2.2
Prospezioni geologiche
2.2.1 Fotointerpretazione,
telerilevamento,
cartografia digitale,
cartografia integrata
Introduzione
In questa sezione descriveremo il forte e rapido impatto esercitato, soprattutto negli ultimi due decenni del 20°
secolo, dalle tecnologie spaziali e informatiche sulle attività di esplorazione e di sviluppo degli idrocarburi sia
in terra che in mare.
Per ricercare ed estrarre dal sottosuolo gli idrocarburi è indispensabile la conoscenza dettagliata della geologia, della geografia e dell’oceanografia. Occorre ricostruire l’evoluzione geologica di una regione non solo
per stabilire se nel suo sottosuolo esistano rocce madri,
sepolte a una profondità tale da consentire la formazione di idrocarburi, e rocce serbatoio, ma anche per determinare se sono presenti strutture che hanno consentito
la migrazione e l’intrappolamento degli idrocarburi. La
topografia e la geografia di superficie sono importanti
sia per gli aspetti logistici relativi all’esplorazione geofisica e alla perforazione sia nelle fasi successive di produzione, costruzione di pipeline e infrastrutture di superficie. Se oggi la nostra conoscenza di gran parte della
superficie e degli oceani della Terra ha raggiunto un così
alto grado di sviluppo, si deve soprattutto ai rilevamenti dettagliati eseguiti nel corso della seconda metà del
20° secolo, impiegando tecnologie prima aerotrasportate e poi spaziali. Questa attività continua a essere svolta con sistemi ancora più sofisticati montati a bordo di
veicoli spaziali e con l’uso generalizzato di tecniche di
cartografia computerizzata che ha ormai sostituito le vecchie mappe stampate e le fotografie. Nel 19° secolo e
all’inizio del 20°, rilevamenti regionali di questo tipo
non esistevano e fino a non molto tempo fa, disponevamo di mappe topografiche digitali degli altri pianeti più
precise di quelle terrestri.
VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO
Sviluppi ancora più recenti, relativi, in particolare,
all’uso dello spazio e agli straordinari progressi compiuti nella produzione di potenti microcomputer, hanno
esercitato un’influenza ancora più profonda sull’evoluzione delle scienze della terra. Oggi, veicoli spaziali orbitanti trasmettono dati geograficamente corretti agli operatori a terra, i quali possono interpretare con computer
portatili il loro complesso contenuto spettrale, per mappare le strutture, la litologia e persino la mineralogia. I
satelliti orbitanti rilevano le manifestazioni di superficie degli idrocarburi naturali e le variazioni del campo
gravitazionale terrestre sugli oceani, mentre i satelliti del
Global Positioning System (GPS) consentono ai geologi di determinare con grande precisione la loro posizione sul terreno.
Fotogeologia
La fotogeologia, che consiste nell’interpretazione
geologica di fotografie aeree, si è sviluppata nel periodo tra le due guerre mondiali, rivelandosi un metodo di
rilevamento efficace e rapido.
In quel periodo furono sviluppate macchine fotografiche di grande formato (pellicola di 2525 cm), con
cui si ottenevano coppie stereoscopiche sovrapposte di
fotografie aeree in bianco e nero, successivamente interpretate con uno stereoscopio a specchio che permetteva
ai geologi di osservare il terreno in tre dimensioni. Grandi aree di terreno di cui fino ad allora non esistevano
mappe dettagliate furono rilevate in questo modo soprattutto in Africa e in Asia, per iniziativa delle ex potenze
coloniali, e negli Stati Uniti d’America. I rilevamenti
aerei erano eseguiti in particolare per scopi topografici
(nelle aree più remote, la mancanza di buone mappe topografiche costituiva un serio ostacolo per qualsiasi tipo
di sviluppo socio-economico). Tuttavia, i geologi ben
presto si resero conto del fatto che differenti litologie e
tipi di rocce subivano un processo di erosione diverso
e caratteristico a seconda degli ambienti geografici e
185
ESPLORAZIONE PETROLIFERA
climatici, condizione che consentì di realizzare mappe geologiche molto accurate e dettagliate con un minimo lavoro sul terreno. La visione stereoscopica (o in 3D) è utile
soprattutto perché aiuta l’interprete a riconoscere le diverse morfologie del terreno, a mappare il reticolato idrografico (che spesso riflette i tipi di roccia sottostanti), la
stratificazione, la direzione e l’inclinazione geologiche,
così come i rigetti delle faglie.
Si procedette così per la prima volta al rilevamento dettagliato della geologia delle principali regioni produttrici di petrolio del mondo, come, per esempio, i
monti Zagros in Iran, i bacini interni del Nord America e le strutture giganti dell’Algeria. Oggi, come vedremo più avanti, la fotogeologia è stata ormai in gran parte
sostituita dall’interpretazione delle immagini satellitari, e la visione stereoscopica ha ceduto il passo alle tecniche Digital Elevation Models (DEM) per la rappresentazione e visualizzazione 3D, rese possibili dalla
grafica computerizzata. Tuttavia, le basi per l’interpretazione delle immagini satellitari rimangono le stesse della fotogeologia: un’accurata analisi visiva condotta da esperti geologi con una buona conoscenza del
terreno.
Un altro grande vantaggio della fotogeologia, e soprattutto dei successivi sviluppi registrati con le immagini da satellite, è l’ampia visione d’insieme fornita da
queste tecniche rispetto a ciò che si può realizzare lavorando a terra. Esse non si limitano ad accelerare il lavoro di rilevamento geologico, ma consentono ai geologi
di compiere osservazioni al di là dell’immediata area di
interesse – spesso, per esempio, le rocce madri non affiorano all’interno del bacino preso in esame, ma a una certa
distanza da quest’ultimo, a volte al di là dei confini politici del paese – e consentono di osservare grandi strutture, a volte difficili o impossibili da individuare a distanza ravvicinata sul terreno.
La fotografia aerea e la fotogrammetria, tenuto conto
del fatto che si sono sviluppate in un periodo in cui non
esistevano ancora i computer, divennero procedimenti
molto sofisticati e accurati attraverso i quali si potevano
ottenere mappe topografiche dettagliate. Per combinare
tra loro le fotografie come tasselli di un mosaico ed eliminare le distorsioni derivanti dal processo fotografico,
furono impiegati ingegnosi metodi ottici, meccanici e
fotografici.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, quando la
ricognizione aerea divenne uno strumento di informazione strategico di capitale importanza, questi metodi
furono ulteriormente sviluppati. Nello stesso periodo,
iniziarono a emergere nuove tecniche di fotografia a
colori, incluse le pellicole all’infrarosso per l’individuazione delle mimetizzazioni, e la tecnologia radar,
due strumenti che si sarebbero rivelati estremamente
importanti nei successivi sviluppi spaziali della ricognizione geologica.
186
La fotografia all’infrarosso o a falso colore
La fotografia aerea raggiunse il culmine del suo sviluppo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale,
periodo in cui la maggior parte delle aree del globo furono rilevate con questo metodo, anche se le fotografie in
questione e le mappe da esse ottenute spesso furono
segretate dai governi nazionali per ragioni di sicurezza.
Uno degli sviluppi più significativi di questo periodo fu
rappresentato dal monitoraggio della mimetizzazione
militare con l’impiego della pellicola all’infrarosso. Tale
pellicola è sensibile alla radiazione infrarossa riflessa,
in una parte dello spettro dove la sensibilità dell’occhio
umano non arriva. In questa parte dello spettro, la vegetazione risulta particolarmente evidente e la gamma di
risposte dei diversi tipi di vegetazione è molto ampia.
Questa è la ragione per cui la pellicola all’infrarosso fu
sviluppata soprattutto per rivelare la vegetazione artificiale usata per la mimetizzazione militare, ma questo
tipo di pellicola permette anche di cogliere con maggiore chiarezza le minime variazioni della vegetazione
naturale, che spesso risultano correlate a determinate
caratteristiche geologiche. Particolari combinazioni di
comunità di piante privilegiano, infatti, suoli derivati da
specifici tipi di rocce e queste informazioni possono
aiutare i geologi a mappare la diversità e le variazioni
dei tipi di rocce, soprattutto nelle regioni in gran parte
oscurate dalla copertura della vegetazione e del suolo.
Un ulteriore vantaggio di questa tecnica è costituito dal
fatto che nell’infrarosso vicino, la penetrazione della
foschia atmosferica migliora e quindi questo tipo di fotografie a falso colore spesso appaiono più chiare, soprattutto se realizzate ad alta quota. In seguito, queste proprietà furono sfruttate nello sviluppo degli strumenti di
immagine satellitare.
Le immagini radar
Rimanevano, tuttavia, alcune difficoltà da superare nelle regioni dell’estremo Nord e Sud e in quelle
tropicali ed equatoriali dove una coltre stabile di nubi
preclude l’acquisizione di fotografie nitide. Questo
problema fu risolto grazie allo sviluppo di sistemi radar
in grado di registrare immagini della superficie del terreno attraverso la copertura di nubi. Si tratta di sensori attivi che operano nella regione a microonde dello
spettro elettromagnetico e che illuminano il terreno
con una strisciata obliqua, per poi registrare le radiazioni riflesse generando un’immagine; le strisciate
adiacenti sovrapposte possono essere osservate stereoscopicamente. Queste immagini radar, benché siano
in generale più difficili da interpretare delle fotografie convenzionali a causa dei loro angoli obliqui di illuminazione, a volte evidenziano le caratteristiche geomorfiche e topografiche di un’area, rivelando sorprendenti dettagli geologici aggiuntivi. Negli anni Settanta,
prima dell’avvento delle immagini satellitari, molte
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
PROSPEZIONI GEOLOGICHE
aree tropicali di rilevante interesse per l’esplorazione
petrolifera come, per esempio, l’America centrale e
meridionale, l’Africa occidentale e l’Asia sudorientale furono mappate con radar aerotrasportati per l’interpretazione geologica.
Il telerilevamento dallo spazio
La cosiddetta guerra fredda portò a una intensificazione dell’informazione telerilevata aerea e a una maggiore consapevolezza delle sue possibilità e, in seguito,
la vulnerabilità degli aerei da ricognizione ad alta quota
guidati da equipaggi umani favorì l’uso dello spazio per
scopi strategici. Lo spazio divenne così la nuova arena
dell’esplorazione e dell’acquisizione di immagini della
Terra. Negli anni Cinquanta e Sessanta, sia gli Stati Uniti
che l’Unione Sovietica svilupparono satelliti da fotoricognizione, ma solo in alcuni rari casi ai civili fu consentito di accedere ai risultati, benché, verso la fine degli
anni Sessanta, le fotografie della Terra realizzate dagli
astronauti delle missioni Apollo avessero dimostrato la
grande utilità per gli studiosi delle scienze della terra
delle immagini fornite dai satelliti. Solo nel 1971, con il
lancio del satellite statunitense ERTSl (in seguito ribattezzato Landsat), immagini satellitari coerenti e geograficamente rettificate iniziarono a divenire accessibili ai ricercatori di tutto il mondo.
Le prime immagini Landsat, anche se con una risoluzione spaziale di soli 80 m, erano in falso colore a infrarossi, potevano essere ingrandite in scala di 1:250.000 e
riprendevano la maggior parte delle regioni del mondo,
con l’eccezione di quelle coperte da coltri di nubi. Nel
corso degli anni Settanta e Ottanta, la loro diffusione
contribuì alla comprensione della tettonica a placche,
soprattutto in merito ad alcune caratteristiche tettoniche,
come le faglie e i lineamenti, che ora potevano essere
mappate su scala continentale. Da questo punto di vista,
anche il rilevamento gravimetrico satellitare offshore (v.
oltre) ha fornito un importante contributo. Le compagnie petrolifere iniziarono subito a sfruttare le immagini satellitari, finalmente accessibili, per studi tettonici
regionali, per l’analisi dei bacini, per la pianificazione
dei rilievi sismici e persino per una prima selezione degli
obiettivi strutturali. Alcune aree remote del globo, mai
studiate attraverso la fotografia aerea, furono rilevate per
la prima volta. La serie Landsat ha continuato a svilupparsi con immagini a risoluzione spaziale di 30 m (ottenute nel 1986 tramite il Landsat ETM), con l’aggiunta
di bande spettrali nel medio infrarosso, utili soprattutto
per distinguere i differenti minerali argillosi, e quindi per
migliorare la qualità del rilevamento geologico. L’ultimo satellite della serie, il Landsat 7, lanciato nel 1999
(anche se il sistema operativo ha smesso di funzionare
nel 2003), ha prodotto immagini di 15 m di risoluzione
al suolo e reso possibili rilevamenti in scala 1:50.000
(fig. 1 A).
VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO
In seguito a questo fallimento, il sistema satellitare
per immagini ASTER (costruito in Giappone ma montato sul satellite Terra della NASA, lanciato nel 1999) si
è imposto come alternativa a breve termine. ASTER è
interessante per i geologi perché offre 15 m di risoluzione con 14 bande spettrali e la possibilità di produrre
DEM (v. oltre). Purtroppo le bande spettrali di ASTER
sono in generale più utili per l’esame delle rocce ignee,
delle rocce metamorfiche e dei minerali che per la geologia dell’esplorazione petrolifera. ASTER, tuttavia, ha
suscitato un vivo interesse tra i geologi soprattutto perché ha portato alla realizzazione di altri due sensori satel-
fig. 1. Confronto
fra immagini
Landsat ETM, SPOT
e Ikonos (Yemen).
A. 15 m Landsat ETM
B. 5 m SPOT
C. 2,5 m SPOT
D. 1 m Ikonos
187
ESPLORAZIONE PETROLIFERA
litari iperspettrali, Hyperion della NASA, lanciato sul
satellite EO-1 nel 2000 (con 220 bande spettrali e 30 m
di risoluzione) e CHRIS dell’Agenzia Spaziale Europea
(European Space Agency, ESA), lanciato su PROBA nel
2002 (con 18 bande spettrali e 18 m di risoluzione). A
causa delle ridotte aree delle immagini di questi due sensori, della limitata copertura disponibile e della inidoneità delle bande di CHRIS per la ricerca geologica,
entrambi i satelliti rivestono interesse più dal punto di
vista della ricerca che da quello applicativo.
Negli Stati Uniti si prevede una nuova missione Landsat, ma la maggior parte degli osservatori ritiene che ci
si orienterà verso un programma diverso, probabilmente con una cooperazione internazionale. Le future linee
guida di tali programmi riguarderanno soprattutto il monitoraggio ambientale, la selvicoltura, l’agricoltura e la
cartografia dell’utilizzo del territorio, ma anche le scienze geologiche potranno beneficiarne. È comunque ancora possibile fare molti studi geologici con le immagini
archiviate negli ultimi venti-trenta anni; in generale, infatti, l’interpretazione geologica non richiede necessariamente immagini estremamente aggiornate.
Elaborazione delle immagini
e cartografia mediante computer
Poiché le immagini del Landsat (e della maggior parte
dei satelliti) vengono trasmesse a terra sotto forma di
segnali elettromagnetici, sono particolarmente adatte a
essere elaborate al computer. Negli anni Settanta, i computer digitali a basso costo erano ancora in via di sviluppo e i dispositivi di input, di spazio dati e di output
necessari al trattamento di grandi e complessi volumi di
dati delle immagini satellitari erano pochi e molto costosi. Questa situazione ha iniziato a subire un drastico cambiamento verso la fine degli anni Ottanta con l’avvento
di microcomputer meno dispendiosi che hanno finalmente permesso di sfruttare a fondo questa importante
fonte di informazioni geologiche. Oggi, i geologi possono scaricare da Internet nei loro personal computer
immagini di 15 m di risoluzione di quasi tutte le regioni del mondo, combinarle con i dati di quota digitale e
restituire i risultati in 3D, per poi ‘colorare’ la propria
interpretazione geologica sull’immagine stessa ed estrarla, alla fine del processo, sotto forma di carta geologica
destinata alla stampa a colori. I geologi, inoltre, possono acquisire e registrare molti tipi di dati ausiliari come,
per esempio, dati magnetometrici e gravimetrici, dati
relativi al sottosuolo (sismica e pozzi) e altre informazioni generali attraverso cui elaborare e perfezionare l’interpretazione finale.
Le tecniche di Image Processing (IP) permettono di
migliorare e visualizzare in modo ottimale le immagini,
soprattutto quelle a più bande spettrali, aiutando così l’interprete nel suo lavoro. Le immagini possono essere ottimizzate e filtrate in diversi modi, mentre la luminosità e
188
il contrasto possono essere regolati in modo da migliorare l’interpretazione. In alcune aree, la tecnica IP può
essere usata anche per effettuare in modo semiautomatico alcune operazioni di cartografia, come, per esempio,
la selezione di aree caratterizzate da un particolare tipo
di roccia o di copertura vegetale. La maggioranza dei geologi, tuttavia, concorda nel ritenere l’interpretazione visiva di primaria importanza, grazie alla sorprendente capacità del cervello umano di compiere associazioni ottiche
e di richiamare dalla memoria tutta l’esperienza acquisita sul terreno. I sistemi IP consentono, grazie a opportune funzioni, di registrare nelle immagini le note cartografiche dell’interprete, come stratificazioni, simboli
strutturali e limiti litologici. L’IP facilita inoltre il merging di diverse serie di dati, in modo che la tessitura o i
dettagli del terreno di un’immagine satellitare possano
essere caratterizzati, per esempio, con i dati di quota coregistrati o con una mappa delle linee di livello aeromagnetiche così da formare un’immagine composita. Lo studio comparato di queste informazioni può aiutare i geologi sia nell’interpretazione della superficie sia nello
studio delle relazioni esistenti tra la morfologia superficiale e la geologia del sottosuolo. Queste immagini combinate, infine, possono essere visualizzate in 3D o in prospettiva, conferendo, quindi, una dimensione addizionale. L’IP è particolarmente importante quando si opera con
più canali spettrali, come avviene, per esempio, con i dati
del satellite ASTER, perché è solo tramite il computer
che differenti combinazioni di risposte spettrali possono
essere analizzate per mappare i diversi contributi degli
spettri di minerali. Tale tecnica diverrà ancora più importante nel futuro per esaminare i dati forniti dai satelliti
iperspettrali di prossima generazione.
Il Geographical Information System (GIS) costituisce invece il sostituto moderno delle mappe stampate
con la proprietà addizionale che tutte le informazioni
sono immagazzinate in forma digitale e ordinate in una
banca dati relazionale. Il sistema GIS consente ai cartografi di combinare informazioni disparate – organizzando i dati di fonti molto diverse e garantendo che tutti
i dati siano stati geograficamente coregistrati – e di presentare risultati con un alto grado di flessibilità (fig. 2).
In generale, un GIS consente l’uso di differenti proiezioni cartografiche e di diversi dati, e contiene funzioni
che permettono il confronto delle informazioni contenute e di link tra i differenti elementi che compongono
il database. È possibile infine stampare mappe in un’ampia gamma di scale e di proiezioni, con appropriate sovrapposizioni di immagini o di dati geofisici a seconda delle
necessità. L’evidente vantaggio dell’approccio GIS è
costituito dal fatto che le mappe possono essere continuamente aggiornate e rivedute in merito al contenuto e
alle correlazioni visualizzate. La tendenza attuale privilegia questo lavoro quasi esclusivamente sullo schermo
del computer invece che sulla stampa.
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
PROSPEZIONI GEOLOGICHE
elaborazione dei dati
e GIS
acquisizione
dei dati
cartografia digitale integrata
fig. 2. Sistema GIS: costruzione
di carte tematiche e modelli 3D digitali
e georeferenziati.
Lo sviluppo della tecnologia IP e GIS è legato a sua
volta a quello, molto rapido, della potenza e delle capacità dei microcomputer. L’IP opera su dati raster (che
includono una matrice o griglia di valori di dati, come,
per esempio, un’immagine fotografica o di altro genere), spesso con un alto grado di colour depth (per esempio, 24 bit nel caso della maggior parte dei dati satellitari), mentre i GIS sono prevalentemente basati su database relazionali e sulla grafica vettoriale (che includono
valori su singoli punti, spesso legati tra loro per formare linee e poligoni). Attualmente questi due approcci non
convergono o non si integrano così facilmente come
occorrerebbe ai geologi, ma la situazione è destinata a
cambiare con l’ulteriore sviluppo di queste tecnologie.
Esiste ancora una lacuna tra i sistemi specializzati di elaborazione e di visualizzazione usati per i dati relativi al
sottosuolo (per esempio, sismici) e quelli usati nell’IP e
nei GIS, ma è molto probabile che nel prossimo futuro
questa lacuna sarà colmata.
Cartografia integrata, carte tematiche,
banche dati digitali e modelli tridimensionali
Le mappe e i dati ottenuti sia direttamente sul terreno sia con le metodologie e gli strumenti sopra descritti, possono essere integrati tra loro all’interno del sistema GIS, per ottenere cartografie particolari (anche tridimensionali) che possano soddisfare le diverse esigenze
richieste dall’attività di ricerca petrolifera. Le carte topografiche possono, per esempio, essere integrate alle carte
geologiche, alle foto aeree e alle immagini da satellite
(fig. 3).
VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO
Il merging di diversi tipi di dati telerilevati, per esempio immagini Landsat con immagini SPOT o radar (v.
oltre), permette di ottenere mappe che descrivono particolari caratteristiche del territorio (litologia, lineamenti
strutturali, vegetazione, umidità), evidenziate da una
diversa risoluzione spettrale o da un diverso sensore (per
esempio, Radar) o contraddistinte da un’elevata risoluzione spaziale (per esempio, ottenuta con le immagini
SPOT). Su mappe specifiche (morfologiche, geologiche, relative a facilities petrolifere, ecc.) possono essere sovrapposte altre informazioni come strade, confini
di Stato, vegetazione, fabbricati e così via. Il database
geografico risulta così costituito da diversi strati, o layers
(v. ancora fig. 3).
All’interno del sistema GIS, i dati cartografici vengono analizzati e integrati per ottenere, oltre alle carte
topografiche, anche carte tematiche digitali come mappe
morfologiche, geologiche e strutturali, litologiche, idrogeologiche, stratigrafiche e cronostratigrafiche, di stabilità dei versanti, della distribuzione della vegetazione,
della distribuzione delle aree umide, dell’inquinamento.
Ovviamente i programmi informatici permettono di creare sovrapposizioni e confronti fra le diverse carte tematiche. Nel sistema GIS, i dati cartografici possono essere correlati a un database relazionale dove risiedono tutte
le informazioni che caratterizzano un determinato elemento della carta (quota, nomi, simboli, litologia, dati
strutturali, dati geochimici, ecc.) che possono essere
visualizzati, editati, analizzati o aggiornati.
Queste moderne mappe digitali derivano da una serie
di database digitali intercorrelati, per cui dati diversi
come ubicazione di pozzi, limiti di titoli minerari, tracciati di rilievi sismici, pipeline, mappe di giacimenti possono essere importati o esportati. Le fonti per questi database sono sempre più facilmente reperibili presso differenti sedi come compagnie petrolifere, contrattisti, agenzie
governative, e anche il grande potere di Internet entra in
gioco per ricercare i dati e mettere insieme i vari elementi che costituiscono specifiche mappe richieste per
particolari applicazioni.
Inoltre le più recenti tecniche di visualizzazione riducono la necessità di stampare mappe e ottimizzano la
rappresentazione dei dati, particolarmente in 3D, come
nel caso di mappe tematiche drappeggiate sopra modelli digitali del terreno (DEM). Nel passato le mappe erano
disegnate a matita e a inchiostro e stampate a colori con
sistemi litografici, un processo costoso e lungo. Oggi
stampanti a colori di largo formato sono collegate direttamente ai computer e stampano rapidamente mappe
secondo le esigenze richieste. D’altra parte, le mappe
stampate sono sempre meno utilizzate poiché geologi e
geofisici eseguono le interpretazioni su work-station, numerose delle quali hanno la possibilità di visualizzazioni 3D, sia con l’uso di speciali occhiali sia con schermi
che producono direttamente proiezioni tridimensionali
189
ESPLORAZIONE PETROLIFERA
visibili a occhio nudo. Qualora i diversi specialisti delle
geoscienze abbiano la necessità di consultarsi insieme
sono, inoltre, stati sviluppati speciali sistemi di visualizzazione 3D o centri immersivi di visualizzazione. In
questo modo tutti i partecipanti possono vedere modelli 3D di superficie e di sottosuolo e persino camminarci dentro per discutere la geologia in uno spazio 3D, con
le tracce delle linee sismiche riportate sulla superficie
del terreno e le sezioni sismiche e i pozzi esplorativi
proiettati nel sottosuolo!
gini fornite dai satelliti SPOT (60 km60 km) o Landsat (185 km185 km) (v. ancora fig. 1). Altri paesi, tra i
quali la Russia, l’India, il Giappone e Israele, hanno lanciato satelliti ottici, utilizzati anche nel rilevamento geologico. Nel Regno Unito è stata sviluppata una nuova
generazione di microsatelliti a basso costo. Una costellazione formata da cinque di questi satelliti è specificatamente destinata al monitoraggio delle catastrofi. Tenendo conto delle esigenze di sicurezza e di carattere militare, si può essere certi che in futuro i dati ottici saranno
disponibili in grande quantità.
VHR e i futuri satelliti ottici
Altri satelliti hanno contribuito al database di immagini ottiche e, in particolare, quelli della serie francese
SPOT che, a partire dal 1986, hanno fornito immagini di
10 m di risoluzione al suolo e capacità stereo che consentono la produzione di modelli digitali di elevazione
del terreno e l’interpretazione geologica in 3D. Lo SPOT
5, l’ultimo della serie, offre 2,5 m di risoluzione (fig. 1 C)
ed è dotato di un sensore speciale che genera DEM. Di
recente, sono apparsi i satelliti per immagini ad altissima
risoluzione (Very High Resolution, VHR) che offrono una
risoluzione al suolo di 1 m (Ikonos, operativo dal 1999,
fig. 1 D) o di 0,65 m (Quickbird, operativo dal 2002). Anche
se questi satelliti sono prevalentemente impiegati per
l’informazione militare, è possibile accedere alle immagini relative alla maggior parte delle aree del globo, che
possono rivelarsi di grande utilità nel campo dell’esplorazione petrolifera per mappare le vie di accesso, le infrastrutture e persino gli impianti di produzione (fig. 4). La
ridotta area coperta da ogni fotogramma (11 km11 km),
fa tuttavia preferire per il rilevamento geologico le imma-
fig. 3. Geographical
Information System
(GIS): cartografia
integrata.
I satelliti radar
Parallelamente ai satelliti ottici sono stati sviluppati satelliti per immagini dotati di radar ad apertura sintetica (Synthetic Aperture Radar, SAR), destinati prevalentemente all’osservazione degli oceani ma rivelatisi molto utili anche per l’interpretazione geologica sulla
terraferma nelle aree caratterizzate da una copertura di
nubi alte.
