Scarica la raccolta delle 30 schede sulle spezie .

l’alloro
Laurus nobilis
Famiglia: Lauraceae
L’alloro è un piccolo albero sempreverde (10-15 m), dalla chioma densa
e scura, piramidale. La corteccia,
liscia, da verde diviene grigia con
l’età. Le foglie, verdi scuro, lucide
sopra e più chiare sotto, sono di
consistenza coriacea, a lamina lanceolata, margine intero o ondulato,
apice acuminato; emanano un
aroma caratteristico se strofinate. I
fiori, riuniti in piccole infiorescenze
alla base delle foglie, hanno 4 petali
sfumati di rosso o verde in bocciolo,
poi gialli o bianchi. I frutti sono
drupe ovoidali profumate, verdi
scuro e lucide.
L’alloro è specie tipica delle aree mediterranee; vive in zone fresche, al confine tra la
vegetazione sempreverde e le querce a foglie
caduche. Si spinge dal mare fino ai 600 m.
Si coltiva spesso come pianta ornamentale ed è frequente in parchi e giardini di regioni dagli inverni miti.
Nel linguaggio dei fiori, come
tutte le sempreverdi, è simbolo
di immortalità e di gloria.
Deriva proprio dal latino Laurus la parola
laurea, che incorona di alloro chi ha raggiunto un prestigioso traguardo.
Ha proprietà diuretiche e sudorifere e può essere utile, ai primi
segni di raffreddore, preparare
un infuso con le sue foglie.
Aggiungere 4 foglie secche di alloro sminuzzate
ad una tazza di acqua bollente, dolcificare a piacere e bere bollente prima di coricarsi.
I suoi oli essenziali lo rendono
un ecologico ed economico antitarme. Le foglie, lasciate seccare
in un luogo asciutto ed ombreggiato e
riposte nei cassetti, proteggono la maglieria di lana per tutta l’estate.
Il suo uso in cucina è millenario: Apicio, il famoso gastronomo dell’antica Roma, ci ha
tramandato la ricetta per il porcellum laureatum, arrostito con rami e bacche di alloro.
Entra nel mazzetto di sapori usato, in
molte regioni, nella preparazione di brasati e stracotti; profuma le verdure sott’olio.
LAURINO
ro
30 gr di foglie secche di allo
1/2 litro di alcool a 90°
1 litro di acqua
300 gr di zucchero
e
Mettere le foglie di alloro
chiu
a
lo
atto
bar
un
in
ool
l’alc
emac
iar
Lasc
sura ermetica.
rare le foglie per 7 giorni.
sciroppo
uno
Preparare
e lo
qua
l’ac
ire
boll
ndo
face
e
zucchero, farlo freddare
far
lo,
atto
bar
nel
o
sarl
ver
e
riposare per 24 ore, filtrare
re.
glia
otti
imb
Servire freddo.
Come in molti altri Paesi, ancora oggi a Genova vive la tradizione natalizia del ramo di alloro sull tavola imbandita.
La sua presenza è infatti di buon augurio
per il nuovo anno.
Provincia di Genova - Assessorato Ambiente
Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione
di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
La mitologia fa risalire la nascita dell’alloro alla storia della ninfa Daphe che, inseguita dal dio Apollo innamorato di lei,
per sfuggirgli chiese di essere trasformata
in pianta. Quando questo avvenne, il dio,
in segno di amore e rispetto, rese l’alloro
un sempreverde e ne fece uno dei suoi
simboli.
l’aneto
Anethum graveolens
Famiglia: Umbelliferae
L’aneto è una pianta erbacea alta
dai 20 ai 50 cm, glauca nell’aspetto e
dall’odore forte, per alcuni sgradevole. Come in quasi tutte le
Ombrellifere, mostra foglie finemente suddivise più volte (3-4 volte),
con gli ultimi segmenti delle dimen-
sioni di un capello. I fiori, piccoli e
dai petali gialli, sono disposti in
ombrelle sorrette da 20-30 raggi di
diversa lunghezza, senza involucri.
Il frutto è ovale (4-5 mm), bruno
scuro, con una caratteristica ala
laterale chiara.
L’aneto è coltivato da molto tempo. Questo
rende la sua provenienza di incerta collocazione: forse è originario del Medio Oriente
(secondo altri Autori invece dell’Europa
meridionale); oggi si trova spontaneo (o meglio naturalizzato) nelle colture della penisola Iberica e dei
Balcani, della Turchia e dell’Iran, e non ha particolari
esigenze in fatto di suolo e di umidità dell’aria.
Il profumo delle foglie ricorda il
finocchio e l’anice, ma possiede
una nota piccante che lo rende
inconfondibile. Come altre spezie ed erbe
veniva usato per profumare l’alito.
È opinione dei gourmet che le foglie del-
l’aneto si sposino particolarmente bene
con il pesce ed il loro uso caratterizza la
preparazione di salse e condimenti per
insalata. I semi conferiscono un particolare gusto alle verdure conservate sotto
aceto.
L’aneto è un tesoro arrivato probabilmente dal Medio Oriente.
Sicuramente i Persiani ne facevano un
largo uso, gastronomico e medico, e lo
consideravano così prezioso da usarlo
come moneta.
I Romani impararono presto ad apprezzarne le caratteristiche, tanto che lo scrittore dell’epoca Apicio inseriva spesso
l’Anethum come erba aromatica per arrosti di cacciagione.
Nel secolo scorso i semi dell’aneto potevano rientrare, con altre erbe,
nella preparazione del ratafià, un liquore
digestivo considerato un rimedio quasi
miracoloso per coliche e indigestioni, al
punto che la sua ricetta veniva gelosamente custodita nelle famiglie.
Se ne estrae un olio essenziale
con molte proprietà: agevola la
digestione, è diuretico, antispasmodico e vermifugo.
Una tisana di aneto calma il vomito e il
singhiozzo, quindi è l’ideale per le coliche
dei bambini.
Se soffrite d’insonnia, e non amate tisane
ed infusi ma gradite il vino, provate a fare
un decotto con 5 gr di semi di aneto in un
bicchiere di vino bianco ed a berlo prima
di coricarvi.
150 gr di yogurt intero
3 cetrioli
1 cucchiaio di aceto di mele
to
3 cucchiai di aneto fresco trita
sale q.b.
l’aceto.
Mescolare lo yogurt con
polpa
la
iare
ttug
gra
e
Sbucciare
sare 10
dei cetrioli lasciandola ripo
, eliminuti con un pizzico di sale
e unire
minare il liquido in eccesso
.
allo yogurt insieme all’aneto
ire con
Amalgamare bene e serv
come
crostini di pane. Si può usare
le vercondimento per l’insalata,
dure bollite o cotte al vapore.
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Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione
di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
SALSA ALL’ANETO
E CETRIOLO
l’anice stellato
Illicium verum
Famiglia: Magnoliaceae
all’ascella delle foglie, sono brevemente picciolati, con corolla di più
petali giallo chiaro o bianco-verdastri; gli stami sono numerosi. I frutti sono follicoli di consistenza legnosa, disposti a stella in numero da 8 a
12, che si aprono ventralmente e
contengono un seme rosso ciascuno.
L’anice stellato è diffuso nella Cina meridionale, in Giappone, Indonesia e Filippine,
ma viene coltivato in tutta l’Asia orientale
tropicale e subtropicale.
L’anice stellato ha proprietà
digestive e regolatrici dell’intestino. In prevalenza il suo
impiego, come quello dell’anice,
è quindi nella cura di alcune affezioni
gastrointestinali. Facilita inoltre la produzione di latte nelle puerpere.
Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione
di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
L’anice stellato è ottenuto da un
albero sempreverde alto da 4 a 12 m,
dalla corteccia grigio-scura e dal
legno rossiccio. Le foglie, ovali-lanceolate, acuminate, ristrette alla
base, coriaceee, sono verdi scure
sulla pagina superiore e più chiare
inferiormente. I fiori si dipartono
Questa spezia, pur essendo giunta in
Europa solo alla fine del XVII secolo, ha
rapidamente raggiunto una notevole
fama.
Fra i fattori che ne hanno favorito la diffusione vi è senza dubbio il suo aspetto.
È difficile dimenticare questo frutto (anzi
questa infruttescenza) così particolare:
una stella ad otto o più
punte. Il suo gusto è simile a
quello dell’anice e da queste
due caratteristiche, quella estetica e
quella organolettica, deriva il suo nome.
Le sue proprietà ne fanno un ingrediente di molte ricette, prevalentemente
liquoristiche.
FLAN AL PROFUMO
DI ANICE STELLATO
Chi si diletta di cucina cinese
conosce bene l’anice stellato:
si tratta di uno degli ingredienti della “polvere delle cinque spezie”, largamente utilizzata nella tradizione culinaria di un Paese al quale la
povertà ha stimolato la fantasia. La
ricetta della miscela comprende anche
i chiodi di garofano, l’anice, la cassia e
il pepe.
1 litro di latte
2 fiori di anice stellato
250 gr di zucchero
200 gr di panna
2 tuorli d’uovo
Bollire il latte con l’anice stelsalato. Eliminare l’anice e ver
chezuc
o
dell
à
met
e
latt
nel
re
ro, mescolando bene.
e i
Montare la panna. Sbatter
o
dell
o
rest
il
con
tuorli d’uovo
o.
cher
zuc
la
Incorporare lentamente
quin
e,
latt
nel
tata
mon
na
pan
sare
Ver
vo.
d’uo
i
di unire i ross
ceil tutto in uno stampo e cuo
a
o
forn
nel
aria
re a bagnom
180° per 25 minuti.
Lasciare raffreddare.
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l’arancio
Citrus sinensis
Famiglia: Rutaceae
bianchi, a 5 o 4 petali, in corte spighe, sono molto profumati (sono
noti in meriodione come zagara). Il
frutto, detto scientificamente esperidio, ha forma sferica, talora
schiacciata; la buccia è in genere
meno rugosa che nell’arancio
amaro e di colore tipicamente arancione; il succo, più o meno dolce, è
gradevole e abbondante.
Come il suo nome botanico suggerisce,
l’origine dell’arancio dolce è da situare in
Cina, precisamente nelle regioni meridionali, dove il clima è più vicino a quello mediterraneo. Oggi l’arancio dolce è diffuso in molte regioni del mondo, nel Vecchio come nel Nuovo continente
(anche nel Nuovissimo, ossia in Australia e in Nuova
Zelanda), dove le estati sono calde e gli inverni miti.
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di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
L’arancio, per meglio dire l’arancio
dolce, è un albero sempreverde, di
piccola o media grandezza, provvisto di deboli spine. Le foglie sono
dure e cuoiose, verdi scure, a margine intero o appena ondulato, ad
apice appuntito e dotate di un picciolo appena alato (a differenza dell’arancio amaro, dove le ali del picciolo sono molto accentuate). I fiori
Quando parliamo di arancio la nostra
fantasia evoca automaticamente le coste
del Mediterraneo; in realtà questa pianta
dalle grandi virtù è arrivata dall’Estremo
Oriente, per l’esattezza dalla Cina.
Le prime tracce della sua coltivazione in Europa sono in
Portogallo, intorno alla metà
del ‘500; la sua diffusione nel resto del
bacino Mediterraneo fu rapidissima.
TRIGLIE ALL’ARANCIA
Dire fiori d’arancio significa dire
matrimonio. La tradizione, diffusa in tutto il mondo, di adornare la fronte della sposa con una coroncina di fiori d’arancio, o di arricchire con
i bianchi fiori il bouquet, nasce in Sicilia
e trae origine dalla tradizione araba nella
quale cavalieri regalavano alla propria
sposa, nel giorno delle nozze, i fiori
d’arancio come auspicio di fecondità.
È abbastanza frequente, in
Riviera, incontrare a fine inverno dei piccoli alberi carichi di
frutti. Si tratta in realtà dell’arancio
amaro (Citrus aurantium).
Originario dell’India, il viaggio che l’ha
portato fino a noi passa dalla Siria,
dall’Egitto e dalla Anatolia.
