Operation Avalanche. La memoria, la storia b

annuncio pubblicitario
“Operation Avalanche. La memoria, la storia”
dii Giuseppe Fresolone
Introduzione
Ci sono luoghi che sono entrati stabilmente nella mappa memoriale della II Guerra Mondiale. La
provincia di Salerno, nonostante sia stata al centro di una delle operazioni militari più importanti
della storia, non è tra questi. Anche lo sbarco di Salerno, con tutti i suoi risvolti, è entrato in quella
zona grigia che più in generale ha coperto tutta la vicenda del meridione italiano tra il 1943 e il
1946.
Raramente si è avuta la capacità di sfuggire alla vulgata che condensa negli avvenimenti del Nord
Italia le esemplificazioni destinate a dare senso e spessore etico-politico alla narrazione. Il Sud del
periodo 1943-45 è “terra di nessuno”1 nella quale sparisce l’inferno congiunto di stragi naziste e di
bombardamenti alleati. I mesi delle operazioni militari tra lo sbarco in Sicilia e il fronte di Cassino
vedono una popolazione passiva, in balia delle contrastanti forze militari, incapace di distinguere
l’amico dal nemico, poiché da tutti subisce violenza. Alfine «l’Italia liberata prima della
liberazione» offre agli osservatori coevi lo spettacolo di una desolante disgregazione sociale che
nessuna forza politica o morale riesce ad arginare. Un pessimismo dell’intelligenza e forse anche
della volontà che la storiografia legge nel pur lucido dibattito intellettuale di quei mesi di attesa, dal
Croce della «finis Europae»2 al De Ruggero che intravede «piuttosto che una democrazia in
divenire ….una dittatura in sfacelo»3.
Le vicende della resistenza inquadrata vengono assunte come elemento fondativo e mitico per la
costruzione dell’identità repubblicana con i partiti di massa quasi monopolisti nella costruzione
della memoria pubblica4. Ecco così che un episodio complesso e articolato come lo sbarco di
Salerno poco si presta alla grande operazione di “uso pubblico della storia” venendo così cancellato
dagli oggetti di studio e dai temi della ricerca sia nel dibattito storiografico che nella diaspora sulla
memoria resistenziale5.
Una delle poche opere sull’argomento, rimasta per più di un decennio, il tentativo più significativo di
approfondimento scientifico è A. Degli Espinosa, Il Regno del Sud, Roma 1946, a riguardo si veda quanto contenuto in
un celebre saggio di N. Gallerano, Sulla” sfortuna” storiografica del Regno del sud, in Salerno 1943. Cinquant’anni
dopo lo sbarco, Salerno 1994.
1
2
3
B. Croce, Quando l’Italia era tagliata in due. Estratto di un diario luglio 1943-giugno 1944, Bari 1948, p. 41.
Cfr. A. Schinaia e N. Ruggiero, Carteggio Croce - De Ruggiero, Bologna, 2009 .
4
La definizione di memoria pubblica a cui si fa riferimento è quella di « un patto in cui ci si accorda su cosa trattenere e
cosa lasciare cadere degli eventi del nostro passato, le scelte sulla base delle quali orientare tutti i sentimenti del passato
propri dell’esistenza collettiva», G. De Luna, La Repubblica del dolore, Milano 2011, p. 7.
5
Sulla scarsa produzione scientifica dedicata alle importanti vicende salernitane del 1943-44 si veda di G. D’Angelo,
L’Operation Avalanche tra storiografia nazionale cronaca locale, in Aspetti e temi della storiografia italiana del
Novecento, Salerno 2008.
1
Le dispute memorialistiche
In un tale contesto si capisce come la rappresentazione di quelle vicende ha, per alcuni decenni,
un’impronta quasi esclusivamente “autobiografica” dove sono i protagonisti a dominare lo spazio
narrativo. Ciò riguarda, innanzitutto, i reduci degli eserciti impegnati nell’operazione che, negli anni
immediatamente successivi al conflitto, danno vita ad una intensa pubblicistica tra diari e memorie.
Hugh Pond, ufficiale inglese incardinato nella 46ͣ divisione è l’autore della più conosciuta tra
queste6. Nelle sue memorie si evincono le controversie interne agli alleati su modalità ed obiettivi
dell’operazione. Il tutto a partire dalla scelta inglese più generale di considerare la penetrazione dal
Mediterraneo come strada per contendere all’URSS la riconquista dell’Europa continentale. Le
posizioni iniziali vedono gli americani perplessi e gli inglesi decisi a risalire presto lo stivale per poi
penetrare dai Balcani non solo per contenere l’espansione sovietica ma consolidando i loro
tradizionali interessi nell’area. I comandi britannici certi della debolezza dell’Italia chiedono di
sbarcare così più a Nord possibile con gli americani convinti più dell’efficacia di uno sbarco nel
Nord della Francia. Posizioni che si invertono invece dopo il crollo del regime fascista con gli
americani pronti a dare una mano agli italiani in caso di sganciamento dalla Germania e gli inglesi
che fanno retromarcia per scongiurare la possibilità di un ruolo attivo giocato dall’Italia nella
liberazione dal nazi-fascismo in modo da eliminare un concorrente nel Mediterraneo. Nella
memorialistica dei combattenti, però, sia pur tra diversi spunti interessanti, si coglie il tentativo di
giustificare o addossare ad altri i problemi dell’operazione7. In Pond, ad esempio, si eclissa il
motivo del cambiamento dell’intenzioni inglesi che addirittura, in un primo momento, per sostenere
lo sbarco più a Nord possibile arrivano a proporre la Toscana offrendo una copertura aerea affidata
a cinque portaerei (quattro adattate le“escort carriers” e una leggera) indicando gli americani
come i responsabili dei problemi successivi allo sbarco visto che per alcune ore le truppe non
possono usufruire della copertura aerea visto che Clark, pensando di sorprendere la 16 ͣ Panzer
Division, non ordina alcun bombardamento di preparazione.