La prima copertura globale radar consistente è stata
fornita dal satellite ERS1 lanciato dall’Agenzia Spaziale Europea nel 1991, seguito nel 1996 da ERS2. Questi
satelliti erano destinati all’osservazione dello stato degli
oceani come indicatore ambientale (gli oceani, infatti,
governano la variazione delle condizioni atmosferiche
continentali), ma la conoscenza delle condizioni degli
oceani è di grande importanza anche per molti aspetti
dell’esplorazione, della produzione e del trasporto offshore degli idrocarburi e i risultati così ottenuti sono stati
un importante spin off in questo settore industriale. Il
sensore radar fornisce inoltre anche eccellenti immagini
immagine
da satellite
carta
topografica
carta
geologica
40° 22'
DEM
40° 19'
3° 17'
coordinate (georeferenziazione)
3° 22'
190
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
PROSPEZIONI GEOLOGICHE
fig. 4. Immagine Ikonos con le strutture di produzione intorno ad Hassi Messaoud (Algeria; NPA Satellite Mapping).
del terreno, che possono essere usate sia per l’interpretazione geologica sia per un’ampia gamma di applicazioni ambientali (cfr. fig. 5, dove le immagini radar ERS
mostrano un maggior numero di dettagli strutturali rispetto a quelli visibili sulle immagini ottiche Landsat relative alla stessa area; la facoltà del radar di penetrare le
nuvole ha permesso di mappare faglie, lineamenti strutturali e anticlinali estesi decine di kilometri). Nel 1995,
il Canada ha lanciato un satellite analogo ma più versatile, Radarsat, destinato soprattutto al monitoraggio del
ghiaccio marino (un altro aspetto importante dal punto
di vista ambientale per le attività di esplorazione e produzione offshore alle alte latitudini). Radarsat, con la sua
capacità di puntamento variabile, può essere usato anche
per realizzare mappe delle linee di livello topografiche
grazie alla ‘radargrammetria’ e ha fornito alcuni dei primi modelli digitali di elevazione del terreno di aree remote del globo coperte da nubi. Mentre ERS e il suo successore, Envisat, forniscono una risoluzione al suolo di
circa 20 m, Radarsat è dotato anche di una modalità a
fascio ‘fine’ con una risoluzione di 10 m. Sono in via di
progettazione altri satelliti con 1 m di risoluzione (Radarsat e Terrasar).
Digital Elevation Models (DEM)
Per l’interpretazione geologica, i modelli digitali di elevazione del terreno sono sotto molti aspetti l’equivalente
moderno delle stereofotografie aeree e di conseguenza
fig. 5. Confronto
fra immagini ottiche
Landsat ETM e immagini
radar ERS (Irian Jaya;
NPA Satellite Mapping).
VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO
191
ESPLORAZIONE PETROLIFERA
sono molto richiesti per l’esplorazione nelle aree più remote. I DEM possono essere usati da soli sia per l’interpretazione geologica e geomorfologica sia per la valutazione delle vie di accesso o della logistica, ma possono essere combinati con le immagini satellitari per
ottenere serie di dati restituibili al computer per realizzare immagini in 3D o in prospettiva, comprese le simulazioni di voli aerei. I DEM possono essere ottenuti da
stereofotografie aeree, digitalizzando mappe topografiche già esistenti, da immagini stereoscopiche satellitari o attraverso l’interferometria radar (InSAR) aerea o
spaziale. Uno di questi sistemi InSAR, l’SRTM (Shuttle Radar Topographic Mission) è stato utilizzato in una
missione Shuttle nel 2000 e ha prodotto una serie di dati
ad alta definizione (30 m di risoluzione orizzontale, 15 m
di precisione verticale) per la maggior parte delle regioni del mondo tra i paralleli a 60° Sud e 60° Nord. Oggi
i dati SRTM a più alto livello di definizione sono protetti dal segreto militare nella maggior parte delle aree
che si trovano al di là dei confini degli Stati Uniti a causa
della loro importanza per la navigazione logistica, e pertanto è possibile accedere solo ai dati con 100 m di griglia orizzontale.
Tra i sistemi satellitari ottici per la produzione di
DEM figura lo SPOT 5, con una precisione verticale di
6-10 m e una risoluzione orizzontale di 20 m, e ASTER,
con una precisione verticale di 30 m e una risoluzione
orizzontale di 15 m. La fig. 6 rappresenta un’immagine
3D creata con ASTER DEM e realizzata a falsi colori,
utilizzando tre delle sue bande spettrali (3-2-1, R-G-B),
guardando verso nord-est, in direzione della cerniera
della piega; il nucleo della piega più resistente e freddo,
è costituito da carbonati dell’Eocene inferiore, circondati da marne e argille.
I sistemi aerotrasportati possono fornire livelli ancora più alti di precisione, e un sistema radar interferometrico è stato impiegato per coprire interi territori come
quelli del Regno Unito e dell’Indonesia, fornendo DEM
di circa 0,5 m di precisione verticale. Per quanto riguarda
fig. 6. DEM da immagine ASTER
(Tunisia; NPA Satellite Mapping).
192
i dettagli del terreno, il più alto livello di precisione è
ottenuto con i sistemi aerotrasportati Lidar, in grado di
fornire una precisione verticale di pochi centimetri. I
Lidar sono stati impiegati con successo per produrre
DEM per la pianificazione sismica a terra in diverse tipologie di terreno, come le dune di sabbia del deserto e le
paludi costiere ricoperte di mangrovia.
L’esplorazione offshore. Rilevamento
delle manifestazioni di idrocarburi
e gravimetria satellitare
L’uso delle tecniche satellitari non è confinato alle
regioni sulla terraferma. Un inaspettato beneficio che i
satelliti radar hanno offerto al settore dell’esplorazione
petrolifera è rappresentato dalla possibilità di individuare
tracce di petrolio (oil seepage) sulla superficie del mare
attraverso le immagini radar satellitari. La presenza di
piccole quantità di petrolio presenti sulla superficie del
mare modifica le piccole onde o increspature indotte
naturalmente dal vento sulla superficie del mare, creando ‘chiazze’ o aree di mare calmo. Esse appaiono molto
chiaramente sulle immagini radar, poiché la lunghezza
d’onda delle increspature si avvicina molto a quella del
radar (5,6 cm). Molte di queste indicazioni superficiali
sono il risultato degli effetti dell’inquinamento, ma alcune sono prodotte dalla fuoriuscita naturale degli idrocarburi sul fondo del mare che risalgono, poi, alla superficie. Un attento esame di queste ‘chiazze’, integrato dall’analisi della loro forma e dalla conoscenza dei venti
prevalenti, permette di distinguere con un buon grado di
attendibilità gli effetti dell’inquinamento dalle manifestazioni naturali (fig. 7). Questa metodologia ha consentito di studiare in modo consistente quasi tutti i bacini offshore del mondo per individuare le manifestazioni
naturali, rivelandosi uno strumento di indagine economico ed efficace nell’esame dei bacini di frontiera, soprattutto in acque profonde, in modo da dare una valutazione delle rispettive potenzialità prima che le compagnie
petrolifere ricorrano ai metodi geofisici, necessari nella
successiva fase dell’esplorazione e molto più dispendiosi. Questa tecnica non si limita a indicare la presenza o l’assenza di idrocarburi nei bacini, ma consente
anche di studiare la relazione tra il pattern di rilascio
delle manifestazioni e l’assetto strutturale del bacino,
che può rivelare importanti informazioni sui depocentri,
sulle aree di generazione e sui percorsi di migrazione
degli idrocarburi.
La geologia applicata all’esplorazione petrolifera offshore ha sfruttato un’altra innovazione militare derivante dalla ricerca spaziale: i requisiti per la navigazione
sottomarina. Sott’acqua, senza la vista delle stelle o l’aiuto dei satelliti per la navigazione (come il GPS), i sommergibilisti avevano bisogno di una mappa del fondo
oceanico comparabile a una mappa topografica della superficie terrestre. Disegnare una carta degli oceani
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
PROSPEZIONI GEOLOGICHE
prodotto anche la grande massa delle immagini radar
della superficie oceanica usate per l’individuazione delle
manifestazioni superficiali d’idrocarburi).
Global Positioning System
e sistemi di comunicazione
fig. 7. Immagine da satellite, interpretazione
gravimetrica offshore e rilevamento di manifestazioni
di idrocarburi (Oman; NPA Satellite Mapping).
sufficientemente dettagliata con i mezzi convenzionali
è impraticabile sia operativamente che politicamente.
Tuttavia, ci si rese conto che una mappa della batimetria
(della profondità, cioè, delle acque) o del campo gravitazionale terrestre avrebbe fornito il necessario strumento
di assistenza alla navigazione, e questo obiettivo poteva
essere raggiunto attraverso i radaraltimetri, in grado di
misurare l’altezza della superficie degli oceani da satelliti orbitanti.
Si potrebbe pensare che la Terra sia uno sferoide quasi
perfetto, di cui si conosce esattamente la forma. In realtà,
la superficie degli oceani non corrisponde precisamente a questo modello, ma presenta un pattern complesso
di piccole ondulazioni prodotte dalla combinazione della
profondità delle acque nel punto considerato con il campo
gravitazionale, quest’ultimo legato alla densità delle rocce
circostanti. Osservando sistematicamente l’altezza del
geoide oceanico dai satelliti per molte centinaia di orbite e ottenendo un risultato medio che mostra i piccoli
gradienti superficiali oceanici, si possono costruire mappe
estremamente dettagliate che mostrano la batimetria oceanica e la gravità offshore. Queste mappe, benché non
possano sostituire le misurazioni batimetriche a strisciate
estremamente accurate e le registrazioni gravimetriche
a bordo di navi eseguite nelle fasi successive del processo di esplorazione, consentono di effettuare rilievi
speditivi a basso costo nei bacini di frontiera offshore
non ancora esplorati, soprattutto se accoppiate al metodo del rilevamento offshore delle manifestazioni di idrocarburi attraverso il radar satellitare in precedenza descritto (v. ancora fig. 7). I primi altimetri oceanici sono stati
utilizzati dagli Stati Uniti in missioni militari, come, per
esempio, quella Geosat, promossa negli anni Ottanta e
desegretata solo negli anni Novanta, ma la densità di
osservazioni globali è molto aumentata grazie ad alcune missioni civili più recenti come Topex/Poseidon e agli
altimetri montati a bordo dei due satelliti ERS (che hanno
VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO
L’analisi dei contributi forniti dalla ricerca spaziale all’esplorazione petrolifera sarebbe incompleta se
non si ricordassero i satelliti di posizionamento globale e di comunicazione. I dispositivi GPS portatili e persino da polso in grado di determinare la latitudine e la
longitudine con un’approssimazione di pochi metri oggi
sono un fatto acquisito, ma non dobbiamo dimenticare che fino agli anni Settanta, i geologi spesso dovevano ricorrere all’osservazione astronomica per determinare con certezza la loro posizione sul terreno. Inoltre
i telefoni satellitari permettono ormai a chi è impegnato
sul campo non solo di comunicare con la base e con le
proprie case, sia in mare che sulla terraferma, ma trasmettono anche mappe, immagini, dati di campagna e
documentazione di riferimento a e da archivi centrali
via Internet. Naturalmente, anche questi vantaggiosi
strumenti oggi a nostra disposizione in origine erano
destinati a usi militari.
Applicazioni ambientali
Tutte le tecniche di cartografia aerea, satellitare e
computerizzata in precedenza descritte sono suscettibili di molte importanti applicazioni in campo ambientale, con il fattore aggiuntivo che il monitoraggio dei cambiamenti temporali è molto più importante in campo
ambientale che in quello geologico. I satelliti sono estremamente efficienti anche in termini di costi per la produzione ripetuta di immagini e per il monitoraggio a
lungo termine. Inoltre, sono più adatti, per esempio,
all’individuazione dei cambiamenti della vegetazione e
del suolo o al rilevamento dell’ecologia costiera, piuttosto che alla geologia. Con la crescente consapevolezza
che è necessario adottare un atteggiamento responsabile in difesa dell’ambiente, è certo che molti progetti in
aree sensibili saranno realizzati in base a criteri ambientali sviluppati usando dati satellitari archiviati storicamente, e saranno monitorati con i satelliti di ultima generazione disponibili. Queste tecniche sono applicabili
anche alle facilities impiegate nell’esplorazione e nella
produzione, alle pipeline e agli impianti di trattamento,
dove la difesa contro i movimenti del terreno non è meno
importante degli aspetti ambientali.
Gli ultimi sviluppi dell’interferometria radar satellitare (fig. 8) consentono di misurare i movimenti del terreno o i cambiamenti relativi della superficie della Terra
a livello millimetrico, con una precisione molto maggiore di quella attualmente conseguibile con i GPS. Di
conseguenza, possiamo non solo rilevare il movimento
incipiente della reptazione del suolo (piccoli smottamenti
193
ESPLORAZIONE PETROLIFERA
fig. 8. Trend
di subsidenza
sopra il giacimento
ad olio di Jibal (Oman)
ricavato
da interferometria radar
da satellite: ogni frangia
di colore rappresenta
28 mm di subsidenza
(Oman; NPA Satellite
Mapping).
superficiali del terreno o spoil creep) come indizio di
frane che potrebbero colpire condotte o impianti industriali, ma siamo in grado di misurare anche la subsidenza del suolo conseguente allo svuotamento di reservoir e controllarne i possibili effetti ambientali. In aree
sensibili o instabili, ciò potrebbe portare a munire pipeline e altre installazioni di speciali riflettori (corner reflectors) o transponditori (trasponders) per facilitare il monitoraggio e le misurazioni satellitari. Nel campo dell’ingegneria dei giacimenti sono inoltre individuabili altre
possibili applicazioni, poiché questo tipo di rilevamento può aiutare a comprendere la risposta stocastica del
giacimento.
Il futuro delle tecnologie
e degli strumenti di telerilevamento
È in via di progettazione il lancio di molti satelliti
per l’osservazione terrestre e, in particolare, di sistemi
per immagini radar e ottici ad alta risoluzione. Saranno
senza dubbio costruiti più satelliti per immagini ‘iperspettrali’ con centinaia di bande spettrali che amplieranno molto la nostra capacità di distinguere e mappare
differenti tipi di rocce, anche se la copertura del suolo e
della vegetazione seguiterà a costituire un problema. Si
può inoltre prevedere l’emergere di modelli digitali di
elevazione della superficie della Terra sempre più dettagliati che faciliteranno, insieme all’interpretazione geologica, la pianificazione delle vie di accesso e della difesa ambientale.
Tuttavia, gli accumuli di idrocarburi si trovano in
generale a una certa profondità al di sotto della super-
194
ficie della Terra e per il momento gli strumenti a nostra
disposizione possono esaminarne solo la superficie.
Idealmente lo scopo sarebbe quello di poter disporre di
strumenti montati a bordo di aerei o veicoli spaziali in
grado di rivelare la presenza di idrocarburi a una certa
profondità, ma questo obiettivo è ancora irraggiungibile. Sappiamo che in molti bacini, se non in tutti, gli
idrocarburi possono migrare fino alla superficie, ma
sulla terraferma le manifestazioni di superficie più evidenti sono già conosciute. Un importante risultato del
metodo di individuazione radar delle manifestazioni di
idrocarburi in offshore, precedentemente descritto, è
costituito dal fatto che in mare aperto i pattern di rilascio sono molto più diffusi e pervasivi di quanto ci si
potrebbe aspettare basandosi esclusivamente sull’osservazione onshore, dato che, sulla terraferma, il quadro è incompleto a causa del mascheramento dovuto
alla copertura del suolo e della vegetazione. Gli effetti più deboli, come la emissione di gas, sono estremamente difficili da individuare anche con metodi molto
accurati sul terreno, per non parlare del loro riconoscimento dall’aria o dallo spazio. Anche rocce ben esposte e fortemente alterate dagli effetti a lungo termine
della emissione di idrocarburi gassosi si sono rivelate
molto difficili da individuare con i sensori termici o
spettrali attualmente esistenti. Molto probabilmente
saranno compiuti notevoli progressi in quest’area quando satelliti più sofisticati, soprattutto iperspettrali, diverranno operativi, ma va tenuto presente che questi satelliti saranno prevalentemente impiegati per scopi diversi da quelli dell’esplorazione petrolifera. Riguardo alla
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
PROSPEZIONI GEOLOGICHE
mappatura a distanza del sottosuolo (cioè non sismica)
è probabile che si registreranno notevoli perfezionamenti della sensibilità e della capacità delle tecniche a
bordo di aerei, come la magnetometria e la gravimetria, ma poiché è molto difficile che questi risultati possano essere conseguiti dall’altezza a cui operano i satelliti orbitanti, gli sviluppi continueranno a riguardare le
tecniche aerotrasportate. Un’area che potrebbe rivelarsi promettente è quella dell’uso dell’interferometria
radar satellitare per rivelare cambiamenti millimetrici
dell’elevazione della superficie della Terra nel tempo.
Come abbiamo già osservato, gli attuali satelliti radar
sono già impiegati in questo modo per controllare piccole variazioni nella subsidenza al di sopra di giacimenti a gas e a olio in via di svuotamento. Questa tecnica è così sensibile, in grado di risolvere cambiamenti fino al livello millimetrico, che potrebbe fornire indizi
di accumuli sotterranei e del loro probabile contenuto
(petrolio o gas) dalle variazioni differenziali superficiali in funzione dello stato di marea della Terra. I satelliti per scopi ambientali sono già paragonati alla tecnologia medica in quanto permettono di esercitare un
‘controllo sulla salute del pianeta Terra’. In termini geologici, è lecito aspettarsi che le future missioni spaziali forniscano analisi spettrografiche e tomografiche
della superficie terrestre, approfondendo la nostra conoscenza del sottosuolo, dove sono ancora nascosti giacimenti di gas e di petrolio. Si tratta forse di una visione avveniristica, ma non del tutto inverosimile, tenuto
conto del grande progresso già compiuto: dall’osservazione a occhio nudo dalla cima delle colline all’attuale era spaziale.
VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO
Bibliografia generale
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Mattia Sella
Eni - Divisione E&P
San Donato Milanese, Milano, Italia
195
ESPLORAZIONE PETROLIFERA
2.2.2 Rilevamento geologico
Il rilevamento geologico è il metodo di indagine più antico nella ricerca petrolifera. È stato applicato fin dalla
seconda metà dell’Ottocento, quando si cominciò a capire che la presenza dei giacimenti era legata alla geometria delle rocce (trappole) e alle loro caratteristiche
litologiche, e che era possibile, a volte, riconoscere in
affioramento l’espressione di geometrie profonde. L’esplorazione in aree con queste caratteristiche è ormai
pressoché esaurita, anche se la mappatura con immagini da satellite dei lineamenti strutturali a grande scala è
ancora molto utile negli studi regionali. Attualmente il
rilievo geologico viene realizzato per lo più come integrazione delle prospezioni geofisiche, soprattutto quando l’esplorazione interessa le aree dove, in assenza di
sondaggi, sono disponibili solo dati indiretti (sismologia, gravimetria, ecc.).
Questo tipo di rilevamento consiste nella raccolta sistematica di dati geologici, atta a fornire informazioni sulla
costituzione geologica di una data zona. I risultati delle
osservazioni sul terreno devono essere integrati da analisi stratigrafiche, strutturali, petrografiche, sedimentologiche e paleontologiche che nel loro complesso consentono la realizzazione di elaborati sintetici (carte e sezioni geologiche, colonne e schemi stratigrafici), i quali
delineano le rocce presenti nell’area in oggetto, la loro
distribuzione in affioramento e i loro rapporti spaziali.
Il rilevamento geologico ha un’importanza fondamentale nella geologia degli idrocarburi perché permette di inquadrare sia la stratigrafia della regione, e
pertanto l’esistenza di potenziali rocce madre, rocce
serbatoio e rocce di copertura, sia la conformazione
strutturale dell’area da esplorare. Poiché per la maggior parte le strutture contenenti idrocarburi sono sepolte, cioè non direttamente osservabili sul terreno, il rilevamento geologico può essere condotto in aree limitrofe alla zona di esplorazione mineraria, quando esiste
un’analogia (litologica, stratigrafica, strutturale, ecc.)
tra le unità rocciose sepolte e quelle in affioramento.
Le informazioni dedotte dal rilevamento geologico devono quindi essere estrapolate all’area di esplorazione.
Per esempio le rocce potenziali serbatoio con relative
coperture, sedi di giacimenti di idrocarburi in Pianura
Padana, affiorano ampiamente sulle Alpi. Il rilevamento
geologico, effettuato sulla catena alpina da generazioni di geologi, ha offerto un quadro completo della suc-
196
cessione stratigrafica che è stato ampiamente utilizzato nell’esplorazione profonda delle strutture sepolte
della Pianura Padana.
Lo scopo primario di un rilevamento geologico è la
rappresentazione cartografica della distribuzione delle
rocce in affioramento (carta geologica). Di norma questa carta viene rappresentata su una base topografica già
esistente; se nell’area in esame non esiste una base topografica, essa deve essere prodotta allo scopo. Attualmente
tale rappresentazione viene effettuata con il telerilevamento (immagini da satellite, aerofotogrammetria, ecc.).
Sulla carta geologica vengono rappresentate le rocce
affioranti, la cui distinzione viene effettuata essenzialmente sulla base delle caratteristiche litologiche con l’ausilio di tecniche di rilevamento (Low, 1957; Lahee, 1961;
Cremonini, 1973; Damiani, 1984).
Il concetto di formazione
La formazione è un corpo geologico le cui caratteristiche litologiche osservabili sul terreno, non necessariamente uniformi, ne permettono il riconoscimento e la
distinzione. Nella ricerca di idrocarburi hanno particolare rilievo le rocce di origine sedimentaria. Poiché la
litologia di un corpo sedimentario è dovuta all’ambiente di sedimentazione, compito del geologo è rilevare la
stretta corrispondenza fra gli ambienti di sedimentazione, la loro evoluzione verticale e i loro passaggi laterali.
La posizione stratigrafica di una formazione è di fondamentale importanza: rocce con caratteristiche litologiche e sedimentologiche analoghe ma di differente età vanno
riferite a formazioni diverse; rocce coeve ma di litologia
differente, in quanto formate in diversi ambienti sedimentari, vanno pure attribuite a formazioni diverse.
I criteri distintivi fra una formazione e l’altra sono
molto numerosi. La litologia può differenziarsi anche
nell’ambito di una stessa formazione: alcune formazioni hanno una litologia abbastanza uniforme (come la
Dolomia Principale), mentre altre sono costituite dall’alternarsi di due litotipi diversi (come la Formazione
Marnoso-Arenacea). Altri criteri distintivi sono: le caratteristiche della stratificazione, che può essere massiccia
(come nella Dolomia dello Sciliar in ambiente di scogliera) o più articolata (come nella già citata Dolomia
Principale in ambiente di piattaforma); il colore (la Scaglia Rossa, ben distinguibile dalla Scaglia Cinerea); le
caratteristiche sedimentologiche (le Arenarie di Serravalle sono molto più cementate delle Sabbie di Asti);
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
PROSPEZIONI GEOLOGICHE
l’età (le ultime due formazioni sono rispettivamente del
Miocene e del Pliocene). Quest’ultima a volte può non
essere identificabile direttamente sul terreno, con l’esame dei macrofossili, ma solo grazie all’esame micropaleontologico di laboratorio. Fra gli esempi citati, alcune
formazioni sono state denominate con un criterio litologico cui è stato associato il nome della località tipo ove
la formazione assume la migliore caratterizzazione. È in
questa località tipo che la formazione viene di norma
descritta nelle sue peculiarità litologiche, sedimentologiche e paleontologiche, con la misurazione dello spessore, l’interpretazione ambientale e le variazioni verticali e laterali.
L’esplorazione mineraria può raggiungere formazioni non affioranti o comunque meglio valutabili nel sottosuolo; molte formazioni sono state recentemente riconosciute e descritte durante la ricerca di idrocarburi. È
molto frequente il caso in cui una formazione è meglio
conosciuta nel sottosuolo, ove un’intensa esplorazione
l’ha attraversata con numerosi pozzi, piuttosto che in
affioramento. Spesso inoltre nel sottosuolo essa è meno
deformata e quindi meglio ricostruibile nella sua interezza, come per esempio la Frio Formation in rocce dell’Oligocene del Texas (Galloway et al., 1982), o la Formazione Cellino in rocce del Pliocene inferiore dell’Italia centrale (Casnedi, 1983).
La carta geologica
La carta geologica è il frutto di un lavoro sistematico che di norma richiede diverse fasi.
La prima fase consiste nello studio preliminare effettuato con rilevamenti speditivi attraverso l’area oggetto
di esame; il geologo potrà individuare le principali formazioni affioranti e i loro rapporti stratigrafici.
Nella seconda fase viene eseguita una cartografia
dell’area con itinerari a maglie via via più fitte; in questo stadio il geologo acquisisce maggiori dati sulle formazioni presenti, distingue in esse unità a maggior dettaglio (la formazione può essere distinta in membri) e
stabilisce i rapporti stratigrafici relativi, cioè di sovrapposizione o passaggio laterale, qualora le formazioni
siano coeve. Nello stesso tempo raccoglie dati stratimetrici (direzione, immersione e inclinazione degli strati), utili per stabilire i rapporti di sovrapposizione degli
strati e l’assetto strutturale dell’area. Sulla carta devono essere riportate, con la massima precisione possibile, le linee di delimitazione fra le formazioni laddove
esse sono in contatto. Nel delineare tali linee va specificato se il contatto fra due formazioni è di natura stratigrafica, corrispondente a una normale successione
cronologica, oppure di natura tettonica, dovuto a una
deformazione (faglia) che sposta irregolarmente i corpi
rocciosi.
Nel caso di un contatto stratigrafico, la superficie di
separazione fra due formazioni è raffigurata da una linea
VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO
che rappresenta l’intersezione di detta superficie con la
superficie topografica: se gli strati sono orizzontali, la
linea corre in orizzontale, cioè parallelamente alle isoipse; se gli strati sono a reggipoggio, cioè immergenti in
senso opposto a quello del versante, la linea segue le isoipse addolcendone la curvatura; se gli strati sono a franapoggio, cioè immergenti parallelamente al versante,
ma con inclinazione minore di quella del pendio, la linea
accentua la curvatura delle isoipse; se gli strati sono a
franapoggio ma con inclinazione superiore a quella del
pendio, la linea assume disposizione contraria alle isoipse; infine in strati verticali la linea è retta e segue la
direzione (strike) degli strati. Sul terreno possono essere raccolti anche dati paleontologici (per lo più consistenti in macrofossili), sedimentologici (come le impronte di fondo degli strati che permettono di risalire alla
direzione di provenienza dei sedimenti clastici), petrografici, strutturali e geochimici.
La terza fase consiste nell’elaborazione dei dati raccolti; questo stadio, che segue oppure si alterna al lavoro di campagna, è essenziale per un esauriente rilevamento geologico. In esso può essere completata la delimitazione delle formazioni quando il loro contatto sul
terreno non è osservabile, per copertura vegetale o per
inaccessibilità: i dati stratimetrici sono molto utili per
tracciare o completare le linee di delimitazione, poiché permettono l’interpolazione e l’estrapolazione
della giacitura relativa delle formazioni, tenuto conto,
come si è detto, dell’andamento degli strati rispetto
all’inclinazione del pendio. Inoltre, un’adeguata rete
di sezioni geologiche interpretative fornisce utili indicazioni per controllare l’esattezza del rilevamento di
campagna.
