Corporate Communication e mercati globali

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Corporate Communication
e mercati globali
Silvio M. Brondoni *
1. Mercati globali, comunicazione integrata ed economia d’impresa
La globalizzazione ha imposto una crescente integrazione degli spazi di
concorrenza (market-space management)1 ed al contempo ha generato la
necessità di sviluppare un approccio sistemico della comunicazione d’impresa,
per la profonda evoluzione dello stesso concetto d’impresa, che deve svilupparsi
in mercati globali.2
Negli anni più recenti, in effetti, numerose imprese hanno modificato
sostanzialmente la visione di successo aziendale (tempo addietro focalizzato sulla
crescita di produzione, fatturato e numero di dipendenti), procedendo ad integrare
i tradizionali parametri quantitativi di risultato (in buona sostanza fondati
sull’incremento di volumi e di fatturati di vendita dei prodotti-chiave e su
correlate diminuzioni dei costi di produzione e/o di vendita) con indicatori
multidimensionali di performance competitiva, associando agli indici di crescita
quantitativa le dimensioni intangibili della notorietà e dell’immagine di marca
(brand awareness & image) e dell’azienda nel suo complesso (corporate
awareness & image).3
La criticità assunta dai fattori immateriali nello sviluppo competitivo d’impresa
nei mercati globali, in particolare, ha modificato la natura dei costi di
comunicazione, e specialmente dei costi di comunicazione a fini persuasivi e/o
informativi.4
Nell’accesa competizione dei mercati aperti in cui si confrontano le imprese
globali, infatti, i costi di comunicazione superano la natura di costo discrezionale
(tipica dei mercati chiusi, a bassa competitività e con predominio dei caratteri
tangibili di offerta), secondo cui gli importi devoluti alla comunicazione (ad
esempio, per il sostegno dell’immagine, o della notorietà, di marca) sarebbero di
volta in volta determinati ‘a discrezione’ del management in rapporto alle
disponibilità economico-finanziarie di periodo; per contro, in condizioni di forte
concorrenza, i costi di comunicazione assumono la natura di costo causale
* Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese, Università degli Studi di MilanoBicocca
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(appunto tipica dei mercati aperti, ad elevata competitività e contraddistinti dal
predominio delle risorse immateriali), dove i costi di comunicazione sono
sostenuti per conseguire specifici e predefiniti obiettivi, in un’ottica di
ottimizzazione delle scelte di management e con la verifica degli scostamenti tra
obiettivi fissati e traguardi raggiunti.
2. La comunicazione nell’economia dell’impresa globale
I mercati globali determinano caratteristici rapporti spazio-temporali di
competitività, specificamente influenti sulla comunicazione dell’impresa globale.
In proposito, un primo fattore evolutivo è ravvisabile nella perdita di
significatività del riferimento competitivo delle imprese ad un dominio chiuso,
tipicamente coincidente con particolari confini fisici o amministrativi (nazione,
regione, città, ecc.). In realtà, il riferimento allo spazio fisico di competizione
appare ormai primordiale e comunque limitativo rispetto ad un concetto di
concorrenzialità in cui specifici contesti geografici sono funzionalmente
demandati ad esprimere pro tempore peculiari vantaggi competitivi parziali (cioè
riguardanti la ricerca e sviluppo, la produzione, il marketing, le vendite, ecc.), da
coordinare su più vaste scale di operatività.5
Inoltre, la globalizzazione e le interconnessioni tra i mercati hanno
drasticamente ridotto i tempi di azione-reazione concorrenziale (time-based
competition) e tale fenomeno è continuamente rafforzato dalla crescente rilevanza
dei flussi informativi digitali e telematici, che consentono di colloquiare (in rete,
ossia senza il preventivo accesso ad un media, e in ‘real time’) con una
molteplicità di ‘punti’ (che al contempo sono destinatari e fonti della
comunicazione, e quindi soggetti attivi), e quindi permettono di elaborare schemi
di intervento competitivo basati su dati e informazioni derivanti da azioni
monitorate ‘in continuo’.6
Infine, i mercati globali determinano profonde modificazioni nella politica di
innovazione di offerta, con evidenti riflessi sulla comunicazione aziendale. In tale
ambito, una prima dimensione innovativa è riscontrabile nelle semplificazioni
progettuali che caratterizzano i nuovi prodotti. Tendenza che si ricollega ad una
riduzione dei tempi di vita utile dei prodotti stessi e ad una corrispondente
espansione di beni con ambiti di utilizzo molto semplici e delimitati (cioè i beni
cosiddetti ‘usa e getta’). Inoltre, nei mercati globali, la politica di offerta delle
imprese deve confrontarsi con la crescente velocità di imitazione e di diffusione
delle conoscenze sui nuovi prodotti, che si determinano per la interconnessione
dei mercati e per la stessa comunicazione globale delle imprese, e che in
complesso orientano le politiche di impresa verso un predominio dei fenomeni
competitivi (market-driven management7). Nel loro insieme, le citate innovazioni
progettuali tendono a concretizzarsi in una sostanziale dematerializzazione
dell’offerta. Con la dematerializzazione, il prodotto tende a perdere le valenze di
corrispondenza con le ‘normali’ dimensioni della funzione d’uso, risultando
inserito in più ampi e instabili schemi di valutazione, per la definizione dei quali
assumono un ruolo centrale le risorse immateriali corporate e di prodotto8 e per
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conseguenza la comunicazione aziendale (nelle sue varie configurazioni
tipologiche) viene a ricoprire un ruolo critico.
Da ultimo, la comunicazione dell’impresa globale deve confrontarsi con le
modificazioni, tuttora in corso, dei comportamenti di consumo, delle strutture
distributive ed infine delle nuove realtà dei media (digitali e analogici) e dei
canali informativi. La globalizzazione ha infatti generato un’eccezionale mobilità
fisica delle persone ed una massiccia proletarizzazione nella fruizione dei mass
media e dei nuovi media digitali, che in complesso hanno profondamente
modificato i modelli di consumo. I modelli di consumo, negli ultimi 10-15 anni, si
sono modificati rapidamente per le trasformazioni avvenute nelle strutture
internazionali di distribuzione, e specificamente nel passaggio da una
frammentazione degli outlet di offerta (con il prevalere di formule distributive
basate sulla microimprenditorialità) a conformazioni più competitive e globali dei
sistemi distributivi.9
Infine, nei caratteri che contraddistinguono la comunicazione dell’impresa
globale, occorre segnalare il ruolo ricoperto da fonte e da ricevente negli odierni
meccanismi di trasmissione e di ricezione dei flussi informativi.
Tradizionalmente, infatti, nei mercati chiusi e privi di interazioni, la figura del
ricevente esprime un ruolo passivo, che può divenire occasionalmente attivo
quando siano attivati particolari processi di feedback. In realtà, nei mercati aperti
e con forti interconnessioni, tale stato di passività non è più generalizzabile e i
ruoli di fonte e di ricevente spesso non sono più nettamente distinguibili. I
soggetti esposti alle comunicazioni (riceventi, o destinatari) possono infatti, a
loro volta, assumere un ruolo attivo, interagendo anche ‘in real time’ e con flussi
informativi addirittura pluridirezionali, sia con chi emette un dato messaggio
(fonte), sia con altri soggetti esposti a dati flussi informativi.10
3. La comunicazione integrata d’impresa. I fini e le sinergie di costi e
benefici
La globalizzazione ha modificato in profondità: i tradizionali parametri di
dimensioni aziendali (dove le performance sono sempre meno legate ai territori, e
dipendono piuttosto da networking, outsourcing e delocalizzazione); i rapporti
spazio-temporali di competizione; la progettazione e la vendita dei prodotti (dove
i concorrenti possono addirittura attivare relazioni di competitive cooperation,
come accade sempre più frequentemente nel settore auto); i modelli di consumo
(enfatizzati dalla caduta di centralità dei media analogici, e soprattutto della
televisione e della pubblicità televisiva, e dalla progressiva centralità di internet e
dei media digitali); la centralità della comunicazione come strumento di
competizione, in sistemi economici sempre più contraddistinti da minori
componenti protezionistiche e contrassegnati da spazi di concorrenza aperti e
complessi.11
La crescente integrazione dei mercati globali tende in effetti ad eliminare i
contesti statici ed a sostituirli con ambienti dinamici ed instabili, che determinano
notevoli trasformazioni anche con riguardo alla comunicazione aziendale,
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specificamente per quanto riguarda i fini perseguibili, le forme e gli strumenti
utilizzabili ed ovviamente i pubblici raggiungibili.
Per quanto concerne i fini, nei mercati chiusi e statici, le comunicazioni
aziendali sono state tradizionalmente qualificate distinguendo nettamente: la
comunicazione a carattere persuasivo e commerciale, incentrata su flussi di
comunicazione strettamente funzionali al raggiungimento di obiettivi connessi
all’attività caratteristica d’impresa; la comunicazione a carattere informativo e
istituzionale, realizzata per conseguire fini prettamente conoscitivi e non
commerciali, con flussi di comunicazione veicolati a opinion leader e opinion
maker non direttamente legati all’attività caratteristica aziendale, ma in varia
misura influenti sulle performance (azionisti, intermediari finanziari, pubblici
poteri centrali e locali, ecc.). Nei mercati globali, tuttavia, le condizioni di
dinamismo e di complessità della concorrenza non consentono di attivare flussi di
comunicazione con fini parziali, ma piuttosto spingono ad adottare una visione di
valorizzazione delle sinergie tra comunicazioni con fini di natura diversa
(comunicazione integrata).12
La valorizzazione di una stretta integrazione tra i fini della comunicazione, per
coordinare i flussi informativi rivolti a diverse tipologie di destinatari all’interno
ed all’esterno dell’azienda (sempre più frequentemente organizzata a rete, in una
molteplicità di territori) discende dal prevalere di orizzonti temporali di
breve/brevissimo periodo nella programmazione delle comunicazioni a fini
commerciali ed al contempo dall’esigenza di controllare l’efficacia e l’efficienza
delle comunicazioni istituzionali. Inoltre, nei mercati globali, il superamento del
tradizionale dualismo tra comunicazioni a fini commerciali e istituzionali è
motivato dalla elevata trasparenza e permeabilità informativa che caratterizzano
la veicolazione di flussi informativi in mercati aperti, con un sistema articolato di
canali e strumenti che amplificano la fruibilità dei contenuti trasmessi.
In sintesi, la globalizzazione ha prodotto una profonda modificazione della
funzione e del ruolo del sistema dei flussi informativi aziendali, che si esprime
nell’adozione di una strategia di comunicazione integrata.
