmente interessanti. Gli elementi che caratterizzano un gas biogenico sono: • la composizione chimica: il gas biogenico è chimicamente molto secco (cioè formato quasi esclusivamente da metano con tracce di etano o comunque con contenuto in omologhi superiori minore di 0,1% oltre a scarse quantità di CO2 e N2); il gas termogenico (che anch’esso in particolari condizioni può essere secco) può contenere, invece, importanti concentrazioni di composti omologhi superiori (etano, propano, butano, pentano, ecc.), vale a dire di composti condensabili. Da qui il termine wet e il parametro Gas Wetness, definito come rapporto, espresso in percentuale, fra la somma degli idrocarburi (escluso il metano) e la somma di tutti gli idrocarburi costituenti il gas: (C C iC ...C ) 11111111221313 ·100 (C C C iC … C ) 2 1 • 3 2 4 3 n 4 n la composizione isotopica del carbonio (rapporto isotopico 13C/12C): il gas biogenico è isotopicamente ben caratterizzato, avendo un rapporto isotopico del carbonio (δ 13C) compreso tra 110 e 60‰. Durante la trasformazione del materiale organico in gas, i batteri tendono a utilizzare preferenzialmente il carbonio leggero (12C) piuttosto che quello pesante (13C), per cui il metano che si forma ha un rapporto isotopico del carbonio (δ 13C) negativo (a questo proposito va notato che i valori isotopici del carbonio degli idrocarburi, sia gassosi che liquidi, sono sempre negativi); • la composizione isotopica dell’idrogeno (rapporto isotopico tra deuterio e idrogeno o D/H) riflette un medesimo schema per cui i gas biogenici sono sempre più poveri in deuterio rispetto ai gas termogenici (range isotopico δ D tra 250 e 170‰). In Italia un valido esempio di accumuli di gas biogenico è rappresentato dai numerosi serbatoi posti a profondità relativamente bassa (inferiore a 2.000 m) nell’onshore della Pianura Padana, come anche dai giacimenti del vicino offshore di Ravenna (formazioni costituite da alternanze di sabbia e argille del Pliocene; Mattavelli et al., 1983). Il gas biogenico della Pianura Padana, con valori di δ 13C molto negativi (solitamente compresi tra 70 e 76‰) è rinvenuto in serbatoi localizzati sia a scarse profondità sia a profondità molto elevate (un pozzo offshore, che ha prodotto gas biogenico a circa 4.500 m di profondità, costituisce il più profondo esempio di gas biogenico riportato in letteratura). Il trend isotopico con la profondità nei pozzi a gas della Pianura Padana indica che è possibile trovare entrambe 234 le tipologie di gas (biogenico e termogenico) oltre al prodotto del mescolamento, o gas misto. Il gas misto è di solito rinvenibile in serbatoi di età messiniana mentre in serbatoi del Mesozoico si rinvengono solo gas termogenici. Condizioni geologiche particolari possono tuttavia favorire la migrazione di gas profondi termogenici in serbatoi più superficiali senza che vi siano modifiche relative al segnale isotopico del gas. Gas termogenico Il gas termogenico è formato dal kerogene o dal petrolio e, come risultato del riscaldamento durante la deposizione, può essere generato da: cracking termico della materia organica (kerogene) in idrocarburi sia gassosi che liquidi (gas termogenico primario, od oil-associated gas); cracking termico di un olio ad alta temperatura in gas (gas termogenico secondario). Il gas termogenico, che è generato a temperature più alte (80-150 °C), rispetto al gas biogenico è generalmente molto ricco in omologhi superiori. Il rapporto isotopico del carbonio del metano (δ 13C) è in relazione al livello di maturità dei sedimenti che lo hanno generato ed è compreso nell’intervallo tra 60 e 20‰, mentre il rapporto isotopico dell’idrogeno varia tra 200 e 80‰. Per distinguere un gas termogenico primario da un gas termogenico secondario (ultramaturo, cioè formato a temperature più elevate, 150-200 °C e oltre) viene presa in considerazione la quantità di omologhi superiori. Generalmente un gas termogenico