Con qualche anno di ritardo, sono poi i protagonisti locali a farsi largo nel ricordo: il genere
letterario è lo stesso però il taglio è diverso. Qui più che il tentativo di giustificare le scelte delle
truppe e dei combattenti, sono le vicende delle varie comunità ad assumere il ruolo centrale in
quello che di lì a qualche anno diventa un vero e proprio groviglio di memorie particolaristiche, non
senza però che alcune opere colgano aspetti più complessi della vicenda salernitana.
I testimoni di Salerno città, esponenti tutti e due di una borghesia professionale che avrà poi un
ruolo da protagonista nelle vicende successive della città, sono più attenti a episodi particolari8 che
scandiscono il passaggio delle truppe a Salerno e le varie tappe della battaglia che lambisce solo la
città. Si pensi al romanzo di Michele Scozia9, poi protagonista della vita politica della città,
costruito sui ricordi adolescenziali all’ombra della guerra in cui si descrive efficacemente un senso
comune in bilico tra vita quotidiana e percezione di una guerra che nei suoi effetti reali devastanti
sembra avvicinarsi lentamente come un temporale .
Cfr. H. Pond, Salerno! “Operazione Valanga, Milano 1966 (ed. or. Salerno !, London 1962)
Tra le più conosciute si ricordi, da parte americana, G. G. Clift, A letter from Salerno. Written by Pfc Glenn G: Clift,
New York, 1943; G. Starr Chester, Salerno to the Alps. A history of the Fifth Army, 1943-1945, Washington, 1948, da
parte inglse oltre alla già citata opera di Pond anche D. Hickey; G. Smith, Operation Avalanche. The Salerno Landings,
London 1943.
6
7
8
. Sia Dentoni Litta sia Arturo Carucci, ad esempio descrivono minuziosamente orari e modalità del passaggio delle
truppe, anche se spesso date ed episodi non sempre coincidono, cfr. A. Carucci, Salerno: settembre 1943, Salerno
1972; F. Dentoni Litta, Guerra a Salerno
9
M. Scozia, La sciarpa, Salerno 1984.
2
Numerose, a partire dai diario del vescovo dell’epoca Nicola Monterisi, sono le narrazioni che
individuano la chiesa salernitana – tanto nei suoi vertici che nella sua base - unico elemento di
riferimento per la popolazione non più rappresentata da alcuna istituzione10. Significativa a riguardo
è il ripetersi di una sorta di intermediazione quasi fisica che il clero locale riesce a svolgere in quei
giorni come quella del giorno 9 quando i tedeschi prendono in ostaggio un gruppo di militari e
civili, dopo che due soldati sono rimasti uccisi e cinque feriti a seguito di scontri a fuoco che
avvengono ala limite occidentale della città, e solo grazie all’opera del sacerdote i tedeschi liberano
i civili trattenendo i militari11.
La stessa produzione, sempre ad appannaggio di ceti tradizionalmente legati alla scrittura, in
provincia assume un taglio diverso. Lo scombussolamento e l’accentuata “mobilità” dei luoghi e
ancora più in primo piano. Carlo Carucci, per Olevano sul Tusciano, i monti Picentini e le aree che
si affacciano dall’alto delle colline, sul golfo di Salerno12. Si parla di modifiche al paesaggio così
come gli si era presentato nella sua vita precedente, così come, la “valanga” , intervenendo
direttamente nel determinare le coordinate spazio-temporali modifichi il senso di percepire i propri
luoghi ed anche la mobilità che sembra riscoprire percorsi e mezzi di altri tempi, soprattutto per
quel che riguarda l’agro nocerino-sarnese che conosce, nonostante la diversa conformazione
geografica, gli stessi problemi di mobilità delle aeree montane13.
Altro tema ricorrente è l’emozione nel vedere i luoghi abituali della vita quotidiana attraversati dalle
operazioni devastanti che per alcuni tratti ai protagonisti sembrano ricordare i momenti di festa
solenni di quei luoghi. Si pensi al paragone tra le cannonate dal mare e i tradizionali fuochi
d’artificio del santo patrono di Salerno14, oppure al «lunato golfo» che dalle colline che dominano la
piana del Sele che nei giorni dello sbarco è come se non avesse più il mare coperto dalla centinaia
di navi della flotta alleata15.
Proprio nella piana del Sele alcune memorie si inoltrano in considerazioni più impegnative, sul
ruolo degli americani e sulla modalità con cui viene condotta la battaglia per conquistare Altavilla
ritenuta postazione strategica per l’artiglieria della 16 Panzer Division e rasa al suolo dai
bombardamenti16.
