l’alloro Laurus nobilis Famiglia: Lauraceae L’alloro è un piccolo albero sempreverde (10-15 m), dalla chioma densa e scura, piramidale. La corteccia, liscia, da verde diviene grigia con l’età. Le foglie, verdi scuro, lucide sopra e più chiare sotto, sono di consistenza coriacea, a lamina lanceolata, margine intero o ondulato, apice acuminato; emanano un aroma caratteristico se strofinate. I fiori, riuniti in piccole infiorescenze alla base delle foglie, hanno 4 petali sfumati di rosso o verde in bocciolo, poi gialli o bianchi. I frutti sono drupe ovoidali profumate, verdi scuro e lucide. L’alloro è specie tipica delle aree mediterranee; vive in zone fresche, al confine tra la vegetazione sempreverde e le querce a foglie caduche. Si spinge dal mare fino ai 600 m. Si coltiva spesso come pianta ornamentale ed è frequente in parchi e giardini di regioni dagli inverni miti. Nel linguaggio dei fiori, come tutte le sempreverdi, è simbolo di immortalità e di gloria. Deriva proprio dal latino Laurus la parola laurea, che incorona di alloro chi ha raggiunto un prestigioso traguardo. Ha proprietà diuretiche e sudorifere e può essere utile, ai primi segni di raffreddore, preparare un infuso con le sue foglie. Aggiungere 4 foglie secche di alloro sminuzzate ad una tazza di acqua bollente, dolcificare a piacere e bere bollente prima di coricarsi. I suoi oli essenziali lo rendono un ecologico ed economico antitarme. Le foglie, lasciate seccare in un luogo asciutto ed ombreggiato e riposte nei cassetti, proteggono la maglieria di lana per tutta l’estate. Il suo uso in cucina è millenario: Apicio, il famoso gastronomo dell’antica Roma, ci ha tramandato la ricetta per il porcellum laureatum, arrostito con rami e bacche di alloro. Entra nel mazzetto di sapori usato, in molte regioni, nella preparazione di brasati e stracotti; profuma le verdure sott’olio. LAURINO ro 30 gr di foglie secche di allo 1/2 litro di alcool a 90° 1 litro di acqua 300 gr di zucchero e Mettere le foglie di alloro chiu a lo atto bar un in ool l’alc emac iar Lasc sura ermetica. rare le foglie per 7 giorni. sciroppo uno Preparare e lo qua l’ac ire boll ndo face e zucchero, farlo freddare far lo, atto bar nel o sarl ver e riposare per 24 ore, filtrare re. glia otti imb Servire freddo. Come in molti altri Paesi, ancora oggi a Genova vive la tradizione natalizia del ramo di alloro sull tavola imbandita. La sua presenza è infatti di buon augurio per il nuovo anno. Provincia di Genova - Assessorato Ambiente Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. La mitologia fa risalire la nascita dell’alloro alla storia della ninfa Daphe che, inseguita dal dio Apollo innamorato di lei, per sfuggirgli chiese di essere trasformata in pianta. Quando questo avvenne, il dio, in segno di amore e rispetto, rese l’alloro un sempreverde e ne fece uno dei suoi simboli. l’aneto Anethum graveolens Famiglia: Umbelliferae L’aneto è una pianta erbacea alta dai 20 ai 50 cm, glauca nell’aspetto e dall’odore forte, per alcuni sgradevole. Come in quasi tutte le Ombrellifere, mostra foglie finemente suddivise più volte (3-4 volte), con gli ultimi segmenti delle dimen- sioni di un capello. I fiori, piccoli e dai petali gialli, sono disposti in ombrelle sorrette da 20-30 raggi di diversa lunghezza, senza involucri. Il frutto è ovale (4-5 mm), bruno scuro, con una caratteristica ala laterale chiara. L’aneto è coltivato da molto tempo. Questo rende la sua provenienza di incerta collocazione: forse è originario del Medio Oriente (secondo altri Autori invece dell’Europa meridionale); oggi si trova spontaneo (o meglio naturalizzato) nelle colture della penisola Iberica e dei Balcani, della Turchia e dell’Iran, e non ha particolari esigenze in fatto di suolo e di umidità dell’aria. Il profumo delle foglie ricorda il finocchio e l’anice, ma possiede una nota piccante che lo rende inconfondibile. Come altre spezie ed erbe veniva usato per profumare l’alito. È opinione dei gourmet che le foglie del- l’aneto si sposino particolarmente bene con il pesce ed il loro uso caratterizza la preparazione di salse e condimenti per insalata. I semi conferiscono un particolare gusto alle verdure conservate sotto aceto. L’aneto è un tesoro arrivato probabilmente dal Medio Oriente. Sicuramente i Persiani ne facevano un largo uso, gastronomico e medico, e lo consideravano così prezioso da usarlo come moneta. I Romani impararono presto ad apprezzarne le caratteristiche, tanto che lo scrittore dell’epoca Apicio inseriva spesso l’Anethum come erba aromatica per arrosti di cacciagione. Nel secolo scorso i semi dell’aneto potevano rientrare, con altre erbe, nella preparazione del ratafià, un liquore digestivo considerato un rimedio quasi miracoloso per coliche e indigestioni, al punto che la sua ricetta veniva gelosamente custodita nelle famiglie. Se ne estrae un olio essenziale con molte proprietà: agevola la digestione, è diuretico, antispasmodico e vermifugo. Una tisana di aneto calma il vomito e il singhiozzo, quindi è l’ideale per le coliche dei bambini. Se soffrite d’insonnia, e non amate tisane ed infusi ma gradite il vino, provate a fare un decotto con 5 gr di semi di aneto in un bicchiere di vino bianco ed a berlo prima di coricarvi. 150 gr di yogurt intero 3 cetrioli 1 cucchiaio di aceto di mele to 3 cucchiai di aneto fresco trita sale q.b. l’aceto. Mescolare lo yogurt con polpa la iare ttug gra e Sbucciare sare 10 dei cetrioli lasciandola ripo , eliminuti con un pizzico di sale e unire minare il liquido in eccesso . allo yogurt insieme all’aneto ire con Amalgamare bene e serv come crostini di pane. Si può usare le vercondimento per l’insalata, dure bollite o cotte al vapore. Provincia di Genova - Assessorato Ambiente Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. SALSA ALL’ANETO E CETRIOLO l’anice stellato Illicium verum Famiglia: Magnoliaceae all’ascella delle foglie, sono brevemente picciolati, con corolla di più petali giallo chiaro o bianco-verdastri; gli stami sono numerosi. I frutti sono follicoli di consistenza legnosa, disposti a stella in numero da 8 a 12, che si aprono ventralmente e contengono un seme rosso ciascuno. L’anice stellato è diffuso nella Cina meridionale, in Giappone, Indonesia e Filippine, ma viene coltivato in tutta l’Asia orientale tropicale e subtropicale. L’anice stellato ha proprietà digestive e regolatrici dell’intestino. In prevalenza il suo impiego, come quello dell’anice, è quindi nella cura di alcune affezioni gastrointestinali. Facilita inoltre la produzione di latte nelle puerpere. Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. L’anice stellato è ottenuto da un albero sempreverde alto da 4 a 12 m, dalla corteccia grigio-scura e dal legno rossiccio. Le foglie, ovali-lanceolate, acuminate, ristrette alla base, coriaceee, sono verdi scure sulla pagina superiore e più chiare inferiormente. I fiori si dipartono Questa spezia, pur essendo giunta in Europa solo alla fine del XVII secolo, ha rapidamente raggiunto una notevole fama. Fra i fattori che ne hanno favorito la diffusione vi è senza dubbio il suo aspetto. È difficile dimenticare questo frutto (anzi questa infruttescenza) così particolare: una stella ad otto o più punte. Il suo gusto è simile a quello dell’anice e da queste due caratteristiche, quella estetica e quella organolettica, deriva il suo nome. Le sue proprietà ne fanno un ingrediente di molte ricette, prevalentemente liquoristiche. FLAN AL PROFUMO DI ANICE STELLATO Chi si diletta di cucina cinese conosce bene l’anice stellato: si tratta di uno degli ingredienti della “polvere delle cinque spezie”, largamente utilizzata nella tradizione culinaria di un Paese al quale la povertà ha stimolato la fantasia. La ricetta della miscela comprende anche i chiodi di garofano, l’anice, la cassia e il pepe. 1 litro di latte 2 fiori di anice stellato 250 gr di zucchero 200 gr di panna 2 tuorli d’uovo Bollire il latte con l’anice stelsalato. Eliminare l’anice e ver chezuc o dell à met e latt nel re ro, mescolando bene. e i Montare la panna. Sbatter o dell o rest il con tuorli d’uovo o. cher zuc la Incorporare lentamente quin e, latt nel tata mon na pan sare Ver vo. d’uo i di unire i ross ceil tutto in uno stampo e cuo a o forn nel aria re a bagnom 180° per 25 minuti. Lasciare raffreddare. Provincia di Genova - Assessorato Ambiente l’arancio Citrus sinensis Famiglia: Rutaceae bianchi, a 5 o 4 petali, in corte spighe, sono molto profumati (sono noti in meriodione come zagara). Il frutto, detto scientificamente esperidio, ha forma sferica, talora schiacciata; la buccia è in genere meno rugosa che nell’arancio amaro e di colore tipicamente arancione; il succo, più o meno dolce, è gradevole e abbondante. Come il suo nome botanico suggerisce, l’origine dell’arancio dolce è da situare in Cina, precisamente nelle regioni meridionali, dove il clima è più vicino a quello mediterraneo. Oggi l’arancio dolce è diffuso in molte regioni del mondo, nel Vecchio come nel Nuovo continente (anche nel Nuovissimo, ossia in Australia e in Nuova Zelanda), dove le estati sono calde e gli inverni miti. Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. L’arancio, per meglio dire l’arancio dolce, è un albero sempreverde, di piccola o media grandezza, provvisto di deboli spine. Le foglie sono dure e cuoiose, verdi scure, a margine intero o appena ondulato, ad apice appuntito e dotate di un picciolo appena alato (a differenza dell’arancio amaro, dove le ali del picciolo sono molto accentuate). I fiori Quando parliamo di arancio la nostra fantasia evoca automaticamente le coste del Mediterraneo; in realtà questa pianta dalle grandi virtù è arrivata dall’Estremo Oriente, per l’esattezza dalla Cina. Le prime tracce della sua coltivazione in Europa sono in Portogallo, intorno alla metà del ‘500; la sua diffusione nel resto del bacino Mediterraneo fu rapidissima. TRIGLIE ALL’ARANCIA Dire fiori d’arancio significa dire matrimonio. La tradizione, diffusa in tutto il mondo, di adornare la fronte della sposa con una coroncina di fiori d’arancio, o di arricchire con i bianchi fiori il bouquet, nasce in Sicilia e trae origine dalla tradizione araba nella quale cavalieri regalavano alla propria sposa, nel giorno delle nozze, i fiori d’arancio come auspicio di fecondità. È abbastanza frequente, in Riviera, incontrare a fine inverno dei piccoli alberi carichi di frutti. Si tratta in realtà dell’arancio amaro (Citrus aurantium). Originario dell’India, il viaggio che l’ha portato fino a noi passa dalla Siria, dall’Egitto e dalla Anatolia. 