primario è caratterizzato da alte percentuali di omologhi superiori (Gas Wetness fino al 50-60%, per esempio nei pozzi della Val d’Agri in Basilicata), mentre un gas termogenico secondario ha un parametro di Gas Wetness molto basso (anche minore di 0,2%) Queste caratteristiche sono attribuibili al cracking termico dei composti liquidi: molecole pesanti e complesse (per esempio C6 e superiori) sottoposte ad alte temperature si rompono, formando molecole più semplici. La conseguenza finale di questo meccanismo di degradazione termica è la formazione di un gas costituito principalmente da metano. Questo gas è chimicamente affine a un gas biogenico ma facilmente distinguibile da quest’ultimo per un più alto contenuto in 13C (δ 13C metano tra 30 e 27‰) e in deuterio. In presenza di bassi livelli di maturità della materia organica, il gas termogenico potrebbe essere scambiato per un gas biogenico (basso rapporto 13C/12C e scarsa presenza di omologhi superiori), per cui si fa ricorso all’analisi isotopica di etano e propano per definirne l’origine genetica. Caratterizzazione dei composti non idrocarburici I gas non idrocarburici che possono essere associati al gas naturale sono comunemente il biossido di carbonio, l’azoto e il solfuro di idrogeno. La presenza di questi ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROSPEZIONI GEOLOGICHE composti rappresenta un elemento negativo nella valutazione economica della scoperta in quanto: riduce il valore commerciale della scoperta stessa (essendo più basso il contenuto energetico del gas); richiede investimenti in impianti necessari per la loro rimozione e il loro smaltimento; pone problemi di natura tecnica (corrosione dei materiali) e di sicurezza. Biossido di carbonio (CO2 ). Il rinvenimento di CO2 non è molto frequente, tuttavia la sua presenza può seriamente influire sull’economicità di una scoperta. Esempi di accumuli di CO2 sono costituiti da: Bacino Pannonico, Bacino Cooper-Eromanga (Australia), Mar Cinese meridionale, Campo di Palino-Candela (Italia meridionale). Da una statistica elaborata da Thrasher e Fleet (1995) risulta che la probabilità di rinvenire CO2 in misura superiore al 20% è di 1 su 100, ma che la media di questi rinvenimenti mostra contenuti in CO2 prossimi al 50%. Questo indica che la probabilità di trovare biossido di carbonio non è molto alta, ma quando ciò si verifica si hanno livelli talmente alti di CO2 da rendere non economico il rinvenimento dell’accumulo a meno di non sfruttare sul posto, con opportune strategie, la risorsa in questione (centrali elettriche alimentate a lean-gas). Tra vari meccanismi di formazione di CO2 i più importanti sono: a) CO2 di derivazione organica (per esempio, degradazione della materia organica durante la diagenesi e la catagenesi); b) degradazione batterica del petrolio (T<70 °C); c) CO2 prodotto da attività vulcanica e da corpi magmatici intrusivi; d) come prodotto della riduzione termochimica dei solfati (TSR) con idrocarburi. Azoto (N2 ). Attualmente si conosce poco della geochimica isotopica dell’azoto nei bacini petroliferi e questo potrebbe essere dovuto al fatto che gli accumuli sono spesso il risultato di un mescolamento di gas formati attraverso diversi meccanismi genetici. Studiando casi particolari in cui l’origine dell’azoto era dovuta a un singolo meccanismo, è stato possibile stabilire con sufficiente accuratezza i campi di variazione del dato isotopico dell’azoto a seconda dei meccanismi responsabili della sua formazione. Importanti accumuli di azoto sono stati scoperti in molti bacini petroliferi, quali la Great Valley in California (Jenden et al., 1988), la regione bacinica del Volga-Urali, il bacino Centro Europeo (Jenden et al., 1988; Kroos et al., 1995), lo Yinggehai Basin. Solfuro di idrogeno (H2 S). L’H2S, a causa della sua pericolosità, pone molti problemi dal punto di vista della sicurezza; è avvertibile olfattivamente a livelli di