In questa moltiplicazione dei punti di vista, l’espansione della memoria unita alla disattenzione
degli storici ha originato una sorta di ostruzione, di sovrabbondanza memorialistica. Al contrario,
ancora per tutti gli anni Sessanta i grandi costruttori di identità scegliendo i discorsi, gli eventi e le
vicende da ricordare o da mandare in oblio, inquadrando la realtà del periodo 1943-45 in rigide
categorie spingevano ai margini tali narrazioni che però rimanevano le uniche e non trovando un
linguaggio pubblico di riferimento con cui confrontarsi ed esprimersi sono rimaste chiuse nelle
Cfr., N. Monterisi, Trent’anni di episcopato, Isola Liri 1950.
A. Carucci, Salerno: settembre…cit.
12
C, Carucci, La battaglia di Salerno vista dalla contrada Valle di Olevano sul Tusciano. Diario, Salerno 1943; P.
Tesauro Olivieri, Settembre 1943. la tragedia delle popolazioni dei comuni della Valle del Sele e dintorni, Salerno 1979
per la valle dell’Irno invece D. Sorrentino, Come ho visto la guerra sul fronte di San Severino Rota (diario 8-29
settembre 1943), Mercato San Severino 1984.
13
Cfr. Settembre 1943: testimonianze, documenti, racconti in occasione del cinquantenario, a cura di E. Santacroce,
Cava de’ Tirreni, 1993.
14
Michele Scozia dalla costiera amalfitana tutto ricorda i fuochi d’artificio che, per tradizione, concludono i
festeggiamenti in onore del Santo patrono della città, San Matteo. Eppure, non di luminarie e giochi pirotecnici si tratta,
ma di prosieguo di ore drammatiche. Solo poco prima, ha «salutato, come tanti, con commozione con gioia la fine della
sciagurata avventura» e si ritrova ora, «nel bel mezzo di una delle più colossali operazioni militari della seconda guerra
mondiale».
15
Oltre alle fonti appena citate indicativo è quanto affermato, nel suo diario di guerra pubblicato poco tempo fa dal
Comune di Eboli, da una donna , di cui non si è riusciti ad individuare il nome, sfollata ad Eboli da Napoli; Eboli 194344. Diario di una donna. A cura di F. Manzione, Salerno 2003 sempre per quanto riguarda Eboli e la piana del Sele si
veda M. Sparano, Il panigaccio. Ricordi di guerra, Eboli 2010 e P. Caruso, Vivere per raccontare. Diario di guerra
1940-1945, Eboli 2008.
16
Cfr G. Iorio, Quota 424. battaglia per Altavilla Salentina, Salerno 2003.
10
11
3
memorie individuai, familiari, di comunità. Tracce memoriali presidiate da concetti come ricordo,
tradizione, identità in cui l’assenza prolungata della “storia” ha impedito un esercizio critico.
.
Storiografia militare e politico-diplomatica
Alla disattenzione della storiografia italiana fa da riscontro invece una produzione scientifica
americana ed inglese, in tono minore anche tedesca, che proprio sulle vicende di Salerno coglie
importanti chiavi di volta per comprendere la strategia degli angloamericani. Il taglio è prettamente
di storia militare e da vita ad intenso dibattito sulle responsabilità delle scelte e delle successive
manovre dove però non è il ricordo a guidare il testo ma il tentativo di motivare il tutto con un
impianto analitico più solido.
I movimenti delle truppe vengono seguiti d’ora in ora e analizzate le decisioni dei comandi. In
particolare, la storiografia militare ha analizzato i diversi punti di vista e comportamenti dei
comandi britannici e statunitensi, le cui divergenze emergono con particolare acredine per via del
fatto che Salerno è la prima operazione in cui gli americani ricoprirono un ruolo altrettanto
importante rispetto agli inglesi, per il momento sul piano militare, ancora più forte poi su quello
politico. Nonostante il taglio più scientifico e la consapevolezza che le scelte effettuate sul campo
avevano dunque un retroterra più complicato, la narrazione minuziosamente attenta alle azioni
militari nel loro svolgersi non fa sempre emergere tutti gli aspetti della vicenda17.
L’approccio estremamente tecnico-militare di questi testi è spesso esasperato: non a caso spesso
viene colta l’opportunità di analizzare come in un laboratorio le varie fasi dell’operazione congiunta
effettuando comparazioni sia con altri episodi della storia della seconda guerra mondiale, sia con
episodi più recenti di operazioni militari congiunte. Anche se la lettura per chi non sia direttamente
interessato a questi aspetti sia abbastanza ostica in alcuni di questi si possono cogliere squarci di
storia sociale della guerra18.
Sono sicuramente lavori italiani che partendo da aspetti militari portano a chiarire però i nodi
storiografici irrisolti nella polemica memorialistica. Negli studi di Massimo Mazzetti, il repentino
cambiamento di strategia degli inglesi viene collegato al mutato quadro dopo il 25 luglio, quando il
servizio informazioni inglese scopre che la Wermacht è pronta a disarmare l’esercito italiano e ad
appostarsi sul fronte degli Appennini tra Rimini e La Spezia in modo da impedire un qualsiasi ruolo
italiano nella liberazione della penisola, dunque nessun riconoscimento dello stato di cobelligeranti
per le truppe italiane. Cosìcché gli inglesi si oppongono anche all’indicazione del generale Clark di
sbarcare a nord di Napoli tagliando fuori le divisioni tedesche allocate tra Campania e Calabria, il
che avrebbe accelerato in tal modo la risalita degli alleati verso Roma19. Nelle opere di Mazzetti, il
17
H. K. Hewitt, The Allied navies at Salerno: Operation Avalanche- September 1943. U. S. Naval Institute
Proceedings, Vol. 79, 1953; E. Morris, Salerno. A military fiasco, new York 1983. L. Urba, Flammen über Salerno. Das
allííert Laudenunternehmen in der Butcht von Salerno in September 1943, Papel 1965. M Blumenson, Salerno to
Cassino, Washington, 1969; B. H. Liddell Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale, Milano 1991 (ed. or.