4 triglie da 250 gr l’una
1 arancia
1 cucchiaio di farina
1/2 bicchiere d’olio d’oliva
sale e pepe verde in grani q.b.
un
Spremere l’arancia; porre in
il
tegame l’olio, la farina ed
a
bass
ma
fiam
a
re
cola
pepe, mes
per 10 minuti, facendo attenzio
mi.
gru
are
form
ne a non
ia,
Versare il succo d’aranc
are
iust
agg
lie,
trig
le
ere
aggiung
di sale.
orre
Cuocere per 10 minuti, disp
ire.
su un piatto di portata e serv
Arrivato in Europa al seguito dei Crociati,
intorno all’anno Mille, la sua coltivazione
si è rapidamente diffusa in Sicilia, in
Spagna, in Francia. Trova il suo impiego
soprattutto in profumeria. Le scorze del
frutto, ingrediente della famosa “marmalade” inglese, aromatizzano liquori ad
azione stimolante sull’apparato digerente
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la canfora
Cinnamomum camphora
Famiglia: Lauraceae
La canfora è un albero maestoso,
con tronco diritto a base allargata,
che può raggiungere i 30 m di altezza. Il tronco è largo e la chioma è
molto densa, ampia e tondeggiante.
La corteccia è bruna e finemente
rugosa. Le foglie, persistenti, coriacee, di colore verde lucido, hanno
forma ovale allungata, con apice
acuminato e margine intero. Se sfregate emanano un odore caratteristico. I fiori, piccoli e giallastri, sono
riuniti all’ascella delle foglie. Il frutto è una drupa violacea contenente
un grosso seme.
L’albero della canfora cresce spontaneo fino
ad oltre 2000 m di quota nelle sue regioni di
origine (Asia orientale, in particolare Cina,
Giappone e Taiwan). In Italia è spesso coltivato a scopo ornamentale, soprattutto nella fascia prealpina compresa fra il lago Maggiore e il lago di Garda.
La canfora predilige un clima mite e abbastanza
umido e quindi si può trovare anche in Liguria, soprattutto nei giardini di ville e parchi.
La canfora costituisce un ottimo
antisettico e disinfettante, che ne
ha favorito l’impiego nella preparazione di saponi e di deodoranti ecologici.
L’essenza di canfora si presenta
sotto forma di cristalli. L’olio
canforato si ottiene sciogliendo i
cristalli di canfora in olio di oliva. La
complessità e la lunghezza delle pratiche
di estrazione naturale dell’essenza di canfora ne hanno alzato i costi. Questo ha
determinato la scelta, per gli usi industriali moderni, di una sintesi chimica,
più conveniente.
Il suo legno ha infatti una
proprietà antitarmica che ne
ha favorito, nelle regioni
d’origine, l’impiego nella costruzione di
stipi e bauli per guardaroba, molto ricercati nell’800 dalle famiglie inglesi benestanti.
Dall’importazione di mobili destinati ad
una élite, all’estrazione dell’essenza, il
passo fu breve. La canfora divenne popolare ed è solo negli ultimi anni che le si
cominciano a preferire altre essenze,
meno penetranti ma altrettanto efficaci.
OLIO ANTIDOLORIFICO
Mettere in infusione 2 spicchi di
aglio in 2 decilitri di olio canforato.
Lasciar macerare per 20 giorni.
Utilizzare questo olio per massaggiare la parte dolente.
L’olio essenziale di canfora è un
valido solvente e viene impiegato
nell’industria delle vernici, per la
produzione di inchiostri per la stampa.
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di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
La canfora è considerata un albero sacro
in tutto l’Estremo Oriente, dove viene utilizzata da secoli come ingrediente per
incensi. In particolare, questi incensi vengono bruciati durante cerimonie sacre e
riti divinatori grazie al loro potere di placare gli istinti e di stimolare quindi la
meditazione ed il raggiungimento di uno
stato di estasi mistica.
Probabilmente in virtù di un profumo
pungente e non sempre gradito all’olfatto
europeo, da noi ne furono accolte principalmente altre doti.
la cannella
Cinnamomum ceylanicum (o zeylanicum)
Famiglia: Lauraceae
La cannella è un albero sempreverde alto fino a 12 m, con corteccia
aromatica: all’età di 3 anni la corteccia (quando viene prelevata come
spezia), presenta uno spessore sottilissimo, elevata fragilità, superficie
liscia e colore più scuro nella parte
interna. Le foglie sono coriacee,
opposte, ovate o acuminate, lunghe
in media una dozzina di cm. I fiori
sono piccoli, bianchi, raccolti in
pannocchie.
La cannella è spontanea a Ceylon, l’odierno
Sri Lanka: da qui il nome che la contraddistingue come “cannella di Ceylon” rispetto
alla cassia aromatica o cannella cinese
Cinnamomum cassia. La cannella di Ceylon viene oggi
coltivata in tutta l’Asia tropicale. Le sue piante prediligono una temperatura costantemente elevata e un
tasso di umidità sempre alto.
La parte preziosa della cannella
è costituita dalla corteccia, che
viene posta in commercio sotto
forma di bastoncini cilindrici o appiattiti.
La corteccia della cannella di Ceylon è
più pregiata e più sottile di quella della
cannella cinese ed il suo costo è decisamente più alto.
Il fascino di questa spezia, legato ad un
profumo intenso e delicato al tempo stesso, è rimasto inalterato nel corso dei secoli. Apprezzata nelle zone d’origine da
migliaia di anni per le sue proprietà curative, la cannella godeva di una fama che
ha creato innumerevoli leggende. Fra i
poteri che le venivano attribuiti vi era
quello afrodisiaco.
Deve il suo arrivo in Europa alle spedi-
zioni portoghesi della metà
del XVI secolo. La scoperta
di questa nuova spezia non
soppiantò la cannella cinese, diffusa già
da tempo nelle ricette di salse e sughi.
Il profumo ed il gusto, complessivamente
più delicati di quello della cannella cinese
hanno legato prevalentemente la fortuna
gastronomica della cannella di Ceylon
alla pasticceria.
BROWNIES
Sciogliere a bagnomaria il burro
e la cioccolata.
Montare le uova con lo zucchero
ed un pizzico di sale fino a renderle spumose e chiare ed aggiungere la cannella.
Incorporare le uova al cioccolato, aggiungere la farina e le mandorle tritate grossolanamente.
Versare l’impasto in una teglia (
l’altezza dell’impasto deve essere
di 1 cm) e infornare a 180° per 20
minuti.
L’impasto da cui si otterranno i
brownies deve risultare asciutto
fuori ma leggermente umido
all’interno.
Lasciar intiepidire poi tagliare in
pezzi di circa 2x4 cm.
In alcuni Paesi la cannella
viene usata come aromatizzante per il caffè. In
alcuni locali del Portogallo, ad
esempio, la tazzina di caffè è
accompagnata non solo dalla bustina di zucchero ma anche da un
pezzetto di stecca di cannella.
Dal latino CANELLA, piccolo
tubo o cannuccia. Il nome
deriva dalla forma, arrotolata su se stessa, che la corteccia
assume con l’essiccamento.
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di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
100 gr di burro
400 gr di cioccolata amara (75%)
4 uova
200 gr di zucchero
1 pizzico di sale
2 cucchiaini di cannella
200 gr di mandorle tritate
150 gr di farina
il cardamomo
Elettaria cardamomum
Famiglia: Zingiberaceae
Il cardamomo è una grande pianta
erbacea perenne alta fino a 5 m,
provvista di un rizoma tuberoso e
spesso, con numerose lunghe radici.
Foglie strette e allungate, acuminate, lunghe fino a 60 cm, a margine
intero. Fiori dalla corolla verde
bianco, riuniti in pannocchie. I frutti, di colore verde, sono capsule a
tre spigoli arrotondati contenenti
molti semi bruni, particolarmente
profumati.
Si trova sia spontaneo che coltivato in
Indonesia, Sri Lanka e India (è probabile
che la sua origine sia da localizzare proprio nelle lagune del Malabar e del
Kerala); oggi viene coltivato anche in altri continenti
(nell’America Centrale soprattutto in Guatemala),
lungo i canali di zone paludose.
Sino all’800, la pianta del cardamomo cresceva quasi esclusivamente spontanea. La raccolta
era affidata alle sole donne, che fra agosto
e febbraio si facevano largo nella densa
vegetazione dei canali paludosi per staccare a mano ed uno a uno i frutti.
L’essiccazione avveniva al sole, sorveglia-
ta con attenzioni e premure degne di un
infante reale.
Oggi vi sono ampi terreni coltivati a cardamomo e l’essiccazione si effettua con
sistemi industriali. Solo la raccolta continua ad essere fatta a mano, e sono ancora le donne, secondo la tradizione, ad
occuparsene.
Nella cucina indiana questa
spezia è un ingrediente tradizionale, usato a capsule intere
nella preparazione dei risi e macinato
in numerosi altri piatti.
In Svezia si mettono capsule intere di
cardamomo nel glogg, una bevanda
calda fortemente alcolica, bevuta
durante le festività natalizie; costituisce
anche l’ingrediente fondamentale del
käffebrod, un tipo di pasticcino che
accompagna il caffè.
Anche in Danimarca si aromatizzano i
dolci con la polvere di cardamomo.
In Italia il cardamomo è usato nell’industria dei liquori, in particolare per la
preparazione di quasi tutti gli amari.
medicina, ma sconfinava
nella profumeria: pare che le
donne egizie bruciassero il
cardamomo ed esponessero poi il corpo
ai suoi fumi fragranti.
Presso Greci e Romani il cardamomo
divenne un prezioso alleato nella conservazione delle derrate, impiego che mantiene tuttora a livello industriale, e si diffuse come raffinato condimento.
TORTA ALLO YOGURT
150 gr di zucchero
200 gr di farina
100 gr di pistacchi di Bronte
150 gr di burro
150 gr yogurt bianco
3 uova
1 bustina di lievito per dolci
non vanigliato
1 cucchiaino di cardamomo
macinato
Tritare grossolanamente i pistacchi, unire il cardamomo, il burro
ammorbidito, la farina e lo zucchero, poi le uova intere e lo
yogurt, mescolare bene.
Ungere una teglia da forno da 21
cm e versarci il composto.
Infornare a 180° per 45 minuti
finché la torta non sia dorata.
Gli Arabi, che importano da soli il 90% della produzione proveniente
dall’India, ritengono che il cardamomo “rinfreschi il sangue”, un grosso
beneficio in regioni dove la temperatura raggiunge alti valori, e incoraggiano persino i bambini a berlo. L’uso di bere il qahwa, l’infuso di cardamomo, è cosí
radicato che anche gli Arabi che vivono in Occidente si rifiutano di abbandonarlo.
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di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
L’uso del cardamomo ha origini antiche,
non solo nei Paesi di origine. L’antica
medicina indiana prescriveva il cardamomo contro l’obesità, le affezioni alle vie
urinarie, le emorroidi e l’itterizia.
Nell’area mediterranea, il primo documento in cui si parla del cardamomo è un
papiro scoperto in Egitto e risalente al
1550 a.C., che già inserisce questa spezia
fra le 800 droghe medicinali di uso comune; il suo impiego non si limitava alla
il cartamo
Carthamus tinctorius
Famiglia: Compositae
Il cartamo è un’erba dal fusto eretto, glabro, lucido, ramificato solo in
alto. Le foglie, glabre, lanceolate,
lunghe 6-9 cm, dal bordo dentato e
spinuloso, non possiedono picciolo
e mostrano nette nervature reticolate; quelle superiori circondano il
capolino (l’infiorescenza tipica delle
Composite), formando una specie
di corolla aperta. Il capolino dei
fiori, dal diametro di 3 cm, ha la
forma a pera, con squame spinose
all’apice; la corolla di fiori tutti
tubulari è rosso aranciata. I frutti
sono acheni di 6-8 mm, prismatici
con 4 angoli ottusi.
Quando una specie viene coltivata da molto tempo,
i botanici trovano delle difficoltà nel definire la
zona di origine della pianta in questione. È il caso
appunto del cartamo, il cui sfruttamento millenario
non permette di avere una sufficiente documentazione scritta
sulla sua storia e la sua provenienza. L’ipotesi più probabile
colloca questa spezia nel bacino del Mediterraneo orientale,
dove talora si trova spontaneizzata in campi e pascoli.
Il nome “cartamo” forse vi dice
poco, ma scoprendo che questa
spezia è detta anche “zafferanone”, vi si accenderà una lampadina. Il cartamo ha un aspetto simile al prezioso e costoso zafferano, ma è molto meno profumato:
diciamo che il cartamo sta allo zafferano
come le uova di lompo stanno al caviale...
Lo si trova a buon mercato nei bazaar di
tutto il Mediterraneo, dove spesso è venduto
agli ignari turisti che lo acquistano a prezzi
decisamente modici e lo regalano, tornando
a casa, credendolo la preziosa spezia.