In una strategia di comunicazione integrata, in particolare, i flussi informativi
non possono essere considerati prevalentemente finalizzati ai messaggi veicolati
all’esterno dell’impresa e con contenuto commerciale, ma al contrario devono
interpretare la complessiva realtà strategica ed ambientale di un’organizzazione
globale. In tal senso, una strategia di comunicazione integrata deve comporre
armonicamente i fini commerciali con quelli istituzionali ed organizzativi,
coinvolgendo i differenti target di destinatari della comunicazione aziendale
(pubblici esterni; dipendenti; co-makers) ed infine utilizzando i vari strumenti
disponibili con un’ottica di sinergie dei costi e dei benefici, in rapporto al mix di
destinatari raggiungibili/strumenti utilizzabili. Ad evidenza, la visione di
comunicazione integrata privilegia le opzioni di sviluppo di mix complessi nei
rapporti fini/pubblici, con l’utilizzo di strumenti eterogenei per ottenere effetti
sinergici di combinazione.
In una strategia di comunicazione integrata, inoltre, i flussi informativi
manifestano un altro fenomeno distintivo e cioè il superamento di una funzione di
ottimizzazione quantitativa, basata su frequenza e ripetizione del messaggio
veicolato ad un definito pubblico-obiettivo (target), da sostituire con
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l’integrazione tra aspetti quantitativi e qualitativi dei flussi informativi veicolabili,
in una visione di sinergia dei costi e degli effetti attesi da un mix mirato di
messaggi veicolati. In concreto, infatti, la numerosità degli strumenti di
comunicazione utilizzabili nelle diverse circostanze induce ad abbandonare le
politiche di comunicazione ‘a massa d’urto’ dei messaggi veicolati (che,
prevedendo una semplicistica funzione lineare tra costi sostenuti e benefici attesi,
può condurre i costi di comunicazione ad irreversibili ‘effetti-spirale’),
stimolando invece la ricerca di soluzioni volte a valorizzare l’apporto
complessivo di strumenti differenti.13
Nelle imprese globali, il coordinamento delle sinergie dei costi e dei benefici
della comunicazione integrata consegue da precise motivazioni. Innanzi tutto,
l’identità di un’organizzazione globale (network identity)14, presso i molteplici
pubblici di riferimento, dipende, oltre che dai flussi informativi attivati mediante
processi di comunicazione formale, anche dalle modalità con cui dipendenti e comaker interagiscono con l’organizzazione; questa complessità di interrelazioni di
comunicazione sottolinea la criticità di uno stretto controllo delle attività formali
di comunicazione, pianificate rispetto al conseguimento di definiti obiettivi, e dei
messaggi trasmessi da canali informali, controllabili dall’azienda in modo limitato
e comunque indiretto. Inoltre, i dipendenti di organizzazioni complesse e globali
sono motivati ad assumere comportamenti positivi, responsabili e maggiormente
efficienti quando siano resi partecipi di vision e mission aziendali e, in questa
ottica, siano resi portatori all’esterno dell’identità dell’organizzazione di
appartenenza.
4. La comunicazione integrata d’impresa. Forme analogiche e digitali di
comunicazione
La comunicazione aziendale individua un processo intenzionale e finalizzato
volto al trasferimento di messaggi a contenuto informativo e/o simbolico
indirizzati ad una pluralità di pubblici (interni, esterni, co-maker), per il
perseguimento di obiettivi che possono essere commerciali, organizzativi o
istituzionali.15 La veicolazione di flussi di comunicazione aziendale può avvenire
tramite canali e flussi di comunicazione. I primi individuano supporti precostituiti
per consentire la diffusione di un segnale dal trasmettitore (fonte) al ricevente
(destinatario) e pertanto individuano strutture specificamente progettate e
realizzate per favorire il passaggio delle comunicazioni dall’emittente al
ricevente. Il flusso di comunicazioni può invece essere definito come un sistema
organizzato di comunicazioni che transita da un’emittente ad un ricevente,
normalmente percorrendo un canale. Il canale di comunicazione, infatti, ha lo
scopo di convogliare il flusso di comunicazioni.
La distinzione tra canali e flussi assume notevole importanza nella gestione
della informazione e della comunicazione aziendali. In effetti, nei mercati globali,
per trasmettere flussi di informazioni e di comunicazioni, le imprese debbono
investire nella costituzione (o nella individuazione) e nel mantenimento di
adeguati canali di veicolazione dei flussi.
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Nei mercati globali, la Information & Communication Technology (ICT)
sviluppa da un lato canali di informazione e di comunicazione di natura digitale
(con specifiche tecnologie, che nel tempo hanno visto il doppino telefonico, la
fibra ottica, la connessione wireless), e dall’altro genera i flussi di comunicazione
digitale, formati da pacchetti che possono contenere indifferentemente dati, suoni,
immagini, filmati, o varie combinazioni degli stessi.16
La digitalizzazione è un driver di sviluppo dei mercati globali. Nei mercati
globali, in effetti, lo spazio non è solo fisico, ma anche virtuale, costituito da
relazioni, comunicazioni, informazioni e transazioni, enfatizzate e favorite da
tecnologie, canali e flussi digitali. In particolare, lo spazio virtuale consente a vari
soggetti (anche contemporaneamente, in luoghi diversi) di relazionarsi tra loro
senza una presenza fisica in un luogo.
Nei mercati di aperta competizione, la digitalizzazione di flussi e canali
determina innanzi tutto il superamento dei confini tra comunicazione ed
informazione: la comunicazione aziendale, infatti, è attivata per diffondere un
messaggio ma è soprattutto finalizzata ad ottenere i flussi informativi di ritorno.
L’interesse attivo del ricevente a ‘passare indietro’ una comunicazione determina
il passaggio dalla push communication alla pull communication.17 Con la push
communication l’impresa diffonde un messaggio ‘spingendolo’ in un canale ad
un’audience che non è interessata ai contenuti del messaggio (interesse passivo);
con la ‘push communication strategy’, quindi, la comunicazione aziendale passa
attraverso le domande intermedie per giungere direttamente ai destinatari finali.
La push communication in genere è attivata in mercati dove i destinatari finali
hanno comportamenti passivi , cioè non sono in grado di intervenire in alcun
modo nelle comunicazioni tra loro stessi e tra loro e l’azienda-fonte.18 Con la pull
communication, invece, il flusso di comunicazione ‘parte dal basso’ e viene
richiesto da specifici soggetti. In altri termini, i soggetti-target si attivano per
acquisire definiti contenuti informativi relativi a determinate aree di interesse,
mostrando con tale comportamento una specifica motivazione (interesse attivo),
che appunto individua un’importante caratteristica distintiva delle tecnologie
digitali della comunicazione. Le risposte alle comunicazioni digitali consentono
infatti, da un lato di misurare l’efficacia del flusso attivato, e dall’altro permettono
di acquisire informazioni su specifici soggetti destinatari della comunicazione,
definendone il profilo comportamentale.19
Nelle comunicazioni digitali, un aspetto molto rilevante è costituito dalla
possibilità di controllare il flusso in esecuzione a ciclo aperto (feedforward), cioè
senza attendere la conclusione di un’azione informativa, e dalla possibilità di
ottenere un flusso di ritorno (feedback) associato al termine di diffusione di ogni
flusso di comunicazione, dove i soggetti coinvolti, rispettivamente come fonte e
destinatari, sono interdipendenti e non si influenzano reciprocamente con
successivi flussi informativi, che pertanto si svolgono a ciclo chiuso. Con le
tecnologie digitali, quindi, una corretta programmazione del flusso in andata
consente un adeguato flusso di ritorno, a costi nulli o, comunque, molto modesti.
Le tecnologie digitali di comunicazione si connotano inoltre con caratteri
distintivi che riguardano: la velocità di diffusione dei messaggi, che unisce in
tempo reale emittenti e riceventi; l’assenza di limitazioni spaziali alla
veicolazione ‘circolare’ dei messaggi, dal momento che fonte e destinatario
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possono essere anche molto lontani tra loro ed inoltre i ruoli di emittente e
ricevente non sono soggetti a gerarchia di flusso; economicità, per il drastico
contenimento -rispetto ai media ed ai canali analogici di comunicazione- dei costi
di trasmissione dei messaggi; flessibilità, che caratterizza la formidabile
adattabilità alle difformi esigenze della comunicazione d’impresa e la reperibilità
delle informazioni in tempo reale; multimedialità, che permette di gestire
simultaneamente diversi canali e/o media di comunicazione, con la possibilità di
aggiornamento immediato dei piani di comunicazione; ed infine, la interattività,
cioè la possibilità di sviluppare un modello di comunicazione a due vie,
profondamente diverso dal modello ‘one-way’ (dalla fonte –unica- ai molti
riceventi, passivi), tipico dei media e dei canali analogici.
Le tecnologie digitali, in particolare, permettono di gestire enormi quantità di
flussi informativi di ritorno, e di conseguenza acquisiscono e sviluppano la
conoscenza dei caratteri identificativi di molteplici interlocutori, senza vincoli di
tempo e spazio (profilazione).
La profilazione individua un ulteriore carattere distintivo della digital
communication. Il processo di profilazione si attiva con la creazione di un
contatto con un soggetto e con l’associazione di un ‘riferimento’ elettronico (IP,
e-mail, cookie, ecc). La profilazione dei singoli soggetti si sviluppa con i
successivi contatti elettronici, qualificando i comportamenti con ulteriori
informazioni, rispetto a stimoli pianificati. La profilazione determina una
caratteristica innovativa della comunicazione aziendale digitale, dal momento che
nelle comunicazioni in forma analogica la conoscenza dei profili dei singoli
individui è del tutto irrealizzabile, e proprio per questo motivo le imprese devono
ricorrere a stime di profili di comportamenti, individuano i target e le audience di
riferimento per la diffusione dei propri messaggi.
Il target costituisce così un gruppo teorico di soggetti individuati mediante un
processo deduttivo che origina da informazioni storiche di comportamenti medi
delle audience, che comunque non permette la individuazione dei soggetti, che
rimangono indistinti, come ‘sagome nere’. Il profilo, invece, discende da un
processo induttivo, con il contatto ripetuto di ciascun soggetto, così esteso e
personalizzato da poter effettuare comunicazioni di massa personalizzabili
(ovviamente irrealizzabili con le comunicazioni in forma analogica).
La comunicazione digitale, infine, si caratterizza per la misurabilità dei risultati
in relazione ad una pluralità di elementi: la numerosità dei soggetti raggiunti (con
valutazioni certe e non semplicemente stimate su dati storici, come avviene per la
comunicazione analogica); la specificità delle caratteristiche individuative dei
destinatari contattati e da contattare; i tempi di risposta, estremamente rapidi e
non confrontabili con i media analogici; e da ultimo, le modalità delle risposte
ottenibili, che possono essere di tipo cognitivo (ad esempio, per la richiesta di
ulteriori informazioni), di tipo affettivo (ad esempio, per controllare la
comprensione di un messaggio), o infine di tipo comportamentale (ad esempio,
per accertare il livello di consenso, o il grado di acquisto, da parte di particolari
soggetti).
