Nuovi Occhi per la TV INTRODUZIONE AI MASS MEDIA Che cosa sono e come funzionano i mass media. La televisione è un mezzo di comunicazione di massa e da questa caratteristica derivano alcune peculiarità. Le definisce con chiarezza il sociologo britannico Denis McQuail: Fonte di potere: influenzano, controllano e innovano la società; gestiscono le informazioni che fanno funzionare tutte le istituzioni sociali Sede (o arena) dove si svolgono molti fatti della vita pubblica Fonte di definizione e immagini della realtà sociale, e dunque luogo dove si costruiscono, si conservano e si manifestano i valori della società e dei gruppi i relativi cambiamenti Chiave per il raggiungimento della visibilità pubblica, della fama Fonte dei significati che definiscono per la sfera pubblica ciò che è normale, in base al quale si fanno confronti e si indicano le devianze Industria principale che organizza e relaziona il tempo libero delle persone Queste funzioni vengono svolte da i mass media tradizionali con un rapporto asimettrico, in quanto la comunicazione avviene tra delle organizzazioni industriali e una massa, appunto, di consumatori che non hanno un reale potere di interazione. Ne consegue che i contenuti offerti sono prodotti in modo standardizzato e vengono proposti tramite comunicatori professionisti che dipendono dalle reti televisive. Questa grande disparità di potere porta ad un contratto che possiamo definire amorale, in quanto non prevede obblighi reciproci. Un simile rapporto sembra negare il concetto di pubblico attivo che è invece sostenuto da diverse correnti di studi e soprattutto a livello di opinione corrente. Il pubblico ha oggi molte più possibilità di interazione con quanto viene proposto alle televisioni, ma si tratta quasi esclusivamente di una aumentata disponibilità tecnica: uso del telefono o del pc in rete per partecipare ai programmi, più diffusa presenza negli studi come partecipante o pubblico, pseudorappresentazione della gente comune tramite il macrogenere del reality show. Nella sostanza dunque il controllo quasi assoluto dello scambio comunicativo resta alle scelte editoriali delle TV sulla base delle loro strategie. L'idea, sostenuta da una importante parte della ricerca sui media, che le persone utilizzino il mezzo televisivo per soddisfare determinati bisogni individuali a cui le TV non fanno che rispondere, è vera. Il fatto è che le scelte possibili, aumentate a dismisura in canali e programmi negli ultimi anni, restano confinate all'interno della proposta delle emittenti, che le elaborano sulla base dei propri interessi industriali. Se il mercato e la legislazione all'interno delle quale operano sono rispettivamente sano e funzionante, non si pongono eccessivi problemi per i diritti dei cittadini. Senza dimenticare che bisogni ed usi vengono determinati nel tempo dalle influenze culturali, su cui influisce anche la TV. Un concetto da prendere in considerazione per comprendere diversi aspetti delle attività delle televisioni, è quello di postmoderno. La televisione nasce e prospera in un mondo occidentale per cui era ancora adeguato il termine “moderno”, intendendo con questo modo una società caratterizzata dall'urbanizzazione, dalla produzione di massa e da rapporti sociali propri dell'economia capitalista. Con l'aumento esponenziale in questo sistema del lavoro dell'informazione (cioè il terziario e in generale le attività che non producono beni fisici ma servizi) si ha il passaggio alla società postindustriale, il cui corrispettivo culturale si indica con il termine postmoderno. Rifiuti delle ideologie politiche, disimpegno, abbandono dell'utopia, ricerca della novità, piacere effimero, autocompiacimento, incoerenza, fiducia nel mercato e nel consumo, sono alcuni egli elementi caratteristici della cultura postmoderna. In una frase chiarificatrice, “la logica culturale del capitalismo maturo”. Le televisioni sono chiari esempi di cosa vuol dire produrre non oggetti ma informazione, sapere, cultura. Conoscenze che servono a chi guarda la TV a decifrare la propria esperienza del mondo, traendone poi differenti e individuali significati. Che i media siano un diaframma tra individuo e mondo è evidente, quanto e in che misura dipende da vari e mutevoli fattori, dall'organizzazione sociale alla cultura individuale, dalla regolamentazione del mercato alla quantità di tempo di esposizione. Il rapporto tra media, società e individuo varia in base al luogo e al tempo, e dunque norme e scelte valide sono determinate dalle condizioni contingenti. Non separabile dal problema della riproduzione della realtà è il rapporto che i media intrattengono con il potere dominante, egemonizzati o antagonisti che siano, e quelli dell'integrazione e dell'identità sociale. Il grande potere, pur non assoluto, di TV e giornali nel condizionare gli orientamenti sociali condivisi verso la conservazione o il progresso, sono un dato assodato ormai da decenni dalla ricerca sui media. I media non sono onnipotenti ma possono accumulare sufficiente potere per divenire determinanti date le condizioni. Le funzioni che i media svolgono nella/per la società. Informazione: sui fatti, ma anche sui rapporti di potere, con lo scopo di favorire progresso e adattamento Correlazione: spiegare gli avvenimenti; sostenere il potere legittimo e la legge, costruendo il consenso; indicare le priorità; promuovere la socializzazione e l'incontro delle culture differenti Continuità: esprimere la cultura sottoculture e le novità culturali dominante, le Intrattenimento: fornire svago e stemperare la tensione sociale Mobilitazione: battersi per l'interesse sociale riguardo alla politica e all'economia Sul punto decisivo di come e quanto la TV può influenzare i singoli e la società, bisogna precisare che il condizionamento dei valori e delle credenze non avviene in modo diretto. Non credo quello che sento dire da giornalisti o conduttori, così come non imito automaticamente i comportamenti che mi vengono proposti o esaltati. E' l'azione selettiva della Tv, la scelta di cosa dire e cosa far vedere che può più facilmente influenzare le persone. La rappresentazione o l'esclusione di certi modelli e di certi fatti rispetto ad altri è ciò che agisce più sottilmente sulla visione del mondo di chi guarda. LA TELEVISIONE ITALIANA Cronologia essenziale 1954-La Rai inizia le trasmissioni 1956-Il segnale televisivo raggiunge tutto il territorio italiano 1957-Inizia la programmazione di ”Carosello”, il contenitore di pubblicità che sancisce il sistema misto della TV di Stato italiana: canone più pubblicità 1961-Il “Secondo Programma”, futura Rai 2, si aggiunge al Programma Nazionale, futura Rai 1 1971-Nasce TeleBiella, prima rete privata locale italiana 1974-Una sentenza stabilisce la legittimità della TV privata via cavo 1976-Una sentenza sancisce la possibilità per le emittenti private di trasmettere via etere a diffusione locale 1975-La riforma della Rai prevede due principali obiettivi: la TV di Stato passa dal controllo del governo al controllo del Parlamento; è decisa la costituzione di una terza rete nazionale che valorizzi la dimensione locale 1976-Finiscono le trasmissioni di “Carosello”, nasce TeleMilanocavo, la futura Canale 5 1977-La TV italiana diventa a colori, con circa 10 anni di ritardo rispetto al resto d'Europa 1980- Nasce Rai3 1984-Nasce Auditel 1990-La cosiddetta “legge Mammì” sancisce lo stato delle cose cosi come si è venuto a creare nella seconda metà degli anni ottanta: il duopolio Rai-Mediaset distribuito su sei canali 1991-Nasce Tele+, la prima TV via satellite italiana 1992-Iniziano le trasmissioni del TG5 e degli altri telegiornali Mediaset Servizio pubblico e sistema privato. La TV italiana nasce con le caratteristiche del Servizio Pubblico, il cui modello di riferimento era la British Broadcasting Company (BBC), la TV di Stato britannica. Per tale modello le parole chiave erano educazione, qualità e indipendenza. La Rai saprà far sue le prime due per oltre trenta anni, ma non riuscirà mai ad ottenere la terza. Alla base della concezione didattica del Servizio Pubblico sta il presupposto che un'azienda che produce cultura e informazione non può essere considerata come una attività qualsiasi. Il suo operato deve rispettare l'interesse collettivo e la democrazia, in quanto i beni che produce sono un diritto dei cittadini; e tanto più per il grande potere di comunicazione, e dunque di influenza, che possiede. E' insomma la natura particolare della televisione a richiedere uno statuto particolare delle emittenti, che non possono essere regolamentate solamente dalle dinamiche del mercato. Una delle aspirazioni del sistema democratico è l'accrescimento dei suoi cittadini. Nella TV è stato fin dall'inizio individuato uno strumento potentissimo per il raggiungimento di questo scopo. Secondo John Reith, primo direttore generale della BBC, la TV “aveva la responsabilità di portare nel numero più ampio possibile di case il meglio di ciò che era stato formulato in ogni area della conoscenza umana”. Inoltre era chiaro fin dall'inizio come la televisione fosse un formidabile strumento per modellare e rinforzare i caratteri nazionali e il senso di appartenenza al Paese. Altro motivo che ne faceva presupporre l'indipendenza dal potere politico e in particolare dal Governo. In Italia questo non fu mai possibile. L'EIAR, antenata della Rai, nacque durante il fascismo e ne divenne