Le radici storiche del «governo del territorio»: la vocazione espansiva
1
CAPITOLO I
LE RADICI STORICHE DEL
«GOVERNO DEL TERRITORIO»:
LA VOCAZIONE ESPANSIVA
SOMMARIO: 1. La disciplina «edilizia» come strumento inadeguato di controllo del
territorio. – 2. La nascita dell’«urbanistica» come strumento di pianificazione
del territorio (urbano). – 3. L’«urbanistica» tra Assemblea Costituente e modello
costituzionale. – 4. L’«urbanistica» nel periodo di congelamento costituzionale
del regionalismo. – 5. L’«urbanistica regionale»: l’attuazione costituzionale
del regionalismo. – 5.1. La crisi della nozione classica di «urbanistica». – 5.2.
Il superamento della nozione classica di «urbanistica». – 6. L’«urbanistica» e
l’emersione degli interessi differenziati. – 7. L’«urbanistica» come parte della
composita disciplina del «territorio». – 8. Il settore organico «Territorio,
Ambiente, Infrastrutture».
1.
La disciplina «edilizia» come strumento inadeguato di controllo
del territorio
Un’indagine relativa al «governo del territorio» nella giurisprudenza
costituzionale presuppone una ricognizione dei precedenti storici e delle
tappe di maturazione delle forme di controllo, di indirizzo e di vigilanza
sullo sviluppo del territorio stesso, da cui desumere gli strumenti utili ai
nostri fini, ossia le categorie che riemergono, nella loro attualità, nella
più recente giurisprudenza della Corte costituzionale, dovendo lasciare per ora (e solo in via preliminare) assolutamente impregiudicato il
significato di «materia».
La storia del «governo del territorio» è certamente storia di una progressiva dilatazione fisica e valoriale del potere di gestione dello spazio
in cui l’uomo vive, circola e lavora.
L’originaria forma di regolamentazione, come noto, era quella «edilizia», che nacque con il processo di industrializzazione e con il conseguente aumento della popolazione, sviluppandosi come strumento
di razionalizzazione dell’attività costruttiva degli edifici sul territorio,
principalmente sotto il profilo sanitario e sotto il profilo della tecnica
dell’edificazione, per quanto le discipline edilizie fossero assolutamente
prive di un fine pianificatorio e di una visione globale relativa all’anda-
2
Il «governo del territorio» nella giurisprudenza costituzionale...
mento degli stessi centri abitati, limitandosi a prevedere dei criteri per
la costruzione delle singole abitazioni1.
Nella legge n. 3702/1859 (c.d. legge comunale e provinciale) si trovava la prima menzione dei regolamenti d’ornato e di polizia. Successivamente la legge n. 2248/1865, all. A avrebbe attribuito ai Consigli
comunali la competenza a deliberare sui regolamenti di «igiene, edilità
e polizia locale».
Nella seconda metà dell’800, in un momento di forte urbanizzazione indotta dallo sviluppo industriale, tali regolamenti, proprio al fine di
risolvere le criticità connesse all’affollamento, alla sporcizia, alla mancanza di luce e aria tra le costruzioni, introdussero misure minime, efficaci
su tutto il territorio comunale, di altezza, di ampiezza, di localizzazione
delle finestre e delle luci, nonché altre prescrizioni igienico-sanitarie2.
Nel momento in cui i centri urbani, nati come borghi medioevali,
subivano una rivoluzione demografica ed una trasformazione strutturale,
divenendo luoghi di produzione, sorgeva, infatti, la necessità di regolare la qualità dell’aggregato urbano3, rectius, delle sue unità abitative.
Non può negarsi, però, come una logica meramente edilizio-sanitaria
fosse potenzialmente in grado di produrre, come proprio effetto, soltanto
la nascita di agglomerati omogenei, moltiplicatori di un unico modello
abitativo (un prototipo standard)4, emergendo così in modo chiaro la
debolezza della funzionalità della disciplina edilizia ad indirizzare il territorio urbano verso uno sviluppo razionale e governato.
1
Cfr. G. VIGNOCCHI-G. BERTOLANI-C. ARRIA, Urbanistica-edilizia, Torino, 1989,
36; G. VIGNOCCHI, Regolamenti edilizi, in Dig. disc. pubbl., Torino, 1997, 64; G.C.
MENGOLI, Manuale di diritto urbanistico, Milano, 2009, 8 ss.
2
Si rammenti il quadro tracciato da F. ENGELS, La condizione della classe operaia
in Inghilterra, Roma, 1972, 35, il quale parlava di «sudicia miseria» in relazione ai
quartieri operai di Manchester.
3
Cfr. E. SALZANO, Urbanistica e società opulenta, Bari, 1969, passim.
4
Cfr. G.C. MENGOLI, Manuale diritto urbanistico, cit., 8.
Le radici storiche del «governo del territorio»: la vocazione espansiva
2.