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5. La comunicazione integrata d’impresa. Strumenti di comunicazione
personali, non-personali e telematici
Il sistema dei flussi informativi d’impresa può essere qualificato anche in
rapporto alla natura degli strumenti di comunicazione, distinguendoli in:
personali; non personali; telematici.
Gli strumenti personali di comunicazione, in particolare, presuppongono la
trasmissione di informazioni tramite specifiche persone (rete di vendita, opinion
leader, prescrittori20, ecc.) e i loro caratteri distintivi individuano:
- un processo diretto di comunicazione, con la contemporanea presenza
fisica del soggetto emittente (fonte) e del soggetto ricevente (destinatario):
Inoltre, fonte e destinatario hanno ruoli distinti, separati e non
sovrapponibili;
- la personalizzabilità dei contenuti dell’informazione, che può essere
variamente modificata in rapporto ai particolari soggetti riceventi;
- la possibilità di ottenere risposte immediate e motivate da parte dei
soggetti riceventi, in rapporto ad uno specifico messaggio emesso dalla
fonte, con la conseguente possibilità di intervenire (da parte della fonte e
del destinatario) con successivi approfondimenti delle tematiche trattate.
I meccanismi sequenziali di azione e reazione e la personalizzabilità dei
contenuti veicolati, in complesso, evidenziano la notevole efficacia delle
comunicazioni di natura personale, che tuttavia palesano elevati costi di contatto
ed una possibilità di ripetizione del messaggio (con identità dei contenuti
trasmessi) assai ridotta, per cui l’impiego di strumenti personali di comunicazione
è di norma molto circoscritto e finalizzato a raggiungere ristretti e ben definiti
segmenti di pubblico.
Gli strumenti non personali di comunicazione, per contro, prescindono da una
veicolazione fisica e diretta e risultano contraddistinti da:
- processi indiretti di diffusione dei messaggi. La veicolazione dei flussi
informativi presuppone infatti l’impiego di idonei supporti (media e
veicoli) per mettere in relazione i soggetti attivi (fonte) e passivi
(destinatari) della comunicazione, che non sono contemporaneamente
presenti nel tempo e nello spazio;
- un costo per persona contattabile di gran lunga inferiore a quello riferibile
alle comunicazioni di natura personale, che pertanto risulta
particolarmente idoneo per sviluppare programmi di comunicazione di
massa e a vasto raggio;
- messaggi con contenuto non personalizzabile. Per contro, i messaggi
possono essere ripetuti, nel tempo e nello spazio, con una uniformità
assoluta, oppure variando specifici elementi ma mantenendo una
sostanziale identità (ovvero conseguendo un’elevata adattabilità della
comunicazione di massa);
- impossibilità di verifica immediata dell’efficacia della comunicazione. I
messaggi veicolati possono essere controllati solo in tempi distanti dalla
loro veicolazione e mediante apposite indagini su campioni
rappresentativi della audience esposta;
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-
flussi di comunicazione sostanzialmente unidirezionali, la cui efficacia
dipende dalla frequenza e dalla ripetizione dello stesso messaggio, oltre al
trascorrere di opportuni intervalli temporali.
Da ultimo, gli strumenti telematici di comunicazione21 sviluppano flussi
informativi che si basano sulla trasmissione di messaggi in forma digitale,
veicolati senza vincoli di spazio e di tempo (quindi anche prescindendo dalla
presenza fisica della fonte e del destinatario), attivati con il supporto di computer
in rete (internet; intranet; extranet). In particolare, gli strumenti telematici di
comunicazione evidenziano i seguenti caratteri distintivi:
- le comunicazioni sono indirizzate a ben individuati soggetti riceventi, la
cui identità (e quindi il profilo personale) è garantita da codici personali di
accesso al sistema;
- i processi di comunicazione tra emittente e ricevente possono avvenire
anche con modalità interattive ed in tempo reale, in virtù dei collegamenti
informatici esistenti tra fonte e destinatari. I meccanismi di retroazione di
informazione/risposta consentono pertanto l’attivazione di processi di
feedforward e di feedback, tra emittenti e riceventi, con successive
qualificazioni e immediati approfondimenti dei contenuti dei messaggi
trasmessi;
- il costo per contatto utile è molto ridotto, mentre risultano piuttosto elevati
i costi di allestimento del network informativo, che peraltro consente la
realizzazione di collegamenti in circolo tra i diversi soggetti riceventi.
6. La comunicazione integrata d’impresa. Target esterni, interni e ‘comaker’
Un ulteriore aspetto-chiave della comunicazione integrata delle imprese globali
si rileva nei mix dei molteplici pubblici di riferimento. I destinatari prioritari delle
comunicazioni delle imprese globali possono infatti essere tipicamente distinti in
target: interni; esterni; co-maker.
Ad evidenza, la qualificazione della comunicazione d’impresa in rapporto ai
molteplici pubblici-destinatari consente di osservare che la progettazione e la
realizzazione di un sistema integrato di flussi informativi richiedono la
preliminare identificazione dei differenti target cui l’azienda prefigura di
rivolgersi, intendendo per target qualsiasi gruppo di potenziali destinatari, con
specifici caratteri individuativi, che presenti un interesse attuale o potenziale, in
definiti contesti spaziali e temporali.
In relazione ai diversi target individuabili è infatti possibile definire specifici
profili di pubblici minaccia/opportunità, costituiti da identificate opinioni
individuali o collettive con cui l’azienda si confronta in termini dialettici
mediante idonei strumenti, al fine di conseguire definiti vantaggi ovvero per
limitare le conseguenze di eventi sfavorevoli.
In particolare, i flussi informativi interni sono finalizzati ad incidere sui
comportamenti dei dipendenti, sviluppando un efficace collegamento tra diverse
componenti dell’organizzazione aziendale.
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Le comunicazioni interne sono veicolate da un insieme di canali (‘rete media’),
funzionali alla struttura organizzativa dell’azienda, che mirano a limitare la
casualità e lo spontaneismo dei flussi informativi, permettendo quindi
all’organismo aziendale di reagire correttamente agli stimoli provenienti
dall’interno e dall’ambiente. La ‘rete media’ interna è costituita da numerosi
canali formali e informali. Tra i canali formali, si ricordano: le riunioni; le
assemblee; le lettere personalizzate; i colloqui e le interviste; i comunicati interni,
gli ordini di servizio e le procedure; i programmi di formazione, aggiornamento e
addestramento; le pubblicazioni aziendali permanenti (house organs).
Le comunicazioni veicolate a target esterni all’azienda (clienti, fornitori,
ambiente finanziario, pubblici poteri, associazioni e gruppi di influenza, media,
opinion makers e opinion leaders, ecc.) si propongono di diffondere determinate
connotazioni identificative d’impresa e/o di marca e di controllare il processo di
formazione di questa identità, orientandolo verso i fini aziendali.
La diffusione di flussi informativi esterni si prefigge quindi prioritariamente di
affermare una definita ‘corporate/brand identity’ aziendale, e a tale scopo può
avvalersi di una molteplicità di strumenti di comunicazione personali, non
personali e telematici. Con i vari strumenti disponibili, in sintesi, le imprese si
rivolgono all’esterno mediante notizie, fatti ed elementi simbolici che
complessivamente si propongono di incidere positivamente sulla risposta attesa
dell’ambiente nei confronti dell’azienda stessa, ovvero nei riguardi di sue
specifiche offerte.
Alla definizione di una data identità, ad evidenza, concorrono sia le
comunicazioni con fini commerciali, sviluppate specificamente per generare
consenso su particolari offerte (prodotti, linee di prodotti, quotazioni azionarie,
ecc.), sia le comunicazioni con fini organizzativi, attivate per ‘ottimizzare’ le
funzioni della struttura organizzativa, sia le comunicazioni con finalità
istituzionali i cui obiettivi riguardano più propriamente lo sviluppo dell’impresa
nel suo complesso.
La tradizionale distinzione dei pubblici di riferimento in esterni ed interni,
peraltro, non soddisfa le esigenze di comunicazione delle imprese globali. La
dicotomia interni/esterni individua infatti una realtà tipica delle imprese con
operatività confinata ai mercati locali, dove i flussi informativi esterni si
associano in modo pressoché esclusivo con la pubblicità, mentre le comunicazioni
interne si limitano in buona sostanza alla gestione delle relazioni industriali e di
fatto non ipotizzano neppure la possibilità di una visibilità –positiva o negativaall’esterno.
Le comunicazioni interne delle imprese globali, invece, presentano numerose
opportunità di contatto con molteplici ambienti esterni e di conseguenza debbono
essere gestite per poter assumere anche precise valenze di valorizzazione
dell’identità aziendale e non di rado anche di supporto ai programmi di
commercializzazione. Particolari segmenti di pubblico (appartenenti all’ambiente
esterno, ma significativamente influenti sull’attività caratteristica d’impresa) da
tempo mostrano una notevole attenzione ai contenuti intrinseci e formali delle
comunicazioni, verificandoli nella loro coerenza di medio/lungo periodo e
ponendoli altresì a confronto con i comportamenti (di più vasta portata sociale,
economico-ambientale, di rispetto etico e giuridico, ecc.) di ‘corporate
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responsibility’ e di ‘corporate social responsibility’22 che le imprese globali
assumono in maniera ‘spontanea’ ed ‘incontrollata’, cioè al di là delle linee
programmatiche di sviluppo enunciabili in comunicazioni con finalità persuasive.
In altri termini, le imprese globali mostrano l’esigenza di riconoscere un
ulteriore target di pubblico, che può definirsi dei ‘co-makers’23, specificamente
riguardante selezionati operatori economici e sociali, di natura privata o pubblica,
con cui una data impresa intrattiene (ovvero intende attivare e sviluppare)
rapporti fortemente privilegiati, altamente influenti sulle modalità di
raggiungimento dei risultati di periodo e comunque strettamente funzionali al
conseguimento dei propri fini.
La tipologia di pubblico costituito dai ‘co-makers’, pertanto, si delinea con
proprie caratteristiche. In tale specifica tipologia, ad esempio, è possibile
ricomprendere: le strutture distributive in franchising, e in ‘quasi-franchising’
(come le reti distributive di benzine e carburanti); le imprese fornitrici che
partecipano in partnership allo sviluppo di attività di R&D, produttive o
commerciali; definiti ‘key-clients’, in specie se appartenenti a canali distributivi
ad elevata tensione competitiva; particolari consulenti, il cui apporto risulta
determinante per l’ottenimento di dati obiettivi gestionali; specifici operatori
finanziari, che interagiscono con l’impresa nella definizione dei tempi e delle
modalità di attuazione delle linee di sviluppo; ecc.
I ‘co-makers’ individuano quindi fasce di destinatari delle comunicazioni
contraddistinti da specifici caratteri identificativi, per certi tratti assimilabili ai
pubblici interni e per altre connotazioni più tipicamente simili ai pubblici esterni.