In questa fase si interpreta la natura delle superfici
tettoniche rilevate sul terreno: se la successione è stratigraficamente normale e i fenomeni erosivi hanno agito
soprattutto sulle aree sollevate, una faglia porterà all’affioramento delle formazioni più antiche nel fianco sollevato. Una corretta traccia della superficie di faglia
permetterà di riconoscere l’immersione del piano di
faglia e quindi di distinguere le faglie di distensione,
in cui il fianco ribassato coincide con l’immersione del
piano di faglia, da quelle di compressione, in cui si verifica il caso opposto. Anche i fenomeni di piegamento,
se non riconosciuti direttamente sul terreno (come nel
caso di pieghe ad ampia scala), possono essere ricostruiti durante la fase di elaborazione cartografica: una
piega anticlinale si presenta con strati divergenti rispetto a una linea (asse della piega) e, nella gran parte dei
casi, affioramenti di rocce più antiche lungo il nucleo
della piega stessa, normalmente disposto in corrispondenza dell’asse. Il piegamento in cui si verifica il caso
opposto è detto sinclinale. Anche le geometrie delle
pieghe vengono riconosciute con l’analisi della cartografia geologica, specie se corredata dal corrispettivo
197
ESPLORAZIONE PETROLIFERA
fig. 1. Blocco-diagramma
di una regione piegata
con ondulazioni assiali
(assi di elevazione
o culminazione
e assi di depressione);
1-6, colonna stratigrafica
in sequenza cronologica
(Jaroszewski, 1984).
verso l’asse
di depressione
asse di culminazione
asse di depressione
6
5
4
3
2
verso l’asse
di culminazione
blocco-diagramma (fig. 1): una piega anticlinale può presentare zone in cui il piegamento è più pronunciato (culminazione strutturale) o meno (depressione strutturale);
lo stesso avviene per le pieghe sinclinali. Le culminazioni strutturali sono favorevoli all’accumulo degli idrocarburi (v. cap. 1.3).
L’ultima fase si compie in laboratorio, dove vengono effettuati gli studi petrografici e sedimentologici che
permettono di risalire alle composizioni chimico-mineralogiche delle formazioni; in parallelo vengono condotti studi sedimentologici atti sia a riconoscere l’ambiente in cui è avvenuta la sedimentazione, sia a definire le tessiture dei sedimenti (dimensioni, forma e
disposizione dei costituenti). Questi studi sono di grande utilità nella ricerca degli idrocarburi, poiché forniscono indicazioni sulle caratteristiche petrofisiche delle
potenziali rocce serbatoio, in primo luogo sulla porosità. Di massima importanza sono le analisi paleontologiche: mentre il riconoscimento di un macrofossile
può essere effettuato direttamente sul terreno, lo studio
dei microfossili e delle loro associazioni, alla base della
stratigrafia, viene fatto al microscopio, su sezioni sottili o su residui di lavaggio di campioni opportunamente scelti. Le analisi geochimiche possono essere effettuate sia su campioni di roccia madre (per studi di correlazione olio-roccia madre), sia su campioni di olio o
gas quando sono presenti manifestazioni superficiali di
idrocarburi.
Un rilevamento geologico ben organizzato si basa
sulla collaborazione dei rilevatori, che operano sul terreno oppure a tavolino sulla base di quanto raccolto in
campagna, e degli analisti che lavorano in laboratorio,
fra cui i petrografi, particolarmente del sedimentario, e
i micropaleontologi.
198
1
Le carte tematiche
Dalla cartografia geologica possono derivare diversi elaborati tematici riferiti a particolari caratteri di interesse scientifico o applicato alla ricerca mineraria. Le
carte che interessano la ricerca degli idrocarburi, che
comprendono sia i dati di superficie sia quelli di sottosuolo, per una valutazione tridimensionale dei corpi rocciosi, sono: le carte strutturali, le carte isopache, le carte
isolite, le carte di litofacies, le carte paleogeografiche e
le carte palinspastiche.
Le carte strutturali possono essere di due tipi: quelle che rappresentano le aree di affioramento delle maggiori unità strutturali (per esempio la carta strutturale
delle Alpi che riporta la cartografia di affioramento di
Elvetidi, Pennidi, Austridi, ecc.) e quelle, di maggior dettaglio e interesse minerario, che riportano la struttura di
una singola formazione nel sottosuolo e sono configurate per mezzo di isobate (contours). Queste ultime carte,
utilizzate per rappresentare la struttura di una roccia serbatoio, permettono di individuare le aree mineralizzate
nelle parti strutturalmente più alte delle rocce serbatoio
stesse.
Le carte isopache rappresentano con isolinee la distribuzione dello spessore di una determinata formazione;
se essa costituisce una roccia serbatoio, la carta dà informazioni sul volume del giacimento.
Le carte isolite rappresentano, nell’ambito di una formazione con differenti litologie, lo spessore di un solo
litotipo; anch’esse vengono disegnate con isolinee di
uguale spessore del litotipo in oggetto, che nella ricerca
mineraria è di norma quello della frazione poroso-permeabile (per esempio in una formazione ad alternanze
di sabbie e argille si riportano gli spessori delle sole sabbie, che possono contenere gli idrocarburi).
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
PROSPEZIONI GEOLOGICHE
Le carte di litofacies rappresentano, per un dato intervallo cronologico, le litofacies delle formazioni, con particolare risalto alle litofacies poroso-permeabili, e integrano i dati di superficie con quelli derivanti dalle perforazioni. A tale carta, che fornisce un panorama delle aree
potenzialmente sede di serbatoi, si sovrappone la carta
di litofacies dell’intervallo cronologico superiore. Il fine
di questa sovrapposizione è quello di individuare le aree
in cui litofacies impermeabili possono costituire copertura (roccia di copertura) a quelle con litofacies porosopermeabili (potenziali rocce serbatoio), presupposto stratigrafico indispensabile per la presenza di idrocarburi
nei serbatoi stessi.
Le carte paleogeografiche rappresentano la geografia di una regione nel periodo di riferimento e quindi
riportano la distribuzione e l’altitudine delle aree emerse, delle linee di costa e delle aree sommerse, con la
profondità del mare nel periodo in oggetto. Sono utilizzate nella ricerca di idrocarburi per individuare trappole stratigrafiche (v. cap. 1.3).
Le carte palinspastiche riportano le formazioni alla
loro posizione originaria, prima che dislocazioni successive abbiano modificato i loro rapporti primari.
L’utilizzo degli strumenti classici, bussola e altimetro, può essere integrato con strumenti più moderni come
il GPS (Global Positioning System) per la georeferenziazione diretta dei punti rilevati, che usa una rete di
satelliti geostazionari, e la bussola elettronica, fornita di
una memoria digitale che permette l’immediata memorizzazione dei dati misurati. Questi strumenti facilitano
l’immissione dei dati in formato digitale.
Particolari aspetti del terreno (morfologia, fratturazione delle rocce) possono essere acquisiti attraverso la
stereofotogrammetria, che permette di ricostruire rappresentazioni fotografiche tridimensionali di affioramenti significativi come tagli di cave, pareti rocciose,
frane. La cartografia acquisita direttamente sul terreno
può essere inoltre integrata con le informazioni ottenute con il telerilevamento (aerofotogrammetria, immagini da satellite, ecc.).
I dati possono venire elaborati utilizzando il GIS
(Geographic Information System), un sistema informatico sviluppato per gestire, manipolare e analizzare dati
spaziali (cartografia numerica digitale); ciò significa che
si utilizzano dati di cui si conoscono o si possono calcolare le coordinate geografiche (la latitudine, la longitudine e, se disponibile, anche l’altitudine).
Per la cartografia sono poi particolarmente importanti
le elaborazioni DEM (Digital Elevation Model), nelle
quali i dati cartografati corrispondono alla quota media
del terreno in quel punto; tali elaborazioni possono essere ricavate dalle immagini telerilevate oppure dalla digitalizzazione di carte topografiche già esistenti.
Le carte tematiche (topografiche, geologiche, morfologiche, strutturali, ecc.), realizzate con l’ausilio delle
VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO
metodologie e degli strumenti sopra descritti (georeferenziazione, bussole elettroniche, modelli digitali del terreno, stereofotogrammetria, immagini da satellite, ecc.),
permettono la costruzione di data base digitali che integrano i prodotti cartografici (spesso tridimensionali) con
i relativi dati litologici, strutturali, petrografici, ecc.
2.2.3 Petrografia
La petrografia è lo studio dei processi genetici delle
rocce, della loro struttura e composizione. Poiché gli
idrocarburi, salvo rare eccezioni, sono strettamente legati alle rocce sedimentarie, sia nella formazione che nella
migrazione e nell’accumulo, sarà trattata esclusivamente la petrografia del sedimentario (Pettijohn, 1957; Bosellini et al., 1989; Blatt, 1992; Tucker, 2001) e in particolare la natura, la composizione e la classificazione delle
rocce sedimentarie.
In campo petrolifero, le analisi quantitative e gli studi
petrografici vengono condotti attraverso l’uso di microscopia ottica ed elettronica e di diffrattometria e fluorescenza a raggi X e consentono di determinare la composizione dei costituenti delle rocce, di riconoscere le
fasi autogene (cementi) formatesi durante il seppellimento delle rocce stesse, di evidenziare fenomeni di dissoluzione di determinati costituenti, di ricostruire la successione degli eventi di cementazione-dissoluzione che
hanno interessato il sedimento fino a determinarne l’attuale struttura e infine di specificare, attraverso l’uso di
analisi d’immagine, le caratteristiche geometriche della
componente porosa presente nei sedimenti.
Gli studi petrografici, nell’attività petrolifera, vengono condotti sui campioni di rocce provenienti da carote di
pozzo e da affioramenti e anche sui detriti di perforazione, detti cuttings (piccoli frammenti di roccia prodotti dallo
scalpello e portati in superficie dal fango di perforazione). L’insieme di questi dati viene poi inquadrato nel modello sedimentologico e geologico del bacino al fine di prevedere la qualità, in termini di caratteristiche di reservoir
(porosità e permeabilità), delle rocce sedimentarie anche
in zone non ancora interessate da perforazioni.
In questo modo si ottengono importanti informazioni che, insieme ad altre, permettono di valutare l’opportunità di eseguire o meno un pozzo esplorativo o di programmare lo sviluppo e la messa in produzione dei giacimenti individuati.
Frequenza delle rocce sedimentarie
I processi endogeni sono responsabili dell’origine
delle rocce magmatiche, mentre le rocce sedimentarie
nascono da quelli esogeni; di conseguenza, la frequenza di queste ultime aumenta progressivamente man mano
che ci si avvicina alla superficie terrestre. Mentre la crosta terrestre, nel suo insieme, contiene meno del 5% di
199
ESPLORAZIONE PETROLIFERA
Classificazione delle rocce sedimentarie
Esistono due criteri principali di classificazione: il
primo è basato sulla genesi delle rocce, l’altro sulla loro
composizione chimico-mineralogica. I due criteri spesso danno luogo a tipologie analoghe, in quanto la genesi di un sedimento influisce sulla sua composizione.
Criterio genetico. La roccia originaria, esposta all’azione degli agenti atmosferici, viene degradata sia da
processi fisici (disgregazione) che da processi chimici
(alterazione). Gran parte dei prodotti di disgregazione
(clasti) viene asportata e subisce un processo di trasporto (in sospensione o per rotolamento) a opera dei corsi
d’acqua e del vento, dando luogo alle rocce epiclastiche,
costituite da particelle che si sedimentano per decantazione; altre rocce particellari o granulari sono rappresentate dalle rocce piroclastiche, di derivazione vulcanica, e allochimiche, come i calcari oolitici e i calcari
formati da frammenti fossili.
L’alterazione chimica genera prodotti che di norma
sono trasportati in soluzione nelle acque meteoriche e,
in seguito a evaporazione o variazione degli equilibri chimici, si sedimentano per precipitazione formando rocce
cristalline di origine sedimentaria, da non confondere
con quelle di origine metamorfica. Dopo la sedimentazione, la diagenesi dei calcari, che avviene con scambio
ionico con l’acqua marina, può dare luogo alla formazione di dolomie.
La parte di roccia che non viene asportata dopo la
degradazione o la decomposizione rimane in situ e forma
le rocce residuali. L’azione degli organismi viventi dà
luogo alle rocce organogene o biocostruite, costituite
interamente da scheletri o frammenti di gusci di animali o vegetali (le scogliere formate essenzialmente da coralli e alghe) o da fissazione carbonatica da parte di vegetali (le stromatoliti) (fig. 2).
Criterio composizionale. I componenti fondamentali delle rocce sedimentarie sono i terrigeni, gli allochimici e gli ortochimici (Bosellini et al., 1989; fig. 3).
200
gruppi fattori-controllo
famiglie
processi
idrodinamici
arenarie
allochimiche
calcari
precipitate
salgemma
diagenetiche
dolomia
secrete
scogliere
fissate
stromatoliti
inorganiche
suoli
organiche
carbone
cristalline
processi
chimici
biocostruite
secrezione
biochimica
esempi
epiclastiche
particellari
rocce sedimentarie e loro principali fattori-controllo
rocce sedimentarie e di rocce metamorfiche di genesi
sedimentaria, gran parte (circa il 75%) delle rocce affioranti in superficie è di origine sedimentaria.
La ragione principale di questa abbondanza di rocce
sedimentarie affioranti è l’instabilità, o la metastabilità,
chimica delle rocce magmatiche in presenza di atmosfera. Infatti rocce e minerali sono in equilibrio solo nelle
condizioni fisico-chimiche in cui si sono formati. Temperatura e pressione di formazione delle rocce magmatiche sono molto superiori a quelle che si riscontrano
sulla superficie terrestre; inoltre gli ambienti profondi
in cui esse si sono formate contengono minori quantità
di ossigeno, acqua, biossido di carbonio e materia organica, sostanze di cui le rocce sedimentarie si arricchiscono con processi di ossidazione, idratazione, idrolisi,
salificazione.
residuali
degradazione
chimica
e/o fisica
fig. 2. Schema generale delle rocce sedimentarie
in base alle loro caratteristiche
genetico-tessiturali (Bosellini et al., 1989).
I componenti terrigeni sono costituiti da particelle
generate dalla disgregazione e dalla frammentazione
di rocce preesistenti, erose e trasportate singolarmente nel bacino di sedimentazione. Questo processo di
alterazione agisce nel tempo modificando la composizione chimico-mineralogica della roccia (fig. 4). I
più importanti terrigeni sono il quarzo (35-50%), i
feldspati (5-15%), i minerali argillosi (25-35%), le
miche e i minerali pesanti (meno dell’1%), i frammenti
di roccia e la selce (5-25%).
I componenti allochimici sono costituiti da particelle che si formano per precipitazione chimica o secrezione organica direttamente nel bacino di sedimentazione, nel quale possono venire spostate e accumulate.
I componenti ortochimici sono precipitati chimici
formati entro il bacino di sedimentazione, come le evaporiti, o derivati da soluzioni circolanti entro lo stesso
sedimento, come il cemento.
Nella descrizione dei vari tipi di rocce sedimentarie
si utilizzano i criteri genetici (arenarie), quelli composizionali (rocce carbonatiche), oppure ambedue (argille).
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
PROSPEZIONI GEOLOGICHE
T. Rocce terrigene - esempio: molte argilliti,
arenarie e conglomerati.
Costituiscono il 65-75% della colonna stratigrafica;
gran parte di esse cade nell’area scura.
terrigeni
Ai. Rocce allochimiche impure - esempio:
argille molto fossillifere, calcari arenacei, marne.
Costituiscono il 10-15% della colonna stratigrafica.
T
50%
Ai
50%
Oi. Rocce ortochimiche impure - esempio:
gesso argilloso.
Costituiscono il 2-5% della colonna stratigrafica.
Oi
A. Rocce allochimiche - esempio: calcari
oolitici e fossiliferi.
Costituiscono l’8-15% della colonna stratigrafica.
10%
10%
A
10%
allochimici
O
O. Rocce ortochimiche - esempio: sale, anidrite, selce.
Costituiscono il 2-8% della colonna stratigrafica.
ortochimici
fig. 3. Diagramma triangolare per la suddivisione delle rocce sedimentarie in base ai loro
tre componenti fondamentali (Bosellini et al., 1989).
casnedi2_f3
quarzo
% di minerali
feldspati
argille
minerali
ferromagnesiaci
intensità dell’alterazione
fig. 4. Variazione di composizione mineralogica
che subisce una sabbia di derivazione granitica
sottoposta a progressiva alterazione in un clima
temperato (Bosellini et al., 1989).
Tipi di rocce sedimentarie
I principali tipi di rocce sedimentarie sono: argille
(60%), sabbie, arenarie, ghiaie e conglomerati (20%),
rocce carbonatiche come calcari e dolomie (15%); a queste vanno aggiunte, in percentuali molto inferiori, le evaporiti in senso stretto, soprattutto salgemma e solfati.
Le argille sono formate da particelle inferiori a 4 mm
di diametro; a esse si possono aggiungere i silt, con dimensioni da 4 a 62 mm. Per questo motivo, tali particelle possono essere facilmente mantenute in sospensione anche
da correnti molto deboli. Gli accumuli più considerevoli di argille si trovano sulle piattaforme continentali o,
alternate ad arenarie, ai piedi delle scarpate, ove formano successioni, con spessore anche di alcuni chilometri,
VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO
nelle conoidi torbiditiche. Sono costituite in gran parte
da minerali argillosi, derivanti da processi di idrolisi sui
silicati; nei silt prevalgono il quarzo e i feldspati. Sono
molto porose ma impermeabili e quindi costituiscono
un’ottima roccia di copertura, mentre non offrono possibilità di accumulo come roccia serbatoio. Sotto carico
geostatico e, in genere, sottoposte a pressione, vengono
compattate con perdita di porosità e si definiscono argilliti (o peliti, o lutiti).
Le arenarie comprendono tutte le rocce detritiche composte da particelle di diametro superiore a 62 mm; quando le arenarie non sono coerenti vengono definite sabbie.
Se le particelle sono superiori a 2 mm, le arenarie rientrano nel gruppo dei conglomerati (o ghiaie se incoerenti, o brecce se composte da elementi a spigoli vivi). La
loro composizione è in relazione con quella della roccia
da cui derivano: prevalgono il quarzo e i feldspati, specialmente quelli acidi, che sono i minerali più stabili. I
processi di alterazione tendono a trasformare i minerali
meno stabili, come gli anfiboli, i pirosseni, l’olivina e in
genere quelli più basici, che quindi sono meno frequenti.
L’arenaria viene definita matura appunto quando l’alterazione chimica ha agito a lungo e con maggiore intensità
sia nell’area di provenienza che durante il trasporto. Parallelamente agiscono gli agenti fisici, come il trasporto: il
rotolamento ha un effetto abrasivo e tende a smussare gli
spigoli e arrotondare le particelle. Dopo la sedimentazione, fra i processi diagenetici il più importante è la cementazione per precipitazione, a opera di soluzioni circolanti nei pori della roccia. La cementazione è fondamentale
per la determinazione dei valori di porosità.
Le arenarie vengono classificate in base alle dimensioni delle particelle o in funzione della loro composizione mineralogica. La distinzione per dimensioni è effettuata in scala geometrica: da 116 di mm, pari a 62,5 mm,
201
ESPLORAZIONE PETROLIFERA
a 18 di mm, sabbia (o arenaria) molto fine; da 18 a 14
di mm sabbia fine; da 14 a 12 di mm sabbia media; da
12 a 1 mm sabbia grossolana; da 1 a 2 mm sabbia molto
grossolana. Analogamente si prosegue nelle rocce a grana
maggiore come i conglomerati. Più diversificata è la classificazione basata sulla composizione mineralogica: a
una terminologia classica molto articolata, con numerosissimi termini per rappresentare i diversi tipi di arenarie, si preferisce attualmente la classificazione introdotta all’inizio del 20° secolo dal geologo tedesco Amadeus
William Grabau, che in sintesi definisce una roccia con
un prefisso composizionale e un suffisso dimensionale
(Grabau, 1913); fra le arenarie le silicoareniti, per esempio, hanno composizione silicatica e suffisso derivante
dal latino arena «sabbia» e vengono distinte da calcareniti, doloareniti, gessoareniti, ecc.
Questa terminologia può essere estesa a tutte le rocce
detritiche o clastiche, dalle più fini (per esempio le silicolutiti, dal latino lutum «fango») alle più grossolane
(per esempio le silicoruditi, dal latino rudus «ciottolo»).
È da notare che le rocce clastiche a composizione carbonatica (come le calcareniti), malgrado la loro genesi
sia diversa da quella delle rocce carbonatiche di origine
chimica od organogena, vengono di norma descritte insieme a queste ultime, dando maggiore importanza all’aspetto della composizione che a quello genetico.
Le rocce carbonatiche derivano dalla precipitazione
chimica di CaCO3, diretta o per fissazione da parte di
organismi con guscio o scheletro calcareo. Alla formazione di calcari segue spesso, per scambio ionico con
l’acqua di mare contenente magnesio, la loro trasformazione in dolomie, il cui minerale costituente, la dolomite, ha formula CaMg(CO3)2. L’interesse scientifico
per le rocce carbonatiche è accentuato dal loro contenuto in fossili: infatti è soprattutto grazie allo studio
fig. 5. Classificazione
delle rocce carbonatiche
secondo la terminologia
proposta da Folk (1959),
in accordo ai componenti
tessiturali
(Bosellini et al., 1989).
paleontologico dei resti contenuti nelle rocce carbonatiche che si conosce la storia della Terra nella sua evoluzione biologica.
Oltre che per la loro connessione con il mondo biologico, le rocce carbonatiche si differenziano dalle altre
rocce sedimentarie per la deposizione in situ, senza
apprezzabile intervento di processi di trasporto (salvo il
già citato caso delle rocce carbonatiche clastiche), per
una diagenesi precoce e per la composizione spesso
monominerale. Infatti i minerali che le compongono sono
il carbonato di calcio (nelle sue forme di calcite e aragonite, spesso determinate da un diverso stato cristallino dei gusci degli organismi) o la dolomite, derivata da
processi secondari successivi alla sedimentazione; raramente il carbonato può essere quello di ferro (siderite)
o magnesio (magnesite). Abbastanza frequenti sono i
minerali argillosi, la cui presenza dà luogo a tipiche rocce
miste, come i calcari marnosi e le marne.
La classificazione delle rocce carbonatiche presenta problemi più complessi rispetto a quella delle rocce
clastiche, poiché, oltre che della composizione mineralogica, si deve tenere conto delle caratteristiche tessiturali e diagenetiche che maggiormente caratterizzano il
tipo di roccia. Le classificazioni più adottate (Bosellini,
1991) sono quella proposta da R.L. Folk nel 1959 (fig. 5)
e quella realizzata da R.J. Dunham nel 1962 (fig. 6). La
classificazione di Folk è basata sui componenti tessiturali: gli allochimici, cioè le varie particelle costituenti;
la matrice, costituita da fango carbonatico (micrite); il
cemento, formato da calcite spatica, o sparite. Più usata
è la classificazione di Dunham, basata sulla tessitura deposizionale originaria in rapporto al suo significato idrodinamico, che introduce la distinzione fra particelle senza
fango, quindi deposte in ambiente ad alta energia (scogliera), e particelle sostenute da fango, quindi deposte
fossili e
bioclasti
ooidi
peloidi
intraclasti
biomicrite
oomicrite
pelmicrite
intramicrite
biosparite
oosparite
pelsparite
intrasparite
matrice > 2/3
altre categorie
micrite
con cavità
(dismicrite)
(fenestra, birdseye)
biolitite
cemento > 2/3
cemento
micrite
principali allochimici
202
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
PROSPEZIONI GEOLOGICHE
fig. 6. Classificazione
delle rocce carbonatiche
secondo la terminologia
proposta da Dunham
(1962), in accordo
alla tessitura deposizionale
(Bosellini et al., 1989).
tessitura deposizionale riconoscibile
componenti originali (grani)
non legati assieme durante la deposizione
fango presente (particelle < 30 µm)
tessitura fango-sostenuta
grani < 10%
grani > 10%
mudstone
wackestone
in ambiente relativamente tranquillo (laguna). Per le rocce
carbonatiche di origine clastica possono essere mantenuti i termini già descritti (calcarenite, ecc.). Nelle rocce
carbonatiche le caratteristiche di porosità e permeabilità
sono in relazione soprattutto ai processi secondari, primo
fra tutti la dolomitizzazione.
Le rocce di origine evaporitica, meno frequenti delle
altre, rivestono molta importanza nell’industria petrolifera perché sono impermeabili e formano delle tipiche
rocce di copertura. Prendono il nome dalla loro origine,
legata a processi di evaporazione, particolarmente attivi in climi caldi e aridi. Essendo rocce molto solubili,
sono facilmente oggetto di dissoluzione a opera delle
acque meteoriche.
L’evaporazione di acqua marina in un sistema chiuso causa la precipitazione progressiva di sali in ordine
inverso alla loro solubilità. Il primo a precipitare è il
carbonato di calcio, la cui scarsa solubilità dà luogo a
formazione di rocce carbonatiche; queste ultime possono formarsi anche con scarsa evaporazione (la precipitazione è legata alla liberazione nell’atmosfera di
biossido di carbonio). Segue, con concentrazione salina molto maggiore, la deposizione di solfato di calcio,
sotto forma di anidrite ad alte temperature, o di gesso
e quindi di salgemma. Gli ultimi minerali a formarsi,
in quantità minore per la loro scarsa concentrazione
nell’acqua marina, sono il solfato di magnesio e il cloruro di potassio (silvite).
Spesso l’evaporazione non avviene in un sistema
chiuso: saltuari apporti di acqua marina possono causare innumerevoli ripetizioni e alternanze. Nel Mediterraneo e aree limitrofe, per esempio, hanno particolare
importanza le successioni evaporitiche del Miocene superiore, che sono state messe in relazione con fasi di disseccamento di tutto il mare in seguito alla chiusura dello
Stretto di Gibilterra.
VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO
fango assente
tessitura grano-sostenuta
packstone
grainstone
non riconoscibile
componenti
originari
legati assieme
durante la
deposizione
boundstone
carbonati
cristallini
Fra le altre rocce sedimentarie sono compresi i depositi silicei di origine biogenica, dovuti all’accumulo di
organismi a scheletro siliceo (spicole di spugne, diatomee, radiolari), e di origine diagenetica (noduli, lenti e
letti di selce), spesso presenti nelle successioni carbonatiche; sono inoltre frequenti i depositi ferro-manganesiferi, fosfatici e di carbone. Nella geologia degli idrocarburi sono importanti anche i sedimenti anossici, dovuti alla sedimentazione di materia organica in ambiente
riducente; per un maggiore approfondimento su questi
sedimenti, strettamente legati alle rocce madri degli idrocarburi, v. cap. 1.2.
2.2.4 Principii di stratigrafia
e sedimentologia
La stratigrafia
La stratigrafia studia il succedersi cronologico degli
eventi che hanno interessato la storia della Terra, determinando i rapporti di giacitura spaziali e temporali delle
rocce. Strettamente legata alla sedimentazione, la stratigrafia analizza altresì altri fenomeni come il magmatismo, il metamorfismo, le deformazioni, le variazioni
climatiche e i cambiamenti della distribuzione dei mari
e delle terre emerse.
Poiché gran parte delle attribuzioni cronologiche è
dovuta allo studio dei fossili e dell’evoluzione biologica propria delle rocce sedimentarie, la stratigrafia ha un
valido supporto nella paleontologia e nella sedimentologia. I metodi per definire la cronologia di una successione stratigrafica si basano su criteri relativi e su criteri assoluti.