4 triglie da 250 gr l’una 1 arancia 1 cucchiaio di farina 1/2 bicchiere d’olio d’oliva sale e pepe verde in grani q.b. un Spremere l’arancia; porre in il tegame l’olio, la farina ed a bass ma fiam a re cola pepe, mes per 10 minuti, facendo attenzio mi. gru are form ne a non ia, Versare il succo d’aranc are iust agg lie, trig le ere aggiung di sale. orre Cuocere per 10 minuti, disp ire. su un piatto di portata e serv Arrivato in Europa al seguito dei Crociati, intorno all’anno Mille, la sua coltivazione si è rapidamente diffusa in Sicilia, in Spagna, in Francia. Trova il suo impiego soprattutto in profumeria. Le scorze del frutto, ingrediente della famosa “marmalade” inglese, aromatizzano liquori ad azione stimolante sull’apparato digerente Provincia di Genova - Assessorato Ambiente la canfora Cinnamomum camphora Famiglia: Lauraceae La canfora è un albero maestoso, con tronco diritto a base allargata, che può raggiungere i 30 m di altezza. Il tronco è largo e la chioma è molto densa, ampia e tondeggiante. La corteccia è bruna e finemente rugosa. Le foglie, persistenti, coriacee, di colore verde lucido, hanno forma ovale allungata, con apice acuminato e margine intero. Se sfregate emanano un odore caratteristico. I fiori, piccoli e giallastri, sono riuniti all’ascella delle foglie. Il frutto è una drupa violacea contenente un grosso seme. L’albero della canfora cresce spontaneo fino ad oltre 2000 m di quota nelle sue regioni di origine (Asia orientale, in particolare Cina, Giappone e Taiwan). In Italia è spesso coltivato a scopo ornamentale, soprattutto nella fascia prealpina compresa fra il lago Maggiore e il lago di Garda. La canfora predilige un clima mite e abbastanza umido e quindi si può trovare anche in Liguria, soprattutto nei giardini di ville e parchi. La canfora costituisce un ottimo antisettico e disinfettante, che ne ha favorito l’impiego nella preparazione di saponi e di deodoranti ecologici. L’essenza di canfora si presenta sotto forma di cristalli. L’olio canforato si ottiene sciogliendo i cristalli di canfora in olio di oliva. La complessità e la lunghezza delle pratiche di estrazione naturale dell’essenza di canfora ne hanno alzato i costi. Questo ha determinato la scelta, per gli usi industriali moderni, di una sintesi chimica, più conveniente. Il suo legno ha infatti una proprietà antitarmica che ne ha favorito, nelle regioni d’origine, l’impiego nella costruzione di stipi e bauli per guardaroba, molto ricercati nell’800 dalle famiglie inglesi benestanti. Dall’importazione di mobili destinati ad una élite, all’estrazione dell’essenza, il passo fu breve. La canfora divenne popolare ed è solo negli ultimi anni che le si cominciano a preferire altre essenze, meno penetranti ma altrettanto efficaci. OLIO ANTIDOLORIFICO Mettere in infusione 2 spicchi di aglio in 2 decilitri di olio canforato. Lasciar macerare per 20 giorni. Utilizzare questo olio per massaggiare la parte dolente. L’olio essenziale di canfora è un valido solvente e viene impiegato nell’industria delle vernici, per la produzione di inchiostri per la stampa. Provincia di Genova - Assessorato Ambiente Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. La canfora è considerata un albero sacro in tutto l’Estremo Oriente, dove viene utilizzata da secoli come ingrediente per incensi. In particolare, questi incensi vengono bruciati durante cerimonie sacre e riti divinatori grazie al loro potere di placare gli istinti e di stimolare quindi la meditazione ed il raggiungimento di uno stato di estasi mistica. Probabilmente in virtù di un profumo pungente e non sempre gradito all’olfatto europeo, da noi ne furono accolte principalmente altre doti. la cannella Cinnamomum ceylanicum (o zeylanicum) Famiglia: Lauraceae La cannella è un albero sempreverde alto fino a 12 m, con corteccia aromatica: all’età di 3 anni la corteccia (quando viene prelevata come spezia), presenta uno spessore sottilissimo, elevata fragilità, superficie liscia e colore più scuro nella parte interna. Le foglie sono coriacee, opposte, ovate o acuminate, lunghe in media una dozzina di cm. I fiori sono piccoli, bianchi, raccolti in pannocchie. La cannella è spontanea a Ceylon, l’odierno Sri Lanka: da qui il nome che la contraddistingue come “cannella di Ceylon” rispetto alla cassia aromatica o cannella cinese Cinnamomum cassia. La cannella di Ceylon viene oggi coltivata in tutta l’Asia tropicale. Le sue piante prediligono una temperatura costantemente elevata e un tasso di umidità sempre alto. La parte preziosa della cannella è costituita dalla corteccia, che viene posta in commercio sotto forma di bastoncini cilindrici o appiattiti. La corteccia della cannella di Ceylon è più pregiata e più sottile di quella della cannella cinese ed il suo costo è decisamente più alto. Il fascino di questa spezia, legato ad un profumo intenso e delicato al tempo stesso, è rimasto inalterato nel corso dei secoli. Apprezzata nelle zone d’origine da migliaia di anni per le sue proprietà curative, la cannella godeva di una fama che ha creato innumerevoli leggende. Fra i poteri che le venivano attribuiti vi era quello afrodisiaco. Deve il suo arrivo in Europa alle spedi- zioni portoghesi della metà del XVI secolo. La scoperta di questa nuova spezia non soppiantò la cannella cinese, diffusa già da tempo nelle ricette di salse e sughi. Il profumo ed il gusto, complessivamente più delicati di quello della cannella cinese hanno legato prevalentemente la fortuna gastronomica della cannella di Ceylon alla pasticceria. BROWNIES Sciogliere a bagnomaria il burro e la cioccolata. Montare le uova con lo zucchero ed un pizzico di sale fino a renderle spumose e chiare ed aggiungere la cannella. Incorporare le uova al cioccolato, aggiungere la farina e le mandorle tritate grossolanamente. Versare l’impasto in una teglia ( l’altezza dell’impasto deve essere di 1 cm) e infornare a 180° per 20 minuti. L’impasto da cui si otterranno i brownies deve risultare asciutto fuori ma leggermente umido all’interno. Lasciar intiepidire poi tagliare in pezzi di circa 2x4 cm. In alcuni Paesi la cannella viene usata come aromatizzante per il caffè. In alcuni locali del Portogallo, ad esempio, la tazzina di caffè è accompagnata non solo dalla bustina di zucchero ma anche da un pezzetto di stecca di cannella. Dal latino CANELLA, piccolo tubo o cannuccia. Il nome deriva dalla forma, arrotolata su se stessa, che la corteccia assume con l’essiccamento. Provincia di Genova - Assessorato Ambiente Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. 100 gr di burro 400 gr di cioccolata amara (75%) 4 uova 200 gr di zucchero 1 pizzico di sale 2 cucchiaini di cannella 200 gr di mandorle tritate 150 gr di farina il cardamomo Elettaria cardamomum Famiglia: Zingiberaceae Il cardamomo è una grande pianta erbacea perenne alta fino a 5 m, provvista di un rizoma tuberoso e spesso, con numerose lunghe radici. Foglie strette e allungate, acuminate, lunghe fino a 60 cm, a margine intero. Fiori dalla corolla verde bianco, riuniti in pannocchie. I frutti, di colore verde, sono capsule a tre spigoli arrotondati contenenti molti semi bruni, particolarmente profumati. Si trova sia spontaneo che coltivato in Indonesia, Sri Lanka e India (è probabile che la sua origine sia da localizzare proprio nelle lagune del Malabar e del Kerala); oggi viene coltivato anche in altri continenti (nell’America Centrale soprattutto in Guatemala), lungo i canali di zone paludose. Sino all’800, la pianta del cardamomo cresceva quasi esclusivamente spontanea. La raccolta era affidata alle sole donne, che fra agosto e febbraio si facevano largo nella densa vegetazione dei canali paludosi per staccare a mano ed uno a uno i frutti. L’essiccazione avveniva al sole, sorveglia- ta con attenzioni e premure degne di un infante reale. Oggi vi sono ampi terreni coltivati a cardamomo e l’essiccazione si effettua con sistemi industriali. Solo la raccolta continua ad essere fatta a mano, e sono ancora le donne, secondo la tradizione, ad occuparsene. Nella cucina indiana questa spezia è un ingrediente tradizionale, usato a capsule intere nella preparazione dei risi e macinato in numerosi altri piatti. In Svezia si mettono capsule intere di cardamomo nel glogg, una bevanda calda fortemente alcolica, bevuta durante le festività natalizie; costituisce anche l’ingrediente fondamentale del käffebrod, un tipo di pasticcino che accompagna il caffè. Anche in Danimarca si aromatizzano i dolci con la polvere di cardamomo. In Italia il cardamomo è usato nell’industria dei liquori, in particolare per la preparazione di quasi tutti gli amari. medicina, ma sconfinava nella profumeria: pare che le donne egizie bruciassero il cardamomo ed esponessero poi il corpo ai suoi fumi fragranti. Presso Greci e Romani il cardamomo divenne un prezioso alleato nella conservazione delle derrate, impiego che mantiene tuttora a livello industriale, e si diffuse come raffinato condimento. TORTA ALLO YOGURT 150 gr di zucchero 200 gr di farina 100 gr di pistacchi di Bronte 150 gr di burro 150 gr yogurt bianco 3 uova 1 bustina di lievito per dolci non vanigliato 1 cucchiaino di cardamomo macinato Tritare grossolanamente i pistacchi, unire il cardamomo, il burro ammorbidito, la farina e lo zucchero, poi le uova intere e lo yogurt, mescolare bene. Ungere una teglia da forno da 21 cm e versarci il composto. Infornare a 180° per 45 minuti finché la torta non sia dorata. Gli Arabi, che importano da soli il 90% della produzione proveniente dall’India, ritengono che il cardamomo “rinfreschi il sangue”, un grosso beneficio in regioni dove la temperatura raggiunge alti valori, e incoraggiano persino i bambini a berlo. L’uso di bere il qahwa, l’infuso di cardamomo, è cosí radicato che anche gli Arabi che vivono in Occidente si rifiutano di abbandonarlo. Provincia di Genova - Assessorato Ambiente Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. L’uso del cardamomo ha origini antiche, non solo nei Paesi di origine. L’antica medicina indiana prescriveva il cardamomo contro l’obesità, le affezioni alle vie urinarie, le emorroidi e l’itterizia. Nell’area mediterranea, il primo documento in cui si parla del cardamomo è un papiro scoperto in Egitto e risalente al 1550 a.C., che già inserisce questa spezia fra le 800 droghe medicinali di uso comune; il suo impiego non si limitava alla il cartamo Carthamus tinctorius Famiglia: Compositae Il cartamo è un’erba dal fusto eretto, glabro, lucido, ramificato solo in alto. Le foglie, glabre, lanceolate, lunghe 6-9 cm, dal bordo dentato e spinuloso, non possiedono picciolo e mostrano nette nervature reticolate; quelle superiori circondano il capolino (l’infiorescenza tipica delle Composite), formando una specie di corolla aperta. Il capolino dei fiori, dal diametro di 3 cm, ha la forma a pera, con squame spinose all’apice; la corolla di fiori tutti tubulari è rosso aranciata. I frutti sono acheni di 6-8 mm, prismatici con 4 angoli ottusi. Quando una specie viene coltivata da molto tempo, i botanici trovano delle difficoltà nel definire la zona di origine della pianta in questione. È il caso appunto del cartamo, il cui sfruttamento millenario non permette di avere una sufficiente documentazione scritta sulla sua storia e la sua provenienza. L’ipotesi più probabile colloca questa spezia nel bacino del Mediterraneo orientale, dove talora si trova spontaneizzata in campi e pascoli. Il nome “cartamo” forse vi dice poco, ma scoprendo che questa spezia è detta anche “zafferanone”, vi si accenderà una lampadina. Il cartamo ha un aspetto simile al prezioso e costoso zafferano, ma è molto meno profumato: diciamo che il cartamo sta allo zafferano come le uova di lompo stanno al caviale... Lo si trova a buon mercato nei bazaar di tutto il Mediterraneo, dove spesso è venduto agli ignari turisti che lo acquistano a prezzi decisamente modici e lo regalano, tornando