In generale, i principali tratti distintivi dei ‘co-makers’ sono sintetizzabili nella
concomitante presenza di:
- esistenza di accordi formali che determinano relazioni preferenziali;
- rapporti continuativi e ad elevata frequenza di attivazione (spesso
realizzati con contatti personali e su argomenti coperti da riservatezza);
- elevata significatività dei singoli rapporti, che di norma si concretizzano in
iniziative destinate ad incidere profondamente sui risultati di periodo;
- disponibilità a fornire in via continuativa apporti utili al conseguimento
degli obiettivi di medio/lungo periodo, con una partecipazione
preferenziale o addirittura in esclusiva.
□ Un tipico esempio di comunicazione rivolta ai co-maker si
individua nel settore della intermediazione immobiliare, con
specifico riferimento alle relazioni di franchising tra società
affiliante e unità operative affiliate. In particolare i flussi
informativi di ‘co-makership’ riguardano la gestione del ‘ business
know-how’, e cioè l’insieme di tecniche, conoscenze e metodologie
ideate, messe a punto e sperimentate dall’affiliante per la
commercializzazione del bene, con flussi informativi concernenti: il
corretto utilizzo del marchio; gli ambiti di applicazione della
‘Visual Corporate Identity’ (insegne, vetrine, arredamento); i piani
di utilizzo di tecniche sperimentate di vendita, promotion e
merchandising; ed infine, comunicazioni mirate su problematiche
di organizzazione commerciale, di consulenza amministrativa e di
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supporto fiscale. Nei flussi informativi di co-makership connessi
alla gestione del ‘business know-how’, nella vendita immobiliare
assume prioritaria importanza il ‘Manuale di presentazione del
sistema’, che è focalizzato su: la esplicitazione delle modalità di
utilizzo del marchio e di presentazione della linea di prodotti; le
tecniche di vendita e le metodologie di acquisizione dei beni, di
inventario e dl magazzinaggio; le indicazioni per la fissazione dei
prezzi; la predisposizione del sistema computerizzato di controllo
della gestione; le politiche per il personale dipendente; le
procedure amministrative, contabili, fiscali e assicurative. I flussi
informativi di co-makership prevedono inoltre: il ‘Manuale di
architettura’, per un uniforme e corretto arredamento del punto di
vendita; il ‘Manuale di pubblicità’, con le norme e le tecniche per
la campagna di lancio del punto di vendita e per la promozione di
determinate offerte aziendali; meeting e seminari, con incontri tra
società affiliante e unità operative affiliate per la presentazione dei
risultati raggiunti e delle strategie d’impresa; ed infine, i ‘supporti
continui di assistenza' costituiti da strumenti redazionali (house
organs, notiziari, documentazione tecnica, corrispondenza),
contatti telefonici, visite del personale, corsi di formazione e di
aggiornamento, assistenza di rete.
7. Impresa globale e strategie di comunicazione integrata
Le considerazioni sopra esposte consentono di delineare le diverse strategie di
comunicazione integrata adottabili dalle imprese globali. In proposito, si rilevano
condotte aziendali che specificamente sono definibili di:
- comunicazione integrata di prodotto;
- comunicazione integrata corporate;
- comunicazione integrata con predominio di target esterni;
- comunicazione integrata con predominio di target interni;
- comunicazione integrata con predominio di target di ‘co-makers’.
7.1 Comunicazione integrata di prodotto
Nelle imprese globali, la comunicazione integrata di prodotto si concretizza
nella pianificazione di una pluralità di flussi informativi rivolti all’esterno,
all’interno ed ai ‘co-makers’ (v. Figura 1), connessi all’attivazione di un insieme
coordinato di strumenti, specificamente riferiti ad un dato prodotto.
L’utilizzo pianificato di una molteplicità di strumenti, tutti orientati a
promuovere una specifica offerta aziendale, pur dovendo prevedere un orizzonte
temporale di coerenza di lungo periodo, tende a prescindere da un orientamento
finalizzato e sinergico a livello complessivo d’impresa, evidenziando piuttosto
condotte d’impresa dirette a raggiungere obiettivi di breve e brevissimo periodo.
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Figura 1: Comunicazione integrata di prodotto
E
I
Cm
Ad evidenza, comportamenti che prescindono da una strategia di
comunicazione relativa all’azienda nel suo insieme (corporate identity) non
possono certo condurre ad un’integrazione sistemica -anche per i vari sottosistemi
di offerta- di fini/flussi informativi/target.
Per quanto concerne le singole offerte, peraltro, le diverse aree di
comunicazione (esterna, interna ed ai ‘co-makers’) presentano numerose
coordinazioni. In effetti (come si rileva dal tratteggio di Figura 1, che raccorda i
diversi target), le singole attività mostrano stretti legami di tipo funzionale, che
riguardano soprattutto la scelta -in termini di rapporto ottimale tra costi e
benefici- degli strumenti utilizzabili di volta in volta per raggiungere definiti
obiettivi. La razionalità di tali scelte, tuttavia, si ricollega prioritariamente ad un
orientamento al ‘problem solving’ di natura operativa, dove l’orizzonte temporale
delle decisioni è ridotto.
La strategia di comunicazione integrata focalizzata su singole offerte e
strumentale a contingenti esigenze di consenso commerciale, in genere trova
riscontro in aziende globali caratterizzate da:
- una struttura organizzativa dominata da una forte presenza di brand
manager e di product manager, con responsabilità di redditività di
prodotto estesa a vaste aree geografiche. Questa tipologia di imprese di
norma opera con diverse linee di prodotti, in mercati a forte tensione
competitiva. Flussi informativi diretti ad aree di comunicazione diverse da
quella commerciale assumono pertanto carattere di eccezionalità e di
conseguenza ben raramente presentano ambiti decisionali estesi oltre la
durata degli accadimenti che determinano le esigenze di comunicazione
integrata;
- azioni competitive molto accentuate e repentine, attuate da concorrenti
spiccatamente ‘communication oriented’, cioè con organizzazioni abituate
a competere efficacemente con un mix di strumenti; ad esempio,
realizzando nei confronti di target esterni azioni combinate di pubblicità
(advertising), propaganda (publicity) e ‘consumer sales promotion’, ed
attivando al contempo programmi di ‘co-makership communication’ nei
confronti di intermediari commerciali prioritari. In condizioni di offensiva
concorrenziale per una data offerta, in effetti, l’azienda esposta all’azione
concorrenziale è di norma costretta a reagire in tempi brevissimi e con
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‘risposte multiple’ (cioè con il concomitante ricorso a differenti
strumenti), la cui coerenza non può essere individuata a livello di strategia
di impresa nel suo complesso, ovvero in rapporto a principi di solidità e di
continuità spazio-temporale delle iniziative, quanto piuttosto nell’impatto
sinergico di breve/brevissimo periodo per il prodotto sottoposto ad
offensiva concorrenziale e nel grado di aderenza di siffatte azioni
eccezionali rispetto ai piani di comunicazione realizzati in condizioni di
normale concorrenza (stabilità competitiva).
7.2 Comunicazione integrata corporate
Le imprese globali con strutture dedicate alla realizzazione di programmi di
comunicazione esterna, interna ed ai ‘co-makers’ mostrano una diversa strategia
di comunicazione integrata (tipici esempi in proposito si riscontrano nei gruppi di
imprese con ‘forti’ strutture manageriali di ‘Marketing’, ‘Risorse Umane’,
‘Ricerca e Sviluppo’, ecc.). In queste organizzazioni si tende infatti ad adottare
una strategia di comunicazione integrata contraddistinta da un’interazione
pianificata delle diverse aree (v. Figura 2), che in concreto si riconduce a:
- una strategia aziendale volta ad affermare una precisa identità unitaria
(corporate identity) mediante la pianificazione di attività istituzionali di
comunicazione, per controbilanciare la frammentazione delle
comunicazioni che di norma è prodotta dalla promozione di offerte ad alta
caratterizzazione (brand names). Tipici esempi in proposito si rilevano
nelle corporation (GE, Sony, Toshiba, Yamaha, ecc.) la cui offerta si
articola in classi di prodotto numerose e dissimili dal lato della domanda,
pur presentando una comune denominazione aziendale (company name);
- l’esigenza di coordinare differenti unità di una corporation che veicolano
flussi informativi continuativi e ad alta potenzialità di intersezione con
differenti target, soprattutto al fine di evitare la diffusione di messaggi
contraddittori.
Figura 2: Comunicazione integrata corporate
E
I
Cm
La strategia di comunicazione integrata in un’ottica di pianificazione corporate
prende le mosse da un’attività continuativa di informazione interna -stimolata di
norma dall’attività di appositi Comitati della Comunicazione, in cui sono
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presentate e discusse le iniziative di periodo- che le diverse funzioni aziendali e/o
le singole unità operative attivano prima della realizzazione dei programmi di
comunicazione di specifica pertinenza. Questa azione informativa, oltre a favorire
l’integrazione delle varie iniziative aziendali di comunicazione, costituisce la base
conoscitiva su cui costruire programmi di natura istituzionale, cioè di interesse
per varie funzioni/unità e con costi da ripartire tra i rispettivi budget, come
accade, ad esempio, per i progetti di sponsorizzazione culturale, oppure per certe
sponsorizzazioni sportive, per i loro ‘effetti multipli’ che possono
contemporaneamente riguardare target esterni, interni e ‘co-makers’.
La comunicazione integrata corporate tende quindi a svilupparsi per la
predisposizione di forti rapporti di pianificazione, centralizzati in una specifica
funzione aziendale con responsabilità di governo del sistema di comunicazione
(tipicamente una Direzione Comunicazione, ovvero un Comitato
Comunicazione), cha da un lato mira ad approfondire le motivazioni sottese ai
singoli interventi (oltre, ovviamente, a limitare l’insorgere di eventuali
incoerenze), e dall’altro è finalizzata ad istituzionalizzare il superamento
dell’ambito funzionale o dell’orizzonte decisionale di una singola unità operativa
per conseguire più vasti obiettivi aziendali di notorietà e/o di immagine. Questo
processo di integrazione non si propone pertanto di eliminare le autonomie
decisionali delle singole unità operative del network, le quali continuano così ad
essere pienamente responsabili delle scelte concernenti costi, modalità e tempi di
veicolazione dei flussi informativi cui sono preposte.
La strategia di integrazione pianificata delle diverse unità interessate alla
comunicazione presenta numerosi elementi di difformità rispetto alle condotte
aziendali, esaminate in precedenza, che privilegiano una visione di prodotto.
