Bertocco G., Kalajzić A. e Mourad Agha G.
Università degli Studi dell’Insubria
Dipartimento di Economia
Anno accademico 2014-2015
APPUNTI DI MACROECONOMIA
(Seconda parte – pp. 175-296)
 Il modello IS-LM per una economia aperta
 La teoria keynesiana dell’inflazione: la curva di Phillips
 La controrivoluzione monetarista
Questo testo è stato realizzato sulla base degli appunti presi dallo studente Galeb
Mourad Agha durante le lezioni tenute dal Prof. Giancarlo Bertocco nell’Anno
accademico 2013-2014. Il testo è stato rivisto e integrato da Giancarlo Bertocco e
Andrea Kalajzić.
INTRODUZIONE
1.
Definizioni introduttive
p. 1
2.
Lo schema dei conti di contabilità nazionale
p. 3
3.
2.1. I conti di contabilità nazionale in economia chiusa
2.2. I conti di contabilità nazionale in economia aperta
p. 3
p. 10
Il deflatore del Pil (la differenza tra reddito nominale e reddito reale)
p. 13
PARTE PRIMA
La teoria macroeconomica neoclassica prekeynesiana
1.
Introduzione
p. 17
2.
Il mercato del lavoro
p. 18
2.1. La funzione di domanda di lavoro
2.2. La funzione di offerta di lavoro
2.3. L’equilibrio sul mercato del lavoro
p. 18
p. 30
p. 33
2.3.1.
2.3.2.
2.3.3.
2.3.4.
3.
L’eccesso di offerta di lavoro
L’eccesso di domanda di lavoro
Lo spostamento della curva di offerta di lavoro
Lo spostamento della curva di domanda di lavoro
Il mercato dei beni
p. 39
3.1. L’offerta aggregata di beni
3.2. La domanda aggregata di beni
p. 40
p. 41
3.2.1. Le decisioni di consumo
3.2.2. Le decisioni di investimento
4.
p. 34
p. 35
p. 36
p. 37
p. 41
p. 44
3.3. L’equilibrio sul mercato dei beni
p. 51
Il mercato dei capitali
p. 54
4.1. L’equivalenza tra l’equilibrio sul mercato dei capitali
e l’equilibrio sul mercato dei beni
4.2. Gli squilibri sul mercato dei capitali e sul mercato dei beni
p. 55
p. 56
4.2.1. L’eccesso di offerta di risparmi
(l’eccesso di offerta aggregata di beni)
4.2.2. L’eccesso di domanda di risparmi
(l’eccesso di domanda aggregata di beni)
p. 56
4.3. L’equivalenza tra l’equilibrio sul mercato dei capitali
e l’equilibrio sul mercato del credito
p. 60
i
p. 59
5.
Il modello neoclassico completo e la legge di Say
p. 61
5.1. La coerenza della teoria neoclassica con la legge di Say
5.2. Il sistema di equazioni, l’ordine di soluzione del sistema e la
rappresentazione grafica del modello neoclassico completo
p. 61
p. 64
5.2.1. Gli effetti di una variazione dell’offerta di lavoro
5.2.2. Gli effetti di una variazione delle decisioni di
investimento delle imprese
5.2.3. Gli effetti di una variazione delle decisioni di
consumo e di risparmio
6.
p. 66
p. 68
p. 69
La teoria neoclassica della moneta e la dicotomia del modello
macroeconomico neoclassico prekeynesiano
p. 71
6.1. Le caratteristiche della teoria neoclassica della moneta
6.2. La distinzione tra moneta-merce e moneta-segno
6.3. L’equazione degli scambi di Fisher e la teoria quantitativa
della moneta
6.4. La natura dicotomica del modello macroeconomico neoclassico
p. 71
p. 72
p. 73
p. 79
PARTE SECONDA
La rivoluzione keynesiana e i modelli della ortodossia keynesiana
della ‘sintesi neoclassica’ negli anni ʼ50 e ’60 del secolo scorso
1.
2.
3.
La rivoluzione keynesiana
p. 83
1.1. La distinzione tra ‘real-exchange economy’ e ‘monetary economy’
1.2. La critica alla legge di Say e il principio della domanda effettiva
p. 83
p. 90
Il modello reddito-spesa
p. 93
2.1. Le equazioni del modello
2.2. L’esistenza di equilibri di sottoccupazione caratterizzati
dalla presenza di disoccupazione involontaria
2.3. Una rappresentazione grafica del reddito di equilibrio
2.4. Gli effetti di una variazione delle componenti autonome della
domanda aggregata, il moltiplicatore del reddito e
l’inversione della relazione causale tra risparmi e
investimenti
2.5. Gli effetti di una variazione della propensione marginale
al consumo (il paradosso del risparmio)
2.6. Il modello reddito-spesa con settore pubblico e gli effetti della
politica fiscale
p. 93
p. 96
p. 99
p. 103
p. 112
p. 116
La teoria keynesiana del tasso di interesse
p. 119
3.1. Introduzione
3.2. La funzione di domanda di moneta
p. 119
p. 120
ii
3.3.
3.4.
3.5.
3.6.
4.
5.
La funzione di offerta di moneta
L’equilibrio sul mercato della moneta keynesiano
La natura monetaria del tasso di interesse
Gli effetti delle variazioni del reddito e della quantità
di moneta sull’equilibrio del mercato della moneta
p. 126
p. 128
p. 131
p. 136
Il modello IS-LM
p. 143
4.1. Introduzione
4.2. Le equazioni del modello e la determinazione analitica dei
valori di equilibrio del reddito e del tasso di interesse
4.3. L’analisi grafica dei meccanismi di funzionamento
del modello IS-LM
4.3.1. La curva IS
4.3.2. La curva LM
4.3.3. L’equilibrio IS-LM
4.4. Gli effetti della politica fiscale e della politica monetaria
p. 143
p. 144
Il modello IS-LM per una economia aperta
p. 175
5.1. Il mercato dei beni in una economia aperta
p. 175
5.1.1. Le diverse nozioni di tasso di cambio
5.1.2. Le determinanti delle esportazioni e delle importazioni
5.1.3. La derivazione della curva IS in economia aperta
5.2. La bilancia dei pagamenti
p. 150
p. 150
p. 156
p. 163
p. 170
p. 175
p. 181
p. 183
p. 192
5.2.1.
5.2.2.
5.2.3.
5.2.4.
Il saldo delle partite correnti
I movimenti di capitale
Il saldo della bilancia dei pagamenti
La curva BP e l’equilibrio nel saldo della bilancia
dei pagamenti
5.2.5. I fattori che influenzano il valore del tasso di
cambio nominale
5.2.6. I regimi di cambio
5.3. Gli effetti della politica fiscale e della politica monetaria
in una economia aperta (modello Mundell-Fleming)
5.3.1. Gli effetti della politica fiscale e della politica
monetaria in una economia aperta in regime di
cambi fissi
5.3.2. Gli effetti della politica fiscale e della politica
monetaria in una economia aperta in regime di
cambi flessibili
iii
p. 192
p. 198
p. 200
p. 201
p. 209
p. 213
p. 217
p. 217
p. 229
6.
La teoria keynesiana dell’inflazione: la curva di Phillips
p. 240
6.1. Introduzione
6.2. Il modello IS-LM con curva di Phillips
6.3. Il ‘real balance effect’ e l’efficacia solo temporanea di
una politica fiscale espansiva
6.4. Il ‘trade-off’ tra reddito e inflazione
p. 240
p. 243
p. 247
p. 252
PARTE TERZA
La controrivoluzione monetarista e il ritorno
alle conclusioni della teoria neoclassica
1.
Introduzione
p. 257
2.
La critica di Friedman alla curva di Phillips
p. 258
2.1. L’introduzione delle aspettative inflazionistiche e
l’ipotesi di illusione monetaria
2.2. L’instabilità della relazione tra il livello del reddito e
il tasso di inflazione descritta dalla curva di Phillips
2.3. La curva di Phillips di lungo periodo e la riaffermazione
della teoria quantitativa della moneta
p. 258
3.
La spiegazione della stagflazione nell’ambito del quadro teorico
descritto da Friedman
p. 285
4.
Friedman, la Nuova Macroeconomia Classica e il ritorno alle
conclusioni della teoria neoclassica
p. 290
iv
p. 271
p. 282
PARTE SECONDA
La rivoluzione keynesiana e i modelli della ortodossia keynesiana
della ‘sintesi neoclassica’ negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso
5. Il modello IS-LM per una economia aperta
La versione del modello IS-LM riferita al caso di una economia aperta agli scambi con
l’estero prende anche il nome di modello Mundell-Fleming, in omaggio ai due
economisti che hanno contribuito alla sua elaborazione.
5.1. Il mercato dei beni in una economia aperta
Iniziamo la nostra analisi del modello Mundell-Fleming, descrivendo il mercato dei
beni in una economia aperta.
In precedenza, la descrizione del mercato dei beni ci ha permesso di illustrare il
principio keynesiano della domanda effettiva, basato sulla relazione causale:
𝐷𝐴 → 𝑌.
Rispetto a una economia chiusa agli scambi con l’estero, la composizione della
domanda aggregata (𝐷𝐴) cambia, perché è necessario prendere in considerazione anche
le esportazioni, ovvero la domanda di prodotti nazionali proveniente da soggetti
residenti all’estero (𝐸𝑆𝑃). Pertanto, avremo:
a) 𝐷𝐴 = 𝐶 + 𝐼 + 𝐺 + 𝐸𝑆𝑃.
Inoltre, in una economia aperta la domanda aggregata complessiva non genera un
equivalente incremento del reddito nazionale (𝑌), poiché una parte della domanda
stessa viene soddisfatta da produttori esteri, dando così origine a un flusso di
importazioni di beni (𝐼𝑀𝑃). Di conseguenza, vale la seguente relazione di equilibrio:
b) 𝐷𝐴 = 𝑌 + 𝐼𝑀𝑃.
Sostituendo la a) nella b), otteniamo:
𝐶 + 𝐼 + 𝐺 + 𝐸𝑆𝑃 = 𝑌 + 𝐼𝑀𝑃,
e quindi
c) 𝑌 = 𝐶 + 𝐼 + 𝐺 + 𝐸𝑆𝑃 − 𝐼𝑀𝑃.