poche parti per milione, ma oltre le 30 ppm i centri nervosi dell’olfatto non riescono più a percepirlo ed è a questo livello che inizia il pericolo. La messa in produzione delle scoperte petrolifere con presenza di H2S ha costi molto più alti a causa delle problematiche legate alla corrosione dei materiali impiegati nelle strutture produttive e al suo smaltimento. In natura si rinvengono accumuli di VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO H2S che possono arrivare anche al 98% della quantità totale di gas. Il solfuro di idrogeno (H2S) può avere origine batterica o inorganica. Nell’origine batterica vi è la riduzione del solfato disciolto nelle acque in H2S. Questo meccanismo però non riesce a formare livelli di H2S superiori al 5%. Un altro limite alla formazione batterica di H2S è la temperatura, che deve essere inferiore a 80 °C. Per quanto riguarda l’origine inorganica si distinguono due modalità: • decomposizione termica del kerogene: l’H2S si forma durante le varie fasi della diagenesi della materia organica. Questo meccanismo è di solito presente nelle rocce carbonatiche, mentre nelle argille la presenza di ferro costituisce un naturale fattore limitante (precipitazione di pirite, FeS2); • riduzione termochimica del solfato (TSR): è una reazione termochimica che avviene a temperature di almeno 120 °C tra gli idrocarburi e le evaporiti. Questo meccanismo è quello che consente di formare le più alte concentrazioni di H2S. Conclusioni La valutazione di una roccia madre viene condotta attraverso una sequenza di analisi mirate alla definizione del suo potenziale e alla possibilità di correlazione con i giacimenti di olio e gas già scoperti. Lo schema analitico deve fornire i mezzi per determinare il potenziale petrolifero della roccia, il tipo di idrocarburi che si possono generare (gas oppure olio), la sua maturità termica (immatura, atta alla generazione di olio oppure di gas) e la sua velocità di decomposizione (cinetica). Questi dati sono utilizzati per la realizzazione di mappe di facies organica, di potenziali generativi, di maturità e di rapporto di trasformazione utili per individuare i migliori prospect (potenziali trappole strutturali) a olio o a gas da perforare. Gli estratti da rocce madri mature sono usati per la correlazione con i campioni di olio, per stabilire l’effettiva roccia madre dell’olio o del gas. In questo caso sono necessari diversi campioni prelevati da una singola roccia madre perché leggere variazioni nella facies organica possono modificare le caratteristiche dei marker biologici. Le correlazioni olio-olio e olio-roccia madre si basano sia sulle analisi di bulk sia su dettagliate analisi chimiche. Le analisi di bulk comprendono determinazione di zolfo, nichel e vanadio, composizione elementare, composizione delle frazioni e densità specifica (gradi API) dell’olio. Le analisi chimiche di dettaglio comprendono: gascromatografia, marker biologici e isotopi del carbonio, oltre alle più recenti tecniche di analisi quali rapporto isotopico dei componenti dei marker biologici e rapporto dei diamantoidi per valutare il cracking termico dell’olio. 235 ESPLORAZIONE PETROLIFERA Le analisi di un olio devono includere la valutazione dei processi di alterazione subiti dal campione, quali migrazione secondaria (miscele di oli), degradazione batterica, frazionamento per evaporazione, water washing, riduzione termochimica dei solfati o precipitazione degli asfalteni. La dinamicità dell’ambiente geologico e della chimica degli oli implica la necessità di studiare tutti i cambiamenti che possono essere avvenuti in un campione di olio in funzione dei vari processi ai quali è stato sottoposto. Lo scopo ultimo di uno studio di un sistema petrolifero è quello di individuare i prospect migliori per la futura produzione di olio e gas, compresi quelli che in passato erano stati trascurati. Questo studio deve includere anche le valutazioni