3
La nascita dell’«urbanistica» come strumento di pianificazione del
territorio (urbano)
La più complessa problematica della definizione e della razionalizzazione dell’assetto territoriale storicamente assunse una propria rilevanza
giuridica nel momento in cui la tensione tra interessi sottesi alle attività private economiche e interessi generali, intimamente connessi allo
sviluppo della città (per quanto non ancora specificatamente definiti),
si acuì fino a generare la necessità di introdurre meccanismi regolatori
degli usi dello stesso territorio in cui tale tensione si manifestava; in altre
parole «la nascita dell’urbanistica come materia giuridicamente rilevante
è così da riconnettersi all’evolversi dello sviluppo economico e sociale in
genere, e la finalità generale non è quella di una regolazione delle attività
economiche sul territorio ma più esattamente – da un lato – di una disciplina degli usi del territorio e delle sue risorse al fine di preservarli da
iniziative economiche incompatibili con gli obiettivi della conservazione
e della tutela e – dall’altro – di apporre limiti al potere incondizionato
della proprietà privata conformandola alle finalità sociali»5.
Soltanto la legge n. 1150/1942, che rappresentò la prima legge urbanistica nazionale, capace di superare l’inadeguatezza di altre esperienze
normative post-unitarie6, diede vita ad un modello da cui poteva desu5
6
Così P. URBANI, Urbanistica (diritto amministrativo), in Enc. dir., Milano, 1992, 868.
Deve precisarsi come un’embrionale disciplina di conformazione del territorio
fosse già contenuta nella legge n. 2359/1865, che introduceva due piani edilizi, ossia i
piani regolatori ed i piani di ampliamento; i primi erano finalizzati ai risanamenti («alla
salubrità e alle necessità delle comunicazioni»), i secondi invece miravano a realizzare nuovi insediamenti (assicurando «la più sicura, comoda e decorosa sistemazione
dell’abitato»). Questo sistema utilizzava l’espropriazione come strumento generale
della pianificazione, essendo così destinato a rimanere ad un livello meramente teorico,
poiché nessuna Amministrazione comunale aveva soldi sufficienti per procedere agli
espropri dei terreni di proprietà privata. In questo senso si esprime G.L. CONTI, Le
dimensioni costituzionali del governo del territorio, Milano, 2007, 24 ss. Lo stesso Autore
mette in evidenza inoltre come la legge n. 2359/1865 non desse vita ad uno strumento
urbanistico generale, visto che i suddetti piani potevano essere approvati solo in alcuni
comuni particolarmente importanti. A questo si aggiunga che la disciplina non configurava un obbligo di adozione, limitandosi inoltre a livellare gli assi stradali, intorno
ai quali potevano essere posizionati edifici pubblici. Cfr. anche G. D’ANGELO, Cento
anni di legislazione urbanistica, in A.M. SANDULLI (a cura di), I lavori pubblici, Milano,
1967, 453 ss. Successivamente si è passati ad un sistema in cui la disciplina generale
contenuta nella legge n. 2359/1865 è stata sostituita dalle leggi speciali di approvazione
4
Il «governo del territorio» nella giurisprudenza costituzionale...
mersi una disciplina, un ambito materiale, le cui finalità risultavano assolutamente autonome rispetto a quelle dell’«edilizia»7.
Nell’art. 1, comma 1, della legge n. 1150/1942 si trovava una definizione della materia «urbanistica», oggetto della stessa legge: «L’assetto e
l’incremento edilizio dei centri abitati e lo sviluppo urbanistico in genere
nel territorio dello Stato sono disciplinati dalla presente legge»8. Emergeva così il discrimine materiale rispetto alla «edilizia», il passaggio da
una logica di mera regolazione delle condizioni igienico-sanitarie e delle
modalità costruttive della singola abitazione ad una logica di regolazione complessiva dello sviluppo dei centri abitati; tale spirito nuovo della
legge si desumeva in modo ancor più chiaro dal comma 2 della stessa
disposizione, con cui il legislatore affermava che «il Ministero dei lavori
pubblici vigila sull’attività urbanistica anche allo scopo di assicurare, nel
rinnovamento ed ampliamento edilizio delle città, il rispetto dei caratteri
dei singoli piani regolatori comunali. Questi ultimi, per quanto mostrassero una forza
pianificatoria maggiore rispetto al passato, generavano una evidente frantumazione
territoriale del contenuto minimo essenziale della proprietà privata ed inaccettabili
violazioni del principio di uguaglianza, imponendo così la necessità di una profonda
innovazione legislativa. Si ricordi, ad esempio, la disciplina speciale per la città di
Napoli (legge n. 2892/1885), approvata a seguito dell’epidemia colerica.
7
Era evidente come durante l’800 fosse prevalsa una logica proprietaria individualista di stampo borghese liberale, caratterizzata da profili di assolutezza e pienezza,
che rievocavano gli schemi del diritto romano classico («usque ad sidera et usque ad
infera»). Tale logica avrebbe progressivamente subito un ridimensionamento, prima,
dinanzi ad esigenze di natura edilizio-sanitaria, poi, dinanzi a bisogni urbanistici e
successivamente sociali (art. 42 Cost.).