5.1.1. Le diverse nozioni di tasso di cambio
Per sommare le grandezze che compaiono nella condizione di equilibrio per il mercato
dei beni in una economia aperta, è necessario poterle esprimere in una stessa unità di
misura. In altre parole, occorre che le grandezze economiche prese in considerazione
175
siano tra loro omogenee. Nel caso di una economia aperta, 𝐶, 𝐼 e 𝐺 sono espressi in
moneta nazionale. Anche le esportazioni, che corrispondono a beni e servizi prodotti
all’interno di un paese, sono espresse in valuta nazionale. Le importazioni, invece, che
sono rappresentate da beni e servizi prodotti all’estero, sono espresse in valuta estera.
Il valore delle importazioni non è quindi immediatamente confrontabile con il valore
delle altre grandezze prese in considerazione.
Al fine di rendere omogenee le grandezze economiche che definiscono il livello del
reddito nazionale (𝑌), è necessario introdurre la nozione di tasso di cambio.
Per semplicità, consideriamo un mondo suddiviso in due parti, composte, da un lato,
dal nostro paese di riferimento, in cui viene usata la valuta nazionale costituita dall’euro
(€), e, dall’altro, dal resto del mondo, in cui viene impiegata la valuta estera data dal
dollaro ($).
E’ possibile specificare due distinte definizioni di tasso di cambio tra queste due
valute:
1. Il tasso di cambio nominale, e
2. Il tasso di cambio reale.
A sua volta, anche il tasso di cambio nominale può essere definito in due modi,
ovvero come:
a) prezzo della valuta nazionale espresso in termini di valuta estera (ovvero come
numero di dollari ($) necessari per acquistare un euro (€)), e
b) prezzo della valuta estera espresso in termini di valuta nazionale (ovvero come
numero di euro (€) necessari per acquistare un dollaro ($)).
Nelle nostre lezioni utilizzeremo la prima definizione di tasso di cambio nominale.
Pertanto, da qui in avanti il tasso di cambio nominale (𝑬) indicherà la quantità di
valuta estera (nel caso specifico, la quantità di dollari) necessaria per l’acquisto di una
unità di valuta nazionale (euro):
𝐸 → $ per acquistare 1 €.
Un aumento di 𝐸 (𝐸 ↑) significa che occorre un numero maggiore di dollari per
acquistare un euro. In questi casi, si usa affermare che si è registrato un apprezzamento
o una rivalutazione del tasso di cambio nominale.
Al contrario, una riduzione di 𝐸 (𝐸 ↓) indica che è diminuita la quantità di dollari
necessaria all’acquisto di un euro. In altri termini, in questi casi, il tasso di cambio
nominale ha subito un deprezzamento o una svalutazione.
Il tasso di cambio reale, invece, offre una misura della competitività di prezzo dei
prodotti nazionali rispetto ai prodotti esteri.
176
Il significato di questo concetto può essere spiegato attraverso un semplice esempio
numerico. Consideriamo due prodotti omogenei, ad esempio due automobili della stessa
categoria, realizzati l’uno in Europa, e l’altro negli Stati Uniti. Supponiamo, inoltre, che
il prezzo dell’auto europea (𝑃) sia pari a 10.000 €, mentre quello dell’auto americana
(𝑃∗ ) è pari a 10.000 $.
Ipotizziamo, poi, che i costi di trasporto per il trasferimento di beni tra i paesi europei e
gli Stati Uniti siano nulli. Di conseguenza, ogni consumatore europeo o americano può
acquistare l’automobile europea al prezzo di 10.000 €, oppure quella americana al
prezzo di 10.000 $. Per stabilire quale delle due auto sia più conveniente in termini di
prezzo, ciascun consumatore deve confrontare i prezzi dell’auto europea e di quella
americana facendo riferimento a una stessa unità di misura. A tale scopo, il singolo
consumatore deve conoscere il tasso di cambio nominale (𝐸). Immaginiamo che il tasso
di cambio sia 1:1, ovvero che:
𝐸 = 1 (1 $⁄1 €).
Pertanto, il prezzo dell’auto europea espresso in termini di dollari è pari a:
𝐸 ∙ 𝑃 = 1 $ ∙ 10.000 € = 10.000 $.
In questo caso, il consumatore americano è indifferente rispetto all’acquisto di un’auto
europea o di un’auto americana, perché il loro costo è uguale, cioè pari a 10.000 $.
La stessa conclusione vale anche per il consumatore europeo che calcola il prezzo in
euro di una automobile costruita negli Sati Uniti. Egli, infatti, si chiederà quanti euro
dovrebbe spendere per acquistare un’auto americana che costa 10.000 $. Poiché il tasso
di cambio nominale indica la quantità di dollari che si possono ottenere in cambio di un
euro, la quantità di euro equivalente a 10.000 $, che indichiamo con il simbolo 𝑥, è pari
a:
𝑥=
10.000 $
.
𝐸
In corrispondenza di un tasso di cambio nominale 𝐸 = 1, otteniamo:
𝑥=
10.000 $
= 10.000 € .
1
Anche il consumatore europeo è quindi del tutto indifferente rispetto all’acquisto di una
automobile costruita in Europa o negli Stati Uniti.
E’ possibile esprimere questa condizione di indifferenza per l’acquisto di prodotti
nazionali o esteri, specificando il rapporto tra i prezzi delle due automobili espressi in
dollari:
177
𝐸∙𝑃
Prezzo dell'auto europea in $
=
.
𝑃∗
Prezzo dell'auto americana in $
Come abbiamo visto poco sopra, nel nostro esempio questo rapporto è pari a 1. In tale
circostanza, vige una situazione di equivalenza o di indifferenza rispetto all’acquisto del
prodotto nazionale o di quello estero.
Naturalmente, il valore del rapporto di cui sopra cambia, se si modificano i prezzi (𝑃
e/o 𝑃∗ ), oppure il livello del tasso di cambio nominale (𝐸). Supponiamo, per esempio,
che si osservi una rivalutazione del tasso di cambio nominale (𝐸 ↑), e che dopo la
rivalutazione occorrano 1,3 $ per acquistare 1 € (𝐸 = 1,3 $⁄1 €).
A seguito della rivalutazione dell’euro, la competitività di prezzo tra l’auto costruita
in Europa e quella realizzata negli Stati Uniti si modifica. In effetti, il prezzo dell’auto
europea in termini di dollari diventa:
𝐸 ∙ 𝑃 = 1,3 $⁄1 € ∙ 10.000 € = 13.000 $.
Per i consumatori statunitensi, l’auto europea è dunque diventata più costosa, mentre
quella costruita nel loro paese è diventata più conveniente.
La stessa conclusione vale per i consumatori europei, che, in corrispondenza della
mutata condizione di cambio tra il dollaro e l’euro, troveranno anch’essi più
conveniente acquistare una automobile prodotta negli Stati Uniti. Infatti, il prezzo in
euro dell’auto costruita in Europa è sempre pari a 10.000 €, mentre il prezzo in euro
dell’auto realizzata negli Stati Uniti è sensibilmente calato, essendo ora pari a:
𝑥=
10.000 $ 10.000 $
=
= 7.692 € .
𝐸
1,3
In sintesi, la rivalutazione del tasso di cambio nominale (𝐸) peggiora la competitività
dei prodotti nazionali in rapporto a quelli esteri, perché rende più costosi i primi rispetto
ai secondi. La variazione della competitività di prezzo è misurata dal rapporto:
𝐸∙𝑃
Prezzo dell'auto europea in $
13.000
=
=
= 1,3.
∗
𝑃
Prezzo dell'auto americana in $ 10.000
Un aumento del valore di questo rapporto indica un peggioramento della competitività
di prezzo del prodotto nazionale rispetto a quello estero. Infatti:
se 𝐸 ↑ →
178
𝐸∙𝑃
↑.
𝑃∗
Di conseguenza:
i) la convenienza del consumatore statunitense ad acquistare una automobile europea si
riduce, mentre
ii) aumenta la convenienza del consumatore europeo ad acquistare una automobile
costruita negli Stati Uniti.
Per definire il tasso di cambio reale (𝜀) riscriviamo il rapporto di cui sopra
utilizzando le seguenti grandezze:
𝐸 = tasso di cambio nominale,
𝑃 = indice dei prezzi dei prodotti e dei servizi realizzati in Europa
(deflatore del PIL del paese nazionale), e
𝑃∗ = indice dei prezzi dei prodotti e dei servizi realizzati negli Stati Uniti
(deflatore del PIL USA).
Pertanto, il tasso di cambio reale corrisponde a:
𝜀=
𝐸∙𝑃
.
𝑃∗
In sintesi:
 una rivalutazione del tasso di cambio reale (𝜀 =
𝐸∙𝑃
𝑃∗
↑) peggiora la competitività di
prezzo dei prodotti nazionali;
 viceversa, una svalutazione del tasso di cambio reale (𝜀 =
𝐸∙𝑃
𝑃∗
↓) migliora la
competitività di prezzo dei prodotti nazionali.
Sino ad ora abbiamo preso in considerazione soltanto due valute. Tuttavia, nella
realtà ne esiste un numero molto più elevato. E’ quindi possibile calcolare numerosi
tassi di cambio bilaterali tra una valuta nazionale e le diverse valute estere. Inoltre, è
possibile calcolare anche un tasso di cambio multilaterale corrispondente alla media
dei tassi di cambio bilaterali, ponderata in base all’importanza degli scambi economici
intercorrenti con i diversi paesi esteri.
Una volta introdotto il concetto di tasso di cambio, possiamo esprimere le
componenti del reddito prodotto in una economia aperta in termini omogenei.
A tal fine, ricordiamo la distinzione tra:
𝑌 = reddito reale (misurato a prezzi correnti), e
𝑌𝑁 = reddito nominale (misurato a prezzi costanti).
179
Ricordiamo, inoltre, il concetto di deflatore del PIL (𝑃 =
𝑌𝑁
𝑌
), da cui si ricavano le
seguenti due relazioni:
𝑌𝑁 = 𝑌 ∙ 𝑃 (reddito nominale), e
𝑌=
𝑌𝑁
(reddito reale).
𝑃
Partendo dalla relazione c) vista in precedenza, possiamo scrivere la seguente
definizione di reddito nominale:
d) 𝑌𝑁 = 𝐶𝑁 + 𝐼𝑁 + 𝐺𝑁 + 𝐸𝑆𝑃𝑁 − 𝐼𝑀𝑃𝑁 .