Queste ultime, infatti, si focalizzano sull’ottimizzazione a breve/brevissimo
termine dei programmi di comunicazione relativi ad una definita offerta, mentre
l’integrazione delle unità preposte a specifici flussi informativi si esplicita da un
lato con una pianificazione degli interventi, cioè con scelte mirate e condivise per
sfruttare tutte le possibili sinergie, e dall’altro prevede lo sviluppo di azioni
comuni, progettate su programmi complessivi d’impresa; programmi che pertanto
non sono direttamente collegabili ad obiettivi di singole attività, generando
piuttosto dei costi comuni imputabili alle singole organizzazioni sulla base di
specifici criteri.24
La comunicazione integrata corporate, in particolare:
- persegue lo sviluppo di una cultura di integrazione della comunicazione,
con finalità di vasto respiro aziendale e/o di mercato, che trascendono la
focalizzazione su singoli accadimenti e l’eccessiva enfatizzazione della
visuale strumentale;
- sostiene nell’organizzazione il ricorso a condotte e a norme di
integrazione della comunicazione, costringendo i responsabili di differenti
funzioni aziendali a confrontarsi in modo formale, periodicamente e
rispetto a specifici obiettivi e risultati, con riguardo a problematiche e
strumenti non direttamente connessi con i propri domini di competenza;
- preserva una forte autonomia alle diverse unità operative. Queste ultime,
di conseguenza, interagiscono a fondo sui programmi con comuni linee di
sviluppo, mentre conservano un’ampia discrezionalità decisionale per aree
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di diretta pertinenza, per molti aspetti delle quali l’integrazione risulta
pertanto prevalentemente formale;25
- da ultimo, rinvia alle singole unità operative la concreta realizzazione dei
programmi corporate di network. In effetti, gli organi di coordinamento
dei flussi informativi usualmente non dispongono di persone dedicate
(interne e/o esterne) in grado di attivare le iniziative che perseguono
finalità aziendali di carattere generale. In concreto, l’integrazione tra le
diverse unità si limita perciò a valutare collegialmente le iniziative
istituzionali, mentre la loro attuazione è affidata alla responsabilità di una
particolare unità, prescelta in virtù delle specifiche competenze a
disposizione; unità che quindi si configura di fatto come l’autentica
artefice del successo (o dell’insuccesso) delle azioni dirette a costruire
l’identità d’impresa.26
In sintesi, la strategia di comunicazione integrata corporate si esplicita con un
ridotto numero di iniziative, che però: si connotano con un’alta visibilità esterna
ed un elevato coinvolgimento interno; sono sviluppate assumendo come
riferimento il network nel suo complesso; ed infine sono pianificate nel tempo e
nello spazio con una stretta coerenza di fini, target e strumenti. La strategia di
comunicazione integrata corporate, tipicamente, tende a manifestarsi in aziende
contraddistinte da:
- diversificazione e differenziazione elevate, con condotte aziendali
dominate dalle politiche di marketing e dal raggiungimento di obiettivi
commerciali;
- brand portfolio caratterizzato, per date classi di prodotto, dalla
concomitante presenza di offerte con differente posizionamento (brand;
B-brand; parallel brand);27
- frequente assenza della funzione produttiva, per cui risulta enfatizzata
l’attività di gestione di bolle di domanda legate ad offerte con ciclo di vita
molto breve, ma tutte unite da un’unica corporate brand;28
- politiche di comunicazione con un netto predominio dei flussi esterni a
fini commerciali (segnatamente pubblicità e sales promotion).
7.3 Comunicazione integrata con predominio dei target esterni
Nella strategia di comunicazione integrata con predominio della comunicazione
esterna, le politiche di integrazione presuppongono che i flussi informativi diretti
ai pubblici interni ed ai ‘co-maker’ siano sviluppati secondo una progettualità
strettamente funzionale alle prioritarie esigenze dei pubblici esterni (v. Figura 3).
In un’ottica di integrazione dei flussi, la condizione di predominio della
comunicazione esterna non si traduce solo in un utilizzo di molteplici e differenti
strumenti rivolti a target esterni all’impresa. Più correttamente, infatti, il
predominio della comunicazione esterna evidenzia un costante orientamento del
management alla pianificazione ed allo sviluppo del complessivo sistema di
comunicazione, che appare specificamente contraddistinto da:
- una precisa definizione delle finalità di comunicazione a livello corporate
e di prodotti, per perseguire l’armonizzazione della comunicazione
commerciale di prodotto con i più complessi fini di identità aziendale;
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una decisa finalizzazione dei flussi informativi interni ed ai ‘co-maker’
verso azioni che enfatizzino l’efficacia e l’efficienza della comunicazione
esterna. Quest’ultima, quindi, presenta una netta e prevalente
caratterizzazione, sia per l’entità degli sforzi specificamente devoluti ai
flussi esterni, sia perché la comunicazione esterna costituisce il perno di
riferimento del complessivo sistema di comunicazione. Così, ad esempio,
nelle attività di formazione interna tendono ad essere privilegiati i
programmi che si ricollegano a definiti problemi espressi da determinati
target esterni, ovvero si prefiggono di approfondire tematiche utilmente
trasferibili alla dinamica competitiva; del pari, l’attività informativa rivolta
ai ‘co-maker’ può essere utilmente valorizzata a fini concorrenziali (ad
esempio, con sistematiche azioni di valorizzazione dei rapporti privilegiati
in essere con dati consulenti, designer, stilisti, centri di ricerca, ecc.);
una costante ricerca di sinergie –da identificare e quantificare
preventivamente- per l’insieme dei flussi veicolabili a target esterni in un
dato periodo di tempo. In proposito, si considerino ad esempio le attività
di informazione su nuovi prodotti in fase di lancio (come spesso accade
nei settori auto/moto, abbigliamento casual, ecc.), proposti in acquisto
agevolato e/o scontato ai dipendenti, per facilitare ed accelerare un
posizionamento competitivo in sintonia con gli obiettivi di altri strumenti
di comunicazione esterna;
un’accentuata centralizzazione della responsabilità di progettazione e di
realizzazione del sistema dei flussi informativi, per evitare di diffondere ai
target esterni primari comunicazioni con contenuti non consonanti, o
addirittura contraddittori.29 La condizione di eliminazione pianificata degli
spazi di autonomia decisionale è indicata nella Figura 3, specificamente
con la zona di sovrapposizione dei diversi domini (esterno, interno e ‘comaker’) che appunto intende evidenziare il sistematico raccordo
progettuale tra le diverse tipologie di comunicazione. Dal punto di vista
operativo, significativi esempi in proposito si possono riscontrare nelle
valutazioni di coerenza e di opportunità della comunicazione a fronte di
accadimenti negativi e di rilevante incidenza (dismissioni e licenziamenti
di personale, crisi del settore di attività, ecc.), cioè quando i responsabili
preposti alle attività aziendali interessate (marketing, personale, finanza,
ecc.) sono chiamati da un lato a condividere le responsabilità di contenuti
e linee di intervento dei flussi informativi di specifica competenza, e
dall’altro debbono effettuare una preventiva valutazione di consistenza
rispetto ai target esterni di riferimento (clienti, intermediari commerciali e
finanziari, pubblici poteri, ecc.).
La strategia di integrazione dei flussi informativi con predominio della
comunicazione esterna si configura quindi con precisi caratteri distintivi, costituiti
da:
- un’attività di integrazione generalizzata e continuativa, per cui tutti i
programmi di comunicazione di prodotto intersecano (e al contempo
possono condizionare, ma anche favorire) le iniziative di natura
corporate. Queste ultime, a loro volta, non si qualificano con un ambito
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confinato a determinati programmi di comunicazione istituzionale, cioè
occasioni in cui prevale il ‘company name’, concretizzandosi piuttosto in
una logica d’impresa in cui la dimensione corporate deve raccordarsi alle
comunicazioni delle singole offerte aziendali (brand names);
la presenza, all’interno dell’organizzazione, di personale dedicato e
altamente specializzato nella gestione integrata dei vari strumenti di
comunicazione.30 L’utilizzo integrato di una pluralità di strumenti
presuppone in effetti l’operatività costante di competenze specialistiche in
grado di esprimere comportamenti attivi nell’utilizzo dell’intero spettro
degli strumenti diretti ai target esterni, interni ed ai ‘co-maker’;
una cultura di comunicazione -diffusa nel network e largamente condivisa
nell’organizzazione- prioritariamente attenta alla dimensione esterna.
L’integrazione della comunicazione si manifesta pertanto con una
generalizzata predisposizione alla risoluzione dei problemi, fondata su
conoscenze non elementari dei diversi strumenti e delle problematiche di
comunicazione;
un’elevata visibilità del sistema delle iniziative di comunicazione ed una
connessa alta possibilità di stima –specificamente da parte dei diretti
concorrenti- dei costi sostenuti per sviluppare le varie attività. Il primato
della comunicazione esterna orienta infatti l’insieme dei flussi informativi
aziendali verso strumenti e iniziative di agevole individuazione, che di
fatto facilitano una ‘ricostruzione’ della struttura del sistema di
comunicazione (in complesso, per paese e per prodotto in un dato tempo),
con l’identificazione e la quantificazione delle principali componenti
strumentali di un definito piano. Questa visibilità del sistema di
comunicazione, inoltre, da un lato consente di determinare sintetici
indicatori approssimati della consistenza delle barriere di comunicazione per determinati comparti di offerta e in definiti tempi e spazi di
concorrenza31- e dall’altro costituisce un importante fattore di stimolo
all’adozione di comportamenti imitativi da parte delle imprese meno
innovative e più esposte ai programmi integrati di comunicazione.
Figura 3: Comunicazione integrata con predominio target esterni
La visibilità degli strumenti strategici e la loro agevole quantificabilità non
costituiscono peraltro motivi di preoccupazione per le imprese globali che
realizzano con successo programmi integrati di comunicazione. La valorizzazione
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delle ‘componenti visibili’ di un piano di comunicazione non consente infatti di
individuare l’intero spettro degli strumenti utilizzabili (e pertanto, anche il
connesso costo complessivo non è facilmente stimabile). Inoltre, la stima dei costi
degli strumenti utilizzati può avvenire solo a posteriori (ossia dopo l’attivazione
di singoli strumenti), e comunque ben difficilmente consente di decrittare la
strategia di un dato piano di comunicazione, comprendendone cioè i meccanismi
di integrazione che determinano le sinergie tra i diversi strumenti attivati.
La strategia di comunicazione integrata connotata da un predominio della
comunicazione esterna è tipicamente riconducibile ad un profilo di impresa che
mostra la presenza di:
- politiche di mercato decisamente caratterizzate da un approccio
‘marketing oriented’, che nelle varie circostanze può concretizzarsi in una
competitività attiva su una molteplicità di mercati di sbocco
(concorrenzialità multi-mercato), in un’elevata numerosità di categorie
merceologiche commercializzate (concorrenzialità multi-prodotto), nelle
gestione di una pluralità di offerte aziendali di una stessa classe di
prodotto (concorrenzialità multi-marca), ovvero in una combinazioni delle
precedenti condizioni (market-driven management)32;
- la precisa identificazione della quota di mercato minima (cioè il limite di
sopravvivenza della marca) per le diverse offerte che compongono il
brand portfolio aziendale. Livello di sopravvivenza i cui fondamentali
‘key-parameter’ si individuano ovviamente nei potenziali di domanda e
nell’intensità di concorrenza;
- politiche di comunicazione intese come un fattore competitivo di rilevanza
critica. Il ruolo strategico della comunicazione, in particolare, determina
un ampio e sistematico ricorso a specialisti esterni, con specifica
attenzione per le strutture più qualificate ed esperte nei rispettivi domini di
competenza, per potersi garantire continui apporti consulenziali ad elevata
specializzazione;33
- ed infine, condotte aziendali che rilevano nel tempo uno specifico fattore
di competitività (time-based competition). Con riferimento al sistema di
comunicazione (esterna, interna ed ai ‘co-maker’) la concorrenza basata
sul tempo da un lato si esprime nella minimizzazione del tempo
associabile ad un certo ciclo azione-reazione competitiva (time
compression e time value)34; e dall’altro, si manifesta con un ‘vantaggio’
nei tempi di decisione per l’accesso privilegiato a fonti primarie e
secondarie di informazione (come nei casi di collaborazione con Centri di
ricerca, Istituzioni scientifiche, ecc.).
In sintesi, la strategia di comunicazione integrata basata su un predominio dei
flussi informativi esterni prevede da un lato che tutte le iniziative siano sempre
coordinate, in un’ottica di assoluta, prioritaria funzionalità al complesso degli
‘stake-holder’ esterni; e dall’altro, presuppone un governo fortemente accentrato
dei flussi informativi, che esclude consistenti gradi di libertà decisionale per
quanto concerne la progettazione e la realizzazione delle attività che compongono
il sistema di comunicazione aziendale.
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7.4 Comunicazione integrata con predominio dei target interni
La strategia di integrazione con predominio della comunicazione interna si
manifesta con una centralità dei flussi diretti ai dipendenti, rispetto ai quali si
determina pertanto una subordinazione delle comunicazioni da veicolare
all’esterno ed ai ‘co-maker’ (v. Figura 4). Nel predominio della comunicazione
interna, in effetti, le comunicazioni esterne ed ai ‘co-maker’ presentano di norma
finalità molto specifiche e circoscritte e perciò sono caratterizzate da
un’attivazione molto limitata nel tempo e nello spazio.
Nel caso di preminenza dei flussi interni, le comunicazioni dirette ai target
esterni ed ai ‘co-maker’ si concretizzano con iniziative occasionali che mostrano
comunque una stretta funzionalità alla comunicazione interna, seppure con gradi
di libertà variamente estesi (come indicato in Figura 4 dalla non sovrapposizione
delle aree raffiguranti le comunicazioni esterne ed ai ‘co-maker’).
Figura 4: Comunicazione integrata con predominio target interni
□ Nelle imprese globali, tipici esempi di comunicazione integrata
con predominio della comunicazione interna si individuano nelle
grandi corporation del settore farmaceutico. In tali imprese, i
messaggi promozionali rivolti all’esterno a specifici intermediari
commerciali o finanziari palesano di norma contenuti del tutto
‘autonomi’ e comunque anche sensibilmente difformi dai messaggi
inviati (in via continuativa, di norma con strumenti telematici) a
selezionati gruppi di operatori (co-maker) ed ai prescrittori.
Una strategia di comunicazione integrata focalizzata sulla componente interna
evidenzia la priorità dei legami con i dipendenti nel perseguimento degli obiettivi
connessi con l’attività caratteristica d’impresa. Più in generale, il predominio
della comunicazione interna risulta diffuso nelle imprese globali con attività ad
elevata responsabilizzazione (ad esempio, nelle aziende con un’elevata incidenza
degli investimenti in R&D e nelle imprese con alti rapporti di ‘front line’ con la
clientela), cioè nelle organizzazioni in cui le mansioni di tipo routinario sono
delocalizzate, realizzate in outsourcing, oppure sviluppate on line o
massicciamente meccanizzate (come accade per molte attività di sportello degli
istituti di credito), mentre si registra un’alta incidenza di addetti interfacciati con
diversi target; cioè quando i rapporti interpersonali (tra varie unità operative di un
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network, ovvero all’interno delle singole unità operativa) rivestono una
fondamentale importanza per lo sviluppo dell’impresa e specificamente
richiedono costanti flussi informativi (di aggiornamento sulle offerte esistenti, di
addestramento per lo sviluppo di nuove offerte, di formazione per la crescita delle
potenzialità di offerta) per favorire nei dipendenti l’adozione di comportamenti
responsabilmente attivi ed altresì per assicurare una diffusa adesione del
personale ai credo35; fondamentali della cultura aziendale.36
La strategia di integrazione con predominio della comunicazione interna
riconosce pertanto ai dipendenti una specifica funzione di trasmettitore e quindi
di veicolo di propagazione e di qualificazione dell’identità aziendale. Con ciò
superando la tradizionale visione del canale di comunicazione ‘top-down’,
considerato passivo e acriticamente recettivo. Di conseguenza, il primato dei
flussi informativi interni si afferma nelle imprese globali con attività altamente
professionale e formalizzata, i cui tratti distintivi mostrano:
- la pianificazione degli obiettivi di breve e di medio periodo dei flussi
informativi diretti ai dipendenti. Questa accentuata qualificazione degli
interventi, nei network più complessi e articolati, impone un’esplicita
analisi ed un’attenta valutazione anche della comunicazione interna di tipo
informale –soprattutto con riguardo agli ambiti ed alle modalità di
prevalente manifestazione- al fine di individuare e possibilmente eliminare
eventuali impedimenti ed ostacoli ad una efficace ed efficiente
veicolazione delle comunicazioni interne formali;
- la predisposizione di opportune procedure di determinazione del budget di
comunicazione interna, che si delineano con proprie metodologie, pur
riconducendosi a più generali criteri di fissazione dello stanziamento
complessivo di comunicazione aziendale;
- l’utilizzo sistematico di procedimenti di verifica dell’efficacia e
dell’efficienza dei flussi trasmessi. Tempestività di veicolazione e piena
comprensione dei contenuti (nei flussi ‘vertice-base’, nei feedback e nei
feedforward) richiedono infatti un continuo monitoraggio della
funzionalità della ‘rete media’ interna, dei livelli di ricettività dei terminali
periferici, nonché dell’adeguatezza dei meccanismi di retroazione (assenza
di effetti ‘gate-keeper’ e ‘overturned funnel’37, predisposizione di
favorevoli condizioni per l’attivazione e la raccolta di flussi informativi di
ritorno da parte delle unità operative ‘periferiche’, assenza di fenomeni di
‘over-channelling’38, ecc).
Nell’ambito di una strategia di integrazione del sistema dei flussi, il predominio
della comunicazione interna assume differenti configurazioni in rapporto alle
varie condizioni competitive in cui si trovano ad operare le imprese, e più
precisamente:
a. In mercati contrassegnati da bassa concorrenza, i flussi informativi interni
sono di natura tipicamente burocratica, peraltro di norma giustificati per
la limitata sostituibilità dei beni offerti (tipici esempi in proposito si
riscontrano nelle attività protette da condizioni competitive di scarsità di
offerta, ovvero da situazioni di monopolio). In particolare, la
connotazione burocratica della comunicazione interna si manifesta con
feedback a lenta propagazione e che ritornano al vertice per strati
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successivi (v. Figura 5); ed inoltre si sostanzia con una modesta sensibilità
all’esigenza di interrelazione con le aree di comunicazione rivolte
all’esterno ed ai ‘co-maker’, nei confronti delle quali il coordinamento
tende pertanto a configurare una concreta esigenza solo in presenza di
problematiche di particolare importanza;
Figura 5: Comunicazione interna burocratica. Feedback/Feedforward
b.
In mercati ad alta concorrenza e con un’elevata sostituibilità delle offerte
tende invece a manifestarsi una comunicazione interna partecipativa, a
forte personalizzazione e molto interattiva. La comunicazione
partecipativa presuppone peraltro un’approfondita conoscenza delle
individualità a cui sono rivolti i vari flussi informativi, i cui contenuti sono
predisposti per favorire l’interazione tra i soggetti esposti al messaggio,
anziché produrre situazioni di ricezione passiva. La comunicazione interna
di natura partecipativa stimola inoltre processi di retroazione
(feedback/feedforward) rapidi e dissimili provenienze (v. Figura 6) e in
concreto tende a limitare i gradi di libertà esercitabili nell’interazione con
le aree di comunicazione rivolte all’esterno ed ai ‘co-maker’.
In conclusione, la strategia di comunicazione integrata caratterizzata da un
predominio dei flussi informativi interni si prefigge di affermare definiti profili di
responsabilità come fattori identificativi aziendali; a tale scopo presuppone che
tutte le iniziative siano progettate e coordinate assumendo i pubblici interni come
prioritario riferimento, pur potendo sussistere determinati gradi di libertà di
veicolazione dei flussi informativi rivolti all’esterno ed ai ‘co-maker’.
Figura 6: Comunicazione interna partecipativa. Feedback/Feedforward
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7.5 Comunicazione integrata con predominio dei ‘co-maker’
Da ultimo, la strategia di predominio della comunicazione diretta ai ‘co-maker’
evidenzia una supremazia dei flussi informativi indirizzati a questa particolare
tipologia di partner con cui l’impresa ha istituito un rapporto preferenziale. Con
questa strategia, inoltre, i messaggi veicolati all’interno e all’esterno
dell’organizzazione mostrano una minore criticità nel perseguimento delle finalità
aziendali e pertanto i rispettivi contenuti possono risultare tra loro notevolmente
autonomi, pur dovendo risultare strettamente subordinati alle esigenze di
comunicazione espresse dal target dei ‘co-maker’ (v. Figura 7).
Figura 7: Comunicazione integrata con predominio ‘co-maker’
L’integrazione della comunicazione con un predominio dei flussi diretti ai ‘comaker’ presenta tipici ambiti applicativi nelle alleanze aziendali di carattere
strategico, joint-venture e accordi di collaborazione societaria al alto
coinvolgimento39, ovvero nei gruppi di aziende40. In altri termini, nelle situazioni
in cui risulti prioritario il fine di favorire l’interazione tra i partner e pertanto
assuma fondamentale importanza un sistema di comunicazione dove le interfacce
delle diverse unità operative coinvolte siano parti attive di una comunicazione
finalizzata a sviluppare i legami di network.
Un sistema di comunicazione volto alla valorizzazione delle relazioni
preferenziali di partnership risulta impegnato a far convivere tecnologie, culture e
storie aziendali diverse, attivando canali e strumenti utili a migliorare le
conoscenze del network, che in ogni caso si devono innestare su rapporti fiduciali
preesistenti e sviluppati su base paritetica.
La mancanza di un rapporto fiduciale equilibrato, in effetti, impedisce
l’attuazione di una strategia di comunicazione integrata sviluppata in un’ottica di
‘co-makership’; nessuna delle parti impegnate potrebbe infatti attivarsi in
relazioni durature, basate su una partecipazione attiva e destinate a formare una
diffusa condivisione di responsabilità per le aree di attività gestite in comune.
La strategia di comunicazione integrata con predominio dei ‘co-maker’
presenta peculiari caratteristiche anche con riguardo agli strumenti utilizzabili,
che specificamente prevedono un consistente impiego di flussi informativi
interpersonali, scritti e verbali, spesso affiancati da strumenti non personali ad alta
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specificità di target e ad elevato coinvolgimento, quali ad esempio le reti
telematiche locali e remote.
Per contro, la strategia di comunicazione focalizzata sulla valorizzazione dei
rapporti di ‘co-makership’ presuppone un limitato ricorso agli strumenti non
personali di massa (e particolarmente alla pubblicità veicolata su mezzi con un
vasto spettro di audience). La visibilità esterna dei legami di ‘partnerhip’, infatti,
talvolta è perseguita per sfruttare contingenti opportunità di mercato, ma di rado
rappresenta un elemento focale di qualificazione dell’identità aziendale,
soprattutto per le aziende che (per le vaste dimensioni di network e per la
complessa articolazione dell’offerta aziendale) sono in grado di attivare e di
gestire positivamente nel lungo periodo numerose relazioni di ‘co-makership’. Di
conseguenza, la comunicazione rivolta a target esterni, pur dovendo essere
progettata per soddisfare le esigenze prioritarie dei ‘co-maker’, è realizzabile con
notevoli gradi di libertà, e questa condizione è estensibile anche ai flussi
informativi rivolti ai dipendenti.
La comunicazione interna, infatti, risulta decisamente condizionata da una
particolare relazione di ‘co-makership’ solo nel caso di aziende con dimensioni
operative ridotte e con una gamma di offerta ristretta e altamente specializzata; in
queste condizioni, in effetti, il rapporto di partnership –di norma unico- assume
un ruolo così pervasivo da finalizzare ‘de facto’ la gestione nel suo complesso e
di conseguenza anche i flussi informativi indirizzati ai dipendenti.
Nelle situazioni di equilibrio nelle relazioni tra i partner, invece, la
comunicazione interna può essere realizzata tenendo conto –nei contenuti e nei
modi di diffusione- dei rapporti di ‘co-makership’ e quindi i diversi tipi di flussi
informativi sono predisposti per favorire i processi di integrazione culturale tra i
dipendenti e le unità operative dei partner.
In sintesi, la strategia di integrazione dei flussi informativi caratterizzata da un
predominio della comunicazione indirizzata ai ‘co-maker’ si delinea una
particolare fisionomia, risultando nettamente prioritaria la finalità di affermare, su
base paritetica e con un orizzonte di lungo periodo, la relazione fiduciale tra unità
operative differenti ma appartenenti allo stesso network.
8. La comunicazione integrata nelle imprese globali
La logica della comunicazione integrata (global communication) costituisce
una realtà del tutto connaturata ad una moderna economia d’impresa globale. In
effetti, nei network di imprese, la comunicazione integrata deve comporre
armonicamente –con l’adozione di specifiche strategie e di molteplici strumentifinalità articolate per area geografica e intensità competitiva, per veicolare flussi
informativi coordinati e sinergici nel tempo e nello spazio, nei confronti di target
esterni, interni e ‘co-maker’.
In altri termini, la comunicazione aziendale evidenzia la necessità di adottare
schemi decisionali e di responsabilità connaturati alla complessità dei network
globali, che specificamente evidenziano:
- il riconoscimento del carattere strategico della comunicazione, per
sviluppare le finalità di notorietà e di immagine (corporate & product) nei
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diversi contesti ambientali e di concorrenza in cui si deve confrontare
l’azienda;
l’adozione prioritaria della logica costi-benefici per le scelte del
management delle diverse forme di comunicazione (personali, non
personali, telematiche);
l’utilizzo di un approccio multimediale pianificato, che da un lato esalti la
funzionalità degli strumenti utilizzabili nelle diverse circostanze rispetto
agli obiettivi da conseguire (massimizzazione di efficacia ed efficienza); e
dall’altro enfatizzi l’importanza di porre in sistema i flussi informativi
aziendali rivolti ai diversi target (esterni, interni e ‘co-maker’) per
minimizzare il costo complessivo di comunicazione globale e su marketspace di riferimento.
Note
1
Cfr. Jean-Jacques Lambin, Silvio M. Brondoni, Ouverture de ‘Market-Driven Management’,
Symphonya.Emerging Issues in Management (www.unimib.it/symphonya), n. 2, 2000-2001; George
S. Day, Market-Driver Winners, Symphonya. Emerging Issues in Management
(www.unimib.it/symphonya), n. 2, 2000-2001; Silvio M. Brondoni, Ouverture de ‘Market-Space
Management’, Symphonya. Emerging Issues in Management (www.unimib.it/symphonya), n. 1, 2002;
Silvio M. Brondoni, Ouverture de ‘Responsabilità d’impresa e Market-Space Competition’,
Symphonya. Emerging Issues in Management (www.unimib.it/symphonya), n. 1, 2003.
2
Michael A. Hitt, R. Duane Ireland, Robert E. Hoskinsson, Strategic Management.
Competitiveness and Globalization, South-Western College Publishing, Thomson, 2005.
3
Silvio M. Brondoni, Risorse immateriali e concorrenza d’impresa, Silvio M. Brondoni (ed.), Il
sistema delle risorse immateriali d’impresa: cultura d’impresa, sistema informativo e patrimonio di
marca, Giappichelli, Torino, 2004.
4
Cfr. Silvio M. Brondoni, Comunicazione, risorse invisibili e strategia competitiva d’impresa,
Sinergie, n. 43-44, 1997.
5
Cfr. Maria Emilia Gabelli, Localizzazione produttiva e dinamiche competitive, Giappichelli,
Torino, 2004; Elisa Rancati, Mercati globali e concorrenza basata sul tempo, Symphonya. Emerging
Issues in Management (www.unimib.it/symphonya), n. 2, 2005.
6
Cfr. Margherita Corniani, Sistema informativo aziendale e dinamiche competitive, Giappichelli,
Torino, 2000; Margherita Corniani, La gestione competitiva delle bolle di domanda, Symphonya.
Emerging Issues in Management (www.unimib.it/symphonya), n. 1, 2002; Flavio Gnecchi,
Margherita Corniani, Bolle di domanda, comunità virtuali e potenziale di domanda, Symphonya.
Emerging Issues in Management (www.unimib.it/symphonya), n. 2, 2003; Silvio M. Brondoni,
Ouverture de ‘Ricerche di marketing e mercati globali, Symphonya. Emerging Issues in Management
(www.unimib.it/symphonya), n. 2, 2003; Margherita Corniani, Segmentazione e aggregazione della
domanda aziendale, Giappichelli, Torino, 2004.
7
Cfr. Silvio M. Brondoni, Market-Driven Management: prima e meglio dei concorrenti, MARK
UP, luglio-agosto 2005; Silvio M. Brondoni, Market-Driven Management e neoprotezionismo, MARK
UP, giugno 2005.
8
Cfr. Silvio M. Brondoni (ed.), Il sistema delle risorse immateriali d’impresa: cultura d’impresa,
sistema informativo e patrimonio di marca, Giappichelli, Torino, 2004.
9
Cfr. Andrea Francesco Martinelli, Dal Cornering al Virtual Cornering, Symphonya. Emerging
Issues in Management (www.unimib.it/symphonya), n. 1, 2002.
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10
In proposito, tipici esempi si riscontrano nella partecipazione alle comunità virtuali ed ai
cosiddetti circoli di qualità, ed anche nelle adesioni ai programmi di ‘customer satisfaction’, dove
l’interazione è addirittura pianificata e sollecitata in modo esplicito con i ‘free call numbers’ e con le
reti telematiche interconnesse. Cfr. Silvio M. Brondoni, Comunicazione integrata e ‘nuove
sfide’competitive, in R. Filippini, G. Pagliarani, G. Petroni (eds.), Progettare e gestire l’impresa
innovativa, EtasLibri,Milano, 1992, p.80 e segg.
11
Cfr. Silvio M. Brondoni, Network e cultura della concorrenza, in Silvio M. Brondoni (ed.),
Cultura di network performance e dinamiche competitive, Giappichelli, Torino, 2006.
12
Cfr. Silvio M. Brondoni, La comunicazione integrata d'impresa nelle politiche di gruppo, in AA.
VV., Scritti in onore di Luigi Guatri, Ed. Bocconi Comunicazione, Milano, 1988; Antonella Reitano,
Telematica concorrenza e comunicazione integrata d’impresa, Giappichelli, Torino, 2002.
13
Nelle organizzazioni globali, la ricerca di sinergie nella comunicazione integrata d’impresa ha
prodotto un notevole miglioramento della professionalità dei responsabili aziendali delle attività di
coordinamento dei flussi informativi, che ha comportato: da un lato, un avvaloramento della gestione
complessiva delle varie forme di comunicazione (analogica e digitale) e dei vari strumenti (personali;
non personali; telematici) utilizzabili dall’impresa; e dall’altro, ha stimolato l’integrazione e la
finalizzazione del contenuto dei messaggi (commerciali; istituzionali; organizzativi), per minimizzare
il costo complessivo e per massimizzare l’efficacia attesa di specifiche azioni. Cfr. Silvio M.
Brondoni, La comunicazione integrata nell’economia d’impresa, in G. Lugli (ed.), Comunicazione e
pubblicità. Analisi economica e dinamiche competitive, Egea, Milano, 1993.
14
Cfr. Elisa Arrigo, Federica Codignola, Imprese globali e Cross Cultural Management, in Silvio
M. Brondoni (ed.), Cultura di network performance e dinamiche competitive, Giappichelli, Torino,
2006.
15
Cfr. Silvio M. Brondoni, Patrimonio di marca e politica di comunicazione, Giappichelli, Torino,
2002.
16
Il processo di digitalizzazione trasforma le informazioni e le comunicazioni in bit (binary
digital), cioè in numero binario. In altri termini, un’informazione (dati, testi, immagini, suoni) è
digitalizzata traducendo e rappresentando il suo stato originario (analogico) mediante un insieme
numerabile di elementi del codice binario (0-1, si-no, on-off). La digitalizzazione consente quindi il
trasferimento di un segnale assai semplificato, eppure in grado di essere eterogeneo e molto
complesso nel contenuto.
17
Cfr. Silvio M. Brondoni, Flavio Gnecchi, La comunicazione di Corporate Governance, Relazione
al 18° Convegno Annuale di Sinergie, L’evoluzione del capitalismo tra teoria e prassi: proprietà,
governance e valore, Capua, 2006.
18
Cfr. Silvio M.Brondoni, Ouverture de ‘Ricerche di Marketing e Mercati Globali’, Symphonya.
Emerging Issues in Management (www.unimib.it/symphonya), n. 2, 2003.
