il diritto alla salute e il sistema sanitario nazionale

annuncio pubblicitario
IL DIRITTO ALLA SALUTE E IL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE
di
Maria Stella Bonomi
SOMMARIO: 1. Premessa: il diritto alla salute – 2. Istituzione ed evoluzione del Sistema Sanitario Nazionale in Italia.
– 3. L’amministrazione regionale e locale della sanità. – 4. Le aziende unità sanitarie locali. – 4.1. L’azienda
territoriale. – 4.2. L’azienda ospedaliera.
1. Premessa: il diritto alla salute
Della salute, per lungo tempo, è stata data una spiegazione medicale basata sul binomio
salute-malattia che configurava la prima come mera assenza della seconda. La salute aveva,
dunque, un contenuto eminentemente biologico collegato all’integrità fisica e funzionale del corpo e
della mente. Tale concezione viene, però, abbandonata a partire dalla metà del secolo scorso. Infatti,
proprio al termine del secondo conflitto mondiale, si inizia ad avvertire l’esigenza di garantire un
pieno riconoscimento della persona umana realizzabile solo attraverso forme di tutela che tengano
conto della molteplicità degli aspetti costitutivi dell’individualità umana. In Italia, attraverso la
Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e la Carta costituzionale, vengono ricompresi nella
nozione di salute elementi che rimandano alla dimensione relazionale di partecipazione alla vita
civile e sociale e, più in generale, alla piena realizzazione della persona umana.
Nell’evoluzione del concetto di salute fondamentale risulta l’averne legato il contenuto alla
dimensione identitaria ed individuale del soggetto. Nello specifico, l’art. 32 della Costituzione
sancisce che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse
della collettività e garantisce cure agli indigenti». La norma richiama il dovere positivo di porre in
essere le azioni e di organizzare i servizi necessari ad assicurare il bene e, distinguendo fra diritto
alla salute e interesse alla salute, sottolinea che si tratta di due aspetti distinti ed espressamente
tutelati.
La qualifica del diritto individuale alla salute come «fondamentale» evidenzia che esso è
direttamente azionabile sia nei confronti dei poteri pubblici che dei privati.
Il comma 2, dell’art. 32, Cost., nel prevedere che «nessuno può essere obbligato ad un
determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge» e che «la legge non può in
nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana» ipotizza la possibile
coincidenza della salute del singolo con quella della collettività. Occorre precisare che l’unica
tipologia di trattamento sanitario imposto alla generalità delle persone dal nostro ordinamento è
costituito dalle vaccinazione obbligatorie, che proteggono il singolo da alcune malattie contagiose
e, nel contempo, la comunità, attraverso la loro eliminazione dal panorama epidemiologico.
Laddove, infatti, la salute collettiva fosse in pericolo, i trattamenti sanitari non potrebbero trovare
applicazione se lesivi del rispetto della persona umana. Tale limite determina un duplice ordine di
obblighi: negativi, che attengono ai confini che la legge impositiva di un trattamento incontra –
come ad esempio il non poter imporre un intervento chirurgico – e positivi, che ineriscono alle
modalità di realizzazione dell’obbligo del trattamento. Tale aspetto assume particolare interesse in
relazione agli accertamenti e ai trattamenti sanitari obbligatori che possono essere imposti ai malati
psichici. Nello specifico, l’art. 33, comma 2, della legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale
sancisce che «trattamenti ed accertamenti sanitari obbligatori sono praticati nel rispetto della
dignità della persona e dei diritti civili e politici, compreso per quanto possibile il diritto alla libera
scelta del medico e del luogo di cura».
2. Istituzione ed evoluzione del Sistema Sanitario Nazionale in Italia
All’indomani dell’adozione della Costituzione, il sistema di tutela della salute era
organizzato secondo il modello dell’assicurazione sociale. Il regime fascista, invero, aveva dato vita
ad un sistema assicurativo pubblico che prevedeva, per i lavoratori, una serie di tutele tra cui,
l’assistenza sanitaria. Nel 1993 venne costituito l’ Istituto nazionale per le assicurazioni contro gli
infortuni sul lavoro (INAIL) e nel 1953 l’ Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS). Fino
all’inizio degli anni ’60, per ciascuna categoria professionale, vennero istituiti appositi enti
mutualistici dando così vita ad un panorama di realtà profondamente differenziate fra loro.
L’esigenza di una politica sanitaria unitaria condusse, nel 1958, alla creazione del Ministero della
Sanità. Nello specifico, il superamento del sistema assicurativo e l’istituzione del Servizio Sanitario
finanziato attraverso il prelievo fiscale venne determinato dalla crisi finanziaria degli enti
mutualistici e dall’istituzione delle Regioni cui, l’art. 117, Cost., affidava l’assistenza sanitaria ed
ospedaliera.