Cronologia relativa. Il concetto stesso di successione è un criterio relativo, legato ai rapporti verticali e quindi temporali delle unità stratigrafiche. Il principio base
203
ESPLORAZIONE PETROLIFERA
fig. 7. La successione
sedimentaria
del Grand Canyon
del Colorado mostra
una sovrapposizione
di strati dal Precambriano
al Terziario,
per un intervallo
cronologico di oltre 600
milioni di anni (per
cortesia RIT, New York).
della cronologia relativa è infatti il principio di sovrapposizione che presuppone il succedersi di unità sempre
più recenti dal basso verso l’alto, salvo particolari eccezioni, facilmente riconoscibili, di successioni intensamente deformate o rovesciate. L’esempio più spettacolare di applicazione del principio di sovrapposizione è
mostrato dall’incisione del Grand Canyon del Colorado
(fig. 7), nella quale affiorano in regolare successione formazioni che vanno dal Precambriano al Terziario, per un
intervallo cronologico di oltre 600 milioni di anni. Questo principio è confermato dalla paleontologia che riconosce forme fossili sempre più evolute nella successione verticale.
Il secondo principio è quello di correlazione, che permette di riconoscere l’equivalenza cronologica fra unità
di successioni stratigrafiche diverse. Esso può essere stabilito confrontando le caratteristiche litologiche delle
successioni (litostratigrafia) e distinguendo le varie unità
(formazioni) o sottounità (membri). La ricerca petrolifera ha permesso di affiancare l’analisi litologica fatta
in superficie con l’analisi di sottosuolo: con le registrazioni (log) elettriche e radioattive degli strati nei sondaggi si possono effettuare correlazioni basate sull’analogia delle loro caratteristiche; analogamente le prospezioni sismiche hanno permesso di tracciare sezioni che
possono essere interpretate dalla stratigrafia (sismostratigrafia) con possibilità di ricostruire la geometria
dei corpi sedimentari. Un’unità ha di norma uno sviluppo orizzontale limitato poiché la sua litologia cambia al variare dell’ambiente di sedimentazione; per correlazioni a vasto raggio si preferisce utilizzare il criterio
paleontologico (biostratigrafia) che consente di effettuare confronti anche tra un continente e l’altro. Questo
criterio ha permesso di istituire una scala cronologica
(cronostratigrafia) valida a livello globale, che costituisce la base della storia della Terra.
204
La cronostratigrafia permette di datare l’età degli
strati rocciosi e di stabilire le relazioni temporali esistenti
tra gli stessi. L’unità geocronologica fa riferimento esclusivamente all’intervallo di tempo durante il quale è avvenuta la deposizione di una certa sequenza di rocce; nell’unità cronostratigrafica il tempo geologico è invece
rappresentato dalla stessa sequenza. Le unità cronostratigrafiche, nel loro complesso, rappresentano quindi la
visualizzazione di quella che è stata la storia della Terra,
suddivisa, in ordine gerarchico decrescente, in ere, periodi, epoche ed età in funzione della loro importanza e
della relativa durata (si vedano i dati offerti dalla International Commission on Stratigraphy; Hedberg, 1976);
le unità geocronologiche esprimono invece solo il dato
numerico temporale.
Altre correlazioni sono basate sul paleomagnetismo:
i minerali ferromagnetici, se posti in un campo magnetico, acquisiscono una magnetizzazione che viene conservata durante il raffreddamento e che quindi fissa le
caratteristiche del campo magnetico al momento della
cristallizzazione di detti minerali; poiché le caratteristiche del campo magnetico variano nel tempo, la loro determinazione su campioni orientati permette valutazioni di
magnetostratigrafia.
Discordanze. Il rilievo terrestre è soggetto a erosione per l’azione degli agenti atmosferici: il continuo spostamento di materiali dai continenti agli oceani determina la peneplanazione del rilievo alla fine di un ciclo
orogenetico, finché un’invasione del mare sull’area precedentemente emersa (trasgressione) innesca il ciclo
successivo. I prodotti dell’erosione, sedimentati in
ambiente sottomarino, possono dar luogo a una successione continua di unità stratigrafiche, senza che si verifichino interruzioni nella sedimentazione. In altri casi,
eventi di norma legati a fasi di deformazione comportano un’interruzione, registrata dalla mancanza delle unità
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
PROSPEZIONI GEOLOGICHE
corrispondenti, spesso ben documentata dalla paleontologia (hiatus sedimentario-cronologico). Il caso più comune è quello del sollevamento di una parte della successione con conseguente emersione (regressione). Durante questa fase la sedimentazione può proseguire in
ambiente continentale ma più spesso si attiva un processo di smantellamento e denudazione, totale o parziale, per opera degli agenti erosivi.
Una successiva trasgressione può dar luogo a una
nuova fase di sedimentazione e sovrapposizione di strati orizzontali su quelli deformati (discordanza). La casistica riguardante le discordanze stratigrafiche è molto
varia.
Le oscillazioni del livello del mare hanno incidenza
soprattutto sui margini continentali, dando luogo a variazioni della linea di costa, con conseguente diversa paleogeografia. Le cause di queste oscillazioni possono essere di natura globale (eustatismo), come l’aumento di temperatura che determina lo scioglimento dei ghiacci, o
locale, come il vulcanismo o le deformazioni della crosta terrestre. Sono state ricostruite curve di variazione
eustatica a livello globale (Vail et al., 1977) di grande
interesse per la geologia degli idrocarburi, poiché un
abbassamento del livello del mare (low-stand) determina un’attivazione dei fenomeni erosivi e una progradazione nel mare di corpi sedimentari nei quali possono
accumularsi idrocarburi.
Cronologia assoluta. Mentre i principii di cronologia relativa derivano dall’osservazione diretta sul terreno, quelli di cronologia assoluta si basano sul decadimento degli elementi radioattivi presenti nelle rocce.
Ogni elemento radioattivo si trasforma, emettendo radiazioni, in uno o più elementi non radioattivi, cioè stabili.
Il tempo necessario perché una certa quantità di elemento
radioattivo si riduca della metà (semiperiodo) è rigorosamente costante per ciascun isotopo dell’elemento stesso. La misura di questo tempo fornisce l’età assoluta
della roccia. Per datazioni di rocce molto antiche si usano
le misure di decadimento del torio e dell’uranio che si
trasformano rispettivamente in piombo ed elio; la trasformazione del torio 232 in piombo 208 ha un semiperiodo di 2⋅ 1010 anni. Misure del rapporto fra il piombo
comune (204Pb) e quelli radiogenici, cioè derivati dal
decadimento di torio e uranio (206Pb, 207Pb e 208Pb), consentono determinazioni di età assoluta. Per le prime datazioni vennero utilizzati minerali ricchi di uranio, come
la pechblenda, e si notò subito che le rocce erano molto
più antiche delle stime effettuate in precedenza, basate
sulla velocità di sedimentazione.
Altri metodi per datazioni molto antiche sono quelli del decadimento del rubidio che si trasforma in stronzio (semiperiodo di 91010 anni) e del potassio che si trasforma in calcio e argon.
In campo petrolifero la stratigrafia è fondamentale
perché permette di inquadrare nel tempo e nello spazio
VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO
le successioni sedimentarie incontrate nel sottosuolo, in
particolare le rocce madri e le rocce serbatoio. Fornisce,
inoltre, informazioni per altre indagini quali correlazioni tra pozzi, interpretazione dei dati sismici, modellizzazione di bacino e caratterizzazione dei reservoir.
Per attribuire un’età ai sedimenti attraversati dalla
perforazione e identificare il loro originario ambiente di
sedimentazione ci si avvale soprattutto della micropaleontologia (studio dei microfossili); grazie alle loro esigue dimensioni, questi microrganismi possono essere
individuati anche in piccole quantità di sedimento o in
frammenti di roccia (per esempio i cuttings). Il riconoscimento dei microfossili si effettua con il microscopio
ottico su diversi tipi di preparati (campioni lavati, sezioni sottili, ecc.) e permette di datare la successione incontrata e di costruire la colonna stratigrafica del pozzo, con
le età e i nomi delle unità stratigrafiche attraversate.
La stratigrafia trova applicazione anche durante la
perforazione, poiché, identificando gli strati che si stanno attraversando sulla base della litologia e dei microfossili presenti, consente di stabilire la posizione alla quale
è giunto il sondaggio, permettendo una migliore programmazione delle operazioni successive e, soprattutto,
una previsione più precisa dei tempi necessari per raggiungere la roccia serbatoio.
La stratigrafia è dunque uno strumento molto utile
quando la perforazione si effettua con pozzi direzionati. La conoscenza dettagliata degli strati che si stanno
attraversando permette, infatti, di stabilire, nel corso della
perforazione, le variazioni di direzione da imporre allo
scalpello al fine di intercettare e seguire, lungo la loro
estensione, gli strati mineralizzati a idrocarburi.
La sedimentologia
La sedimentologia studia la natura e la composi zione
dei sedimenti attuali e di quelli del passato (rocce se
dimentarie) per conoscerne l’origine, l’ambiente in cui
si formano, le modalità di trasporto e di deposito, nonché i processi successivi che modificano e trasformano gli accumuli sedimentari (Ricci Lucchi, 1973-1978;
Reineck e Singh, 1980; Selley, 1988; Zimmerle, 1995).
Le modalità di trasporto, deposito e sedimentazione
e le trasformazioni successive influiscono sulla porosità
e sulla permeabilità, che sono fra i parametri fondamentali
degli accumuli di idrocarburi.
In campo petrolifero questa disciplina viene principalmente utilizzata per determinare la distribuzione areale e la geometria delle rocce che possono costituire rocce
madri, vie di migrazione, serbatoi, rocce di copertura,
variazioni di facies e quindi potenziali trappole.
Alla scala regionale, di bacino, sono importanti sia
le informazioni che si ottengono dai pozzi già eseguiti,
sia quelle che provengono dai rilievi geologici di superficie. I dati di pozzo danno, infatti, informazioni ‘puntuali’, localizzate nello spazio, mentre la ricostruzione
205
ESPLORAZIONE PETROLIFERA
di strutture sedimentarie visibili negli affioramenti permette di creare modelli geologico-sedimentari, che possono essere utilizzati come riferimento per l’interpretazione di situazioni analoghe nel sottosuolo. Alla scala,
più ridotta, di giacimento, la sedimentologia permette di
studiare in dettaglio come si distribuiscono le facies del
reservoir, fornendo informazioni che consentono una
migliore conoscenza del giacimento.
2.2.5 Tettonica e geologia
strutturale
La tettonica e la geologia strutturale sono discipline che
studiano i movimenti che hanno deformato e modellato
la crosta terrestre.
Il movimento può realizzarsi con il semplice trasporto
di un corpo roccioso da un luogo a un altro o, più comunemente, con una deformazione che rompe la roccia o
ne modifica la forma e le dimensioni. La tettonica generalmente studia la storia dei movimenti e delle deformazioni dalla scala regionale fino a quella globale, mentre la geologia strutturale va dalla scala regionale alle
deformazioni microscopiche (Boccaletti e Tortorici, 1987;
Twiss e Moores, 1997).
In ambito petrolifero si applica la tettonica per studiare le deformazioni che hanno caratterizzato l’evoluzione geologica di un bacino sedimentario e che possono aver contribuito a determinare le condizioni favorevoli all’accumulo di idrocarburi.
La geologia strutturale viene impiegata in aree più
limitate per stabilire ugualmente modalità e tempi di formazione delle trappole. Con gli studi di geologia strutturale è possibile definire la configurazione attuale, ricostruire l’evoluzione progressiva delle deformazioni nel
tempo (sintesi cinematica) e stabilire le relazioni esistenti fra gli sforzi applicati e le deformazioni risultanti
(sintesi dinamica). Questa disciplina studia anche quei
processi di fratturazione che possono avere determinato, per esempio nelle rocce carbonatiche, condizioni
petrofisiche idonee alla formazione di reservoir.
Nel contesto della geologia degli idrocarburi, sono
di interesse le deformazioni delle rocce sedimentarie
(Maltman, 1994); quando queste rocce vengono sottoposte a sforzi subiscono una deformazione (strain) e
offrono una resistenza (stress) che dipende dal loro stato
fisico e dalla loro forma geometrica. Quindi un sedimento incoerente può assumere un particolare stato di
strain in risposta a un debole sforzo, con un leggero stress,
mentre un sedimento litificato richiederà una forza più
intensa, con un forte stress, per assumere lo stesso stato
di strain.
La prima forza che agisce su un sedimento è la forza
di gravità che, in funzione della comprimibilità del sedimento stesso, produce uno strain di compattazione associato a uno stress verticale, ambedue in aumento con la
profondità, secondo una relazione che lega il carico geostatico a densità e profondità.
Forze tangenziali determinano deformazioni di diversa natura in rapporto allo stato fisico della roccia sedimentaria, alla sua elasticità, alla sua omogeneità, all’intensità con cui la forza agisce in funzione del tempo e
alle condizioni di pressione e temperatura. Si effettua
una prima distinzione fra le deformazioni rigide (brittle) e le deformazioni plastiche (ductile). Le prime avvengono su rocce compatte (calcari e arenarie), che reagiscono con fratture e faglie, le seconde su rocce plastiche o incoerenti (argille e sabbie), che si deformano
piegandosi.
Se la forza agisce con bassa intensità ma in tempi
lunghi, una roccia compatta può deformarsi plasticamente; analogamente temperature e pressioni alte favoriscono deformazioni plastiche (per esempio piegamenti in calcari e arenarie compatte). Al contrario, forti
giaciture di faglie coniugate
half-grabens
horst
faglia
di distacco
faglie
faglia
faglia
antitetiche principale
principale
horst
faglie
sintetiche
half-grabens
graben
faglia
di distacco
faglia
listrica
faglia
listrica
fig. 8. Sistemi di faglie normali di norma caratterizzate da una faglia principale associata a faglie secondarie
e da faglie di distacco a basso angolo (Twiss e Moores, 1997).
casnedi2_f08
206
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
PROSPEZIONI GEOLOGICHE
limite del ricoprimento
fig. 9. Schema di falda
di ricoprimento (allochthon)
in stile compressivo
che si sovrappone
alla successione autoctona
con faglia di scivolamento
(thrust fault). L’autoctono
è esposto in finestra tettonica
(window) e un lembo
di ricoprimento (klippe)
rappresenta l’alloctono
più esterno, avulso dalla falda
per erosione
(Twiss e Moores, 1997).
limite del ricoprimento
alloctono
autoctono
finestra
tettonica
superficie di ricoprimento
intensità in tempi brevi possono produrre deformazioni rigide in rocce plastiche (per esempio fratture e faglie
nelle argille). Un fattore molto influente è l’omogeneità
della successione sedimentaria: calcari o arenarie sono
quasi sempre deformati rigidamente se si trovano in stratificazione massiccia; se invece si alternano ad argille,
come avviene in una successione torbiditica, l’insieme
tenderà a deformarsi plasticamente in pieghe anche a
stretto raggio.
Lo stile di deformazione è fondamentale nella geologia degli idrocarburi, così come il sistema roccia di
copertura-trappola strutturale (v. cap. 1.3). Esiste un’ampia casistica di deformazioni per faglia, sia di origine
distensiva (faglie normali, fig. 8) che compressiva (faglie
inverse), il cui effetto più evidente si manifesta nella
struttura a falde che caratterizza le catene (fig. 9), in particolare quella alpina (fig. 10). Anche i fenomeni di piegamento determinano trappole strutturali riconoscibili
48°
falde Elvetidi
e Ultraelvetidi
lembo di ricoprimento
della Dent Blanche
falde Austroalpine
finestra tettonica
dei Tauri
Giura
Alpi meridionali
46°
falde Pennidiche
Appennini
44°
Mare Adriatico
Mar Ligure
6°
8°
lembo di ricoprimento
10°
12°
fig. 10. Carta strutturale delle Alpi
con la distribuzione delle maggiori falde.
Le falde Austroalpine si sovrappongono
sulle Pennidi, affioranti altresì in due finestre
tettoniche (Engadina e Tauri), che ricoprono
a loro volta le Elvetidi. All’esterno della catena
il Giura autoctono ripiegato
(Twiss e Moores, 1997).
VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO
14°
dalla morfologia delle pieghe, in particolare nelle loro
culminazioni assiali (v. ancora fig. 1).
Diverse tecniche permettono di ottenere tutte le informazioni che contribuiscono alla definizione dei sistemi
fratturati e alla ricostruzione delle deformazioni strutturali. I dati acquisiti possono essere a tutte le scale: campioni e log di pozzo danno, per esempio, informazioni a
scala da pochi mm a poco più di 1 m, mentre i dati derivati dalla sismica o dalle immagini da satellite sono ovviamente a scala maggiore, da alcune decine di m a qualche km. Quando i dati sono completi si possono ricostruire modelli geologico-strutturali tridimensionali.
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Raffaele Casnedi
Dipartimento di Scienze della Terra
Università degli Studi di Pavia
Pavia, Italia
Mattia Sella
Eni - Divisione E&P
San Donato Milanese, Milano, Italia
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
PROSPEZIONI GEOLOGICHE
2.2.6 Geologia del sottosuolo
Introduzione
La geologia del sottosuolo è una disciplina che studia, mediante la tecnica della perforazione, sia la struttura delle formazioni geologiche sia i fluidi che queste
possono contenere (gas, olio e/o acqua). Tale indagine
avviene sul luogo dell’impianto di perforazione, dove il
geologo della compagnia petrolifera supervisiona il lavoro dello specialista di una società di servizio (mud logger
o diagrafista). Nel laboratorio collegato all’impianto, il
geologo studia i detriti di roccia frantumata (cuttings)
disponibili per l’intera lunghezza perforata del pozzo,
oppure studia le carote di fondo estratte dalle zone di
interesse e le carote di parete dove quelle di fondo non
erano mai state ricavate in precedenza. Un rivelatore di
gas e un gascromatografo collegati a un degassatore forniscono informazioni sulla fuoriuscita di gas durante il
flusso del fango. Il rilevamento di gas è molto importante per motivi di sicurezza e per determinare il tipo di
idrocarburi presenti nei potenziali giacimenti. Altre informazioni riguardanti i parametri di perforazione e le caratteristiche del fango – densità, resistività e temperatura –
vengono trasmesse al laboratorio di cantiere da sensori
situati sull’impianto di perforazione.
Ciò consente di ottenere un’interpretazione delle
caratteristiche della colonna litologica del pozzo, di
stabilire correlazioni con i pozzi vicini e, basandosi sull’analisi dei gas, di determinare la presenza di giacimenti
di idrocarburi.
Detriti di perforazione (cuttings)
La dimensione dei detriti di perforazione (cuttings)
dipende dal tipo di scalpello utilizzato, poiché più lunghi
sono i denti dello scalpello, maggiori sono le dimensioni
dei detriti; per esempio, gli scalpelli a inserti di diamanti
policristallini (Polycrystalline Diamond Compact, PDC)
scalfiscono la formazione ottenendo detriti molto piccoli, alquanto difficili da analizzare. Una volta in superficie, il fango procede tramite una condotta verso i vibrovagli dove i detriti vengono separati dal fango. È possibile mettere un contenitore o una pedana sotto il vibrovaglio
in modo da recuperare parte dei detriti da raccogliere per
essere analizzati dal geologo o dal diagrafista (fig. 1).
Detriti di notevoli dimensioni (più di 5 mm), detti
caving, possono cadere dalla parete del pozzo e non vengono frammentati sul fondo dallo scalpello. Il processo
di caving è un segno di instabilità del pozzo e può creare dei grossi problemi, dall’occlusione del condotto al
crollo del pozzo stesso.
La perforazione ad aria compressa, anche conosciuta col termine inglese dusting the hole, produce detriti
molto fini. È necessario estrarre una gran quantità di
campioni per recuperare dalla polvere alcuni detriti utili.
fig. 1. Cuttings osservati
al microscopio
(per cortesia di
Geoservices S.A.).
VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO
209
ESPLORAZIONE PETROLIFERA
Un’altra potenziale fonte di difficoltà consiste nella
perdita di fango in pozzo, in quanto alcuni dei detriti
vengono persi oppure arrivano in ritardo rispetto al loro
tempo di risalita teorico. L’analisi viene resa più complicata dall’aggiunta al fango di materiali per controllare le perdite e dalla difficoltà nell’eliminarli.
Tempo di risalita dei detriti (lag time)
Il tempo impiegato dal flusso di fango per trasportare i detriti dal fondo del pozzo alla sua superficie è conosciuto con il nome di tempo di risalita o lag time, la cui
formula generale è la seguente:
tempo di risalita (min) volume anulare del
pozzo (l) / portata del fango (l/min)
Il volume anulare viene calcolato nel modo seguente:
volume anulare volume del/i foro/i aperto/i
volume interno del tubo di rivestimento volume lineare interno volume interno della eventuale colonna montante (riser) volume esterno
della batteria di perforazione
La portata è data dall’espressione:
portata volume della corsa del pistone della
pompa rendimento della pompa numero delle
corse del pistone della pompa al minuto
Potrebbe rivelarsi utile sapere anche il numero delle corse
del pistone della pompa necessarie a far risalire il flusso di fango dal fondo, secondo la relazione:
numero di corse volume anulare / (volume
descritto dalle corse rendimento della pompa)
Nella perforazione offshore in acque profonde, è talvolta necessaria una pompa ausiliaria per aumentare
la velocità del fango nel riser di grande diametro. In
questo caso, il tempo necessario al fango per spostarsi dallo scalpello alla testa del pozzo e da questa alla
superficie deve essere calcolato separatamente e quindi sommato.
Il problema nasce dal fatto che il tempo di risalita
dipende dal diametro del foro del pozzo aperto, il quale,
in teoria, è lo stesso del diametro dello scalpello. In realtà,
tuttavia, il caving potrebbe aumentare notevolmente il
volume del pozzo rendendo il tempo di risalita calcolato minore rispetto a quello reale.
Vi sono diverse tecniche per controllare l’accuratezza della valutazione del tempo di risalita. Originariamente ciò veniva fatto versando riso colorato di rosso
nel condotto, in superficie, e lasciando che il riso venisse trasportato verso il fondo dal flusso di fango e poi di
nuovo verso la superficie. La misurazione del tempo che
il riso impiegava per arrivare al vibrovaglio forniva un
valore accurato del cosiddetto ciclo breve, cioè della
somma del tempo di risalita più il tempo che il fango
210
impiegava per andare all’interno della batteria di perforazione a partire dalla superficie fino al fondo.
Per evitare l’occlusione dell’ugello, è di uso comune ricorrere al carburo di calcio (che forma acetilene
quando si trova a contatto con l’acqua), o al propano (i
due gas vengono poi monitorati da un rivelatore). Con
questa tecnica occorre assolutamente prendere in considerazione il tempo di transito del gas dal degassatore al
rivelatore.
Campionatura
Diversi tipi di campioni vengono prelevati dallo specialista della società contrattista e mandati ai clienti per
analisi ulteriori:
• terreno umido e non lavato: 500 cm3 di campione non
lavorato (direttamente dal vibrovaglio) e riposto in
una busta di plastica sigillata;
• terreno umido e lavato: 150 cm3 di campione lavato
e riposto in una busta di plastica sigillata;
• terreno lavato ed essiccato: 20 cm3 di campione lavato, essiccato al forno e riposto in buste di carta sigillate;
• campione geochimico: 750 cm3 di campione non
lavorato, riposto in un contenitore e poi coperto con
una soluzione battericida; questo tipo di campione è
utilizzato per gli studi geochimici.
Un campione puntuale consiste in una piccola quantità di detriti prelevata, con l’unico scopo di analizzarla,
alla fine della circolazione, prima di una manovra (trip)
o quando una qualche drastica variazione nella velocità
di penetrazione indica una variazione litologica.
Procedimento generale d’analisi
Secondo il programma di esplorazione geologica, lo
specialista della società contrattista preleva un campione di detriti a un dato intervallo della perforazione (per
esempio ogni 5 m). Ciò significa che se lo scalpello sta
perforando a una profondità di 1.000 m alle ore 12, conoscendo il tempo di risalita (per esempio 45 min), l’analizzatore prenderà un campione sul vibrovaglio alle ore
12 e 45 min. Ciò che viene recuperato corrisponde quindi all’intervallo compreso tra 995 e 1.000 m.
Nel laboratorio di cantiere in cui viene svolta l’attività di registrazione dei dati della perforazione (mudlogging), la prima cosa che occorre fare è controllare l’esistenza o meno di un fenomeno di fluorescenza, che
potrebbe indicare la presenza di una impregnazione da
olio; a tale scopo una piccola quantità di detriti viene
osservata con una lampada a raggi ultravioletti chiamata fluoroscopio.
Per ottenere un’analisi accurata, un volume costante
di detriti deve essere lavato attraverso tre setacci (di 5
mm, 0,25 mm e 0,063 mm), come mostrato in fig. 2. Con
un fango a base d’acqua, i campioni vengono lavati con
acqua; con un fango a base d’olio, vengono lavati con olio
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
PROSPEZIONI GEOLOGICHE
e, nel caso di una deposizione ritmica, esso conterrà
diversi tipi di roccia.
setaccio 2 (o 5) mm
Attrezzatura per l’analisi dei detriti
franamenti ?
campione
grezzo
setaccio 0,25 mm
lavaggio
setaccio
0,063 mm
essiccazione
lavaggio
I materiali necessari per analizzare i detriti sono fondamentalmente: a) le pinzette per maneggiarli; b) un ago
per saggio ‘alla tocca’ per esaminarne la durezza; c) un
vassoio di porcellana per effettuare i test chimici ‘alla
tocca’; d) un microscopio binoculare per osservare i detriti umidi; e) un calcimetro per determinare la quantità di
carbonato di calcio e di dolomite. I reagenti chimici utilizzati per i test in generale sono: a) una soluzione al
10% di acido cloridrico; b) una soluzione al 10% di acido
nitrico; c) il cloruro di bario; d) il nitrato di argento; e)
i coloranti alizarina e fenolftaleina.
Calcimetria
fluoroscopio
microscopio
campioni
di riferimento
La calcimetria è un metodo di indagine mediante il
quale si misura il contenuto di carbonato di calcio di una
roccia, consentendo così di determinare la quantità di
calcare e di dolomite in essa presenti. Esso consiste nel
trattare con acido cloridrico un peso standard di campione finemente macinato e nel misurare il volume di
biossido di carbonio, per esempio sviluppato dalla reazione chimica:
CaCO32HCl→ CaCl2CO2H2O
bagnato
non lavato
trattamento
geochimico
calcimetria
densità
delle argille
lavato
ed essiccato
fig. 2. Procedura di analisi del campione.
diesel o con olio, e poi vengono risciacquati con un detergente. Quando si perfora argilla plastica è importante che
il volume dei campioni sia costante; il materiale argilloso è molto piccolo e passa attraverso il setaccio da 0,063
mm, risultando alla fine completamente dilavato. La parte
rimanente è costituita prevalentemente da sabbia e il suo
volume viene misurato in un tubo graduato al fine di
determinare le percentuali relative di sabbia e di argilla.
La frazione grossolana che rimane nel setaccio superiore proviene dal caving. La parte che rimane nei due
setacci inferiori viene osservata con un microscopio in
modo tale da poter descrivere i diversi tipi di roccia. Esistono numerosi test chimici che permettono di individuare il tipo di roccia con il quale abbiamo a che fare.