8
N. ASSINI, Pianificazione urbanistica e governo del territorio, in G. SANTANIELLO
(a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Milano, 2000, 10, osserva come la legge
n. 11150/1942 rappresenti l’affermazione dell’esigenza di un sempre più penetrante
intervento dei poteri pubblici sull’uso del territorio, come affermato da quel movimento culturale (Gropius, Le Corbusier), che, alla luce di un’idea di architettura quale
strumento di progettazione dell’ambiente globalmente inteso, sosteneva che l’assetto
urbano dovesse essere una sorta di corollario delle esigenze della collettività, una sintesi
dei bisogni della società civile. Certamente il sistema tecnico che avrebbe permesso
l’attuazione di tale modello era quello della zonizzazione, con cui si divideva il territorio comunale in molteplici zone, caratterizzate e distinte da specifiche esigenze e
destinazioni. In questa logica la zonizzazione avrebbe anticipato il testo Costituzionale
(art. 42 Cost., nella parte in cui parla di fini sociali), determinando un mutamento «del
rapporto ordinamentale tra intervento pubblico sul territorio e proprietà privata in
quella che viene descritta come la nuova dimensione della proprietà c.d. legittimata,
ovvero di una proprietà che, quando acquisterà una dimensione ed una finalizzazione
sociale, subirà compressioni in ordine al suo godimento».
Le radici storiche del «governo del territorio»: la vocazione espansiva
5
tradizionali, di favorire il disurbanamento e di frenare la tendenza all’urbanesimo», prospettando così una visione del territorio, una sua conformazione, un suo andamento fisico-geografico, in altre parole la necessità
di una sua pianificazione.
Peraltro, il legislatore in modo esplicito delineava il rapporto tra la
materia «urbanistica» e quella «edilizia» come un rapporto di species
et genus, disponendo che «la disciplina urbanistica si attua a mezzo dei
piani regolatori territoriali, dei piani regolatori comunali e delle norme
sull’attività costruttiva edilizia, sancite dalla presente legge o prescritte
a mezzo di regolamenti» (art. 4).
Tale logica appariva dirompente, posta l’innegabile influenza che
anche la mobiltà della popolazione avrebbe subito9. A questo si aggiunga che la legge n. 1150/1942 andava a consolidare «la crisi del diritto di
proprietà come signoria della volontà nella decisione di procedere allo
9
Persino nel periodo repubblicano sono stati sollevati dubbi di legittimità costituzionale sull’intera legge n. 1150/1942 rispetto alla libertà di circolazione ex art. 16 Cost.
Tali dubbi, per quanto sintomatici dell’impatto (anche sociale) di tale legge, sono stati
ritenuti infondati da Corte cost. n. 64/1963, secondo la quale «la legge 17 agosto 1942,
n. 1150, contiene una disciplina dell’attività urbanistica che ha per oggetto, com’è detto
nell’art. 1, l’assetto e l’incremento edilizio dei centri abitati e lo sviluppo urbanistico in
genere nel territorio dello Stato. Anche se, tra i motivi che diedero occasione alla detta
legge, fu compreso, nel momento in cui essa fu emanata, l’intento di favorire il cosiddetto
disurbanamento, e tale intento fu posto, nel capoverso dell’art. 1, tra gli scopi a cui doveva
ispirarsi l’attività di vigilanza del Ministero dei lavori pubblici, la legge stessa, considerata
nelle sue obbiettive disposizioni nel suo complesso, contiene una disciplina dell’attività
edilizia che, risalendo alla legge 25 giugno 1865, n. 2359 (artt. 86-94), ha sempre formato
oggetto di regolamentazione legislativa, indipendentemente da ogni finalità di politica
demografica e di distribuzione della popolazione. La materia considerata dalla legge
non riguarda, perciò, minimamente la libertà di circolazione e di soggiorno, garantita
dall’art. 16 della Costituzione, giacché non contiene alcuna limitazione né della libertà
personale di circolazione stradale, né della libertà di dimorare nei centri urbani, costruiti
in conformità delle norme che disciplinano l’edilizia. D’altra parte, non può ritenersi
che il precetto di cui al detto art. 16 precluda al legislatore la possibilità di adottare, per
ragioni di pubblico interesse, misure che influiscono sul movimento della popolazione,
purché siano fatti salvi i diritti della persona costituzionalmente garantiti. In relazione
all’altro profilo della questione -il preteso contrasto con l’art. 42 della Costituzione - va
riconosciuto che la legge urbanistica contiene dei limiti al diritto di proprietà, in quanto
disciplina lo jus aedificandi; ma tali limiti, che, come si è accennato, sono sempre stati
connessi alla disciplina della proprietà immobiliare, rientrano tra quelli previsti dal detto
art. 42, secondo comma, della Costituzione, non potendosi dubitare che la funzione sociale
della proprietà richieda, tra l’altro, una disciplina dell’assetto dei centri abitati, del loro
incremento edilizio e, in genere, dello sviluppo urbanistico».