Dalla corolla del cartamo si estraggono
due colori, il giallo ed il cremisi, molto
usati nell’antichità per la tintura dei tessuti, pratica che ne ha favorito la diffusione.
Il cartamo è coltivato ancora oggi grazie
ai molti impieghi dei suoi derivati. In
cosmesi lo si trova sia come colorante
per il maquillage, sia come ingrediente
nella preparazione di oli per il corpo.
Le stesse sostanze sono usate nel settore
alimentare: l’olio, particolarmente diffuso nella cucina indiana, è molto ricco in
acidi grassi polinsaturi e
vitamine; la cartamina (il
colorante di cui è ricco) lo
rende un economico colorante naturale.
La legislazione italiana, negli ultimi
anni, ha posto una paticolare attenzione
a questa pianta, regolandone produzione e commercio, per evitare le sofisticazioni legate alla sua somiglianza con lo
zafferano.
Si utilizza anche nella produzione di
materiali per pittura, sia per il colore, sia
per le sue proprietà come addensante.
PASTA CON CAVOLFIORE
E CARTAMO
leggerLessare il cavolfiore in acqua
dente.
al
olo
iand
lasc
ta,
sala
mente
qua
l’ac
te
par
Scolarlo mettendo da
.
ette
cim
a
o
iarl
tagl
e
ura
di cott
a, unirvi
Rosolare la cipolla affettat
minuto
1
o
dop
li;
pino
i
e
l’uvetta
tagliaunire le cimette di cavolfiore
delpo’
un
ere
iung
agg
i,
zett
te a pez
re, il
l’acqua di cottura del cavolfio
a pezzetcartamo, i filetti d’acciuga
ti e il pepe.
di cottuCuocere la pasta nell’acqua
saltarla
e
arla
ra del cavolfiore, scol
a.
sals
la
con
me
nel tega
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di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
Apicio, il famoso
gastronomo Romano,
lo cita fra le spezie da
usare per molte ricette, sposandolo con selvaggina e pesce.
Durante le epoche seguenti,
data la facilità di coltivazione,
lo si impiegava come aromatizzante e colorante di pani.
600 gr di pasta
1 kg di cavolfiore bianco
100 gr di uva passa
l00 gr di pinoli
1 cipolla
6 filetti d’acciuga sott’olio
10 gr di cartamo
olio d’oliva, sale e pepe q.b.
la cassia
Cassia fistula
Famiglia: Leguminosae
piuttosto grandi e disposti in lunghe
infiorescenze terminali; hanno 5
petali, più o meno uguali fra loro, e
10 stami di cui tre decisamente più
lunghi. I frutti sono caratteristici
legumi penduli, cilindrici, di colore
bruno scuro, la cui lunghezza varia
da 25 a 50 cm; i semi sono lenticolari, lucidi, quasi neri.
Questa specie di cassia ha probabilmente
origine nelle regioni dell’Africa orientale e
dell’Arabia; oggi viene ampiamente coltivata anche come pianta ornamentale (in inglese viene anche definita “golden shower”) ed è pertanto diffusa nella fascia tropicale asciutta sia dell’Asia ,
che dell’Africa, che in quella delle Indie occidentali e
del continente sudamericano.
Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione
di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
La cassia, molto simile alle specie
note anche come senna (Cassia acutifolia e Cassia angustifolia), è un
albero a foglie caduche, alto in
media 10 m. Le foglie sono alterne,
pinnate, molto lunghe (da 30 a 40
cm), divise in 4-8 paia di foglioline
ovate, a loro volta lunghe circa 10
cm. I fiori sono di un giallo intenso,
Il primo testo ufficiale, con valore legale, sull’uso delle erbe
medicinali in farmaci preparati
su ricetta medica, è il cosiddetto Nuovo
ricettario fiorentino, del 1499. Fra le piante a
cui fa riferimento vi è la cassia fistula, di
cui dice:
“...la cassia fistula vuole essere frescha, pesante,
grossa et piena. Dura uno anno o piu quando è
ben conservata.”
La cassia ha nel frutto
numerosi principi attivi
(pectina, zuccheri, acidi
tartarico, malico, citrico) che ne fanno un delicato lassativo e un fluidificante del sangue. Un ottimo collirio si ottiene
bollendo i semi della cassia nell’acqua.
Le proprietà regolatrici delle
funzioni intestinali che la cassia
possiede ci suggerisce la ricetta
per un infuso:
Prendere 20-50 gr di foglie di cassia per litro
d’acqua, portare a ebollizione, far raffreddare e
dolcificare con miele. Se si usa la polpa del frutto, le dosi vanno da 30 a 40 g al giorno nell’adulto e da 8 a 10 nei bambini.
Non c’è molto da raccontare sulla storia
della cassia fistula, non ci sono leggende,
miti od altri argomenti accattivanti sul
tema: non abbiamo trovato nulla che
abbia ispirato poeti o devoti sulle sue proprietà blandamente lassative.
Ma bisogna comunque rimarcare che sull’impiego delle piante medicinali (ed
anche su questa specie) esiste sempre una
vasta letteratura. L’uso di piante medicinali ha origini antiche quanto l’uomo.
Dai testi ritrovati negli scavi archeologici,
si è scoperto che già nel Neolitico alcune
di queste piante venivano coltivate al pari
di quelle necessarie all’alimentazione.
Le civiltà nate sul Mediterraneo, egizia e
greco-romana, sono ricche di conoscenze
sulla fitoterapia; ma furono gli Arabi, nel
Medioevo, a svilupparne le
potenzialità terapeutiche,
perfezionando le tecniche di
distillazione, cristallizzazione e filtrazione.
I secoli seguenti, con le grandi scoperte
geografiche, l’esplorazione di Nuovi
Mondi e l’intensificarsi dei rapporti commerciali con l’Oriente, videro arrivare in
Europa nuove spezie. E con esse, si diede
impulso a nuovi studi, a nuove scoperte
scientifiche.
Oggi, grazie al progresso della tecnologia
e della chimica, sono state confermate
molte delle proprietà attribuite a quelle
piante medicinali giunte da oltre oceano,
che infatti figurano a pieno titolo, insieme
alle specie officinali della tradizione ligure, nella farmacopea ufficiale.
Provincia di Genova - Assessorato Ambiente
il chiodo di garofano
Eugenia caryophyllata
Famiglia: Myrtaceae
da cui sbocciano petali bianchi, dall’aspetto piumoso. I frutti sono piccole bacche rossastre. I boccioli fiorali, essiccati e utilizzati come spezia, diventano di colore bruno, consistenza legnosa e profumo molto
intenso, leggermente piccante.
Originario delle isole Molucche (Indonesia),
il chiodo di garofano viene coltivato in
Africa, in Asia, in America meridionale e in
Australia, in regioni dal clima caldo e con
almeno una stagione molto umida, in luoghi ombreggiati, su terreni leggermente acidi.
I fiori dell’albero sono raccolti a
mano quando i boccioli vicini a schiudersi tendono al rosa. Esposti al sole
per tre giorni, assumono così il loro colore
scuro e la loro forma caratteristica. Il loro profumo è speziato e floreale. L’essenza, che si
ottiene per distillazione al vapore dei boccioli,
trova impiego in molti profumi.
Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione
di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
Il chiodo di garofano è prodotto da
un piccolo albero sempreverde, con
chioma tondeggiante, e grandi foglie
di colore verde scuro, lucide, leggermente cuoiose, soffuse di rosso da
giovani. I fiori, riuniti in ombrello,
hanno un lungo calice rosso acceso
In Cina, l’uso del chiodo di garofano era
già sperimentato da millenni, nel campo
della medicina, della gastronomia, della
cosmesi. I resoconti dei primi diplomatici
di corte, descrivono l’abitudine dei Cinesi
di masticare un chiodo di garofano per
deodorare l’alito, una tradizione che
richiama quella indiana di masticare i
semi di cumino.
Gli antichi Romani, che compravano il
chiodo di garofano dalle carovane provenienti dall’Oriente, usandolo per creare
profumi, credevano che fosse un frutto. Si
dovette arrivare alle grandi esplorazioni
portoghesi del ‘500 per scoprire che il piccolo chiodo
bruno è in realtà il bocciolo di
un fiore.
Per trovare un uso gastronomico di questa
spezia in Europa si dovranno aspettare
due secoli. Fu solo nel ‘700 che i cuochi
europei scoprirono nel chiodo di garofano
un prezioso alleato. Da aroma per dolci e
creme ad ingrediente essenziale per bolliti, cacciagioni, verdure, la sua popolarità
crebbe velocemente. In Italia il suo uso in
cucina si è diffuso ampiamente, soprattutto nel settentrione.
VIN BRULÈ
Fu solo nel XVI secolo che
cominciarono studi sistematici su questa pianta officinale.
Stimolati dai resoconti di chi
tornava dai mari dell’Asia e narrava
degli impieghi terapeutici del chiodo di
garofano, medici e speziali avvalorarono la fama delle sue virtù analgesiche e
anestetiche. Il chiodo di garofano trovò
quindi rapidamente applicazioni farmacologiche, specialmente in campo
odontoiatrico.
1 litro di vino rosso
1 cm di stecca di cannella
10 chiodi di garofano
scorza di 1/2 limone
scorza di 1/2 arancia
150 gr di zucchero
,
Versare il vino in una pentola
ofagar
di
di
chio
i
ere
iung
agg
dei
no, la cannella, la scorza
o.
cher
zuc
lo
e
umi
agr
due
per
Mescolare a fuoco lento
glie
scio
a
fino
uti,
min
10
a
circ
re lo zucchero.
Spegnere, filtrare con un coli
o.
cald
no e servire ben
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il cumino
Cuminum cyminum
Famiglia: Umbelliferae
Alto fra i 20 e 50 cm, il cumino di
Malta è un’erba dal fusto eretto e
glabro. Le foglie sono completamente divise in lacinie filiformi (1
mm di spessore) lunghe dai 2 ai 5
cm. I fiori sono disposti su ombrelle a 3-5 raggi, e circondati da brattee
e bratteole (foglie modificate) lineari; sono piccoli e dai petali bianchi o
più o meno arrossati. Il frutto, ellissoidale o clavato, lungo 4-5 mm,
porta all’apice denti di 1-2 mm persistenti, e nel dorso mostra 5 coste
setolose.
Il cumino, originario di un’area che va
dall’Egitto alla penisola arabica e all’Asia
centrale, si è poi diffuso in tutto il bacino
del Mediterraneo: gradisce un ambiente
soleggiato e un terreno sabbioso, in genere calcareo,
piuttosto arido. Viene chiamato cumino di Malta perché in quest’isola si è spontaneizzato da colture preesistenti.
In Italia si confonde spesso il
cumino con il kummel (Carum
carvi) o cumino dei prati.
Questo, noto anche come cumino tedesco, si trova facilmente in montagna a
un’altitudine intorno ai 1000 m. È una
pianta indigena delle Alpi e dell’Europa
centrale, dove viene anche coltivato.
Come per il suo omonimo orientale, l’impiego del cumino dei prati è prevalemtemente gastronomico e liquoristico. È uno
degli ingredienti principali del liquore
chiamato appunto Kummel. In
Germania ed Olanda viene mescolato
alle farine nella preparazione di pani,
focacce e dolci.
Il cumino viene di solito inserito
nella preparazione del garam
masala, una mistura di spezie
presente in quasi tutti i piatti indiani. Ne
esistono innumerevoli varianti, regionali
e familiari. Il garam masala si aggiunge
in genere come ultimo ingrediente, a fine
cottura, in modo da esaltarne i profumi e
mantenerne inalterate le proprietà digestive.
Il cumino ha proprietà digestive, antispasmodiche e sudorifere. Un infuso preparato con una
decina di grammi di cumino in
circa mezzo litro d’acqua aiuta l’eliminazione dei gas addominali. Masticato,
combatte l’alitosi.
grande considerazione; semi
di cumino sono stati infatti
ritrovati all’interno delle piramidi. Furono proprio gli Egiziani ad
introdurlo a Roma, dove i patrizi ricorrevano ai suoi semi digestivi per concludere
le libagioni.
In Europa la sua popolarità gastronomica
continuò fino a tutto il Medioevo.
ACQUA AL CUMINO
2 cucchiai di semi di cumino
1 litro di acqua
1 peperoncino rosso
5/6 foglie fresche di menta
il succo di 1/2 limone
1 pizzico di sale
1 pizzico di zucchero
Portare l’acqua ad ebollizione.