necessarie a definire sia le qualità degli idrocarburi sia il grado di compartimentalizzazione di un giacimento. Bibliografia citata Baker D.R. (1962) Organic geochemistry of Cherokee Group in southeastern Kansas and northeastern Oklahoma, «American Association of Petroleum Geologists. Bulletin», 46, 1621-1642. Bement W.O. et al. (1994) The temperature of oil generation as defined with a C7 chemistry maturity parameter (2,4DMP/2,3-DMP ratio), in: Geological aspects of petroleum systems. Proceedings of the 1st Joint American Association of Petroleum Geologists/Asociación Mexicana de Geólogos Petróleos research conference, Mexico City, 2-6 October. Bissada K.K. et al. (1993) Geochemical inversion. A modern approach to inferring source-rock identity from characteristics of accumulated oil and gas, «Energy Exploration and Exploitation», 11, 295-328. Burgess J.D. (1977) Text of a panel discussion following the symposium on organic matter alteration as related to oil and gas generation, held in October 29, 1975, preceding the 7th annual meeting of American Association of Stratigraphic Palynologists, Houston, Texas, «Palynology», 1, 33-39. Claxton M.J. et al. (1994) Molecular modelling of bond energies in potential kerogen sub-units, in: Advances in organic geochemistry 1993. Proceedings of the 16th International meeting on organic geochemistry, Stavanger (Norway), 20-24 September 1993, 198-201. Clayton J.L., Swetland P.J. (1978) Subaerial weathering of sedimentary organic matter, «Geochimica et Cosmochimica Acta», 42, 305-312. Coleman D.D. et al. (2004) Advances in the collection and isotopic analysis of mud gases, in: Proceedings of the American Association of Petroleum Geologists national convention, Dallas (TX), 18-21 April, «AAPG. Bulletin», 88, 13 (supplement). Connan J., Cassou A.M. (1980) Properties of gases and petroleum liquids derived from terrestrial kerogen at various maturation levels, «Geochimica et Cosmochimica Acta», 44, 1-23. Didyk B.M. et al. (1978) Organic geochemical indicators of paleoenvironmental conditions of sedimentation, «Nature», 272, 216-222. 236 Dow W.G., O’Connor D.I. (1982) Kerogen maturity and type by reflected light microscopy applied to petroleum exploration, in: Staplin F.L. et al., How to assess maturation and paleotemperatures, Tulsa (OK), Society of Economic Paleontologists and Mineralogists, 133-157. Ekweozor C.M. et al. (1979) Preliminary organic geochemical studies of samples from the Niger Delta (Nigeria), «Chemical Geology», 27, 29-37. Ellis L. et al. (2003) Mud Gas Isotope Logging (MGIL). A new field technique for exploration and production, «Oil & Gas Journal», May, 32-41. Ensminger A. et al. (1977) Evolution of polycyclic alkanes under the effect of burial (Early Toarcian shales, Paris basin), in: Advances in organic geochemistry 1975. Actas del 7° Congreso internacional de geoquímica orgánica, Madrid, 16-19 September 1975, 45-52. Espitalie J. et al. (1977) Source rock characterization method for petroleum exploration, in: Proceedings of the annual Offshore technology conference, Houston, (TX), 2-5 May, paper 2935, 439-444. Espitalie J. et al. (1985) Geochemical logging, in: Voorhees K.J. (edited by) Analytical pyrolysis. Techniques and applications, London, Butterworth, 276-304. Espitalie J. et al. (1988) Primary cracking of kerogens. Experimenting and modeling C1, C2-C5, C6-C15, and C15+ classes of hydrocarbons formed, in: Advances in organic geochemistry 1987. Proceedings of the 13th International meeting on organic geochemistry, Venice (Italy), 21-25 September 1987, 893-899. Faber E. (1987) Zur isotopengeochemie gasformiger Kohlen wasserstoffe, «Erdol Erdgas Kohle», 103, 210-218. Hadley S.W. et al. (1997) Hydrocarbon pay delineation and product characterization with fluid inclusions. Examples from East Coast Canada and Western Canada sedimentary basin, «InSite. Canadian Well Logging Society Newsletter», v.1, 