Inoltre è anche importante determinare le percentuali dei
diversi tipi litologici; il campione prelevato, infatti, corrisponde a un intervallo di profondità che va da 1 a 10 m
VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO
La registrazione della velocità di questa reazione ci fornisce informazioni sulla presenza delle sostanze sopracitate, soprattutto della dolomite; una reazione veloce
(meno di 1 min) indica, infatti, la presenza di calcare,
mentre una reazione lenta è caratteristica della dolomite. Nel caso del calcare dolomitico, la curva è divisa in
due parti: la prima riguarda la reazione del calcare (fino
a 1 min), la seconda quella della dolomite (dopo 1 min
fino alla fine del processo). Anche dall’esame del residuo si possono ottenere dati interessanti poiché potrebbe fornire un’indicazione della presenza di sabbia, di
argilla o di minerali accessori presenti nei carbonati.
La calcimetria quantitativa, inoltre, permette anche
di tener conto delle combinazioni argilla-carbonato: a)
un’argilla calcarea contiene dal 10 al 35% di carbonati;
b) una marna dal 35 al 65%; c) un calcare argilloso dal
65 al 90%; d) un calcare puro ne contiene più del 90%.
Densità delle argille
È anche possibile misurare la densità delle argille
allo scopo di prevedere sovrapressioni dovute alle argille sotto compattazione. In condizioni normali, la compattazione aumenta con la profondità e l’acqua di formazione è espulsa con il diminuire della porosità; in alcuni casi, tuttavia, l’acqua non può essere eliminata in tempo
e rimane intrappolata nel sedimento. L’eliminazione dell’acqua dalle argille dipende da tre fattori: la permeabilità verticale molto bassa dell’argilla; la sedimentazione
211
ESPLORAZIONE PETROLIFERA
e le velocità di affossamento (se la velocità di sedimentazione è molto alta, l’argilla è sepolta a notevole profondità prima che l’acqua abbia il tempo di fluire via e quindi rimane intrappolata nel sedimento, per esempio in
zone deltizie); l’efficacia del drenaggio (gli strati sabbiosi agiscono da drenaggio e facilitano l’eliminazione
dell’acqua; per esempio, se l’argilla ha meno del 15% di
contenuto sabbioso, si avrà un’assenza di drenaggio).
L’acqua in eccesso provoca una diminuzione nella densità dell’argilla. Quando si riporta in un grafico la densità delle argille in funzione della profondità, un’inversione nella tendenza della densità individua la parte superiore che è una zona sottocompattata.
Il principio della misurazione della densità delle argille consiste nel dividere il peso in aria di un campione
d’argilla per lo stesso peso nell’aria meno il peso del
campione immerso nell’acqua.
Preparazione e uso delle soluzioni analitiche
più comuni
Per distinguere il carbone dalla lignite si utilizza acido
nitrico al 10%, poiché la lignite dà luogo a una soluzione tendente al marrone; invece, per individuare il carbonato di calcio e la dolomite si usa acido cloridrico al
10%. A contatto con l’acido, il carbonato di calcio reagisce velocemente producendo un’effervescenza dovuta all’emissione di biossido di carbonio, mentre la dolomite ha una reazione più lenta.
Per determinare i solfati presenti nel gesso e nell’anidrite si ricorre a una soluzione di cloruro di bario preparata con 61 g di questo sale diluito in 1.000 cm3 di
acqua distillata. In questa soluzione i solfati danno luogo
a un precipitato lattiginoso.
L’alite viene individuata utilizzando una soluzione di
nitrato di argento con la quale darà un precipitato lattiginoso, che diventa nero se viene esposto alla luce.
Per mettere in evidenza i cristalli di dolomite in un
calcare dolomitico si adopera una soluzione di rosso di
alizarina preparata con un 1 g di alizarina rossa dissolta
in 998 cm3 di acqua distillata e 2 cm3 di acido cloridrico concentrato. La soluzione di alizarina colora di rosso
il calcare ma non agisce sulla dolomite.
Il cemento industriale viene rilevato con una soluzione di fenolftaleina preparata con 1 g di polvere di questa sostanza in 50 cm3 di metanolo o di etanolo. Tale soluzione viene usata dopo una cementazione del casing per
determinare la quantità di cemento nei campioni. Il cemento, infatti, viene colorato di rosso dalla fenolftaleina.
Analisi dei detriti
Il primo passo nell’analisi dei detriti implica l’uso di
un ago per determinare se la roccia è tenera, compatta o
dura. Una roccia bianca, tenera e adesiva, che si dissolve completamente nell’acido, è il calcare tipo gesso; se
la roccia non reagisce chimicamente con un acido si tratta
212
di argilla, mentre una reazione minima indica una presenza di marna, definibile mediante un’analisi calcimetrica quantitativa, che fornisce un risultato che va dal 35
al 65% di carbonato di calcio.
Granelli disciolti possono essere definiti sabbia, ma
potrebbero anche essere interpretati come arenaria frantumata dallo scalpello. Un campione che mostra una
minima o nessuna reazione all’acido, può essere facilmente graffiato con un’unghia, è trasparente da bianco
a rosa e dà un test positivo di cloruro di bario, è gesso o
anidrite (il primo, inoltre, è più fragile e più leggero della
seconda).
L’alite (salgemma) ha una minima o nessuna reazione all’acido, è trasparente da bianco a rosa, si scioglie
nell’acqua, ha un sapore salato e reagisce positivamente
al test col nitrato d’argento. La lignite è una roccia nera
e fibrosa che reagisce positivamente al test dell’acido
nitrico. L’argilla è un detrito solido con una minima o nessuna reazione in acido, si graffia e si rompe facilmente
con un ago e, infine, è refrattaria a qualsiasi test chimico. Per quanto riguarda le rocce dure, una forte reazione
con un acido e una quantità di carbonato di calcio superiore al 65% sono indici caratteristici del calcare. La dolomite dà luogo a una reazione chimica più lenta. Inoltre
un test colorimetrico all’alizarina consente di individuare i cristalli di dolomite in un calcare dolomitico. Una
minima reazione all’acido ma con una gran quantità di
residuo molto fine indica la presenza di marna.
Una roccia molto dura che non può essere graffiata
con un ago, ma che graffia il vetro, è una roccia silicea
(chiamata selce se è nera, mentre le selci verdi o rosse
sono il diaspro o le radiolariti). Un calcare siliceo reagirà con l’acido cloridrico. Talvolta alcune rocce ignee,
come per esempio il basalto, possono essere perforate.
Un insieme di molti grani cementati tra loro può essere interpretato in modi diversi: se è possibile separare
visivamente i grani e se vi sono delle sabbie disciolte presenti nel campione, si tratta di arenaria. Dopo la cementazione del casing, nei campioni il cemento può assumere l’aspetto di un’arenaria, ma esso può essere identificato mediante il test con la fenolftaleina. Se invece i grani
si uniscono e sono disposti a caso, con molta mica, siamo
in presenza di granito o di un’altra roccia plutonica.
Preparazione di sezioni sottili
Le sezioni sottili vengono realizzate allo scopo di
determinare il tipo di roccia, per fornire informazioni
qualitative riguardanti la dimensione dei pori e la loro
interconnessione e infine per facilitare l’identificazione
dei microfossili. Tali sezioni – molto utili per l’individuazione dei carbonati – possono essere realizzate sui
detriti di perforazione o su quelli delle carote.
Esistono due metodi per ottenere sezioni sottili: quello convenzionale, dove i campioni vengono incollati
direttamente su un vetrino, e quello in cui i campioni
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
PROSPEZIONI GEOLOGICHE
la natura e la cristallizzazione del cemento o della matrice, i minerali accessori (pirite, calcite, quarzo e così via),
i fossili, la stima della porosità visiva e indicazioni sulla
presenza di idrocarburi, che possono essere di vario tipo:
visive (macchie, eruzione di gas), da fluorescenza diretta (estensione, intensità, colore), da fluorescenza indiretta (velocità, intensità, colore). Altre caratteristiche
possono essere aggiunte alla fine della descrizione.
Il masterlog o mud log
fig. 3. Cuttings con la fluorescenza diretta
(Geoservices S.A.).
(non coerenti o molto fragili) vengono invece collocati
in una matrice modellata fatta con una resina trasparente. Il primo metodo è utilizzato al meglio quando le rocce
sono aderenti e non molto fragili e i detriti vengono levigati su un piattino di vetro ricoperto da polveri abrasive, finché diventano trasparenti e possono essere osservati con un microscopio.
Il masterlog è il documento finale che contiene tutti
i dati riguardanti il pozzo. Una interpretazione della
colonna litologica sul masterlog viene realizzata con l’ausilio di tutte le informazioni disponibili (percentuale dei
detriti, velocità di avanzamento, manifestazioni di gas,
raggi gamma e così via).
Un masterlog standard contiene le seguenti colonne
(da sinistra a destra): a) data; b) curva della velocità di
avanzamento, dati dei log elettrici (raggi gamma, resistività), profondità, caratteristiche dello scalpello, indicazioni della manovra, diametro del casing e profondità
della scarpa; c) percentuali dei detriti; d ) fluorescenza
diretta e indiretta da frazione del detrito; e) curva totale
del gas; f ) tutti i gas individuati con l’analisi cromatografica (dal metano al pentano); g) interpretazione litologica; h) dati del fango; i) descrizione geologica e misura della deviazione del pozzo.
Rilevamento degli idrocarburi
Gli oli danno fenomeni di fluorescenza se sottoposti
all’azione dei raggi ultravioletti, mediante un’apposita
lampada. Gli oli naturali hanno un colore fluorescente
opaco e ‘sporco’ (fig. 3), mentre quelli artificiali e i grassi hanno un colore brillante e ‘vistoso’. È importante
distinguere fra i due perché il grasso della batteria di
perforazione potrebbe essere presente anche nei detriti
e quindi essere inteso, erroneamente, per una manifestazione della presenza di idrocarburi.
Un test di ‘fluorescenza indiretta’ viene effettuato su
un campione essiccato: alcune gocce di solvente vengono versate sui detriti e poi messe sotto una lampada a raggi
ultravioletti. Questo test elimina il rischio di interpretare
la fluorescenza minerale (eventualmente dovuta alla calcite e alla fluorite) come fluorescenza da olio (fig. 4). Gli
oli morti e gli asfalti non possiedono una fluorescenza
diretta ma mostrano una forte fluorescenza indiretta.
Interpretazione della colonna litologica
L’interpretazione di una colonna litologica si effettua con l’ausilio di diverse fonti di informazione, innanzitutto le percentuali e le descrizioni dei detriti. Tali percentuali sono rappresentative di un intervallo di perforazione (1 m se la perforazione è lenta, ma potrebbe
arrivare a 10 m all’inizio del pozzo o nel caso in cui ci
Descrizione del campione
Il campione viene sempre descritto nel seguente modo
standard: nome della roccia, colore, durezza e fissilità,
elementi o granuli. La descrizione di quest’ultimo fattore dipende dal tipo di roccia: per esempio, per i carbonati viene riportata la natura del granulo e la sua dimensione, mentre per le rocce clastiche si definiscono anche la dimensione del granulo, la rotondità, la sfericità
e l’assortimento. La descrizione continua poi con il tipo,
VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO
fig. 4. Cuttings con la fluorescenza indiretta
(Geoservices S.A.).
213
ESPLORAZIONE PETROLIFERA
fosse un’alta velocità di perforazione) e quindi potrebbero contenere varie litologie mescolate insieme. La presenza di manifestazioni di gas aiuta a determinare la posizione dei livelli porosi/permeabili (generalmente arenarie o calcari fratturati). Le variazioni rilevabili sulla curva
della velocità di perforazione permettono di localizzare
le parti superiori e quelle inferiori degli strati di diversa
durezza o perforabilità. La curva calcimetrica evidenzia
i livelli dei carbonati (calcare, dolomite e marne). La presenza di livelli di sale è indicata da una diminuzione nella
resistività del fango. Altre informazioni utili vengono
fornite dai log di raggi gamma e dal log di resistività quando durante la perforazione è disponibile la registrazione elettrica, detta in inglese Logging While Drilling
(LWD). I log di raggi gamma mostrano i livelli di argilla, e la resistività può individuare diversi tipi di fluidi (è
alta per l’acqua dolce e gli idrocarburi ed è bassa per
l’acqua salata).
Carote
L’analisi dei detriti è limitata poiché è molto difficile trovare elementi macroscopici da valutare; essi, però,
possono essere studiati in una carota, cioè in un cilindro
di roccia perforata con uno scalpello diamantato a forma
di corona circolare (il cilindro è intrappolato in un carotiere posto sopra lo scalpello). Possono essere prelevati
due tipi di carote: per gli studi litologici oppure per conoscere le caratteristiche del giacimento. La carota litologica fornisce informazioni sulle strutture sedimentarie,
le fratture, i macrofossili, l’inclinazione e lo spessore
della stratificazione, la granulometria nei conglomerati, ecc. Una carota prelevata in un giacimento permette
di valutare la sua porosità, la sua permeabilità e il suo
grado di saturazione in acqua e in olio.
La più semplice analisi della carota effettuata in cantiere include un esame fisico della superficie della carota, il prelevamento di frammenti per la descrizione litologica e un test per individuare la presenza di idrocarburi (con luce normale e ultravioletta). Se la carota è
protetta da un manicotto, i campioni possono essere prelevati solo dalle estremità di ciascuna sezione. Alla fine,
il geologo di cantiere compila un rapporto nel quale
descrive la carota basandosi su tale esame.
Se la carota non è protetta da un manicotto, è possibile osservarne l’intensità e il colore della fluorescenza.
L’intera carota, inoltre, dovrebbe essere descritta dettagliatamente nel modo seguente: aspetto, caratteristiche
litologiche degli strati, strutture sedimentarie. Si preleva un piccolo campione ogni volta che vi è un cambiamento degno di nota (facies, litologia, durezza, porosità
apparente, granulometria e colore). Se la litologia è uniforme, viene prelevato un campione a ogni metro.
Se si vuole effettuare un’analisi dettagliata della carota in un posto diverso dal cantiere, essa deve essere imballata il prima possibile dopo il prelevamento dei campioni.
214
Quando l’imballaggio è completo, viene effettuata un’ulteriore analisi sui campioni: a) indagine col microscopio binoculare; b) analisi calcimetrica; c) test della fluorescenza indiretta; d) realizzazioni di sezioni sottili. Una
volta che l’analisi è completa, viene compilato un rapporto sulla descrizione della carota con le seguenti informazioni: a) intervallo carotato e percentuale di recupero (il più delle volte si perde parte della carota nel
foro quando viene estratto il carotiere); b) profondità
della campionatura; c) descrizione litologica; d) risultati della calcimetria; e) fluorescenza qualitativa (diretta e indiretta).
Carote di parete
Le carote di parete sono utili per l’acquisizione di
informazioni dopo aver perforato un pozzo o parte di
esso senza che sia stato effettuato alcun carotaggio. Le
carote vengono prelevate per mezzo di uno speciale fucile disceso mediante un cavo. I minicarotieri vengono sparati con esplosivi che penetrano la formazione. Essendo
i carotieri collegati al fucile da un cavo, l’estrazione del
fucile fa estrarre tutte le carote.
Le carote di parete vengono prelevate a discrezione
del geologo di cantiere, di solito dopo aver completato la
perforazione in una determinata fase. Vengono prelevate
numerose carote sulla parete del pozzo al fine di sondare
la zona di interesse (giacimento o altra zona critica).
Per impedire la perdita dei fluidi recuperati, subito
dopo il recupero le carote vengono conservate in recipienti di vetro. Sul cantiere di perforazione, l’esame della
carota di parete è dunque limitato soltanto a una descrizione visiva, senza che venga effettuato alcun esame
microscopico.
Fango di perforazione
L’analisi del fango di perforazione costituisce anch’essa una ricca fonte di informazioni. Una diminuzione nella
resistività del fango che fuoriesce dal pozzo può indicare la presenza di sali, che può avere due origini: perforazione di strati di sali oppure acqua salata prodotta da
una formazione ad alta pressione. Se i sali si trovano in
strati sottili, potrebbero dissolversi completamente in un
fango a base d’acqua e non sarà possibile individuarli
nei detriti. Le variazioni nella densità del fango permettono di distinguere questi vari tipi di origine dei sali.
L’aggiunta di acqua al fango ne diminuisce la densità, e
tale diminuzione di densità si manifesta anche in presenza di invasione fluida, come gas od olio.
Gas
Idrocarburi
I più importanti idrocarburi rilevati sono gli alcani
o paraffine. La rilevazione che va dal metano al pentano è realizzabile con attrezzature standard, ma l’uso di
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
PROSPEZIONI GEOLOGICHE
spettrometri di massa associati a un degassatore/riscaldatore permette di individuare gli alcani che vanno dal
metano all’ottano, nonché i composti aromatici (benzene, toluene, xilene). Tutte queste sostanze sono altamente infiammabili e potenzialmente pericolose in caso
di eruzione.
A seconda della proporzione gas-olio nel giacimento, possiamo definire diversi tipi di gas: un gas secco,
che contiene meno di 1,3 l di liquidi condensabili per
100 m3 di gas e un gas umido, che ha più di 4 l di liquidi condensabili per 100 m3 di gas. In un giacimento sottosaturo, il gas è dissolto in olio. Un giacimento saturo
ha una cappa di gas (denominato gas libero) che occupa la parte superiore del giacimento stesso; in generale,
comunque, il gas potrebbe anche essere dissolto in acqua.
Gli idrocarburi, infine, possono essere contenuti all’interno di una gabbia di acqua congelata sotto forma di
clatrati (idrati di idrocarburo), che hanno l’aspetto della
neve e sono stabili ad alta pressione e a bassa temperatura. I clatrati sono stati riscontrati in alcuni sedimenti
in Alaska e in Siberia, ma anche in operazioni di perforazione in mare profondo.
Altri gas
Un gas contenente idrogeno solforato (H2S) è chiamato gas acido. Quando l’idrogeno solforato è presente in basse concentrazioni ha lo stesso odore delle uova
marce, invece le alte concentrazioni rendono l’odore
meno forte. Esso è estremamente tossico e letale quando le concentrazioni in atmosfera superano 500 ppm.
Inoltre è anche infiammabile e molto corrosivo nei confronti dei metalli (l’attrezzatura di perforazione diventa
nera e si spezza facilmente). Il rischio maggiore in un
impianto di perforazione è proprio la possibilità di una
eruzione di questo gas.
Il biossido di carbonio (CO2) non è infiammabile,
ma la sua alta solubilità in acqua provoca una grande
espansione del suo volume e quando arriva in superficie può causare una eruzione.
L’idrogeno (H2) è altamente infiammabile, ma la sua
presenza in un pozzo è spesso dovuta all’azione di metallo contro metallo o a reazioni elettrolitiche provocate da
un contatto metallo-prodotti fangosi.
L’elio (He) è un gas inerte creato sotto forma di radiazione alfa a causa della disintegrazione di elementi
radioattivi riscontrati nella crosta terrestre; esso si sposta attraverso la litosfera nelle fratture delle rocce.
Valutazione dei gas
Un gas che raggiunge la superficie potrebbe esistere in una fase diversa nel giacimento, a seconda della
temperatura e della pressione, della composizione in idrocarburi, della quantità di gas dissolto nell’olio e nell’acqua e del tipo di giacimento (saturo o insaturo). Durante il percorso verso la superficie, ovviamente il volume
VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO
del gas aumenta con il diminuire della pressione. Questa espansione segue l’equazione:
VS(VRZSTSPR) (ZRTRPS)
dove PR rappresenta la pressione del gas nel giacimento
(kPa), PS la pressione del gas in superficie (kPa), TR la
temperatura del gas nel giacimento (K), TS la temperatura del gas in superficie (K), VR il volume del gas nel
giacimento (m3), VS il volume del gas in superficie (m3),
ZR il fattore di compressibilità del gas nel giacimento e
ZS il fattore di compressibilità del gas in superficie.
Il gas liberato è quello contenuto nei pori del volume di roccia perforato, di conseguenza la sua quantità
dipende dalla porosità della roccia medesima. Il volume
di gas liberato aumenta con la permeabilità e con la porosità della formazione, con il diametro del pozzo e con la
velocità di penetrazione dello scalpello.
Il gas prodotto si manifesta quando la pressione del
gas di formazione è maggiore della pressione idrostatica della colonna del fango di perforazione. In tal caso il
gas fluisce dalla formazione fin dentro il foro del pozzo
provocando un kick, ossia l’ingresso improvviso di un
fluido nel pozzo, o, peggio ancora, una eruzione.
Il gas riciclato è quello che non è stato eliminato dalle
attrezzature di superficie e che viene pompato di nuovo
nel pozzo. Più pesante è il gas, più difficile è la sua estrazione dal fango. Con un degassatore collocato nelle vasche
è possibile valutare e rimuovere il gas riciclato dal gas
liberato. In tal caso è necessario conoscere il tempo di
ciclo lungo del fango, cioè il tempo che il fango impiega a compiere un ciclo completo da/verso le vasche di
aspirazione.
Si denomina gas di manovra (trip gas) quello prodotto dal pistonaggio durante la manovra. Mentre il gas
viene trasferito durante il tempo di manovra, il trip gas
potrebbe arrivare prima del tempo di risalita (specialmente se la manovra è lunga).
Il pistonaggio durante la connessione delle aste produce un pipe connection gas che dovrebbe arrivare dopo
un certo tempo di risalita. Se tale gas arriva con un tempo
superiore al tempo di risalita, ciò sta a indicare uno scavernamento.
Acquisizione dei dati pratici
Rilevamento
Il degassatore rappresenta una parte importante della
catena e degli strumenti per l’analisi dei gas. Esso è collocato dopo il vibrovaglio o sul condotto di erogazione
ed estrae dal fango, sotto forma di soluzione, una parte
del gas che viene poi mescolato con aria nella camera di
degassaggio. Un degassatore standard è composto da una
camera di degassaggio immersa nel flusso di fango: un
agitatore a forma di ‘T’ ruota e rimuove il gas dal fango;
una linea collega la parte superiore della camera con una
215
ESPLORAZIONE PETROLIFERA
tubo
di gomma
8 mm. I.D.
all’unità mud logging
serbatoio
cilindrico
tubo di decantazione
valvola di controllo
galleggiante
bracci
montanti
tubolari
tubo di gomma
12 mm I.D.
motore
uscita del gas
presa d’aria
raccordo
a femmina
uscita fanghi
pala rotante
piastra rotante
per raccordo
camera
di degassamento
livello dei fanghi
raccomandato
fig. 5. Degassatore standard.
pompa a vuoto nel rivelatore di gas posto nel laboratorio geologico (fig. 5). Il problema che sorge con questo
strumento consiste nel fatto che la lettura della percentuale del gas dipende dalle variazioni del livello del fango
nella camera di degassaggio. Per eliminare tale inconveniente può essere utilizzato un degassatore di livello
costante. Il principio di base è lo stesso, ma la camera di
degassaggio non è immersa nel flusso mentre una pompa
porta il fango attraverso una sonda di aspirazione dalla
linea di flusso alla camera di degassaggio. È importante posizionare la sonda di aspirazione in prossimità del
nipplo a campana per evitare il degassaggio spontaneo
del fango. Il rivelatore di gas fornisce la percentuale di
gas nella miscela aria/gas. Il più comune sistema di individuazione del gas si basa sulla tecnologia FID (Flame
Ionization Detection).
La combustione di idrocarburi gassosi con una fiamma a idrogeno origina ioni carbonio-idrogeno caricati
positivamente e raccolti da un catodo. La conta degli ioni
viene compiuta da un elettrometro. L’intero processo è
equivalente a un contatore di carbonio. Infatti, la combustione di una molecola di metano (CH4, detto C1) produce uno ione, cioè il contatore del carbonio segna il
valore 1. Per una molecola combusta dell’etano, C2H6
(detto C2), il contatore segna il valore 2 e così via per gli
altri gas con atomi di carbonio superiori a 2 (C3, C4, ecc.).
Di conseguenza, l’individuazione del gas totale basata
sul conteggio degli atomi di carbonio da una miscela di
216
gas è fatta in termini di un equivalente di metano (dal
momento che il metano è considerato l’unità di base
avendo un solo atomo di carbonio). Tale rilevamento è
continuo e rende bene l’idea delle variazioni della percentuale di gas, che è di enorme importanza ai fini della
sicurezza.
È possibile ottenere un dato quantitativo delle diverse percentuali di gas mediante la cromatografia, che consiste in una separazione dei gas in una colonna riempita di un materiale in grado di adsorbirli in modo differenziato in base al loro peso molecolare. Così il tempo
di percorrenza del metano nella colonna sarà minore
rispetto a quello dell’etano e così via. I gas lasciano la
colonna cromatografica uno alla volta e in questo modo
possono essere bruciati e misurati nel rilevatore che utilizza il FID. L’intero processo cromatografico impiega
3 min. Con questo metodo possono essere rilevati poche
ppm di gas, ma esso è valido solo per gli alcani (dal metano al pentano).
La sostituzione del FID con uno spettrometro di massa
permette di effettuare un’analisi più rapida, di ottenere
una maggiore precisione (da 1 ppm) e di analizzare un’ampia gamma di gas (gli alcani dal metano all’ottano, i composti aromatici, il biossido di carbonio, l’elio, l’idrogeno solforato e così via).
Per quanto riguarda il campionamento del gas, si
usano due tubi di metallo collegati in parallelo al gasdotto fra il degassatore e la pompa a vuoto del rivelatore.
Un dispositivo consente di chiudere un tubo e aprire l’altro. Il tubo chiuso contiene un campione di gas e può
essere rimosso, il tubo aperto viene riempito dal flusso
del gas. Questo sistema evita l’interruzione del flusso
del gas in direzione del rivelatore.
Normalizzazione del gas
L’indice corretto di gas (Corrected Gas Index, CGI)
rappresenta una percentuale di gas normalizzato corretta per le variazioni della portata, la velocità di penetrazione (Rate Of Penetration, ROP) e il diametro dello scalpello. Il CGI è dato dalla formula seguente:
CGI(gas-nell’aria portata ROP) /volume
metrico del pozzo
dove il CGI è espresso in percentuale decimale, il gasnell’aria in percentuale decimale, la portata in m3min,
la ROP in minm, il volume metrico del pozzo in m3m.
La normalizzazione volumetrica cerca di fornire la
relazione fra i valori del gas realmente letti e un insieme standard di condizioni di perforazione per la stessa
profondità:
Gn[GaRn(Dn)2Qa] / [Ra(Da)2Qn]
dove Gn rappresenta il gas normalizzato in percentuale,
Ga la reale percentuale del gas letta dal rivelatore del gas
totale, Rn la normale velocità di penetrazione in questo
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
PROSPEZIONI GEOLOGICHE
tipo di formazione in ft/h o m/h (l’usuale velocità di penetrazione in aree produttive va dai 20 ai 30 m/h), Dn il diametro normale del pozzo in pollici (dove esistono le aree
produttive, il diametro usuale è pari al valore standard
di 8,5), Qa la portata reale in gal/min o l/min, Ra la velocità di penetrazione reale in ft/h o m/h, Da il diametro
reale del pozzo in pollici, Qn la portata normale in gal/min
o l/min (la portata usuale quando viene perforata un’area produttiva è 900-1.000 l/min).
Saturazione del gas
L’indice potenziale della superficie (Surface Potential
Index, SPI) rappresenta il volume di gas recuperato in
superficie per ogni m3 di roccia perforata (questo indice richiede di conoscere la percentuale di gas nel fango).
Lo SPI è dato dalla formula:
SPI (gas-nel-fango portataROP) /
(100 volume del pozzo)
dove lo SPI è adimensionale, il gas-nel-fango è indicato in percentuale decimale, la portata in m3min, la ROP
in minm e il volume del pozzo in m3m.
La saturazione del gas calcolata (Calculated Gas
Saturation, CGS) rappresenta il volume di gas per m3
di roccia perforata alle condizioni della temperatura e
della pressione del fondo del pozzo:
CGS(100SPIPaZTu) / (PuTa )
dove CGS è data in percentuale, Pa (pressione in superficie) in kgcm2, Z (compressibilità del gas) è ricavata
dal diagramma di Katz, Tu (temperatura della formazione) in K, Pu (pressione della formazione) in kgcm2, Ta
(temperatura della superficie) è 288 K.
Rapporti fra i gas
L’analisi dei rapporti fra i gas ha molte applicazioni:
a) la determinazione dell’origine del fluido (termogenica
o biogenica); b) la possibile miscela o diffusione nel giacimento; c) i processi di alterazione (biodegradazione,
lavaggio con acqua e così via); d) i contatti con i fluidi;
VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO
e) la valutazione indipendente sulla collocazione delle pay
zones sui siti dell’area di pagamento (contesto di acqua
dolce, letti sottili, presenza di zone stagne); f ) l’identificazione del marcatore per il geosteering, studio della connettività; g) l’efficacia della roccia di copertura; h) i criteri per il campionamento del fluido del giacimento; i) le
origini dei cambiamenti di composizione e così via.
Il confronto fra i rapporti di gas di diversi pozzi fornisce un buono strumento di correlazione. Molti rapporti
di gas sono disponibili per quest’analisi, per esempio,
leggeripesanti, C1C3, percentuali di isomeri. I rapporti iC4nC4 , iC5nC5 consentono il rilevamento della biodegradazione esercitata dai batteri che attaccano preferibilmente gli alcani normali.
Se il fluido non è stato biodegradato, alcuni autori
stimano che una percentuale di C1C2 da 2 a 15 indichi
un’area potenzialmente ricca di olio, mentre una percentuale fra 15 e 65 indichi un’area a gas. Più bassa è la
percentuale di C1C2 , più ricco sarà il gas (o più bassa
la densità dell’olio). Una percentuale di C1C2 minore
di 2 o maggiore di 65 probabilmente indica una zona non
produttiva.
Bibliografia generale
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in: Proceedings of the Society of Petroleum Engineers
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1-4 October, SPE 65176.
Jean-Claude Dereuder
Geoservices S.A.
Le Blanc Mesnil, Francia
217
ESPLORAZIONE PETROLIFERA
tura o di faglia, avviene in sedimenti argilloso/siltosi
non consolidati e pregni di acqua. Le eruzioni di fango
creano corpi conici e sono frequenti gli episodi parossistici a carattere esplosivo e le forti emissioni gassose
in grado di alimentare fiamme poderose. Solitamente
questi corpi misurano pochi metri in altezza, come quelli dell’Appennino Emiliano, ben descritti fin dal Settecento da naturalisti come Antonio Vallisneri e Lazzaro
Spallanzani, ma alcuni, come quelli dell’area di Baku
in Azerbaigian, raggiungono altezze di diverse decine
di metri. L’area di Baku, con i suoi vulcani di fango e
tutti i fenomeni connessi (fontane di petrolio, esplosioni e accensioni di gas metano) è, nella storia, la località
petrolifera più celebrata, visitata e descritta da viaggiatori, naturalisti e geologi che si occupano di petrolio.
Basti ricordare l’antichissimo tempio di Zoroastro (il
tempio del fuoco perenne), le citazioni delle ‘fontane di
olio’ nel Milione di Marco Polo (seconda metà del 13°
secolo), gli antichi pozzi di petrolio scavati a mano
(documentati già nel 16° secolo) e il primo moderno
pozzo di petrolio (perforato, vicino a Baku, nel 1848,
11 anni prima del più celebrato pozzo del Colonnello
Drake in Pennsylvania),
A differenza dei gas, per i quali le analisi offrono di
regola solo indicazioni sul tipo di fenomeno generativo
(biogenico o termogenico) e sul suo grado, per gli oli/bitumi si può spesso ricostruire, in assenza di alterazioni
come la biodegradazione, una più precisa caratterizzazione della roccia madre. I campioni di bitumi/asfalti
devono essere scelti fra i meno alterati, avendo l’accortezza di conservarli o in recipienti di vetro o avvolti in
pellicola di alluminio. Tramite analisi gascromatografiche, isotopiche e di spettrometria di massa, è possibile
dedurre la facies litologica, l’ambiente di sedimentazione, il tipo di materia organica e l’età approssimativa della
roccia madre.
Inquadrando correttamente i diversi tipi di oli/bitumi, la loro distribuzione areale, la frequenza e l’entità
dei ritrovamenti, è possibile dedurre l’importanza di un
determinato evento naftogenico. Con l’analisi degli idrocarburi liberi estraibili da potenziali livelli naftogenici, è possibile ottenere una esaustiva correlazione olioroccia madre.
Le manifestazioni in superficie di petroli e asfalti
hanno incuriosito l’uomo fin dall’antichità ed è superfluo ricordarne gli innumerevoli usi. I primi sfruttamenti
avvenivano per semplice coltivazione del prodotto che
emergeva naturalmente, o con la tecnica dei pozzi di
grande diametro scavati a mano. Lo sfruttamento industriale tramite pozzi di piccolo diametro trivellati è, nei
vari luoghi del mondo, sempre partito dalle aree che presentavano ricche manifestazioni naturali in superficie.
Le manifestazioni sono molto spesso espressione di
dismigrazioni di petrolio da giacimenti solitamente piccoli e poco profondi. Esse generalmente danno vita, in
220
fig. 6. Sorgente di acqua, petrolio e gas
di Tramutola (Val d’Agri, Basilicata).
Nel ruscello, immediatamente a valle
della sorgente, sono evidenti le chiazze
di denso petrolio, mentre al bordo è visibile
una concrezione di asfalto (Eni).
una determinata area petrolifera, a un primo ciclo di
esplorazione, sovente limitato nel tempo e nelle quantità di olio recuperato. Solo con il maturare di nuovi
approcci di ricerca un’area può essere soggetta a rivalutazioni continue che possono alla fine alimentare più
cicli esplorativi.
La storica sorgente di acqua e petrolio di Tramutola
in Val d’Agri, Basilicata (fig. 6), per esempio, è stata originata dall’emersione in superficie, per scarsa tenuta
della roccia di copertura, di petrolio e gas da un modesto accumulo poco profondo sfruttato negli anni Trenta
del secolo scorso. Quest’accumulo è, a sua volta, il risultato di una dismigrazione da un accumulo più profondo.
Un secondo ciclo esplorativo, iniziato negli anni Ottanta, avente come obiettivo il reservoir sottostante, dotato
di coperture più efficaci, ha permesso di scoprire il più
grande giacimento onshore di petrolio dell’Europa occidentale. L’olio affiorante in superficie è risultato, quindi, l’indizio di un processo naftogenico identificante un
sistema petrolifero attivo di primaria importanza.
Nel corso dell’ultimo decennio si stanno affermando metodologie in grado di rilevare e interpretare le
minime tracce di idrocarburi che arrivano in superficie
da un accumulo anche molto profondo. Tramite l’analisi geochimica di queste tracce di idrocarburi è possibile elaborare carte di anomalie positive in base alla
comparazione con mappe strutturali di orizzonti profondi. Il campionamento si attua tramite carotaggio del
suolo (o di sedimenti di fondo mare), o cattura diretta
(solo in terraferma) degli idrocarburi tramite moduli
adsorbenti lasciati infissi nel terreno per alcuni giorni.
Questa metodologia è meglio applicabile in aree con
giacimenti noti. Si può infatti eseguire una calibrazione
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
PROSPEZIONI GEOLOGICHE
delle caratteristiche delle tracce di idrocarburi rilevabili in superficie sulla verticale dei pozzi mineralizzati (segnale oil-like) e una sulla verticale dei pozzi
sterili, in modo che si possa ottenere anche un segnale di background, cioè un valore di fondo determinato dall’insieme di segnali estranei al tipo dell’olio dei
giacimenti. Successivamente, attraverso un opportuno
trattamento statistico dei dati, si può attribuire a ogni
punto di campionamento, in aree non esplorate da pozzi,
un valore che indica la probabilità di appartenere alla
categoria oil-like (segnalazione di un possibile accumulo profondo) o a quella di background, cioè di fondo,
sterile.
Un metodo indiretto di ricerca, l’iperspettrometria,
utilizza uno spettrometro montato su un aereo. Lo spettrometro analizza un elevato numero di bande dello spettro elettromagnetico e lo studio si basa sull’analisi dei
cambiamenti chimico/biologici indotti nei suoli e nella
vegetazione dagli idrocarburi. Questa metodologia è utilizzata soprattutto per individuare le aree inquinate da
petrolio, facilitando le operazioni di ripristino ambientale. In fase sperimentale è applicata in aree di esplorazione di frontiera, per le quali si hanno solitamente dati
geologici limitati e di difficile accesso, per individuare,
nel terreno, eventuali manifestazioni naturali di idrocarburi, indizio di un possibile sistema petrolifero attivo in
quel bacino sedimentario.
In mare si può individuare la presenza di manifestazioni di idrocarburi utilizzando strumenti di telerilevamento (per esempio, radar satellitari o laser aerotrasportati); studi comparativi di immagini eseguite in tempi
successivi permettono di distinguere le anomalie generate da inquinamento (per esempio scarichi di petroliere) da quelle determinate da manifestazioni naturali di
idrocarburi.
Roccia madre: un componente
del sistema petrolifero
Per capire dove sia possibile trovare e mettere in produzione giacimenti di olio o gas è necessario studiare il
sistema petrolifero. Il termine petrolio in questo contesto si riferisce alla generazione di olio e di gas da una
roccia madre. Quantità commerciali di idrocarburi possono essere trovate solo quando tutti gli elementi e i processi di un sistema petrolifero sono presenti al momento opportuno. Gli elementi di un sistema petrolifero sono:
la roccia madre, il percorso di migrazione, la trappola,
la copertura impermeabile e il carico sedimentario. I processi di un sistema petrolifero sono: la generazione, l’espulsione, la migrazione, la degradazione termica, l’alterazione batterica e la miscelatura di più oli. Per permettere che una trappola possa essere caricata, i vari
processi devono avvenire secondo una sequenza ben
determinata, per esempio la trappola deve essere pre-
VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO
sente durante la fase di generazione ed espulsione degli
idrocarburi, che altrimenti andrebbero persi o accumulati in quantità non commerciali.
Se sono disponibili campioni di roccia provenienti
da pozzi o da affioramenti, essi rappresentano un buon
punto di partenza per la valutazione delle potenziali
rocce madri. Comunque, anche i campioni di olio rappresentano un eccellente punto di partenza per arrivare
a conoscere, attraverso una tecnica di inversione geochimica (Bissada et al., 1993), le caratteristiche della
roccia madre. L’inversione geochimica è una tecnica
grazie alla quale dall’analisi di un olio si ricavano informazioni sulla fonte dell’olio come, per esempio, il grado
di maturità termica, la litologia e l’ambiente di deposizione. Queste informazioni permettono al geologo o
geochimico di indirizzare la ricerca della roccia madre
verso una particolare litologia e possono anche suggerire direttamente l’età della roccia madre stessa. Inoltre, la frazione pesante di un olio (asfalteni) ha una buona
analogia con la materia organica presente in una roccia
madre e può essere utilizzata per valutare sia il tipo di
idrocarburi che si può formare a diversi livelli di maturità termica, sia la loro velocità di generazione.
Nel corso della ricerca delle effettive rocce madri in
un bacino sedimentario i dati possono provenire da diverse fonti quali: pubblicazioni scientifiche, pozzi campione disponibili e archivi. In generale, per identificare la
roccia madre di un particolare campione di olio si devono considerare tutti gli intervalli rocciosi che hanno capacità di generare idrocarburi. Questo vuol dire analizzare campioni che possono andare dall’affioramento, al
pozzo, a specifiche litologie o intervalli stratigrafici suggeriti dalle analisi dei campioni di olio. Una roccia si
definisce possibile roccia madre quando non è stata ancora caratterizzata dal punto di vista geochimico, e potrà
esserlo o meno solo sulla base del risultato delle analisi
e della correlazione con un giacimento di olio o di gas
noto. Una roccia si definisce invece effettiva roccia madre
quando è stata provata la sua correlazione con un giacimento di olio o di gas noto (Magoon e Dow, 1994). Una
roccia si definisce infine potenziale roccia madre quando dopo essere stata analizzata risulta immatura e quindi non ha prodotto quantità commerciali di idrocarburi
(Magoon e Dow, 1994). Una roccia madre potenziale per
diventare effettiva deve trovarsi a grandi profondità o
esposta a elevate temperature e successivamente risultare correlata con un olio già scoperto. Le caratteristiche
geochimiche dell’olio o il modello geologico relativo
alla storia di sedimentazione possono essere utilizzati
per ipotizzare quale potrebbe essere la roccia madre.
Gli obiettivi dell’identificazione e della caratterizzazione di una roccia madre sono: a) identificare l’origine dell’olio e del gas; b) determinare la sua capacità di
generare ed espellere idrocarburi; c) identificare il tipo
di prodotti generati; d) identificare il livello di maturità
221
ESPLORAZIONE PETROLIFERA
termica per la valutazione dei percorsi di migrazione;
e) misurare la sua velocità di decomposizione (cinetica) per valutare accuratamente il momento della generazione degli idrocarburi. Inoltre attraverso i dati ricavati dall’analisi di una roccia madre è possibile valutare la probabilità di ritrovare idrocarburi in un dato
prospect o in una data regione. Lo scopo ultimo della
valutazione di una roccia madre è quello di definire i
prospect per la perforazione e produzione degli idrocarburi. Sicuramente se uno degli elementi del sistema
petrolifero è mancante o non presente al momento opportuno, non ci sarà la possibilità di avere una scoperta commerciale di idrocarburi.
Analisi per la valutazione
della roccia madre
Campionamento
Generalmente i cutting, vale a dire i frammenti di
roccia prodotti dalla perforazione, vengono raccolti in
superficie con un intervallo di campionatura da 3 a 10 m.
È molto importante identificare e assegnare una profondità a ogni frammento di roccia che arriva in superficie,
considerando anche la lag correction (tempo di ritardo
dovuto alla risalita del fango dal fondo del pozzo). Per
le analisi geochimiche i cutting sono utili perché le carote (prelevate a fondo pozzo) vengono raramente campionate negli intervalli argillosi utili per valutare le potenziali rocce madri; durante questa fase non deve essere
fatta una selezione dei campioni. Generalmente argille
di colore da grigio a nero o altre rocce scure sono indicative di possibili rocce madri. Approssimativamente si
raccomanda di campionare una quantità di roccia equivalente a circa 30 g, anche se è preferibile una quantità
di circa 160 g. In alcuni casi la quantità di roccia necessaria per le analisi preliminari può essere molto piccola
(1-5 g), ma ciò dipende dalla quantità di materia organica contenuta nella roccia oltre che dal tipo e dal numero di analisi che si devono eseguire.
Per ottenere una misurazione ottimale della frazione
leggera (LH, Light Hydrocarbons) di un olio i campioni devono essere conservati surgelati o bagnati e in quest’ultimo caso devono essere leggermente essiccati prima
dell’analisi. Espitalie et al. (1985) hanno misurato quantità ottimali di LH essiccando per 20 minuti campioni di
roccia freschi. La frazione leggera di un olio può essere
rilevata tramite estrazione termica gascromatografica in
alta risoluzione (Jarvie e Walker, 1998; Odden et al., 1998)
o utilizzando una speciale tecnica di estrazione (Jarvie,
dati non pubblicati). Si raccomanda la raccolta di campioni in contenitori a tenuta di gas (Iso-Jars; Coleman et
al., 2004); questa modalità permette di ottenere un campione ben preservato e in quantità sufficiente per ogni
analisi che dovesse essere successivamente necessaria.
Nel contenitore a tenuta deve sempre essere aggiunto un
222
battericida per evitare che l’attività batterica alteri
gli idrocarburi.
Contenuto di carbonio organico
L’analisi iniziale per la valutazione della roccia madre
è la misurazione del suo contenuto di carbonio organico
totale (TOC, Total Organic Carbon), che fornisce un’indicazione della quantità di carbonio disponibile per la
generazione di olio e gas.
La quantità di carbonio organico totale necessaria per
poter avere un accumulo commerciale di idrocarburi è
stata spesso oggetto di discussione nelle pubblicazioni
scientifiche. È possibile classificare il contenuto di carbonio organico sulla base di valori medi, come proposto
da Baker (1962):
• valori inferiori all’1,00% sono sotto la media: minore probabilità che sia una roccia madre;
• valori superiori all’1,00% sono sopra la media: maggiore probabilità che sia una roccia madre.
Altri autori utilizzano termini quantitativi (Peters,
1986) o valutano il contenuto di carbonio organico in
funzione della litologia della roccia madre argillosa o
carbonatica (Tissot e Welte, 1984). Jones (1984) ha dimostrato che rocce madri argillose o carbonatiche devono
essenzialmente avere lo stesso contenuto minimo di materia organica per produrre quantità commerciali di idrocarburi. Si deve anche considerare che, quando si analizzano i frammenti di roccia provenienti dalla perforazione, i valori di carbonio organico totale sono spesso
inferiori rispetto a quelli misurati sulle carote, a causa
dell’effetto di diluizione provocato dalla possibilità di
includere anche intervalli poveri di carbonio organico,
soprastanti le rocce madri.
Comunque, è importante sottolineare che non tutto
il carbonio organico presente in una roccia madre può
essere convertito in idrocarburi a causa della mancanza
di idrogeno. Il kerogene migliore per produrre idrocarburi liquidi mostra un rapporto idrogeno/carbonio di circa
1,5. Durante la fase di generazione degli idrocarburi il
contenuto di carbonio organico reattivo diminuisce, mentre aumenta quello di carbonio inerte in funzione del consumo di idrogeno (fig. 7), avendo come risultato finale
una struttura carboniosa condensata e povera in idrogeno. Questo materiale non ha potenziale petrolifero a causa
del suo basso contenuto di idrogeno. Quando gli idrocarburi generati vengono espulsi dalla roccia madre, il
contenuto di carbonio organico diminuisce in seguito
alla perdita di carbonio associato con gli idrocarburi
espulsi (v. ancora fig. 7).
La stima del contenuto di carbonio organico totale
originario in una roccia madre matura è importante per
calcolare la quantità di olio o gas che potrebbe essere
stata generata. A elevati livelli di maturità termica, il
contenuto di carbonio organico per un kerogene di Tipo
II (algale marina, in grado di generare principalmente
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
PROSPEZIONI GEOLOGICHE
materia organica totale
altri composti
contenenti
carbonio
organico
carbonio organico totale originale
carbonio organico totale al tempo attuale
perdita di carbonio
per espulsione di olio,
gas e CO2
carbonio in
olio e gas indigeni
S1
carbonio
inerte
carbonio attivo nel kerogene
carbonio
inerte
S2 (Tmax misurato al picco dell’S2)
fig. 7. Modello della materia organica totale contenuta in un campione di roccia.
Analisi Rock-Eval
L’analisi del carbonio organico totale è associata ai
dati ottenuti dall’estrazione termica e dalla pirolisi,
comunemente chiamata Rock-Eval (Espitalie et al.,
1977) o SR Analyser (Jarvie et al., 1996). In questo tipo
di analisi una piccola quantità di roccia (25-100 mg)
viene inizialmente riscaldata a temperature inferiori alla
pirolisi (<350 °C) per separare gli idrocarburi volatili;
successivamente, per velocità di riscaldamento programmate, la temperatura viene aumentata progressivamente fino a 550-900 °C ottenendo così la pirolisi
(cracking) della materia organica (fig. 8). Gli idrocarburi prodotti dalla pirolisi vengono misurati tramite un
rilevatore a ionizzazione di fiamma (FID), che produce un segnale corrispondente al contenuto di carbonio.
In questo modo è possibile conoscere il contenuto di
idrocarburi liberi (S1) e valutare il potenziale generativo residuo (S2). La temperatura alla quale si ottiene la
massima generazione di idrocarburi (Tmax) viene registrata ed è direttamente legata alla maturità termica del
campione (quando si è in presenza di solo kerogene).
Alcuni strumenti registrano anche la produzione di biossido di carbonio, che per definizione è organico a temperature inferiori alla degradazione termica dei carbonati.
VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO
Comunque, biossido di carbonio di origine inorganica
può contaminare questa misura, specialmente in presenza di campioni alterati o ossidati.
Dalla combinazione dei dati ricavati dal contenuto di
carbonio organico totale e dall’analisi Rock-Eval/SR
Analyser si ottengono le seguenti informazioni: a) la
quantità totale di carbonio organico disponibile per la
formazione di idrocarburi (% in peso di TOC); b) il potenziale petrolifero attuale della roccia madre (quantità
potenziale di idrocarburi residua, quantità di S2 in mg
di idrocarburi/g roccia); c) il tipo di kerogene al tempo
attuale (potenziale per olio o gas, indice di idrogeno o
S2/TOC·100); d) la maturità termica della roccia madre
(Tmax in °C); e) manifestazioni di olio e potenziali intervalli serbatoio (contenuto di olio normalizzato in mg
S1/TOC·100).
Questi valori misurati sono riferiti al tempo attuale
perché tutti questi parametri sono condizionati dalla matu-
S4
Tmax
temperatura
(non isoterma
25 ° C/min)
quantità
idrocarburi liquidi) si riduce del 30-50%. Per un kerogene di Tipo I (algale lacustre, in grado di generare principalmente idrocarburi liquidi) la riduzione in carbonio
organico sarà del 30-80%, mentre per il kerogene di Tipo
III (terrestre, in grado di generare principalmente idrocarburi gassosi) la riduzione sarà inferiore al 30%. Questo significa che, di solito, meno della metà del contenuto di carbonio organico di una roccia madre immatura è convertito in idrocarburi in fase di alta maturità;
pertanto i valori minimi di carbonio organico totale necessari per avere una roccia madre ‘commerciale’ sono molto
probabilmente vicini a 2,00%.
S2
600 ° C
S3
S1
300 ° C
tempo (min)
fig. 8. Pirogramma dell’analisi Rock-Eval.
223
ESPLORAZIONE PETROLIFERA
tab. 1. Schema di classificazione delle rocce madri in funzione dell’indice di idrogeno
(Jones, 1984)
tipo di
indice di indice di
kerogene idrogeno ossigeno
rapporto
H/C
I
700-1.000+
10-40
1,4
II
350-700
20-60
1,2-1,4
II/III
200-350
40-80
III
50-200
IV
<50
materia
organica
struttura
interna
prodotti
principali
Algale;
Amorfa;
Raramente terrestre
Anossico (salino);
Lacustre;
Raramente marino
Finemente laminata
Olio
Algale; Amorfa;
Comunemente
terrestre
Anossico; Marino
Laminata;
Ben stratificata
Olio
1-1,2
Mista marina;
Terrestre
Variabile;
Deltaico
Poco stratificata
Misto
olio/gas
50-150
0,7-1,0
Terrestre;
Principalmente
vitrinite;
Algale alterata
Poco ossidante;
Piattaforma/Scarpata;
Carboni
Poco stratificata;
Bioturbata
Gas
20-200
0,4-0,7
Altamente ossidata;
Rimaneggiata
Altamente ossidante;
Ovunque
Caotica;
Bioturbata
rità termica. Pertanto, l’interpretazione di questi dati deve
tenere conto del grado di maturità raggiunto dalla roccia madre.
Uno dei parametri più utili per la valutazione iniziale del tipo di kerogene è l’indice di idrogeno (HI). Jones
(1984) ha proposto uno schema per l’interpretazione dei
valori di HI in funzione dell’ambiente di deposizione e
del tipo di idrocarburi prodotti (tab. 1). È necessario ricordare che la valutazione del tipo di kerogene basato sui
valori di HI non è infallibile. Per esempio, valori di HI
maggiori di 700 indicano che il kerogene è di tipo lacustre; tuttavia questo non è sempre vero perché molte rocce
con kerogene lacustre mostrano valori di HI inferiori a
700, come diversi intervalli della formazione geologica
Green River Oil Shale o della formazione Cacheuta
(Argentina).
In rocce madri mature l’HI rappresenta solo il potenziale al tempo attuale. Il suo potenziale genetico è stato
ridotto in funzione del grado di maturità termica raggiunto. Dovendo eseguire delle stime quantitative è
importante conoscere il valore originale dell’HI che può
essere determinato o approssimato una volta calcolato
il TOC originale in base alla seguente formula:
TOCoTOCp
11111 S2
p
0,083
111111333333333
HIo
TOCo·100
dove o tempo originale e p tempo attuale.
Valori originali di HI sono utili per calcolare il grado
di trasformazione del kerogene in idrocarburi. Una formula per il calcolo del grado di trasformazione (TR,
Transformation Ratio) del kerogene è (Espitalie et al.,
1985):
224
ambiente di
deposizione
Gas secco
HIoHIp
TR 11132
HIo
oppure una versione modificata della precedente proposta da Pelet (1985):
1.200(HIoHIp)
TR 11111132
HIo(1.200HIp)
Il parametro denominato Tmax è un indicatore chimico di maturità termica e, come tale, varia al variare del
tipo di kerogene. Generalmente non è un parametro affidabile per valutare la maturità di rocce madri con kerogene lacustre o aventi una composizione molto uniforme. I valori di Tmax possono essere convertiti, tramite
una semplice equazione, in valori equivalenti di riflettanza della vitrinite per un kerogene di Tipo III e per alcuni tipi di kerogene di Tipo II (Jarvie et al., 2001):
Ro0,0180 (Tmax)7,16
dove Ro è la percentuale di riflettanza della vitrinite
in olio.
Questa formula può essere applicata solo quando
la maturità della roccia madre non è particolarmente
elevata e si mantiene all’interno della finestra di generazione di olio, corrispondente a valori di Tmax compresi tra 430 e 459 °C. Per gradi di maturità più elevati, i valori di Tmax sono irregolari perché, a causa del
basso contenuto in kerogene, spesso il picco massimo
di generazione non è facilmente riconoscibile. Infine,
bisogna ricordare che in alcuni tipi di kerogene la presenza di impregnazioni di idrocarburi solidi nella roccia madre può portare a una sottostima dei valori di
Tmax.
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
PROSPEZIONI GEOLOGICHE
Una finalità propria dell’esplorazione petrolifera è
la valutazione della probabilità che una data roccia madre
possa produrre idrocarburi in grado di caricare una trappola. La valutazione della potenzialità della roccia madre
deve quindi comprendere anche il volume di olio o gas
che può essere generato. Una metodologia per la valutazione quantitativa degli idrocarburi generati è stata proposta da Schmoker (1994). Tale metodologia permette
il calcolo della quantità di olio e di gas generati se si
conoscono o possono essere stimati i valori di carbonio
organico originale, di HI originale e al tempo attuale, la
densità della roccia, lo spessore e l’estensione areale
della roccia madre. Questo metodo di calcolo tende a
sovrastimare i volumi di olio e gas prodotti. Modifiche
a questo approccio metodologico forniscono stime più
realistiche dei volumi generati; per esempio, i valori di
TOC devono essere solo quelli relativi al carbonio organico reattivo e non a tutto il carbonio organico totale. Il
grado di conversione in gas deve tenere conto anche della
mancanza di idrogeno in quantità sufficiente per idrogenare tutto il carbonio, anche quello reattivo. Inoltre,
una parte degli idrocarburi può essere espulsa in altri serbatoi, e, in più, non tutto l’olio e non tutto il gas possono essere recuperati. Tenendo conto di queste limitazioni, il metodo proposto da Schmoker può fornire un confronto relativo tra le quantità in volume che possono
essere generate da diverse rocce madri.
spore, tecnica conosciuta come indice di alterazione termica (TAI), o indice di colorazione delle spore (SCI).
Queste tecniche, come anche le misure chimiche (per
esempio Tmax), se disponibili, aiutano nella selezione dei
frammenti indigeni di vitrinite nel kerogene isolato. È
relativamente più facile riconoscere i frammenti di vitrinite indigena nei campioni interi di roccia perché possono essere identificati dal piano di giacitura nella matrice rocciosa. Il numero di misure di riflettanza della vitrinite in un campione di roccia preparato è propriamente
di 20 o meno, mentre in un campione di kerogene isolato può essere superiore a 50. Si deve sottolineare il fatto
che il numero di misure è meno importante dell’accuratezza nel determinare la popolazione indigena dei frammenti di vitrinite, anche se è sempre auspicabile un numero minimo di misure pari a 10-20.
Raramente i campioni di rocce madri rappresentano
il campione ideale per la misura della riflettanza della
vitrinite, a causa del loro basso contenuto in frammenti di vitrinite o per la sottostima del potere di riflettanza dovuto al fenomeno noto come suppression (v. oltre).
È spesso consigliabile utilizzare campioni provenienti
dagli strati sottostanti o soprastanti la roccia madre (specialmente gli intervalli carboniosi) e proiettare i valori
di maturità così ottenuti sull’intervallo corrispondente
alla roccia madre; in questo modo è possibile calcolare
paleogradienti di temperatura in pozzo. Spesso i profili di maturità mostrano un andamento lineare attraverso
Riflettanza della vitrinite, indice di alterazione
termica e analisi ottica del kerogene
VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO
frequenza
30
25
20
15
10
0,2
0,4
0,6
0,8
1,0
1,2
1,4
1,6
1,8
2,0
2,2
2,4
2,6
2,8
3,0
3,2
3,4
3,6
3,8
4,0
5
0
A
riflettanza della vitrinite in olio (Ro)
40
35
frequenza
La percentuale di riflettanza della vitrinite in olio
(Ro) rappresenta un’ulteriore indicazione della massima temperatura raggiunta da una roccia e quindi della
sua maturità termica. La misura viene eseguita attraverso l’analisi visuale del kerogene isolato o di un campione di roccia preparato su un supporto non fluorescente. Il suo utilizzo è dovuto al lavoro embrionale di
Rogers (1860), che per primo ha compreso che un carbone si comporta come un geotermometro. In seguito
White (1915) ha riscoperto il lavoro di Rogers mettendo in relazione i processi di carbonificazione con i ritrovamenti di olio e gas nel Bacino Appalachiano (USA).
Un eccellente resoconto di questa storia si trova in Burgess (1977). La misura della riflettanza della vitrinite è
basata sull’abilità del microscopista di identificare in
maniera accurata i frammenti di vitrinite derivati dalla
biomassa legnosa che sono ‘indigeni’ nella matrice rocciosa. Talvolta accade che, a causa della presenza di
bitume, di idrocarburi solidi, di kerogene riciclato o di
frammenti di inertinite, l’identificazione della popolazione indigena di vitrinite non è ovvia e certamente può
essere soggettiva (fig. 9).
Per validare la misura della maturità termica il microscopista utilizza anche il colore dei palinomorfi o delle
40
35
30
25
20
15
10
bitume solido
frammenti ricaduti (carboni)
frammenti di vitrinite indigeni
frammenti di vitrinite rimaneggiati
inertinite
5
0
B
0,2
0,4
0,6
0,8
1,0
1,2
1,4
1,6
1,8
2,0
2,2
2,4
2,6
2,8
3,0
3,2
3,4
3,6
3,8
4,0
Quantità di olio e gas prodotti
riflettanza della vitrinite in olio (Ro)
fig. 9. Istogrammi della riflettanza della vitrinite:
A, distribuzione del numero totale di letture;
B, interpretazione della sola frazione indigena.
225
ESPLORAZIONE PETROLIFERA
intervalli carboniosi o privi di proprietà da roccia madre,
mentre mostrano valori più bassi nella roccia madre stessa. Questo fenomeno è noto come suppression ed è dovuto alla presenza o alla non identificazione di idrocarburi intimamente legati al kerogene. Lo (1993) ha proposto un metodo basato sui valori di HI per correggere
queste misure sottostimate di riflettanza. Anche Landis
e Castaño (1995) hanno pubblicato una curva di calibrazione e regressione per correggere questi valori di
riflettanza misurati su bitumi solidi, rendendo così queste misure utilizzabili nella valutazione della maturità
delle rocce madri.
L’analisi ottica del kerogene permette anche di valutare i diversi tipi di kerogene presenti in un campione
sulla base della distribuzione dei macerali dei carboni.
L’analisi tipo comprende l’identificazione delle seguenti popolazioni: amorfa, erbacea, vitrinite e inertinite. A
discrezione del microscopista possono essere incluse percentuali di altri specifici macerali quali liptinite, alginite, cutinite, sporinite, ecc. Questi dati petrografici sono
di grande aiuto nella valutazione del tipo di kerogene o
di parametri chimici selezionati, quali l’HI e la Tmax. Per
esempio, la presenza primaria di inertinite come macerale spesso comporta valori di Tmax molto elevati (500 °C
o superiori).
Estrazione con solvente
Lo scopo finale dello studio di una roccia madre effettiva è quello di ottenere una correlazione con un campione di olio. Per procedere alla correlazione bisogna
trattare con un solvente organico la roccia madre per
estrarre gli idrocarburi liberi o il bitume. Il campione
ottimale per questo tipo di analisi deve avere una maturità compresa all’interno della finestra di generazione di
olio, perché campioni immaturi non hanno le caratteristiche necessarie mentre in campioni troppo maturi gli
estratti sono impoveriti in marker biologici a causa dell’elevato stress termico. Per ulteriori procedure analitiche per la preparazione di un estratto, v. oltre.
Gascromatografia abbinata alla pirolisi
Una tecnica analitica semplice per valutare il potenziale di generazione di olio o gas di una roccia madre è
la pirolisi gascromatografica (Py-GC). Estratti da campioni di roccia o kerogene isolato vengono pirolizzati e
fatti passare attraverso una colonna gascromatografica. I
composti che vengono separati producono sullo spettro
doppietti corrispondenti ad alcheni e alcani e picchi intermedi corrispondenti a vari altri composti chimici (aromatici, tiofeni, fenoli, ecc.). Sulla base del rapporto tra
la quantità totale di gas (somma degli idrocarburi C1-C4)
e la quantità totale di gas sommata alla quantità totale di
olio è possibile ricavare informazioni sulla capacità del
kerogene di produrre olio o gas. Diversi rapporti gas/olio
sono stati proposti e chiamati con vari nomi, come per
226
tab. 2. Indice di generazione gas-olio
Valore di GOGI
Interpretazione
<0,35
0,35-0,50
>0,50
principalmente olio
misto olio-gas
principalmente gas
esempio l’indice di generazione gas-olio (GOGI; tab. 2),
BP (British Petroleum).
Altri schemi interpretativi utilizzano distribuzioni
ternarie dei composti C1-C5, C6-C14, e C15 (Horsfield,
1990), oppure altri composti (Larter, 1985), oppure approcci multivariati utilizzando specifici composti determinati attraverso la tecnica statistica nota come analisi
delle componenti principali (PCA; John Zumberge, comunicazione personale).
Pirolisi con il metodo MicroScale Sealed Vessel
Un metodo usato per generare idrocarburi in laboratorio è quello noto come MSSV (MicroScale Sealed
Vessel; Horsfield et al., 1989). Questo approccio utilizza microfiale in pyrex o tubi di quarzo (40 µ l) che vengono sigillati dopo aver aggiunto una piccola quantità di
kerogene isolato (1-2 mg) o asfaltene, e riempiendo il
resto del contenitore con quarzo. Successivamente, il
contenitore MSSV viene riscaldato in condizioni isoterme o non isoterme, producendo così una traccia gascromatografica, chiamata fingerprint, dei composti che si
sono generati, confrontabile con un olio che si è generato in condizioni geologiche naturali. Questa analisi rappresenta un mezzo insostituibile per studiare una roccia
madre a diversi livelli di maturità e determinare i cambiamenti della quantità e distribuzione dei prodotti. Questa metodica viene applicata su campioni di olio biodegradati o su manifestazioni superficiali per ottenere una
fingerprint dell’olio originale generato. Le analisi possono andare dalla valutazione delle quantità di olio e gas
generate, ai rapporti pristano/fitano o al contenuto in
paraffine e alla loro distribuzione.
Cinetica della degradazione della materia organica
I parametri cinetici descrivono la velocità alla quale
la materia organica si decompone in idrocarburi in funzione di un determinato andamento della temperatura nel
tempo. Per primi si decompongono i legami più deboli,
seguiti da quelli più forti. Numerose reazioni intervengono durante i processi di trasformazione del kerogene
(diagenesi) e di formazione degli idrocarburi (catagenesi). Le reazioni di decomposizione sono influenzate dalla
composizione chimica e dalla struttura della materia organica (Claxton et al., 1994). Le velocità di decomposizione di diverse rocce madri, espresse come grado di trasformazione calcolato in funzione della temperatura, sono
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
di decomposizione
della materia organica
per diverse rocce madri.
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
grado di trasformazione del
kerogene calcolato (%)
fig. 10. Velocità
20
40
60
2,0
1,8
1,6
1,4
1,2
1,0
0,8
0,6
0,4
0,2
80 100 120 140 160 180 200
temperatura (° C)
illustrate nella fig. 10 (Jarvie et al., 1996). Questa figura
mostra che la posizione della finestra di generazione dell’olio è variabile, cioè, a parità di riflettanza della vitrinite o di maturità termica, la velocità di trasformazione per
le diverse rocce madri cambia. Anche la posizione della
finestra di generazione del gas varia molto in funzione
della roccia madre e dei prodotti primari che si formano
durante la decomposizione della materia organica.
Schemi cinetici composizionali descrivono anche la
formazione di specifici idrocarburi quali metano, etano
e propano, e di idrocarburi con più alto peso molecolare così come di composti non idrocarburici (Espitalie et
al., 1988; Jarvie et al., 1998). Per la misurazione dei parametri cinetici si possono usare sia campioni di rocce
madri sia campioni di asfalteni da oli o da manifestazioni superficiali.
Altre tecniche per la valutazione della roccia madre
Esistono numerose altre tecniche analitiche per la
valutazione delle potenziali rocce madri. L’analisi elementare è stata comunemente utilizzata nel passato (van
Krevelen, 1961), ma oggi è rimpiazzata dai valori di HI
e di indice di ossigeno (OI) nel diagramma modificato
di van Krevelen (Espitalie et al., 1977). L’analisi elementare del kerogene isolato, comunque, fornisce una
valutazione più accurata del tipo di materia organica e
del suo percorso di maturazione. Questa tecnica però è
sfavorita dal fatto che l’isolamento del kerogene dalla
sua matrice rocciosa comporta problematiche di tipo
ambientale e chimico e costi di analisi.
L’analisi isotopica del gas da mud logging (MGIL,
Mud Gas Isotopic Logging; Ellis et al., 2003) e il gas da
headspace rappresentano ulteriori tecniche di valutazione di una potenziale roccia madre o anche di un serbatoio con gas. Per esempio, se durante la perforazione
si attraversa una roccia madre, la composizione del gas
e i valori isotopici del carbonio possono essere confrontati
con quelli ricavati dal gas prodotto durante una prova o
durante la produzione.
La stratigrafia da inclusione fluida (FIS) è una recente metodica di analisi che esamina le inclusioni di
paleofluidi intrappolati nella matrice rocciosa. Questa
VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO
riflettanza della vitrinite
calcolata (Ro)
PROSPEZIONI GEOLOGICHE
Monterey kg-4 (tipo II-ons)
Monterey kg-16 (tipo II-S)
Kimmeridge (tipo II)
Woodford (tipo II)
Green River (tipo I)
Indiana coal (tipo III)
Ro
analisi richiede che i campioni di roccia siano accuratamente puliti per evitare ogni tipo di contaminazione
da olio indigeno o migrato. La tecnica FIS è veloce,
poco costosa e fornisce una grande abbondanza di informazioni molecolari sia sulla frazione idrocarburica che
su quella non idrocarburica. Questi dati sono stati utilizzati (Hadley et al., 1997; Hall et al., 1997) per delineare e caratterizzare gli intervalli produttivi di un pozzo
(pay zone).
L’idropirolisi (HP) è una tecnica di maturazione in
laboratorio che è stata largamente utilizzata per generare idrocarburi da una roccia madre (Lewan, 1985). È
anche utilizzata per la determinazione dei parametri cinetici (Hunt et al., 1991; Lewan e Ruble, 2002; Lewan
e Jarvie, 2003).
Correlazioni olio-olio
e olio-roccia madre
Background
Le correlazioni olio-olio e olio-roccia madre forniscono informazioni fondamentali per capire quali sistemi petroliferi siano funzionali in un bacino sedimentario. Il geologo che opera nell’esplorazione utilizza queste informazioni per valutare i prospect da perforare in
funzione della possibilità di caricamento, per individuare i percorsi di migrazione dell’olio e del gas e per valutare l’estensione di andamenti produttivi esistenti o la
probabilità di individuarne di nuovi. Il geologo o l’ingegnere di produzione utilizzano accurate analisi di fingerprint dell’olio per valutare la continuità laterale e verticale in serbatoio, per quantificare la produzione da più
livelli e per migliorare il recupero di olio e il well plumbing (tenuta delle apparecchiature di produzione). Quest’ultimo tipo di analisi può essere eseguito senza dover
chiudere temporaneamente un pozzo e quindi perdere
produzione.
Una delle funzioni più importanti della geochimica
organica è quella di identificare la roccia madre specifica di un olio per fornire utili indicazioni che possano
portare alla scoperta di nuovi giacimenti di olio e di gas.
Per fare ciò è necessario correlare un olio agli estratti da
227
Proprietà molecolari
La gascromatografia (GC) è una tecnica utilizzata
per caratterizzare un olio e ricavarne la sua impronta digitale o fingerprint, ossia, sostanzialmente, un istogramma della quantità e della distribuzione dei componenti
che sono separati e rilevati dal lettore gascromatografico. La fingerprint di un olio è riportata nella fig. 11 A,
mentre nella fig. 11 B si può vedere l’istogramma della
quantità e della distribuzione delle paraffine normali.
Un parametro semplice e largamente utilizzato nella
correlazione olio-olio è il rapporto tra due isoprenoidi, il
pristano e il fitano (Illich, 1983). Un elevato contenuto di
fitano è indicativo di un ambiente di sedimentazione fortemente riducente (anossico), tipico di una roccia madre
carbonatica. Un elevato contenuto di pristano è indicativo di un ambiente di sedimentazione poco riducente o
caratterizzato da una concentrazione di idrogeno relativamente inferiore. Nella tab. 3 sono riportate le indicazioni
per l’interpretazione dei rapporti pristano/fitano (Pr/Ph;
Hughes et al., 1995). A elevati livelli di maturità termica
questi rapporti devono essere utilizzati con cautela perché
il fitano si decompone prima del pristano e quindi il rapporto Pr/Ph risulta più alto a causa della diminuzione preferenziale del fitano. Il rapporto di questi isoprenoidi con
i corrispondenti n-alcani viene usato per ricavare informazioni sulla maturità e sulla biodegradazione di un olio
o di una roccia madre (Connan e Cassou, 1980). Un diagramma del rapporto tra Pr/n-C17 e Ph/n-C18 è generalmente utilizzato per suddividere in gruppi oli o estratti da
rocce madri sulla base del tipo e della maturità termica.
228
n-C15
n-C40
n-C7
tempi di ritenzione
n-C15
A
n-C40
quantità
una roccia madre. Tuttavia non è sempre possibile sottoporre ad analisi la roccia madre e, in questo caso, la
roccia madre deve essere identificata attraverso ipotesi
o deduzioni ricavate dalla geochimica.
Le tecniche di correlazione includono la misura delle
proprietà generali (o di bulk) e dettagliate analisi geochimiche. Le proprietà di bulk comprendono le caratteristiche
chimico-fisiche quali la densità specifica API (American
Petroleum Institute) e misure chimiche come il contenuto di zolfo e di acidi. Le analisi geochimiche forniscono
dettagli a livello molecolare essenziali per la distinzione
di oli che sulla base delle proprietà di bulk possono sembrare simili. Infine l’inversione geochimica può essere
utilizzata per dedurre le caratteristiche della roccia madre
più probabile per un olio (Bissada et al., 1993).
Le proprietà generali di un olio e le relative analisi
sono utili per una caratterizzazione iniziale degli oli. Per
esempio, il Ministero delle Miniere statunitense caratterizza gli oli del Bacino Permiano usando i rapporti atomici di zolfo, azoto e carbonio (Jones e Smith, 1965).
Tra le proprietà chimico-fisiche di bulk si segnalano
anche il contenuto di zolfo espresso in percentuale del
peso, il contenuto in nichel e vanadio e le quantità per
frazione secondo LC (Liquid Chromatography).
quantità
ESPLORAZIONE PETROLIFERA
B
tempi di ritenzione
fig. 11. Analisi gascromatografica:
A, traccia gascromatografica;
B, istogramma che mostra la distribuzione
delle paraffine.
Altri parametri ricavati dalla gascromatografia e usati
per fini correlativi comprendono la traccia di inviluppo
delle paraffine, che varia in funzione del tipo di roccia
madre e della sua maturità, il rapporto tra n-C17 e n-C27,
che è indicativo di paraffinicità, e il Carbon Preference
Index (CPI), che viene usato per una preliminare valutazione della litologia e della maturità termica della roccia
madre. A bassi livelli di maturità generalmente questo
indice è dispari, mentre nei carbonati è generalmente
pari. Questi dati sono usati come strumenti complementari
per l’interpretazione dei rapporti pristano/fitano, dei
marker biologici e dei rapporti isotopici.
Gli idrocarburi leggeri (LH) sono sempre più utilizzati per la correlazione olio-olio e olio-roccia madre. Studi
di valutazione (Thompson, 1983; Mango, 1990, 1992;
Mango et al., 1994; Bement et al., 1994; Halpern, 1995;
tab. 3. Interpretazione dei rapporti pristano fitano
(Pr/Ph)
Pr/Ph
<1,00
1,00-3,00
>3,00
Descrizione
altamente riducente,
litologia della roccia da carbonatica a marnosa,
ambiente talvolta lacustre
moderatamente riducente,
litologia da marnosa ad argillosa,
ambiente talvolta lacustre
moderatamente ossidante,
ambiente fluviale-deltaico, carboni
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
Isotopi del carbonio
C30H
Gli isotopi del carbonio sono generalmente misurati sulla frazione intera di un olio o sulle frazioni separate quali la satura e l’aromatica. Il rapporto tra il
180.000
150.000
A
50
60
tempi di ritenzione
90.000
80.000
60.000
50.000
VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO
B
40
Tm
Ts
C22tri
C21tri
10.000
C20tri
20.000
C19tri
I marker biologici (biomarker) sono molecole fossili che permettono di mettere in relazione l’olio con il suo
precursore biologico originario. Per oli che non sono fortemente biodegradati può essere utilizzato un gran numero di biomarker o di relativi frammentogrammi per la
correlazione olio-olio e olio-roccia madre. Uno degli
approcci più semplici è il riconoscimento degli andamenti dei cromatogrammi di diversi ioni. Per esempio,
C25tri (S+R)
C24tet
C26tri
40.000
50
60
tempi di ritenzione
norH C29Ts
more.30-nor-29-homohopane
C31HRC31HS
Gam
C32HRC32HS
C33HS
C33HR
C34HS
C34HR
C35HS
C35HR
70.000
30.000
Correlazioni mediante rapporti fra biomarker
70
C29H
C30H
40
C35HS
C35HR
30.000
C29H
norH C29Ts
more.
C31HS
Gam C31HR
C32HR C31HS
C33HS
C34HS
60.000
C28tri
C29tri
Ts
Tm
C23tri
90.000
C25tri (S+R)
C24tet
C26tri
120.000
C23tri
Ten Haven, 1996; Jarvie, 2001) hanno mostrato che gli
LH forniscono utili informazioni sulle associazioni genetiche, l’alterazione e la maturità termica degli oli. È fondamentale includere l’analisi degli LH negli studi dei
sistemi petroliferi, per evitare di sottostimare gli effetti
dell’alterazione o della presenza di miscele di oli. Gli LH
costituiscono il componente primario nei campioni di olio
condensato generati durante le fasi terminali della catagenesi e possono essere usati come parametro correlativo quando, a causa dell’elevata maturità, i marker biologici come sterani e terpani sono impoveriti o assenti. Halpern (1995) ha proposto dei diagrammi polari che usano
i valori di C7 LH per valutare il grado di correlazione e
trasformazione dei campioni analizzati. Inoltre, è stato
dimostrato che l’analisi della frazione leggera di un olio
può essere applicata nelle correlazioni olio-roccia madre
perché la frazione più leggera (C5-C8) di una roccia madre
può essere ricavata tramite estrazione termica (Jarvie e
Walker, 1998; Odden et al., 1998) o altre speciali tecniche di estrazione. Infine, dai dati di LH è possibile ottenere informazioni sulla litologia della roccia madre.
La distribuzione normalizzata delle paraffine e i fattori di pendenza sono particolarmente utili per determinare se il dato della gascromatografia è influenzato da
alterazione o da miscelazione. I campioni di olio ‘morto’
(campioni di olio conservati a pressione atmosferica che
hanno perso la maggior parte del gas in soluzione) mostrano sempre contenuti ridotti delle paraffine più leggere;
ciò si traduce in una diminuzione del profilo delle paraffine a partire da valori inferiori a C6. Migrazioni secondarie di olio leggero possono modificare questo profilo
che sarà così riconoscibile e identificabile (fig. 12).
C21tri
fig. 12. Profilo normalizzato delle paraffine
per un olio non alterato e per un olio alterato
da migrazione secondaria di idrocarburi leggeri
provenienti dalla Libia.
C22tri
25
30
35
40
5
10
15
20
numero di atomi di carbonio normal-alcani (da n-4 a n-42)
C20tri
0
è facile distinguere una roccia madre carbonatica da una
argillosa mediante l’analisi gascromatografica associata alla spettrometria di massa (GC-MS, Gas Chromatography-Mass Spectrometry) dei terpani, considerando
lo ione caratteristico 191m/z (fig. 13). Uno dei vantaggi
nell’uso dei marker biologici è la loro resistenza alla biodegradazione. Peters e Moldowan (1993) hanno proposto una scala per valutare il livello di biodegradazione
di un olio, partendo da un valore 1 (biodegradazione leggera) fino a un valore 10 (biodegradazione severa). Generalmente il livello di biodegradazione di un olio viene
misurato confrontando la scala di riferimento con il grado
di impoverimento del dato misurato.
Numerosi composti o classi di composti e rapporti
sono usati per caratterizzare un olio o un estratto da una
roccia madre (Peters e Moldowan, 1993; Peters et al.,
2005).
C19tri
olio con migrazione primaria
olio con migrazione secondaria
quantità relativa
1,4
1,2
1,0
0,8
0,6
0,4
0,2
0,0
quantità relativa
valori normalizzati
PROSPEZIONI GEOLOGICHE
70
fig. 13. Cromatogramma GC-MS
dei terpani (ione 191 m/z) per oli provenienti
dal Bacino Permiano (USA):
A, olio carbonatico; B, olio argilloso.
229
ESPLORAZIONE PETROLIFERA
carbonio-13 e il carbonio-12 (13C/12C, riportato a uno
standard) può essere usato per separare gruppi di oli. Per
esempio, Sofer (1984) ha dimostrato che oli generati da
una materia organica terrestre possono essere separati
da quelli generati da una materia organica marina tramite il diagramma degli idrocarburi saturi in funzione
di quelli aromatici. Recentemente tecniche geochimiche
di alta risoluzione sono state utilizzate per misurare il
rapporto isotopico di singoli idrocarburi e marker biologici come terpani e sterani (Mello et al., 2003; Moldowan et al., 2004).
campioni di olio originali (non alterati) provenienti per
esempio dal Bacino Williston, USA (Mango e Jarvie,
2001). In questo caso sono stati usati i composti isoalcani C6 e C7 secondo la seguente formula:
ln GOR(1,33 ln 2MP)(2,81 ln 3MP)
(3,19 ln 2MH)(0,875 ln 3MH)7,2
dove MP sta ad indicare il metilpentano e MH indica
invece il metilesano.
L’utilizzo di questi parametri per altri giacimenti di
idrocarburi o in differenti bacini sedimentari potrebbe
richiedere una fase di calibrazione dei dati.
Valori isotopici del carbonio dei singoli biomarker
La misura del rapporto isotopico di specifici composti, quali alcani, isoprenoidi, hopani (detti anche terpani) e sterani, ha permesso di separare oli che, sulla
base delle classiche analisi geochimiche, risultavano
simili. Per esempio, oli generati da rocce madri del Cretaceo inferiore e del Giurassico superiore provenienti dal
Medio Oriente e dal Golfo del Messico sono stati separati utilizzando questo approccio metodologico (Moldowan et al., 2004).
Per approfondimenti su questo argomento e per informazioni dettagliate sulla tecnica analitica e sulla strumentazione, si rimanda a Peters e Moldowan, 1993 e
Peters et al., 2005.
Valutazione della maturità dell’olio
Per valutare il livello di maturità di un olio vengono
normalmente utilizzati specifici rapporti tra marker biologici. Generalmente vengono usati il rapporto Ts/Tm
(dove Ts è il C27 18- trisnorhopano e Tm è il C27 17trisnorhopano), i rapporti tra gli stereoisomeri R e S negli
hopani o negli sterani e i rapporti degli sterani triaromatici (TAS). In oli derivati da materia organica terrestre i metil-fenantreni sono risultati particolarmente utili
per la definizione del livello di maturità raggiunto.
In aggiunta a questi rapporti anche gli idrocarburi
leggeri possono essere usati per la valutazione del grado
di maturità. Schaeffer e Littke (1988) hanno dimostrato
la variazione della concentrazione di dimetilciclopentano in relazione ai valori di riflettanza della vitrinite.
La temperatura di espulsione di un olio (CTemp, in
°C) può essere calcolata, sulla base degli studi di Frank
D. Mango e altri autori presso il Bellaire Research Center di Shell (Bement et al., 1994; Mango, 1997), come
segue:
2,4DMP
CTemp (°C)14015 ln 11113
2,3DMP
dove DMP indica il dimetilpentano.
Dal momento che la quantità di LH aumenta con l’aumentare della maturità termica, questi composti sono
stati usati per la stima dei rapporti olio/gas (GOR) per
230
Alterazione dell’olio
L’ambiente in cui si trovano sia le rocce madri che
gli oli è dinamico e in costante evoluzione nel tempo.