Nel frattempo tostare i semi di
cumino in padella, facendo
attenzione a che prendano
colore senza bruciare, poi tritarli grossolanamente.
Aggiungere all’acqua il cumino, il peperoncino, la menta il
sale e lo zucchero. Coprire e
lasciare sobbollire dolcemente
per 15 minuti. Versare il succo
di limone e togliere dal fuoco.
Far raffreddare e filtrare.
Fredda, in estate, durante i
pasti, è una gradevole alternativa a succhi di frutta o bevande alcoliche.
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Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione
di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
Per la cucina medio-orientale, il cumino
è la spezia per antonomasia. Viene
ampiamente adoperato nella cucina
greca, e la fa da padrone in quella araba
e turca; da noi lo si incontra in molti piatti siciliani.
Originariamente il cumino era presente
nell’area centroasiatica, in Arabia e nell’alta valle del Nilo, dove era tenuto in
la curcuma
Curcuma longa
Famiglia: Zingiberaceae
La curcuma è una pianta erbacea,
dal rizoma dotato di tubercoli gialli
dalla forma ovoidale o allungata. Le
foglie, lunghe fino a un metro, lanceolate e verdi scuro, dalle nervature evidenti, sono molto decorative.
L’infiorescenza è una spiga densa,
dove i fiori sono circondati e protet-
ti da brattee (foglie modificate) di
colore rosa e verdi che assomigliano
ai petali di un fiore; la corolla è di
colore giallo intenso e tubulare,
divisa in tre lobi quasi uguali. Il
frutto è una capsula divisa all’interno in tre settori, con numerosi piccoli semi.
La curcuma è originaria dell’Asia meridionale; è coltivata in tutte le regioni tropicali,
specialmente in India, Indocina, Indonesia
e Australia.
Dalla curcuma si ottiene una polvere giallo vivo dal
forte potere colorante: un tempo usata in tintoria, oggi
rientra soprattutto nella preparazione di carte speciali
da laboratorio di chimica.
Le ragazze tamil, l’etnia presente nel sud dell’India ed in Sri
Lanka, sono solite tingersi i capelli con la curcuma nel giorno
del loro matrimonio.
Fra i mille colori di un mercato indiano,
il giallo vivace ed intenso della curcuma
è sicuramente un ricordo che resterà
impresso negli occhi del viaggiatore.
La radice della curcuma viene essiccata,
ridotta in polvere e usata come condimento, da sola o in associazione ad altre
spezie, come nella preparazione del curry, il tipico
condimento della cucina
indiana.
La curcuma ha un aroma molto delicato
che la rende adatta ad essere utilizzata
come sostanza di taglio nello zafferano.
AGNELLO AL CURRY
Tagliare l’agnello a cubetti di 3x3 cm, Tritare le cipolle,
l’aglio e lo zenzero. Scaldare l’olio in un tegame d’acciaio e
rosolare la carne, toglierla e soffriggere il trito di erbe.
Rimettere la carne nel tegame, aggiungere l’aceto e le spezie
(tranne il garam masala) bagnare con il brodo, mescolare e
coprire. Lasciar cuocere a fuoco lento per 30 minuti. aggiungere il garam masala. Ultimare la cottura mescolando per
15 minuti a pentola scoperta per far evaporare il liquido in
eccesso.
Servire accompagnado il curry con riso basmati bollito e
verdure bollite.
Le spezie di questa ricetta (escluso il garam masala) possono
essere sostituite da 2 cucchiai di curry in polvere; in tal caso
per la quantità di peperoncino si dovrà tenere conto della
qualità di curry scelto.
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Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione
di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
1 kg di polpa d’agnello disssata
3 cipolle rosse
2 spicchi di aglio
1 pezzo di radice fresca di zenzero
2 di cucchiaini di curcuma in polvere
1 di cucchiaino di semi di coriandolo in polvere
1 di cucchiaino di semi di cumino in polvere
1 di cucchiaino di semi di cardamomo macinati
1 di cucchiaino di peperoncino in polvere
2 di cucchiaini di garam masala
3 di cucchiai di aceto di vino
1/2 litro di brodo vegetale
olio e sale q.b.
il dragoncello
Artemisia dracunculus
Famiglia: Compositae
Piccolo cespuglio, perenne e legnoso alla base, glabro, il dragoncello è
alto poco più di 1 m, e mostra rami
eretti, poco ramificati. Le foglie
inferiori sono suddivise in tre parti,
mentre quelle del resto del fusto
sono intere, lucide, di forma lineare
o lanceolata, lunghe 20-80 mm e larghe 2-10 mm. I fiori sono capolini
del diametro di 2-3 mm, biancastri
con sfumature di verde o di giallo,
penduli, riuniti in pannocchie
fogliose, che ricordano quelle dell’assenzio.
Il dragoncello è originario delle steppe
della Russia meridionale e dell’Asia
Centrale. La sua diffusione per coltivazione è antica ed in Italia ha riguardato specialmente le regioni della pianura padano-veneta, alle
pendici delle Alpi.
Dragoncello deriva dal latino dracontium, e a sua volta
dal greco drakon, drago, serpente. Si crede che questa
pianta sia stata chiamata Artemisia in onore di Diana
Artemide; da ciò le derivava la proprietà di ristabilire il flusso
mestruale; dracunculus significa ‘piccolo drago’ forse perché la
forma del cespuglio ricorda questo mitico animale.
Il dragoncello, detto anche estragone, si è
diffuso in Europa nel Medioevo, quando
veniva usato nei casi di inappetenza e
nelle digestioni difficili; era peraltro considerato un valido alleato nel combattere il
singhiozzo.
In seguito le sue proprietà
terapeutiche sono state
dimenticate ed oggi deve la
sua popolarità esclusivamente all’uso culinario. Fa parte del bouquet gastronomico
francese detto “fines herbes”.
Dalle foglie di dragoncello si estrae un
olio essenziale, il mirtenolo, utilizzato in
medicina per le sue proprietà antisettiche, balsamiche, espettoranti, astringenti e diuretiche.
Per uso interno si inserisce in tisane e decotti contro la tosse e come digestivo.
L’aggiunta di una manciata di foglie di dragoncello all’acqua della vasca da bagno ha un effetto
riequilibratore del sistema nervoso ed emolliente
per pelli delicate e mucose irritate.
100 gr di burro
pepe nero q.b.
sale q.b.
1 pugno di dragoncello
Lessare per qualche minuto in acqua
salata il dragoncello e tritarlo finemente.
Amalgamare il dragoncello al burro
ammorbidito
Unire del pepe nero macinato fresco.
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Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione
di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
BURRO AL DRAGONCELLO
l’erba luisa
Lippia triphylla
Famiglia: Verbenaceae
L’erba luisa, detta anche cedrina, è
un arbusto dall’aspetto esile e ramificato, con fusto e rami chiari, che
può crescere fino ad oltre un metro.
Le foglie sono strette e allungate
con margine intero o lievemente
ondulato, di un colore verde pallido;
sono in genere semplici oppure talvolta riunite a gruppi di 3. I fiori,
molto piccoli e bianchi con sfumature rosate o rosse, sono disposti in
spighe allungate all’apice dei
rametti o all’ascella delle foglie.
L’erba luisa è, in Liguria come nel resto
d’Italia, pianta esclusivamente coltivata.
Proviene dall’America del sud: Argentina,
Cile, Uruguay. Importata in Europa dagli
Spagnoli alla fine del Settecento, l’erba luisa si è rapidamente diffusa in orti e giardini dell’area mediterranea. Ama i terreni ben drenati e piuttosto soleggiati.
La medicina popolare attribuisce all’erba luisa principalmente proprietà aperitive e digestive. Si utilizzano le
foglie, da raccogliere tra giugno e settembre, nella preparazione di tisane che esercitano inoltre una lieve
azione antinevralgica, antispasmodica e sedativa.
LATTE DOLCE FRITTO
ALL’ERBA LUISA
Portare ad ebollizione il latte
con lo zucchero, il limone e l’erba luisa. Aggiungere la farina
continuando a mescolare e
lasciare cuocere per 20 minuti
circa. Aggiungere le uova,
amalgamando bene.
Ungere una teglia dal bordo
basso, versarvi la crema in
modo che raggiunga lo spessore
di circa 4 cm.
Lasciare raffreddare, tagliare
a losanghe, passarle nell’albume montato e pane grattugiato. Friggere in olio extravergine a 160°, cospargere di zucchero a velo e servirlo caldo.
Guarnire con foglie fresche di
erba luisa.
L’erba luisa trova impiego in
cucina. Mettendo un rametto di
foglie di erba luisa in una bottiglia di olio, lo si trasforma in un condimento dal gusto delicato e dal prufumo
lievemente limonoso.
L’aceto di vino bianco aromatizzato con
foglie di erba luisa diviene, soprattutto in
estate, un originale accompagnamento
per fresche macedonie di frutta e può
sostituire l’aceto balsamico sulle fragole o
il porto sul melone..
M’era più dolce starmene in cucina
tra le stoviglie a vividi colori:
tu tacevi, tacevo, Signorina:
godevo quel silenzio e quegli odori
tanto tanto per me consolatori,
di basilico d’aglio di cedrina …
da LA SIGNORINA FELICITA
Guido Cozzano
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di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
1 litro di latte
la buccia grattata di 1 limone
250 gr di farina 00
250 gr di zucchero semolato
4 albumi d’uovo
10/15 foglie di erba luisa tritata
pangrattato q.b.
olio q.b
l’eucalipto
Eucalyptus globulus
Famiglia: Myrtaceae
Questa specie di eucalipto è un
albero alto circa 30 m (fino a 65 m
nel suo ambiente originario), con
tronco eretto e chioma rada, prima
conica poi arrotondata. La corteccia si sfalda in lunghi nastri grigi a
spirale, sotto i quali è visibile il tessuto più giovane, di colore giallognolo o rosato. Le foglie sono sempreverdi e di due tipi: le giovani
opposte, ovate, sessili, grigio-azzur-
re; le adulte alterne, falciformi, picciolate, verdi. I fiori, solitari o a coppie, larghi 2-3 cm, in boccio hanno la
forma di una trottola, ma quando si
aprono fanno apparire un vistoso
ciuffo di stami bianchi (o rossastri),
il cui profumo intenso richiama gli
insetti impollinatori. I frutti sono
capsule legnose, grigiastre, allungate, ricche di oli essenziali.
Tutti gli eucalipti provengono dall’Australia,
dove si contano oltre 800 specie. Questo
eucalipto proviene dalla zona sud-orientale e
dalla Tasmania, e fu introdotto in Europa
con qualche esemplare alla fine del ‘700, e poi in modo
massiccio dalla metà dell’800 in poi, a scopi selvicolturali. È l’eucalipto più resistente alla siccità ed alla salinità dei terreni. Viene impiegato anche per alberature
stradali, frangivento e rimboschimenti (soprattutto
nelle bonifiche di aree paludose).
Dalle foglie della pianta
adulta, raccolte in giugno, si
ottiene un olio essenziale
che contiene eucaliptolo (o
cineolo): dall’olio si ricavano prodotti che hanno funzioni calmanti della
tosse, antisettiche, balsamiche e antiparassitarie.
era dovuta soltanto al notevolissimo assorbimento dell’acqua da parte dell’eucalipto: la
bonifica prodotta da queste coltivazioni
ebbe dunque come effetto collaterale, non
gradito, l’inaridimento dei terreni.
In Liguria, dove non esistono in pratica
aree paludose, i primi eucalipti andarono
ad abbellire i parchi di molte ville nobiliari, divenendo una sorta di status symbol:
se ne ha notizia ad esempio per la villa
Durazzo Pallavicini a Pegli.
Il miele di eucalipto è
fortemente aromatico:
il suo profumo intenso
ed il suo gusto amarognolo lo rendono inadatto ad un
uso dolciario, ma è invece perfetto per i classici usi invernali antiraffreddore.
SUFFUMIGI
ALL’EUCALIPTO
Aggiungere 50 gr di foglie
di eucalipto ad una pentola
d’acqua calda, coprire e
lasciar riposare 10 minuti.
Aspirare il vapore coprendovi la testa con un asciugamano.