Fra il 1972 e il 1977 si procedette al trasferimento delle funzioni amministrative alle Regioni
e alla liquidazione degli enti mutualistici. In particolare, il sistema a finanziamento pubblico venne
realizzato tramite la costituzione, nel 1978, con legge n. 833, del Servizio Sanitario Nazionale che
ha confermato la centralità del diritto alla salute come diritto che non sorge dall’appartenenza
professionale ad una cassa mutua, ma quale diritto fondamentale riconosciuto dalla Costituzione.
La riforma del 1978 richiama i principi della dignità e della libertà della persona umana,
l’universalità dei destinatari, l’equità, l’uguaglianza nell’accesso ai servizi, la completezza delle
prestazioni intesa quale diritto ad accedere a tutti i servizi necessari alla tutela della propria salute in
termini di promozione, mantenimento e recupero della stessa.
Particolare attenzione merita il disposto dell’art. 1, della legge n. 833/1978, il quale sancisce
che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della
collettività mediante il Servizio Sanitario Nazionale costituito dal complesso delle funzioni,
strutture, servizi ed attività destinate alla promozione, mantenimento e recupero della salute fisica
e psichica di tutta la popolazione».
Emerge con chiarezza che l’obiettivo cui si ispira la riforma è quello di delineare un sistema
unitario onde realizzare politiche integrate in grado di tutelare la salute sotto diversi profili:
informazione, prevenzione, diagnosi e cura.
La legge del 1978 delinea un sistema che riserva allo Stato oltre a compiti di rilievo
nazionale quali la regolazione, il controllo dei prodotti farmaceutici, la fissazione di standard ed
indici di salubrità degli alimenti, anche le funzioni di finanziamento, programmazione nazionale,
fissazione di livelli uniformi di assistenza ed un potere di indirizzo e coordinamento nei confronti
delle Regioni.
Non può sottacersi che, nonostante l’attuazione da parte delle Regioni di propri atti di
pianificazione, la mancata adozione del Piano sanitario nazionale non ha consentito di raggiungere
quella continuità necessaria a garantire il governo uniforme e razionale del servizio sanitario
rappresentando, pertanto, il punto di maggior debolezza dell’attuazione della riforma della legge n.
833/1978.1
La stretta interconnessione tra potere politico e gestione delle unità di erogazione dei servizi
costituì la seconda grande criticità del sistema. L’attività di prestazione era, infatti, affidata alle
Unità sanitarie locali (Usl) intese quali complesso di presidi, uffici e servizi operanti in un singolo
comune o, in più comuni a tal scopo associatisi, articolate in distretti sanitari di base per
l’erogazione dei servizi di primo livello e di pronto intervento. Il governo delle Usl, costituito
dall’assemblea generale, dal comitato di gestione e dal presidente, era affidato a comuni singoli o
associati che vi partecipavano con i propri rappresentanti politici. L’assemblea generale coincideva
con il consiglio comunale, in caso di sovrapposizione fra territorio del comune e dell’unità sanitaria,
e con l’sssemblea generale dell’associazione dei comuni o della comunità montana nell’ipotesi di
inclusione di più comuni nell’area dell’ Usl. L’assemblea generale di quest’ultima eleggeva con
voto limitato, il comitato di gestione che nominava al suo interno il proprio presidente. I poteri di
amministrazione spettavano al comitato di gestione fatta salva l’approvazione, da parte
1
A. PIOGGIA, Diritto sanitario e dei servizi sociali, Torino, 2014, p. 81 ss.
dell’assemblea generale, degli atti fondamentali quali ad esempio bilanci, consuntivi, pianta
organica del personale.
Attenzione merita il pensiero di chi ha evidenziato come, sin dall’individuazione della
dimensione territoriale delle Usl, si ebbe la prevalenza di interessi localistici che, unitamente alla
frammentazione delle Unità sanitarie, determinarono una pessima allocazione delle risorse e,
soprattutto le politiche del personale finirono per rispondere sempre più frequentemente ad esigenze
elettorali e non a effettive necessità funzionali delle strutture2.
A partire dalla seconda metà degli anni ’80 si avverte così l’esigenza di una modifica del
modello organizzativo del Sistema Sanitario Nazionale.
La revisione degli anni ’90 ha riguardato essenzialmente le competenze regionali e locali e
la struttura organizzativa dell’erogazione delle prestazioni. La riorganizzazione ha avvio con la
legge delega n. 421/1992, attuata dal D.lgs. n. 502/1992, poi parzialmente modificato dal D.lgs. n.
517/1993, integrato nel 1999 dal D.lgs. n. 229. Tale ultimo decreto viene emanato nell’esercizio
della legge delega n. 419/1998 al fine di razionalizzare il Servizio Sanitario Nazionale. La delega
prevedeva anche l’adozione di un testo unico in materia di organizzazione e funzionamento del
Servizio sanitario, mai adottato. Il referente normativo è dunque rappresentato dal D.lgs. n. 502/92 e
successive integrazioni.
