“Un obiettivo senza un piano è solo un desiderio” è il sottotitolo di questi Stati generali. Ma come dice Mike Tyson - uno che se ne intende- “Tutti hanno un piano, finché non prendono un pugno in faccia”. I pugni in faccia sono i cambiamenti continui della realtà, che smontano i nostri progetti e ci spingono a ripensarli totalmente. Viviamo in un mondo in cui una strategia fatta 6 mesi fa non va più bene, le condizioni cambiano, le innovazioni continue rivoluzionano il contesto, si aprono nuove strade e servono modelli di business adeguati e strumenti a servizio di questo continuo processo di ricerca e innovazione che investe le imprese, le università, i centri di ricerca, gli ospedali, ma anche la cittadinanza nel suo complesso. Oltre, ovviamente, alla pubblica amministrazione. L’innovazione oggi è sempre più spesso esito di processi collaborativi che modificano dal basso le idee, i prodotti, gli strumenti: è la logica dell’open innovation, in base alla quale dobbiamo ripensare le nostre strategie e le nostre azioni. Non significa che i piani non servono più, anzi, servono anche più di prima, per dare ordine e assicurare la governance di un sistema complesso e mutevole. Ma il fattore determinante diventa il timing, il tempo, la capacità di osservare il contesto, monitorare gli interventi in tempo reale, valutare le politiche e ripensarle perché rispondano al bisogno effettivo. Un modello di business come Airbnb ha avuto successo perché ha colto un bisogno nato in un contesto molto preciso, quello della recessione, che vedeva la ricerca di alloggi a minor prezzo e la disponibilità dei proprietari a affittarli per avere entrate aggiuntive. Allo stesso modo Youtube non è stato il primo progetto di condivisione video via internet, ma ha colto il tempo giusto, il momento in cui si era diffusa la banda larga ed erano nati software che rendevano visione e condivisione semplici e immediate. Bisogna quindi leggere “i segni dei tempi”. Il nostro contesto attuale ci parla di un sistema economico che è stato centrifugato dalla crisi, ma che ora riparte su fondamenti e asset di sviluppo completamente diversi dal passato. I settori più avanzati e gli imprenditori di avanguardia sono già partiti da tempo: basta pensare che il farmaceutico, senza dubbio uno degli ambiti a più alto tasso di innovazione, negli ultimi due anni ha incrementato i propri investimenti in ricerca di oltre il 19%. In Lombardia il 68% degli investimenti in ricerca e sviluppo è generato dalle imprese, il 18% dalle Università. Sono loro il cuore dell’innovazione. Occorre offrire un sistema di governance che sostenga e incrementi gli investimenti privati in ricerca e innovazione e renda strutturale e costante la collaborazione tra università, centri di ricerca pubblici e privati e mondo produttivo. Questo è il momento favorevole per farlo, sia per il contesto macroeconomico sia perché siamo ancora in una fase iniziale del ciclo di programmazione dei fondi strutturali. I 120 milioni di euro che abbiamo dedicato alle aggregazioni tra PMI, grandi imprese e organismi di ricerca sono un contributo in questa direzione, ma devono inserirsi in una strategia ad ampio raggio, che individui anche strumenti diversi, alternativi ai bandi, ad esempio attraverso la sperimentazione di accordi negoziali per la ricerca e l’innovazione che coinvolgano imprese e università, o attraverso lo sviluppo e il superamento dei nodi che ancora rallentano uno strumento potenzialmente molto competitivo come l’appalto pre-commerciale. Un punto su cui lavorare è certamente il sostegno allo start up di imprese fortemente innovative, oltre che di spin off: significa introdurre strumenti innovativi di finanziamento, promuovere l’intervento di capitali privati, sostenere i processi di trasferimento tecnologico, mettere a disposizione spazi e laboratori condivisi, officine della ricerca e dell’innovazione. Su alcuni di questi temi sono già in costruzione partnership sia con il livello nazionale (Agenzia Digitale italiana, MISE e MIUR) sia con il Fondo Europeo degli Investimenti. Un secondo fattore che oggi risulta completamente cambiato rispetto al passato è la geografia. La Lombardia ha un’incidenza delle spese in ricerca e sviluppo sul PIL pari a circa l’1,3%. In termini assoluti 4,4 miliardi di euro, il 22% del totale nazionale. Ma