3, 2-4. Hall D.L. et al. (1997) Using fluid inclusions to explore for oil and gas, «Hart’s Petroleum Engineer International», 11, 29-34. Halpern H.I. (1995) Development and applications of lighthydrocarbon-based star diagrams, «American Association of Petroleum Geologists. Bulletin», 79, 801-815. Horsfield B. (1990) Practical criteria for classifying kerogens. Some observations from pyrolysis-gas chromatography, «Geochimica et Cosmochimica Acta», 53, 891-901. Horsfield B. et al. (1989) The micro-scale simulation of maturation. Outline of a new technique and its potential applications, «Geologische Rundschau», 78, 361-374. Hughes W.B. et al. (1995) The ratios of dibenzothiophene and pristane to phytane as indicators of depositional environment and lithology of petroleum source rocks, «Geochimica et Cosmochimica Acta», 59, 3581-3598. Hunt J.M. et al. (1991) Modeling oil generation with timetemperature index graphs based on the Arrhenius equation, «American Association of Petroleum Geologists. Bulletin», 75, 795-807. Illich H.A. (1983) Pristane, phytane and lower molecular weight isoprenoid distributions in oils, «American Association of Petroleum Geologists. Bulletin», 67, 385393. Jarvie D.M. (2001) Williston basin petroleum systems. Inferences from oil geochemistry and geology, «The Mountain Geologist», 38, 19-41. ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI PROSPEZIONI GEOLOGICHE Jarvie D.M., Walker P.R. (1998) Correlation of oils and source rocks in the Williston basin using classical correlation tools and thermal extraction high resolution C7 gas chromatography, in: Advances in organic geochemistry 1997. Proceedings of the 18th International meeting on organic geochemistry, Maastricht, 22-26 September 1997. Jarvie D.M. et al. (1996) Automated thermal extraction and pyrolysis total petroleum hydrocarbon and kinetic analysis using the SR analyzer, in: Proceedings of the 47th Pittsburgh Conference and exposition on analytical chemistry and applied spectroscopy, Chicago (Illinois), March, paper 785. Jarvie D.M. et al. (1998) Trapping and resolving light hydrocarbon gases and higher molecular weight liquid hydrocarbons for calculation of oil and gas generation kinetics, in: Proceedings of the 49th Pittsburgh Conference and exposition on analytical chemistry and applied spectroscopy, New Orleans (LA), 1-5 March, paper 1826P. Jarvie D.M. et al. (2001) Oil and shale gas from the Barnett Shale, Fort Worth basin, Texas, in: Proceedings of the American Association of Petroleum Geologists annual meeting, Denver (CO), 3-6 June, «American Association of Petroleum Geologists. Bulletin», 85, A100 . Jenden P.D. et al. (1988) Origin of nitrogen rich natural gases in California Great Valley. Evidence from helium, carbon and nitrogen isotope ratios, «Geochimica et Cosmochimica Acta», 52, 851-861. Jones R.W. (1984) Comparison of carbonate and shale source rocks, in: J. Palacas (edited by) Petroleum geochemistry and source rock potential of carbonate rocks, Tulsa (OK), American Association of Petroleum Geologists, 163-180. Jones T.S., Smith H.M. (1965) Relationships of oil composition and stratigraphy in the Permian basin of West Texas and New Mexico, in: Fluids in surface environments. A symposium. Transactions of the annual meeting of the Southwestern federation of geological societies and Southwestern regional meeting of the American Association of Petroleum Geologists, Midland (TX), 30 January1 February 1964, 101-224. Krevelen D.W. van (1961) Coal. Typology, chemistry, physics, constitution, Amsterdam, Elsevier. Kroos B.M. et al. (1995) Generation of nitrogen and methane from sedimentary organic matter. Implications on the dynamics of natural gas accumulations, «Chemical Geology», 126, 291-318. Landis C.R., Castaño J.R. (1995) Maturation and bulk chemical properties of a suite of solid hydrocarbons, «Organic Geochemistry», 22, 137-149. Larter S.R. (1985) Integrated