Gli
interventi
degli
anni
‘90
sono
caratterizzati
dalla
regionalizzazione
e
dall’aziendalizzazione. Trattasi di fenomeni strettamente connessi alla necessità di modifica del
modello vigente in qualsiasi amministrazione che attribuiva ai vertici politici la piena ed esclusiva
competenza dell’esercizio dei poteri dell’ente attraverso atti di indirizzo, di indicazione degli
obiettivi e delle finalità da perseguire, nonché di minuta gestione.
Invero, la legge n. 142/1990 e il D.lgs. n. 29/93 in materia di riorganizzazione
dell’amministrazione in generale, hanno distinto le competenze di indirizzo, mantenute in capo ai
vertici politici delle amministrazioni e le competenze di gestione amministrativa riservate agli
2
E. MENICHETTI, L’aziendalizzazione del servizio sanitario nazionale: profili di organizzazione e della dirigenza, in R.
Balduzzi e G. Di Gaspare (a cura di), L’aziendalizzazione nel d.lgs. 229/99, Milano, 2004, p. 44 ss.
organi burocrati, ovvero i dirigenti dotati di quelle capacità tecnico-giuridiche necessarie per la
realizzazione delle finalità indicate negli atti di indirizzo.
Nel campo della riorganizzazione della sanità ciò ha determinato la separazione della
gestione dei servizi non solo dagli organi politici, ma anche dall’ente territoriale di riferimento cui
competono esclusivamente poteri di governo e di indirizzo del sistema, mentre, l’erogazione dei
servizi è attribuita a soggetti ad esso collegati, ma distinti in quanto dotati di propria personalità
giuridica e di consistenti autonomie: le aziende sanitarie.
La scelta del 1992 valorizza il ruolo delle Regioni che diventano lo snodo territoriale3 del
Sistema Sanitario Nazionale qualificato all’art. 1 «come complesso delle funzioni e delle attività
assistenziali dei Servizi sanitari regionali e delle altre funzioni ed attività svolte dagli enti ed
istituzioni di rilievo nazionale». Allo Stato restano affidate le funzioni di programmazione
nazionale, finanziamento e fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni, mentre alle Regioni
viene riconosciuta la funzione di regolazione e disciplina del sistema di erogazione, nonché di
programmazione e controllo dei servizi, di indirizzo nei confronti degli enti erogatori e di nomina
dei vertici degli stessi.
3. L’amministrazione regionale e locale della sanità
La Regione esercita funzioni di disciplina, indirizzo, pianificazione, programmazione,
regolazione, supporto, monitoraggio, controllo, verifica e valutazione dell’attività sanitaria.
Il governo della politica sanitaria regionale è ripartito in tre tipologie di strutture: le strutture
politico-istituzionali, le strutture tecnico-organizzative interne all’amministrazione regionale e le
strutture tecniche esterne di supporto all’amministrazione regionale.
Le strutture politico-istituzionali sono composte da organi rappresentativi della volontà
popolare, disciplinate nello statuto regionale e dalle loro componenti interne. 4
3
A. PIOGGIA, Diritto sanitario e dei servizi sociali, Torino, 2014, p. 98.
4
R. BALDUZZI, G. CARPANI, Manuale di diritto sanitario, Bologna, 2013, p. 221.
La potestà legislativa è di competenza esclusiva del Consiglio e lo statuto regionale,
attribuisce il potere di iniziativa legislativa, oltre che a ciascun consigliere, anche alla Giunta o al
Presidente della Regione.
Il ruolo del Consiglio si estende anche a funzioni di indirizzo e programmazione che si
sostanziano nell’approvazione, ora in via esclusiva, ora insieme ad altri organi, di piani di azione
spesso di durata pluriennale. Al Consiglio, ovvero alla commissione consiliare competente per
materia, sono inoltre assegnati i più importanti schemi di delibere della Giunta relativi alla tutela
della salute, per l’espressione del relativo parere.
Il Consiglio svolge, altresì, specifiche funzioni di nomina e, unitamente alla Giunta, ha il
potere di adottare regolamenti. Il riparto della potestà regolamentare tra Consiglio e Giunta è,
tuttavia, disciplinato autonomamente da ciascuno statuto regionale. Il Consiglio, nella maggior
parte dei casi, adotta anche il Piano Sanitario Regionale su proposta della Giunta e con delibera non
avente valore di legge. Sono, tuttavia, ancora approvati con legge i Piani Sanitari delle Regioni
Abruzzo, Calabria, Valle d’Aosta e Puglia. Nelle Province autonome di Trento e Bolzano e nella
Regione Friuli Venezia Giulia, invece, il Piano è adottato direttamente dalla Giunta.
Il Presidente della Regione esercita il potere esecutivo insieme alla Giunta e rappresenta
l’unitarietà della politica sanitaria regionale.