probabilmente oggi l’ottica nazionale non è quella più adeguata per considerare il tema dell’innovazione. Ci sono molti esempi di sistemi fortemente innovativi sviluppati a livello locale, regionale e sovraregionale. Se prendiamo come riferimento l’Italia nord-occidentale la Lombardia produce il 60% degli investimenti in ricerca e sviluppo di quest’area, che sicuramente presenta elementi comuni su cui lavorare in modo integrato. Ma ancor di più, se ragioniamo in un’ottica di Macroregione alpina – un’area che coinvolge 48 entità regionali in 7 Paesi diversi – vediamo che la spesa in ricerca e sviluppo è pari al 2,7% del PIL. Sono immense le potenzialità di politiche di innovazione condivise a livello di macroregione alpina. Una prima sperimentazione potrebbe riguardare l’estensione del progetto Open Innovation, che è una infrastruttura intelligente a servizio dell’innovazione e che in questa logica può essere allargata, modificata, arricchita. L’innovazione modifica i confini, ma non in modo lineare. In alcuni casi li annulla – le comunicazioni digitali sono un esempio sotto gli occhi di tutti – in altri li accentua – pensiamo alle miriadi di servizi strettamente locali che sono stati resi possibili e accessibili dalla tecnologia (le varie forme di sharing economy, social innovation, ecc). In ogni caso li cambia, perciò servono infrastrutture adeguate a questi nuovi confini variabili, infrastrutture sia materiali che immateriali. In queste settimane si è molto parlato del post expo e di come svilupparlo in ottica di innovazione. Anche qui, la geografia è fondamentale: non si tratta solo di realizzare ottimi progetti sul sito Expo, ma di fare dell’intero territorio regionale un hub di innovazione sulla scia di quanto avvenuto con Expo. Expo è stata una sorta di città di circa 100/200mila abitanti completamente smart. Noi dobbiamo sviluppare la stessa logica a livello regionale: da smart city a smart region. Un tema decisivo per raggiungere questo obiettivo sono gli Open Data. Ogni giorno la nostra società produce volumi impressionanti di dati, anche la stessa Pubblica amministrazione ha numerose e aggiornate banche dati. La sfida è conoscere, interpretare, diffondere questi dati ed utilizzarli per dare strumenti di decisione e servizi ai cittadini, oltre che per monitorare e valutare le politiche pubbliche. Questa considerazione ci introduce al terzo fattore strategico per l’innovazione, il capitale umano: oggi abbiamo i dati ma spesso non abbiamo le persone formate per analizzarli e tradurli. Sviluppare le nuove competenze è indispensabile, lo ha capito bene il Presidente Obama, che ha lanciato in America un programma a tappeto per insegnare il coding nelle scuole. La formazione del capitale umano è un tema che parte dalla scuola primaria e arriva fino alla valorizzazione dei ricercatori, alla necessità di attirare e trattenere le migliori competenze e di mettere a sistema l’incredibile patrimonio di conoscenze che il sistema accademico e quello produttivo generano. Per farlo, occorre sfruttare di più e meglio le opportunità offerte dall’Unione Europea (Horizon, Cosme, Connecting) e promuovere anche programmi integrati con il Fondo Sociale Europeo. Queste tre coordinate – tempo, spazio, persone – ci restituiscono una mappa del sistema della ricerca, dell’innovazione e della competitività completamente diversa da un passato anche recente. Servono, pertanto, anche regole diverse da quelle che sono esistite finora. Occorre abbandonare i confini settoriali, che non hanno più ragione di esistere; occorre sperimentare forme nuove semplificate di relazione tra PA, Università e imprese; occorre ripensare anche la contrattazione e le regole di ingaggio dei ricercatori, sia nel pubblico che nel privato. L’innovazione ha sempre una carica distruttiva, oltre che costruttiva: dobbiamo definire uno spazio almeno sperimentale in cui tutte queste novità possano esprimersi ed evolversi, senza essere soffocate da vincoli inadeguati al contesto attuale. Il progetto di legge su ricerca e innovazione che prenderà forma nei prossimi mesi vuole essere uno strumento a sostegno di questo nuovo modo di intendere la pubblica amministrazione e il suo ruolo di sostegno ai processi di cambiamento in atto. Grazie. Roberto Albonetti Direttore Generale Università, Ricerca e Open Innovation