a casa, credendolo la preziosa spezia. Dalla corolla del cartamo si estraggono due colori, il giallo ed il cremisi, molto usati nell’antichità per la tintura dei tessuti, pratica che ne ha favorito la diffusione. Il cartamo è coltivato ancora oggi grazie ai molti impieghi dei suoi derivati. In cosmesi lo si trova sia come colorante per il maquillage, sia come ingrediente nella preparazione di oli per il corpo. Le stesse sostanze sono usate nel settore alimentare: l’olio, particolarmente diffuso nella cucina indiana, è molto ricco in acidi grassi polinsaturi e vitamine; la cartamina (il colorante di cui è ricco) lo rende un economico colorante naturale. La legislazione italiana, negli ultimi anni, ha posto una paticolare attenzione a questa pianta, regolandone produzione e commercio, per evitare le sofisticazioni legate alla sua somiglianza con lo zafferano. Si utilizza anche nella produzione di materiali per pittura, sia per il colore, sia per le sue proprietà come addensante. PASTA CON CAVOLFIORE E CARTAMO leggerLessare il cavolfiore in acqua dente. al olo iand lasc ta, sala mente qua l’ac te par Scolarlo mettendo da . ette cim a o iarl tagl e ura di cott a, unirvi Rosolare la cipolla affettat minuto 1 o dop li; pino i e l’uvetta tagliaunire le cimette di cavolfiore delpo’ un ere iung agg i, zett te a pez re, il l’acqua di cottura del cavolfio a pezzetcartamo, i filetti d’acciuga ti e il pepe. di cottuCuocere la pasta nell’acqua saltarla e arla ra del cavolfiore, scol a. sals la con me nel tega Provincia di Genova - Assessorato Ambiente Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. Apicio, il famoso gastronomo Romano, lo cita fra le spezie da usare per molte ricette, sposandolo con selvaggina e pesce. Durante le epoche seguenti, data la facilità di coltivazione, lo si impiegava come aromatizzante e colorante di pani. 600 gr di pasta 1 kg di cavolfiore bianco 100 gr di uva passa l00 gr di pinoli 1 cipolla 6 filetti d’acciuga sott’olio 10 gr di cartamo olio d’oliva, sale e pepe q.b. la cassia Cassia fistula Famiglia: Leguminosae piuttosto grandi e disposti in lunghe infiorescenze terminali; hanno 5 petali, più o meno uguali fra loro, e 10 stami di cui tre decisamente più lunghi. I frutti sono caratteristici legumi penduli, cilindrici, di colore bruno scuro, la cui lunghezza varia da 25 a 50 cm; i semi sono lenticolari, lucidi, quasi neri. Questa specie di cassia ha probabilmente origine nelle regioni dell’Africa orientale e dell’Arabia; oggi viene ampiamente coltivata anche come pianta ornamentale (in inglese viene anche definita “golden shower”) ed è pertanto diffusa nella fascia tropicale asciutta sia dell’Asia , che dell’Africa, che in quella delle Indie occidentali e del continente sudamericano. Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. La cassia, molto simile alle specie note anche come senna (Cassia acutifolia e Cassia angustifolia), è un albero a foglie caduche, alto in media 10 m. Le foglie sono alterne, pinnate, molto lunghe (da 30 a 40 cm), divise in 4-8 paia di foglioline ovate, a loro volta lunghe circa 10 cm. I fiori sono di un giallo intenso, Il primo testo ufficiale, con valore legale, sull’uso delle erbe medicinali in farmaci preparati su ricetta medica, è il cosiddetto Nuovo ricettario fiorentino, del 1499. Fra le piante a cui fa riferimento vi è la cassia fistula, di cui dice: “...la cassia fistula vuole essere frescha, pesante, grossa et piena. Dura uno anno o piu quando è ben conservata.” La cassia ha nel frutto numerosi principi attivi (pectina, zuccheri, acidi tartarico, malico, citrico) che ne fanno un delicato lassativo e un fluidificante del sangue. Un ottimo collirio si ottiene bollendo i semi della cassia nell’acqua. Le proprietà regolatrici delle funzioni intestinali che la cassia possiede ci suggerisce la ricetta per un infuso: Prendere 20-50 gr di foglie di cassia per litro d’acqua, portare a ebollizione, far raffreddare e dolcificare con miele. Se si usa la polpa del frutto, le dosi vanno da 30 a 40 g al giorno nell’adulto e da 8 a 10 nei bambini. Non c’è molto da raccontare sulla storia della cassia fistula, non ci sono leggende, miti od altri argomenti accattivanti sul tema: non abbiamo trovato nulla che abbia ispirato poeti o devoti sulle sue proprietà blandamente lassative. Ma bisogna comunque rimarcare che sull’impiego delle piante medicinali (ed anche su questa specie) esiste sempre una vasta letteratura. L’uso di piante medicinali ha origini antiche quanto l’uomo. Dai testi ritrovati negli scavi archeologici, si è scoperto che già nel Neolitico alcune di queste piante venivano coltivate al pari di quelle necessarie all’alimentazione. Le civiltà nate sul Mediterraneo, egizia e greco-romana, sono ricche di conoscenze sulla fitoterapia; ma furono gli Arabi, nel Medioevo, a svilupparne le potenzialità terapeutiche, perfezionando le tecniche di distillazione, cristallizzazione e filtrazione. I secoli seguenti, con le grandi scoperte geografiche, l’esplorazione di Nuovi Mondi e l’intensificarsi dei rapporti commerciali con l’Oriente, videro arrivare in Europa nuove spezie. E con esse, si diede impulso a nuovi studi, a nuove scoperte scientifiche. Oggi, grazie al progresso della tecnologia e della chimica, sono state confermate molte delle proprietà attribuite a quelle piante medicinali giunte da oltre oceano, che infatti figurano a pieno titolo, insieme alle specie officinali della tradizione ligure, nella farmacopea ufficiale. Provincia di Genova - Assessorato Ambiente il chiodo di garofano Eugenia caryophyllata Famiglia: Myrtaceae da cui sbocciano petali bianchi, dall’aspetto piumoso. I frutti sono piccole bacche rossastre. I boccioli fiorali, essiccati e utilizzati come spezia, diventano di colore bruno, consistenza legnosa e profumo molto intenso, leggermente piccante. Originario delle isole Molucche (Indonesia), il chiodo di garofano viene coltivato in Africa, in Asia, in America meridionale e in Australia, in regioni dal clima caldo e con almeno una stagione molto umida, in luoghi ombreggiati, su terreni leggermente acidi. I fiori dell’albero sono raccolti a mano quando i boccioli vicini a schiudersi tendono al rosa. Esposti al sole per tre giorni, assumono così il loro colore scuro e la loro forma caratteristica. Il loro profumo è speziato e floreale. L’essenza, che si ottiene per distillazione al vapore dei boccioli, trova impiego in molti profumi. Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. Il chiodo di garofano è prodotto da un piccolo albero sempreverde, con chioma tondeggiante, e grandi foglie di colore verde scuro, lucide, leggermente cuoiose, soffuse di rosso da giovani. I fiori, riuniti in ombrello, hanno un lungo calice rosso acceso In Cina, l’uso del chiodo di garofano era già sperimentato da millenni, nel campo della medicina, della gastronomia, della cosmesi. I resoconti dei primi diplomatici di corte, descrivono l’abitudine dei Cinesi di masticare un chiodo di garofano per deodorare l’alito, una tradizione che richiama quella indiana di masticare i semi di cumino. Gli antichi Romani, che compravano il chiodo di garofano dalle carovane provenienti dall’Oriente, usandolo per creare profumi, credevano che fosse un frutto. Si dovette arrivare alle grandi esplorazioni portoghesi del ‘500 per scoprire che il piccolo chiodo bruno è in realtà il bocciolo di un fiore. Per trovare un uso gastronomico di questa spezia in Europa si dovranno aspettare due secoli. Fu solo nel ‘700 che i cuochi europei scoprirono nel chiodo di garofano un prezioso alleato. Da aroma per dolci e creme ad ingrediente essenziale per bolliti, cacciagioni, verdure, la sua popolarità crebbe velocemente. In Italia il suo uso in cucina si è diffuso ampiamente, soprattutto nel settentrione. VIN BRULÈ Fu solo nel XVI secolo che cominciarono studi sistematici su questa pianta officinale. Stimolati dai resoconti di chi tornava dai mari dell’Asia e narrava degli impieghi terapeutici del chiodo di garofano, medici e speziali avvalorarono la fama delle sue virtù analgesiche e anestetiche. Il chiodo di garofano trovò quindi rapidamente applicazioni farmacologiche, specialmente in campo odontoiatrico. 1 litro di vino rosso 1 cm di stecca di cannella 10 chiodi di garofano scorza di 1/2 limone scorza di 1/2 arancia 150 gr di zucchero , Versare il vino in una pentola ofagar di di chio i ere iung agg dei no, la cannella, la scorza o. cher zuc lo e umi agr due per Mescolare a fuoco lento glie scio a fino uti, min 10 a circ re lo zucchero. Spegnere, filtrare con un coli o. cald no e servire ben Provincia di Genova - Assessorato Ambiente il cumino Cuminum cyminum Famiglia: Umbelliferae Alto fra i 20 e 50 cm, il cumino di Malta è un’erba dal fusto eretto e glabro. Le foglie sono completamente divise in lacinie filiformi (1 mm di spessore) lunghe dai 2 ai 5 cm. I fiori sono disposti su ombrelle a 3-5 raggi, e circondati da brattee e bratteole (foglie modificate) lineari; sono piccoli e dai petali bianchi o più o meno arrossati. Il frutto, ellissoidale o clavato, lungo 4-5 mm, porta all’apice denti di 1-2 mm persistenti, e nel dorso mostra 5 coste setolose. Il cumino, originario di un’area che va dall’Egitto alla penisola arabica e all’Asia centrale, si è poi diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo: gradisce un ambiente soleggiato e un terreno sabbioso, in genere calcareo, piuttosto arido. Viene chiamato cumino di Malta perché in quest’isola si è spontaneizzato da colture preesistenti. In Italia si confonde spesso il cumino con il kummel (Carum carvi) o cumino dei prati. Questo, noto anche come cumino tedesco, si trova facilmente in montagna a un’altitudine intorno ai 1000 m. È una pianta indigena delle Alpi e dell’Europa centrale, dove viene anche coltivato. Come per il suo omonimo orientale, l’impiego del cumino dei prati è prevalemtemente gastronomico e liquoristico. È uno degli ingredienti principali del liquore chiamato appunto Kummel. In Germania ed Olanda viene mescolato alle farine nella preparazione di pani, focacce e dolci. Il cumino viene di solito inserito nella preparazione del garam masala, una mistura di spezie presente in quasi tutti i piatti indiani. Ne esistono innumerevoli varianti, regionali e familiari. Il garam masala si aggiunge in genere come ultimo ingrediente, a fine cottura, in modo da esaltarne i profumi e mantenerne inalterate le proprietà digestive. Il cumino ha proprietà digestive, antispasmodiche e sudorifere. Un infuso preparato con una decina di grammi di cumino in circa mezzo litro d’acqua aiuta l’eliminazione dei gas addominali. Masticato, combatte l’alitosi. grande considerazione; semi di cumino sono stati infatti ritrovati all’interno delle piramidi. Furono proprio gli Egiziani ad introdurlo a Roma, dove i patrizi ricorrevano ai suoi semi digestivi per concludere le libagioni. In Europa la sua popolarità gastronomica continuò fino a tutto il Medioevo. ACQUA AL CUMINO 2 cucchiai di semi di cumino 1 litro di acqua 1 peperoncino rosso 5/6 foglie fresche di menta il succo di 1/2 limone 1 pizzico di sale 1 pizzico di zucchero Portare l’acqua ad ebollizione. Nel frattempo tostare i semi di cumino in padella, facendo attenzione a che prendano