Alla Giunta regionale, quale organo collegiale, è affidata l’approvazione degli atti normativi
o amministrativi che danno attuazione alle leggi sanitarie regionali e l’esercizio della potestà
regolamentare negli ambiti ad essa affidati dallo statuto regionale. E’ inoltre è titolare di specifici
poteri di nomina. All’interno della Giunta le funzioni di indirizzo e coordinamento sono delegate
agli assessori competenti in materia. Alcune Regioni hanno previsto un unico assessorato
responsabile delle politiche sanitarie e di quelle socioassistenziali, in altre, invece, sono presenti due
assessorati responsabili rispettivamente delle politiche sanitarie in senso stretto e delle politiche
sociali e sociosanitarie. I settori di attività affidati a ciascun assessorato sono stabiliti con decreto
del Presidente della Regione, che ripartisce le deleghe tra i vari componenti della Giunta regionale.
Occorre rilevare che l’assessorato non è titolare, di regola, di autonomi poteri decisionali, la
sua funzione si concreta, infatti, nell’elaborazione e presentazione alla Giunta di progetti di
delibere, dei programmi e di tutti i documenti attinenti al settore di competenza e nel coordinamento
dell’attività delle relative strutture di supporto.
Nelle strutture tecnico-organizzative interne all’amministrazione regionale rientrano le
direzioni generali e le direzioni che operano a supporto degli assessorati competenti nelle politiche
sanitarie. La maggior parte delle Regioni prevede una sola direzione generale responsabile sia delle
politiche sanitarie, che di quelle sociosanitarie e di quelle sociali tout court5. In altre Regioni sono
presenti due direzioni generali,6rispettivamente competenti sulle politiche sanitarie e su quelle
sociosanitarie e sociali7. Infine, in un numero residuale di Regioni sono state istituite più direzioni
con competenza specifica in alcuni settori delle politiche sanitarie e sociosanitarie8.
Emerge con chiarezza che, la preferenza per il modello organizzativo con una o due grandi
ripartizioni interne, in alternativa al modello delle direzioni settoriali, Regione e di collegamento tra
l’azione amministrativa di servizio e l’attività di governo della Giunta regionale9.
Spetta invero a tali strutture, indipendentemente dal modello organizzativo prescelto, la
responsabilità delle funzioni inerenti alla promozione, al coordinamento e alla regolazione di tutte
le attività riguardanti la tutela della salute che fanno capo al Servizio Sanitario Regionale (S.S.R.),
la programmazione e il governo delle corrispondenti risorse, la regolazione dei rapporti tra soggetti
pubblici e privati operanti nel S.S.R., la verifica, il monitoraggio sull’implementazione
dei
programmi regionali.
Tali strutture svolgono, inoltre, funzioni di rilevanza esterna quali la direzione delle attività
di informazione e comunicazione del S.S.R., il governo dell’innovazione e della ricerca , la gestione
delle attività tecnico-specialistiche funzionali al rispetto degli adempimenti prescritti dalla legge
5
Emilia Romagna, Toscana, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Basilicata.
6
A volte denominate “servizi”, come nelle Marche, “dipartimenti”, come nel caso delle Provincia autonoma di Trento o
“ripartizioni”, come nel caso della Provincia autonoma di Bolzano.
7
Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Marche, Provincia autonoma di Bolzano e Trento, Abruzzo, Sardegna.
8
Veneto, Lazio, Campania, Sicilia dove si usa il termine “dipartimenti”.
9
R.BALDUZZI, G.CARPANI, Manuale di diritto sanitario, Bologna, 2013, p. 224.
statale e, se previsto nel modello di organizzazione, anche funzioni di programmazione,
coordinamento e regolazione delle politiche sociosanitarie e sociali tout court.
Occorre precisare che le direzioni generali sono guidate dal direttore generale che, nel
rispetto degli indirizzi impartiti dagli organi di indirizzo politico, e in stretta sinergia con
l’assessorato competente in materia, è titolare di poteri propositivi e consultivi rispetto alla Giunta
regionale, sovrintende all’attuazione degli atti normativi o amministrativi e ai programmi relativi al
settore sanitario, definisce gli incarichi dirigenziali affidando a ciascun dirigente gli obiettivi da
perseguire e le risorse umane finanziarie e materiali per poterne raggiungere la realizzazione, dirige
le strutture organizzative assegnate, è responsabile della coerenza sul piano legislativo,
programmatico, finanziario e organizzativo dei provvedimenti assunti e dei risultati conseguiti
nell’attività tecnico-amministrativa.
Rientra, inoltre, nelle competenze del direttore generale l’adozione di atti che impegnano
l’amministrazione verso l’esterno, anche mediante l’esercizio di autonomi poteri di spesa, di
organizzazione delle risorse umane strumentali e di controllo, nonché atti di gestione del personale
assegnato.