19
Cfr. Jerry Wind, Vijay Mahajan, Digital Marketing, Symphonya. Emerging Issues in
Management (www.unimib.it/symphonya), n. 1, 2002.
20
Cfr. Jean-Jacques Lambin, Market-Driven Management, McMillan, London, 2000.
21
Cfr. Antonella Reitano, Telematica concorrenza e comunicazione integrata d’impresa,
Giappichelli, Torino, 2002.
22
Cfr. Silvio M. Brondoni, Cultura di network, performance e responsabilità d’impresa,
Symphonya. Emerging Issues in Management (www.unimib.it/symphonya), n. 1, 2003; Daniela M.
Salvioni, Corporate Governance e responsabilità d’impresa, Symphonya. Emerging Issues in
Management (www.unimib.it/symphonya), n. 1, 2003; Luca Bisio, Responsabilità d’impresa e
Corporate Governance locale in Europa, Symphonya. Emerging Issues in Management
(www.unimib.it/symphonya), n. 1, 2003; Elisa Arrigo, Responsabilità aziendale in economia di
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scarsità. Il caso Olivetti, Symphonya. Emerging Issues in Management (www.unimib.it/symphonya),
n. 1, 2003.
23
Per una diffusa descrizione dei co-maker, si veda: Silvio M. Brondoni, Comunicazione integrata
d'impresa e ‘nuove sfide’ competitive, in AA.VV., Progettare e gestire l'impresa innovativa, Etas
Libri, Milano, 1992; Daniela M. Salvioni, Il bilancio d'esercizio nella comunicazione integrata
d'impresa, Giappichelli, Torino, 1992.
24
Tipici esempi o in proposito si rilevano nel patrocinio di grandi eventi culturali o sportivi (come
le Olimpiadi e i Campionati Mondiali/Europei di discipline sportive molto popolari). Cfr. Silvio M.
Brondoni, Sponsorizzazione culturale e comunicazione aziendale, L’Impresa, n.4, 1987.
25
Al riguardo, si pensi alla scelta dei ‘partner’ professionali esterni che collaborano alla
realizzazione delle diverse tipologie di comunicazione (agenzie di pubblicità; agenzie di sales
promotion; consulenti per le comunicazioni interne e ai co-makers; società di financial
communication; ecc.). Con un approccio di integrazione pianificata corporate, la scelta e la
remunerazione di tali strutture professionali tendono infatti a ricadere sotto la diretta responsabilità
delle diverse unità cui sono riconducibili i vari strumenti di comunicazione, mentre le strutture cui è
demandata l’integrazione dei flussi informativi (comitati, gruppi di lavoro, ecc.) di norma si limitano
ad elaborare linee-guida di selezione e criteri generali di remunerazione.
26
I controlli sull’efficacia e sull’efficienza delle iniziative corporate sono di norma effettuate –su
base collegiale- dagli stessi organismi preposti ala selezione ed alla pianificazione di tematiche,
strumenti ed eventi; organismi che inoltre decidono anche le eventuali azioni correttive ed integrative
da eseguire laddove si accertino risultati parziali sensibilmente difformi dagli obiettivi pianificati.
27
Cfr. Flavio Gnecchi, Paolo Ricotti, La reingegnerizzazione del portafoglio di marca, Symphonya.
Emerging Issues in Management (www.unimib.it/symphonya), n. 1, 2000/2001; Silvio M. Brondoni,
Marche ‘commerciali’, ‘industriali’ e pseudo-marche nell’evoluzione dei rapporti industriadistribuzione, Sinergie, giugno 1990.
28
Cfr. Flavio Gnecchi, Margherita Corniani, Le comunità virtuali nella misurazione del potenziale
della bolla di domanda, in Silvio M. Brondoni (ed.), Il sistema delle risorse immateriali
d’impresa:cultura d’impresa, sistema informativo e patrimonio di marca, cit.; Maria Emilia Garbelli,
Il sistema informativo nei network cooperativi di imprese, in Silvio M. Brondoni (ed.), Il sistema delle
risorse immateriali d’impresa:cultura d’impresa, sistema informativo e patrimonio di marca, cit.
29
In effetti, se la Direzione del Personale di una data unità operativa –in virtù di autonome
decisioni- procedesse ad effettuare inserzioni pubblicitarie di ricerca del personale con un ‘format’ del
tutto dissimile da quello adottato dalle Direzioni del Personale di altre unità dello stesso network, od
anche diverso dai ‘format’ utilizzati dalle Direzioni Marketing per le comunicazioni commerciali,
potrebbero giungere all’esterno messaggi profondamente dissimili. Ad evidenza, il rischio di difformi
impostazioni di fondo tende ad aumentare notevolmente al diffondersi, all’interno del network, dei
poli aziendali dotati di autonomia decisionale in materia di comunicazione.
30
‘I mutamenti prodottisi nelle opportunità e nelle esigenze di comunicazione delle imprese, infatti,
hanno stimolato il sorgere ed il consolidarsi in breve tempo –a fianco delle agenzie di pubblicità- di
nuove strutture professionali, attive esclusivamente su particolari strumenti ed operanti con elevati
standards di specializzazione…In sintesi, l’opzione ‘multimediale’ non può prescindere da una stretta
finalizzazione della strumentazione disponibile e quindi presuppone, per essere concretamente
funzionale agli obiettivi da conseguire, un preciso coordinamento delle strutture dedicate esistenti
all’interno delle aziende e delle organizzazioni professionali esterne.’ v. Silvio M. Brondoni, Le
strutture della comunicazione in Italia, in L. Guatri (ed.), Trattato di economia delle aziende
industriali, Milano Egea, 1988, pp. 486-488. Sullo stesso tema, si veda anche: Margherita Corniani,
Agenzie di pubblicità e ‘brand custodianship’, Sinergie, maggio-dicembre 1997.
31
In tal senso, la ‘share of voice’ (cioè il rapporto tra gli investimenti pubblicitari aziendali e la
spesa pubblicitaria di settore) deve esprimere una più complessa multidimensionalità strumentale,
superando il semplice riferimento agli investimenti pubblicitari, che ad evidenza rappresentano solo
un elemento ella strategia di comunicazione integrata.
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32
Il tradizionale approccio ‘marketing oriented’, in genere riconducibile ai successi degli anni ’70 e
‘80 di grandi corporation nord-americane e (in minor misura) europee, si riferisce a dimensioni
competitive che in concreto presupponevano una progressiva espansione di definite marche ed
aziende su una molteplicità di mercati (international marketing management), secondo una
concezione in buona sostanza ‘demand focused’. Nei mercati globali, per contro, si afferma un
diverso approccio concorrenziale di ‘market-driven management’, sviluppato negli anni ’80 da grandi
‘corporation Japan-based’, che tende ad affermare una matrice tridimensionale (i cui assi sono
costituiti, rispettivamente, pa prodotti,mercati e marche). Il ‘market-driven management’ si sostanzia
soprattutto nel sistematico sfruttamento dei risultati della ricerca di base ed applicata (in particolare,
con una politica di nuovi prodotti aggressiva, innovativa e comunque svincolata dai condizionamenti
delle produzioni in essere), nonché nel perseguimento di una logica avanzata di ‘customer
satisfaction’, contraddistinta da una ricerca continua di miglioramenti incrementali per i prodotti
esistenti e per la gestione di bolle di domanda.
33
La strutture professionali esterne sono scelte anche a fini concorrenziali, per impedire ai diretti
concorrenti di accedere alle migliori competenze (ad esempio, attivando rapporti di collaborazione
con diverse strutture consulenziali ed impegnando ciascuna di esse su uno o più progetti di
comunicazione). La scelta delle strutture professionali esterne, per essere effettuata anche con una
visione competitiva, prevede l’applicazione di una specifica clausola contrattuale, definita di
‘rapporto esclusivo’, in base alla quale una data organizzazione consulenziale si impegna a non
fornire le proprie prestazioni professionali ad aziende-clienti direttamente concorrenti. La ‘clausola di
non competitività’ è normalmente applicata nei contratti stipulati con le agenzie di pubblicità e di
sponsorizzazione, mentre in genere esplicite pattuizioni nei rapporti professionali con altri partner
(segnatamente, agenzie di relazioni pubbliche, sales promotion, merchandising, product placement).
34
La dimensione di ‘time compression’ concerne il valore del fattore tempo negli aspetti di
efficienza, relativi al consumo di tempo. La dimensione di ‘time value’ riguarda invece l’efficacia
nella modalità d’uso del fattore tempo. Il ‘time value’ esprime pertanto la valorizzazione dell’uso del
tempo, all’interno di un ciclo di azione-reazione, in cui il ‘consumo’ di tempo si intende già
opportunamente compresso. Cfr. Elisa Rancati, Risorse immateriali d’impresa e concorrenza basata
sul tempo, in Silvio M. Brondoni (ed.), Il sistema delle risorse immateriali d’impresa:cultura
d’impresa, sistema informativo e patrimonio di marca, cit.; Silvio M. Brondoni, Time Compression
and Time Value as Competitive Strategy, in D. Caseby (ed.), Time and Management, ISIDA, Palermo,
2000.
35
Cfr. Umberto Furlan, Cultura d’impresa e concorrenza globale. La filosofia Honda, Symphonya.
Emerging Issues in Management (www.unimib.it/symphonya), n. 2, 2002.
36
Cfr. Mauro Gatti, Cultura d’impresa,risorse immateriali e competitività, in Silvio M. Brondoni
(ed.), Il sistema delle risorse immateriali d’impresa:cultura d’impresa, sistema informativo e
patrimonio di marca, cit.
37
Nei processi di feedback e di feedforward delle comunicazioni interne, l’effetto di ‘gate-keeping’
si manifesta con un blocco dei flussi informativi di retroazione a dati livelli dell’organizzazione
aziendale e quindi produce una completa interruzione della catena diffusione delle conoscenze. Per
converso, l’effetto ‘imbuto rovesciato’ riguarda la possibilità che -nei diversi passaggi del ‘ritorno’ del
flusso di retroazione- si determini una progressiva diminuzione quali-quantitativa dei contenuti
informativi, producendo pertanto indebiti depauperamenti e distorsioni del messaggio.
38
I fenomeni di ‘over-channelling’ tendono a verificarsi quando, da un lato si manifestano forti
stimoli ad attivare processi di retroazione, e dall’altro, però, i terminali periferici non adottano
adeguate procedure (sequenziali, per strati successivi, ecc.) di selezione delle informazioni di
feedback/feedforward, contribuendo così a determinare situazioni di congestione di certi canali di
trasmissione (in genere i più efficaci).
39
Cfr. F.J. Contractor, P. Lorange (eds.), Cooperative Strategies and Alliances, Pergamon, London,
2000.
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40
Cfr. Silvio M. Brondoni, La comunicazione integrata d’impresa nelle politiche di gruppo, in
A.V., Scritti in Onore di L. Guatri, cit.
Edited by: ISTEI - Università degli Studi di Milano - Bicocca
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