colore senza bruciare, poi tritarli grossolanamente. Aggiungere all’acqua il cumino, il peperoncino, la menta il sale e lo zucchero. Coprire e lasciare sobbollire dolcemente per 15 minuti. Versare il succo di limone e togliere dal fuoco. Far raffreddare e filtrare. Fredda, in estate, durante i pasti, è una gradevole alternativa a succhi di frutta o bevande alcoliche. Provincia di Genova - Assessorato Ambiente Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. Per la cucina medio-orientale, il cumino è la spezia per antonomasia. Viene ampiamente adoperato nella cucina greca, e la fa da padrone in quella araba e turca; da noi lo si incontra in molti piatti siciliani. Originariamente il cumino era presente nell’area centroasiatica, in Arabia e nell’alta valle del Nilo, dove era tenuto in la curcuma Curcuma longa Famiglia: Zingiberaceae La curcuma è una pianta erbacea, dal rizoma dotato di tubercoli gialli dalla forma ovoidale o allungata. Le foglie, lunghe fino a un metro, lanceolate e verdi scuro, dalle nervature evidenti, sono molto decorative. L’infiorescenza è una spiga densa, dove i fiori sono circondati e protet- ti da brattee (foglie modificate) di colore rosa e verdi che assomigliano ai petali di un fiore; la corolla è di colore giallo intenso e tubulare, divisa in tre lobi quasi uguali. Il frutto è una capsula divisa all’interno in tre settori, con numerosi piccoli semi. La curcuma è originaria dell’Asia meridionale; è coltivata in tutte le regioni tropicali, specialmente in India, Indocina, Indonesia e Australia. Dalla curcuma si ottiene una polvere giallo vivo dal forte potere colorante: un tempo usata in tintoria, oggi rientra soprattutto nella preparazione di carte speciali da laboratorio di chimica. Le ragazze tamil, l’etnia presente nel sud dell’India ed in Sri Lanka, sono solite tingersi i capelli con la curcuma nel giorno del loro matrimonio. Fra i mille colori di un mercato indiano, il giallo vivace ed intenso della curcuma è sicuramente un ricordo che resterà impresso negli occhi del viaggiatore. La radice della curcuma viene essiccata, ridotta in polvere e usata come condimento, da sola o in associazione ad altre spezie, come nella preparazione del curry, il tipico condimento della cucina indiana. La curcuma ha un aroma molto delicato che la rende adatta ad essere utilizzata come sostanza di taglio nello zafferano. AGNELLO AL CURRY Tagliare l’agnello a cubetti di 3x3 cm, Tritare le cipolle, l’aglio e lo zenzero. Scaldare l’olio in un tegame d’acciaio e rosolare la carne, toglierla e soffriggere il trito di erbe. Rimettere la carne nel tegame, aggiungere l’aceto e le spezie (tranne il garam masala) bagnare con il brodo, mescolare e coprire. Lasciar cuocere a fuoco lento per 30 minuti. aggiungere il garam masala. Ultimare la cottura mescolando per 15 minuti a pentola scoperta per far evaporare il liquido in eccesso. Servire accompagnado il curry con riso basmati bollito e verdure bollite. Le spezie di questa ricetta (escluso il garam masala) possono essere sostituite da 2 cucchiai di curry in polvere; in tal caso per la quantità di peperoncino si dovrà tenere conto della qualità di curry scelto. Provincia di Genova - Assessorato Ambiente Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. 1 kg di polpa d’agnello disssata 3 cipolle rosse 2 spicchi di aglio 1 pezzo di radice fresca di zenzero 2 di cucchiaini di curcuma in polvere 1 di cucchiaino di semi di coriandolo in polvere 1 di cucchiaino di semi di cumino in polvere 1 di cucchiaino di semi di cardamomo macinati 1 di cucchiaino di peperoncino in polvere 2 di cucchiaini di garam masala 3 di cucchiai di aceto di vino 1/2 litro di brodo vegetale olio e sale q.b. il dragoncello Artemisia dracunculus Famiglia: Compositae Piccolo cespuglio, perenne e legnoso alla base, glabro, il dragoncello è alto poco più di 1 m, e mostra rami eretti, poco ramificati. Le foglie inferiori sono suddivise in tre parti, mentre quelle del resto del fusto sono intere, lucide, di forma lineare o lanceolata, lunghe 20-80 mm e larghe 2-10 mm. I fiori sono capolini del diametro di 2-3 mm, biancastri con sfumature di verde o di giallo, penduli, riuniti in pannocchie fogliose, che ricordano quelle dell’assenzio. Il dragoncello è originario delle steppe della Russia meridionale e dell’Asia Centrale. La sua diffusione per coltivazione è antica ed in Italia ha riguardato specialmente le regioni della pianura padano-veneta, alle pendici delle Alpi. Dragoncello deriva dal latino dracontium, e a sua volta dal greco drakon, drago, serpente. Si crede che questa pianta sia stata chiamata Artemisia in onore di Diana Artemide; da ciò le derivava la proprietà di ristabilire il flusso mestruale; dracunculus significa ‘piccolo drago’ forse perché la forma del cespuglio ricorda questo mitico animale. Il dragoncello, detto anche estragone, si è diffuso in Europa nel Medioevo, quando veniva usato nei casi di inappetenza e nelle digestioni difficili; era peraltro considerato un valido alleato nel combattere il singhiozzo. In seguito le sue proprietà terapeutiche sono state dimenticate ed oggi deve la sua popolarità esclusivamente all’uso culinario. Fa parte del bouquet gastronomico francese detto “fines herbes”. Dalle foglie di dragoncello si estrae un olio essenziale, il mirtenolo, utilizzato in medicina per le sue proprietà antisettiche, balsamiche, espettoranti, astringenti e diuretiche. Per uso interno si inserisce in tisane e decotti contro la tosse e come digestivo. L’aggiunta di una manciata di foglie di dragoncello all’acqua della vasca da bagno ha un effetto riequilibratore del sistema nervoso ed emolliente per pelli delicate e mucose irritate. 100 gr di burro pepe nero q.b. sale q.b. 1 pugno di dragoncello Lessare per qualche minuto in acqua salata il dragoncello e tritarlo finemente. Amalgamare il dragoncello al burro ammorbidito Unire del pepe nero macinato fresco. Provincia di Genova - Assessorato Ambiente Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. BURRO AL DRAGONCELLO l’erba luisa Lippia triphylla Famiglia: Verbenaceae L’erba luisa, detta anche cedrina, è un arbusto dall’aspetto esile e ramificato, con fusto e rami chiari, che può crescere fino ad oltre un metro. Le foglie sono strette e allungate con margine intero o lievemente ondulato, di un colore verde pallido; sono in genere semplici oppure talvolta riunite a gruppi di 3. I fiori, molto piccoli e bianchi con sfumature rosate o rosse, sono disposti in spighe allungate all’apice dei rametti o all’ascella delle foglie. L’erba luisa è, in Liguria come nel resto d’Italia, pianta esclusivamente coltivata. Proviene dall’America del sud: Argentina, Cile, Uruguay. Importata in Europa dagli Spagnoli alla fine del Settecento, l’erba luisa si è rapidamente diffusa in orti e giardini dell’area mediterranea. Ama i terreni ben drenati e piuttosto soleggiati. La medicina popolare attribuisce all’erba luisa principalmente proprietà aperitive e digestive. Si utilizzano le foglie, da raccogliere tra giugno e settembre, nella preparazione di tisane che esercitano inoltre una lieve azione antinevralgica, antispasmodica e sedativa. LATTE DOLCE FRITTO ALL’ERBA LUISA Portare ad ebollizione il latte con lo zucchero, il limone e l’erba luisa. Aggiungere la farina continuando a mescolare e lasciare cuocere per 20 minuti circa. Aggiungere le uova, amalgamando bene. Ungere una teglia dal bordo basso, versarvi la crema in modo che raggiunga lo spessore di circa 4 cm. Lasciare raffreddare, tagliare a losanghe, passarle nell’albume montato e pane grattugiato. Friggere in olio extravergine a 160°, cospargere di zucchero a velo e servirlo caldo. Guarnire con foglie fresche di erba luisa. L’erba luisa trova impiego in cucina. Mettendo un rametto di foglie di erba luisa in una bottiglia di olio, lo si trasforma in un condimento dal gusto delicato e dal prufumo lievemente limonoso. L’aceto di vino bianco aromatizzato con foglie di erba luisa diviene, soprattutto in estate, un originale accompagnamento per fresche macedonie di frutta e può sostituire l’aceto balsamico sulle fragole o il porto sul melone.. M’era più dolce starmene in cucina tra le stoviglie a vividi colori: tu tacevi, tacevo, Signorina: godevo quel silenzio e quegli odori tanto tanto per me consolatori, di basilico d’aglio di cedrina … da LA SIGNORINA FELICITA Guido Cozzano Provincia di Genova - Assessorato Ambiente Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. 1 litro di latte la buccia grattata di 1 limone 250 gr di farina 00 250 gr di zucchero semolato 4 albumi d’uovo 10/15 foglie di erba luisa tritata pangrattato q.b. olio q.b l’eucalipto Eucalyptus globulus Famiglia: Myrtaceae Questa specie di eucalipto è un albero alto circa 30 m (fino a 65 m nel suo ambiente originario), con tronco eretto e chioma rada, prima conica poi arrotondata. La corteccia si sfalda in lunghi nastri grigi a spirale, sotto i quali è visibile il tessuto più giovane, di colore giallognolo o rosato. Le foglie sono sempreverdi e di due tipi: le giovani opposte, ovate, sessili, grigio-azzur- re; le adulte alterne, falciformi, picciolate, verdi. I fiori, solitari o a coppie, larghi 2-3 cm, in boccio hanno la forma di una trottola, ma quando si aprono fanno apparire un vistoso ciuffo di stami bianchi (o rossastri), il cui profumo intenso richiama gli insetti impollinatori. I frutti sono capsule legnose, grigiastre, allungate, ricche di oli essenziali. Tutti gli eucalipti provengono dall’Australia, dove si contano oltre 800 specie. Questo eucalipto proviene dalla zona sud-orientale e dalla Tasmania, e fu introdotto in Europa con qualche esemplare alla fine del ‘700, e poi in modo massiccio dalla metà dell’800 in poi, a scopi selvicolturali. È l’eucalipto più resistente alla siccità ed alla salinità dei terreni. Viene impiegato anche per alberature stradali, frangivento e rimboschimenti (soprattutto nelle bonifiche di aree paludose). Dalle foglie della pianta adulta, raccolte in giugno, si ottiene un olio essenziale che contiene eucaliptolo (o cineolo): dall’olio si ricavano prodotti che hanno funzioni calmanti della tosse, antisettiche, balsamiche e antiparassitarie. era dovuta soltanto al notevolissimo assorbimento dell’acqua da parte dell’eucalipto: la bonifica prodotta da queste coltivazioni ebbe dunque come effetto collaterale, non gradito, l’inaridimento dei terreni. In Liguria, dove non esistono in pratica aree paludose, i primi eucalipti andarono ad abbellire i parchi di molte ville nobiliari, divenendo una sorta di status symbol: se ne ha notizia ad esempio per la villa Durazzo Pallavicini a Pegli. Il miele di eucalipto è fortemente aromatico: il suo profumo intenso ed il suo gusto amarognolo lo rendono inadatto ad un uso dolciario, ma è invece perfetto per i classici usi invernali antiraffreddore. SUFFUMIGI ALL’EUCALIPTO Aggiungere 50 gr di foglie di eucalipto ad una pentola d’acqua calda, coprire e lasciar riposare 10 minuti. Aspirare il vapore coprendovi la testa con un asciugamano. Provincia di Genova - Assessorato Ambiente Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. Pensando all’eucalipto la prima cosa che viene in mente è il suo profumo e la nota azione balsamica delle sue foglie. Per questo motivo era diffusa la credenza che tutta la pianta fosse in grado di debellare la malaria che imperversava nelle pianure paludose del Centro e del Meridione d’Italia. Questo favorì l’avvio di piantagioni intensive, inizialmente nell’Agro Pontino e in Maremma ed in seguito su tutto il territorio nazionale. Solo più tardi si capì che la regressione della malattia il finocchio selvatico Foeniculum vulgare Famiglia: Umbelliferae volta riunite in ombrelle più grosse. I piccoli frutti secchi (acheni), ben conosciuti, sono di colore brunonerastro, con caratteristiche scanalature. Tutta la pianta emana un odore caratteristico. Allo stato selvatico il finocchio vive in luoghi sassosi, assolati e aridi, su rupi e vecchi muri dalla regione mediterranea fino al piano submontano. La varietà coltivata ha la parte basale delle foglie ingrossata e di consistenza carnosa, ma è meno profumata. FARSI INFINOCCHIARE, nel senso di “farsi imbrogliare”. Questo modo di dire deriva proprio dall’uso che commercianti senza scrupoli ne facevano per imbrogliare i clienti. L’intenso profumo del finocchio, infatti, aiutava a mascherare l’odore sgradevole di tutti quegli alimenti che, non potendo essere affumicati o messi in salamoia, si erano già deteriorati. Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. Nota pianta erbacea, il finocchio selvatico è alto al massimo un metro. Le foglie sono profondamente e finemente suddivise in lamine lineari e sottili; i fiori piccoli, gialli, sono riuniti in ombrellette a loro Nella cucina inglese il finocchio era già in uso prima della conquista dei Normanni (XI secolo) e in tutta Europa accompagnava tradizionalmente il pesce, sia fresco, sia conservato sotto sale. E il pesce era talmente associato al finocchio che pare che i poveri nei giorni di digiuno mangiassero solamente finocchio, mentre i ricchi mangiavano il finocchio col pesce. La radice di finocchio era uno degli aromi del sack, una bevanda a base di miele diluito con acqua, diffusissima durante la metà del secolo scorso. A Firenze e in buona parte della Toscana si produce un salume caratteristico, chiamato appunto finocchiona, aromatizzato con semi di finocchio. In India a volte il finocchio si usa nella ricetta dei curry, ma più spesso viene sfruttato come digestivo. In tutti i Paesi dell’area medio-orientale vi è l’uso di masticarlo dopo i pasti per profumare l’alito. LIQUORE DIGESTIVO La radice ha proprietà aperitive ed aiuta ad eliminare i gas intestinali. I semi, anch’essi aperitivi e digestivi, hanno inoltre proprietà toniche generali, blandamente antidolorifiche, lassative. È noto il suo uso per aiutare la montata lattea durante l’allattamento. 1/2 litro di alcool a 95° 70 gr di semi di finocchio 250 gr di zucchero 1 litro di acqua. Mettere in una vaso a tenuta ermetica i semi di finocchio e l’alcool, lasciar macerare il luogo fresco e buio per circa 20 giorni. Filtrare l’infuso, Preparare uno sciroppo facendo sciogliere sul fuoco lo zucchero nell’acqua. Una volta raffreddato unirlo all’alcool filtrato. Imbottigliare e far riposare almeno due mesi. Provincia di Genova - Assessorato Ambiente il karkadé Hibiscus sabdariffa Famiglia: Malvaceae de. I fiori sono grandi e numerosi, con 5 petali rossi (ma ne esistono varietà di altri colori, e quelle coltivate hanno più petali) e gli stami saldati a formare la tipica colonnina bianco-giallastra delle Malvacee. Il karkadé è specie originaria dell’Africa tropicale (probabilmente dell’area etiopica), ma diffusa oggi in una larga fascia del mondo, comprendente l’India, lo Sri Lanka, le Filippine, il Messico e l’Australia; ama climi caldi con estati piovose e inverni miti e asciutti. Il karkadé è una bevanda rinfrescante e dissetante, dal sapore acidulo; non contiene sostanze eccitanti come il vero té ed il caffè. Il karkadé è di recente tornato di moda nelle diete salutiste, per l’alto contenuto di antiossidanti come la vitamina C (il doppio rispetto a una aranciata), e per le proprietà diuretiche e digestive. Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. Il karkadé, o carcadé, deriva da diverse specie di ibisco, ma in particolare dalla specie Hibiscus sabdariffa, che ha fusto arbustivo alto 2-3 m, con ramificazioni legnose e resistenti. Le foglie hanno lamina divisa in 3 lobi, sono verde intenso e ispi- Dall’infuso dei fiori essiccati di una varietà di ibisco si prepara la bevanda omonima, simile al té. L’abitudine a sorseggiare questa colorata bibita è molto diffusa soprattutto nei Paesi caldi. In Europa questa bevanda è arrivata nel XVIII secolo, al seguito dei funzionari statali che rientravano dalle colonie. In Italia, la fama del karkadè ha raggiunto il suo apice durante il Fascismo. L’autarchia vietava il consumo di prodot- ti stranieri, ma dato che l’Eritrea, dove veniva coltivato l’Hibiscus sabdariffa, era una colonia italiana, il karkadè era considerato una merce non di importazione ed il suo consumo era ammesso dalle leggi protezionistiche vigenti. Curiosamente, negli Stati Uniti del proibizionismo (anni ‘20-30), l’infuso di karkadè veniva servito, grazie al suo colore, in sostituzione del l’illegale vino. RISOTTO ALLE FRAGOLE In molti dei Paesi in cui si produce è una bevanda legata alle festività. Nei Paesi caldi e di tradizione cristiana è la bevanda di Natale. In quelli orientali la si offre e la si condivide nelle festività più solenni. 400 gr di riso 400 gr di fragole mature 50 gr di burro 1 cipolla bianca 1 l di brodo vegetale 10 gr di karkadè 1 bicchiere di vino bianco 1 bicchiere di panna fresca sale q.b. Lavare le fragole, tagliarle a pezzi e metterle in una terrina con 1 bicchiere di vino bianco; lasciare riposare in frigorifero per almeno 3 ore. Scolare le fragole e conservare il loro vino. Preparare 1 litro di brodo vegetale e aggiungervi il karkadè. Far imbiondire in un tegame la cipolla tagliata e il burro, aggiungere il riso e tostarlo a fiamma vivace girandolo perché non si attacchi. Versare il vino e lasciarlo evaporare. Coprire il riso con il brodo e continuare ad aggiungerlo un mestolo alla volta. Quando il riso è quasi cotto, aggiungere le fragole e la panna mescolando delicatamente per mantecarlo. Provincia di Genova - Assessorato Ambiente la lavanda Lavandula angustifolia Famiglia: Labiatae piuttosto chiaro. Su spighe fiorali allungate (3-8 cm), lungamente peduncolate, si trovano diversi gruppi di 6-12 fiori dalla corolla violacea (fra l’azzurro e il porpora), di circa 1 cm, sovrapposti e distanziati a mano a mano che la spiga cresce. Questa specie di lavanda si trova in luoghi assolati, pietrosi (è un rappresentante delle macchie e delle garighe della Liguria, soprattutto occidentale), ma può giungere in condizioni di buona esposizione anche a quote elevate (1800 m). La sua diffusione geografica è limitata al bacino mediterraneo occidentale. Il nome di “lavanda” deriva, come è facile immaginare, dal latino lavare, che ha lo stesso significato in italiano. La lavanda veniva infatti usata dai lavandai per profumare la biancheria, ed era anche adoperata nelle abluzioni. Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. La lavanda è cespuglio di altezza variabile da qualche dcimertro a oltre un m, fatto di numerosi fusti eretti e sottili, legnosi alla base e di consistenza erbacea in alto, di colore verde grigiastro e pubescenti. Foglie lineari, lunghe da 2 a 4 cm, in genere revolute sul bordo, verde MARMELLATA DI MELE AL PROFUMO DI LAVANDA 1,5 kg di mele 600 gr di zucchero 1 limone 10 cime fiorite di lavanda La lavanda, ricca di oli essenziali, viene utilizzata soprattutto per usi esterni: è un buon disinfettante della pelle e delle mucose orali, favorisce la cicatrizzazione di piaghe ed escoriazioni, possiede anche proprietà antireumatiche. L’uso interno, meno diffuso, riguarda essenzialmente le affezioni dell’apparato respiratorio. Sbucciare e tagliare le mele, privandole del torsolo. Mettere le mele in una pentola di acciaio inossidabile, aggiungere 1 bicchiere di acqua. Tagliare il limone in 4 pezzi e metterlo con le cime di lavanda, in un quadrato di garza o di cotone leggero, chiudere con uno spago e aggiungerlo alla mele. Coprire la pentola e cuocere a fuoco basso le mele fino ad ottenere una purea. Spremere e quindi togliere il sacchetto aromatico. Aggiungere lo zucchero e far prendere bollore mescolando continuamente per sciogliere ed amalgamare lo zucchero. Bollire per 30 minuti. Invasare la marmellata quando è ancora calda, tappare i vasetti e rovesciarli per migliorarne la tenuta stagna. Nel linguaggio dei fiori, la lavanda significa “diffidenza”. Ciò si spiega con la frequente presenza di un gran numero di api e cala- broni in prossimità della lavanda durante la fioritura e della conseguente cautela con la quale è meglio avvicinarsi alla pianta. Un sacchetto di fiori di lavanda al collo era considerato un portafortuna: propiziava la purificazione, la felicità, l’amore, la pace. Provincia di Genova - Assessorato Ambiente la maggiorana Origanum majorana Famiglia: Labiatae Basso cespuglio (da 20 a raramente 60 cm), la maggiorana ha fusto pubescente (con peluria fine) di colore grigio-bruno. Le foglie, verde grigio, sono ovate oppure ovato-lanceolate, in genere di 1-2 cm, provviste di picciuolo, con lamina a base ottusa o arrotondata. I fiori hanno una corolla bianca o rosea, di dimensioni molto piccole, e sono raggruppati in spighe molto dense ovate, in cima a peduncoli fiorali. Sia le foglie che le cime fiorali sono intensamente aromatiche. In Italia la maggiorana è sempre coltivata, e raramente tende a spontaneizzarsi. Il suo habitat originario riguarda le zone subdesertiche di un areale piuttosto esteso, che va dal Nordafrica alla regione dell’Indo. I Greci ritenevano la maggiorana un dono di Afrodite e quindi la associavano all’idea di felicità coniugale: con la maggiorana si intrecciavano corone poste sul capo degli sposi durante le cerimonie nuziali, come augurio. Pare che gli Egizi conoscessero già più di settecento medicamenti di natura sia vegetale che animale: tra le piante c’era anche la maggiorana. È tuttora usata dagli abitanti del Nord Africa contro la dissenteria. Gli antichi Greci ne facevano uso sia per curare le malattie che per preparare profumi e cosmetici. Molto in voga all’epoca romana erano le Terme, dove si potevano fare bagni e saune nelle cui acque erano versati profumi e vini speziati. Dopo i bagni, che inaridivano un po’ la pelle, ci si trasferiva negli “Unctoria”, dove si facevano frizioni e massaggi con oli profumati e unguen- ti a base di erbe aromatiche. A Pompei, in un affresco della Casa dei Vetii, viene raffigurata la preparazione degli oli cosmetici. Uno dei più noti unguenti dell’antichità era il “Reale unguentum”, già apprezzato sia dai Babilonesi che dagli Egizi. Nella composizione di questo preparato entrava anche la maggiorana. Dal Medioevo la maggiorana fu sempre coltivata negli orti europei; pare che le sue foglie strofinate sui mobili e sui pavimenti di legno li rendano particolarmente lucenti; foglie e fiori racchiusi in sacchetti di cotone profumano delicatamente la biancheria. FUSILLI AL PESTO DI MAGGIORANA E SALVIA Mettere a bollire l’acqua per la pasta e nel frattempo riunire gli ingredienti in una zuppiera, mettendo da parte 1 cucchiaino di pinoli e l’olio. Con il mixer a immersione frullare il tutto, aggiungendo 2 cucchiai di acqua calda per amalgamare meglio gli ingredienti. Incorporare l’olio a filo, mescolando fino a completo assorbimento. Al momento di servire la pasta, guarnire con i pinoli rimasti. Provincia di Genova - Assessorato Ambiente Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. 