In relazione alle strutture tecniche esterne che operano a supporto dell’amministrazione
regionale deve rilevarsi che, un modello largamente diffuso, è quello delle Agenzie regionali
sanitarie, presenti in 11 Regioni10 con diverse denominazioni11, competenti sulle politiche sanitarie
e, nel caso dell’Emilia Romagna e del Veneto anche sulle politiche sociali.
Nelle Regioni in cui è assente un’Agenzia regionale sanitaria sono presenti gli Osservatori.
Trattasi di strutture autonome, ma prive di personalità giuridica, con competenze altamente
specialistiche. Particolare attenzione merita l’Osservatorio epidemiologico presente in Umbria, in
Puglia, nella Provincia autonoma di Bolzano, in Abruzzo, nella Provincia autonoma di Trento,
10
Abruzzo, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana,
Veneto.
11
Ars, Agenzia regionale della sanità, in Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche, Toscana; Asr, Agenzia sanitaria
regionale, in Abruzzo; Aress, Agenzia regionale servizi sanitari, in Piemonte; Ares, Agenzia regionale sanitaria, in
Puglia; Arsan, Agenzia sanitaria e sociale regionale, in Emilia Romagna; Arss Agenzia regionale sociosanitaria, in
Veneto.
nonché in Sicilia, che sovraintende alla raccolta ed elaborazione delle informazioni
epidemiologiche necessarie alla conoscenza delle condizioni di salute della popolazione e dei fattori
che determinano stati di malattia e di rischio e funzionali all’individuazione dei bisogni sanitari
della popolazione e alle aree critiche di intervento. In alcune Regioni sono presenti osservatori
epidemiologici con competenze specialistiche su un singolo settore di attività. Ad esempio, in
Sardegna, Campania e Piemonte vi è l’Osservatorio epidemiologico regionale per le dipendenze
patologiche, che opera quale strumento di conoscenza e sorveglianza epidemiologica
dell’evoluzione del fenomeno delle dipendenze patologiche. In Sardegna, l’osservatorio ha anche il
compito di provvedere alla raccolta di tutte le informazioni che dovranno confluire nel Sistema
informativo Nazionale per le Dipendenze, gestito dal Ministero della Salute, sulla base degli
indirizzi strategici e delle indicazioni fornite dal Dipartimento “politiche antidroga”. Frequente è
anche la presenza di un Osservatorio epidemiologico veterinario regionale. Altri osservatori, invece,
possono essere istituiti per offrire una risposta alle esigenze di controllo epidemiologico specifiche
dell’area di riferimento.
Non può, infine, non richiamarsi il ruolo svolto dagli enti locali nell’ambito della
programmazione sanitaria regionale e nella valutazione dei vertici gestionali delle aziende. L’art. 2,
comma 2-bis e 2-ter del D.lgs. n. 502/92 prevede, infatti, che, ciascuna Regione istituisca la
Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e sociosanitaria regionale, quale organo
consultivo per la programmazione e per la verifica del raggiungimento dei relativi obiettivi. Fanno
parte della Conferenza il Sindaco, o il presidente della Conferenza dei sindaci, e i rappresentanti
delle associazioni regionali delle autonomie locali. Alcune Regioni hanno previsto anche la
partecipazione dei Presidenti delle province e delle comunità montane (Marche e Molise), di
rappresentanti della Regione o di altri enti, quali le Università (Piemonte), dei Presidenti delle
assemblee dei sindaci di ambito distrettuale (Friuli Venezia Giulia), dei Consiglieri regionali
membri della commissione consiliare sanità e del Presidente regionale dell’ordine dei medici
(Calabria). L’attività della Conferenza è diretta ad esprimere pareri o intese in merito a importanti
atti di pianificazione sanitaria e sociosanitaria che incidono sulle realtà locali . Le osservazioni della
Conferenza devono essere prese in considerazione nel procedimento di adozione del Piano Sanitario
Regionale. Essa partecipa, in conformità alle prescrizioni della legge regionale, anche alla verifica
della realizzazione del Piano attuativo locale. La Conferenza, inoltre, esprime il proprio parere
anche nell’ambito del procedimento di verifica dell’operato dei direttori generali delle aziende
ospedaliere ed ha potere di impulso per la revoca o non riconferma degli stessi. Compito analogo,
nelle aziende territoriali, è svolto dalla Conferenza dei sindaci, che è organo di rappresentanza dei
comuni per l’espressione delle esigenze sanitarie del territorio di competenza, ovvero dal Sindaco,
laddove la circoscrizione dell’azienda coincida con quella di un solo comune. Oltre alle funzioni di
collaborazione nella programmazione e nel controllo e a quelle di coordinamento in materia
sociosanitaria, i Comuni svolgono anche altri importanti compiti in campo sanitario. Il Sindaco
rappresenta, infatti, l’autorità sanitaria locale sia in veste di ufficiale di governo sia come capo
dell’amministrazione comunale. Ad esso spettano significative funzioni, quali l’adozione di
provvedimenti che dispongono accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori, le ordinanze
contingibili ed urgenti in caso di emergenze sanitarie e di diverse autorizzazioni in campo sanitario.