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di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
Pensando all’eucalipto la prima cosa che
viene in mente è il suo profumo e la nota
azione balsamica delle sue foglie. Per questo motivo era diffusa la credenza che
tutta la pianta fosse in grado di debellare
la malaria che imperversava nelle pianure
paludose del Centro e del Meridione
d’Italia. Questo favorì l’avvio di piantagioni intensive, inizialmente nell’Agro
Pontino e in Maremma ed in seguito su
tutto il territorio nazionale. Solo più tardi
si capì che la regressione della malattia
il finocchio
selvatico
Foeniculum vulgare
Famiglia: Umbelliferae
volta riunite in ombrelle più grosse.
I piccoli frutti secchi (acheni), ben
conosciuti, sono di colore brunonerastro, con caratteristiche scanalature. Tutta la pianta emana un
odore caratteristico.
Allo stato selvatico il finocchio vive in luoghi sassosi, assolati e aridi, su rupi e vecchi
muri dalla regione mediterranea fino al
piano submontano. La varietà coltivata ha
la parte basale delle foglie ingrossata e di consistenza
carnosa, ma è meno profumata.
FARSI INFINOCCHIARE, nel senso di
“farsi imbrogliare”.
Questo modo di dire deriva proprio dall’uso
che commercianti senza scrupoli ne facevano per
imbrogliare i clienti. L’intenso profumo del finocchio,
infatti, aiutava a mascherare l’odore sgradevole di
tutti quegli alimenti che, non potendo essere affumicati o messi in salamoia, si erano già deteriorati.
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Nota pianta erbacea, il finocchio
selvatico è alto al massimo un
metro. Le foglie sono profondamente e finemente suddivise in lamine
lineari e sottili; i fiori piccoli, gialli,
sono riuniti in ombrellette a loro
Nella cucina inglese il finocchio era già in
uso prima della conquista dei Normanni
(XI secolo) e in tutta Europa accompagnava tradizionalmente il pesce, sia fresco, sia conservato sotto sale. E il pesce
era talmente associato al finocchio che
pare che i poveri nei giorni di digiuno
mangiassero solamente finocchio, mentre
i ricchi mangiavano il finocchio col pesce.
La radice di finocchio era uno degli
aromi del sack, una bevanda a base di
miele diluito con acqua, diffusissima
durante la metà del secolo
scorso.
A Firenze e in buona parte
della Toscana si produce un salume caratteristico, chiamato appunto finocchiona,
aromatizzato con semi di finocchio.
In India a volte il finocchio si usa nella
ricetta dei curry, ma più spesso viene
sfruttato come digestivo.
In tutti i Paesi dell’area medio-orientale vi
è l’uso di masticarlo dopo i pasti per profumare l’alito.
LIQUORE DIGESTIVO
La radice ha proprietà
aperitive ed aiuta ad eliminare i gas intestinali.
I semi, anch’essi aperitivi
e digestivi, hanno inoltre proprietà
toniche generali, blandamente
antidolorifiche, lassative.
È noto il suo uso per aiutare la
montata lattea durante l’allattamento.
1/2 litro di alcool a 95°
70 gr di semi di finocchio
250 gr di zucchero
1 litro di acqua.
Mettere in una vaso a tenuta
ermetica i semi di finocchio e
l’alcool, lasciar macerare il
luogo fresco e buio per circa
20 giorni.
Filtrare l’infuso,
Preparare uno sciroppo facendo sciogliere sul fuoco lo zucchero nell’acqua.
Una volta raffreddato unirlo
all’alcool filtrato.
Imbottigliare e far riposare
almeno due mesi.
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il karkadé
Hibiscus sabdariffa
Famiglia: Malvaceae
de. I fiori sono grandi e numerosi,
con 5 petali rossi (ma ne esistono
varietà di altri colori, e quelle coltivate hanno più petali) e gli stami
saldati a formare la tipica colonnina bianco-giallastra delle Malvacee.
Il karkadé è specie originaria dell’Africa
tropicale (probabilmente dell’area etiopica),
ma diffusa oggi in una larga fascia del
mondo, comprendente l’India, lo Sri Lanka,
le Filippine, il Messico e l’Australia; ama climi caldi
con estati piovose e inverni miti e asciutti.
Il karkadé è una bevanda rinfrescante e dissetante, dal
sapore acidulo; non contiene sostanze eccitanti come
il vero té ed il caffè.
Il karkadé è di recente tornato di moda nelle diete
salutiste, per l’alto contenuto di antiossidanti come la vitamina
C (il doppio rispetto a una aranciata), e per le proprietà diuretiche e digestive.
Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione
di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
Il karkadé, o carcadé, deriva da
diverse specie di ibisco, ma in particolare dalla specie Hibiscus sabdariffa, che ha fusto arbustivo alto 2-3
m, con ramificazioni legnose e resistenti. Le foglie hanno lamina divisa
in 3 lobi, sono verde intenso e ispi-
Dall’infuso dei fiori essiccati di una varietà di ibisco si prepara la bevanda omonima, simile al té. L’abitudine a sorseggiare
questa colorata bibita è molto diffusa
soprattutto nei Paesi caldi.
In Europa questa bevanda è arrivata nel
XVIII secolo, al seguito dei funzionari
statali che rientravano dalle colonie.
In Italia, la fama del karkadè ha raggiunto il suo apice durante il Fascismo.
L’autarchia vietava il consumo di prodot-
ti stranieri, ma dato che
l’Eritrea, dove veniva coltivato l’Hibiscus sabdariffa, era
una colonia italiana, il karkadè era considerato una merce non di importazione ed
il suo consumo era ammesso dalle leggi
protezionistiche vigenti.
Curiosamente, negli Stati Uniti del proibizionismo (anni ‘20-30), l’infuso di karkadè veniva servito, grazie al suo colore,
in sostituzione del l’illegale vino.
RISOTTO ALLE FRAGOLE
In molti dei Paesi in cui
si produce è una bevanda legata alle festività.
Nei Paesi caldi e di tradizione cristiana è la bevanda di Natale. In
quelli orientali la si offre e la si
condivide nelle festività più
solenni.
400 gr di riso
400 gr di fragole mature
50 gr di burro
1 cipolla bianca
1 l di brodo vegetale
10 gr di karkadè
1 bicchiere di vino bianco
1 bicchiere di panna fresca
sale q.b.
Lavare le fragole, tagliarle a pezzi e
metterle in una terrina con 1 bicchiere di vino bianco; lasciare riposare in
frigorifero per almeno 3 ore. Scolare le
fragole e conservare il loro vino.
Preparare 1 litro di brodo vegetale e
aggiungervi il karkadè.
Far imbiondire in un tegame la cipolla tagliata e il burro, aggiungere il
riso e tostarlo a fiamma vivace girandolo perché non si attacchi.
Versare il vino e lasciarlo evaporare.
Coprire il riso con il brodo e continuare ad aggiungerlo un mestolo alla
volta.
Quando il riso è quasi cotto, aggiungere le fragole e la panna mescolando
delicatamente per mantecarlo.
Provincia di Genova - Assessorato Ambiente
la lavanda
Lavandula angustifolia
Famiglia: Labiatae
piuttosto chiaro. Su spighe fiorali
allungate (3-8 cm), lungamente
peduncolate, si trovano diversi
gruppi di 6-12 fiori dalla corolla violacea (fra l’azzurro e il porpora), di
circa 1 cm, sovrapposti e distanziati
a mano a mano che la spiga cresce.
Questa specie di lavanda si trova in luoghi
assolati, pietrosi (è un rappresentante delle
macchie e delle garighe della Liguria,
soprattutto occidentale), ma può giungere
in condizioni di buona esposizione anche a quote elevate (1800 m). La sua diffusione geografica è limitata al
bacino mediterraneo occidentale.
Il nome di “lavanda” deriva, come è
facile immaginare, dal latino lavare,
che ha lo stesso significato in italiano. La lavanda veniva infatti usata dai lavandai per profumare la biancheria, ed era
anche adoperata nelle abluzioni.
Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione
di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
La lavanda è cespuglio di altezza
variabile da qualche dcimertro a
oltre un m, fatto di numerosi fusti
eretti e sottili, legnosi alla base e di
consistenza erbacea in alto, di colore verde grigiastro e pubescenti.
Foglie lineari, lunghe da 2 a 4 cm, in
genere revolute sul bordo, verde
MARMELLATA DI MELE
AL PROFUMO DI LAVANDA
1,5 kg di mele
600 gr di zucchero
1 limone
10 cime fiorite di lavanda
La lavanda, ricca di
oli essenziali, viene
utilizzata soprattutto per usi esterni: è
un buon disinfettante della
pelle e delle mucose orali,
favorisce la cicatrizzazione di
piaghe ed escoriazioni, possiede anche proprietà antireumatiche.
L’uso interno, meno diffuso,
riguarda essenzialmente le
affezioni dell’apparato respiratorio.
Sbucciare e tagliare le mele, privandole del torsolo.
Mettere le mele in una pentola di
acciaio inossidabile, aggiungere 1 bicchiere di acqua.
Tagliare il limone in 4 pezzi e metterlo con le cime di lavanda, in un quadrato di garza o di cotone leggero,
chiudere con uno spago e aggiungerlo
alla mele.
Coprire la pentola e cuocere a fuoco
basso le mele fino ad ottenere una
purea. Spremere e quindi togliere il
sacchetto aromatico.
Aggiungere lo zucchero e far prendere
bollore mescolando continuamente per
sciogliere ed amalgamare lo zucchero.
Bollire per 30 minuti.
Invasare la marmellata quando è
ancora calda, tappare i vasetti e
rovesciarli per migliorarne la tenuta
stagna.
Nel linguaggio dei fiori, la lavanda significa “diffidenza”.
Ciò si spiega con la frequente
presenza di un gran numero di api e cala-
broni in prossimità della lavanda durante
la fioritura e della conseguente cautela
con la quale è meglio avvicinarsi alla
pianta.
Un sacchetto di fiori di lavanda al
collo era considerato un portafortuna: propiziava la purificazione, la
felicità, l’amore, la pace.
Provincia di Genova - Assessorato Ambiente
la maggiorana
Origanum majorana
Famiglia: Labiatae
Basso cespuglio (da 20 a raramente
60 cm), la maggiorana ha fusto
pubescente (con peluria fine) di
colore grigio-bruno. Le foglie, verde
grigio, sono ovate oppure ovato-lanceolate, in genere di 1-2 cm, provviste di picciuolo, con lamina a base
ottusa o arrotondata. I fiori hanno
una corolla bianca o rosea, di
dimensioni molto piccole, e sono
raggruppati in spighe molto dense
ovate, in cima a peduncoli fiorali.
Sia le foglie che le cime fiorali sono
intensamente aromatiche.
In Italia la maggiorana è sempre coltivata, e raramente tende a spontaneizzarsi.
Il suo habitat originario riguarda le zone
subdesertiche di un areale piuttosto esteso, che va dal Nordafrica alla regione dell’Indo.
I Greci ritenevano la maggiorana
un dono di Afrodite e quindi la
associavano all’idea di felicità
coniugale: con la maggiorana si intrecciavano corone poste sul capo degli sposi durante le cerimonie nuziali, come augurio.
Pare che gli Egizi conoscessero già più di
settecento medicamenti di natura sia
vegetale che animale: tra le piante c’era
anche la maggiorana. È tuttora usata
dagli abitanti del Nord Africa contro la
dissenteria.
Gli antichi Greci ne facevano uso sia per
curare le malattie che per preparare profumi e cosmetici.
Molto in voga all’epoca romana erano le
Terme, dove si potevano fare bagni e
saune nelle cui acque erano versati profumi e vini speziati. Dopo i bagni, che inaridivano un po’ la pelle, ci si trasferiva
negli “Unctoria”, dove si facevano frizioni e massaggi con oli profumati e unguen-
ti a base di erbe aromatiche.
A Pompei, in un affresco
della Casa dei Vetii, viene
raffigurata la preparazione degli oli
cosmetici. Uno dei più noti unguenti dell’antichità era il “Reale unguentum”, già
apprezzato sia dai Babilonesi che dagli
Egizi. Nella composizione di questo preparato entrava anche la maggiorana.
Dal Medioevo la maggiorana fu sempre
coltivata negli orti europei; pare che le sue
foglie strofinate sui mobili e sui pavimenti
di legno li rendano particolarmente
lucenti; foglie e fiori racchiusi in sacchetti
di cotone profumano delicatamente la
biancheria.
FUSILLI AL PESTO
DI MAGGIORANA E SALVIA
Mettere a bollire l’acqua per la pasta e
nel frattempo riunire gli ingredienti in
una zuppiera, mettendo da parte 1 cucchiaino di pinoli e l’olio.
Con il mixer a immersione frullare il
tutto, aggiungendo 2 cucchiai di acqua
calda per amalgamare meglio gli ingredienti. Incorporare l’olio a filo, mescolando fino a completo assorbimento.
Al momento di servire la pasta, guarnire con i pinoli rimasti.
Provincia di Genova - Assessorato Ambiente
Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione
di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
300 gr di fusilli
1 mazzetto di maggiorana
1 mazzetto di salvia
40 gr di pinoli,
1 spicchio d’aglio
50 gr di grana grattugiato
50 gr di pecorino sardo grattugiato
1 bicchiere di olio extravergine
la melissa
Melissa officinalis
Famiglia: Labiatae
nano un caratteristico odore dolciastro. I fiori, dalla struttura bilabiata
tipica di questa famiglia, hanno una
corolla di un rosa più o meno sbiadito, e compaiono all’ascella delle
foglie. I frutti sono acheni (frutti
secchi) piccoli, duri e quasi neri.
La melissa cresce spontanea dalla zona
mediterranea a quella montana, nei prati
non aridi, nei boschi, nei luoghi freschi ed
ombrosi di buona parte dell’Europa centro-meridionale e dell’Asia occidentale.
Il nome greco di MÈLISSA è
sinonimo di “ape”, e deriva a
sua volta da MÈLI, cioè
“miele”, a sottolineare la vocazione mellifera che caratterizza questa profumata
erba officinale.
Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione
di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
La melissa è una pianta erbacea a
fusto alto fino a 30 cm, si presenta in
genere in gruppi di individui numerosi e compatti. Le foglie picciolate,
ovali, rugose, dal margine a denti
arrotondati, sono più grandi alla
base del fusto e più piccole nella
parte superiore; se strofinate, ema-
Ecco una pianta il cui uso è antico e diffuso in tutta l’area mediterranea. I Greci,
nel darle il nome, evidenziarono una delle
caratteristiche che la rende ancora oggi
una preziosa alleata degli apicoltori: il suo
delicato ma persistente profumo ed i suoi
fiorellini bianco rosati sono fra i prediletti
dalle api; non è raro trovare questa piantina vicino agli alveari.
Ma furono gli Arabi a scoprirne le virtù
terapeutiche ed a diffonderle sostenendo
che la melissa “ha la meravigliosa proprie-
Uno degli impieghi più efficaci della melissa riguarda
disturbi della digestione, grazie ad un’azione calmante,
antispasmodica e carminativa, che ne
fanno una preziosa alleata in caso di
coliche.
TISANA RILASSANTE
Aggiungere ad una tazza di acqua
bollente 1 cucchiaino di foglie secche di melissa. Lasciar riposare per 15 minuti. Filtrare e dolcificare con miele.
tà di rallegrare e confortare il
cuore”, riferendosi alla sua
azione calmante e rilassante.
Nei secoli, speziali e monaci prima e
medici dopo, hanno sfruttato queste
caratteristiche nella cura di stati ansiosi,
disturbi del sonno, astenie.
Il famoso liquore francese Bénédictine,
caratterizzato dalla presenza delle melissa
fra i suoi ingredienti, fu in realtà creato da
un monaco benedettino italiano come
digestivo.
INSALATA DI FUNGHI
E MELISSA
300 gr di champignon
300 gr di insalata valeriana
2 mele
1 peperone giallo piccolo
1 scalogno
3 cucchiai di melissa tritata
1 cuore di sedano
1 carota
50 gr di formaggio grana a scaglie
1 scalogno
olio e aceto q.b.
Preparare una vinaigrette con 3
parti di olio, 1 parte di aceto, lo
scalogno tritato finemente, 1 cucchiaio di melissa.
Mescolare la valeriana con la
melissa rimasta. Tagliare le mele
a dadini, i funghi e il sedano a
fettine sottili, il peperone e la
carota a julienne.
Condire con la vinagrette, guarnire con le scaglie di grana.
Provincia di Genova - Assessorato Ambiente
il mirto
Myrtus communis
Famiglia: Myrtaceae
Arbusto sempreverde, il mirto ha
un portamento frondoso e compatto; possiede foglie semplici, dure,
dalla pagina superiore lucida e
riflettente, di forma lanceolata, con
l’apice a volte pungente. I fiori sono
bianchi a 5 petali, con molti stami.
I frutti sono bacche di circa 1 cm,
dapprima verdi poi nere dalle sfumature violacee, che maturano alla
fine dell’autunno. Tutta la pianta
emana un odore caratteristico, resinoso, simile a quello dell’eucalipto e
della canfora.
Tipico rappresentante della macchia mediterranea, il mirto si trova anche nel sottobosco delle pinete, delle leccete ed anche di
alcuni castagneti, specialmente di quelli
fortemente diradati dal passaggio del fuoco.
Il mirto è una pianta dai molti
usi. I tannini estratti dalle sue
foglie vengono impiegati nella
concia delle pelli che diventano perciò
particolarmente morbide.
Il suo legno compatto e odoroso viene
utilizzato per la realizzazione di preziosi
lavori al tornio..
L’olio estratto dalle bacche di mirto viene
usato in molti preparati di profumeria e,
fin dal Medioevo, i profumieri ottengono
dai suoi fiori un’essenza profumatissima
chiamata “acqua degli angeli”.
Le sue sue bacche nere trovavano impiego anche come colorante per tessuti e
come inchiostro.
LIQUORE AL MIRTO
1 litro di alcool a 90°
400 gr di bacche di mirto
500 gr di zucchero
1 litro di acqua
Raccogliere le bacche in dicembre, metterle in infusione in
alcool in un vaso ben chiuso e
far riposare per 40 giorni in
un luogo buio.
Preparare uno sciroppo sciogliendo, a fuoco basso, acqua e
zucchero e lasciarlo raffreddare completamente.
Filtrare l’alcool e unirlo allo
sciroppo.
Imbottigliare il liquore che può
essere bevuto anche subito.
delle donne sposate per mantenere vivi il desiderio e la
fantasia nei rapporti amorosi.
Come l’altro importante e diffuso sempreverde, l’alloro, anche il mirto cominciò
ad accompagnare le premiazioni degli
atleti e ad incoronare i guerrieri al ritorno
vittorioso dalla battaglia.
Ancora in tempi più recenti la fama dei
suoi poteri magici ed esoterici lo hanno
reso protagonista di credenze e tradizioni
popolari, diffuse in tutta Europa e legate
alla longevità.
Dalle foglie si estrae un
olio essenziale, il mirtenolo, utilizzato in medicina
per le sue proprietà antisettiche, balsamiche, espettoranti,
astringenti e diuretiche.
Per uso interno si inserisce in tisane
e decotti contro la tosse e come
digestivo.
L’aggiunta di una manciata di foglie
all’acqua del bagno ha un duplice
effetto: riequilibratore del sistema
nervoso ed emolliente per pelli delicati e mucose irritate.
Provincia di Genova - Assessorato Ambiente
Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione
di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
Il mirto, probabilmente anche per il suo
inebriante profumo, è una delle piante
simboleggianti l’amore nella sua accezione più pura; nella cultura dell’antica
Grecia era quindi dedicato a Venere,
come la rosa. La sua presenza caratterizzava le cerimonie dedicate alla dea,
durante le quali veniva bruciato come un
incenso.
I ramoscelli di mirto erano talismani:
adornavano la fronte e la casa delle giovani spose a testimonianza e garanzia della
loro verginità; cingevano polsi e caviglie
la nepetella
Calamintha nepeta
Famiglia: Labiatae
Le infiorescenze sono poste in cima
a fusti eretti, portanti da 10 a 20 fiori
piuttosti piccoli; le corolle a due
labbra sono bianche, rosee o lilacine. La pianta ha odore delicato e
gradevole.
La nepetella è frequente nei luoghi selvatici, erbosi, assolati, ai margini di sentieri
e coltivazioni, dall’orizzonte mediterraneo a quello submontano. Si trova in tutta
l’area mediterranea.
Il nome di questa specie deriva
dal latino NEPETA, derivato a
sua volta da NEPA, che significa scorpione. Viene detta così perché si
riteneva in grado di guarire dal morso
degli scorpioni.
Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione
di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
La nepetella è una pianta erbacea
con numerosi fusti di 40-80 cm, in
genere ramificati e tendenti verso
l’alto. Le foglie ovate o romboidali,
crenate e arrotondate all’apice, di
un verde chiaro con sfumature
grige, sono ricoperte di fine peluria.
L’antica medicina riteneva la
nepetella capace di guarire dai
morsi dei serpenti e di tenerli
lontani dalle case.
Veniva considerata efficacissima contro le
itterizie (trabocchi di fiele) e dotata di
proprietà quasi magiche: in un vecchio
testo si legge che “...le fronde pestate e
applicate sulla natura delle donne con
lana provocavano i mestrui e ammazzano
le creature”.
Godendo di una supposta fama afrodisiaca, veniva usata per aromatizzare un vino
che si riteneva avesse tali proprietà.
La medicina moderna riconosce agli oli
essenziali della nepetella solo un discreto
potere eccitante sul sistema nervoso,
tanto che abbondanti bevute di infusi
possono provocare tachicardia.
Talvolta, in cosmesi, la nepetella viene
impiegata unitamente ad altre erbe aromatiche, per preparare bagni tonificanti.
Il suo aroma intenso ricorda
quello della menta a cui è spesso, erroneamente, assimilata (nel
centro Italia è infatti nota con il nome di
“mentuccia”).
Sono invece numerose le specie di mente
selvatiche (o mentastri) presenti nella
nostra flora spontanea: ve ne sono a
FUNGHI TRIFOLATI
1 kg di funghi
4 spicchi d’aglio
20 foglie (2 rametti) di nepetella
sale e pepe q.b.
olio extravergine di oliva q.b.
I funghi non devono essere
lavati. Per pulirli strofinare la
cappella del fungo con una
spugna umida.
Staccare il gambo e rimuovere
con un coltellino la parte basale più terrosa.
Tagliare cappelle e gambi a
dadi di 2x2 cm.
Mettere l’olio in una padella
capiente, aggiungere l’aglio,
poi i funghi e la nepetella.
Lasciare cuocere a fiamma
bassa per 15/20 minuti.
Salare e servire ben caldi.
foglia rotonda (Mentha rotundifolia), a foglia
lunga (Mentha longifolia), con l’infiorescenza a spiga (Mentha spicata), e poi ancora la
menta acquatica, la menta poleggio,
eccetera. Sono tutte specie di ambienti
molto umidi, a differenza della nepetella.
La menta piperita invece è solo specie
coltivata, prodotto di ibridazione.
Provincia di Genova - Assessorato Ambiente
la noce moscata
Myristica fragrans
Famiglia: Myristicaceae
maschili separate da quelle femminili. Il frutto, a forma di pera, contiene un unico seme, la noce moscata appunto, circondato da un arillo
(una specie di guscio) sfrangiato,
dalla tonalità tra il beige e il rosa
intenso, messo in commercio sotto
il nome di macis.
La noce moscata è una specie coltivata nelle
zone tropicali, originaria delle isole
Molucche (Indonesia). Ama terreni ben drenati, con una piovosità alta e distribuita per
tutto l’anno, e soffre temperature più basse di 27°C.
La spezia nota come macis altro
non è che la membrana protettiva in cui è contenuta la noce
moscata. Può essere venduta a parte o
insieme alla stessa noce, e contiene gli
stessi principi e virtù.
Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione
di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
La noce moscata è un albero sempreverde di 8-10 m di altezza (ma
può raggiungere i 15 m), dal legno
odoroso. Le foglie sono semplici,
ovate, di consistenza cuoiosa. I fiori
sono di colore giallo-pallido dai
riflessi cerosi, molto profumati
sono riuniti in infiorescenze, quelle
La presenza di questo piccolo “uovo”
legnoso e scuro nella cucina italiana è così
consueta da far considerare la noce
moscata come un ingrediente dalle tradizioni antiche. In realtà, escludendone le
piccole e preziosissime quantità importate dalle carovane Arabe a partire dal VI
secolo, il suo ingresso fra le spezie commerciate sul Vecchio Continente risale
solo al XVI secolo, con la scoperta delle
rotte orientali da parte dei Portoghesi. In
Europa la noce moscata si diffuse rapidamente, facilitata dal profumo inebriante e
dalla conseguente fama, in verità dubbia,
di potente afrodisiaco.