Ogni grandezza nominale può essere espressa come prodotto tra la corrispondente
grandezza in termini reali e l’indice dei prezzi. Avremo quindi:
𝐶𝑁 = 𝐶 ∙ 𝑃, 𝐼𝑁 = 𝐼 ∙ 𝑃 e 𝐺𝑁 = 𝐺 ∙ 𝑃.
Indicando con 𝑋 il valore delle esportazioni in termini reali, risulterà:
𝐸𝑆𝑃𝑁 = 𝑋 ∙ 𝑃.
Tutte le grandezze nominali definite sopra sono state espresse in termini di euro (𝑃,
infatti, rappresenta il deflatore del PIL nazionale). Per completare la definizione del PIL
nominale (𝑌𝑁 ) è necessario specificare anche il valore nominale delle importazioni in
termini di euro.
A tale scopo, indichiamo con 𝐼𝑀 il valore delle importazioni in termini reali e con 𝑃 ∗
l’indice dei prezzi dei beni importati in valuta estera (dollari). Pertanto, l’espressione:
𝐼𝑀 ∙ 𝑃∗
corrisponde al valore nominale delle importazioni in termini di dollari. Per ottenere il
valore nominale delle importazioni in termini di euro dobbiamo dividere il valore delle
importazioni espresso in dollari per il tasso di cambio nominale (𝐸). Avremo quindi:
𝐼𝑀𝑃𝑁 =
𝐼𝑀 ∙ 𝑃∗
= importazioni nominali misurate in euro.
𝐸
Di conseguenza, possiamo scrivere:
e) 𝑌𝑁 = 𝐶𝑁 + 𝐼𝑁 + 𝐺𝑁 + 𝑋 ∙ 𝑃 −
𝐼𝑀 ∙ 𝑃∗
.
𝐸
180
Partendo da questa espressione, si ricava la seguente equazione per il reddito reale (𝑌):
𝑌𝑁 𝐶𝑁 𝐼𝑁 𝐺𝑁 𝑋 ∙ 𝑃 𝐼𝑀 ∙ 𝑃∗ 1
f) 𝑌 =
=
+ +
+
−
∙ .
𝑃
𝑃
𝑃
𝑃
𝑃
𝐸
𝑃
Ponendo:
𝐶𝑁
𝐼𝑁
𝐺𝑁
= 𝐶,
=𝐼 e
= 𝐺, si ottiene
𝑃
𝑃
𝑃
𝑃∗
g) 𝑌 = 𝐶 + 𝐼 + 𝐺 + 𝑋 − 𝐼𝑀 ∙ (
).
𝐸∙𝑃
E poiché:
𝑃∗
1
1
=
= , si può scrivere
𝐸∙𝑃 𝐸∙𝑃 𝜀
𝑃∗
1) 𝑌 = 𝐶 + 𝐼 + 𝐺 + 𝑋 −
𝐼𝑀
.
𝜀
5.1.2. Le determinanti delle esportazioni e delle importazioni
Per completare la descrizione del mercato dei beni, dobbiamo specificare i fattori che
influenzano le diverse componenti della domanda aggregata. Per quanto riguarda 𝐶, 𝐼 e
𝐺, valgono le considerazioni svolte con riferimento alla realtà di una economia chiusa
agli scambi con l’estero:
2) 𝐶 = 𝐶(𝑌 − 𝑇̅)
3) 𝐼 = 𝐼(𝜑, 𝑟)
4) 𝐺 = 𝐺̅ .
Restano quindi da individuare le determinanti delle esportazioni (𝑋) e delle
importazioni (𝐼𝑀) in termini reali.
Le esportazioni in termini reali (𝑿) sono funzione di due fattori. In primo luogo,
esse dipendono dal reddito del resto del mondo (𝒀∗ ). Possiamo infatti assumere che
esista una relazione diretta tra il livello di 𝑌 ∗ e le esportazioni, perché, a parità di altri
fattori, se crescono i redditi dei paesi esteri (Stati Uniti, Cina, Giappone, etc.) aumenta
la domanda di prodotti e servizi nazionali espressa da soggetti stranieri:
se 𝑌 ∗ ↑ → 𝑋 ↑ , e
181
se 𝑌 ∗ ↓ → 𝑋 ↓.
In secondo luogo, le esportazioni in termini reali dipendono dalla competitività di
prezzo dei prodotti nazionali rispetto a quelli esteri. Esse, cioè, sono funzione anche
del tasso di cambio reale (𝜀). Un aumento di 𝜀 rende più costosi i prodotti nazionali per
i consumatori stranieri, determinando una riduzione delle esportazioni reali (𝑋). Al
contrario, una svalutazione del tasso di cambio reale provoca un incremento delle
esportazioni reali:
se 𝜀 =
𝐸∙𝑃
↑ → competitività peggiora → 𝑋 ↓ , e
𝑃∗
se 𝜀 =
𝐸∙𝑃
↓ → competitività migliora → 𝑋 ↑.
𝑃∗
In definitiva, possiamo quindi scrivere la seguente equazione:
5) 𝑋 = 𝑋(𝑌 ∗ , 𝜀) con
𝑑𝑋
𝑑𝑋
>0 e
< 0.
∗
𝑑𝑌
𝑑𝜀
Anche le importazioni in termini reali (𝑰𝑴) sono funzione di due fattori. In primo
luogo, infatti, esse dipendono dal livello del reddito nazionale (𝒀), perché a un
aumento del reddito disponibile dei soggetti nazionali corrisponde una crescita della
loro domanda di beni, che si indirizza non solo ai beni e servizi prodotti internamente,
ma anche a quelli prodotti all’estero. Pertanto, ci aspettiamo che esista una relazione
diretta tra il reddito reale generato all’interno del paese (𝑌) e le importazioni di beni e
servizi in termini reali (𝐼𝑀):
se 𝑌 ↑ → 𝐼𝑀 ↑ , e
se 𝑌 ↓ → 𝐼𝑀 ↓.
Il secondo fattore che incide sul volume delle importazioni è anche in questo caso
costituito dalla competitività di prezzo dei beni e dei servizi nazionali rispetto a quelli
esteri, e quindi dal livello del tasso di cambio reale (𝜀). Una rivalutazione del tasso di
cambio reale rende più costosi i beni e i servizi nazionali, aumentando così la
convenienza ad acquistare i beni e i servizi realizzati all’estero. Viceversa, una
svalutazione del tasso di cambio reale, aumenta la convenienza all’acquisto di beni e
servizi realizzati internamente, determinando una contrazione delle importazioni:
se 𝜀 =
𝐸∙𝑃
↑ → competitività peggiora → 𝐼𝑀 ↑ , e
𝑃∗
182
se 𝜀 =
𝐸∙𝑃
↓ → competitività migliora → 𝑋 ↑.
𝑃∗
Avremo quindi la seguente funzione delle importazioni in termini reali:
6) 𝐼𝑀 = 𝐼𝑀(𝑌, 𝜀) con
𝑑𝑋
𝑑𝐼𝑀
>0 e
> 0.
𝑑𝑌
𝑑𝜀
5.1.3. La derivazione della curva IS in economia aperta
Sostituendo le equazioni 2), 3), 4), 5) e 6) nella equazione 1) otteniamo l’espressione
dell’equazione che descrive il mercato dei beni in una economia aperta, e che
corrisponde alla curva IS relativa a una economia aperta agli scambi con l’estero:
1) 𝑌 = 𝐶(𝑌 − 𝑇̅) + 𝐼(𝜋̅, 𝑟) + 𝐺̅ + 𝑋(𝑌 ∗ , 𝜀) −
𝐼𝑀(𝑌, 𝜀)
.
𝜀
La differenza tra le esportazioni e le importazioni viene definita saldo commerciale
(𝑵𝑿):
𝑁𝑋 = 𝑋(𝑌 ∗ , 𝜀) −
𝐼𝑀(𝑌, 𝜀)
.
𝜀
Dagli schemi dei conti di contabilità nazionale ricordiamo che:
(𝐸𝑆𝑃 − 𝐼𝑀𝑃) +
Saldo delle partite correnti (𝑆𝑃𝐶) = ⏟
𝑆𝑎𝑙𝑑𝑜 𝑐𝑜𝑚𝑚𝑒𝑟𝑐𝑖𝑎𝑙𝑒
(𝑅𝑀 − 𝑅𝑋)
⏟
𝑆𝑎𝑙𝑑𝑜 𝑑𝑒𝑖 𝑡𝑟𝑎𝑠𝑓𝑒𝑟𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑑𝑖 𝑟𝑒𝑑𝑑𝑖𝑡𝑜
Supponiamo, per semplicità, che:
𝑅𝑀 = 𝑅𝑋 = 0.
In questo caso, il saldo delle partite correnti coincide con il saldo commerciale, ovvero:
𝑁𝑋 = 𝑋(𝑌 ∗ , 𝜀) −
𝐼𝑀(𝑌, 𝜀)
= 𝑆𝑃𝐶.
𝜀
Il saldo commerciale è funzione di tre variabili:
𝑁𝑋 = 𝑋(𝑌 ∗ , 𝜀) −
𝐼𝑀(𝑌, 𝜀)
→ 𝑁𝑋(𝑌 ∗ , 𝑌, 𝜀).
𝜀
183
.
Come varia il saldo commerciale al variare di queste tre variabili?
Vediamo innanzitutto gli effetti prodotti dalle variazioni del livello del reddito nel resto
del mondo:
𝑑𝑁𝑋
? → se 𝑌 ∗ ↑ → 𝑁𝑋 ?
𝑑𝑌 ∗
Se 𝑌 ∗ ↑ → 𝑋 ↑ → (le esportazioni aumentano a parità di importazioni) → 𝑁𝑋 ↑.
Pertanto:
𝑑𝑁𝑋
> 0.
𝑑𝑌 ∗
In secondo luogo, dobbiamo esaminare l’impatto prodotto dalle variazioni del livello
del reddito nazionale:
𝑑𝑁𝑋
? → se 𝑌 ↑ → 𝑁𝑋 ?
𝑑𝑌
Se 𝑌 ↑ → 𝐼𝑀 ↑ → (le importazioni aumentano a parità di esportazioni) → 𝑁𝑋 ↓.
Di conseguenza:
𝑑𝑁𝑋
< 0.
𝑑𝑌
Infine, dobbiamo chiederci quali sono gli effetti prodotti da una variazione del tasso di
cambio reale:
𝑑𝑁𝑋
?
𝑑𝜀
Il primo canale di influenza è quello relativo alle variazioni del valore reale delle
esportazioni:
𝜀 → 𝑋 ?
Ricordiamo che:
𝜀=
𝐸∙𝑃
, con 𝑃 = 𝑃̅ e 𝑃 ∗ = ̅̅̅
𝑃∗.
∗
𝑃
184
Consideriamo il caso di una diminuzione del livello del tasso di cambio reale, ovvero
una svalutazione del cambio reale determinata da una svalutazione del tasso di cambio
nominale. Per ipotesi, infatti, l’indice dei prezzi nazionale e quello del resto del mondo
sono dati:
𝐸0 = 1 $/1 € → 𝐸1 = 0,9 $/1 € .
Se 𝑃 = 10.000 €, allora la svalutazione del tasso di cambio nominale determina una
riduzione del prezzo in dollari delle autovetture prodotte in Europa, perché 0,9 ∙
10.000 = 9.000 $ < 10.000 $. Pertanto, il volume delle esportazioni aumenta e il saldo
commerciale migliora:
se 𝜀 ↓ → 𝑋 ↑ → 𝑁𝑋 ↑.
Il secondo canale di influenza è invece quello relativo alle variazioni della quantità
di beni importati. Una svalutazione rende più competitivi i prodotti nazionali e riduce
il volume delle importazioni (𝐼𝑀(𝑌, 𝜀)), provocando quindi un miglioramento del saldo
delle partite correnti:
𝜀 → 𝐼𝑀(𝑌, 𝜀) ↓ → 𝑁𝑋 ↑.
Il terzo canale, infine, si manifesta attraverso le variazioni del prezzo dei beni
importati. Una svalutazione del cambio reale indotta da una svalutazione del tasso di
cambio nominale determina un aumento del prezzo in termini di euro dei prodotti e dei
servizi realizzati nel resto del mondo. Tornando all’esempio numerico utilizzato poco
sopra, se il prezzo di una automobile costruita negli Stati Uniti è pari a 𝑃 ∗ = 10.000 $,
in conseguenza di una diminuzione del tasso di cambio nominale la quantità di euro
necessari all’acquisto di tale automobile passa da 10.000 a:
10.000 $ 10.000 $
=
= 11.111 €.
𝐸
0,9
La svalutazione produce un duplice effetto di segno opposto sul valore delle
importazioni definito in euro. Infatti, se da un lato essa provoca una riduzione della
quantità dei beni importati, dall’altro essa determina un incremento del prezzo in euro
dei beni importati stessi.
In conclusione, una variazione del tasso di cambio reale produce tre effetti distinti sul
saldo commerciale:
 un effetto sulle quantità esportate;
 un effetto sulle quantità importate, e
 un effetto sul prezzo in euro delle quantità importate.
185
Nel caso di una svalutazione del tasso di cambio reale, questi tre effetti possono essere
sintetizzati schematicamente nel modo seguente:
L’impatto complessivo di una variazione del tasso di cambio reale sul saldo
commerciale dipende dall’intensità relativa di questi tre effetti. I primi due effetti
possono essere definiti come effetto-quantità (effetto-quantità esportazioni ed effettoquantità importazioni), mentre il terzo è un effetto-prezzo (effetto-prezzo
importazioni).
Se prevalgono gli effetti-quantità, allora una svalutazione del tasso di cambio reale
determinerà un miglioramento del saldo commerciale:
𝜀 ↓ → 𝑁𝑋 ↑.
Nel caso contrario di una rivalutazione del tasso di cambio reale, in presenza di una
prevalenza degli effetti-quantità il saldo commerciale è invece destinato a peggiorare:
𝜀 ↑ → 𝑁𝑋 ↓.
Infine, il saldo commerciale peggiora anche nei casi in cui l’effetto prezzo sui prodotti
importati prevalga sugli effetti-quantità.
Si può dimostrare che gli effetti-quantità prevalgono sull’effetto-prezzo in presenza di
una determinata condizione che prende il nome di condizione di Marshall-Lerner. Nel
prosieguo delle nostre lezioni assumeremo che valga tale condizione, e quindi che
l’impatto di una variazione del tasso di cambio reale sul saldo commerciale sia
determinato dalla prevalenza degli effetti-quantità sull’effetto prezzo.
In base alle considerazioni precedenti, riscriviamo l’equazione della curva IS per una
economia aperta agli scambi con l’estero nel modo seguente:
1) 𝑌 = 𝐶(𝑌 − 𝑇̅) + 𝐼(𝜑, 𝑟) + 𝐺̅ + 𝑁𝑋(𝑌 ∗ , 𝑌, 𝜀).
186
Se assumiamo come dati i valori di:
𝑇̅, 𝜑, 𝐺̅ , 𝑌 ∗ e 𝜀 = 𝜀̅,
abbiamo una equazione in due incognite, 𝑌 e 𝑟.
La IS definisce tutte le combinazioni di 𝑌 e di 𝑟 che soddisfano l’equazione 1),
ovvero tutte le combinazioni dei livelli del reddito e del tasso di interesse coerenti con
l’equilibrio sul mercato dei beni.
Possiamo rappresentare tutte queste combinazioni attraverso un grafico, come nella
figura seguente.
Figura 74 – Le combinazioni dei livelli del reddito e del tasso di interesse
in una economia aperta
In corrispondenza di 𝑟 = 𝑟0 , il livello del reddito è pari a 𝑌 = 𝑌0 . In particolare:
𝑌0 = 𝐶(𝑌0 − 𝑇̅) + 𝐼(𝜑, 𝑟0 ) + 𝐺̅ + 𝑁𝑋(𝑌 ∗ , 𝑌0 , 𝜀).
Se prendiamo in considerazione un livello del tasso di interesse superiore a 𝑟0 , per
esempio 𝑟 = 𝑟1 > 𝑟0 , il livello del reddito varia (𝑌1 ≠ 𝑌0 ). Più precisamente:
𝑌1 = 𝐶(𝑌1 − 𝑇̅) + 𝐼(𝜑, 𝑟1 ) + 𝐺̅ + 𝑁𝑋(𝑌 ∗ , 𝑌1 , 𝜀), con
𝑌1 < 𝑌0 perché 𝐼(𝜑, 𝑟1 > 𝑟0 ) < 𝐼(𝜋̅, 𝑟0 ).
187
Come nel caso di una economia chiusa agli scambi con l’estero, la IS è dunque
inclinata negativamente. Tuttavia, la IS relativa a una economia aperta differisce dalla
IS relativa a una economia chiusa per due caratteristiche.
In primo luogo, varia il grado di inclinazione della curva. Il cambiamento del grado
di inclinazione della curva IS ha un importante significato economico che possiamo
illustrare confrontando i grafici delle curve IS in economia chiusa e in economia aperta.
Figura 75 – La diversa inclinazione della curva IS in economia aperta
Cominciamo la nostra analisi dal caso di una economia chiusa agli scambi con
l’estero.
L’inclinazione della curva IS rappresenta la sensibilità del reddito (𝑌) alle variazioni
del tasso di interesse (𝑟). Tale sensibilità è influenzata da due fattori. Per poterli
evidenziare, dobbiamo innanzitutto riscrivere le equazioni (lineari) che descrivono il
mercato dei beni in una economia chiusa agli scambi con l’estero:
a) 𝑌 = 𝐶 + 𝐼 + 𝐺̅
b) 𝐶 = 𝐶0 + 𝑐 ∙ (𝑌 − 𝑇̅)
c) 𝐼 = 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟.
Sostituendo la b) e la c) nella a), otteniamo:
𝑌 = 𝐶0 + 𝑐 ∙ (𝑌 − 𝑇̅) + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟 + 𝐺̅
𝑌 = 𝐶0 + 𝑐 ∙ 𝑌 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟 + 𝐺̅
188
𝑌 − 𝑐 ∙ 𝑌 = 𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟 + 𝐺̅
𝑌=
1
∙ [𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟 + 𝐺̅ ].
1−𝑐
Come possiamo notare, il primo fattore da cui dipende l’inclinazione della curva IS è
il valore del parametro 𝒃, che, come abbiamo visto nella prima parte del corso,
rappresenta la sensibilità delle decisioni di investimento (𝐼) rispetto alle variazioni del
tasso di interesse (𝑟). Infatti, al variare di 𝑏, una variazione del livello del tasso di
interesse può provocare una variazione più o meno accentuata degli investimenti.
Questa circostanza emerge con chiarezza dall’esame della figura 76, che riproduce le
tre distinte rappresentazioni grafiche della funzione lineare degli investimenti definita
dall’equazione c) già viste nella precedente figura 56.
Figura 76 – La sensibilità al tasso di interesse della funzione lineare degli investimenti
Poiché le variazioni della spesa per beni di investimento provocano delle variazioni del
livello del reddito, anche queste ultime sono influenzate dal valore assunto dal
parametro 𝑏. In particolare:
 se 𝑏 è elevato, una variazione del tasso di interesse, provocando una sensibile
variazione degli investimenti, determina anche una forte variazione del livello del
reddito (elevata sensibilità del reddito rispetto al tasso di interesse);
 se, invece, 𝑏 è basso, una variazione del tasso di interesse, determinando una esigua
variazione degli investimenti, induce soltanto una piccola variazione del livello del
reddito (scarsa sensibilità del reddito rispetto al tasso di interesse).
Il secondo fattore da cui dipende l’inclinazione della curva IS è rappresentato dal
valore del moltiplicatore del reddito, che, come sappiamo è funzione della
189
propensione marginale al consumo (𝑐). A questo proposito, consideriamo il seguente
esempio numerico:
se 𝑐 = 0,75 →
1
1
1
=
=
= 4, mentre
1 − 𝑐 1 − 0,75 0,25
se 𝑐 = 0,80 →
1
1
1
=
=
= 5.
1 − 𝑐 1 − 0,80 0,20
In definitiva, la sensibilità di 𝑌 rispetto a 𝑟 aumenta al crescere del moltiplicatore, e
quindi al crescere della propensione marginale al consumo.
Una volta esaminati i fattori che incidono sulla inclinazione della curva IS in una
economia chiusa, possiamo passare all’analisi del caso di una economia aperta agli
scambi con l’estero. Per determinare di quanto aumenta 𝑌, quando il livello del tasso di
interesse scende da 𝑟1 a 𝑟0 , dobbiamo chiederci come variano i due parametri 𝑏 e
1
1−𝑐
passando da una economia chiusa a una economia aperta.
Supponiamo che il valore del parametro 𝑏 rimanga costante. Ciò significa che, a
parità di riduzione del livello del tasso di interesse, l’incremento degli investimenti non
varia rispetto al caso di una economia chiusa agli scambi con l’estero.
1
Che cosa accade, invece, al moltiplicatore (1−𝑐) ?
Come sappiamo, in una economia chiusa vale la seguente relazione causale:
𝐷𝐴 → 𝑌.
Pertanto, un aumento dei consumi o degli investimenti determina un aumento della
domanda aggregata che, a sua volta, provoca un incremento del livello del reddito.
Tuttavia, in una economia aperta una parte dell’aumento di domanda aggregata indotto
dall’aumento dei consumi o degli investimenti si dirige verso i prodotti e i servizi
realizzati all’estero, e viene quindi soddisfatta dalle importazioni. Di conseguenza, in
una economia aperta il valore del moltiplicatore del reddito non può che essere inferiore
a quello del moltiplicatore del reddito in una economia chiusa. Quindi, a parità di
diminuzione del livello del tasso di interesse, l’incremento di reddito indotto
dall’aumento della spesa per beni di investimento sarà inferiore rispetto a quello
osservabile in una economia chiusa agli scambi con l’estero.
Sulla base di queste considerazioni, possiamo concludere che in una economia aperta
la curva IS è più inclinata (più rigida) di quanto non lo sia in una economia chiusa,
perché le variazioni del reddito sono meno sensibili in rapporto alle variazioni del tasso
di interesse:
𝑑𝑌 = 𝑌0′ − 𝑌1′ < 𝑑𝑌 = 𝑌0 − 𝑌1 .
190
Partendo dalle relazioni lineari che descrivono il mercato dei beni, possiamo
determinare analiticamente il valore del moltiplicatore del reddito in una economia
aperta.
1) 𝑌 = 𝐶 + 𝐼 + 𝐺 + 𝑋 −
𝐼𝑀
𝜀
2) 𝐶 = 𝐶0 + 𝑐 ∙ (𝑌 − 𝑇̅)
3) 𝐼 = 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟
4) 𝐺 = 𝐺̅
5) 𝑋 = 𝑋(𝑌 ∗ , 𝜀̅) → 𝑋 = 𝑋̅
6) 𝐼𝑀 = 𝐼𝑀(𝑌, 𝜀̅) → 𝐼𝑀 = 𝑚 ∙ 𝑌 con
𝑚=
𝑑𝐼𝑀
(propensione marginale alle importazioni) > 0
𝑑𝑌
Sostituendo le equazioni 2), 3), 4), 5) e 6) nella equazione 1) otteniamo:
1) 𝑌 = 𝐶0 + 𝑐 ∙ (𝑌 − 𝑇̅) + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟 + 𝐺̅ + 𝑋̅ −
𝑚∙𝑌
, da cui
𝜀̅
𝑌 = 𝐶0 + 𝑐 ∙ 𝑌 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟 + 𝐺̅ + 𝑋̅ −
𝑌−𝑐∙𝑌+
𝑚∙𝑌
= 𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟 + 𝐺̅ + 𝑋̅
𝜀̅
𝑌 ∙ (1 − 𝑐 +
𝑌=
𝑚∙𝑌
𝜀̅
𝑚
) = 𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇̅ + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟 + 𝐺̅ + 𝑋̅
𝜀̅
1
̅ ̅
̅
𝑚 ∙ [𝐶0 − 𝑐 ∙ 𝑇 + 𝐼0 − 𝑏 ∙ 𝑟 + 𝐺 + 𝑋]
1 − 𝑐 + 𝜀̅
Dal confronto tra il moltiplicatore del reddito in una economia aperta e il moltiplicatore
del reddito in una economia chiusa emerge che, avendo il primo un denominatore
maggiore del secondo, quest’ultimo assume un valore più elevato:
1
1
<
.
𝑚
1−𝑐
1 − 𝑐 + 𝜀̅
La seconda differenza tra la IS relativa a una economia aperta e la IS relativa a una
economia chiusa riguarda la posizione sul piano della curva.
Infatti, come si evince dalla figura 77, in una economia aperta la posizione della curva
IS sul piano è funzione del valore assunto dal tasso di cambio reale (𝜀).
191
Figura 77 – La posizione della curva IS in funzione del valore del tasso di cambio reale
Nel caso di una diminuzione del valore del tasso di cambio reale la curva IS si sposta
verso destra:
se 𝜀 = 𝜀1 < 𝜀0 → 𝜀 ↓ → 𝑁𝑋 ↑ → (𝐶 + 𝐼 + 𝐺 + 𝑁𝑋) ↑ → 𝑌 ↑ con 𝑌1 > 𝑌0 .
Viceversa, in caso di un aumento di valore del tasso di cambio reale, la curva IS si
sposta verso sinistra:
se 𝜀 = 𝜀2 > 𝜀0 → 𝜀 ↑ → 𝑁𝑋 ↓ → (𝐶 + 𝐼 + 𝐺 + 𝑁𝑋) ↑ → 𝑌 ↓ con 𝑌2 < 𝑌0 .
5.2. La bilancia dei pagamenti
Lo studio delle relazioni economiche internazionali non si limita all’analisi delle
esportazioni e importazioni di beni e servizi, ma comprende anche l’esame dei flussi di
valuta associati alle diverse operazioni economiche messe in atto da agenti economici
residenti in paesi diversi.
5.2.1. Il saldo delle partite correnti
Ai fini dell’esame delle relazioni finanziarie internazionali, partiamo dal concetto di
saldo commerciale (𝑁𝑋), che, come abbiamo visto in precedenza, nell’ipotesi che il
saldo dei trasferimenti di reddito di un paese (𝑅𝑀 − 𝑅𝑋) sia nullo, coincide con il saldo
delle partite correnti (𝑆𝑃𝐶).
192
Consideriamo ancora una volta l’equazione che descrive l’equilibrio sul mercato dei
beni in una economia aperta, e definiamo il reddito disponibile nel caso in cui il saldo
dei trasferimenti di reddito sia nullo:
𝐼𝑀
𝜀
b) 𝑌𝑑 = 𝑌 + 𝑅𝑀 − 𝑅𝑋 con 𝑅𝑀 = 𝑅𝑋 = 0
c) 𝑌𝑑 = 𝑌.
a) 𝑌 = 𝐶 + 𝐼 + 𝐺 + 𝑋 −
Sostituendo la a) nella c) otteniamo l’equazione d):
d) 𝑌𝑑 = 𝐶 + 𝐼 + 𝐺 + 𝑋 −
𝐼𝑀
, da cui
𝜀
𝑌𝑑 − 𝐶 = 𝐼 + 𝐺 + 𝑋 −
𝐼𝑀
.
𝜀
Sottraendo a entrambi i membri di quest’ultima espressione il valore delle entrate del
settore pubblico (𝑇), possiamo scrivere:
𝑌𝑑 − 𝑇 − 𝐶 = 𝐼 + 𝐺 − 𝑇 + 𝑋 −
𝐼𝑀
.
𝜀
Pertanto:
Il saldo commerciale e, per effetto dell’ipotesi di nullità del saldo dei trasferimenti di
reddito, il saldo delle partite correnti, possono quindi essere interpretati
equivalentemente come differenza tra le esportazioni e le importazioni reali o come
differenza tra il risparmio e l’investimento nazionali:
193
Di conseguenza:
se 𝑁𝑋 = 0 → 𝑆 = 𝐼,
se 𝑁𝑋 > 0 → 𝑆 > 𝐼, e
se 𝑁𝑋 < 0 → 𝑆 < 𝐼.
Per comprendere il significato economico di queste relazioni, riprendiamo il concetto
di risparmio che abbiamo utilizzato quando abbiamo descritto la teoria keynesiana del
tasso di interesse. In particolare, consideriamo la relazione tra risparmio (𝑆) e ricchezza
(𝑊), e ricordiamo che, in ciascun periodo, il flusso di risparmi corrisponde alla
variazione dello stock di ricchezza:
𝑆 = 𝑑𝑊.
Come sappiamo, risparmiare significa accumulare potere d’acquisto sotto forma di
moneta e, in termini più generali, di titoli di credito. E poiché i titoli di credito sono
emessi dai debitori, l’accumulo di titoli di credito da parte dei risparmiatori coincide con
l’emissione di impegni di pagamento da parte dei debitori. Ne consegue che, in una
economia chiusa, vale necessariamente l’eguaglianza tra risparmi e investimenti:
𝑆 = 𝐼.
Infatti, ai titoli di credito accumulati dai risparmiatori corrispondono esattamente i titoli
di credito emessi dagli operatori economici nazionali. In altre parole, i debiti
equivalgono agli investimenti e viceversa.
In una economia aperta agli scambi con l’estero, tuttavia, questa equivalenza si
riscontra soltanto quando il saldo delle partite correnti è nullo:
𝑆𝑃𝐶 = 𝑁𝑋 = 0 → 𝑆 = 𝐼.
Quando, invece, il saldo delle partite correnti è attivo (𝑆𝑃𝐶 > 0), i titoli di credito
accumulati dai risparmiatori eccedono quelli emessi per finanziare la spesa per beni di
194
investimento degli operatori economici nazionali. Ciò significa che esiste un credito
netto degli operatori economici nazionali nei confronti di quelli stranieri:
𝑆𝑃𝐶 = 𝑁𝑋 > 0 → 𝑆 > 𝐼.
Viceversa, quando il saldo delle partite correnti è passivo (𝑆𝑃𝐶 < 0), i titoli di credito
accumulati dai risparmiatori sono inferiori al numero di quelli emessi per finanziare gli
investimenti effettuati dagli operatori nazionali. In questo caso, quindi, si registra un
indebitamento netto degli operatori economici nazionali nei confronti di quelli stranieri:
𝑆𝑃𝐶 = 𝑁𝑋 < 0 → 𝑆 < 𝐼.
In altre parole, poiché l’ammontare dei titoli di credito emessi per finanziare gli
investimenti è superiore all’ammontare dei titoli di credito sottoscritti dai risparmiatori
nazionali, una parte degli investimenti nazionali è stata finanziata da operatori stranieri.
Quali sono gli strumenti utilizzati per rappresentare la variazione della posizione
netta creditoria o debitoria degli operatori nazionali nei confronti dell’estero?
Per rispondere a questa domanda, illustriamo il caso più semplice, supponendo che le
importazioni (𝐼𝑀) e le esportazioni (𝑋) di beni e servizi vengano regolate in contanti, e
che le monete coinvolte negli scambi commerciali tra due paesi siano costituite
dall’euro e dal dollaro.
In tal caso, un importatore che voglia acquistare beni denominati in dollari deve
procurarsi i dollari necessari alla realizzazione dei suoi piani di spesa. A tal fine, egli
acquista dollari in cambio di euro. Pertanto, una operazione di importazione dà luogo a:
 una offerta di euro in cambio di dollari o, equivalentemente,
 una domanda di dollari in cambio di euro.
Queste operazioni vengono gestite dalla banca centrale del paese del soggetto
importatore.
L’attività di un esportatore dà origine a una operazione esattamente simmetrica. In
questo caso, infatti, sono gli operatori stranieri che si rivolgono alla loro banca centrale
per procurarsi degli euro in cambio di dollari. Nello specifico, sarà la banca centrale
americana a chiedere euro in cambio di dollari alla BCE. Questa operazione equivale a
quella compiuta dalla BCE, quando, per finanziare le importazioni di beni nei paesi
dell’eurozona, domanda dollari in cambio di euro alla banca centrale americana. Per
semplicità, possiamo anche immaginare che gli importatori stranieri paghino i prodotti
importati in dollari, e che, successivamente, gli esportatori nazionali convertano i dollari
in euro presso la loro banca centrale nazionale. In entrambe le situazioni l’esportazione
di beni determina:
 una offerta di valuta estera (dollari) in cambio di valuta nazionale (euro), e quindi
195
 una domanda di euro in cambio di dollari.
In definitiva, possiamo scrivere che il saldo delle partite correnti, che, a scopi di
semplificazione, abbiamo fatto coincidere con il saldo commerciale di un paese, ovvero
con la differenza tra le esportazioni e le importazioni del paese stesso, equivale alla
variazione delle riserve ufficiali in valuta della banca centrale:
𝑁𝑋 = 𝑑𝑅𝑈.
Immaginiamo, per esempio, di partire da un saldo commerciale in pareggio (𝑁𝑋 =
0):
𝑁𝑋 = 0 → 𝑑𝑅𝑈 = 0.
In particolare:
𝑁𝑋 = 0 → 𝑋 =
𝐼𝑀
= 1.000 €.
𝜀
Supponiamo, inoltre, che il tasso di cambio nominale sia pari a 1:
𝐸 = 1 (1 $⁄1 €).
In questo caso, il valore complessivo delle esportazioni sarà uguale a:
𝐸 ∙ 1.000 € = (1 $⁄1 €) ∙ 1.000 € = 1.000 $.
Gli esportatori chiedono alla banca centrale di poter scambiare i dollari ottenuti per la
vendita di beni e servizi all’estero contro euro Pertanto:
Esportatori → cedono 1.000 $ e acquistano 1.000 €,
Banca centrale → acquista 1.000 $ e cede in cambio 1.000 €.
Per pagare le importazioni, gli importatori devono invece procurarsi un ammontare di
dollari pari a:
𝐸 ∙ 1.000 € = (1 $⁄1 €) ∙ 1.000 € = 1.000 $.
Di conseguenza, gli importatori si rivolgono alla banca centrale, chiedendo di poter
scambiare euro contro dollari:
196
Importatori → cedono 1.000 € e acquistano 1.000 $,
Banca centrale → acquista 1.000 € e cede in cambio 1.000 $.
Complessivamente, i flussi di domanda e di offerta di euro e di dollari si bilanciano. Di
conseguenza, la variazione di riserve ufficiali è nulla, e quindi è nulla anche la
variazione di quantità di moneta (nel caso specifico, di euro) immessa nel sistema:
𝑑𝑅𝑈 = 0 → 𝑑𝑀 = 0.
Le cose cambiano, quando il saldo commerciale di un paese, che, nella ipotesi di
nullità del saldo dei trasferimenti di reddito, corrisponde al saldo delle partite correnti,
non è in pareggio:
𝑁𝑋 ≠ 0 → 𝑑𝑅𝑈 ≠ 0.
Ipotizziamo, per esempio, che il saldo commerciale (𝑁𝑋) sia uguale a 500 €, ovvero
che le esportazioni superino l’ammontare delle importazioni per un valore pari a 500 €:
𝑋 = 1.500 € >
𝐼𝑀
= 1.500 € → 𝑁𝑋 = 500 €.
𝜀
Se il tasso di cambio nominale è ancora pari a 1 (1 $⁄1 €), gli esportatori riceveranno:
𝐸 ∙ 1.500 € = (1 $⁄1 €) ∙ 1.500 € = 1.500 $.
Anche in questo caso, i proventi delle vendite all’estero vengono cambiati presso la
banca centrale:
Esportatori → cedono 1.500 $ e acquistano 1.500 €,
Banca centrale → acquista 1.500 $ e cede in cambio 1.500 €.
A loro volta, poiché le importazioni hanno un controvalore complessivo uguale a 1.000
€, gli importatori si rivolgono alla banca centrale per ottenere:
𝐸 ∙ 1.000 € = (1 $⁄1 €) ∙ 1.000 € = 1.000 $.
Di conseguenza:
Importatori → cedono 1.000 € e acquistano 1.000 $,
Banca centrale → acquista 1.000 € e cede in cambio 1.000 $.
197
Pertanto, a un aumento delle riserve in dollari della banca centrale pari a 500 unità,
corrisponde un incremento della quantità di euro, e quindi della quantità di moneta in
circolazione, pari anch’esso a 500 unità:
𝑁𝑋 = 500 € → 𝑑𝑅𝑈 = 500 → 𝑑𝑀 = 500.
Qualora, invece, si dovesse registrare un disavanzo commerciale di 500 €, perché le
importazioni superano l’ammontare delle esportazioni per un valore uguale a 500 €:
𝑋 = 1.000 € <
𝐼𝑀
= 1.500 € → 𝑁𝑋 = −500 €,
𝜀
a una riduzione delle riserve in dollari della banca centrale pari a 500 unità,
corrisponderebbe una diminuzione della quantità di euro, e quindi della quantità di
moneta in circolazione, pari anch’essa a 500 unità:
𝑁𝑋 = −500 € → 𝑑𝑅𝑈 = −500 → 𝑑𝑀 = −500.
Questi ultimi due esempi hanno dunque permesso di mettere in evidenza non soltanto
la natura della relazione tra il saldo delle partite correnti (𝑆𝑃𝐶 = 𝑁𝑋) e la variazione
delle riserve ufficiali (𝑑𝑅𝑈), ma anche l’esistenza di un secondo canale, oltre a quello
delle operazioni di mercato aperto visto in precedenza, attraverso il quale la banca
centrale può creare (o distruggere) moneta. In altri termini, esiste anche un canale
estero di creazione (o di distruzione) della moneta, corrispondente alla variazione
delle riserve ufficiali indotta da uno squilibrio del saldo delle partite correnti (del saldo
commerciale):
𝑁𝑋 = 𝑑𝑅𝑈 = 𝑑𝑀.
5.2.2. I movimenti di capitale
Completiamo la nostra analisi dei flussi di valuta tra paesi diversi, introducendo la
nozione di movimenti di capitale. I movimenti di capitale consistono in operazioni
finanziarie associate all’acquisto di titoli denominati in valuta estera o in valuta
nazionale. In particolare:
 gli operatori economici nazionali acquistano titoli denominati in valuta estera (titoli
del debito pubblico di paesi stranieri, oppure azioni/obbligazioni emesse da società
straniere), mentre
 gli operatori economici esteri acquistano titoli denominati in valuta nazionale (titoli
del debito pubblico nazionale, oppure azioni/obbligazioni emesse da società
nazionali).
198
Supponiamo che il saldo commerciale sia positivo e pari a 500 €. Come sappiamo, in
tal caso:
𝑁𝑋 = 500 → 𝑑𝑅𝑈 = 500 → 𝑑𝑀 = 500.
Ipotizziamo, inoltre, che il tasso di cambio nominale sia uguale a:
𝐸 = 1 (1 $⁄1 €).
Immaginiamo, ora, una prima operazione finanziaria consistente nell’acquisto di
titoli denominati in valuta straniera (dollari), cui corrisponde un controvalore in euro
pari a 200, da parte di agenti economici nazionali. A tal fine, gli acquirenti dei titoli
esteri devono rivolgersi alla banca centrale per ottenere una quantità di dollari uguale a:
𝐸 ∙ 200 € = (1 $⁄1 €) ∙ 200 € = 200 $.
Questa operazione produce un effetto analogo a quello determinato da una importazione
di beni sulle riserve ufficiali detenute dalla banca centrale. Se indichiamo con la sigla
𝑑𝐴𝐹𝐸𝑆𝑇 la grandezza corrispondente alla variazione delle attività finanziarie
sull’estero, ovvero l’ammontare di titoli esteri acquistati da operatori economici
nazionali, con riferimento all’esempio di cui sopra avremo:
𝑑𝐴𝐹𝐸𝑆𝑇 = 200, e quindi
𝑑𝑅𝑈 = 𝑁𝑋 − 𝑑𝐴𝐹𝐸𝑆𝑇 = 500 − 200 = 300.
Pertanto, vale la seguente relazione:
𝑁𝑋 = 𝑑𝑅𝑈 + 𝑑𝐴𝐹𝐸𝑆𝑇.
Completiamo il nostro esempio, prendendo in considerazione una seconda
operazione finanziaria, consistente nell’acquisto di titoli denominati in valuta nazionale,
per un valore complessivo di 400 €, effettuato da parte di agenti economici stranieri. I
residenti all’estero si rivolgeranno quindi alla banca centrale per ottenere l’ammontare
di valuta nazionale necessario all’acquisto dei titoli nazionali, cedendo in cambio una
quantità di valuta straniera (dollari) pari a:
𝐸 ∙ 400 € = (1 $⁄1 €) ∙ 400 € = 400 $.