I Comuni, infine, oltre a poter assumere la gestione di parte delle farmacie presenti sul proprio
territorio hanno anche il compito di identificare le zone nelle quali collocare le farmacie onde
assicurare un’equa distribuzione e l’accessibilità al servizio farmaceutico anche ai cittadini residenti
in aree scarsamente abitate.
4. Le aziende unità sanitarie locali
Le aziende unità sanitarie locali sono enti regionali a istituzione necessaria con personalità
giuridica pubblica, sono dotate di autonomia imprenditoriale e assicurano l’erogazione dei livelli
essenziali di assistenza sanitaria per conto delle Regioni.
Deve precisarsi che, il riferimento all’impresa non deve essere inteso nel senso che
l’autonomia vada oltre la capacità di organizzare i mezzi produttivi estendendosi all’oggetto finale
dell’attività. L’attività delle aziende, invero, è strettamente funzionale alla realizzazione dei livelli
essenziali di assistenza sanitaria così come definiti a livello nazionale e specificati nella
pianificazione regionale. L’autonomia inerisce essenzialmente la dimensione organizzativa e il
funzionamento dell’azienda, consentendo di rendere disponibili tali elementi per il management di
vertice, onde effettuare scelte relative alla distribuzione dei compiti e all’articolazione dei ruoli
secondo logiche di massima efficienza nell’impiego delle risorse e risponderne responsabilmente12.
Emerge con chiarezza, 13 che la principale differenza qualitativa rispetto alle altre
amministrazioni deriva dal fatto che l’organizzazione delle aziende unità sanitarie locali, fatti salvi i
condizionamenti pubblicistici derivanti dagli indirizzi regionali di cui all’art. 3, comma 1-bis,
D.lgs.. n. 502/92, è demandata interamente ad una fonte normativa di natura non pubblicistica,
ovvero l’atto aziendale di diritto privato, mentre nelle pubbliche amministrazioni tradizionali solo la
micro-organizzazione e, dunque, l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti la gestione dei
rapporti di lavoro, di competenza dirigenziale, è rimessa ad atti di natura privatistica, mentre la
macro-organizzazione continua ad essere riservata a fonti di diritto di carattere pubblicistico .
Nonostante l’autonomia organizzativa, le aziende sanitarie restano strettamente collegate
alla Regione, in quanto soggetti costitutivi del Servizio Sanitario Regionale strumentali al
raggiungimento degli obiettivi regionali. .
Occorre precisare che le diverse tipologie di aziende sanitarie – territoriale e ospedaliera –
hanno una struttura comune. Al vertice dell’azienda è posto il direttore generale, nominato dalla
Regione, e coadiuvato dal direttore amministrativo e dal direttore sanitario. Il direttore generale è
l’organo monocratico di rappresentanza legale e di governo dell’azienda, è responsabile della
gestione complessiva e deve assicurare l’equilibrio economico dell’azienda.
12
A. PIOGGIA, Diritto sanitario e dei servizi sociali, Torino, 2014, p. 104.
13
R. BALDUZZI, G. CARPANI, Manuale di diritto sanitario, Bologna, 2013, p. 232.
Tra i compiti del direttore generale possono richiamarsi: la responsabilità della direzione
aziendale (art. 3, comma 1-quinquies), l’adozione dell’atto aziendale di diritto privato (art. 3,
comma 1-quater), la verifica dei rendimenti e dei risultati della corretta ed economica gestione delle
risorse attribuite e introitate, nonché dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione
amministrativa (art. 3, comma 6), la nomina del direttore sanitario e amministrativo, che unitamente
al direttore generale costituiscono la Direzione aziendale, la nomina dei direttori di dipartimento e il
conferimento degli incarichi di direttore di distretto (art. 3-sexies, comma 3), la nomina dei
responsabili delle strutture operative dell’ azienda (art. 3, comma 1-quater), ivi compresa
l’attribuzione degli incarichi di direzione di strutture semplici o complesse (art. 15-ter), nonché il
conferimento di contratti a tempo determinato (art. 15-septies), l’individuazione del candidato da
nominare alla direzione di struttura complessa, la convocazione di una conferenza di servizi almeno
annuale per verificare l’andamento dei servizi, l’individuazione, d’intesa con il Collegio di
direzione, delle strutture aziendali ove i dirigenti sanitari possono esercitare il diritto all’esercizio di
attività libero-professionale individuale al di fuori dell’impegno di servizio.
I direttori sanitario e amministrativo, nominati dal direttore generale, collaborano con la
direzione generale, e sono responsabili rispettivamente dei servizi sanitari a fini organizzativi e
igienico sanitari e dei servizi amministrativi.