History of the Second World War, New York, 1970);W. Werthen, Geschichte der 16. panzer-Division 1939-1945,
Podzun 1958; G. Schreiber, La vendetta tedesca, 1943-1945, Milano 2000; L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca in
Italia. 1943-1945, Torino 1993; E. Morris, La Guerra inutile, La campagna d’Italia 1943-1945,Milano 1995.
18
Tra gli studi più interessanti in questo senso va segnalato A. Konstam, Salerno 1943. The Allied Invasion of Italy,
Barnsley 2007.
19
Mazzetti riporta un passaggio del rapporto del generale inglese Alexander dove si dice che lo sbarco a nord di Napoli
«In tal caso l’autorità del Regio Governo sarebbe continuata nella maggior parte del paese, la Capitale sarebbe stata
garantita, le forze italiane, benché ridotte, sarebbero rimaste in piedi, la posizione del Comando supremo impregiudicata
e l’Italia sarebbe stata in grado di occupare il suo posto tra le nazioni unite» , M. Mazzetti, «La Battaglia di Salerno» in
1944 Salerno Capitale. Lavori importanti dello stesso autore sul tema sono«L’Italia e gli alleati dopo l’armistizio» in «
Rassegna di politica e storia», XV, n. 175, 1992 ,«L’8 settembre: i piani e le forze in campo. Gli anglo-americani.i
tedeschi. Gli italiani» in Il secondo risorgimento in d’Italia. Riorganizzazione e contributo delle forze armate regolari
4
collegamento tra strategie complessive delle armate inglesi e americane è organicamente e più
efficacemente collegato alle loro scelte politiche di fondo che si dispiegheranno nel dopoguerra così
come lo sfondo del retroterra sociale e culturale salernitano devastato dalle operazioni militari per la
prima volta è accompagnato da dati e descrizioni minuziose20.
Angelo Pesce che ha più di altri ritrovato materiale negli archivi militari alleati, ha ricostruito
minuziosamente le varie fasi della battaglia aprendo uno scorcio poi sullo sviluppo della battaglia
nell’agronocerinosarnese. In particolare a Scafati con le forze attestate sulle sponde del Sarno ci
sarebbe stato un protratto duello a colpi di cannone e se i tedeschi avessero tenuto le posizioni
ostacolando l’avanzata anglo-americana verso Napoli gli inglesi avrebbero potuto richiedere
l’intervento massiccio dell’aviazione. Poiché i tedeschi si erano attestati sulla sponda destra del
fiume la cittadina sarebbe stata al suolo così non fu per la collaborazione tra alcuni cittadini
resistenti del luogo e i comandi del colonnello Forrrester che si fidò del movimento partigiano
locale che si offrirono di accompagnare un contigente inglese attraverso una passerella a monte
dell’unico ponte sul Sarno rimasto in piedi prendendo i tedeschi alle spalle21, contraddicendo due
dei maggiori clichè: la diffidenza inglese e l’estraneità delle popolazioni alla liberazione.
Studi importanti hanno poi narrato il modo in cui la stampa nazionale ricostruisce le vicende che
vanno dallo sbarco al periodo di Salerno Capitale22,
Notevole è intorno alla fine degli anni settanta è la produzione scientifica dove aleggia il nome
Salerno. Tuttavia nel dibattito intenso,che vede questa volta protagonista la storiografia politica,
l’attenzione all’ origine e alle dinamiche della «svolta di Salerno» più che le vicende salernitane tra
l’armistizio e la Liberazione, rilievo assume il dibattito interno al Pci, l’influenza dell’Unione
Sovietica nella scelta di Togliatti di entrare nel governo Badoglio e le prospettive che tutto ciò
comporta per la nascita della Repubblica e la nuova strategia del movimento operaio e
antifascista23. Dopo l’importante lavoro di Mazzetti le ricerche sono proseguite con una certa
cadenza, pochi sono i lavori che analizzano come la città e la provincia vivono il periodo di Salerno
capitale, la riorganizzazione della macchina burocratica locale, del sistema di approvvigionamento
alimentare, in generale il processo di ricomposizione sociale durante l’occupazione alleata.
La Storia sociale
L’enfasi patriottica dell’antifascismo ufficiale, l’accentuazione del ruolo dei partiti e della loro
unità, la dimensione celebrativa della resistenza entrano in crisi alla fine degli Sessanta24. Nasce in
questo periodo un filone alimentato da nuove ricerche che riscoprono la “spontaneità” della lotta
partigiana rispetto all’inquadramento prima decantato. Pur con evidenti finalità politiche, tale
impostazione permette alla storiografia di inaugurare una nuova stagione di ricerche corroborata da
un’enorme mole di nuovi documenti che spalanca nuovi orizzonti sul ruolo dei deportati e delle
truppe regolari nella guerra di liberazione, delle donne. È da questo filone che anche la vicenda
meridionale viene arricchita di nuove interpretazioni non più marginalizzate dalla storiografia
precedente.
italiane. La cobelligeranza, Roma 1996; «Aspetti operativi della campagna primavera-estate ‘44» in Dalle Mainarde al
Metauro. Il corpo italiano di liberazione (C. I..L.) Roma 2001.