6
Il «governo del territorio» nella giurisprudenza costituzionale...
sfruttamento in senso edilizio del territorio»10; una limitazione forte della
proprietà privata che avveniva all’ombra della seconda guerra mondiale, quando gli avvenimenti internazionali e quelli della vita quotidiana
certamente distraevano dall’attività legislativa ordinaria. Tale compressione della proprietà, nella sua modernità, nasceva dalla stessa visione
autoritaria del regime fascista11.
La legge n. 1150/194212 valicava la concezione liberale dell’urbanistica
(legge n. 2359/1865), imperniata sul sistema degli espropri e del relativo
indennizzo, che presupponevano la storica sacralità del diritto di proprietà13, per dare vita ad un sistema che attribuiva agli uffici pubblici il
potere di disporre e di regolare la destinazione delle aree edificabili14.
Tale legge, prevedendo l’introduzione del piano territoriale di coordinamento, del piano regolatore generale e del piano particolareggiato di
esecuzione, costruiva una sequenza gradualistica di comandi15, che si
dipanava dal generale al particolare, avendo come propri ulteriori estremi, da una parte, la legge fondamentale (Statuto Albertino) e, dall’altra,
il provvedimento concreto-individuale (licenza o diniego di licenza).
Questo sistema a cascata, che si sarebbe rivelato la base solida dell’urbanistica moderna, aveva il proprio fulcro nel piano regolatore comunale e nell’istituto della zonizzazione, quale tecnica di pianificazione del
territorio, con cui si imponeva un determinato uso al soggetto titolare
10
G.L. CONTI, Le dimensioni costituzionali del governo del territorio, cit., 32.
11
Cfr. L. ACQUARONE, L’organizzazione dello Stato totalitario, Torino, 1965, passim.
Sull’assonanza tra regime fascista e strumenti di pianificazione urbanistica cfr. V. TESTA,
La centralità strategica dei piani territoriali, in Nazione e Impero, n. 8-9, 1939.
12
Su tale legge, nella sua versione originaria, cfr. ID., Disciplina urbanistica, Milano,
1966, passim.
13
G.L. CONTI, Le dimensioni costituzionali del governo del territorio, cit., 38, rileva come la «legittimazione sostanziale» del piano regolatore sia stata agganciata alla
partecipazione potenziale e teorica dei privati al procedimento di adozione e approvazione di tali strumenti, secondo un movimento ascendente; mentre la «legittimazione
formale», invece, sia stata agganciata alla previsione di legge, in via generale e astratta,
della capacità del piano di limitare il diritto di proprietà, secondo la logica liberale
della riserva di legge.
14
Cfr. A. PREDIERI, Riserva della facoltà di edificare e proprietà funzionalizzata delle
aree fabbricabili, in ID, Urbanistica, tutela del paesaggio, espropriazioni, Milano, 1969,
63 ss.
15
Cfr. A. PREDIERI-M.A. BARTOLE, Piano regolatore, in Enc. dir., Milano, 1983,
662 ss.
Le radici storiche del «governo del territorio»: la vocazione espansiva
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del diritto di proprietà, conformando il contenuto dello stesso diritto,
senza giungere all’espropriazione del bene oggetto della proprietà; in
questa logica l’espropriazione era tollerata soltanto nella ipotesi in cui il
proprietario si sottraesse fattualmente all’uso previsto dai pubblici poteri
in sede di approvazione dello strumento urbanistico.
Più specificatamente, spettava ai piani territoriali di coordinamento
orientare e coordinare l’attività urbanistica da svolgere in determinate
parti del territorio nazionale16; tali piani dovevano essere adottati, dal
Ministero dei lavori pubblici17, previa intesa con altre amministrazione
interessate, al fine di fissare le linee fondamentali dell’assetto del territorio18, a cui i Comuni compresi nello spazio del piano avrebbero dovuto
uniformare i propri piani regolatori. Questi ultimi avrebbero dovuto
considerare la totalità del territorio comunale, pur essendo configurati come obbligatori soltanto per i Comuni maggiori, iscritti in appositi
elenchi. Il piano regolatore generale doveva essere approvato entro un
16
L’art. 5 della legge n. 1150/1942 disponeva che «Allo scopo di orientare o coordinare l’attività urbanistica da svolgere in determinate parti del territorio nazionale, il
Ministero dei lavori pubblici ha facoltà di provvedere, su parere del Consiglio superiore
dei lavori pubblici, alla compilazione di piani territoriali di coordinamento fissando il
perimetro di ogni singolo piano.
Nella formazione dei detti piani devono stabilirsi le direttive da seguire nel territorio
considerato, in rapporto principalmente:
a) alle zone da riservare a speciali destinazioni ed a quelle soggette a speciali vincoli
o limitazioni di legge;
b) alle località da scegliere come sedi di nuovi nuclei edilizi od impianti di particolare
natura ed importanza;
c) alla rete delle principali linee di comunicazioni stradali, ferroviarie, elettriche, navigabili esistenti e in programma.