Questa operazione produce un effetto analogo a quello determinato da una esportazione
di beni sulle riserve ufficiali detenute dalla banca centrale. Se indichiamo con la sigla
𝑑𝑃𝐹𝐸𝑆𝑇 la grandezza corrispondente alla variazione delle passività finanziarie
199
sull’estero, ovvero l’ammontare di titoli nazionali acquistati da operatori economici
stranieri, con riferimento al nostro esempio avremo:
𝑑𝑃𝐹𝐸𝑆𝑇 = 400.
Complessivamente, le transazioni in beni e servizi e le operazioni finanziarie con
l’estero hanno prodotto la seguente variazione delle riserve ufficiali detenute dalla
banca centrale:
𝑑𝑅𝑈 = 𝑁𝑋 + 𝑑𝑃𝐹𝐸𝑆𝑇 − 𝑑𝐴𝐹𝐸𝑆𝑇 = 500 + 400 − 200 = 700.
Quest’ultima relazione viene definita conto della bilancia dei pagamenti. Come
abbiamo visto, tale conto mette in evidenza gli effetti sulle riserve ufficiali detenute
dalla banca centrale prodotti dalle seguenti operazioni economiche:
 transazioni commerciali in beni e servizi (𝑁𝑋), e
 movimenti di capitale (𝑑𝑃𝐹𝐸𝑆𝑇 − 𝑑𝐴𝐹𝐸𝑆𝑇).
In particolare, la differenza tra la variazione delle attività finanziarie sull’estero e la
variazione delle passività finanziarie sull’estero (𝑑𝑃𝐹𝐸𝑆𝑇 − 𝑑𝐴𝐹𝐸𝑆𝑇) viene chiamata
saldo dei movimenti di capitale (𝑆𝑀𝐶). Il saldo dei movimenti di capitale assume un
valore positivo, quando l’incremento delle passività finanziarie sull’estero è maggiore
dell’incremento delle attività finanziarie sull’estero. Questa definizione può sembrare
controintuitiva. Tuttavia, il suo significato emerge con chiarezza, se si ricorda che:
 𝑑𝑃𝐹𝐸𝑆𝑇 → afflusso di capitali dall'estero (incremento delle riserve ufficiali), e
 𝑑𝐴𝐹𝐸𝑆𝑇 → deflusso di capitali verso l'estero (decremento delle riserve ufficiali).
5.2.3. Il saldo della bilancia dei pagamenti
Il saldo della bilancia dei pagamenti corrisponde alla somma del saldo commerciale e
del saldo dei movimenti di capitale:
𝑆𝐵𝑃 = 𝑁𝑋 + 𝑆𝑀𝐶 = 𝑑𝑅𝑈.
Di conseguenza:
se 𝑆𝐵𝑃 = 0 → 𝑑𝑅𝑈 = 0,
se 𝑆𝐵𝑃 > 0 → 𝑑𝑅𝑈 > 0, e
200
se 𝑆𝐵𝑃 < 0 → 𝑑𝑅𝑈 < 0.
5.2.4. La curva BP e l’equilibrio nel saldo della bilancia dei pagamenti
La differenza fondamentale tra una economia aperta e una economia chiusa riguarda la
definizione degli obiettivi delle autorità di governo. Nel caso di una economia chiusa
agli scambi con l’estero, l’unico obiettivo fondamentale di politica economica consiste
nel raggiungimento della piena occupazione della forza lavoro disponibile. In
precedenza abbiamo visto come, nell’ambito del quadro concettuale fornito dal modello
IS-LM, le autorità di governo possono perseguire questo obiettivo attraverso l’uso degli
strumenti di politica fiscale e di politica monetaria.
Nel contesto di una economia aperta agli scambi con l’estero, oltre all’obiettivo della
piena occupazione della forza lavoro disponibile, le autorità di politica economica si
prefiggono anche il raggiungimento dell’equilibrio dei conti con l’estero. Infatti,
mentre è possibile registrare disavanzi temporanei delle partite correnti (della bilancia
commerciale) o della bilancia dei pagamenti, un paese non può sopportare disavanzi nei
conti con l’estero per un periodo di tempo prolungato, perché ciò comporterebbe una
continua erosione delle riserve di valuta detenute dalla sua banca centrale che, per
definizione sono limitate:
𝑆𝐵𝑃 < 0 → 𝑑𝑅𝑈 < 0.
E’ quindi necessario capire come, nell’ambito di una economia aperta, si possono
utilizzare gli strumenti della politica fiscale e della politica monetaria per raggiungere
due distinti obiettivi di politica economica, quello della piena occupazione e quello
dell’equilibrio dei conti con l’estero.
A tal fine, dobbiamo innanzitutto definire le equazioni che caratterizzano il modello
IS-LM in economia aperta. Iniziamo dalle equazioni che individuano l’equilibrio sul
mercato dei beni e il saldo della bilancia dei pagamenti:
1) 𝑌 = 𝐶(𝑌 − 𝑇̅) + 𝐼(𝜑, 𝑟) + 𝐺̅ + 𝑁𝑋(𝑌 ∗ , 𝑌, 𝜀)
2) 𝑆𝐵𝑃 = 𝑁𝑋(𝑌 ∗ , 𝑌, 𝜀) + 𝑆𝑀𝐶.
Per poter completare il modello IS-LM in economia aperta, occorre studiare i fattori
che influenzano il saldo dei movimenti di capitale (𝑆𝑀𝐶):
𝑆𝑀𝐶 = 𝑑𝑃𝐹𝐸𝑆𝑇 − 𝑑𝐴𝐹𝐸𝑆𝑇,
e quindi le determinanti del comportamento dei possessori di ricchezza nazionali e
stranieri.
201
Ricordiamo che, in una economia chiusa, i possessori di ricchezza devono decidere
la composizione dei loro portafogli scegliendo tra moneta e titoli nazionali:
Viceversa, in una economia aperta, la scelta dei possessori di ricchezza si estende anche
ai titoli esteri:
Sostanzialmente, quindi, nel caso di una economia aperta agli scambi con l’estero le
scelte dei possessori di ricchezza dipendono dal differenziale (spread) tra i tassi sui
titoli nazionali e quelli sui titoli esteri, ovvero dalla differenza di rendimento tra i titoli
nazionali e quelli esteri:
differenziale di tasso (spread) = (𝑟 − 𝑟 ∗ ).
A parità di altre condizioni, gli effetti di una variazione dello spread (𝑟 − 𝑟 ∗ ) sul
saldo dei movimenti di capitale possono essere riassunti schematicamente nel modo
seguente.
In particolare, nel caso di un aumento dello spread:
202
Al contrario, nel caso di una diminuzione dello spread:
Come si può notare, esiste una relazione diretta tra la dinamica dello spread e il saldo
dei movimenti di capitale.
Per descrivere le caratteristiche del modello IS-LM in economia aperta, possiamo
quindi aggiungere una terza equazione alle due equazioni già presentate poco sopra:
3) 𝑆𝑀𝐶 = 𝑓(𝑟 − 𝑟 ∗ ) con 𝑓 ′ > 0.
Affinché questa relazione sia effettivamente valida, è necessario specificare le
seguenti due condizioni:
 la prima condizione è relativa ai gradi di rischio dei titoli nazionali e di quelli esteri.
Infatti, se la rischiosità dei due gruppi di titoli dovesse variare, la domanda per i titoli
nazionali e quelli esteri varierebbe indipendentemente dal valore assunto dallo
spread;
 la seconda condizione riguarda invece le aspettative circa il valore futuro del tasso di
cambio nominale (𝐸), che devono essere stabili.
Per meglio comprendere le implicazioni di quest’ultima condizione, è bene
rammentare che il tasso di cambio nominale non rappresenta una grandezza data e
immutabile, ma che esso è soggetto a delle oscillazioni.
Possiamo illustrare l’effetto indotto da una variazione delle aspettative circa il valore
futuro del tasso di cambio nominale attraverso un semplice esempio numerico.
Ipotizziamo che al tempo presente il tasso di cambio nominale sia pari a 1:
𝐸0 = 1 (1 $⁄1 €).
Supponiamo, inoltre, che si diffondano delle aspettative relative a una svalutazione del
cambio, e che il valore atteso del tasso di cambio nominale tra un anno sia pari a 0,9:
203
𝐸1 = 0,9 (0,9 $⁄1 €).
Consideriamo, ora, il comportamento di un operatore che disponga di una ricchezza 𝑊
uguale a 1.000 €. Questo operatore si trova di fronte a due tipi di scelta. In primo luogo,
infatti, egli può decidere di acquistare titoli denominati in euro che offrono un
rendimento nominale del 5%:
In secondo luogo, egli può decidere di acquistare titoli denominati in dollari che offrono
anch’essi un rendimento nominale del 5%:
𝐸 ∙ 1.000 € = (1 $⁄1 €) ∙ 1000 € = 1.000 $.
Quale è il rendimento effettivo offerto da queste due scelte di portafoglio?
Il tasso di rendimento in termini di dollari è pari al 5%. Infatti:
1.050 $ − 1.000 $
= 5%.
1.000 $
Il tasso di rendimento in termini di euro, invece, dipende dal valore del tasso di cambio
nominale dopo un anno dall’acquisto dei titoli:
se 𝐸1 = 1 → 1.050 $ = 1.050 € →
1.050 € − 1.000 €
= 5%, mentre
1.000 €
se 𝐸1 = 0,9 → 1.050 $ ∙ (1 $⁄0,9 €) =
1.050
= 1.167 €.
0,9
Di conseguenza:
1.167 € − 1.000 €
= 16,7%.
1.000 €
204
Tenendo conto di queste considerazioni, possiamo riscrivere l’equazione che
definisce il saldo della bilancia dei pagamenti (𝑆𝐵𝑃), sostituendo l’equazione 3) nella
equazione 2):
2) 𝑆𝐵𝑃 = 𝑁𝑋(𝑌 ∗ , 𝑌, 𝜀) + 𝑆𝑀𝐶(𝑟 − 𝑟 ∗ ).
Ipotizzando che 𝑌 ∗ , 𝑟 ∗ ed 𝜀 siano dati, ovvero che si tratti di grandezze esogene, e che
valga, in particolare:
𝜀 = 𝜀̅ →
𝐸̅ ∙ 𝑃̅
,
̅̅̅
𝑃∗
l’equazione 2) diventa una equazione in due incognite, 𝑌 e 𝑟.