20
Per gli studi relativi allo sbarco e al periodo di Salerno capitale passaggio obbligato è M. Mazzetti, Salerno Capitale
d’Italia, Salerno 2001.
21
A. Pesce, La battaglia di Scafati e il col. Michael Forrester, Scafati 2008
22
G. D’Angelo- M. Mazzetti- N. Oddati, I giorni di Salerno Capitale, Salerno 1994.
23
E. Aga Rossi-V. Zaslavsky, Togliatti e Stalin: il PCI e la Politica estera staliniana, Bologna 1997; A. Lepre, La
svolta di Salerno, Roma 1966; L. Cortesi, Alle origini dell’Italia di oggi, : la “svolta di Salerno”, in «Studi e ricerche di
storia contemporanea», n. 6, 1975; A. Agosti, Togliatti, Torino 2008
24
D. Giacchetti, Il Sessantotto e la Resistenza negli studi e nella militanza di Guido Guazza, 1963-1974, G. De Luna,
Le ragioni di un decennio, Milano 2009, p. 86
5
Rivalutando la dimensione spontanea della lotta di liberazione la prospettiva dei nuovi studi
inquadra il territorio e gli insediamenti sociali non più come spazio amorfo che subisce
passivamente i cambiamenti dal centro e poi l’occupazione straniera. Inizialmente la rivisitazione si
concentra sulle quattro giornate di Napoli, dove ora è il quartiere vissuto della vita quotidiana ad
essere protagonista della lotta. Rivalutato anche nei precedenti momenti di «resistenza ordinaria al
fascismo», ecco così che si scopre il suo universo simbolico e rituale come retroterra della
resistenza ai tedeschi25. È stata proprio l’incapacità di analizzare senza pregiudizi lo spazio sociale
del vissuto quotidiano, di cogliere le dinamiche interne della realtà urbana meridionale, le
dinamiche sociali nelle campagne a non legittimare gli episodi di lotta antitedesca ad entrare nella
“grande” storia della resistenza. L’insurrezione, per i suoi caratteri spontanei e per la sua
dimensione territoriale (gli antichi quartieri cittadini identificati con la plebe o i lazzari), è stata per
lungo tempo, assimilata alle rivolte tipiche dell’età moderna in un contesto sociale dominato da
immobilismo sociale e arretratezza economica, miseria e fame unici agenti in grado generare
cicliche e prepolitche esplosioni di rabbia popolare26.
Il superamento di tale impostazione e i risultati della nuova prospettiva di ricerca di questo
importante pezzo di storia dell’Italia meridionale tra fascismo, guerra e dopoguerra presentano,
però, tutt’altro che caratteri unitari. Il quadro che viene tracciato si presenta piuttosto frammentato,
con forti differenze, in vari luoghi e in varie situazioni. Appare difficile trovare caratteri unitari per
raccontare le vicende dell’opposizione all’occupazione tedesca, o quelle relative all’esplosione di
diverse forme di violenza nel precoce dopoguerra meridionale, da quelle attribuibili agli eserciti
angloamericani, alle violenze a sfondo criminale, alle violenze a sfondo politiche. L’intreccio tra
fonti archivistiche, letteratura e ricorso alle fonti orali, produce un effetto interessante, che rimette
in discussione alcune idee consolidate, come per esempio quella relativa al comportamento passivo
e rassegnato della popolazione civile. Così anche la difficile ricostruzione delle relazioni politicoistituzionali viene ora descritta in un contesto che non dà più per scontata la vocazione
univocamente conservatrice, contrapposta al “Vento del Nord”. Una maggiore attenzione alla realtà
politica e istituzionale del Regno del Sud, definito “Stato periferico” è ricompensata da risultati
interessanti al fine della ricostruzione di un contesto nazionale, al quale danno un contributo le
formazioni politiche consolidatesi al Sud in modo autonomo27.
Preziosi al riguardo risultano gli studi di G. D’Agostino Le Quattro giornate di Napoli, Roma 1998; L. Cortesi,
Comunisti, resistenza e quattro giornate, in G. Chianese ( a cura di ), Mezzogiorno 1943. La scelta, la lotta, la
speranza, Napoli 1996. Su questo stesso temo nello stesso volume L. Parente, Due o tre considerazioni sulle quattro
giornate. Oltre al lavoro più generali sul meridione di B. Passaro – F. Soverina, Un antifascismo difficile: il Sud d’Italia
(1943-1980), in «Il presente e la storia. Rivista dell’Istituto storico per la storia della Resistenza in Cuneo e provincia»,
n. 45, 1994: G. Gribaudi, Guerra totale. Tra bombe alleate e violenze naziste. Napoli e il fronte meridionale 1940-44,
Torino 2006.