kerogen typing in the recognition and quantitative assessment of petroleum source rocks, in: Petroleum geochemistry in exploration of the Norwegian Shelf. Proceedings of the Norwegian Petroleum Society conference, Stavanger (Norway), 22-24 October 1984, 269-286. Le Tran K. (1972) Geochemical study of hydrogen sulfide absorbed in sediments, in: Advances in organic geochemistry 1971. Proceedings of the International meeting on organic geochemistry, Hannover, 7-10 September 1971, 717-726. Lewan M.D. (1985) Evaluation of petroleum generation by hydrous pyrolysis experimentation, «Philosophical Transactions of the Royal Society of London», 315, 123-134. Lewan M.D., Ruble T.E. (2002) Comparison of petroleum generation kinetics by isothermal hydrous and nonisothermal VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO open-system pyrolysis, in: Advances in organic geochemistry 2001. Proceedings of the 20th International meeting on organic geochemistry, Nancy, 10-14 September 2001, 14571475. Lewan M.D., Jarvie D.M. (2003) Correlation between oil generation kinetics by open-system compositional pyrolysis and hydrous pyrolysis, in: Advances in organic geochemistry 2003. Proceedings of the 21st International meeting on organic geochemistry, Krakow, 8-12 September. Lo H.B. (1993) Correction criteria for the suppression of vitrinite reflectance in hydrogen-rich kerogens. Preliminary guidelines, «Organic Geochemistry», 20, 653-657. Magoon L.B., Dow W.G. (1994) The petroleum system, in: Magoon L.B., Dow W.G. (edited by) The petroleum system. From source to trap, Tulsa (OK), American Association of Petroleum Geologists, 3-24. Mango F.D. (1990) The origin of light hydrocarbons in petroleum. A kinetic test of the steady-state catalytic hypothesis, «Geochimica et Cosmochimica Acta», 54, 13151323. Mango F.D. (1992) Transition metal catalysis in the generation of petroleum. A genetic anomaly in Ordovician oils, «Geochimica et Cosmochimica Acta», 56, 3851-3854. Mango F.D. (1997) The light hydrocarbons in petroleum. A critical review, «Organic Geochemistry», 26, 417-440. Mango F.D., Jarvie D.M. (2001) GOR prediction from oil composition, in: Advances in organic geochemistry 2001. Proceedings of the 20th International meeting on organic geochemistry, Nancy, 10-14 September 2001, 406-407. Mango F.D. et al. (1994) Role of transition-metal catalysis in the formation of natural gas, «Nature», 368, 536-538. Mattavelli L. et al. (1983) Geochemistry and habitat of natural gases in Po basin, Northern Italy, «American Association of Petroleum Geologists. Bulletin», 67, 22392254. Mello M.R. et al. (2003) High resolution geochemistry technology (HRGT) and geochemical 3-D modeling applied to the petroleum system approach, in: Proceedings of the American Association of Petroleum Geologists annual meeting, Salt Lake City (UT), 11-13 May. Milner C.W.D. et al. (1977) Petroleum transformations in reservoirs, «Journal of Geochemical Exploration», 7, 101-153. Moldowan J.M. et al. (2004) High resolution geochemical technology can redirect exploration, in: Mature petroleum provinces. Proceedings of the American Association of Petroleum Geologists international conference and exhibition, 24-27 October, Cancun, Program Book Abstracts, A52. Odden W. et al. (1998) Application of light hydrocarbons (C4 C13 ) to oil/source rock correlations. A study of the light hydrocarbon compositions of source rocks and test fluids from offshore Mid-Norway, «Organic Geochemistry», 28, 823-847. Orr W.L. (1974) Changes in sulfur content and isotopic ratios of sulfur during petroleum maturation. Study of Big Horn basin Paleozoic oils. Part 1, «American Association of Petroleum Geologists. Bulletin», 58, 2295-2318. Palmer S.E. (1984) Hydrocarbon source potential of organic facies of the lacustrine Elko Formation (Eocene/Oligocene), Northeast Nevada, in: Woodward J. et al. (edited by) 237 ESPLORAZIONE PETROLIFERA