La pronuncia del latino
Ecco le regole basilari per una corretta pronuncia del latino.
Premessa:
In latino ci sono sillabe lunghe e sillabe brevi.
a) In generale:
- una sillaba è breve se contiene una vocale breve: si riconosce da quel segno
caratteristico, simile ad una piccola mezzaluna, tracciato sopra di essa nei vocabolari
e nelle grammatiche (ě);
- una sillaba è lunga se contiene una vocale lunga o un dittongo: una vocale lunga si
riconosce da quel segno caratteristico, simile ad un trattino, tracciato sopra di essa
nei vocabolari e nelle grammatiche (ē).
b) In particolare:
una vocale breve, quando è seguita da due o più consonanti, viene considerata lunga
(si dice "lunga per posizione"). Questo vale anche per le consonanti "doppie", come
la x (che si pronuncia cs e quindi conta per due) e anche se le due consonanti fanno
parte della parola successiva.
Le regole:
Premesso questo, le regole sono tre:
1) "legge della baritonèsi":
in latino l'accento non cade mai sull'ultima sillaba: non esistono quindi parole
tronche, tipo "città". C'è qualche eccezione, ma solo apparente: adhùc, illìc, illùc e
parole del genere; in realtà si tratta di parole apocopate, ovvero mutile dell'ultima
sillaba (in origine erano adhùce, illìce, illùce);
2) "legge del trisillabismo":
in latino l'accento non può mai cadere oltre la terzultima sillaba: quindi può esserci
al massimo una parola sdrucciola, tipo "tàvolo" (ad es. ìncipit), ma assolutamente
non una parola bisdrucciola, tipo "telèfonami";
3) "legge della penultima":
è la regola più importante di tutte: è da questa che dipendono tutte le reali difficoltà
di pronuncia, perché essa riguarda le parole di tre o più sillabe, le uniche davvero
difficili da pronunciare. Perciò fai bene attenzione, perché in realtà è piuttosto
semplice:
nelle parole di tre o più sillabe, si possono verificare due casi:
- la penultima sillaba è lunga: in tal caso l'accento cade su di essa;
- la penultima sillaba è breve: in tal caso l'accento cade sulla sillaba precedente.
Esempi:
Osserviamo il paradigma del verbo accipio. Il vocabolario ti riporta il paradigma in questa
forma:
accĭpĭo, -is, accēpi, acceptum, -ĕre.
Come si pronunciano le varie voci?
Ovviamente bisogna contare le sillabe, scandirle in modo esatto ed identificare la
penultima; dunque:
accĭpĭo
= ac-cĭ-pĭ-o (attenzione! -io non è una sillaba unica, perché i dittonghi hanno
sempre la i o la u in seconda posizione, mai in prima!); la penultima è -pĭ- e la
i è breve: dunque l'accento cade sulla sillaba precedente, -cĭ-;
si pronuncia accìpio;
-is
= che vuol dire? Se il vocabolario non ritiene necessario ripetere le prime
sillabe, vuol dire che la loro quantità è invariata; dunque accĭpĭs; contiamo le
sillabe: accĭpĭs = ac-cĭ-pĭs; la penultima questa volta è -cĭ- e la i è breve:
dunque l'accento cade sulla sillaba precedente, ac-;
si pronuncia àccipis;
accēpi
= ac-cē-pi; la penultima è -cē- e la e è lunga: dunque l'accento, questa volta,
cade proprio sulla sillaba -cē-;
si pronuncia accèpi;
acceptum = ac-cep-tum; come mai qui il vocabolario non riporta nessuna quantità?
Perché non è necessaria: la e della penultima sillaba è lunga per posizione,
essendo seguita da -pt-; quindi l'accento cade sulla e;
si pronuncia accèptum;
- ĕre
= anche in questo caso, visto che il vocabolario non si prende il disturbo di
ripetere le prime sillabe, vuol dire che la loro quantità è invariata; dunque
accĭpĕre; contiamo le sillabe:
accĭpĕre = ac-cĭ-pĕ-re; la penultima è -pĕ- e la e è breve: dunque l'accento
cade sulla sillaba precedente, -cĭ-;
si pronuncia accìpere.
In sintesi:
accĭpĭo, -is, accēpi, acceptum, -ĕre
si pronuncia:
accìpio, àccipis, accèpi, accèptum, accìpere.
Come vedi, il vocabolario è indispensabile.