26
Su pensi al modello delineato da un grande storico inglese dove si dove si descrive le città ideali per la sommossa e
l’insurrezione: densamente popolate, con una forte concentrazione abitativa nello spazio, mancanza di arterie moderne
con i centri di potere e le istituzioni inserite inseriti nelle zone più popoloso. E. J. Hobsbawm, I rivoluzionari, Torino
1975 ripreso da studiosi italiani e applicato alle vicende napoletane: S. Ascione, Settembre 1943: Napoli tra stragismo e
rivolta si pensi anche allo studioso inglese poi trapiantato a Napoli P. A. Allum, Potere e società a Napoli nel
dopoguerra, Torino 1975
27
Cfr. interessante per la ricerca che lo sorregge e nello schema che mette a confronto l’eredità della guerra nelle due
parti dl paese, meridione e settentrione, e non più solo concentrando l’attenzione sul vento del nord è G. Crainz,
L’ombra della guerra, Donzelli 2007. Tra le opere precedenti più significative a riguardo, si segnala: A. Lepre,
L’occhio del Duce. Gli italiani e la censura di guerra, Milano 1992; A. Lepre, Per una storia della sensibilità a Napoli
durante la seconda guerra mondiale, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. La Campania, Torino 1990; G.
Chianese, “Quando uscimmo dai rifugi”. Il Mezzogiorno tra guerra e dopoguerra (1943-1946), Roma 2004; L. Villari,
La reazione italiana contro l’aggressione tedesca, Roma 2007; R. Absalom, L’alleanza inattesa. Mondo contadino e
prigionieri alleati in fuga (1943-1945), Perugia 201 . Su come poi, specialmente nelle campagne, nel Sud si manifesti
una discontinuità rispetta alla dialettica politica di età liberale e di epoca fascista illuminanti rimangono le
considerazioni di R. Villari, La crisi del blocco agrario, in L’Italia contemporanea 1945-1975, Torino 1976.
25
6
Proprio l’incrocio tra fonti svariate, dunque, nonché l’attenzione alla specificità, alle
caratteristiche, all’impostazione dei documenti presi in esame viene organizzato in un lavoro
storiografico che sistema quelle memorie scritte di cui si faceva cenno prima e le confronta con
quelle orali, più in generale con scritture diffuse dalle lettere ai diari, in un lavoro in grado di
conferire rappresentatività alle fonti stesse.
Molta attenzione ha avuto quel passaggio dall’immaginario della propaganda a quello che nasceva
dalle esperienze individuali può essere definito anche come passaggio dalla guerra immaginata alla
guerra reale, con i bombardamenti prima e lo sbraco poi.Un evento che le categorie logiche del
«racconto» sembrano impotenti a descrivere e che suscitano emozioni difficili da comunicare.
La valanga, insomma, è una catastrofe, nel senso comune del termine, ma anche fisicamente, con la
trasformazione dei luoghi, e di passaggio,da uno stato all’altro nella quale la percezione della realtà
non rispondeva più agli schemi consueti.
Gli studi su Salerno città hanno evidenziato come poche siano le tracce lasciate del periodo in cui la
città è capitale d’Italia, non così per gli eventi legati allo sbarco. Paolo Apolito ha indagato come la
percezione della battaglia, con l’alternarsi dei sentimenti di angoscia e paura, la presenza degli
alleati attecchirono molto di più nella coscienza comune dei salernitani28. Le operazioni militari
molto più delle dinamiche politico-istituzionali sono presenti nelle narrazioni raccolte dagli studiosi
e tale dato si amplifica per le ricerche realizzate a sud della città: in un saggio di Maria Rosaria
Pellizzari29 pubblicato nel 1992 nessuna delle testimonianza raccolte fa cenno alla vicenda di
Salerno Capitale.
Gli studi degli ultimi decenni riprendono anche il tema della condizione materiale inserendola però
in un quadro generale dove non si separa nettamente condizione di vita e dimensione immateriale. Il
dato che si evince è che l’aumento del costo della vita incide, naturalmente, proprio sui ceti a
reddito fisso, operai e quelle classi impiegatizie così care al regime. La guerra “reale” poi torna ad
amplificare vecchie e nuove fratture, non solo economiche, aumentando al separazione tra città e
campagna,30 dove la disponibilità di risorse alimentari crea un vantaggio per la seconda facendo
crescere, così, anche il risentimento per contadini ritenuti responsabili, o corresponsabili, del
mancato afflusso di alimenti verso le città. La guerra modifica gerarchie consolidate, ad iniziare da
quelle pertinenti la redditività di posizioni ed attività; a suo modo si avvia un ciclo di mobilità.
Nelle campagne salernitane, la spirale inflazionistica e la disponibilità di viveri sembra essere
maggiore rispetto a quelle di Napoli, Salerno e dei centri medio grandi collocati tra le due cinture
urbane, non così per altri beni di prima necessità, la potente agricoltura ancora per tutto il 1942 31
sembra attenuare gli effetti della guerra “reale”. Numerosi sono, già nella seconda metà di
quell’anno, i casi di sfollati provenienti dalle città, soprattutto Napoli e Salerno 32, prevalentemente
persone originarie o che in passato avevano avuto qualche legame con i centri urbani della
“periferia” salernitana. Il rapporto della dimensione rurale con le aree urbane immediatamente a
nord si modifica in senso favorevole alla prima, speculatori di vario genere iniziano a disporre di
enormi quantitativi di generi alimentari, ma anche di mezzi di trasporto in una certa quantità il che
faceva della piana un luogo strategico per i rifornimenti alimentari, non solo del salernitano. Già da
inizio 1942 il flusso di approvvigionamento dai centri agricoli della piana alle città si andava
28
Cfr. P. Apolito, La vita quotidiana a Salerno: saggio di storia orale, in 1944 Salerno Capitale. Istituzioni e società, a
curadi A. Placanica, Napoli 1986, si veda anche il recente contributo di G. Panico, Ritratto di borghesie meridionali.