Hydrocarbon source rocks of the greater Rocky Mountain region, Denver (CO), Rocky Mountain Association of Geologists, 491-511. Pelet R. (1985) Évaluation quantitative des produits formés lors de l’évolution géochimique de la matière organique, «Revue de l’Institut Français du Pétrole», 40, 551-562. Peters K.E. (1986) Guidelines for evaluating petroleum source rock using programmed pyrolysis, «American Association of Petroleum Geologists. Bulletin», 70, 318-329. Peters K.E., Moldowan J.M. (1993) The biomarker guide. Interpreting molecular fossils in petroleum and ancient sediments, Englewood Cliffs (NJ), Prentice Hall. Peters K.E. et al. (2005) The biomarker guide, Cambridge, Cambridge University Press, 2v. Rice D.D. (1993) Biogenic gas. Controls, habitats, and resource potential, in: Howell D.G. (editor) The future of energy gases, Washington (D.C.), United States Government Printing Office. Rogers H.D. (1860) On the distribution and probably origin of the petroleum or rock oil of Pennsylvania, New York, and Ohio, in: Proceedings of the Philosophical Society, Glasgow, v. IV, 2, 355-359. Schaefer R.G., Littke R. (1988) Maturity-related compositional changes in the low-molecular-weight hydrocarbon fraction of Toarcian shales, in: Advances in organic geochemistry 1987. Proceedings of the 13th International meeting on organic geochemistry, Venice (Italy), 21-25 September 1987, 887-892. Schmoker J.W. (1994) Volumetric calculation of hydrocarbons generated, in: Magoon L.B., Dow W.G. (edited by) The petroleum system. From source to trap, Tulsa (OK), American Association of Petroleum Geologists, 323-326. Schoell M. (1983) Genetic characterization of natural gases, «American Association of Petroleum Geologists. Bulletin», 67, 2225-2238. Schoell M. (1988) Multiple origins of methane in the Earth, «Chemical Geology», 71, 1-10. Seifert W.K., Moldowan J.M. (1978) Applications of steranes, terpanes, and monoaromatics to the maturation, migration, and source of crude oils, «Geochimica et Cosmochimica Acta», 42, 77-95. Seifert W.K., Moldowan J.M. (1986) Use of biological markers in petroleum exploration, in: Johns R.B. (edited 238 by) Methods in geochemistry and geophysics, AmsterdamOxford, Elsevier, v. XXIV, 261-290. Sofer Z. (1984) Stable carbon isotope compositions of crude oils. Application to source depositional environments and petroleum alteration, «American Association of Petroleum Geologists. Bulletin», 68, 31-49. Ten Haven H.L. (1996) Applications and limitations of Mango’s light hydrocarbon parameters in petroleum correlation studies, «Organic Geochemistry», 24, 957-976. Thompson K.F.M. (1983) Classification and thermal history of petroleum based on light hydrocarbons, «Geochimica et Cosmochimica Acta», 47, 303-316. Thrasher J., Fleet A. J. (1995) Predicting the risk of carbon dioxide ‘pollution’ in petroleum reservoirs, in: Organic geochemistry. Developments and applications to energy, climate, environment and human history. Selected papers from the 17th International meeting on organic geochemistry, Donostia-San Sebastián (Spain), 4-8 September, 10861088. Tissot B.P., Welte D.H. (1984) Petroleum formation and occurrence, Berlin, Springer. Volta A. (1777) Lettere del signor don Alessandro Volta patrizio comasco e decurione sull’aria infiammabile nativa delle paludi, Milano, Marelli. Waples D.W. (2000) The kinetics of in-reservoir oil destruction and gas formation. Constraints from experimental and empirical data, and from thermodynamics, «Organic Geochemistry», 31, 553-575. White D. (1915) Some relations in origin between coal and petroleum, «Journal of the Washington Academy of Sciences», 5, 189-212. Daniel M. Jarvie, Hossein Alimi, Chunqing Jiang, Fausto Mosca, Richard Drozd Humble Geochemical Services Humble, Texas, USA Paolo Scotti, Teodoro Ricchiuto Eni - Divisione E&P San Donato Milanese, Milano, Italia ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI