Il risveglio delle manifatture negli USA

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Thomas J. Duesterberg
Il risveglio delle
manifatture negli USA
Il rilancio del settore manifatturiero americano è già in corso, anche se
restano molte incertezze su quanto robusta sarà la ripresa economica complessiva. Per le sue caratteristiche specifiche, l’industria manifatturiera può
stimolare la creazione di molti posti di lavoro, ma dipende in larga misura
dal commercio estero e dunque dalle condizioni internazionali. Altri requisiti per un rilancio sono legati ai prezzi dell’energia, agli oneri normativi e
fiscali, alla produttività dei servizi – e le politiche governative possono fare
la differenza.
Il basso tasso di crescita dell’economia statunitense nell’attuale fase di debole ripresa
dalla “Grande Recessione” è giustamente oggetto di
Tom Duesterberg è direttore esecutivo del
grande attenzione: nel 1945 non si registrava una freProgram on Manufacturing & Society in the
nata così brusca nel processo di creazione di posti di
21 Century, di The Aspen Institute.
lavoro. Si tratta probabilmente di un fenomeno ciclico, legato alla generale anemia della ripresa globale.
I principali partner commerciali del paese, tra cui l’Europa e il Giappone, sono ancora alle prese con la recessione o si stanno avviando a una lenta e faticosa ripresa,
mentre i grandi mercati emergenti, come la Cina, l’India e il Brasile, sono ormai lontani dai vertiginosi tassi di crescita degli ultimi 10-15 anni.
Diversi analisti puntano l’attenzione sui cambiamenti strutturali dell’economia statunitense, sostenendo che il tasso di creazione di posti di lavoro, nonostante i segnali di
ripresa, probabilmente continuerà a rallentare. E citano tra i fattori in gioco la forte
concorrenza globale (soprattutto da parte delle economie emergenti a bassi costi di
produzione), l’impatto della sostituzione del capitale al lavoro (con particolare riferimento al capitale avanzato e ad alta produttività: la robotica e l’automazione industriast
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le) e gli effetti negativi sull’occupazione delle nuove tecnologie dell’informazione1.
Altri ricordano che le recenti novità sul fronte politico, come l’attuazione della riforma
sanitaria, la nuova regolamentazione dei mercati finanziari e di interi settori industriali e la situazione di incertezza generata da una serie di iniziative in campo fiscale e
monetario adottate per affrontare l’attuale congiuntura macroeconomica, tendono a
scoraggiare gli investimenti e le assunzioni2.
Nel decennio scorso il settore manifatturiero è stato fortemente penalizzato da queste
condizioni avverse, accusando una perdita di oltre cinque milioni di posti di lavoro (a
partire dal 2010 ne ha però recuperati circa 525.000). Eppure, dopo la fine della
Grande Recessione ha registrato, a sorpresa, una crescita più sostenuta rispetto al
resto dell’economia; e molti analisti vedono all’orizzonte un “risveglio” o addirittura
una “rinascita” dell’industria manifatturiera statunitense3. In effetti, il risveglio è già
in atto e, nonostante l’impatto degli innovazioni a beneficio della produttività che
hanno caratterizzato la recente performance del settore, stimolerà una significativa
crescita dell’occupazione.
LO SCENARIO DEL RISVEGLIO MANIFATTURIERO. Nell’ambito di un pro-
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getto avviato di recente da The Aspen Institute in collaborazione con la Manufacturers
Alliance for Productivity and Innovation, è stata elaborata una previsione econometrica per determinare il potenziale impatto del risveglio del settore manifatturiero sull’economia statunitense e individuare le iniziative politiche in grado di favorirlo4. Lo
studio, curato dall’Interindustry Forecast Project dell’Università del Maryland, nasce
con l’obiettivo di determinare se l’incidenza dell’industria manifatturiera sull’economia statunitense (che attualmente si aggira intorno all’11,6%) possa tornare ai livelli
del 1998 (ossia al 15% circa), quando il settore non era stato ancora messo a dura
prova dalle ondate della recessione globale. Una variazione del valore aggiunto di
questa portata (cioè pari al 4% circa) implica profondi cambiamenti nella struttura
della domanda e dell’offerta.
Lo scenario del risveglio, posto a confronto con una baseline di riferimento in cui la
crescita del settore in percentuale del pil risulterebbe vicina o uguale a zero, è stato definito attraverso un processo iterativo volto a determinare le condizioni politiche ed economiche necessarie per ottenere il risultato auspicato. A partire dal 2009,
quando si sono intravisti i primi segnali di ripresa, il settore manifatturiero ha registrato tassi di crescita più sostenuti rispetto al resto dell’economia, ma per raggiungere l’obiettivo prefissato occorre accelerare le tendenze già in atto. L’elaborazione
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del modello ha reso necessaria un’ampia analisi degli effetti macroeconomici dei
cambiamenti strutturali nei processi di produzione; si è inoltre cercato di escludere
variabili quali un eccesso di inflazione, tensioni tra domanda e offerta, squilibri nel
mercato del lavoro o irrealistici cambiamenti nei modelli di investimento. Un probabile limite è legato al fatto che un incremento della produzione manifatturiera
richiede livelli di formazione del capitale molto più significativi in quel settore. E
dato che l’industria manifatturiera è uno dei settori a più alta intensità di capitale,
tale aumento presuppone una crescita degli investimenti nell’economia in generale.
Il che implica a sua volta un ridimensionamento dei consumi privati e un più elevato tasso di risparmio.
I principali fattori necessari al rilancio dell’industria manifatturiera possono essere
sintetizzati in quattro punti:
• aumento delle esportazioni e riduzione delle importazioni;
• riduzione del tasso di crescita dei prezzi e incremento delle risorse energetiche
rispetto alla baseline;
• riduzione degli oneri normativi e delle imposte societarie per favorire un aumento
della produzione, degli investimenti e del reddito (anche in tutti gli altri settori);
• accelerazione della crescita della produttività nei principali settori dei servizi, e in
particolare quello sanitario, edile, finanziario e del commercio all’ingrosso e al dettaglio, per rispondere alle esigenze di riconversione della manodopera.
Il modello elaborato prospetta uno scenario in cui, di qui al 2025, l’industria manifatturiera cresce fino a raggiungere il 15,8% del pil. Nello stesso periodo, la produzione
complessiva del settore si attesta a 1.500 miliardi di dollari, segnando un aumento del
49% rispetto alla baseline. Il risparmio individuale aumenta, così come il reddito personale, mentre il consumo privato diminuisce. Oltre il 3% del pil viene dirottato dai
servizi al settore manifatturiero (compresa la quota relativa agli investimenti di capitale). L’incidenza del settore pubblico diminuisce dell’1,5% circa rispetto agli elevati
livelli attuali, derivanti dalle misure di contrasto alla Grande Recessione. Soprattutto,
il deficit commerciale degli Stati Uniti si azzera e, sempre entro il 2025, la bilancia
delle partite correnti registra un modesto avanzo di circa 300 miliardi di dollari (200
dei quali dovuti alla produzione manifatturiera).
I posti di lavoro nel settore manifatturiero aumentano di oltre 3,7 milioni di unità rispetto alla baseline, mentre il numero complessivo di occupati registrerebbe un incremento di 0,5 milioni di unità. Lo spostamento della forza lavoro verso questo settore
presenta una serie di importanti vantaggi: i salari più alti (di circa il 2,8%) e i maggio-
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ri livelli di produttività che lo caratterizzano si traducono in un incremento del reddito individuale (+1,5% nello scenario del risveglio).
Tutti questi cambiamenti determinano un innalzamento del tenore di vita. Inoltre, i
posti di lavoro indiretti, soprattutto nei settori dei servizi legati all’industria manifatturiera (dalle tecnologie dell’informazione ai trasporti e al commercio all’ingrosso)
dovrebbero aumentare di 1,8 milioni unità5.