Storia sociale dei salernitani nel Novecento, Roma 2005.
29
Cfr. M. R. Pellizzari, Lo sbarco alleato del 1943 nella memoria della gente di Pontecagano, in «Rassegna Storica
Salernitana», n. 18, 1992.
30
riflessioni svolte da P. Cavallo, Italiani in guerra. Sentimenti e immagini dal 1940 al 1943… cit. e G. De Luna,
L’identità coatta, in Storia d’Italia, Annali 18, Guerra e Pace, Torino 2002
31
Cfr G. Fresolone, Economia di guerra e soggetti sociali. Note e riflessioni su Eboli durate la seconda guerra
mondiale in L’immagine. La memoria. La storia. Salerno, Eboli, la guerra, a cura di N. Oddati, Salerno 2004.
32
Cfr. P. Apolito, La vita quotidiana…cit; ; A. Lepre, Per una storia…cit.
7
organizzando con una fitta rete di connivenze tra speculatori, ceto politico e amministrativo locale,
funzionari dei consorzi agrari, podestà e funzionari centrali del PNF33.
In provincia di Salerno accanto all’ovvio aumento dei prezzi dei beni, come quelli manufatti, per i
consistenti danni alla rete viaria e ferroviaria le dinamiche monetarie causarono il vertiginoso
aumento anche di quei beni,34 come i prodotti ortofrutticoli, largamente disponibili. Le mozzarelle, i
formaggi, le conserve di pomodoro aumentarono rispetto all’indice dell’anno precedente, di più del
150 %, anche nel salernitano,35 perciò, i neocostituiti tribunali alleati non riuscirono a sviluppare
che una modesta attività di repressione, che si limitò a colpire i piccoli borsari.
“L’inverno della fame” vede le fertili pianure salernitane avere una disponibilità di calorie procapite
superiore a quelle delle città medio grandi della regione;circa 1000 rispetto alle 750 di Salerno e alle
250 di Napoli. La situazione della florida agricoltura che si era diffusa a sud della città, in breve
tempo migliora; la coltivazione ritornò in un anno ai livelli del 1942, tanto che il prezzo del
pomodoro della piana tra fine 1943 ed inizio 1944 era di 200 lire più basso di quello proveniente da
altre aree del salernitano e del napoletano36. Buona parte delle strutture dedite alla trasformazione
dei prodotti agricoli, caseifici conservifici velocemente ripresero la loro attività, dei tabacchifici
solo i due , quelli di Cioffi e di Battipaglia ,che erano stati teatro della battaglia tra gli alleati e la 16
Panzer division non ripresero a prontamente a produrre tabacco 37. La piana del Sele, come nel
passaggio dalla guerra immaginata alla guerra reale, con l’inizio del mercato nero aveva acquisito
un’importanza notevole per rifornimento non solo delle città salernitane. Ora con il disfacimento
dello Stato, senza nessun controllo sulla distribuzione delle risorse alimentari e le inadeguate misure
adottate dall’amministrazione alleata nell’organizzazione del flusso di alimenti, frutta, ortaggi e
grano della piana verso le città, che lo spostamento del fronte a nord lentamente le ripopolava, il
ripristino delle istituzioni centrali e periferiche passava anche e principalmente attraverso
l’adozione di misure in grado di alleviare la drammatica situazione, morale e materiale, dei territori
liberati.
Così come risulta impossibile ricostruire le modalità con cui si sviluppano anche nel salernitano
quelle che Giovanni De Luna ha definito “le microcomunità solidaristiche”,38 e se e come esse
influenzino i percorsi delle realtà colpite dai bombardamenti, che portano a Campagna, Ottati,
Sicignano. Quando gli americani il 4 agosto sganciano le bombe sul nel cuore del centro di Eboli, la
città già è stata abbandonata dalla sua popolazione; le vittime, sette frati e un bambino, vengono
sorprese in luoghi di rifugio fuori dalle mura39. Le operazioni di quella che di lì a pochi giorni sarà
“l’operation avalanche” sono massicce e diffuse su tutto il territorio provinciale, soprattutto nei
comuni attraversati dalle principali arterie stradali, e ancora di più la rete ferroviaria. Il “quattro
agosto” diviene, così, un espressione comune nel gergo locale per simboleggiare una catastrofe,
anche se sono altri momenti i cui gli ebolitani pagarono un tributo di sangue ancora maggiore: il 17
settembre delle 165 vittime di Campagna 95 sono sfollati ebolitani, così come il….settembre ad
Altavilla silentina.40
Altro taglio delle ricerche più recenti, riguarda la rappresentazione fotografica di quelle vicende.
Importanti sono questi lavori perché modificano l’idea della foto come mero accompagnamento al
33
Cfr Acqua e terra nella Piana de Sele. Irrigazione e Bonifica 1932-1982 nel comprensorio di bonifica in destra Sele
fra XIX e XX secolo, Salerno 1983.