L’abitudine al consumo di noce moscata
da parte dei marinai (spesso galeotti), sulle
navi che trasportavano le spezie, al fine di vincere la stanchezza, stimolarono i medici
del tempo a studiarne le caratteristiche: fu
così scoperta la sua blanda azione allucinogena come pure il suo effetto euforizzante. Queste doti ne suggerirono inizialmente l’impiego in preparati contro svenimenti e malori.
A fare la fortuna della spezia nella gastronomia di tutto il mondo fu invece il suo
inconfondibile aroma. A differenza di
molte spezie, la noce moscata non risente
della cottura; questa prerogativa ha favorito il suo impiego in ogni portata del
menu, dall’antipasto al dolce.
ALEXANDER
Potenzialmente tossico, il
principio attivo contenuto
nella noce moscata non trova
un effettivo impiego in campo
medico. Anzi, il suo stesso uso in
gastronomia deve risultare sempre
dosato in quantità modeste, per evitare
forme di intossicazione, anche se non
grave.
1/3 di panna liquida
1/3 di crema di cacao
1/3 di brandy
noce moscata macinata q.b.
Mettere 4-5 cubetti di ghiaccio nello shaker.
Aggiungere gli altri ingredienti.
Agitare bene per 6-8 secondi e
versare nel bicchiere.
Aggiungere un pizzico di
noce moscata in superficie
prima di servire.
Nota
Creato a Londra nei primi del
‘900, per il suo gusto morbido
l’Alexander non è consigliato
come aperitivo, ma è ideale
per il dopo cena.
Provincia di Genova - Assessorato Ambiente
l’origano
Origanum vulgare
Famiglia: Labiatae
L’origano è un’erba dal fusto eretto
ascendente, arrossato e ramoso
specialmente in alto, un poco peloso, alta fino mezzo metro; generalmente si presenta in gruppi di più
individui. Le foglie sono picciolate
dalla lamina lanceolata, di dimen-
sioni variabili da 2 a 4 cm. Ha una
infiorescenza densa fatta di fiori
piccoli, raggruppati e circondati da
brattee (foglie modificate) violacee;
il singolo fiore ha calice dentato e
corolla rosea.
L’origano è comune su tutto il territorio italiano, dove in vive in luoghi sempre luminosi: radure, prati anche sassosi, margini di
sentieri. È diffuso in buona parte
dell’Europa e dell’Asia minore, dove vive dal livello del
mare fino a quote anche piuttosto elevate (1700 metri).
Parlare di origano, in Italia, evoca immagini di forni a
legna, di fragranti dischi di pane coperti da pomodoro,
mozzarella e quant’altro venga voglia di metterci sopra.
Insomma: origano è uguale a pizza. Pochi sanno però che l’uso
dell’origano per condire la pizza ha un’origine relativamente
recente. Nelle prime ricette in cui si parla di pizza la spezia era la
maggiorana, che fu soppiantata dall’origano solo a fine ‘800.
Già nell’antico Egitto erano note le proprietà curative, disinfettanti e conservanti
dell’origano.
I Greci lo hanno chiamato oros ganos (gioia
della montagna). Gli sposi si facevano
incoronare con ghirlande di origano,
mentre le stesse piantine venivano coltivate sulle tombe per favorire il riposo e la
pace dei defunti.
Secondo il filosofo Aristotele,
le tartarughe che ingoiavano
un serpente, mangiavano
immediatamente dell’origano per combattere il veleno.
In tutta l’area del Mediterraneo, dove cresce abbondante, l’origano viene impiegato in cucina, nelle preparazioni di insalate, torte, focacce e conserve salate.
MELANZANE SOTT’OLIO
Scegliere delle melanzane piccole dalla
forma allungata, spuntarle, lavarle e
tagliarle a rondelle spesse 1/2 cm.
Cospargerle di sale grosso e farle spurgare della loro acqua in uno scolapasta
per una notte. Sciacquare ed asciugare.
Portare a ebollizione l’aceto ed il vino,
tuffarvi le melanzane per non più di 23 minuti.
Scolatele, stendetele ad asciugare su di
un canovaccio pulito per almeno 12 ore.
Invasate le melanzane spolverizzandole con l’origano, gli spicchi di aglio a fettine, e del peperoncino rosso a pezzetti.
Ricopritele con l’olio facendo attenzione a non lasciare bolle d’aria. Chiudere
ermeticamente ogni vaso, conservate in
luogo fresco e buio aspettando circa un
mese prima di assaggiarle.
L’origano risulta
come pianta officinale: si usa infatti
per combattere i
disturbi gastroenterici di origine
nervosa perché è capace di stimolare la secrezione dei succhi
gastrici.
Provincia di Genova - Assessorato Ambiente
Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione
di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
1/2 kg di melanzane piccole
500 ml di aceto di vino bianco
500 ml di vino bianco
sale
olio di oliva
origano
2 spicchi di aglio
peperoncino rosso
il patchouli
Pogostemon cablin
Famiglia: Labiatae
Il patchouli è una pianta erbacea
annuale, ramificata, alta da 50 a 80
cm, dal fusto porporino e provvisto
di fine peluria. Le foglie sono opposte, verdi piuttosto chiaro, dalla
forma ovata lunga 10 cm e larga 7-8,
apice acuto e margine doppiamente
crenato; hanno un profumo intenso
e una consistenza molle; il picciolo
è verde, finemente peloso, con sfumature rosse e scanalato. I piccoli
fiori bianco-rosati, dalla struttura
bilabiata tipica della famiglia, sono
riuniti in infiorescenze allungate e
piuttosto dense.
Il patchouli è una pianta originaria della
Malesia (penisola della Malacca), che la coltiva ampiamente; altre colture sono localizzate nelle Filippine, nelle Indie Occidentali
e in Paraguay. Predilige terreni ricchi d’acqua e climi
costantemente caldi.
L’olio essenziale del patchouli si
ottiene per distillazione dei germogli e delle sommità fiorite. Un
altro processo di estrazione consiste nella
fermentazione delle foglie. L’essenza di
patchouli, famosa per il suo aroma inten-
so e un po’ saponoso, ha trovato per molti
decenni impiego in profumi cipriati, boisés e dal gusto orientaleggiante. Con
l’evoluzione delle mode la sua presenza
nella profumeria occidentale è stata soppiantata da nuove fragranze.
Nella nostra industria alimentare l’essenza di patchouli non
trova impieghi, contrariamente
a quanto succede in Asia, dove col patchouli si aromatizzano caramelle e altri
prodotti che aiutano a mascherare i problemi di alitosi.
BAGNO RIEQUILIBRANTE
In Giappone e in Malesia
(sua zona di origine) si attribuiscono al patchouli proprietà che ne fanno un antidoto contro il
veleno dei serpenti.
Per la medicina ayurvedica il patchouli ha
doti rigeneranti ed afrodisiache e la sua
fragranza possiede una notevole energia
tonificante che allontana la stanchezza ed
il torpore fisico e spirituale.
Fra le proprietà del patchouli vi è sicuramente
quella cicatrizzante: per
questo, in occidente, l’olio
essenziale di patchouli rientra quasi
esclusivamente nelle preparazioni
dermo-cosmetiche.
I suoi principi attivi, e la tollerabilità
anche per pelli delicate, ne fanno un
eccellente ingrediente per creme
antirughe.
Mettere in un fazzoletto di cotone
o di lino 20 gr di foglie secche di
patchouli e chiuderlo con un pezzetto di spago.
Legare il sacchetto al rubinetto e
far scorrere acqua molto calda
Lasciare il sacchetto in ammollo ed
immergersi nella vasca.
Massaggiare delicatamente la
pelle con il sacchetto.
Provincia di Genova - Assessorato Ambiente
Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione
di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
Nelle regioni di provenienza, l’uso del
patchouli è tuttora diffusissimo.
In tutta l’Asia le foglie seccate sono utilizzate per curare reumatismi, mal di testa,
nausee, dolori addominali.
Il suo inconfondibile aroma pervade spesso gli ambienti pubblici e domestici, in
quanto la medicina tradizionale ritiene
che agisca sull’equilibrio fisico e abbia un
effetto positivo sulla psiche.
il pepe
Piper nigrum
Famiglia Piperaceae
La pianta di pepe è un arbusto che
può arrivare fino a 4 m di altezza,
dal portamento rampicante. Le
foglie sono ampie, verde scuro, a
margine intero e percorse da tre
nervature principali. I fiori sono
piccoli, privi di petali e sepali ma
muniti solo di qualche brattea
(foglia modificata) protettiva; sono
riuniti in infiorescenze a spiga,
dalle quali si sviluppano infruttescenze pendule. Il frutto è una piccola drupa, verde da acerba, rossa a
maturazione, dalla polpa sottile,
contenente un solo seme.
Originario delle foreste tropicali, dell’India
meridionale (e forse anche dell’Indocina), il
pepe viene oggi coltivato in tutta l’Asia sudorientale, e in molte altre parti del mondo,
come nelle Indie occidentali, in Brasile, in Kenya e in
Madagascar.
1 grani di pepe, pur essendo di
colore diverso, sono i frutti della
stessa pianta, il Piper nigrum.
Il pepe nero, dal sapore più piccante, si
ricava dal frutti ancora acerbi, staccati
dalla pianta ed essiccati al sole.
Il pepe bianco ha sapore più delicato e si
ottiene dai frutti maturi, di colore rosso,
che vengono privati dei pericarpo (la
parete dei frutto che circonda i semi)
dopo essere stati fatti macerare in acqua.
Il pepe verde è ottenuto da frutti acerbi
conservati in salamoia o essiccati, ha un
sapore delicato e la polpa carnosa.
Raccontare in poche righe la storia del “re
delle spezie” non è facile: il commercio del
pepe in molti casi ha influenzato la Storia,
grazie alla capacità di questa spezia di conservare le derrate alimentari dalla decomposizione, a partire dalle carni.
Arrivato a Roma nel corso del I secolo
d.C., il pepe acquistò rapidamente fama
e prestigio. La difficoltà di trasportarlo
senza danneggiarne i grani con l’umidità lo resero prezioso, al punto di farlo
divenire una merce di scambio equiparabile all’oro.
La lotta per il monopolio del mercato del
pepe coincise con la caduta
dell’Impero Bizantino.
Venezia, controllando la via
della seta, divenne una sorta di agente
unico dell’importazione e lo rimase a
lungo, nonostante i tentativi di Genova di
contenderle il primato.
Fino al XVI secolo l’uso del pepe rimase
appannaggio delle classi elevate, quando,
con l’arrivo di specie meno pregiate e
l’apertura di nuove vie commerciali, il
pepe entrò nella cultura popolare divenendo l’insostituibile ingrediente che
ancora oggi conosciamo.
IL PEPOSO
Tagliare a in dadi di circa 3 cm il muscolo di
manzo, e adagiarla in una ciotola.
Aggiungere ad un bicchiere di chianti 1 cucchiaio di pepe nero, le foglie di alloro spezzate, i chiodi di garofano, il ginepro, lo spicchio
d’aglio e la cipolla tagliati finemente.
Versare la marinata così ottenuta sulla
carne e lasciar riposare per 2 ore.
Scolare la carne mettendo da parte la marinata.
Scaldare in un tegame mezzo bicchiere di
olio di oliva e rosolare la carme, aggiungere
la marinata, il concentrato di pomodoro e il
resto del vino. Coprire e far cuocere a fuoco
medio per 2 ore.
Provincia di Genova - Assessorato Ambiente
Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione
di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
Il pepe rosa è in
realtà il frutto, dal
colore rosa intenso, della specie Schinus
molle, una pianta arborea
della stessa famiglia del
pistacchio, originaria del
Sudamerica e diffusa da
noi soprattutto come specie ornamentale.
1 kg di muscolo di vitellone
1 grossa cipolla rossa
2 cucchiai di pepe nero macinato
1 cucchiaio di concentrato di pomodoro
4 foglie di alloro
1 spicchio di aglio
2 chiodi di garofano
4 bacche di ginepro
1 l di vino chianti
1/2 bicchiere di olio d’oliva
il sandalo
Santalum album
Famiglia: Santalaceae
lanceolata e apice acuto. I fiori,
bianchi o giallastri, sono riuniti in
grappoli all’ascella delle foglie o in
cima ai rametti. I frutti sono drupe
di medie dimensioni.