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I cambiamenti sul fronte dell’occupazione presuppongono una serie di interventi per
migliorare le performance di produttività del settore dei servizi. Il risveglio dell’industria manifatturiera comporta non solo la necessità di occupare molti nuovi posti diretti e indiretti, ma anche di sostituire i milioni di lavoratori del settore ormai prossimi al
ritiro (la loro età media è assai più avanzata rispetto alla forza lavoro di altri comparti
economici). Per reperire un numero così alto di lavoratori qualificati e semiqualificati
occorre da un lato incrementare la produttività del settore dei servizi, dall’altro migliorare il sistema di formazione e incentivare l’accesso al settore6.
L’IMPERATIVO DELL’EXPORT E IL RUOLO DELLE FONTI ENERGETICHE. È uno scenario realistico? Nessuna delle ipotesi formulate nell’ambito del nostro studio richiede cambiamenti eccezionali rispetto alle tendenze in atto nel settore
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manifatturiero. Già ora questo settore registra una crescita superiore alla media, con
una migliore performance delle esportazioni e minori costi dei fattori di produzione,
grazie anche alla progressiva convergenza dei livelli salariali su scala mondiale e alla
maggiore capacità, da parte degli usa, di attirare capitali e investimenti diretti esteri7.
Quanto all’impatto degli investimenti di capitale e dell’uso pervasivo delle tecnologie
dell’informazione sul mercato del lavoro, il direttore del National Economic Council,
Gene B. Sperling, illustra sinteticamente una serie di ricerche che dimostrano come
le industrie a più elevata produttività, specialmente nel settore manifatturiero, tendono a favorire l’occupazione anziché a frenarla. Una tendenza confermata anche nel
ciclo attuale8.
Il vero motore del risveglio dell’industria manifatturiera statunitense è la sua performance nei mercati internazionali. Il nostro modello ipotizza una crescita annua delle
esportazioni dell’8,2%. Dall’inizio della ripresa, il dato si è attestato sul 7,8% e dunque occorre solo un modesto incremento: un obiettivo che, con il progressivo rafforzamento dell’economia globale, appare facilmente raggiungibile.
Un ulteriore fattore di crescita è il boom energetico in atto nel paese. La riduzione dei
costi dell’energia rappresenta un vantaggio per tutti i produttori, specialmente quelli
che operano in settori ad alta intensità energetica, come l’industria chimica e quella
metallurgica. Le autorità statunitensi hanno approvato tre terminali per l’export di gas
naturale liquefatto, e anche le esportazioni di prodotti raffinati come il carburante
diesel sono probabilmente destinate ad aumentare, soprattutto se – come annunciato
– partiranno i progetti per la conversione del gas naturale in diesel. Nello scenario del
risveglio, la produzione di gas naturale cresce di appena il 2,9% all’anno: un dato ben
inferiore alla recente performance di quel settore. E l’impatto dell’aumento della produzione petrolifera (che come minimo ridurrà le importazioni e favorirà una crescita
delle esportazioni di prodotti raffinati) è probabilmente sottovalutato.
Negli Stati Uniti si fa un gran parlare del reshoring della produzione e di un passo
indietro rispetto all’imperativo della delocalizzazione. I termini di scambio favoriscono senz’altro questa tendenza, grazie anche alla straordinaria capacità, da parte dei
produttori statunitensi, di tenere sotto controllo il costo unitario del lavoro. Tra il 2000
e il 2011, quest’ultimo si è ridotto dell’1,7% circa su base annua – per avere un raffronto, in Austria e in Italia ha registrato un aumento di oltre il 2%, e nello stesso
periodo solo la Germania e la Svezia, tra le grandi potenze industriali europee, sono
riuscite a ridurre la sua incidenza (anche se di un margine ben inferiore rispetto agli
Stati Uniti).
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STRATEGIE IN UN CONTESTO DI INCERTEZZA. Non tutte le tendenze
politiche ed economiche in atto negli Stati Uniti favoriscono il risveglio del settore
manifatturiero. Il raggiungimento di tale obiettivo dipende in larga misura dal consolidamento della crescita economica dei principali partner commerciali – specialmente l’Europa, il Giappone, la Cina, il Messico, il Brasile, l’India e le quattro tigri asiatiche – rispetto alle performance registrate dopo l’inizio della ripresa. La possibilità di
soddisfare i target di esportazione è ovviamente vincolata al potenziamento dello sviluppo economico di quelle regioni. Nell’estate del 2013 si sono visti segnali incoraggianti, ma gli Stati Uniti non possono fare molto – a parte migliorare la propria performance economica – per accelerare tali tendenze. Più in generale, il paese deve adottare un’efficace politica macroeconomica per ridurre l’incertezza delle imprese, che
ha l’effetto di disincentivare le assunzioni e gli investimenti. Tutto ciò con riferimento
sia all’ambito monetario che fiscale.
Gli Stati Uniti possono adottare misure più aggressive sul fronte interno per favorire il
risveglio del settore manifatturiero. La riforma delle imposte societarie, volta all’adeguamento delle aliquote ai livelli medi dei paesi dell’ocse, è indispensabile per trattenere i capitali nel paese e attirare nuovi investimenti. L’adozione di un sistema fiscale territoriale avrebbe un impatto analogo e favorirebbe il rimpatrio delle somme depositate dalle multinazionali statunitensi all’estero. E la politica commerciale potrebbe svolgere un ruolo decisivo, aprendo il paese a nuovi mercati e assicurando l’applicazione delle norme internazionali esistenti. L’avvio dei negoziati per la Transatlantic
Trade and Investment Partnership (ttip) è un passo importante in questa direzione,
data l’ampia portata dei suoi obiettivi, tra cui la convergenza della regolamentazione
di settori strategici. Anche le trattative per la Trans-Pacific Partnership (tpp) assumono una rilevanza cruciale, sebbene in questo caso gli effetti dell’apertura degli scambi
e della convergenza normativa siano probabilmente più modesti. Un’iniziativa mirata
a porre fine alle svalutazioni competitive, inoltre, consentirebbe di ampliare gli sbocchi commerciali.
Quanto al mercato del lavoro, il paese deve dotarsi di strumenti più efficaci per favorire l’incontro tra le competenze e le opportunità disponibili, soprattutto attraverso la
formazione di operatori qualificati per il settore manifatturiero. Per questo, occorre
avvicinare gli studenti alle discipline tecniche e scientifiche e indirizzarli verso profili professionali ad alta specializzazione (dall’addetto al controllo della produzione,
all’operatore di macchine utensili e al manutentore meccanico). Il problema sta anche
nel fatto che, diversamente da quanto avviene in altre realtà culturali (specialmente in
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Europa e in Giappone), negli Stati Uniti le competenze spendibili nel settore manifatturiero non godono di grande prestigio sociale. Di conseguenza, pochi studenti scelgono quelle discipline e l’offerta formativa tecnica è piuttosto scarsa. I programmi di
apprendistato introdotti negli Stati Uniti dalle multinazionali europee per soddisfare
la domanda di manodopera qualificata sono una delle novità più incoraggianti degli
ultimi anni.
Il paese può inoltre trarre beneficio da un ridimensionamento o una razionalizzazione
della macchina amministrativa. Anche su questo versante, i negoziati per la ttip apriranno la strada a importanti riforme, se si riuscirà a trovare un accordo per ridurre le
sovrapposizioni e le contraddizioni tra le normative che regolano industrie strategiche
come quella automobilistica, chimica e farmaceutica.
Di recente il commissario europeo per il Commercio Karel De Gucht ha dichiarato che
la convergenza normativa transatlantica potrebbe garantire risparmi dell’ordine del
10-20%9. Il che basterebbe a raggiungere l’obiettivo di riduzione dei costi di produzione suggerito dal nostro modello.
Un altro fattore che merita l’attenzione dei policy makers statunitensi è l’entità degli
investimenti nella ricerca di base e applicata. Al settore manifatturiero si deve circa
il 70% degli investimenti privati in ricerca e sviluppo, oltre che la stragrande maggioranza delle invenzioni brevettate; è da questi elementi che nasce l’eccellenza tecnologica necessaria per rimanere competitivi a livello globale.
La concorrenza internazionale ha drasticamente ridotto i margini di profitto delle multinazionali, promuovendo al tempo stesso la diffusione e lo sviluppo di nuove tecnologie. In tale contesto, il ruolo del sostegno pubblico alla ricerca di base assume una
rilevanza cruciale. Per riconquistare la loro quota di mercato mondiale, gli Stati Uniti
dovranno puntare sulle innovazioni scientifiche e tecnologiche. Il ruolo del governo
federale e delle amministrazioni statali nello sviluppo di nuovi prodotti e processi del
settore manifatturiero e nella formazione di ricercatori qualificati è dunque fondamentale. Il presidente stesso ha annunciato l’obiettivo di raddoppiare i finanziamenti alla
ricerca di base e ha presentato altre iniziative più specificamente mirate all’industria
manifatturiera10.
In conclusione, il risveglio del settore manifatturiero in atto negli Stati Uniti dev’essere sostenuto dalla ripresa della crescita globale e da una serie di interventi di politica
interna. Le tendenze di fondo giocano a suo favore: con qualche piccolo aggiustamento politico ed economico, il peso dell’industria manifatturiera sul pil potrà tornare ai
livelli di fine anni Novanta. Il nuovo scenario porterà enormi benefici in termini di
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reddito personale, investimenti, produttività e competitività globale. Ma soprattutto
darà un contributo fondamentale alla crescita dell’occupazione e, più in generale, al
benessere economico del paese.
Si veda in particolare Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, Race against the machine: how the digital
revolution is accelerating innovation, driving productivity and irreversibly transforming employment and
the economy, mit, 2011.
2
Scott Baker, Nicholas Bloom e Steven Davis, “Policy uncertainty is choking recovery”, Bloomberg View,
5 ottobre 2011. Si veda anche l’Economic Policy Uncertainty Index per le ricerche sull’incertezza politica e le analisi del suo impatto a livello macroeconomico (www.policyuncertainty.com). Si segnala infine
uno studio di Sylvain Leduc e Zheng Lu: “Uncertainty and the slow labor market recovery”, Federal
Reserve Bank of San Francisco Economic Letter, 22 luglio 2013.
3
Un’ottima sintesi di questa teoria è contenuta nella bozza del discorso pronunciato da Gene Sperling
alla Brookings Institution il 25 luglio 2013, “The Case for a Manufacturing Renaissance”, disponibile su
www.whitehouse.gov .
4
Thomas J. Duesterberg, The manufacturing resurgence: what it could mean for the us economy. A forecast
for 2025, The Aspen Institute and the Manufacturers Alliance for Productivity and Innovation, 2013.
5
Sperling, op. cit., illustra sinteticamente il contributo del settore manifatturiero all’occupazione, citando
tra l’altro le ricerche di Enrico Moretti, secondo cui un nuovo posto di lavoro nell’industria manifatturiera genera come indotto 1,6 posti di lavoro nei servizi, mentre ogni posto di lavoro “altamente qualificato”
nel comparto dei beni commerciabili ne crea ben 2,5 in altri settori produttivi.
6
Si veda James Manyika et al., “Manufacturing the future: the next era of global growth and innovation”,
McKinsey Global Institute, 2012.
7
Ho analizzato alcune di queste tendenze in “Industria manifatturiera: futuro dell’economia?”, Aspenia,
n. 58, 2012, pp. 63-73.
8
Sperling, op. cit., pp. 6-7.
9
“Around the Globe”, Washington Trade Daily, 26 febbraio 2013, p. 4.
10
Si veda Sperling, op. cit., pp. 14-15, sulle proposte dell’amministrazione Obama.
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