ben presto la voce. La Rai prese forma nel 1944 e nella nuova Costituzione scritta al termine della guerra ne veniva affidato il controllo agli organi dello Stato. E proprio nella Costituzione si indicava come “a fini di utilità generale la legge può riservare allo stato determinate imprese che si riferiscano a servizi pubblici essenziali ed abbiano carattere di preminente interesse generale” (art.43). E sempre sulla base della Costituzione venivano formulati i principi democratici a cui la TV era vincolata: concorrere alla crescita culturale del Paese, permettere il formarsi di una opinione pubblica consapevole, dare accesso e visibilità a tutte le forze politiche. Nei primi vent'anni della sua attività la Rai ha dato un formidabile contributo per rendere gli italiani più colti e più “moderni”, partecipi cioè dei cambiamenti che nel Paese e nel mondo stavano avvenendo. Ma è stata schiava dei partiti politici fin dall'inizio: prima di quelli di governo, poi di tutti i principali, dopo che la riforma del 1975 stabilì il passaggio del controllo dall'esecutivo al parlamento. Aggiungendo a questa cronica situazione la rottura del monopolio e l'entrata in scena delle reti private che hanno cambiato i termini del confronto tradizionali e a cui la Rai non è stata in grado di reagire conscia del suo ruolo, allora si comprende la condizione di degrado e di bassa credibilità a cui è arrivata la TV di Stato. L'avvento del mercato da parte sua non ha portato benefici, anzi ha segnato una inesorabile decadenza della TV italiana, tutta. Ribadendo quanto già avvenuto in altri paesi, che quello televisivo non è un mercato equiparabile a quello delle merci reali e l'assenza di regola ha l'effetto di danneggiare i consumatori e di non obbligare le imprese di occuparsi della qualità dei propri prodotti. Oggi la restituzione della TV ai cittadini, secondo quanto i principi democratici, la Costituzione e l'interesse della collettività richiedono, passa attraverso 3 snodi decisivi. La sottrazione della Rai al controllo diretto dei partiti politici; la regolamentazione del mercato televisivo pubblico/privato in modo che sia riaperto ad una vera concorrenza con lo scopo di indirizzare verso una nuova ricerca di qualità, ormai atrofizzata dalla mancanza di vera competizione tra Rai e Mediaset; la riforma della raccolta dei dati di ascolto, sui quali tutto il sistema televisivo basa il suo enorme mercato pubblicitario, nella direzione di una rilevazione trasparente e non solo più quantitativa ma anche qualitativa. La pubblicità. Fin dal 1957 la pubblicità è presente sulla Rai, all'interno di un programma dedicato, e solo di quello, Carosello. Era la scelta ibrida della Tv di Stato, che agiva come educatrice e guida dello spettatore, per immettere la presenza del mercato all'interno della programmazione. Fu un successo enorme ed epocale, altri contenitori simili si affiancarono, e la proposta di pubblicità stava all'interno della TV nel suo spazio delimitato rispetto al resto della trasmissione, al contenuto insomma della programmazione. “Carosello” termina nel 1976, nel momento di piena trasformazione del sistema televisivo italiano con la nascita delle TV private e l'avvento del colore. La pubblicità vine ora trasmessa con dei “telecomunicati”, che si trasformeranno di lì a breve negli “spot”. Nei trenta anni successivi, di pari passo con l'affermazione della Tv commerciale, la pubblicità prenderà sempre più spazio nei programmi e nel palinsesto. La presenza della comunicazione commerciale si pone tra i programmi, in blocchi di spot; nei programmi tramite televendite e sponsorizzazioni; nel linguaggio, influenzando il resto dell'offerta ammaliata dalle sue vincenti strategie comunicative, con gli altri generi sempre più debitori delle sue caratteristiche di superficialità, brevità e ripetizione. Il condizionamento che dunque la pubblicità opera nei confronti dei contenuti televisivi è duplice: esterno, in quanto essa è la principale fonte di finanziamento dei canali televisivi e dunque la condiziona la costruzione di trasmissioni che devono essere appetibili in primo luogo per i pubblicitari e non per il pubblico; interno, come genere televisivo egemone e di maggior fascino con le capacità di elevata sintesi narrativa, il ricorso a testimonial di fama mondiale, il costante richiamo alla dimensione ludica e liberatoria dell'esistenza. A pubblicità è sicuramente un genere molto interessante per il linguaggio audiovisivo, ma la sua presenza abnorme, dati i suoi presupposti e le sue finalità, non può che essere limitante e invadente per gli altri generi televisivi. La neotelevisione. L'aumento massiccio della pubblicità in TV è uno degli elementi che segnano l'affermazione di un nuovo tipo di televisione, quella che si diffonde negli anni '80 e che Umberto Eco ha definito neotelevisione, e che è quella che ancora oggi occupa i nostri schermi. Gli altri elementi che la caratterizzano e che segnano una profonda rottura rispetto alla TV precedente sono:: lo sviluppo tecnologico che porta in particolare all'affermazione del telecomando, del videoregistratore e del televideo l'aumento e la diversificazione del numero di televisori presenti in ogni casa la moltiplicazioni dei canali l'incremento delle ore di trasmissione giornaliera fino ad arrivare alla copertura delle 24 ore la forte concorrenza televisive che si instaura tra le reti In conseguenza di questi elementi si modifica profondamente il rapporto tra la TV e l mondo in cui è presente. Il principale oggetto d'interesse diventa infatti lei stessa, in un acuto processo di autoreferenzialità, mentre la realtà passa in secondo piano. La TV inizia a scandire il tempo quotidiano dello spettatore in base agli appuntamenti ricorrenti del suo palinsesto. I modi di espressione dell'autoreferenzialità sono diversi. Dall'avere come soggetto dei programmi la TV stessa nei suoi differenti aspetti, all'uso massiccio del repertorio Tv e dunque della memoria del mezzo come memoria collettiva, alla messa in scena degli aspetti tecnici e operativi della Tv (tecnici, mezzi, fuori onda, errori di ripresa, ecc). Nella neotelevisione poi i generi tradizionali della TV si confondono tra loro: informazione e spettacolo si mescolano nell'infotainment, la fiction e la realtà perdono i propri confini nel reality show. Inoltre i vari segmenti del palinsesto, oltre a richiamarsi l'un l'altro, perdono i confini che li hanno sempre separati con lo scopo di ben caratterizzarli. Uno apre una finestra sull'altro che lo segue e da cui sarà separato dalla pubblicità, e quello successivo cede uno spazio informativo al notiziario che è appena prima del film che sarà ogni 12 minuti interrotto da spot promo... Questa perdita di differenziazione dei vari segmenti della programmazione prende il nome di flusso, come ha ben intuito lo studioso dei media Raymond Williams quando s trovò per la prima volta davanti la TV americana, il cui modello è quello che oggi qui da noi domina. Un flusso che miscela tutto ciò che la TV propone in un unico impasto che ha come scopo quello di tenere lo spettatore su quel canale. La presenza di un inestricabile flusso è evidenziata anche dal linguaggio comune. Normalmente diciamo “ho guardato la televisione” e non “ho guardato la partita in TV” oppure “ho guardato un film in TV”... E il legame sempre più forte dello spettatore al mezzo più che ai canali o ai contenuti è attestato dalla pratica di fruizione principale della neotelevisione, lo zapping. Ognuno di noi può costruirsi il proprio flusso individuale passando da un programma all'altro e miscelando frammenti ancora più eterogenei di contenuto. Infine, la neotelevisione ha trasformato la dimensione dell'immaginario televisivo da pubblica e ricorrentemente festiva a privata ed eminentemente quotidiana. La presenza via via maggiore nei programmi della gente comune come pubblico in studio, poi come concorrenti poi come ospiti, o attraverso il loro intervento da casa attraverso il telefono, è stato il primo passo. Dopo aver portato nella spazio spettacolare l'uomo e la donna comuni, si sono fatti diventare comuni i personaggi dello spettacolo attraverso l'esposizione di difetti e debolezze attraverso dosi massicce di gossip. Si è così creato un terreno sul quale il pubblico medio non sente il bisogno di apprendere nulla e di nulla stupirsi perché argomenti e comportamenti sono gli stessi che può trovare nella routine quotidiana. Molti personaggi della nuova televisione poi non eccellono in nulla se non nel numero di volte in cui sono comparsi come ospiti in programmi televisivi, anche qui senza una funzione specifica se non quella di essere ospiti. Questo livellamento verso il basso ha avuto la forma dell'appiattimento e dello svuotamento di contenuti, non quello della democratizzazione e dell'attenzione alla vita quotidiana. Tutto nella neotelevisione, cioè nella TV attuale, è finalizzato mantenere il contatto con lo spettatore, a richiamarlo all'interno del mondo fittizio del piccolo schermo. Il palinsesto. L'organizzazione del palinsesto, ovvero del quadro d'insieme dei programmi del giorno, della settimana o del mese, non ha altra funzione che questa, tenere più spettatori possibili sul proprio canale per il maggior tempo possibile, con il fine di massimizzare gli ascolti su cui si basano gli investimenti pubblicitari. Intorno alla pianificazione del palinsesto si è sviluppato