I piani, elaborati d’intesa con le altre Amministrazioni interessate e previo parere del
Consiglio superiore dei lavori pubblici, sono approvati per decreto Reale su proposta
del Ministro per i lavori pubblici, di concerto col Ministro per le comunicazioni,
quando interessino impianti ferroviari, e col Ministro per le corporazioni, ai fini della
sistemazione delle zone industriali nel territorio nazionale.
Il decreto di approvazione viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno, ed
allo scopo di dare ordine e disciplina anche all’attività privata, un esemplare del piano
approvato deve essere depositato, a libera visione del pubblico, presso ogni Comune
il cui territorio sia compreso, in tutto o in parte, nell’ambito del piano medesimo».
17
A tal proposito M.S. GIANNINI, Sull’imputazione dei piani regolatori generali, in
Giur. compl. Cass. civ., 1950, 882, parla di atto giuridico «complesso».
18
La circolare del Ministero dei lavori pubblici del 20 febbraio 1950 avrebbe
qualificato i piani di coordinamento come piani regionali, rectius di dimensione territoriale regionale.
8
Il «governo del territorio» nella giurisprudenza costituzionale...
anno dal suo inoltro al Ministero dei lavori pubblici da parte del singolo Comune19.
In definitiva, tale sistema si reggeva su un asse istituzionale bicefalo, in cui lo Stato e i Comuni erano gli attori dell’attività pianificatoria,
per quanto allo Stato spettassero i poteri di indirizzo attraverso i quali
far emergere e selezionare gli interessi nazionali che venivano in gioco
nel momento della pianificazione locale; al contenuto dei piani territoriali di coordinamento era rimessa, ad esempio, la localizzazione delle
linee di comunicazione stradale, della rete ferroviaria, della rete elettrica, delle infrastrutture nevralgiche per il Paese, in altre parole ad essi
era riservata la fissazione dei limiti nazionali indisponibili alle esigenze
urbanistiche territoriali.
Dalla trama di quest’interazione tra diversi livelli istituzionali (StatoComune) emergeva come la legge n. 1150/1942, pur nella sua logica statalista, intimamente connessa al momento storico-politico in cui veniva approvata, contenesse (in forma embrionale) elementi di policentrismo (duale) e
una sorta di anticipazione del modello della sussidiarietà20, di cui seguiremo
gli sviluppi nella giurisprudenza costituzionale formatasi in questa materia.
L’altro profilo caratterizzante riguardava certamente lo spazio della
pianificazione, la nozione di «territorio» presupposta dall’art. 1 della
stessa legge, che definiva la materia «urbanistica»; il territorio era quello della città, dell’abitato, del centro abitato21 contrapposto alle vaste
aree agricole e alle terre lontane dall’urbs. Appariva certamente una
rivoluzione l’introduzione degli strumenti di regolazione dell’«assetto»,
dell’«incremento» e dello «sviluppo» ma si trattava pur sempre della
regolazione di una parte del territorio (la città) o più semplicemente
di ciò che in quel momento storico assumeva rilevanza giuridica come
territorio da pianificare.
19
Cfr. artt. 8-11 l. n. 1150/1942.
20
In questo senso cfr. V. MAZZARELLI, L’urbanistica e la pianificazione, in S. CASSESE
(a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Milano, 2003, 3339 ss.; G. MILO, Il potere
di governo del territorio, Milano, 2005, 70 ss.
21
In senso conforme alla notissima definizione di urbanistica di DANGER, Cours
d’urbanisme, Parigi, 1933, secondo cui tale scienza «si preoccupa della sistemazione
e dello sviluppo delle città nell’intento di assicurare, con il sussidio di tutte le risorse
tecniche, la migliore posizione delle vie, degli edifici e degli impianti pubblici, nonché
delle abitazioni private, in modo che la popolazione vi possa avere una dimora, sana,
comoda e gradevole».
Le radici storiche del «governo del territorio»: la vocazione espansiva
9
Non può negarsi, però, come, anche sotto questo profilo, nella legge
n. 1150/1942 vi fossero degli istituti gravidi di potenzialità e di forza
espansiva, in grado di anticipare la dilatazione, storicamente manifestatasi, dell’attività pianificatoria22. In tal senso rilevavano quei piani di
ambito superiore rispetto al piano regolatore comunale.
Lo stesso piano territoriale di coordinamento, di cui sì è già detto,
nella sua funzione di localizzazione nel territorio locale dei più eterogenei
e complessi interessi nazionali (sotto forme di opere e di reti), avrebbe
anticipato l’evoluzione espansiva dell’urbanistica23 o più precisamente –
come si dirà più avanti – avrebbe anticipato l’affermazione del «governo
del territorio», di cui l’urbanistica si rivelerà essere soltanto una parte,
una species. In altre parole dalla funzione complessa del piano territoriale di coordinamento, in sede di bilanciamento e di ponderazione
degli interessi locali con quelli generali, emergeva in modo chiaro (nelle
sue prime forme) la natura di un ambito materiale assai più composito
della definizione normativa che il legislatore aveva dato dell’urbanistica, ancorando il fine pianificatorio esclusivamente alle sorti dei centri
abitati. In altre parole sembrava che nella stessa legge n. 1150/1942 ci
fosse già il seme che avrebbe progressivamente determinato il superamento dell’«urbanistica» stessa attraverso l’affermazione di una funzione maggiormente composita da un punto di vista spaziale e funzionale.