Il sandalo è una pianta indigena della regione indo-malese, da cui è stata esportata e
coltivata anche in Cina e Sudamerica; vive
nelle foreste equatoriali dal clima permanentemente caldo e umido.
Il prezioso ed aromatico olio di sandalo si ottiene dalla distillazione della parte centrale del
tronco e delle radici.
Malgrado i suoi 4000 anni di storia, l’essenza è apparsa
nella profumeria moderna solo nell’ultimo secolo.
L’olio di sandalo viene oggi utilizzato in cosmetica, frequentemente mescolato con altre sostanze (ad esempio il
burro di karité e il burro di cacao).
Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione
di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
Il sandalo è un albero alto una decina di m, capace di parassitare con le
sue radici le radici di altri alberi; ha
un legno di color giallo pallido, dal
caratteristico odore muschiato. Ha
foglie opposte e picciolate, di forma
L’uso del legno di sandalo ha
avuto origine in India, dove gli
alberi crescono spontanei. Il suo
successo è legato alla credenza di poter
placare la parte razionale della mente,
consentendo di entrare in rapporto con
gli stadi più profondi del proprio essere.
L’incenso prodotto dal sandalo è usato
appunto come aiuto per la meditazione.
A queste mistiche peculiarità del legno di
sandalo si riferisce anche il suo impiego,
sin dall’antichità, nella realizzazione di
strumenti musicali e profumati arredi
sacri e profani.
PERE AL VINO AROMATICO
1 kg di pere
1 l di vino
1/2 cucchiaino di cannella
10 chiodi di garofano
1 limone (scorza grattugiata)
1/2 cucchiaino di legno di sandalo sminuzato
200 gr di zucchero,
1 tocco di zenzero.
Mettere il vino in un tegame con la cannella, i chiodi di garofano ed il limone.
Sbucciare le pere, togliere il torsolo e cuocerle intere a fuoco lento nel vino speziato,
già caldo, per 15 minuti. Dopo avere tolto le
pere dal vino filtrarlo, aggiungervi lo zucchero e la punta di 1 cucchiaino di zenzero
e far ritirare fino ad ottenere uno sciroppo
abbastanza denso.
Glassare le pere con lo sciroppo, tenendone
un po’ da parte.
Disporre le pere a piramide e colarvi sopra
il resto dello sciroppo.
Nel campo della magia e delle scienze esoteriche,
si ritiene che le fumigazioni di legno di sandalo
aiutino a fortificare la volontà e a sviluppare la
conoscenza. In astrologia, a questa pianta, posta
nella sfera di influenza del pianeta Venere, si attribuisce la
capacità di favorire la nascita degli amori.
Provincia di Genova - Assessorato Ambiente
la santoreggia
Satureja montana
Famiglia: Labiatae
genti, dal colore verde scuro; se sfregate, emanano un odore aromatico
piuttosto forte. I fiori, di dimensioni
inferiori a un cm, sono di colore
bianco o roseo, raccolti in gruppetti
di 2-7 in cima ai fusti.
La santoreggia selvatica vive in luoghi sassosi e rocciosi lungo i rilievi, in zone collinari e montane (anche comunque a basse
quote), specialmente su terreni calcarei e
comunque non acidi.
Affine alla santoreggia selvativa è la
Satureja hortensis, la santoreggia coltivata, che differisce dalla precedente
per le foglie principali molto più lunghe, per
il colore complessivo della pianta più tendente al violetto ed i fiori più numerosi. In
Italia è esclusivamente coltivata, allo stato
spontaneo si trova in Asia occidentale su terreni calcarei.
Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione
di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
La santoreggia che cresce spontanea
nelle nostre regioni è una pianta
perenne a fusto legnoso quadrangolare, alto da 10 a 40 cm, ramoso. Le
foglie sono coriacee, lucenti, strettamente lanceolate, acute quasi pun-
La santoreggia, bevuta in decotti e tisane, può essere d’aiuto
nelle affezioni gastro-intestinali
(vomito, diarrea, gas intestinali) e
negli stati di astenia generale. Ha inoltre
proprietà cicatrizzanti, che la rendono un
valido aiuto in caso di ferite e piaghe.
Ecco la ricetta:
Bollire 40 gr di foglie di santoreggia in 1 litro di
acqua. Far raffreddare, filtrare e utilizzare per
lavare le ferite e per fare impacchi di almeno 15
minuti per 2-3 volte al giorno.
CREMA DI PISELLI E LATTUGA
1 cespo di insalata lattuga
300 gr di piselli secchi
1 porro
10 foglie di santoreggia
olio d’oliva q.b.
Lasciare in ammollo i piselli per circa 12
ore, poi lessarli.
Stufare il porro con poco olio.
Passare entrambe le verdure nel mixer.
Aggiungere al composto la lattuga tagliata
a striscioline e portate ad ebollizione in un
tegame basso.
Togliere dal fuoco e unire la santoreggia,
sminuzzandola.
Irrorare con un filo d’olio e servire con crostini di pane abbrustolito.
La santoreggia era conosciuta dagli antichi Romani col nome di Satureja = Erba dei
satiri, per la sua pelosità che richiamava
quella dei satiri, ma anche per le sue supposte proprietà afrodisiache, tanto che si
raccomandava moderazione
nel suo consumo, per non
correre il rischio di scatenare
una sessualità smodata ed incontrollabile
(satirismo).
Provincia di Genova - Assessorato Ambiente
il tiglio
Tilia europaea
Famiglia: Tiliaceae
scenti, bianco-giallastri, sono molto
profumati e compaiono in maggiogiugno. I frutti piccoli, duri, verdegiallo, sono posti in cima a un lungo
picciolo ed uniti ad una foglia modificata (brattea), di consistenza cartacea, utile per la disseminazione
ad opera del vento.
Il tiglio selvatico cresce sporadico nei boschi
misti di latifoglie del piano collinare e talvolta montano, dove preferisce terreni calcarei.
Sopporta anche inverni piuttosto rigidi ed
estati calde (climi continentali). La specie selvatica è
molto diffusa in tutta l’Europa, dalla Spagna al
Caucaso. In Italia è frequente soprattutto nelle zone
centrali e settentrionali, dal piano fino ai 1500 m di altitudine.
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di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
Il tiglio selvatico è un albero di
medie dimensioni (10-20 m), dalla
chioma espansa, verde chiaro, e
dalla corteccia con tipiche scanalature longitudinali, un poco inclinate
e incrociate. Le foglie sono cuoriformi, seghettate, leggermente ispide,
più lucide sopra e più chiare sotto. I
fiori, a gruppi di 2-3, poco appari-
Al tiglio la tradizione attribuisce
proprietà spasmolitiche, vasodilatatrici, ipotensive, epato-protettrici... insomma, una vera
panacea. La ricerca scientifica non ha
confermato completamente le virtù terapeutiche di questa pianta, ma le riconosce
un’azione rilassante ed espettorante.
L’infuso di fiori di tiglio è
forse la più nota tra tutte le
tisane: serve a conciliare il
sonno, a calmare la tosse e a favorire la
digestione. Questa è la ricetta:
20 gr di fiori di tiglio
250 ml di acqua (1 tazza)
Bollire l’acqua, aggiungere i fiori e lasciar riposare
per 10 minuti.
Filtrare, dolcificare a piacere (meglio il miele dello
zucchero) e bere subito.
La specie coltivata e usata
nelle alberature stradali è in
realtà Tilia platyphyllos, risultato dell’incrocio del tiglio selvatico con
il tiglio americano (Tilia americana). Il
tiglio selvatico si distingue dall’ibrido
per le foglie più piccole, biancastre
nella pagina inferiore e per le nervature meno sporgenti del frutto.
Viene citato anche più di un uso esterno
del tiglio, sempre in decotto: i suoi fiori
vengono aggiunti all’acqua del bagno
allo scopo di alleviare la stanchezza e
diminuire la tensione nervosa; inoltre, si
applica in impacchi caldi sullo stomaco e
sull’addome per calmare i dolori gastritici e colitici.
LIQUORE DI TIGLIO
500 gr di alcol a 95°
60 gr di fiori di tiglio
15 gr di tè
5-10 bacche di ginepro
10 fiori di camomilla
la scorza di 1 arancia
200 gr di zucchero
1 l di acqua
In un capace recipiente di
vetro a chiusura ermetica,
mettere l’alcool e le erbe.
Lasciare macerare per 15 giorni in un luogo buio e fresco,
scuotendo il recipiente ogni
tanto.
Trascorso questo periodo preparare uno sciroppo facendo
sciogliere a fuoco medio 200
gr di zucchero in 1 litro di
acqua. Lasciare raffreddare
lo sciroppo.
Filtrare l’alcool, aggiungerlo
allo sciroppo e imbottigliare.
Lasciare riposare per 2 mesi
prima di consumare.
Provincia di Genova - Assessorato Ambiente
il timo volgare
Thymus vulgaris
Famiglia: Labiatae
a romboidali. Il margine della foglia
è ripiegato verso il basso e la superficie è ricoperta da peli. I piccoli
fiori rosa sono riuniti in infiorescenze tondeggianti o cilindriche all’apice dei rami; la corolla, tubolare, è
divisa in due labbra. I frutti sono
composti da quattro acheni.
Il timo volgare cresce dal mare alla zona
collinare, ma preferisce il clima mediterraneo (è tipico infatti del Mediterraneo occidentale); si trova in luoghi aridi e soleggiati,
fra le rocce e le ghiaie.
In natura esistono molte specie di timo, alcune presenti anche
da noi. Fra di esse citiamo il timo serpillo (Thymus pulegioides)
frequente nei prati e nei pascoli di media montagna, dal profumo meno intenso e leggermente diverso dal timo volgare; il Thymus
praecox e il Thymus polytrichus diffuso nei pascoli sassosi delle Alpi, con
la corolla rosa intenso; il Thymus herba-barona presente in Sardegna su
pendii aridi e ventosi.
Elaborazione dei testi, progettazione grafica e impaginazione
di Cometa s.n.c.. Ricette originali di Laura Francolini.
Il timo volgare, noto anche come
pepolino, è un piccolo arbusto alto
15-30 cm, dal fusto grigio chiaro
molto ramificato, legnoso alla base;
i rami sono coperti completamente
di peli vellutati. Le foglie, piccole e
di colore verde-grigiastro, hanno
forma varia, da lineari a lanceolate
Il timo è una pianta aromatica la cui storia si perde nei tempi. Il suo nome, di origine greca, deriva dal verbo “thymo”, che
significa “fare sacrifici”. Nell’ antichità
infatti il timo veniva fatto bruciare nelle
cerimonie di offerta agli dei per il suo
caratteristico e penetrante profumo.
Nel Medioevo il timo assunse un valore
particolare: era simbolo del coraggio e
della forza d’animo. Per questo motivo le
nobildonne se ne ornavano quando i loro
cavalieri dovevano partire
per la guerra.
In alcune zone dell’Italia e
specialmente in Sardegna, il timo è conosciuto con il nome di “erba di Maria”.
All’origine di questa dizione c’è una leggenda della prima era cristiana; in essa si
narra che, durante la fuga in Egitto, il
timo servì da giaciglio per la Vergine, e da
allora il timo fu considerato una pianta di
buon augurio.
VELLUTATA
DI PORRI E TIMO
Il timo è una delle specie officinali più vendute grazie alle
sue caratteristiche aromatiche ed antisettiche. Si usa per
prolungare la conservazione dei cibi
ma anche per le sue proprietà balsamiche, tossifughe, fluidificanti del
catarro; le sue proprietà digestive lo
fanno comparire nelle ricette dei vermouth.
Tisane e sciroppi al timo rinforzano
l’intero organismo, stimolano l’appetito e la digestione, aiutano le funzioni del fegato, combattono le malattie
da raffreddamento.
30 gr di burro
2 porri di media grandezza
2 patate tagliate a cubetti
2 cucchiaini di timo fresco
1 litro di brodo vegetale
sale e pepe q.b.
Tagliare i porri a rondelle sottili, eliminando quasi tutta la
parte verde.
Sciogliere il burro in tegame e
far rosolare i porri per un paio
di minuti.
Aggiungere poi le patate tagliate a cubetti, il timo e il brodo
vegetale. Aggiustare di sale.
Coprire e far cuocere 20 minuti
a fuoco lento.
Frullare (va bene anche il
mixer a immersione) fino ad
ottenere una crema vellutata.
Servire calda, accompagnata
da crostini di pane abbrustolito.
Provincia di Genova - Assessorato Ambiente