un vero e proprio marketing specifico le cui strategie è bene analizzare sommariamente per comprendere come funziona la strategia di ricerca del pubblico. Counter programming: la collocazione di un programma di genere diverso da quello mandato in onda dalla ete concorrente nella stessa fascia oraria Competitive programming: si utilizzando lo stesso formato compete con l'avversario Checkerboarding: posizionamento, in una stessa oraria, di un programma ogni giorno differente fascia Stripping: indica la strategia tipica della neotelevisione di proporre quotidianamente, alla stessa ora, la medesima trasmissione Lead in e lead out: principi per cui si presuppone che il pubblico di un determinato appuntamento televisivo possa seguire anche l'appuntamento successivo Spinoffs: è la tecnica di costruire, attorno a personaggi già noti per altre ragioni, dei programmi appositi Hammocking: un programma nuovo e poco seguito collocato tra due appuntamenti di forte richiamo viene Bridging: posizionamento di formati “forti” in corrispondenza della messa in onda, sulle reti concorrenti, di altri appuntamenti, in maniera tale da bloccare il pubblico sulle proprie frequenze Blocking: incasellamento in sequenza aventi lo stesso target di riferimento di trasmissioni Stunting: consiste nel cambiamento improvviso di formato Dalle 4 ore giornaliere di programmazione degli albori della TV si è passati in poco più di venti anni alla copertura totale della giornata, dall'alba alla notte fonda, con il segnale che non viene mai sospeso, 24 ore su 24. Auditel. Il desiderio di poter valutare l'ascolto (la quantità) e il gradimento (la qualità) dei programmi trasmessi ha dovuto trovare soluzioni alternative al problema dell'impossibilità di un riscontro diretto del consumo di televisione, come invece è possibile per il cinema, i libri e la stampa. La RAI, rispondendo alle responsabilità proprie di una televisione di Stato, ha sempre promosso ricerche e indagini facendosene carico direttamente. Fin dagli anni Sessanta ha cercato di misurare il gradimento del pubblico per i programmi mandati in onda, attraverso il questionario e l'intervista diretta. In quanto unica emittente sul mercato fino agli anni settanta, la Rai non ha avuto bisogno di calcolare quanti consumatori potesse “vendere” agli inserzionisti pubblicitari. All'avvento della televisione commerciale all'inizio degli anni ottanta, la RAI compie l'errore di non difendere le peculiarità del servizio pubblico per differenziarsi dalla concorrenza, ma si avvia a costituire con questa un sistema misto in cui sono le regole della TV privata a dettar legge. Ne verrà una caduta progressiva della qualità, della credibilità, dell'autorevolezza dell'azienda. Nel 1984 la Rai è tra i promotori di Auditel, un organismo di rilevazione del consumo televisivo, predisposto a fornire e gestire solamente dati quantitativi. Auditel è una società creata insieme ai network dell'emittenza privata e alle associazioni dei pubblicitari la cui attività sul campo prende il via nel 1986 a Milano. La scelta tecnologica cadde sullo strument o meter, che registra i contatti che lo spettatore opera attraverso la selezione dei canali in riferimento al tempo di permanenza, trasmettendo gli impulsi per via telefonica. Ma vediamo più precisamente il funzionamento così come è descritto sul sito dell'Auditel. Schematicamente, il meter è composto da 3 unità: l'Unità di identificazione, che riconosce e registra il canale televisivo fruito da ogni apparecchio presente nella famiglia (tv, videoregistratore, dvd, ricevitore per tv satellitare e digitale terrestre, play station); i l Telecomando, che segnala le presenze individuali per ciascun televisore, attraverso tasti assegnati a ogni componente della famiglia e a eventuali ospiti; l'Unità di trasmissione, che raccoglie i dati (da tutti i TV) per poi trasmetterli al calcolatore centrale, via linea telefonica o GSM. Prodotti da AGB, società incaricata della rilevazione, i meter sono di proprietà di Auditel. Le informazioni raccolte ogni giorno, tra le 2 e le 5 del mattino, sono elaborate dal computer centrale e diffuse alle 10 del mattino successivo. Guardare qualcosa in TV significa automaticamente apprezzarlo? Cambiare canale, in certe fasce orarie, offre davvero la possibilità di trovare qualcosa che risponda alle esigenze di tutto il pubblico? Il sistema di rilevazione scelto da Auditel, e basato ad oggi su circa 5000 famiglie campione, non era l'unico possibile; anzi, era davvero poco adatto per stabilire la soddisfazione del pubblico e le modalità di fruizione. Auditel ha come obiettivo la mappatura degli ipotetici consumatori in base alla loro suddivisione e frequenza di ascolto; non di tratteggiare il profilo del pubblico per potergli fornire un'offerta adeguata, sulla quale sarà poi l'industria pubblicitaria ad adattarsi, e non viceversa. I dati raccolti da Auditel diventano poi l'elemento decisivo per la stesura dei palinsesti da parte delle reti. Una rilevazione di tipo solo quantitativo ha un problema di fondo: la semplice accensione del televisore si tramuta sui tabulati delle rilevazioni in un gradimento implicito. Sappiamo tutti come sovente si usufruisca della TV nelle nostre case: viene utilizzata come sottofondo o accompagnamento a cui non viene prestata che un'attenzione saltuaria e distratta. La scelta di un programma si effettua a volte in base al “meno peggio”: e si può indicare come apprezzamento la “resa” di chi guarda la TV di fronte ad una proposta che può anche essere globalmente di bassa qualità? Il metodo dell'Auditel serve solo a stabilizzare il mercato della pubblicità con dati costanti e privi di possibile contraddizione. Manca la valutazione del gradimento degli spettatori. Infine, è giusto che a gestire un organismo così importante siano gli stessi enti che ne traggono beneficio, le parti in causa insomma, cioè RAI, Mediaset, pubblicitari? Non dovrebbe forse essere un'organizzazione autonoma? Dovrebbe occuparsene, per l'importanza della posta in palio, un ente davvero autonomo. E infatti la legge prevede che questo ruolo venga svolto direttamente dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che da parte sua non ha mai rivendicato con forza il ruolo che le spetta. Eppure l'Autorità è un ente indipendente della Repubblica Italiana a cui la legge attribuisce un compito specifico, mentre l'Auditel è solo una società privata e nemmeno super partes. Forse la soluzione per questo problema sarebbe una pluralità di soggetti che rilevano i dati di ascolto, superando un monopolio che alla prova dei fatti non è stato salutare per la TV italiana. E' evidente, e ormai sostenuta da più parti, la necessità di avere indagini qualitative del consumo televisivo che si affianchino a quelle quantitative per dare un quadro più realista di chi e come guarda la TV. In questa direzione la Rai ha attivato l'Indice qualità soddisfazione (Iqs) nel luglio del 1997, ma dimostrando poca trasparenza non ha mai voluto divulgarne i dati. Se a tutto questo si aggiunge che il mercato televisivo italiano si è rapidamente strutturato, dai primi anni novanta, in un duopolio dove fare concorrenza è molto difficile, si capisce a quali rischi siano esposti gli utenti-telespettatori-cittadini nel loro diritto di avere una TV all'altezza di un paese democratico. Le ricerche sui modelli di genere. Due importanti ricerche sono promosse negli anni '80 dalla “Commissione nazionale per la realizzazione della parità tra uomo e donna” condotte dall'antropologa Gioia Di Cristofaro Longo, che sono molto interessanti per diversi motivi. Innanzi tutto prendono in considerazione la rappresentazione della donna in tutti i media che utilizzano immagini, dandoci così un resoconto completo su come la cultura della comunicazione rappresenta il genere femminile, che testimonia come l'interesse per l'etica della comunicazione avesse raggiunto, venti anni fa, anche le istituzioni. La prima di queste ricerche è del 1985 e si intitolata Immagine donna. Modelli di donna emergenti nei mezzi di comunicazione di massa e arriva ad individuare alcune proposte per il cambiamento che verranno riprese nel Piano di Azione Nazionale del 1986 e poi nel Primo Rapporto del Governo Italiano sulla Convenzione per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne del 1989. Molto significativa è la seconda ricerca, del 1992, La Donna nei Media, perché in realtà è il resoconto dell'attività di Sportello Immagine Donna, istituito dalla Commissione per le Pari Opportunità come ente a cui i cittadini potessero rivolgersi per suggerire, segnalare, denunciare pubblicità, programmi o quanto altro che proponesse messaggi e immagini offensive e svilenti delle donne. Questa è la caratteristica più interessante della ricerca: il coinvolgimento diretto della popolazione, scuole medie comprese grazie alle iniziative di molte e molti insegnanti. Le numerose lettere, i lavori di analisi realizzati autonomamente e poi inviati, le denunce, le raccolte di firme, che l'iniziativa ha catalizzato testimoniano di una coscienza civile e di una partecipazione che si sono disperse negli anni successivi fino ad oggi, certo anche per la progressiva latitanza delle istituzioni nel sostenere una dimensione etica della comunicazione. Le speranze e le azioni in quel periodo erano altre, come bene spiega Tina Anselmi, allora presidente della Commissione per le Pari Opportunità e deputata democristiana: “L'iniziativa parte infatti da un presupposto, da una nostra sensazione forte e ben distinta, anche se non ancora suffragata da dati certi: che i cittadini e le cittadine italiane fossero stanchi dell'immagine e degli stereotipi legati alla donna che il mondo dell'informazione e della comunicazione propongono con ossessiva insistenza, con messaggi ora espliciti ora subdolamente mascherati. Non si tratta solo dell'uso e della strumentalizzazione del corpo femminile (o meglio di alcune parti di esso, per di più scoperte) per vendere qualunque oggetto, ma anche e soprattutto della continua svalutazione della donna intesa come persona, eternamente relegata in ruoli sciocchi e superficiali. […] E non ci sbagliavamo: le centinaia e centinaia di segnalazioni che abbiamo ricevuto hanno dimostrato che avevamo ragione, ed hanno dimostrato come un'istituzione, nel momento in cui si apre alla società civile e dialoga con essa possa diventare reale punto di riferimento e valida interlocutrice.[...] Oggi presentiamo finalmente un primo bilancio dello “Sportello” che si presenta con una valenza del tutto nuova rispetto a qualunque indagine sociologica, antropologica o statistica sul tema: perché stavolta è la gente che parla, cittadine e cittadini che esprimono la loro soddisfazione per aver finalmente trovato qualcuno (un'istituzione!) disposto ad ascoltare il loro “basta!” e a trasformarlo in azioni concrete.” Quello che con più interesse emergeva da questa esperienza era che di fronte alle gravi distorsioni operate dai media sull'immagine della donna, ciò che stava più a cuore a ricercatori e istituzioni era arrivare al cambiamento della situazione. Teoria sì per analizzare, ma poi azioni pratiche per incidere positivamente sul sistema. Tra gli enti che svolgono in Italia monitoraggio e indagine: sulla programmazione televisiva l'Osservatorio di Pavia che è in attività dal 1994 e sulla produzione di fiction l'Osservatorio permanente sulla fiction fondato e diretto dal 1986 dalla sociologa Milly Buonanno. La Buonanno in particolare ha messo in evidenza nei suoi studi sulla professione giornalistica come le donne nelle redazioni italiane siano ancora discriminate in base agli stereotipi di genere, nonostante la crescita esponenziale della loro presenza e attività, soprattutto in televisione. La definizione coniata dalla studiosa per sintetizzare questa condizione è esaustiva: “visibilità senza potere”. Utilizzate molto come conduttrici, quindi con la messa in campo del loro volto, e ormai anche del loro corpo, delegate alla gestione soprattutto di particolari settori tematici come lo spettacolo e la salute, sono per lo più escluse dai ruoli più prestigiosi e di potere. Il problema più grande che viene evidenziato dagli studi sul giornalismo al femminile è che, anche dove le donne raggiungono posizioni influenti e decisive, possono farlo solo alimentando nella loro professione un punto di vista sul mondo e sui singoli fatti conforme all'ottica maschile. Insomma, una donna può anche (raramente) dirigere un telegiornale o fare l'opinionista a livello nazionale ma queste conquiste diventano possibili solo in cambio di un approccio maschile, di una rimozione almeno parziale dell'essere femminile nel mondo. Ne discendono ovvie conseguenze sulla interpretazione della realtà, condizionamenti che vengono così trasmessi al pubblico, nutrendo un circolo vizioso. I l Global Media Monitoring Project organizza ogni cinque anni una ricerca qualitativa/quantitativa in 70 paesi di tutto il mondo per fotografare presenza di genere nell'informazione di televisioni, radio e quotidiani. Margaret Gallagher, che è un delle coordinatrici di questa ricerca, commentandone nel 2004 i risultati disse chiaramente come per ottenere dai media una immagine della donna quale cittadina a tutto tondo, bisogna non solo far accedere le donne alle posizioni decisionali, ma sopratutto immettere nella prassi di costruzione delle notizie un punto di vista femminile, che non può essere lo scimmiottamento da parte femminile dello stile maschile. E' più importante dunque il come si racconta, rispetto a chi racconta. In questa direzione di costruzione di un'alternativa alla egemonia maschile nell'informazione, ancora Milly Buonanno propone come concreta alternativa la coalizione delle giornaliste italiane in una comunità consapevole che rifletta su quale può essere la visione femminile. Secondo la studiosa ci si può riuscire partendo dal potenziale di autonomia ed etica che le donne hanno dimostrato in questi anni di possedere e saper mettere in atto. Infatti le giornaliste hanno sovente preso le distanze dal potere volutamente nella pratica del loro lavoro, soprattutto chi tra loro ha vissuto la stagione dell'impegno femminista. Una dettagliata indagine sulla rappresentazione di genere nell'informazione della RAI, Una, nessuna... a quando centomila? La rappresentazione della donna in televisione, è stata svolta nel 2001 da Loredana Cornero ed ha delineato un quadro in cui i limiti della rappresentazione al femminile permangono, sia a livello di creatrici che di soggetti delle notizie. I problemi salienti sono: meno spazio negli argomenti seri, estrema valorizzazione dell'aspetto fisico ma minima di quello intellettuale, atteggiamento paternalistico nei loro confronti. Due fondamentali ricerche sulla condizione subordinata della donna a livello di immagini mediatiche, sono due studi compiuti nel 2002 dal CNEL, il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro e nel 2006 dal CENSIS, il Centro Studi Investimenti Sociali, osservatorio autonomo dei cambiamenti e delle condizioni del paese. Dalla ricerca del CNEL emerge un dato significativo, cioè che il rapporto tra tempo parlato o agito e tempo solo visivo tende a coincidere per gli uomini, mentre è fortemente squilibrato verso il visivo per le donne. Tutte quelle donne e ragazze messe ai margini dell'inquadratura, inginocchiate come ancelle o in piedi come cornici, quelle ragazze messe al centro dell'inquadratura ma vicino a uomini che tengono sempre la parola su argomenti importanti, quelle ragazze sono la normalità della TV italiana. A confermare l'esistenza di un modello sostanzialmente unico di donna nella rappresentazione televisiva del nostro paese è la ricerca del CENSIS, Donne e Media in Europa, di cui vi riportiamo l'estratto riassuntivo: Attraverso l’analisi dei contenuti di 578 programmi televisivi d’informazione, approfondimento, cultura, intrattenimento sulle 7 emittenti nazionali (Rai, Mediaset, La7), emerge che le donne, nella fascia preserale, ricoprono soprattutto ruoli di attrici (56,3%), cantanti (25%) e modelle (20%). L'immagine più frequente dunque è quella della “donna di spettacolo”. Piacevoli, collaborative, positive. La donna in tv è rappresentata in maniera positiva, come protagonista della situazione, ma generalmente, lo spazio offerto alla figura femminile è gestito da una figura maschile "ordinante". Belle, patinate e soprattutto giovani. L’immagine della donna risulta polarizzata tra il mondo dello spettacolo e quello della violenza della cronaca nera. C’è una distorsione rispetto al mondo femminile reale: le donne anziane sono invisibili (4,8%), lo status socioeconomico percepibile è medioalto, e solo nel 9,6% dei casi è basso, mentre le donne disabili non compaiono mai. I temi a cui la donna viene più spesso associata sono quelli dello spettacolo e della moda (31,5%), della violenza fisica (14,2%) e della giustizia (12,4%); quasi mai invece alla politica (4,8%), alla realizzazione professionale (2%) e all’impegno nel mondo della cultura (6,6%). L'intrattenimento. Il conduttore è uomo (58%), lo stile di conduzione è ironico (39,2%), malizioso (21,6%) e un po’ aggressivo (21,6%); i costumi di scena sono audaci (36,9%), le inquadrature voyeuristiche (30%) e solo nel 15,7% dei casi sottolineano le abilità artistiche della donna. L'estetica complessiva è quella dell'avanspettacolo mediocre (36,4%) e scadente (28,9%). Nei reality in particolare, della donna si sottolineano invece doti di adattamento, furbizia e spregiudicatezza. L'informazione: la donna del dolore. Nell'informazione la donna compare soprattutto all'interno di un servizio di cronaca nera (67,8%), in una vicenda drammatica in cui è coinvolta come vittima di violenze, stupri e prevaricazioni di ogni tipo. E il suo intervento, in un servizio televisivo, dura fino a venti secondi, nel 45,2% dei casi. I programmi di approfondimento. Il timone della conduzione è in mano agli uomini (63%). Ma se le donne intervengono in qualità di “esperte” lo sono soprattutto su argomenti come l'astrologia (20,7%), la natura (13,8%), l'artigianato (13,8%) e la letteratura (10,3%). Le donne della fiction. E’ il genere che meglio descrive l’evoluzione della condizione delle donna, la quale viene rappresentata come dirigente di distretti di polizia, come medico e avvocato in carriera. Nell'esposizione dei risultati la ricerca del CENSIS afferma poi: Quello che in molti Paesi europei ha prodotto un serissimo dibattito culturale e normativo, nel nostro paese, al di là di alcuni pregevoli tentativi, appare ancora come un “tema di frontiera” o, peggio ancora, un tema da suffragette nostalgiche di un femminismo ormai trapassato. Stenta in Italia ad affermarsi il principio che una rappresentazione “plurale” delle donne, una rappresentazione non offensiva della loro dignità, non volgare, non reificante (cioè che non la riduca sempre e solo ad oggetto sessuale) è un diritto costituzionale, quel diritto che afferma in tutte le Costituzioni dei paesi democratici che ogni cittadino ha diritto a non essere discriminato per ragioni di sesso, etnia, convinzione religiosa. La regolamentazione: genere e minori. Le Nazioni Unite innanzi tutto. L'Italia il 14 marzo 1985 con la legge n.132 ha ratificato e reso esecutiva la Convenzione ONU sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna, comunemente conosciuta come CEDAW (The Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women). Tutte le forme. All'articolo 5 la convezione riporta tra l'altro: Gli Stati parte devono prendere ogni misura adeguata per: a. modificare gli schemi ed i modelli di comportamento sociali e culturali degli uomini e delle donne, al fine di ottenere l'eliminazione dei pregiudizi e delle pratiche consuetudinarie o di altro genere, basate sulla convinzione dell'inferiorità o della superiorità dell'uno o dell'altro sesso, o sull'idea di ruoli stereotipati degli uomini e delle donne. Una delle particolarità della CEDAW rispetto ad altri trattati sui diritti umani è che non vincola solo gli Stati, ma li obbliga ad intervenire nei confronti di altri soggetti non statali se la convenzione non viene rispettata. Come riporta il comma E dell'articolo 2 gli stati devono “prendere ogni misura adeguata per eliminare la discriminazione contro le donne da parte di qualsivoglia persona, organizzazione o impresa”. E più in generale è un trattato che non chiede semplicemente di condannare le discriminazioni contro le donne, ma impone un'azione positiva, cioè concreta, attuata attraverso la legislazione per indurre l'eliminazione degli ostacoli su questa strada. La Repubblica Italiana comunque aveva già inserito nella sua Costituzione l'impegno a contrastare e rimuovere ogni tipo di discriminazione tra i suoi cittadini. E' l'articolo 3 ad esprimerlo con chiarezza, indicando proprio il sesso come la prima delle differenze da rispettare: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Va però osservato che la RAI più di tutto avrebbe bisogno di scelte editoriali che semplicemente tagliassero certi tipi di programmi per fare posto ad altri, che cambino un linguaggio che si è eccessivamente allontanato dalla realtà del paese. Anche perché il Servizio Pubblico, oltre al rispetto del Contratto di servizio, della Costituzione e del CEDAW, dovrebbe rispettare le regole che esso stesso si è dato. Come il Codice Etico, approvato all'unanimità dal Consiglio di Amministrazione nell'agosto 2003, che è vincolante per tutti i dipendenti della RAI, per tutte le società ad essa riconducibili e per tutti i collaboratori e fornitori esterni che con essa intrattengano rapporti di lavoro. Il primo dei principi etici generali sostenuti dal Codice Etico della RAI è l'osservanza della legge. Il secondo dei principi etici generali che la RAI si da l'obbligo di osservare è il pluralismo. Ecco cosa troviamo al punto 2.2 del Codice in questione: Per RAI, quale concessionaria del Servizio Pubblico radiotelevisivo, il pluralismo, nella sua accezione più ampia, costituisce un obbligo che deve essere rispettato dalla Azienda concessionaria nel suo insieme e in ogni suo atto e deve avere evidente riscontro nei singoli programmi; il pluralismo deve estendersi a tutte le diverse condizioni e opzioni (sociali, culturali, politiche, ecc.) che alimentano gli orientamenti dei cittadini. Più in particolare, al punto 2.2.1 (b), si definisce: pluralismo nella programmazione, in considerazione del fatto che la complessiva programmazione del Servizio Pubblico deve essere finalizzata allo sviluppo sociale e culturale del Paese, con adeguato spazio, anche nelle ore di maggiore ascolto, alle varie tendenze culturali che hanno segnato l'evoluzione della civiltà. La linea editoriale RAI deve rispettare e soddisfare un pubblico che ha orientamenti, opinioni e gusti diversi. Nei programmi si deve, quindi, riflettere la molteplicità delle culture e degli interessi in modo che qualunque sia il credo religioso, il convincimento politico, la razza, il sesso, l'orientamento sessuale, l'educazione, la condizione sociale e l'età, gli utenti non vengano trascurati o offesi. Anche se il pluralismo non può trovare sempre applicazione meccanica e contestuale, esso deve comunque essere rispettato in un ragionevole arco di programmazione. Proseguendo nello stesso punto, alla sezione (e), viene chiarito in modo interessante cosa si intende per: pluralismo culturale, in quanto, in ordine alle singole problematiche trattate devono emergere le diverse opzioni culturali presenti nel Paese, e nella stessa scelta dei temi, il Servizio Pubblico deve caratterizzarsi come capace di proporre questioni innovative e di interesse rispetto alle mode correnti riflesse dagli altri mezzi di informazione. […] Anche attraverso la collocazione di tali tematiche in fasce orarie di maggiore ascolto. Infine, fondamentale per il nostro discorso, alla sezione (h) viene precisato che da tutelare è anche il: pluralismo di genere e di età, in quanto RAI promuove la cultura e la politica delle pari opportunità tra uomini e donne. La programmazione è chiamata a farsi carico della presenza, tra i radio e i telespettatori, dei minori: grande attenzione va riservata alla tutela, non soltanto in termini di protezione delle culture della violenza e della prevaricazione fisica e psicologica, ma anche e soprattutto nel senso della promozione positiva di valori. Mediaset non si è data nel proprio codice etico regole di tutela della differenza sessuale e culturale, ma riconosce un altro documento di cui è stata tra le promotrici: il Codice di Autoregolamentazione TV e minori, sottoscritto il 29 novembre 2002 tra il Ministero delle Comunicazioni e i principali network televisivi italiani, Rai compresa naturalmente. Infatti al punto (b) del Codice si riconosce che: il bisogno del minore a uno sviluppo regolare e compiuto è un diritto riconosciuto dall’ordinamento giuridico nazionale e internazionale: basta ricordare l’articolo della Costituzione che impegna la comunità nazionale, in tutte le sue articolazioni, a proteggere l’infanzia e la gioventù (art.31) o la Convenzione dell’ONU del 1989 – divenuta legge dello Stato nel 1991, che impone a tutti di collaborare per predisporre le condizioni perché i minori possano vivere una vita autonoma nella società, nello spirito di pace, dignità, tolleranza, libertà, eguaglianza, solidarietà e che fa divieto di sottoporlo a interferenze arbitrarie o illegali nella sua privacy e comunque a forme di violenza, danno, abuso mentale, sfruttamento; Nel punto (c) le Emittenti si fanno addirittura carico di parte della responsabilità educativa dei minori: la funzione educativa, che compete innanzitutto alla famiglia, deve essere agevolata dalla televisione al fine di aiutare i minori a conoscere progressivamente la vita e ad affrontarne i problemi; Al punto (e) c'è poi il chiaro riconoscimento delle responsabilità di chi fa televisione: riconosciuti i diritti di ogni cittadino – utente e quelli di libertà di informazione e di impresa, quando questi siano contrapposti a quelli del bambino, si applica il principio di cui all’art.3 della Convenzione ONU secondo cui “i maggiori interessi del bambino/a devono costituire oggetto di primaria considerazione”. Tutto ciò premesso, le Imprese televisive ritengono opportuno non solo impegnarsi a uno scrupoloso rispetto della normativa vigente a tutela dei minori, ma anche a dar vita a un codice di autoregolamentazione che possa assicurare contributi positivi allo sviluppo della loro personalità e comunque che eviti messaggi che possano danneggiarla nel rispetto della Convenzione ONU che impegna ad adottare appropriati codici di condotta affinché il bambino/a sia protetto da informazioni e materiali dannosi al suo benessere (art.17). A ribadire la serietà dell'impegno, abbiamo ciò che viene espresso al punto (b) dei Principi Generali: aiutare gli adulti, le famiglie e i minori a un uso corretto ed appropriato delle trasmissioni televisive, tenendo conto delle esigenze del bambino, sia rispetto alla qualità che alla quantità; ciò per evitare il pericolo di una dipendenza dalla televisione e di imitazione dei modelli televisivi, per consentire una scelta critica dei programmi; Andando oltre le formulazione teoriche si stabilisce che la fascia oraria dalle 7 alle 22.30 sia una fascia protetta vista la presenza dei minori all'ascolto, regolamentata per quanto riguarda contenuti, linguaggio, pubblicità. Congiuntamente al Codice e per la sua effettiva attuazione era stato attivato un Comitato per l'applicazione del Codice di Autoregolamentazione TV e Minori che doveva rendere conto a sua volta all'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Nell’art. 6.2 del Codice si prevede che: “Il Comitato, d’ufficio o su denuncia dei soggetti interessati, verifica, con le modalità stabilite nel Regolamento di seguito indicato, le violazioni del presente Codice. Qualora accerti la violazione del Codice adotta una risoluzione motivata e determina, tenuto conto della gravità dell’illecito, del comportamento pregresso dell’emittente, nell’ambito di diffusione del programma e della dimensione dell’impresa, le modalità con le quali ne debba essere data notizia". L'art. 6.3 continua così: Rapporti con l’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni. Tutte le delibere adottate dal Comitato vengono trasmesse all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Qualora il Comitato accerti la sussistenza di una violazione delle regole del presente Codice, oltre ad adottare i provvedimenti di cui al punto precedente, inoltra una denuncia all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni contenente l’indicazione delle disposizioni, anche eventualmente di legge, violate, le modalità dell’illecito, la descrizione del comportamento - anche successivo - tenuto dall’emittente, gli accertamenti istruttori esperiti e ogni altro utile elemento. Le sanzioni previste per chi viola il Codice vanno da un'ammenda variabile tra i 10.000 e i 250.000 euro fino alla sospensione o alla revoca della licenza. TELEVISIONE E MINORI La percezione audiovisiva nei bambini. Fin da neonati la TV entra nella nostra vita attraverso l'udito, che essendo perfetto nei primi giorni di vita riesce a cogliere i messaggi sonori delle televisioni accese nelle case. Anche senza guardare lo schermo, la TV entra immediatamente nella nostra vita. Questo importante ruolo della stimolazione acustica per richiamare l'attenzione dei bambini continua anche negli anni successivi, essendo questo un richiamo più forte di quello visivo per i piccoli. E' parte delle strategie consapevoli della TV l'utilizzo degli effetti sonori, dei jingle, della musica e delle voci, come dell'uso variabile del volume (gli inserti pubblicitari sono spesso trasmessi ad un livello più alto dei programmi che li precedono). In generale, la forte stimolazione audiovisiva operata dallo schermo televisivo nei confronti dei bambini si basa sul fatto che nei soggetti così giovani gli apparati neurofisiologici sono ancora in via di formazione e dunque più suscettibili. L'organizzazione degli stimoli in uscita dalla TV è dovuta a fattori della comunicazione audiovisiva quali il montaggio, la scenografia e l'”interpretazione” da parte di presentatori e attori. A livello di pura stimolazione percettiva il montaggi o si pone come elemento determinante in quanto regola durata delle inquadrature, luminosità, effetti audio e video, ritmo e significato generali delle sequenze. Ma nei bambini piccoli il peso della comunicazione è ancora tutto sul lato della stimolazione sensoriale. Crescendo l'individuo questo si sposterà sui significati complessi e sottesi che dipendono dall'articolazione del linguaggio audiovisivo. Le caratteristiche dei programmi TV che agiscono con più forza sulla percezione dei bambini sono: il movimento; la rapidità del montaggio; la presentazione di novità e sorprese; l'incongruità, cioè il salto dei collegamenti logici. Tutti questi elementi sono destinati a non far abbassare la soglia dell'attenzione con un continuo cambio di concentrazione senza mai arrivare all'elaborazione cognitiva iena degli stimoli e delle informazioni ricevuti. La comprensione del linguaggio televisivo è assai precoce: si ritiene che entro gli 8 anni i bambini siano in grado di comprendere anche le tecniche più complesse del linguaggio audiovisivo, dal ralenty alla zoomata alla dissolvenza. Si sviluppa insieme all'abitudine alla visione una alfabetizzazione alla televisione che è sostenuta dai bisogni e dagli interessi del bambino e anche dalla sua evoluzione cognitiva. Secondo la teoria degli usi e gratificazioni i media soddisferebbero cinque classi di bisogni: cognitivi; estetici; integrativi a livello della personalità; integrativi a livello sociale; evasione. Identità e socializzazione e mass media. La televisione è oggi un mezzo che ha un ruolo importante nell'identificazione del bambino, ovvero in quel processo che serve ad ogni individuo per acquisire un ruolo sociale, aumentare la propria autostima e identificarsi con un gruppo. E' insomma una necessità e i personaggi televisivi entrano oggi in questo processo per la totalità dei bambini, se pensiamo che tra i più giovani il consumo di televisione ha una percentuale superiore al 90%. Il meccanismo che sta alla base della ricezione dei messaggi veicolati dai personaggi è la sospensione volontaria dell'incredulità, che avviene anche nei confronti delle fiabe o del cinema. L'importante differenza sta nei contenuti veicolati. Quelli televisivi sono fortemente sbilanciati verso la superficialità, la conflittualità e la semplificazione, laddove le fiabe agiscono con una forte valenza etica e di rimando all'interiorità. Una delle attività preferite dai bambini è l'interazione emotiva e mentale con i personaggi preferiti, che viene chiamat a relazione parasociale. Si tratta di una relazione apparente che sostituisce la normale interazione sociale e può avere forte influenza sulle emozioni e i comportamenti. Un processo indotto dal forte consumo di televisione è la socializzazione anticipatoria, che è una esperienza virtuale e sostitutiva dell'esperienza diretta. Grande stimolatrice di questo fenomeno è la pubblicità massiccia presente in televisione, così come ne alimenta altri quali la formazione degli schemi di genere e degli stereotipi. Per capirne a fondo l'influenza teniamo presente che la differenziazione di genere si base fortemente anche su elementi esterni . Il concetto di sé come femmina dipende in ordine da: riconoscimento dei comportamenti sociali delle donne; comprensione dei ruoli maschile femminile; desiderabilità sociale di uno dei due sessi; differenze genitali. Il confronto con i modelli televisivi mette in gioco poi un punto fondamentale nello sviluppo dei ragazzi, l'autostima. Nella fase adolescenziale questa ha molto a che fare con il rapporto con che si ha con il proprio corpo, e qui l'influenza e le responsabilità della TV e dei media ingenerale sono ormai da tempo evidenti. Tra i problemi in causa nelle problematiche legate all'anoressia, alla bulimia e alla dismorfofobia c'è a tutti gli effetti anche la quantità e la tipologia di consumo mediatico. Uno dei fattori psicologici che permettono una maggiore protezione verso la pressione mediatica incentrata su personaggi e comportamenti desiderabili ma difficilmente raggiungibili, c'è la metacognizione. Si tratta della capacità, più o meno sviluppata, di conoscere il proprio funzionamento cognitivo e quello altrui. Quindi essere in grado di riflettere sui propri stati mentali e di attribuire stati mentali agli altri permette una valutazione migliore del rapporto tra realtà e finzione. I modelli identificativi proposti dalla TV possono avere un ruolo positivo nel processo di attaccamento secondario con il quale i preadolescenti operano la transizione dal legame con i genitori a quello con il gruppo dei pari. Ecco che con forza, per forza, si ripropone la questione della responsabilità etica della televisione. Perché come appena accennato, il problema fondamentale nel rapporto tra minori e televisione è la rappresentazione della differenza tra realtà e finzione. La TV ne sta progressivamente offuscando i rispettivi confini per scopi puramente commerciali e dunque contingenti, con possibili gravi conseguenze per i suoi grandi consumatori che ancora non si sono formati una personalità e un rapporto con il mondo chiari e definiti. Come avviene televisione. il condizionamento da parte della Il peso di un mass media come la televisione entra con forza nel processo di socializzazione dell'individuo. La pervasività diretta o indiretta (la Tv è costantemente ripresa e propagata nei contenuti e nei linguaggi da tutti gli altri mezzi di informazione) si manifesta sia nella socializzazione primaria, che è il processo con cui ci inseriamo nel gruppo attraverso l'acquisizione di valori, norme e usanze, che nella socializzazione secondaria, con la quale otteniamo le competenze per operare nei contesti previsti dalla nostra società. Modelli concreti di socializzazione sono poi nel nostro contesto socio-economico la socializzazione allentata (individualismo) e la socializzazione restrittiva (obbedienza). La presenza massiccia dell e tecnologie della comunicazione nelle nostre vite ha come conseguenza che oggi la socializzazione avviene molto più rapidamente ma con meno approfondimento. Conseguenza ne è anche la perdita di peso delle tradizionali agenzie di socializzazione come la famiglia e la scuola. Altra conseguenza è il livellamento e la omogeneizzazione degli individui; con più difficoltà emergono le differenze e le peculiarità, e dunque le qualità. La facilità di accesso alla TV, a quella generalista che ha minore qualità, permette agli adolescenti che fanno uso abbondante e frequente di ricevere nozioni che non ha ancora ricevuto da un genitore o da un'altra figura di riferimento. Ne può conseguire una riduzione dell'autorità della famiglia e della scuola e un distacco dai valori promossi da queste istituzioni, in quanto i modelli televisivi fanno abbondante riferimento a personalità edonistiche e connotate dall'appagamento slegato dall'impegno o dalla competenza necessari per raggiungerli. La velocità e la rapida sostituzione di personaggi e situazioni da imitare portano lontano sia dalla possibilità di strutturare una personalità coerente, sia dall'assimilazione del concetto di lentezza necessario ad una crescita che abbia fondamenta solide. Infatti uno degli effetti studiati della TV è il cosiddetto daydreaming, il sognare ad occhi aperti, che basandosi sulla funzione della memoria invece