Unitamente al direttore generale, il collegio sindacale è organo dell’azienda che si occupa
della verifica dell’amministrazione aziendale sotto il profilo economico, di vigilanza
sull’osservanza della legge e sulla regolare tenuta della contabilità e dei bilanci, anche mediante atti
di ispezione e controllo, collegiali o individuali. Ha l’obbligo di riferire almeno trimestralmente alla
Regione, anche su richiesta di quest’ultima, sui risultati dei riscontri eseguiti, denunciando
immediatamente i fatti se vi è fondato sospetto di gravi irregolarità. Semestralmente, inoltre,
trasmette alla Conferenza dei sindaci una propria relazione sull’andamento dell’attività dell’ Usl.
Deve rilevarsi che, a partire dal 1999, il direttore generale è stato affiancato nel governo
aziendale dal collegio di direzione (art. 17, comma 1, D.lgs. n. 502/1992, come sostituito dal D.lgs.
n. 229/1999), qualificato come organo dell’azienda, dal d.l. n. 158/2012. Il collegio di direzione
collabora al governo delle attività cliniche con la propria attività consultiva. Partecipa, inoltre, alla
pianificazione delle attività, all’individuazione degli indicatori di risultato e alla valutazione interna.
Un ulteriore organismo collegiale previsto dal D.lgs. n. 502/92, ma non qualificato come
vero e proprio organo, è il Consiglio dei sanitari, che costituisce un organismo elettivo dell’azienda.
E’ presieduto dal direttore sanitario e composto in maggioranza da medici e operatori sanitari.,
nonché da una rappresentanza del personale infermieristico e del personale tecnico sanitario. Il
Consiglio ha essenzialmente funzioni di consulenza tecnico-sanitaria, che esercita attraverso la
formulazione di pareri rivolti al direttore generale per le attività tecnico-sanitarie, ma si esprime,
altresì, sulle attività di assistenza sanitaria.
4.1 L’azienda territoriale
L’azienda sanitaria territoriale rappresenta la modalità organizzativa di gestione delle unità
sanitarie locali, le quali costituiscono le circoscrizioni in cui la Regione sceglie di articolare la
propria attività di assistenza sanitaria di base e specialistica, ivi compresa la prevenzione. L’azienda
territoriale svolge sia funzioni di diretta erogazione delle prestazioni, per il tramite delle proprie
strutture, sia funzioni di committenza. Nell’erogazione dei servizi l’azienda organizza le cure
primarie, attraverso il coordinamento delle attività dei medici di medicina generale e dei pediatri di
libera scelta, che svolgono anche l’importante ruolo di “gatekeepers” per le prestazioni
specialistiche14. Queste ultime sono offerte in parte dalla stessa azienda, in parte dall’azienda
ospedaliera e in parte dalle strutture accreditate in convenzione.
La funzione di committenza si realizza attraverso l’attività di rilevazione della domanda di
salute da parte della popolazione del territorio e di organizzazione dell’offerta pubblica di
prestazioni per soddisfarla.
14
A. PIOGGIA, Diritto sanitario e dei servizi sociali, Torino, 2014, p. 108.
In relazione alle modalità in cui l’azienda deve strutturarsi organizzativamente, il D.lgs. n.
502/92 prevede che in ciascuna azienda territoriale siano presenti il dipartimento di prevenzione e il
dipartimento di salute mentale. Il primo consente la tutela della salute collettiva, perseguendo
obiettivi di promozione della salute, prevenzione delle malattie e delle disabilità e miglioramento
della qualità della vita, attraverso azioni volte ad individuare e rimuovere le cause di nocività e
malattia di origine ambientale, umana e animale. Il dipartimento è articolato in servizi o unità
operative di igiene e sanità pubblica, igiene degli alimenti e della nutrizione, prevenzione e
sicurezza degli ambienti di lavoro, sanità mentale, igiene degli alimenti, di origine animale e igiene
degli allevamenti e delle produzioni zootecniche.
Il dipartimento della salute mentale, invece, assicura le attività di prevenzione, di cura,
riabilitazione e reinserimento del malato mentale e, a tal fine, è articolato in una rete di servizi
territoriali a dimensione dipartimentale, che offrono quattro tipologie basilari di assistenza:
assistenza territoriale domiciliare, assistenza in regime di ricovero, interventi socio-riabilitativi in
regime semi residenziale, interventi terapeutici riabilitativi in regime residenziale.
Un’altra tipologia di struttura dell’azienda, con finalità esclusive di erogazione di prestazioni
sanitarie, è costituita dai presidi ospedalieri. Trattasi di ospedali che fanno parte dell’organizzazione
aziendale, muniti di autonomia economico-finanziaria e dotati di un dirigente medico e di un
dirigente amministrativo responsabili rispettivamente delle attività cliniche e di quelle
amministrative e strumentali.