34
Sulla situazione, in questo arco temporale, del salernitano un ampio appendice statistica è contenuta in M. Mazzetti,
Salerno capitale d’Italia…..op. cit.
35
dati contenuti ,Relazione statistico economica, maggio-giugno 1946, CAMERA DELL’INDUSTRIA COMMERCIO
E ARTIGIANATO DI SALERNO.
36
idem
37
M. Mazzetti, Salerno capitale d’Italia…..op. cit.
38
G. De Luna, L’identità coatta….op. cit.
39
vicende ricostruite nel volume collettaneo L’immagine. La memoria. La storia. Salerno, Eboli, la guerra…cit.
40
idem
8
testo narrato ma riconsiderano l’immagine scattata come oggetto di studio: fonte autonoma in grado
di contribuire alla ricostruzione dell’intenzionalità, dunque agente di storia rilevatore di un modo di
vedere e pensare. L’introduzione del piccolo formato consente, proprio negli anni della II guerra
mondiale, una mobilità elevata e una maggiore capacità di copertura degli avvenimenti. Non solo si
sono affinate le tecniche di ripesa ma si sviluppa una produzione di massa di materiali fotografici
che rende assai ricca e complessa la rappresentazione visiva del conflitto41.
Per quanto riguarda lo sbarco di Salerno, accanto alla produzione ufficiale di documenti fotografici
ad opera dei reparti militari specializzati o dei giornalisti autorizzati, ben ricostruita nell’imponente
opera di Angelo Pesce, vi è poi una quantità di immagini prodotte dai fotografi locali e da
appassionati che hanno la peculiarità di non rispondere a una committenza specifica e soprattutto di
non essere sottoposte né al controllo censorio né alla logica autocensoria dell’operatore ufficiale.
È un lavoro da poco iniziato ma che può contribuire non poco alla definizione del modo in cui
truppe e popolazioni locali vissero il passaggio della “valanga” e la fase di ritorno alla pace. Nei
pochi studi che si sono concentrati su questo tema, questi evidenziano, nell’importante mole di
immagini solo in parte disponibile, come dopo il dominio della foto dall’alto della politica fascista
prona alla costruzione del’uomo nuovo, si impone il protagonismo di una foto dal basso preziosa
nell’orientarsi nello straripare di sentimenti contraddittori e tumultuosi scaturiti dallo sgretolamento
del regime e dall’inasprirsi delle vicende belliche.
In questo turbinio di sensazioni e stati d’animo, le foto diffusamente confermano la prevalenza delle
operazioni militari in un privato che torna protagonista nello scombussolamento dei tradizionali
punti di riferimenti istituzionali.
Il lento processo di riattivazione della burocrazia locale e di riorganizzazione delle strutture
partecipative pur riscontrato in alcuni importanti lavori, nelle lastre e nei negativi di quegli anni è
trascurato; nell’immaginario collettivo, e anche negli scatti dell’epoca, rimangono impressi più gli
eventi: le macerie del centro storico, gli alleati “liberatori”42 che vengono da quella pianura fino a
poco tempo prima impaludata e ostile alla presenza umana, con la quale anche in questa fase le
comunità delle aree interne conservano una frattura. Traspaiono, nel periodo finale della guerra, il
rimescolarsi di gerarchie e di esperienze comuni, la solidarietà che si sviluppa è colta, forse
amplificata, anche nell’archivio di quello che fu il fotografo ufficiale del Pnf che per più di un
decennio aveva testimoniato i tentativi di costruire <<l’italiano nuovo>> con diligente
professionalità ma senza grandi entusiasmi43. La rottura drastica tra l’ideologia della guerra
costruttrice della nuova Italia imperiale e un popolo che nel conflitto riscopre i vecchi legami
solidaristici, nelle immagini più ancora che nelle altre fonti è immediatamente percettibile.
A. Mignemi, Sguardi incrociati. L’Italia in guerra (1943-45), in L’Italia del Novecento. La fotografia e la storia. Vol.
I*: Il potere da Giolitti Mussolini, a cura di G. De Luna, G. D’Autilia e L. Crescenti, Torino 2005; P. Cavallo,.La storia
attraverso i media. Immagini, propaganda e cultura dal fascismo alla Repubblica, Napoli 2002; Le linee d’ombra
dell’identità repubblicana. Comunicazione, media e società nel secondo Novecento, a cura di P. Cavallo e G. Frezza,
Napoli 2004.
42
In importante lavoro ,supportato da numerose fotografie, sulla ritirata tedesca che attraversano i paesi dei monti
Picentini è N. Oddati, Acerno ’43. La guerra, la memoria, Acerno 2011.
43
Sull’importanza dell’Archivio Fotografico di Luigi Gallotta, da poco diventato Archivio fotografico del Comune di
Eboli, si vedano i volumi L’immagine. La memoria. La storia. Eboli all’inizio dello sviluppo, a cura di M. Mazzetti,
Salerno, 2004; L’immagine. La memoria. La storia. Salerno, Eboli, … cit.; L’immagine. La memoria. La storia. Eboli
dalla ricostruzione alla crisi degli anni Settanta, a cura di G. D’Angelo, Salerno 2009; G. D’Angelo, Appunti muti
dell’orrore. Eboli e i bombardamenti del 1943. Salerno 2003; G Fresolone, La piana del Sele nelle immagini di Luigi
Gallotta, Eboli 2007.
41
9
Scarica