300 gr di fusilli 1 mazzetto di maggiorana 1 mazzetto di salvia 40 gr di pinoli, 1 spicchio d’aglio 50 gr di grana grattugiato 50 gr di pecorino sardo grattugiato 1 bicchiere di olio extravergine la melissa Melissa officinalis Famiglia: Labiatae nano un caratteristico odore dolciastro. I fiori, dalla struttura bilabiata tipica di questa famiglia, hanno una corolla di un rosa più o meno sbiadito, e compaiono all’ascella delle foglie. I frutti sono acheni (frutti secchi) piccoli, duri e quasi neri. La melissa cresce spontanea dalla zona mediterranea a quella montana, nei prati non aridi, nei boschi, nei luoghi freschi ed ombrosi di buona parte dell’Europa centro-meridionale e dell’Asia occidentale. Il nome greco di MÈLISSA è sinonimo di “ape”, e deriva a sua volta da MÈLI, cioè “miele”, a sottolineare la vocazione mellifera che caratterizza questa profumata erba officinale. Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. La melissa è una pianta erbacea a fusto alto fino a 30 cm, si presenta in genere in gruppi di individui numerosi e compatti. Le foglie picciolate, ovali, rugose, dal margine a denti arrotondati, sono più grandi alla base del fusto e più piccole nella parte superiore; se strofinate, ema- Ecco una pianta il cui uso è antico e diffuso in tutta l’area mediterranea. I Greci, nel darle il nome, evidenziarono una delle caratteristiche che la rende ancora oggi una preziosa alleata degli apicoltori: il suo delicato ma persistente profumo ed i suoi fiorellini bianco rosati sono fra i prediletti dalle api; non è raro trovare questa piantina vicino agli alveari. Ma furono gli Arabi a scoprirne le virtù terapeutiche ed a diffonderle sostenendo che la melissa “ha la meravigliosa proprie- Uno degli impieghi più efficaci della melissa riguarda disturbi della digestione, grazie ad un’azione calmante, antispasmodica e carminativa, che ne fanno una preziosa alleata in caso di coliche. TISANA RILASSANTE Aggiungere ad una tazza di acqua bollente 1 cucchiaino di foglie secche di melissa. Lasciar riposare per 15 minuti. Filtrare e dolcificare con miele. tà di rallegrare e confortare il cuore”, riferendosi alla sua azione calmante e rilassante. Nei secoli, speziali e monaci prima e medici dopo, hanno sfruttato queste caratteristiche nella cura di stati ansiosi, disturbi del sonno, astenie. Il famoso liquore francese Bénédictine, caratterizzato dalla presenza delle melissa fra i suoi ingredienti, fu in realtà creato da un monaco benedettino italiano come digestivo. INSALATA DI FUNGHI E MELISSA 300 gr di champignon 300 gr di insalata valeriana 2 mele 1 peperone giallo piccolo 1 scalogno 3 cucchiai di melissa tritata 1 cuore di sedano 1 carota 50 gr di formaggio grana a scaglie 1 scalogno olio e aceto q.b. Preparare una vinaigrette con 3 parti di olio, 1 parte di aceto, lo scalogno tritato finemente, 1 cucchiaio di melissa. Mescolare la valeriana con la melissa rimasta. Tagliare le mele a dadini, i funghi e il sedano a fettine sottili, il peperone e la carota a julienne. Condire con la vinagrette, guarnire con le scaglie di grana. Provincia di Genova - Assessorato Ambiente il mirto Myrtus communis Famiglia: Myrtaceae Arbusto sempreverde, il mirto ha un portamento frondoso e compatto; possiede foglie semplici, dure, dalla pagina superiore lucida e riflettente, di forma lanceolata, con l’apice a volte pungente. I fiori sono bianchi a 5 petali, con molti stami. I frutti sono bacche di circa 1 cm, dapprima verdi poi nere dalle sfumature violacee, che maturano alla fine dell’autunno. Tutta la pianta emana un odore caratteristico, resinoso, simile a quello dell’eucalipto e della canfora. Tipico rappresentante della macchia mediterranea, il mirto si trova anche nel sottobosco delle pinete, delle leccete ed anche di alcuni castagneti, specialmente di quelli fortemente diradati dal passaggio del fuoco. Il mirto è una pianta dai molti usi. I tannini estratti dalle sue foglie vengono impiegati nella concia delle pelli che diventano perciò particolarmente morbide. Il suo legno compatto e odoroso viene utilizzato per la realizzazione di preziosi lavori al tornio.. L’olio estratto dalle bacche di mirto viene usato in molti preparati di profumeria e, fin dal Medioevo, i profumieri ottengono dai suoi fiori un’essenza profumatissima chiamata “acqua degli angeli”. Le sue sue bacche nere trovavano impiego anche come colorante per tessuti e come inchiostro. LIQUORE AL MIRTO 1 litro di alcool a 90° 400 gr di bacche di mirto 500 gr di zucchero 1 litro di acqua Raccogliere le bacche in dicembre, metterle in infusione in alcool in un vaso ben chiuso e far riposare per 40 giorni in un luogo buio. Preparare uno sciroppo sciogliendo, a fuoco basso, acqua e zucchero e lasciarlo raffreddare completamente. Filtrare l’alcool e unirlo allo sciroppo. Imbottigliare il liquore che può essere bevuto anche subito. delle donne sposate per mantenere vivi il desiderio e la fantasia nei rapporti amorosi. Come l’altro importante e diffuso sempreverde, l’alloro, anche il mirto cominciò ad accompagnare le premiazioni degli atleti e ad incoronare i guerrieri al ritorno vittorioso dalla battaglia. Ancora in tempi più recenti la fama dei suoi poteri magici ed esoterici lo hanno reso protagonista di credenze e tradizioni popolari, diffuse in tutta Europa e legate alla longevità. Dalle foglie si estrae un olio essenziale, il mirtenolo, utilizzato in medicina per le sue proprietà antisettiche, balsamiche, espettoranti, astringenti e diuretiche. Per uso interno si inserisce in tisane e decotti contro la tosse e come digestivo. L’aggiunta di una manciata di foglie all’acqua del bagno ha un duplice effetto: riequilibratore del sistema nervoso ed emolliente per pelli delicati e mucose irritate. Provincia di Genova - Assessorato Ambiente Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. Il mirto, probabilmente anche per il suo inebriante profumo, è una delle piante simboleggianti l’amore nella sua accezione più pura; nella cultura dell’antica Grecia era quindi dedicato a Venere, come la rosa. La sua presenza caratterizzava le cerimonie dedicate alla dea, durante le quali veniva bruciato come un incenso. I ramoscelli di mirto erano talismani: adornavano la fronte e la casa delle giovani spose a testimonianza e garanzia della loro verginità; cingevano polsi e caviglie la nepetella Calamintha nepeta Famiglia: Labiatae Le infiorescenze sono poste in cima a fusti eretti, portanti da 10 a 20 fiori piuttosti piccoli; le corolle a due labbra sono bianche, rosee o lilacine. La pianta ha odore delicato e gradevole. La nepetella è frequente nei luoghi selvatici, erbosi, assolati, ai margini di sentieri e coltivazioni, dall’orizzonte mediterraneo a quello submontano. Si trova in tutta l’area mediterranea. Il nome di questa specie deriva dal latino NEPETA, derivato a sua volta da NEPA, che significa scorpione. Viene detta così perché si riteneva in grado di guarire dal morso degli scorpioni. Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. La nepetella è una pianta erbacea con numerosi fusti di 40-80 cm, in genere ramificati e tendenti verso l’alto. Le foglie ovate o romboidali, crenate e arrotondate all’apice, di un verde chiaro con sfumature grige, sono ricoperte di fine peluria. L’antica medicina riteneva la nepetella capace di guarire dai morsi dei serpenti e di tenerli lontani dalle case. Veniva considerata efficacissima contro le itterizie (trabocchi di fiele) e dotata di proprietà quasi magiche: in un vecchio testo si legge che “...le fronde pestate e applicate sulla natura delle donne con lana provocavano i mestrui e ammazzano le creature”. Godendo di una supposta fama afrodisiaca, veniva usata per aromatizzare un vino che si riteneva avesse tali proprietà. La medicina moderna riconosce agli oli essenziali della nepetella solo un discreto potere eccitante sul sistema nervoso, tanto che abbondanti bevute di infusi possono provocare tachicardia. Talvolta, in cosmesi, la nepetella viene impiegata unitamente ad altre erbe aromatiche, per preparare bagni tonificanti. Il suo aroma intenso ricorda quello della menta a cui è spesso, erroneamente, assimilata (nel centro Italia è infatti nota con il nome di “mentuccia”). Sono invece numerose le specie di mente selvatiche (o mentastri) presenti nella nostra flora spontanea: ve ne sono a FUNGHI TRIFOLATI 1 kg di funghi 4 spicchi d’aglio 20 foglie (2 rametti) di nepetella sale e pepe q.b. olio extravergine di oliva q.b. I funghi non devono essere lavati. Per pulirli strofinare la cappella del fungo con una spugna umida. Staccare il gambo e rimuovere con un coltellino la parte basale più terrosa. Tagliare cappelle e gambi a dadi di 2x2 cm. Mettere l’olio in una padella capiente, aggiungere l’aglio, poi i funghi e la nepetella. Lasciare cuocere a fiamma bassa per 15/20 minuti. Salare e servire ben caldi. foglia rotonda (Mentha rotundifolia), a foglia lunga (Mentha longifolia), con l’infiorescenza a spiga (Mentha spicata), e poi ancora la menta acquatica, la menta poleggio, eccetera. Sono tutte specie di ambienti molto umidi, a differenza della nepetella. La menta piperita invece è solo specie coltivata, prodotto di ibridazione. Provincia di Genova - Assessorato Ambiente la noce moscata Myristica fragrans Famiglia: Myristicaceae maschili separate da quelle femminili. Il frutto, a forma di pera, contiene un unico seme, la noce moscata appunto, circondato da un arillo (una specie di guscio) sfrangiato, dalla tonalità tra il beige e il rosa intenso, messo in commercio sotto il nome di macis. La noce moscata è una specie coltivata nelle zone tropicali, originaria delle isole Molucche (Indonesia). Ama terreni ben drenati, con una piovosità alta e distribuita per tutto l’anno, e soffre temperature più basse di 27°C. La spezia nota come macis altro non è che la membrana protettiva in cui è contenuta la noce moscata. Può essere venduta a parte o insieme alla stessa noce, e contiene gli stessi principi e virtù. Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. La noce moscata è un albero sempreverde di 8-10 m di altezza (ma può raggiungere i 15 m), dal legno odoroso. Le foglie sono semplici, ovate, di consistenza cuoiosa. I fiori sono di colore giallo-pallido dai riflessi cerosi, molto profumati sono riuniti in infiorescenze, quelle La presenza di questo piccolo “uovo” legnoso e scuro nella cucina italiana è così consueta da far considerare la noce moscata come un ingrediente dalle tradizioni antiche. In realtà, escludendone le piccole e preziosissime quantità importate dalle carovane Arabe a partire dal VI secolo, il suo ingresso fra le spezie commerciate sul Vecchio Continente risale solo al XVI secolo, con la scoperta delle rotte orientali da parte dei Portoghesi. In Europa la noce moscata si diffuse rapidamente, facilitata dal profumo inebriante e dalla conseguente fama, in verità dubbia, di potente afrodisiaco. L’abitudine al consumo di noce moscata da parte dei marinai (spesso galeotti), sulle navi che trasportavano le spezie, al fine di vincere la stanchezza, stimolarono i medici del tempo a studiarne le caratteristiche: fu così scoperta la sua blanda azione allucinogena come pure il suo effetto euforizzante. Queste doti ne suggerirono inizialmente l’impiego in preparati contro svenimenti e malori. A fare la fortuna della spezia nella gastronomia di tutto il mondo fu invece il suo inconfondibile aroma. A differenza di molte spezie, la noce moscata non risente della cottura; questa prerogativa ha favorito il suo impiego in ogni portata del menu, dall’antipasto al dolce. ALEXANDER Potenzialmente tossico, il principio attivo contenuto nella noce moscata non trova un effettivo impiego in campo medico. Anzi, il suo stesso uso in gastronomia deve risultare sempre dosato in quantità modeste, per evitare forme di intossicazione, anche se non grave. 1/3 di panna liquida 1/3 di crema di cacao 1/3 di brandy noce moscata macinata q.b. Mettere 4-5 cubetti di ghiaccio nello shaker. Aggiungere gli altri ingredienti. Agitare bene per 6-8 secondi e versare nel bicchiere. Aggiungere un pizzico di noce moscata in superficie prima di servire. Nota Creato a Londra nei primi del ‘900, per il suo gusto morbido l’Alexander non è consigliato come aperitivo, ma è ideale per il dopo cena. Provincia di Genova - Assessorato Ambiente l’origano Origanum vulgare Famiglia: Labiatae L’origano è un’erba dal fusto eretto ascendente, arrossato e ramoso specialmente in alto, un poco peloso, alta fino mezzo metro; generalmente si presenta in gruppi di più individui. Le foglie sono picciolate dalla lamina lanceolata, di dimen- sioni variabili da 2 a 4 cm. Ha una infiorescenza densa fatta di fiori piccoli, raggruppati e circondati da brattee (foglie modificate) violacee; il singolo fiore ha calice dentato e corolla rosea. L’origano è comune su tutto il territorio italiano, dove in vive in luoghi sempre luminosi: radure, prati anche sassosi, margini di sentieri. È diffuso in buona parte dell’Europa e dell’Asia minore, dove vive dal livello del mare fino a quote anche piuttosto elevate (1700 metri). Parlare di origano, in Italia, evoca immagini di forni a legna, di fragranti dischi di pane coperti da pomodoro, mozzarella e quant’altro venga voglia di metterci sopra. Insomma: origano è uguale a pizza. Pochi sanno però che l’uso dell’origano per condire la pizza ha un’origine relativamente recente. Nelle prime ricette in cui si parla di pizza la spezia era la maggiorana, che fu soppiantata dall’origano solo a fine ‘800. Già nell’antico Egitto erano note le proprietà curative, disinfettanti e conservanti dell’origano. I Greci lo hanno chiamato oros ganos (gioia della montagna). Gli sposi si facevano incoronare con ghirlande di origano, mentre le stesse piantine venivano coltivate sulle tombe per favorire il riposo e la pace dei defunti. Secondo il filosofo Aristotele, le tartarughe che ingoiavano un serpente, mangiavano immediatamente dell’origano per combattere il veleno. In tutta l’area del Mediterraneo, dove cresce abbondante, l’origano viene impiegato in cucina, nelle preparazioni di insalate, torte, focacce e conserve salate. MELANZANE SOTT’OLIO Scegliere delle melanzane piccole dalla forma allungata, spuntarle, lavarle e tagliarle a rondelle spesse 1/2 cm. Cospargerle di sale grosso e farle spurgare della loro acqua in uno scolapasta per una notte. Sciacquare ed asciugare. Portare a ebollizione l’aceto ed il vino, tuffarvi le melanzane per non più di 23 minuti. Scolatele, stendetele ad asciugare su di un canovaccio pulito per almeno 12 ore. Invasate le melanzane spolverizzandole con l’origano, gli spicchi di aglio a fettine, e del peperoncino rosso a pezzetti. Ricopritele con l’olio facendo attenzione a non lasciare bolle d’aria. Chiudere ermeticamente ogni vaso, conservate in luogo fresco e buio aspettando circa un mese prima di assaggiarle. L’origano risulta come pianta officinale: si usa infatti per combattere i disturbi gastroenterici di origine nervosa perché è capace di stimolare la secrezione dei succhi gastrici. Provincia di Genova - Assessorato Ambiente Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. 1/2 kg di melanzane piccole 500 ml di aceto di vino bianco 500 ml di vino bianco sale olio di oliva origano 2 spicchi di aglio peperoncino rosso il patchouli Pogostemon cablin Famiglia: Labiatae Il patchouli è una pianta erbacea annuale, ramificata, alta da 50 a 80 cm, dal fusto porporino e provvisto di fine peluria. Le foglie sono opposte, verdi piuttosto chiaro, dalla forma ovata lunga 10 cm e larga 7-8, apice acuto e margine doppiamente crenato; hanno un profumo intenso e una consistenza molle; il picciolo è verde, finemente peloso, con sfumature rosse e scanalato. I piccoli fiori bianco-rosati, dalla struttura bilabiata tipica della famiglia, sono riuniti in infiorescenze allungate e piuttosto dense. Il patchouli è una pianta originaria della Malesia (penisola della Malacca), che la coltiva ampiamente; altre colture sono localizzate nelle Filippine, nelle Indie Occidentali e in Paraguay. Predilige terreni ricchi d’acqua e climi costantemente caldi. L’olio essenziale del patchouli si ottiene per distillazione dei germogli e delle sommità fiorite. Un altro processo di estrazione consiste nella fermentazione delle foglie. L’essenza di patchouli, famosa per il suo aroma inten- so e un po’ saponoso, ha trovato per molti decenni impiego in profumi cipriati, boisés e dal gusto orientaleggiante. Con l’evoluzione delle mode la sua presenza nella profumeria occidentale è stata soppiantata da nuove fragranze. Nella nostra industria alimentare l’essenza di patchouli non trova impieghi, contrariamente a quanto succede in Asia, dove col patchouli si aromatizzano caramelle e altri prodotti che aiutano a mascherare i problemi di alitosi. BAGNO RIEQUILIBRANTE In Giappone e in Malesia (sua zona di origine) si attribuiscono al patchouli proprietà che ne fanno un antidoto contro il veleno dei serpenti. Per la medicina ayurvedica il patchouli ha doti rigeneranti ed afrodisiache e la sua fragranza possiede una notevole energia tonificante che allontana la stanchezza ed il torpore fisico e spirituale. Fra le proprietà del patchouli vi è sicuramente quella cicatrizzante: per questo, in occidente, l’olio essenziale di patchouli rientra quasi esclusivamente nelle preparazioni dermo-cosmetiche. I suoi principi attivi, e la tollerabilità anche per pelli delicate, ne fanno un eccellente ingrediente per creme antirughe. Mettere in un fazzoletto di cotone o di lino 20 gr di foglie secche di patchouli e chiuderlo con un pezzetto di spago. Legare il sacchetto al rubinetto e far scorrere acqua molto calda Lasciare il sacchetto in ammollo ed immergersi nella vasca. Massaggiare delicatamente la pelle con il sacchetto. Provincia di Genova - Assessorato Ambiente Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. Nelle regioni di provenienza, l’uso del patchouli è tuttora diffusissimo. In tutta l’Asia le foglie seccate sono utilizzate per curare reumatismi, mal di testa, nausee, dolori addominali. Il suo inconfondibile aroma pervade spesso gli ambienti pubblici e domestici, in quanto la medicina tradizionale ritiene che agisca sull’equilibrio fisico e abbia un effetto positivo sulla psiche. il pepe Piper nigrum Famiglia Piperaceae La pianta di pepe è un arbusto che può arrivare fino a 4 m di altezza, dal portamento rampicante. Le foglie sono ampie, verde scuro, a margine intero e percorse da tre nervature principali. I fiori sono piccoli, privi di petali e sepali ma muniti solo di qualche brattea (foglia modificata) protettiva; sono riuniti in infiorescenze a spiga, dalle quali si sviluppano infruttescenze pendule. Il frutto è una piccola drupa, verde da acerba, rossa a maturazione, dalla polpa sottile, contenente un solo seme. Originario delle foreste tropicali, dell’India meridionale (e forse anche dell’Indocina), il pepe viene oggi coltivato in tutta l’Asia sudorientale, e in molte altre parti del mondo, come nelle Indie occidentali, in Brasile, in Kenya e in Madagascar. 1 grani di pepe, pur essendo di colore diverso, sono i frutti della stessa pianta, il Piper nigrum. Il pepe nero, dal sapore più piccante, si ricava dal frutti ancora acerbi, staccati dalla pianta ed essiccati al sole. Il pepe bianco ha sapore più delicato e si ottiene dai frutti maturi, di colore rosso, che vengono privati dei pericarpo (la parete dei frutto che circonda i semi) dopo essere stati fatti macerare in acqua. Il pepe verde è ottenuto da frutti acerbi conservati in salamoia o essiccati, ha un sapore delicato e la polpa carnosa. Raccontare in poche righe la storia del “re delle spezie” non è facile: il commercio del pepe in molti casi ha influenzato la Storia, grazie alla capacità di questa spezia di conservare le derrate alimentari dalla decomposizione, a partire dalle carni. Arrivato a Roma nel corso del I secolo d.C., il pepe acquistò rapidamente fama e prestigio. La difficoltà di trasportarlo senza danneggiarne i grani con l’umidità lo resero prezioso, al punto di farlo divenire una merce di scambio equiparabile all’oro. La lotta per il monopolio del mercato del pepe coincise con la caduta dell’Impero Bizantino. Venezia, controllando la via della seta, divenne una sorta di agente unico dell’importazione e lo rimase a lungo, nonostante i tentativi di Genova di contenderle il primato. Fino al XVI secolo l’uso del pepe rimase appannaggio delle classi elevate, quando, con l’arrivo di specie meno pregiate e l’apertura di nuove vie commerciali, il pepe entrò nella cultura popolare divenendo l’insostituibile ingrediente che ancora oggi conosciamo. IL PEPOSO Tagliare a in dadi di circa 3 cm il muscolo di manzo, e adagiarla in una ciotola. Aggiungere ad un bicchiere di chianti 1 cucchiaio di pepe nero, le foglie di alloro spezzate, i chiodi di garofano, il ginepro, lo spicchio d’aglio e la cipolla tagliati finemente. Versare la marinata così ottenuta sulla carne e lasciar riposare per 2 ore. Scolare la carne mettendo da parte la marinata. Scaldare in un tegame mezzo bicchiere di olio di oliva e rosolare la carme, aggiungere la marinata, il concentrato di pomodoro e il resto del vino. Coprire e far cuocere a fuoco medio per 2 ore. Provincia di Genova - Assessorato Ambiente Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. Il pepe rosa è in realtà il frutto, dal colore rosa intenso, della specie Schinus molle, una pianta arborea della stessa famiglia del pistacchio, originaria del Sudamerica e diffusa da noi soprattutto come specie ornamentale. 