che su quella dell'elaborazione degli stimoli esterni, tende ad inibire l'immaginazione creativa. Ma in generale non appare condivisibile una visione della televisione capace di effetti di condizionamento a breve termine, diretti. Facilmente intuibili e comprovati dalla ricerca sui media sono gli effetti a lungo termine, indiretti, e dunque molto pervasivi e sfuggenti. Se ne occupa ad esempio la Cultivation Theory che sostiene come la fruizione prolungata della TV porti i soggetti alla condivisione dei medesimi valori e credenze. I punti salienti di questa prospettiva sono: La televisione è una presenza massiccia ma apparentemente invisibile La maggior parte delle “storie” raccontate dalla televisione origina delle costruzioni mediali, dunque verosimili ma non reali, della società che vengono assunte nei processi di socializzazione Lo spettatore ha delle scelte ridotte La ripetizione sempre degli stessi generi e prodotti ne impone i contenuti La rappresentazione televisiva della società è strutturalmente basata sull'omologazione in base agli stereotipi I contenuti offerti sono quelli della cultura prevalente Il mainstream effect: capacità della TV di creare convergenza di grandi massa su certi temi attraverso la naturalizzazione della confusione tra reale e verosimile Un'altra teoria che sostiene il potere di condizionamento dei mass media determinato dalla scelta degli argomenti e dei contenuti è quella definita dell'Agenda setting, ovvero il potere dei mass media di stabilire la gerarchia di fatti e valori in base alla rilevanza che attribuiscono a questi. PERCORSI DI ANALISI DEI PROGRAMMI TELEVISIVI Basi teoriche ed etiche. “I cittadini di una società civilizzata, le persone cioè che si comportano civilmente, non sono il risultato del caso, ma sono il risultato di un processo educativo”. Karl R. Popper Dall’esperienza maturata nella visione di centinaia di ore di programmazione e dagli incontri avuti nelle numerose proiezioni del video, dai dibattiti e dai confronti pubblici, ci siamo resi conto dell’urgenza di dover offrire uno sguardo critico a chi guarda molta tv, per portarli ad essere spettatori e spettatrici consapevoli e dunque liberi, in particolare i minori. L'aver selezionato, rallentato, fermato il flusso televisivo, abbinandogli la parola che spiega cosa si sta vedendo, così come non si coglie nell'immediatezza della visione e nella brevità dell'inquadratura televisiva, ha permesso a molti di comprendere per intero il significato delle immagini della TV. Questo metodo, fermare le immagini per spiegarle, nasce dal lavoro del documentario, e questo approccio, educare alla TV, ha il suo fondamento nelle teorie di quegli studiosi che hanno trattato di televisione considerandola uno strumento di educazione di massa. Dopo la realizzazione de “Il Corpo delle Donne”, fin da subito volevamo fare qualcosa per incidere effettivamente sull'offerta della televisione. Se esistono già gli strumenti teorici ed analitici, cosa serve per attivare un cambiamento? Serve mettere in campo quegli strumenti. Serve passare dalla teoria alla pratica. Serve avere un atteggiamento attivo e non passivo. Serve far rispettare le regole che già esistono. Serve non accettare sempre e comunque il pensiero dominante. In questo senso è fondamentale essere consapevoli non solo dei propri diritti, ma anche della possibilità che abbiamo tutti di incidere sulla società in cui viviamo, di contribuire alla costruzione di un nuovo mondo. Due sono le opere che possono dare un buon orientamento etico e teorico nell'affrontare l'analisi dei contenuti televisivi con scopi non demonizzanti ma di critica costruttiva. La prima è Cattiva Maestra Televisione che contiene il saggio Una patente per fare TV, che il filosofo Karl R. Popper redasse poco prima di morire nel 1994. E' un breve saggio che affronta il rapporto tra la televisione e i bambini. Popper parte da una duplice constatazione: la TV è entrata a far parte dell'ambiente quotidiano e per questo è divenuta una fonte di apprendimento e di educazione per i più giovani; ma ciò che propone, la lettura del mondo che offre, è distorta e fortemente connotata dalla violenza. In questo modo stiamo allevando, secondo il pensatore austriaco, nuove generazioni dalle fondamenta pericolosamente fragili. Il problema educativo è dunque centrale nel discorso sulla televisione. Ecco il punto che sta alla base del nostro lavoro sulla TV: questa è uno dei principali strumenti educativi a cui hanno accesso le nuove generazioni e il più diffuso tra i bambini piccoli. Ogni discorso riguardante il suo contenuto, il suo linguaggio, la giurisdizione che la riguarda, non può non tenere conto di questo dato di fatto. L'educazione è solitamente tenuta e condotta dalla scuola e dalla famiglia. Ma queste due istituzioni sono in una crisi profonda e di conseguenza lo spazio lasciato all'azione didattica della TV è ampio. La famiglia è un ambito in cui devono agire liberamente le persone che la compongono, secondo scelte che sono determinate dagli stimoli provenienti dall'esterno, dal passato, dalla cultura. La scuola è invece il luogo in cui per definizione una società prepara i propri membri più giovani alla vita civile che li attende. Ma la scuola in Italia sta attraversando una fase di acuta crisi, dovuta principalmente alla mancanza di risorse economiche e alla disputa politica che su di essa si compie da molti anni. Gli insegnanti cercano di utilizzare al meglio i pochi mezzi che hanno ma la TV ha un potere infinitamente più grande e ogni giorno insegna a un notevole numero di bambini e ragazzi a stare al mondo secondo la sua prospettiva. Propaga stereotipi di genere e rinforza un modello di convivenza basato su una visione conservatrice e consumista della vita. Per fortuna la televisione si può, volendo, migliorare in tempi brevi e agendo da più parti della società, senza perdere tempo ad ascoltare chi ripete che “la televisione è così”. No, la televisione non è così. La forma e il linguaggio che ha non derivano da una sua natura intrinseca ma sono solo il risultato delle condizioni economiche, politiche e culturali in cui si è sviluppata. Possiamo avere la televisione che riteniamo migliore o tenerci questa. Come possiamo farci del male o cercare di stare meglio. Dipende da noi. Tutti. Servono leggi che stiano dalla parte dei consumatori e non solo del mercato e che come tale sia realmente aperto alla concorrenza. E serve che i cittadini proteggano i loro interessi: conoscendo i diritti che hanno, protestando contro ciò che li riduce a pura merce, facendo sentire la loro voce diritti. E anche divulgando una cultura televisiva nuova, differente. “Che cosa significa insegnare? Significa influenzare il loro ambiente (dei bambini, n.d.r.) in modo che possano prepararsi per i loro futuri compiti: il compito di diventare cittadini, […] Il punto è che la televisione è parte dell'ambiente dei bambini ed una parte per la quale noi siamo ovviamente responsabili, perché si tratta di una parte dell'ambiente fatta dall'uomo”. Una delle obiezioni più frequenti alla funzione educativa della televisione , è che la TV da semplicemente alla gente ciò che il pubblico chiede. Anche Popper riporta l'incontro con il responsabile di una TV tedesca che sosteneva: “Dobbiamo offrire alla gente quello che la gente vuole”. La replica di Popper è lucida e significativa: “Come se si potesse sapere quello che la gente vuole dalle statistiche sugli ascolti delle trasmissioni. Quello che possiamo ricavare da lì sono soltanto indicazioni circa le preferenze tra le produzioni che sono state offerte”. Quindi la questione sulla presunta anti-democraticità di qualsiasi normativa che indirizzi in senso etico ed educativo la TV, viene liquidata come non pertinente dal filosofo che è stato, è bene ricordarlo, il simbolo stesso della democrazia nel novecento e che ha teorizzato la società aperta: “Non c'è nulla nella democrazia che giustifichi la tesi di quel capo della TV, secondo il quale il fatto di offrire trasmissioni a livelli sempre peggiori dal punto di vista educativo corrispondeva ai principi della democrazia =perché la gente lo vuole=. […] Al contrario la democrazia ha sempre inteso far crescere il livello dell'educazione; è, questa, una sua vecchia, tradizionale aspirazione”. Per risolvere il problema Popper propone di istituire una patente, un corso di formazione, per tutti coloro che vanno a lavorare in televisione, in modo che siano preparati al delicato compito che li aspetta: educare larghi strati della popolazione. Non vuole alcuna censura Popper, la trova inutile applicata alla TV, oltre che un male in sé. Ma, non diversamente da quello che si fa per i medici, pensa che sia folle affidare un ruolo così delicato a chi non ha una preparazione specifica. “Uno degli scopi principali del corso sarà quello di insegnare a colui che si candida a produrre televisione che di fatto, gli piaccia o no, sarà coinvolto nella educazione di massa, in un tipo di educazione che è terribilmente potente e importante. Di questo si dovranno rendere conto, volenti o nolenti, tutti coloro che sono coinvolti dal fare televisione: agiscono come educatori perché la televisione porta le sue immagini sia davanti ai bambini e ai giovani che agli adulti. Chi fa televisione deve sapere di avere parte nella educazione degli uni e degli altri”. Considerando la situazione politica e culturale italiana