Per esempio, un giacimento che si è caricato inizialmente
con un olio a bassa maturità può ricevere in un secondo
tempo un olio a maturità più elevata proveniente dalla
stessa roccia madre o da altre rocce madri che hanno raggiunto il livello di espulsione. È pertanto possibile che
un singolo olio possa aver ricevuto diversi contributi,
anche se spesso non vengono riconosciuti.
Inoltre, i processi di alterazione possono complicare l’interpretazione dei dati. Questi processi possono essere rappresentati da: a) miscele di oli (mixing);
b) degradazione batterica; c) frazionamento evaporativo; d) dilavamento da parte di gas (gas washing); e) dilavamento da parte di acqua (water washing); f ) precipitazione degli asfalteni (deasphalting); g) riduzione termochimica dei solfati (TSR); h) cracking dell’olio o
qualsiasi combinazione di questi processi.
Water washing e biodegradazione
Il processo di water washing riguarda il contatto tra
idrocarburi e acqua all’interno di un giacimento. Questo tipo di alterazione produce due effetti sull’olio: perdita selettiva degli idrocarburi leggeri aromatici più solubili in acqua e, nel caso di acque dolci, introduzione
di batteri con conseguente biodegradazione. Un esempio di water washing in oli del Nevada è riportato da
Palmer (1984).
La biodegradazione è un processo di demolizione di
un olio, attraverso fenomeni biochimici catalizzati da batteri, che procede secondo una successione ben precisa di
stadi. Inizialmente l’attacco batterico elimina di preferenza le molecole più semplici e leggere, in un secondo
tempo quelle più complesse e pesanti. L’effetto finale della
biodegradazione è quello di aumentare la viscosità e la
densità di un olio (vale a dire diminuire i gradi API).
Diversi livelli di biodegradazione sono stati riportati da Peters e Moldowan (1993) ed espressi secondo una
scala da 1 (leggermente biodegradato) a 10 (severamente
biodegradato).
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
PROSPEZIONI GEOLOGICHE
Frazionamento per evaporazione
Qualsiasi processo di frazionamento implica un cambiamento nella composizione di un olio o di un gas. Il
metano è l’idrocarburo più leggero e la sua elevata volatilità gli permette di espandersi e di migrare facilmente attraverso i sedimenti. In presenza di una dismigrazione di gas da un giacimento di idrocarburi liquidi, gli
alcani leggeri sono selettivamente dissolti nel gas mentre l’olio residuale si arricchisce in idrocarburi aromatici leggeri. Questo processo è stato descritto e definito sperimentalmente da Thompson. Il diagramma di
aromaticità/paraffinicità di Thompson è parte integrante
di qualsiasi studio di caratterizzazione di un olio (fig. 14).
La presenza di frazionamento per evaporazione indica
inoltre che esistono due giacimenti di idrocarburi, di
cui uno più profondo.
Precipitazione degli asfalteni
La migrazione secondaria di gas non idrocarburici,
di idrocarburi gassosi o condensati in un giacimento di
idrocarburi liquidi può causare la precipitazione degli
asfalteni, con la conseguente formazione di un residuo
asfaltenico pesante chiamato tar mat. Questo processo
è stato descritto da Milner et al. (1977) nel Western Canada Basin ed è comune nei sistemi petroliferi dove sono
avvenuti episodi di migrazione verticale.
Riduzione termochimica dei solfati
Il solfuro di idrogeno H2S (detto anche acido solfidrico o idrogeno solforato) è un gas che, se presente in
elevate concentrazioni in un giacimento, deriva dalla riduzione termochimica dei solfati (TSR; Orr, 1974). Durante il processo di TSR l’H2S si forma per riduzione del
solfato, che porta alla formazione di zolfo elementare il
quale, reagendo a sua volta con gli idrocarburi, forma
come suoi sottoprodotti H2S e CO2 peggiorando la qualità dell’olio. Il risultato di questa reazione è che il rapporto isotopico δ 13C del CO2 è simile a quello dell’olio, mentre il valore isotopico δ 34S dell’H2S è simile a
quello del solfato.
Giacimenti che presentano rocce serbatoio con litologia carbonatica-evaporitica mostrano elevate concentrazioni di H2S (Le Tran, 1972). Questi giacimenti hanno
concentrazioni di H2S che variano dal 6 al 98% rispetto
al gas totale. Le sequenze rocciose sopracitate favoriscono la presenza di alte concentrazioni di solfato nelle
VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO
evaporiti e di basse concentrazioni di ferro nei carbonati che altrimenti trasformerebbero l’H2S in pirite, come
accade nelle argille.
Craking dell’olio
Gli oli si decompongono, come il kerogene, in idrocarburi più semplici e leggeri, formando un residuo carbonioso che è refrattario a elevate temperature. Il cracking
delle frazioni pesanti di un olio (resine e asfalteni) avviene a temperature comprese tra 100 e 150 °C, prossime a
quelle richieste per la decomposizione del kerogene in
idrocarburi. Per decomporre la frazione paraffinica di
un olio in gas sono necessarie temperature superiori a
145 oC. Questo tipo di decomposizione può essere modellata utilizzando i parametri cinetici proposti da Waples
(2000).
È stato dimostrato che l’analisi dei diamantoidi è particolarmente efficace per valutare il grado di cracking di
un olio (Mello et al., 2003; Moldowan et al., 2004). Mentre molecole quali gli hopani estesi o gli sterani vengono
trasformate in idrocarburi più leggeri a elevate temperature, i diamantoidi sono molto stabili. Pertanto, il rapporto tra molecole di composti con diversa stabilità fornisce
un’indicazione del livello di cracking dell’olio. Questa
tecnica è molto importante perché i parametri di maturità
derivati dai marker biologici non sono più utilizzabili per
valori di riflettanza della vitrinite superiori a 0,90%.
Miscele di oli
Gli oli originariamente presenti in un giacimento si
possono mischiare con idrocarburi più leggeri derivati
dalla stessa roccia madre a più elevati livelli di maturità
rapporto toluene-eptano (indice di aromaticità)
Di solito, la biodegradazione è rallentata o assente
quando un giacimento si trova a temperature superiori a
circa 80 oC. A causa di cambiamenti nella storia geologica di seppellimento dei sedimenti può accadere che un
giacimento più profondo, un tempo più caldo, possa essere sollevato e quindi portato a temperature più basse, alle
quali i batteri diventano attivi, prima di una successiva
fase di seppellimento, o viceversa.
5,00
4,50
4,00
3,50
3,00
2,50
2,00
1,50
1,00
0,50
0,00
0,00 0,50 1,00 1,50 2,00 2,50 3,00 3,50 4,00 4,50 5,00
rapporto eptano-metilcicloesano (indice di paraffinicità)
oli generati da una roccia madre carbonatica
oli generati da una roccia madre argillosa
oli generati da materia organica terrestre
oli generati da una roccia madre ordoviciana
oli frazionati per evaporazione
oli alterati da dilavamento di acque
fig. 14. Diagramma di aromaticità/paraffinicità
di Thompson.
231
ESPLORAZIONE PETROLIFERA
tab. 4. Linee guida per l’interpretazione delle analisi di TOC, Rock-Eval, riflettanza della vitrinite
e olio, gas e condensati
Descrizione
Valori
Interpretazione
Riferimento
bibliografico
<1,00
>1,00
Sotto la media
Sopra la media
Baker, 1962
0-50
50-200
200-350
350-700
700-1.000
Tipo IV gas secco
Tipo III gas (terrestre)
Miscela Tipo II/III olio-gas
Tipo II olio (marina)
Tipo I olio (lacustre)
Espitalie et al., 1977
<430
430-439
440-450
451-459
460-475
>475
Ro0,0180 (Tmax )7,16
Immaturo
Inizio generazione di olio
Picco generazione di olio
Fine generazione di olio
Generazione gas umidi
Generazione gas secchi
Espitalie et al., 1985
0,20-0,55
0,55-0,74
0,75-0,94
0,95-1,09
1,10-1,39
>1,40
Immaturo
Inizio di generazione di olio
Picco generazione di olio
Fine generazione di olio
Generazione gas umidi
Generazione gas secchi
Dow e O’Connor, 1982
I. Analisi dei campioni di roccia
TOC (% in peso)
Indice di Idrogeno (HI) (mg idrocarburi/g TOC)
Tmax (°C)
Tmax eq. Ro
Riflettanza della vitrinite in olio (Ro)
II. Linee guida per l’interpretazione delle analisi di olio, gas e condensati
A. Gas
Isotopi del carbonio
ca.60
da 55 a 60
<55
Gas biogenico
Gas misto
Gas termogenico
Schoell, 1983
B. Oli e condensati
Indicatori di facies organica e litologica
Indicatori di litologia e carbonatica
Pristano / fitano
Dibenzotiofene / fenantrene
C35 homohortani
Diasterani / sterani
C24 tetraciclico / C26 terpani triciclici
Argille marine
Pristano / fitano
C29 / C30 hopani
C35 / C34 hopani
Disterano / sterani regolari
Materia organica terrestre / carboniosa
Pristano / fitano
Presenza di oleanano e lupani
C19 e C20 dominanti nei tarpani triciclici
Elevato contenuto di cere
Diasterani
C27 C28 e C29 sterani
C31 hopani
C24 tetraciclico / C26 terpano triciclico
Ambiente lacustre
4-metilsterano
Disterano / sterani regolari
<1,00
>1,00
Abbondanti
Pochi diasterani
>1,00
Didyk et al., 1978
Hughes et al., 1995
1,00-3,00
C29<<C30
<1,00
Abbondanti diasterani
>3,00
Ekweozor et al., 1979
Abbondanti
C29>>C27, C28
Molto abbondante
>1,00
Abbondante
Abbondanti diasterani
Maturità termica
Analisi idrocarburi leggeri
Temperatura calcolata14015[ln(2,4DMP/2,3DMP)]
Analisi dei marker biologici
C29 aaa sterano 20S/(20S20R)
Hopani estesi C32 22S/(22S22R)
C27 hopani Ts/(TsTm)
C20C21/(C26C29) sterani triaromatici
C28TA/(C29Ma+C28TA) (triaromatici- e monoaromatici steroidi)
Indice di metilfenantrene MP1,5(3MP2MP)/(P9MP1MP)
232
95-150 °C
Mango, 1997
da 0,00 a 0,55
da 0,00 a 0,62
da 0 a 1,00
Relativo
da 0 a 1,00
Seifert e Moldowan, 1986
Ensminger et al., 1977
Seifert e Moldowan, 1978
0,6-1,5
Generazione di olio
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
PROSPEZIONI GEOLOGICHE
interfaccia di combustione
fig. 15. Caratterizzazione
geochimica
del gas naturale mediante
analisi chimica
e isotopica.
ossidazione
forno + CvO
gascromatografo
+ O2
C1 C2 C3 C4
CO2
spettrometro di massa
CO2
standard
sorgente
ionica
CO2
campione
12C 16O 16O
13C 16O 16O
12C 16O 18O
o con olio e gas generati da altre rocce madri. Di solito,
la presenza di miscele di oli è un processo difficile da
riconoscere tranne nel caso ovvio in cui un condensato
si mischia con un olio biodegradato. Tipicamente le correlazioni olio-olio si basano sugli idrocarburi con medio e
alto peso molecolare derivati dalle analisi GC e GC-MS e
sugli isotopi del carbonio delle frazioni degli oli. In questo caso possono essere necessarie numerose analisi, ma
spesso è possibile riconoscere le miscele di oli mediante una accurata interpretazione degli LH, specialmente
per gli slope factor (o fattori di pendenza, parametri che
considerano la pendenza della distribuzione degli n-alcani nel cromatogramma), gli idrocarburi a medio peso
molecolare e i marker biologici. Quindi tutti gli studi di
caratterizzazione di un olio dovrebbero includere la valutazione della presenza di miscele.
Interpretazione dei parametri geochimici
Le linee guida per l’interpretazione preliminare dei
parametri geochimici discussi in questo testo sono riportate dettagliatamente nella tab. 4.
Caratterizzazione geochimica
del gas naturale
magnete
44
+ 12C 16O 17O 45
46
Le metodologie analitiche impiegate sono la gascromatografia (per determinare la composizione chimica dei
gas) e l’analisi degli isotopi stabili. Gli isotopi sono atomi
che contengono lo stesso numero di protoni ma diverso
numero di neutroni e si dividono in due categorie: radioattivi e stabili. Gli isotopi radioattivi si disintegrano spontaneamente per formare atomi di altri elementi con l’emissione di radiazioni che in alcuni casi possono essere
pericolose. Gli isotopi stabili hanno, viceversa, un nucleo
stabile e quindi non pongono rischi radiogeni (v. schematizzazione del set-up analitico nella fig. 15). La caratterizzazione isotopica degli idrocarburi si effettua attraverso l’analisi degli isotopi stabili del carbonio e dell’idrogeno, anche se quest’ultimo viene impiegato solo in
casi particolari. Come detto sopra, il gas naturale si forma
attraverso due meccanismi principali: il processo biogenico e quello termogenico. In realtà tutti gli accumuli di
idrocarburi hanno un’origine biogenica in quanto derivano dalla decomposizione della materia organica, ma in
questo contesto si utilizza il termine biogenico per indicare un particolare meccanismo di formazione del gas
naturale a bassa temperatura. In alternativa a gas biogenico è usata anche la denominazione di gas batterico.
Gas biogenico
Il gas naturale è la parte gassosa del petrolio ed è
costituito da una miscela di idrocarburi gassosi quali
metano, etano, propano, butani, pentani.
Gli idrocarburi gassosi possono essere formati attraverso differenti meccanismi di generazione. Tra i principali processi genetici ricordiamo la formazione biogenica (a opera di batteri metanogeni, a bassa temperatura) e la formazione termogenica. Le analisi geochimiche
permettono di determinare l’origine degli accumuli gassosi o di manifestazioni gassose di superficie e di ricavare informazioni sulla presenza di un effettivo sistema
petrolifero (Mattavelli et al., 1983; Schoell, 1983, 1988;
Faber, 1987; Rice, 1993).
Grazie a recenti sviluppi tecnologici, oggi è possibile caratterizzare geochimicamente anche le minuscole
quantità di gas che si rinvengono disciolte nei fanghi di
perforazione durante la perforazione di un pozzo (campionamento headspace).
VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO
Il gas biogenico come risorsa naturale di energia rappresenta, su base mondiale, circa il 20% delle risorse
disponibili di idrocarburi (Rice, 1993). Il meccanismo
di generazione del gas a opera di batteri si svolge a basse
profondità, in condizioni anossiche (assenza di ossigeno) e a temperature relativamente basse (inferiori a 70
°C) su materia organica immatura. Per la formazione di
accumuli commerciali di gas biogenico si richiedono tuttavia particolari condizioni geologiche che favoriscono
la preservazione di tali accumuli (sistemi di intrappolamento precoce, formazione di coperture efficienti e alte
velocità di sedimentazione).
La maggior parte degli accumuli di gas biogenico è
contenuta in sequenze deposizionali costituite da alternanza di sabbia e argilla: la materia organica continentale (kerogene di Tipo III, derivato da materiale organico terrestre, piante superiori e frammenti di legno) in
condizioni di anossia viene degradata a opera di batteri
233
ESPLORAZIONE PETROLIFERA
metanogeni e il gas formato è quasi sempre perso per la
mancanza di una copertura efficace. Laddove sussistono le condizioni favorevoli (apporto di materiale organico continentale, alta velocità di sedimentazione e formazione di una copertura adeguata) si possono formare
accumuli di gas anche commercialmente interessanti.
Gli elementi che caratterizzano un gas biogenico
sono:
• la composizione chimica: il gas biogenico è chimicamente molto secco (cioè formato quasi esclusivamente da metano con tracce di etano o comunque con
contenuto in omologhi superiori minore di 0,1% oltre
a scarse quantità di CO2 e N2); il gas termogenico (che
anch’esso in particolari condizioni può essere secco)
può contenere, invece, importanti concentrazioni di
composti omologhi superiori (etano, propano, butano, pentano, ecc.), vale a dire di composti condensabili. Da qui il termine wet e il parametro Gas Wetness,
definito come rapporto, espresso in percentuale, fra
la somma degli idrocarburi (escluso il metano) e la
somma di tutti gli idrocarburi costituenti il gas:
(C C iC ...C )
11111111221313
·100
(C C C iC … C )
2
1
•
3
2
4
3
n
4
n
la composizione isotopica del carbonio (rapporto isotopico 13C/12C): il gas biogenico è isotopicamente ben
caratterizzato, avendo un rapporto isotopico del carbonio (δ 13C) compreso tra 110 e 60‰. Durante la
trasformazione del materiale organico in gas, i batteri tendono a utilizzare preferenzialmente il carbonio
leggero (12C) piuttosto che quello pesante (13C), per
cui il metano che si forma ha un rapporto isotopico
del carbonio (δ 13C) negativo (a questo proposito va
notato che i valori isotopici del carbonio degli idrocarburi, sia gassosi che liquidi, sono sempre negativi);
• la composizione isotopica dell’idrogeno (rapporto
isotopico tra deuterio e idrogeno o D/H) riflette un
medesimo schema per cui i gas biogenici sono sempre più poveri in deuterio rispetto ai gas termogenici (range isotopico δ D tra 250 e 170‰).
In Italia un valido esempio di accumuli di gas biogenico è rappresentato dai numerosi serbatoi posti a
profondità relativamente bassa (inferiore a 2.000 m) nell’onshore della Pianura Padana, come anche dai giacimenti del vicino offshore di Ravenna (formazioni costituite da alternanze di sabbia e argille del Pliocene; Mattavelli et al., 1983). Il gas biogenico della Pianura Padana,
con valori di δ 13C molto negativi (solitamente compresi tra 70 e 76‰) è rinvenuto in serbatoi localizzati
sia a scarse profondità sia a profondità molto elevate (un
pozzo offshore, che ha prodotto gas biogenico a circa
4.500 m di profondità, costituisce il più profondo esempio di gas biogenico riportato in letteratura).
Il trend isotopico con la profondità nei pozzi a gas della Pianura Padana indica che è possibile trovare entrambe
234
le tipologie di gas (biogenico e termogenico) oltre al prodotto del mescolamento, o gas misto. Il gas misto è di
solito rinvenibile in serbatoi di età messiniana mentre in
serbatoi del Mesozoico si rinvengono solo gas termogenici. Condizioni geologiche particolari possono tuttavia
favorire la migrazione di gas profondi termogenici in
serbatoi più superficiali senza che vi siano modifiche
relative al segnale isotopico del gas.
Gas termogenico
Il gas termogenico è formato dal kerogene o dal petrolio e, come risultato del riscaldamento durante la deposizione, può essere generato da: cracking termico della
materia organica (kerogene) in idrocarburi sia gassosi
che liquidi (gas termogenico primario, od oil-associated
gas); cracking termico di un olio ad alta temperatura in
gas (gas termogenico secondario).
Il gas termogenico, che è generato a temperature più
alte (80-150 °C), rispetto al gas biogenico è generalmente
molto ricco in omologhi superiori. Il rapporto isotopico
del carbonio del metano (δ 13C) è in relazione al livello
di maturità dei sedimenti che lo hanno generato ed è compreso nell’intervallo tra 60 e 20‰, mentre il rapporto isotopico dell’idrogeno varia tra 200 e 80‰.
Per distinguere un gas termogenico primario da un
gas termogenico secondario (ultramaturo, cioè formato
a temperature più elevate, 150-200 °C e oltre) viene presa
in considerazione la quantità di omologhi superiori. Generalmente un gas termogenico primario è caratterizzato
da alte percentuali di omologhi superiori (Gas Wetness
fino al 50-60%, per esempio nei pozzi della Val d’Agri
in Basilicata), mentre un gas termogenico secondario ha
un parametro di Gas Wetness molto basso (anche minore di 0,2%)
Queste caratteristiche sono attribuibili al cracking
termico dei composti liquidi: molecole pesanti e complesse (per esempio C6 e superiori) sottoposte ad alte
temperature si rompono, formando molecole più semplici. La conseguenza finale di questo meccanismo di
degradazione termica è la formazione di un gas costituito principalmente da metano. Questo gas è chimicamente affine a un gas biogenico ma facilmente distinguibile da quest’ultimo per un più alto contenuto in 13C
(δ 13C metano tra 30 e 27‰) e in deuterio.
In presenza di bassi livelli di maturità della materia
organica, il gas termogenico potrebbe essere scambiato
per un gas biogenico (basso rapporto 13C/12C e scarsa
presenza di omologhi superiori), per cui si fa ricorso all’analisi isotopica di etano e propano per definirne l’origine genetica.
Caratterizzazione dei composti non idrocarburici
I gas non idrocarburici che possono essere associati
al gas naturale sono comunemente il biossido di carbonio,
l’azoto e il solfuro di idrogeno. La presenza di questi
ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
PROSPEZIONI GEOLOGICHE
composti rappresenta un elemento negativo nella valutazione economica della scoperta in quanto: riduce il valore commerciale della scoperta stessa (essendo più basso
il contenuto energetico del gas); richiede investimenti in
impianti necessari per la loro rimozione e il loro smaltimento; pone problemi di natura tecnica (corrosione dei
materiali) e di sicurezza.
Biossido di carbonio (CO2 ). Il rinvenimento di CO2
non è molto frequente, tuttavia la sua presenza può seriamente influire sull’economicità di una scoperta. Esempi di accumuli di CO2 sono costituiti da: Bacino Pannonico, Bacino Cooper-Eromanga (Australia), Mar
Cinese meridionale, Campo di Palino-Candela (Italia
meridionale).
Da una statistica elaborata da Thrasher e Fleet (1995)
risulta che la probabilità di rinvenire CO2 in misura superiore al 20% è di 1 su 100, ma che la media di questi rinvenimenti mostra contenuti in CO2 prossimi al 50%. Questo indica che la probabilità di trovare biossido di carbonio non è molto alta, ma quando ciò si verifica si hanno
livelli talmente alti di CO2 da rendere non economico il
rinvenimento dell’accumulo a meno di non sfruttare sul
posto, con opportune strategie, la risorsa in questione
(centrali elettriche alimentate a lean-gas).
Tra vari meccanismi di formazione di CO2 i più importanti sono: a) CO2 di derivazione organica (per esempio,
degradazione della materia organica durante la diagenesi e la catagenesi); b) degradazione batterica del petrolio (T<70 °C); c) CO2 prodotto da attività vulcanica e da
corpi magmatici intrusivi; d) come prodotto della riduzione termochimica dei solfati (TSR) con idrocarburi.
Azoto (N2 ). Attualmente si conosce poco della geochimica isotopica dell’azoto nei bacini petroliferi e questo potrebbe essere dovuto al fatto che gli accumuli sono
spesso il risultato di un mescolamento di gas formati
attraverso diversi meccanismi genetici. Studiando casi
particolari in cui l’origine dell’azoto era dovuta a un singolo meccanismo, è stato possibile stabilire con sufficiente accuratezza i campi di variazione del dato isotopico dell’azoto a seconda dei meccanismi responsabili
della sua formazione. Importanti accumuli di azoto sono
stati scoperti in molti bacini petroliferi, quali la Great
Valley in California (Jenden et al., 1988), la regione bacinica del Volga-Urali, il bacino Centro Europeo (Jenden
et al., 1988; Kroos et al., 1995), lo Yinggehai Basin.
Solfuro di idrogeno (H2 S). L’H2S, a causa della sua
pericolosità, pone molti problemi dal punto di vista della
sicurezza; è avvertibile olfattivamente a livelli di poche
parti per milione, ma oltre le 30 ppm i centri nervosi dell’olfatto non riescono più a percepirlo ed è a questo livello che inizia il pericolo. La messa in produzione delle
scoperte petrolifere con presenza di H2S ha costi molto
più alti a causa delle problematiche legate alla corrosione dei materiali impiegati nelle strutture produttive e al
suo smaltimento. In natura si rinvengono accumuli di
VOLUME I / ESPLORAZIONE, PRODUZIONE E TRASPORTO
H2S che possono arrivare anche al 98% della quantità
totale di gas.
Il solfuro di idrogeno (H2S) può avere origine batterica o inorganica. Nell’origine batterica vi è la riduzione del
solfato disciolto nelle acque in H2S. Questo meccanismo
però non riesce a formare livelli di H2S superiori al 5%.
Un altro limite alla formazione batterica di H2S è la temperatura, che deve essere inferiore a 80 °C.
Per quanto riguarda l’origine inorganica si distinguono due modalità:
• decomposizione termica del kerogene: l’H2S si forma
durante le varie fasi della diagenesi della materia
organica. Questo meccanismo è di solito presente
nelle rocce carbonatiche, mentre nelle argille la presenza di ferro costituisce un naturale fattore limitante
(precipitazione di pirite, FeS2);
• riduzione termochimica del solfato (TSR): è una reazione termochimica che avviene a temperature di
almeno 120 °C tra gli idrocarburi e le evaporiti. Questo meccanismo è quello che consente di formare le
più alte concentrazioni di H2S.
Conclusioni
La valutazione di una roccia madre viene condotta
attraverso una sequenza di analisi mirate alla definizione del suo potenziale e alla possibilità di correlazione
con i giacimenti di olio e gas già scoperti. Lo schema
analitico deve fornire i mezzi per determinare il potenziale petrolifero della roccia, il tipo di idrocarburi che si
possono generare (gas oppure olio), la sua maturità termica (immatura, atta alla generazione di olio oppure di
gas) e la sua velocità di decomposizione (cinetica). Questi dati sono utilizzati per la realizzazione di mappe di
facies organica, di potenziali generativi, di maturità e di
rapporto di trasformazione utili per individuare i migliori prospect (potenziali trappole strutturali) a olio o a gas
da perforare. Gli estratti da rocce madri mature sono usati
per la correlazione con i campioni di olio, per stabilire
l’effettiva roccia madre dell’olio o del gas. In questo caso
sono necessari diversi campioni prelevati da una singola roccia madre perché leggere variazioni nella facies
organica possono modificare le caratteristiche dei marker
biologici.
Le correlazioni olio-olio e olio-roccia madre si basano sia sulle analisi di bulk sia su dettagliate analisi chimiche. Le analisi di bulk comprendono determinazione
di zolfo, nichel e vanadio, composizione elementare,
composizione delle frazioni e densità specifica (gradi
API) dell’olio. Le analisi chimiche di dettaglio comprendono: gascromatografia, marker biologici e isotopi
del carbonio, oltre alle più recenti tecniche di analisi
quali rapporto isotopico dei componenti dei marker biologici e rapporto dei diamantoidi per valutare il cracking
termico dell’olio.
235
ESPLORAZIONE PETROLIFERA
Le analisi di un olio devono includere la valutazione dei processi di alterazione subiti dal campione, quali
migrazione secondaria (miscele di oli), degradazione
batterica, frazionamento per evaporazione, water washing,
riduzione termochimica dei solfati o precipitazione degli
asfalteni. La dinamicità dell’ambiente geologico e della
chimica degli oli implica la necessità di studiare tutti i
cambiamenti che possono essere avvenuti in un campione di olio in funzione dei vari processi ai quali è stato
sottoposto.
Lo scopo ultimo di uno studio di un sistema petrolifero è quello di individuare i prospect migliori per la
futura produzione di olio e gas, compresi quelli che in
passato erano stati trascurati. Questo studio deve includere anche le valutazioni necessarie a definire sia le qualità degli idrocarburi sia il grado di compartimentalizzazione di un giacimento.
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