In realtà anche i piani regolatori generali intercomunali24, previsti dal22
P. URBANI, Urbanistica (diritto amministrativo), cit., 871, rileva come «l’aspetto
più rilevante della legge urbanistica sta nell’aver anticipato la disciplina di fenomeni
territoriali che solo alcuni decenni dopo si sarebbero manifestati con grande evidenza
e che sinteticamente possono essere riassunti nel termine di “pianificazione di area
vasta”».
23
In modo assai suggestivo cfr. ancora ID., Urbanistica (diritto amministrativo),
cit., 871.
24
L’art. 12 della legge n. 1150/1942 disponeva che «quando per le caratteristiche di
sviluppo degli aggregati edilizi di due o più Comuni contermini si riconosca opportuno
il coordinamento delle direttive riguardanti l’assetto urbanistico dei Comuni stessi, il
Ministro per i lavori pubblici può, a richiesta di una delle Amministrazioni interessate
o di propria iniziativa, disporre la formazione di un piano regolatore intercomunale.
In tal caso il Ministro, sentito il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici,
determina:
a) l’estensione del piano intercomunale da formare;
b) quale dei Comuni interessati debba provvedere alla redazione del piano stesso e
come debba essere ripartita la relativa spesa.
Il piano intercomunale deve, a cura del Comune incaricato di redigerlo, essere pubbli-
10
Il «governo del territorio» nella giurisprudenza costituzionale...
la stessa legge, prospettavano uno scenario sovra-comunale, per quanto
tale dimensione ulteriore, rispetto all’agglomerato urbano, si risolvesse
nella pianificazione di centri abitati limitrofi, caratterizzati da una intensa relazionalità sociale, economica e geografica, tanto da poter essere
apprezzati come un’unica ed omogenea realtà urbana.
3.
L’«urbanistica» tra Assemblea Costituente e modello costituzionale
In sede costituente, trascorsi pochissimi anni dalla approvazione della
legge urbanistica n. 1150/1942, la problematica relativa all’urbanistica
fu assorbita dal dibattito più generale sul regionalismo e sul riparto di
competenze legislative tra Stato e Regioni, emergendo in realtà una scarsa attenzione per le tematiche oggetto di questo lavoro.
L’«urbanistica» veniva inserita tra le materie di competenza concorrente (art. 117, comma 1, Cost.), per le quali spettava alle Regioni
emanare norme legislative nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalla leggi dello Stato, dell’interesse nazionale e dell’interesse
delle altre Regioni, per quanto l’Assemblea avesse approvato la materia «urbanistica» senza un’approfondita discussione e senza un serio
dibattito, che si sarebbero potuti rivelare utili nel coacervo di problematiche successivamente manifestatesi in questo ambito. L’«urbanistica» fu tra quelle materie su cui calò il silenzio dei Costituenti, analogamente ad altre di competenza concorrente per le quali si ritenne di
non fornire alcuna specificazione concettuale (circoscrizioni comunali,
polizia locale urbana e rurale, musei e biblioteche di enti locali cave e
torbiere, caccia, pesca nelle acque interne); una diversa sorte ebbero
altre materie, sulle quali si manifestò una maggiore attenzione, quali
l’ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla
cato nei modi e per gli effetti di cui all’art. 9 in tutti i Comuni compresi nel territorio
da esso considerato.
Deve inoltre essere comunicato ai podestà degli stessi Comuni perché deliberino circa
la sua adozione.
Compiuta l’ulteriore istruttoria a norma del regolamento di esecuzione della presente
legge, il piano intercomunale è approvato negli stessi modi stabiliti dall’art. 10 per
l’approvazione del piano generale comunale».
Le radici storiche del «governo del territorio»: la vocazione espansiva
11
Regione25, fiere e mercati26, beneficienza pubblica e assistenza sanitaria
e ospedaliera27, istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica28, tramvie e linee automobilistiche d’interesse regionale29, viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale30, navigazione e
porti lacuali, agricoltura e foreste31.
Peraltro assolutamente inadeguati furono anche i lavori della sottocommissione che si occupava di ordinamento regionale, la quale affrontò
il tema dell’«urbanistica» una volta soltanto e in modo insoddisfacente:
«Presidente: invita la sottocommissione ad esprimere il suo parere relativamente all’urbanistica. Fabbri: Ha l’impressione che l’urbanistica concerna quasi esclusivamente la competenza degli enti locali. Perassi: Chiarisce che i piani regolatori debbono essere approvati con legge e quindi
è logico affermare la competenza legislativa della Regione. Presidente:
Pone ai voti l’inclusione nell’art. 3 di questa materia. È approvata»32.