Sotto il profilo dell’articolazione territoriale interna, l’azienda si organizza in Distretti, che
assicurano l’assistenza primaria e sono individuati dall’atto aziendale sulla base delle indicazioni
regionali, in modo da servire di norma una popolazione minima di almeno 60 mila abitanti. Ai
distretti è attribuita autonomia tecnico-gestionale ed economico-finanziaria. Al loro opera anche il
Comitato dei sindaci di distretto con funzioni di concorso alla verifica del raggiungimento dei
risultati di salute. Trovano, inoltre, collocazione funzionale nel distretto le articolazioni territoriali
del dipartimento di salute mentale e del dipartimento di prevenzione, nonché, laddove istituiti anche
di altri dipartimenti aziendali. Le attività del distretto consistono sia in attività di governo che di
erogazione dei servizi e sono organizzate attraverso il programma delle attività territoriali (PAT),
approvato dal direttore generale, acquisito il parere del Comitato dei sindaci del distretto e su
proposta del direttore del distretto. Il distretto provvede sia alla valutazione dei bisogni e alla
definizione dei servizi necessari alla popolazione di riferimento, sia all’erogazione di prestazioni e
servizi di primo livello, quali l’assistenza specialistica ambulatoriale, l’assistenza ad anziani e
disabili, l’assistenza domiciliare integrata, l’assistenza e la cura delle tossicodipendenze,
l’assistenza e la cura della salute della donna, dell’infanzia e della famiglia, ecc.
Deve precisarsi che con la legge n. 189/12 si è prevista una ridefinizione del rapporto fra
organizzazione distrettuale e assistenza primaria, al fine di migliorare il livello di efficienza e di
fornire assistenza per tutto l’arco della giornata e per tutti i giorni della settimana. I modelli
individuati sono: le aggregazioni funzionali territoriali, costituite da professionisti delle cure
primarie che condividono in forma strutturata obiettivi, percorsi assistenziali, strumenti di
valutazione della qualità, linee guida, audit e strumenti analoghi; le unità complesse di cure
primarie, in cui si aggregano i medici, le altre professionalità convenzionate con il S.S.N., gli
infermieri, le ostetriche, i tecnici della riabilitazione, della prevenzione e del sociale a rilevanza
sanitaria.
4.2. L’azienda ospedaliera
L’azienda ospedaliera rappresenta la seconda tipologia di organizzazione aziendale
attraverso la quale la Regione assicura l’assistenza sanitaria. La struttura aziendale non è propria di
tutti gli stabilimenti ospedalieri. Solo gli ospedali di rilievo nazionale o interregionale aventi
determinate caratteristiche organizzative e dimensionali (bacino di utenza, tipologia di offerta e
complessità dell’attività), infatti, possono costituirsi in azienda separata.
Le aziende ospedaliere, a differenza delle territoriali, hanno esclusivamente funzioni di
erogazione e offrono unicamente prestazioni specialistiche ospedaliere e di riabilitazione.
L’organizzazione segue essenzialmente il modello dipartimentale per l’attività prestazionale
strutturata in articolazioni specialistiche, a loro volta aggregate in dipartimenti in base a criteri
differenti che vanno dalla tipologia di paziente a quella di malattia.
Una possibile variante organizzativa dell’azienda ospedaliera è quella dell’azienda
ospedaliera-universitaria, che rappresenta un modello gestionale e funzionale in cui la
collaborazione fra Regione e Università è finalizzata ad assicurare il coordinamento e l’integrazione
fra l’attività assistenziale sanitaria e quella didattica e di ricerca in materia di tutela della salute.
Deve rilevarsi che il D.lgs. n. 517/99 aveva previsto che Regioni e Università adottassero specifici
protocolli di intesa e, dopo una sperimentazione di 4 anni, in cui era possibile mantenere 2 diverse
tipologie di integrazione, pervenissero all’adozione del modello unitario dell’azienda ospedaliero
universitaria. Tale disegno attuativo non si è nel concreto pienamente realizzato, stante il rilievo
che, con la modifica costituzionale del 2001, le Regioni hanno acquisito maggiore autonomia,
soprattutto organizzativa, in materia sanitaria. Dal punto di vista dell’integrazione fra Regioni e
Università nell’organizzazione aziendale, il D.lgs. n. 517/99 prevede dipartimenti ad attività
integrata la cui costituzione, organizzazione e funzionamento sono rimessi all’atto aziendale, che
deve indicare anche le strutture complesse che li compongono, specificando quelle a direzione
universitaria. Agli organi tipici delle aziende si è aggiunto un organo di indirizzo che, in merito ai
dipartimenti ad attività integrata, ha il compito di proporre iniziative e misure per assicurare la
coerenza della programmazione generale dell’attività assistenziale dell’azienda con la
programmazione didattica e scientifica delle università e di verificare la corretta attuazione della
programmazione.
Scarica