per quanto riguarda il rapporto tra televisione e società, noi pensiamo che l'educazione alla televisione debba arrivare ai più giovani attraverso il canale della scuola. Dunque vanno forniti ai docenti gli strumenti perché siano in grado di spiegare la televisione ai ragazzi, in modo che questi crescano come spettatori consapevoli e più difficilmente manipolabili. Finché l’educazione ai media non diventerà pienamente materia scolastica. Spiegare la televisione. “L’immagine deve essere spiegata; e la spiegazione che ne viene data sul video è costitutivamente insufficiente”. Giovanni Sartori La seconda importante opera di riferimento Giovanni Sartori, Homo videns, che chiarisce in modo dettagliato perché la TV è una pessima educatrice, concentrando il discorso sul fatto che le immagini in movimento sono incapaci di comunicare tutto ciò che le emittenti affidano loro. Secondo Sartori la televisione sta operando una vera trasformazione antropologica della nostra specie: da homo sapiens, caratterizzato dalla capacità di creare e comprendere concetti astratti, a homo videns, capace solo di conoscenza percettiva e dunque individuo infinitamente più povero. “L'immagine non dà, di per sé, quasi nessuna intelligibilità. L'immagine deve essere spiegata; e la spiegazione che ne viene data sul video è costitutivamente insufficiente. Se in futuro verrà in essere una televisione che spiegherà meglio (molto meglio), allora il discorso su una integrazione positiva tra homo sapiens e homo videns si potrà riaprire.” Le immagini della TV, da sole, sono sfuggenti e infedeli, non riescono a dar conto della realtà e tendono a uniformare il pensiero degli spettatori. Questo perché non arrivano a spiegare la complessità dei concetti, in quanto astratti, ma si fermano alla dimensione sensibile degli oggetti. Vanno spiegate, sostiene Sartori, ridando spazio alla parola e al pensiero. “La televisione produce immagini e cancella i concetti; ma così atrofizza la nostra capacità astraente e con essa tutta la nostra capacità di capire.” La sua analisi è dedicata all'informazione in TV ma può essere traslata secondo noi ai programmi televisivi nel loro complesso: se nell'informazione sullo schermo l'immagine non è sufficiente a trasmettere contenuti complessi, nell'intrattenimento diventa veicolo di alienazione e di mercificazione. In entrambi i casi è necessaria una spiegazione di ciò che vediamo per impedire che la comunicazione si trasformi in un inganno per lo spettatore. “La televisione può mentire, e falsare la verità, esattamente come qualsiasi altro strumento di comunicazione. La differenza è che la “forza di veridicità” insita nell'immagine ne rende la menzogna più efficace e quindi più pericolosa.” Una televisione di qualità può essere fatta solo dall'interno delle emittenti. Ma data la situazione di degrado della tv, la spinta la cambiamento può partire dall'esterno anche attraverso la critica dei programmi che vengono trasmessi. Saper vedere ciò che ci viene proposto sullo schermo, conoscere il linguaggio della televisione per poterlo svelare quando si fa ingannevole, diventare spettatori consapevoli, è il primo passo per essere soggetti e non oggetti della comunicazione. Noi siamo convinti che educare alla visione della TV conduca alla creazione di uno spettatore esigente e di conseguenza alla richiesta di un servizio di qualità a chi produce televisione. Dando gli strumenti per capire cosa ci sta davanti, si dà anche la possibilità di desiderare una televisione migliore, più vera, più avvincente, più educativa. Con una analisi dell’immagine, del linguaggio, dei personaggi e delle dinamiche relazionali proposte dalla TV si possono mettere a nudo i meccanismi deteriori di certi programmi e permettere così a chi guarda di prenderne coscienza. Fermando le immagini e analizzandole, infrangendo il velo di abitudine che abbiamo davanti agli occhi quando guardiamo ciò che molti canali mandano in onda, abbiamo constatato che le persone, i bambini in particolare, si rendono conto di ciò che vedono e del messaggio che viene loro proposto. Spiegare la TV durante la visione è molto più difficile per via dei continui e differenti stimoli che invitano a seguire suoni e immagini senza il necessario spazio di riflessione. Quello da compiere è un lavoro di destrutturazione dell’immagine che permetta ai ragazzi di cogliere i messaggi nascosti dalla velocità di trasmissione. L’abitudine a riflettere su ciò che si vede rimane e porta poi lo spettatore a sviluppare una capacità critica che difficilmente può sorgere in chi si ritrova davanti allo schermo fin dalla nascita, a meno di particolari e privilegiate condizioni culturali che una famiglia può offrire ai propri figli, a cui non tutti hanno accesso. Chi è in grado di criticare la televisione, non la guarda più, o la guarda distrattamente. Spesso invece chi guarda tanta tv non ha i mezzi per interpretarne i messaggi. La discussione sulla problematica realtà della televisione italiana è un confronto che si rinchiude solitamente in cerchie di iniziati e dotti. Ma dato che gli effetti della cultura televisiva così come si sta propagando, ad esempio per quanto riguarda la libertà e il rispetto delle donne, costituiscono un problema sempre più evidente, riteniamo doveroso cercare di arrivare a chi quella cultura l'ha fatta propria o l'accetta passivamente. O, come nel caso dei bambini, è ancora in grado di sottrarvisi se opportunamente condotto. Molte persone sinceramente indignate dallo stato delle cose spesso ci dicono che quello della TV è comunque un falso problema. Basta spegnerla sostengono e non ci danneggerà, e i programmi verranno migliorati dalle reti responsabili di fronte al calo dell'ascolto. Va ricordato che spegnendo la TV abbassiamo l'ascolto solo se siamo una famiglia Auditel. E che gli effetti negativi di una cultura distorta e violenta come quella televisiva danneggiano comunque tutti nel momento in cui vengono assimilati da larghi strati di popolazione, dato che la TV concorre con un certo peso alla costruzione dell'opinione pubblica. Oggi, è accendendo la TV, guardando la TV, questa TV, e guardandola insieme, che facciamo qualcosa che può rivoluzionare lo stato delle cose. E' infatti così che possiamo condividere la nostra critica con chi guarda la tv e fornire loro gli strumenti necessari a una percezione corretta. Fermare il flusso. La televisione attuale è caratterizzata da due elementi principali. Innanzitutto la pubblicità. La sua presenza massiccia determina ogni aspetto della programmazione. - Il linguaggio: quello degli spot è il più accattivante e potente dal punto di vista della grammatica televisiva, perché non diverso dal linguaggio del cinema. - La forma: canali e programmi possono vivere e operare solo grazie agli introiti pubblicitari (questo vale anche per la RAI, per cui l'introito del canone copre solo una parte del budget necessario) e di conseguenza si strutturano per lasciare ampio spazio alle inserzioni, alle televendite, alle sponsorizzazioni. - Il contenuto: dovendo arrivare alla più ampia audience possibile si trattano quasi esclusivamente argomenti e personaggi che si ritengono, almeno sulla base dei dati d'ascolto disponibili, i più affidabili per questo scopo. L'altro elemento caratterizzante è l'imitazione della quotidianità. Questo avviene a livello di organizzazione del palinsesto, di generi televisivi e di stile di messa in scena. Ma essendo in realtà un'imitazione artificiosa, che tende a riprodurre dei modelli più che a ricercare la realtà, il risultato è quello di rappresentare un mondo affetto da una distorsione di fondo. Unendosi nella programmazione ininterrotta e multicanale della TV generalista, questi due elementi producono un flusso ininterrotto e privo di pause che viene percepito dal pubblico come una rappresentazione del mondo. Si produce così una “autorevolezza” che è invece il risultato dell'abitudine alla visione televisiva. E in questo flusso passano messaggi spesso deteriori perché giustificati solo da una visione del mondo artefatta (finta quotidianità) e mercificata (pubblicità). Ecco allora che per individuare e decifrare questi messaggi negativi è necessario fermare il flusso, rendere immobili le immagini in movimento per evidenziarne le contraddizioni che a volte emergono da sole e altre volte hanno bisogno della spiegazione della parola. Naturalmente anche le parole pronunciate con noncuranza in televisione hanno bisogno in alcuni casi di essere ripetute e meditate con attenzione. E' questa l'operazione che sta alla base della destrutturazione della comunicazione televisiva. BIBLIOGRAFIA Mass media. Denis McQuail, Sociologia dei mass media, il Mulino CENSIS, Angeli Settimo rapporto sulla comunicazione, Franco La televisione italiana. Aldo Grasso, Storia della televisione italiana, Garzanti Renato Stella, Box populi – Il sapere e il fare della neotelevisione, Donzelli Roberta Gisotti, La favola dell'Auditel, Nutrimenti Roberta Gisotti, Dalla deficiente, Nutrimenti TV dei professori alla TV TV, genere e minori. Saveria Capecchi, Identità di genere e media, Carocci Loredana Lipperini, Feltrinelli Ancora dalla parte delle bambine, D'Alessio-Fiz Edizioni Magi Perez-Guerrieri-Laghi, Una TV per tutti, Giovanni Sartori, Homo videns, Laterza Karl Popper, Cattiva maestra televisione, Marsilio Linguaggio audiovisivo. 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