La dottrina più attenta ha evidenziato come in questo breve e fugace passaggio vi fossero ben due errori 33: in primo luogo non era vero
quanto affermava Perassi, che i piani regolatori fossero approvati con
legge, visto che la disciplina della legge n. 1150/1942 disponeva tutt’altro, come già visto; in secondo luogo appariva infondata l’affermazione
secondo la quale l’«urbanistica» fosse materia degli Enti locali, poiché
già la legge n. 1150/1942 aveva introdotto il piano territoriale di coordinamento, finalizzato a localizzare gli interessi nazionali (sovra-locali)
25
A.C., 5506 ss.
26
A.C., 5508 ss.
27
A.C., 5509 ss.
28
A.C., 5514 ss.
29
A.C., 5523 ss.
30
A.C., 5551 ss.
31
A.C., 5585 ss.
32
Il passo dei lavori è evidenziato in modo assai puntuale da L. MAZZAROLLI, I
piani regolatori nella teoria giuridica della pianificazione, Padova, 1962, 334 ss., nota 39,
che sottolinea «la totale mancanza di conoscenza nel Costituente, quanto al significato
possibile da attribuirsi alla materia “urbanistica” e alla disciplina giuridica della medesima». In senso analogo si esprime P. PORTALURI, Riflessioni sul governo del territorio
dopo la riforma del Titolo V, in Riv. giur. ediliz., 2002, 358. Cfr. anche A. PREDIERI,
Pianificazione e Costituzione, cit., 407.
33
F. SPANTIGATI, Manuale di diritto urbanistico, Milano, 1969, 28.
12
Il «governo del territorio» nella giurisprudenza costituzionale...
sul territorio. Tra l’altro gli stessi piani regolatori comunali dovevano
essere approvati dal Ministero dei lavori pubblici.
Posto questo debole scenario costituente, le Pubbliche Amministrazioni (sopratutto locali) e più in generale gli operatori del diritto, in
mancanza di altre indicazioni, rischiavano di desumere in via interpretativa la nozione costituzionale di «urbanistica» da una fonte di rango
primario approvata durante il periodo fascista (legge n. 1150/1942). In
questo senso la definizione dei limiti e dei contorni oggettivi della materia passava attraverso un’interpretazione conforme della Costituzione alla
legge, in una logica assolutamente inversa a quella che avrebbe dovuto
svilupparsi in seno all’ordinamento giuridico34.
Tuttavia, in una diversa prospettiva, altra rispetto a quella competenziale, connessa alla necessità di delimitare la materia, «con la Costituzione la legge n. 1150/1942 trovava un valido fondamento», così che
gli strumenti della pianificazione del territorio (pur inteso nella sua
dimensione più strettamente urbana) avrebbero potuto subire una virtuosa interpretazione conforme alla Costituzione e più specificatamente
un’interpretazione conforme al contenuto dell’art. 42, comma 2, Cost35.
La disciplina legislativa, infatti, sembrava scivolare naturalmente sotto la
copertura costituzionale della riserva di legge posta dalla suddetta nor-
34
Tale logica poteva leggersi in Corte cost. nn. 50/1958; 77/1964. Cfr. in senso
critico G. MORBIDELLI, La disciplina del territorio tra Stato e Regioni, Milano, 1974,
10, secondo cui «anche ad ammettere che la legislazione tenuta presente dai costituenti desse titolo ad una interpretazione restrittiva della nozione di urbanistica,
l’interprete della Costituzione non può non tener conto delle evoluzioni e dei mutamenti sociali, a meno di non voler cristallizzare la Costituzione stessa e pertanto, in
definitiva, privarla di vitalità (…). Esiste infatti nel criterio di determinazione delle
competenze e, per converso, di determinazione delle materie, un fattore “dinamico”,
rappresentato dalle nuove esigenze e dalle nuove istanze, connaturate alle evoluzioni
sociali e tecnologiche (…) sicchè le materie vengono ad esprimere nuovi significati
rispetto alla formulazioni originarie (…). Ciò vale a maggior ragione per la materia
urbanistica (…) nel quadro di raggiungimento di quei fini di trasformazione dell’assetto sociale imposti dall’art. 3, comma 2, Cost., fini che poi si raccordano con la
tutela del paesaggio (art. 9, comma 2, Cost.) e con la funzione sociale della proprietà
(art. 42, comma 2, Cost.)» .
35
G.L. CONTI, Le dimensioni costituzionali del governo del territorio, cit., 40. sulla
scia dell’autorevole insegnamento di A. Predieri. Deve precisarsi come in dottrina sia
riscontrabile anche altro indirizzo che tende ad individuare il fondamento costituzionale della pianificazione negli artt. 97 e 41 Cost. Cfr. in tal senso E. PICOZZA, Il piano
regolatore generale urbanistico, Padova, 1983, passim.