1 kg di muscolo di vitellone 1 grossa cipolla rossa 2 cucchiai di pepe nero macinato 1 cucchiaio di concentrato di pomodoro 4 foglie di alloro 1 spicchio di aglio 2 chiodi di garofano 4 bacche di ginepro 1 l di vino chianti 1/2 bicchiere di olio d’oliva il sandalo Santalum album Famiglia: Santalaceae lanceolata e apice acuto. I fiori, bianchi o giallastri, sono riuniti in grappoli all’ascella delle foglie o in cima ai rametti. I frutti sono drupe di medie dimensioni. Il sandalo è una pianta indigena della regione indo-malese, da cui è stata esportata e coltivata anche in Cina e Sudamerica; vive nelle foreste equatoriali dal clima permanentemente caldo e umido. Il prezioso ed aromatico olio di sandalo si ottiene dalla distillazione della parte centrale del tronco e delle radici. Malgrado i suoi 4000 anni di storia, l’essenza è apparsa nella profumeria moderna solo nell’ultimo secolo. L’olio di sandalo viene oggi utilizzato in cosmetica, frequentemente mescolato con altre sostanze (ad esempio il burro di karité e il burro di cacao). Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. Il sandalo è un albero alto una decina di m, capace di parassitare con le sue radici le radici di altri alberi; ha un legno di color giallo pallido, dal caratteristico odore muschiato. Ha foglie opposte e picciolate, di forma L’uso del legno di sandalo ha avuto origine in India, dove gli alberi crescono spontanei. Il suo successo è legato alla credenza di poter placare la parte razionale della mente, consentendo di entrare in rapporto con gli stadi più profondi del proprio essere. L’incenso prodotto dal sandalo è usato appunto come aiuto per la meditazione. A queste mistiche peculiarità del legno di sandalo si riferisce anche il suo impiego, sin dall’antichità, nella realizzazione di strumenti musicali e profumati arredi sacri e profani. PERE AL VINO AROMATICO 1 kg di pere 1 l di vino 1/2 cucchiaino di cannella 10 chiodi di garofano 1 limone (scorza grattugiata) 1/2 cucchiaino di legno di sandalo sminuzato 200 gr di zucchero, 1 tocco di zenzero. Mettere il vino in un tegame con la cannella, i chiodi di garofano ed il limone. Sbucciare le pere, togliere il torsolo e cuocerle intere a fuoco lento nel vino speziato, già caldo, per 15 minuti. Dopo avere tolto le pere dal vino filtrarlo, aggiungervi lo zucchero e la punta di 1 cucchiaino di zenzero e far ritirare fino ad ottenere uno sciroppo abbastanza denso. Glassare le pere con lo sciroppo, tenendone un po’ da parte. Disporre le pere a piramide e colarvi sopra il resto dello sciroppo. Nel campo della magia e delle scienze esoteriche, si ritiene che le fumigazioni di legno di sandalo aiutino a fortificare la volontà e a sviluppare la conoscenza. In astrologia, a questa pianta, posta nella sfera di influenza del pianeta Venere, si attribuisce la capacità di favorire la nascita degli amori. Provincia di Genova - Assessorato Ambiente la santoreggia Satureja montana Famiglia: Labiatae genti, dal colore verde scuro; se sfregate, emanano un odore aromatico piuttosto forte. I fiori, di dimensioni inferiori a un cm, sono di colore bianco o roseo, raccolti in gruppetti di 2-7 in cima ai fusti. La santoreggia selvatica vive in luoghi sassosi e rocciosi lungo i rilievi, in zone collinari e montane (anche comunque a basse quote), specialmente su terreni calcarei e comunque non acidi. Affine alla santoreggia selvativa è la Satureja hortensis, la santoreggia coltivata, che differisce dalla precedente per le foglie principali molto più lunghe, per il colore complessivo della pianta più tendente al violetto ed i fiori più numerosi. In Italia è esclusivamente coltivata, allo stato spontaneo si trova in Asia occidentale su terreni calcarei. Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. La santoreggia che cresce spontanea nelle nostre regioni è una pianta perenne a fusto legnoso quadrangolare, alto da 10 a 40 cm, ramoso. Le foglie sono coriacee, lucenti, strettamente lanceolate, acute quasi pun- La santoreggia, bevuta in decotti e tisane, può essere d’aiuto nelle affezioni gastro-intestinali (vomito, diarrea, gas intestinali) e negli stati di astenia generale. Ha inoltre proprietà cicatrizzanti, che la rendono un valido aiuto in caso di ferite e piaghe. Ecco la ricetta: Bollire 40 gr di foglie di santoreggia in 1 litro di acqua. Far raffreddare, filtrare e utilizzare per lavare le ferite e per fare impacchi di almeno 15 minuti per 2-3 volte al giorno. CREMA DI PISELLI E LATTUGA 1 cespo di insalata lattuga 300 gr di piselli secchi 1 porro 10 foglie di santoreggia olio d’oliva q.b. Lasciare in ammollo i piselli per circa 12 ore, poi lessarli. Stufare il porro con poco olio. Passare entrambe le verdure nel mixer. Aggiungere al composto la lattuga tagliata a striscioline e portate ad ebollizione in un tegame basso. Togliere dal fuoco e unire la santoreggia, sminuzzandola. Irrorare con un filo d’olio e servire con crostini di pane abbrustolito. La santoreggia era conosciuta dagli antichi Romani col nome di Satureja = Erba dei satiri, per la sua pelosità che richiamava quella dei satiri, ma anche per le sue supposte proprietà afrodisiache, tanto che si raccomandava moderazione nel suo consumo, per non correre il rischio di scatenare una sessualità smodata ed incontrollabile (satirismo). Provincia di Genova - Assessorato Ambiente il tiglio Tilia europaea Famiglia: Tiliaceae scenti, bianco-giallastri, sono molto profumati e compaiono in maggiogiugno. I frutti piccoli, duri, verdegiallo, sono posti in cima a un lungo picciolo ed uniti ad una foglia modificata (brattea), di consistenza cartacea, utile per la disseminazione ad opera del vento. Il tiglio selvatico cresce sporadico nei boschi misti di latifoglie del piano collinare e talvolta montano, dove preferisce terreni calcarei. Sopporta anche inverni piuttosto rigidi ed estati calde (climi continentali). La specie selvatica è molto diffusa in tutta l’Europa, dalla Spagna al Caucaso. In Italia è frequente soprattutto nelle zone centrali e settentrionali, dal piano fino ai 1500 m di altitudine. Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. Il tiglio selvatico è un albero di medie dimensioni (10-20 m), dalla chioma espansa, verde chiaro, e dalla corteccia con tipiche scanalature longitudinali, un poco inclinate e incrociate. Le foglie sono cuoriformi, seghettate, leggermente ispide, più lucide sopra e più chiare sotto. I fiori, a gruppi di 2-3, poco appari- Al tiglio la tradizione attribuisce proprietà spasmolitiche, vasodilatatrici, ipotensive, epato-protettrici... insomma, una vera panacea. La ricerca scientifica non ha confermato completamente le virtù terapeutiche di questa pianta, ma le riconosce un’azione rilassante ed espettorante. L’infuso di fiori di tiglio è forse la più nota tra tutte le tisane: serve a conciliare il sonno, a calmare la tosse e a favorire la digestione. Questa è la ricetta: 20 gr di fiori di tiglio 250 ml di acqua (1 tazza) Bollire l’acqua, aggiungere i fiori e lasciar riposare per 10 minuti. Filtrare, dolcificare a piacere (meglio il miele dello zucchero) e bere subito. La specie coltivata e usata nelle alberature stradali è in realtà Tilia platyphyllos, risultato dell’incrocio del tiglio selvatico con il tiglio americano (Tilia americana). Il tiglio selvatico si distingue dall’ibrido per le foglie più piccole, biancastre nella pagina inferiore e per le nervature meno sporgenti del frutto. Viene citato anche più di un uso esterno del tiglio, sempre in decotto: i suoi fiori vengono aggiunti all’acqua del bagno allo scopo di alleviare la stanchezza e diminuire la tensione nervosa; inoltre, si applica in impacchi caldi sullo stomaco e sull’addome per calmare i dolori gastritici e colitici. LIQUORE DI TIGLIO 500 gr di alcol a 95° 60 gr di fiori di tiglio 15 gr di tè 5-10 bacche di ginepro 10 fiori di camomilla la scorza di 1 arancia 200 gr di zucchero 1 l di acqua In un capace recipiente di vetro a chiusura ermetica, mettere l’alcool e le erbe. Lasciare macerare per 15 giorni in un luogo buio e fresco, scuotendo il recipiente ogni tanto. Trascorso questo periodo preparare uno sciroppo facendo sciogliere a fuoco medio 200 gr di zucchero in 1 litro di acqua. Lasciare raffreddare lo sciroppo. Filtrare l’alcool, aggiungerlo allo sciroppo e imbottigliare. Lasciare riposare per 2 mesi prima di consumare. Provincia di Genova - Assessorato Ambiente il timo volgare Thymus vulgaris Famiglia: Labiatae a romboidali. Il margine della foglia è ripiegato verso il basso e la superficie è ricoperta da peli. I piccoli fiori rosa sono riuniti in infiorescenze tondeggianti o cilindriche all’apice dei rami; la corolla, tubolare, è divisa in due labbra. I frutti sono composti da quattro acheni. Il timo volgare cresce dal mare alla zona collinare, ma preferisce il clima mediterraneo (è tipico infatti del Mediterraneo occidentale); si trova in luoghi aridi e soleggiati, fra le rocce e le ghiaie. In natura esistono molte specie di timo, alcune presenti anche da noi. Fra di esse citiamo il timo serpillo (Thymus pulegioides) frequente nei prati e nei pascoli di media montagna, dal profumo meno intenso e leggermente diverso dal timo volgare; il Thymus praecox e il Thymus polytrichus diffuso nei pascoli sassosi delle Alpi, con la corolla rosa intenso; il Thymus herba-barona presente in Sardegna su pendii aridi e ventosi. Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini. Il timo volgare, noto anche come pepolino, è un piccolo arbusto alto 15-30 cm, dal fusto grigio chiaro molto ramificato, legnoso alla base; i rami sono coperti completamente di peli vellutati. Le foglie, piccole e di colore verde-grigiastro, hanno forma varia, da lineari a lanceolate Il timo è una pianta aromatica la cui storia si perde nei tempi. Il suo nome, di origine greca, deriva dal verbo “thymo”, che significa “fare sacrifici”. Nell’ antichità infatti il timo veniva fatto bruciare nelle cerimonie di offerta agli dei per il suo caratteristico e penetrante profumo. Nel Medioevo il timo assunse un valore particolare: era simbolo del coraggio e della forza d’animo. Per questo motivo le nobildonne se ne ornavano quando i loro cavalieri dovevano partire per la guerra. In alcune zone dell’Italia e specialmente in Sardegna, il timo è conosciuto con il nome di “erba di Maria”. All’origine di questa dizione c’è una leggenda della prima era cristiana; in essa si narra che, durante la fuga in Egitto, il timo servì da giaciglio per la Vergine, e da allora il timo fu considerato una pianta di buon augurio. VELLUTATA DI PORRI E TIMO Il timo è una delle specie officinali più vendute grazie alle sue caratteristiche aromatiche ed antisettiche. Si usa per prolungare la conservazione dei cibi ma anche per le sue proprietà balsamiche, tossifughe, fluidificanti del catarro; le sue proprietà digestive lo fanno comparire nelle ricette dei vermouth. Tisane e sciroppi al timo rinforzano l’intero organismo, stimolano l’appetito e la digestione, aiutano le funzioni del fegato, combattono le malattie da raffreddamento. 30 gr di burro 2 porri di media grandezza 2 patate tagliate a cubetti 2 cucchiaini di timo fresco 1 litro di brodo vegetale sale e pepe q.b. Tagliare i porri a rondelle sottili, eliminando quasi tutta la parte verde. Sciogliere il burro in tegame e far rosolare i porri per un paio di minuti. Aggiungere poi le patate tagliate a cubetti, il timo e il brodo vegetale. Aggiustare di sale. Coprire e far cuocere 20 minuti a fuoco lento. Frullare (va bene anche il mixer a immersione) fino ad ottenere una crema vellutata. Servire calda, accompagnata da crostini di pane abbrustolito. Provincia di Genova - Assessorato Ambiente