Le radici storiche del «governo del territorio»: la vocazione espansiva
13
ma costituzionale, che attribuiva alla legge la funzione di determinare
i modi di acquisto, di godimento, i limiti della proprietà, allo scopo di
assicurarne la «funzione sociale». In tal senso gli strumenti della pianificazione venivano ricondotti in un diverso «contesto assiologico»36, in
cui l’espressione «funzione sociale» evocava una molteplicità di valori
costituzionali in grado di conformare e modellare il contenuto del diritto di proprietà, a partire dalla centralità della persona umana37, dalla
sua dignità, dai suoi bisogni economico-sociali. Lo stesso art. 3, comma
2, Cost., che impone alla Repubblica di rimuovere qualsiasi ostacolo
di ordine economico-sociale che possa impedire il pieno sviluppo della identità personale, dispiegava tutta la sua forza prescrittiva sui piani
urbanistici, responsabilizzandoli come strumenti di eliminazione delle
situazioni di emarginazione socio-territoriale e attribuendo ad essi un
ruolo di inclusione fisica delle persone (e delle loro abitazioni) nel tessuto sociale e urbano.
Nel modello costituzionale, in sintesi, sembrava esservi una doppia corrente, la prima che andava dalla Costituzione alla legge (n.
1150/1942), quanto alla ricostruzione della materia «urbanistica», e
l’altra che andava dalla legge (n. 1150/1942) alla Costituzione, quanto
alla «funzionalizzazione»38 dell’«urbanistica» (ossia dei suoi strumenti)
rispetto agli obiettivi; in definitiva stessi strumenti per nuovi fini.
Tuttavia in questa sede ciò che interessa maggiormente, al fine di
indagare la giurisprudenza costituzionale sviluppatasi in sede di riparto
di competenze, dopo la modifica del Titolo V della II parte della Costituzione, è la prima delle due correnti, quella da cui poteva desumersi
la nozione materiale di «urbanistica» (in un certo momento storico).
A tal proposito deve essere rilevato come i Costituenti avessero attribuito alla competenza legislativa concorrente anche altre materie strettamente connesse, quali «tranvie e linee automobilistiche di interesse
regionale», «viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale», navigazione e porti lacuali», «cave e torbiere». Già da questo elenco
emergeva la difficoltà, come si dirà meglio più avanti, a tenere distinta
36
G.L. CONTI, Le dimensioni costituzionali del governo del territorio, cit., 40.
37
A. PREDIERI, Tutela del paesaggio, in ID., Urbansitica, tutela del paesaggio, espropriazione, Milano, 1969, 25.
38
ID., Riserva della facoltà di edificare e proprietà funzionalizzata delle areee fabbricabili, in ID., Urbansitica, tutela del paesaggio, cit., 104.
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Il «governo del territorio» nella giurisprudenza costituzionale...
l’«urbanistica» dalla altre materie limitrofe, in grado di sovrapporsi,
ritagliare e confondere gli spazi della pianificazione in senso classico.
4.
L’«urbanistica» nel periodo di congelamento costituzionale del
regionalismo
È noto come il modello regionale italiano abbia subito una neutralizzazione da parte delle maggioranze parlamentari (prevalentemente)
democristiane, rimanendo ingabbiato nell’ostruzionismo esercitato nei
confronti di tutti quegli istituti costituzionali che avrebbero potuto rappresentare un contropotere per l’indirizzo politico; le Regioni rappresentavano un potenziale circuito politico alternativo, il cui potere legislativo
(più di altri poteri) evocava scenari di resistenza istituzionale da parte
delle Sinistre, soprattutto nel Centro-Italia. Tra gli istituti congelati (Corte
costituzionale, CSM, ecc.) le Regioni sono state quelle che hanno assistito al più tardivo disgelo, avvenuto soltanto all’inizio degli anni ’70 39.
In questo ampio scenario, tra l’entrata in vigore della Costituzione
(1948) e l’attuazione (rectius, l’inizio della attuazione) del modello regionale (1970-1972) le vicende dell’«urbanistica» sono rimaste fattualmente
legate a quel sistema bicefalo (Stato-Comuni) disegnato originariamente
dalla legge n. 1150/1942, in cui spettava allo Stato fissare le linee fondamentali attraverso l’approvazione dei piani territoriali di coordinamento
ed ai Comuni il potere di conformare i piani regolatori a tale direttive40,
risultando, invece, rinviata l’affermazione del modello costituzionale in
cui le attrici principali avrebbero dovuto essere le Regioni, a cui la Carta fondamentale attribuiva non soltanto la competenza legislativa, pur
nel rispetto dei principi fondamentali fissati con legge statale (art. 117,
comma 1, Cost.), ma anche la competenza amministrativa, secondo la
logica del parallelismo delle funzioni contenuta nell’art. 118 Cost.
39
Della «inattuazione» costituzionale come «violazione» della Costituzione parlano
T. MARTINES-A. RUGGERI- C. SALAZAR, Lineamenti di Diritto Regionale, 2005, 6. Più in
generale sulle fasi storiche del processo di attuazione costituzionale cfr. S. PANIZZA-R.
ROMBOLI, L’attuazione della Costituzione tra riforme intervenute e ipotesi di revisione,
in S. PANIZZA-R. ROMBOLI (a cura di), L’attuazione della Costituzione, Pisa, 2006, 11 ss.
40
A. PREDIERI-M.A. BARTOLI, Piano regolatore, in Enc. dir., Milano, 1985, 659,
parlano di «sistema binario».