Assumiamo che l’obiettivo delle autorità di governo sia quello di ottenere l’equilibrio
dei conti con l’estero, che corrisponde al sostanziale pareggio del saldo della bilancia
dei pagamenti:
𝑆𝐵𝑃 = 0.
Possiamo quindi riscrivere nuovamente l’equazione 2), tenendo conto dell’obiettivo
delle autorità di politica economica:
2) 𝑆𝐵𝑃 = 𝑁𝑋(𝑌 ∗ , 𝑌, 𝜀) + 𝑆𝑀𝐶(𝑟 − 𝑟 ∗ ) = 0.
Partendo da questa equazione siamo ora in grado di ricavare tutte le combinazioni dei
valori del reddito (𝑌) e del tasso di interesse (𝑟) che assicurano l’equilibrio del saldo
della bilancia dei pagamenti (𝑆𝐵𝑃 = 0). L’insieme di tali combinazioni può essere
rappresentato in un grafico che riporta i valori del tasso di interesse (𝑟) sull’asse delle
ordinate e quelli del reddito (𝑌) sull’asse delle ascisse (figura 78).
205
Figura 78 – L’equilibrio del saldo della bilancia dei pagamenti
Consideriamo innanzitutto la combinazione di valori (𝑌0 , 𝑟0 ) in corrispondenza della
quale il saldo della bilancia dei pagamenti è in equilibrio:
𝑆𝐵𝑃 (𝑌0 , 𝑟0 ) = 0.
Confrontiamo poi tale combinazione con la coppia di valori (𝑌𝐴 > 𝑌0 , 𝑟 = 𝑟0 ), e
chiediamoci come cambia il saldo della bilancia dei pagamenti:
𝑆𝐵𝑃 (𝑌0 , 𝑟0 ) = 0 ↔ 𝑆𝐵𝑃 (𝑌𝐴 > 𝑌0 , 𝑟 = 𝑟0 ) ?
Sappiamo che quando il reddito aumenta, il saldo commerciale peggiora:
se 𝑌 ↑ →
𝐼𝑀
↑ → 𝑁𝑋 ↓.
𝜀
Di conseguenza, a parità di altre condizioni, anche il saldo della bilancia dei pagamenti
peggiora:
𝑌 ↑ → 𝑁𝑋 ↓ → 𝑆𝐵𝑃 ↓, e quindi
𝑆𝐵𝑃 (𝑌𝐴 > 𝑌0 , 𝑟 = 𝑟0 ) < 𝑆𝐵𝑃 (𝑌0 , 𝑟0 ).
Nell’ipotesi che il reddito sia pari a 𝑌𝐴 , come dovrebbe variare il tasso di interesse
(𝑟) perché anche in corrispondenza di 𝑌𝐴 il saldo della bilancia dei pagamenti sia in
equilibrio? In altre parole, stiamo cercando un valore di 𝑟 tale che:
206
𝑟 = 𝑟𝐴 → 𝑆𝐵𝑃 (𝑌𝐴 , 𝑟𝐴 ) = 0.
Guardando al saldo della bilancia dei pagamenti, osserviamo che esso dipende da due
componenti, poiché ne rappresenta, per definizione, la somma:
 il saldo delle partite correnti, che è funzione del livello del reddito (𝑌), e
 il saldo dei movimenti di capitale, che invece dipende dal valore del tasso di interesse
(𝑟).
Pertanto, quando il reddito aumenta, al fine di ottenere 𝑆𝐵𝑃 = 0, il tasso di interesse
deve crescere in misura tale che il saldo dei movimenti di capitale possa compensare la
variazione del saldo delle partite correnti. In altri termini, 𝑟𝐴 deve provocare un
miglioramento del saldo dei movimenti di capitale di entità tale da bilanciare il
peggioramento del saldo delle partite correnti (del saldo commerciale) determinato
dall’incremento del livello del reddito.
𝑆𝐵𝑃 (𝑌𝐴 > 𝑌0 , 𝑟𝐴 > 𝑟0 ) = 𝑆𝐵𝑃 (𝑌0 , 𝑟0 ) = 0.
In base a queste considerazioni, è possibile individuare la retta BP che rappresenta
tutte le combinazioni di 𝑌 e di 𝑟 coerenti con l’equilibrio del saldo della bilancia dei
pagamenti (𝑆𝐵𝑃 = 0). Come emerge dalla figura 79, tutte le combinazioni che non si
trovano sulla curva BP rappresentano situazioni di squilibrio dei conti con l’estero,
ovvero di avanzo o di disavanzo della bilancia dei pagamenti.
In particolare, la combinazione 𝐵 (𝑌0 , 𝑟1 > 𝑟0 ) rappresenta una situazione di avanzo
della bilancia dei pagamenti, perché il tasso di interesse assume un valore maggiore di
quello coerente con l’equilibrio dei conti con l’estero quando il livello del reddito è pari
a 𝑌0 (a fronte di un saldo immutato della bilancia commerciale, il saldo dei movimenti
di capitale migliora).
Al contrario, la combinazione 𝐴 (𝑌𝐴 , 𝑟0 < 𝑟1) rappresenta una situazione di disavanzo
della bilancia dei pagamenti, perché il tasso di interesse assume un valore minore di
quello coerente con l’equilibrio dei conti con l’estero quando il livello del reddito è pari
a 𝑌𝐴 (a fronte di un saldo immutato della bilancia commerciale, il saldo dei movimenti
di capitale peggiora).
207
Figura 79 – L’equilibrio e le situazioni di avanzo e di disavanzo
della bilancia dei pagamenti
L’inclinazione della curva BP consente di misurare la dimensione della variazione
del tasso di interesse (𝑟) necessaria a compensare l’effetto prodotto da una variazione
del reddito (𝑌) sul saldo della bilancia dei pagamenti. L’inclinazione della curva BP
dipende dal grado di sensibilità dei movimenti di capitale al tasso di interesse. In
particolare, la figura 80 contiene tre diverse rappresentazioni della curva BP, cui
corrispondono diversi gradi di reattività dei movimenti di capitale alle variazioni del
tasso di interesse.
Figura 80 – L’inclinazione della curva BP
208
Se i movimenti di capitale sono molto sensibili alle variazioni del tasso di interesse,
allora anche solo un piccolo aumento di quest’ultimo sarà sufficiente a compensare gli
effetti di un incremento del reddito. E’ questa la situazione rappresentata nel grafico (𝑏)
della figura 80.
La sensibilità dei movimenti di capitale rispetto al tasso di interesse, e quindi
l’inclinazione della curva BP, dipendono dal grado di mobilità dei capitali, che è tanto
più elevato quanto minori sono gli ostacoli al trasferimento dei capitali da un paese
all’altro. Da questo punto di vista, il grafico (𝑎) della figura 80, che individua una
situazione di maggiore rigidità dei movimenti di capitale in rapporto alle variazioni del
tasso di interesse, dà anche conto delle maggiori difficoltà incontrate dagli operatori
economici a trasferire i capitali oltre la frontiera del loro paese.
Infine, il grafico (𝑐) della figura 80 rappresenta il caso di perfetta mobilità dei
capitali, ovvero una situazione in cui i titoli nazionali e i titoli esteri sono perfetti
sostituti gli uni degli altri. In questo caso, i titoli nazionali e quelli esteri devono avere
lo stesso rendimento e il differenziale di tasso (spread) è quindi nullo (vale la legge del
prezzo unico):
𝑟 − 𝑟 ∗ = 0.
Come si evince dalla figura 80, per 𝑟 = 𝑟 ∗ la curva BP è piatta. In corrispondenza del
punto 0 il saldo della bilancia dei pagamenti è in equilibrio:
(𝑌 = 𝑌0 , 𝑟 = 𝑟 ∗ ) → 𝑆𝐵𝑃 (𝑌 = 𝑌0 , 𝑟 = 𝑟 ∗ ) = 0.
Cosa accade, quando il livello del reddito aumenta, come per esempio nel punto 1 del
grafico (𝑐)?
Anche in questo caso, il saldo della bilancia dei pagamenti è in equilibrio:
(𝑌1 > 𝑌0 , 𝑟 = 𝑟 ∗ ) → 𝑆𝐵𝑃 (𝑌1 > 𝑌0 , 𝑟 = 𝑟 ∗ ) = 0.
Ciò avviene, perché la sensibilità dei movimenti di capitale rispetto al tasso di interesse
tende a infinito. Pertanto, l’incremento necessario a compensare gli effetti prodotti
dall’aumento del livello del reddito sul saldo della bilancia dei pagamenti è così piccolo
da poter essere trascurato.
5.2.5. I fattori che influenzano il valore del tasso di cambio nominale
Per esaminare i fattori che influenzano il livello del tasso di cambio nominale (𝐸),
sottolineiamo, innanzitutto, che esso rappresenta un prezzo, ovvero il prezzo di una
valuta in termini di un’altra valuta.
209
Pertanto, un primo fattore di influenza sul valore del tasso di cambio nominale è
costituito dalle variazioni della domanda e dell’offerta per la valuta nazionale. Più nello
specifico, il livello del tasso di cambio nominale dipende:
 dalla domanda di valuta nazionale in cambio di valuta estera o, equivalentemente,
 dalla offerta di valuta nazionale in cambio di valuta estera.
Per quanto riguarda la domanda di valuta nazionale (€) in cambio di valuta estera ($),
ricordiamo che essa trae origine:
 dalle esportazioni di beni e servizi (𝑋), e
 dalla quantità di titoli nazionali acquistati da operatori economici stranieri
(𝑑𝑃𝐹𝐸𝑆𝑇).
Quindi, possiamo scrivere:
Domanda di € in cambio di $ = 𝑋 + 𝑑𝑃𝐹𝐸𝑆𝑇.
L’offerta di valuta nazionale (€) in cambio di valuta estera ($) trae invece origine:
𝐼𝑀
 dalle importazioni di beni e servizi ( 𝜀 ), e
 dalla quantità di titoli esteri acquistati da operatori economici nazionali (𝑑𝐴𝐹𝐸𝑆𝑇).
Di conseguenza, abbiamo che:
Offerta di € in cambio di $ =
𝐼𝑀
+ 𝑑𝐴𝐹𝐸𝑆𝑇.
𝜀
Possiamo dunque concludere che il tasso di cambio nominale (𝐸) è stabile, quando
la domanda e l’offerta di valuta nazionale in cambio di valuta estera sono in equilibrio,
ovvero quando:
𝑋 + 𝑑𝑃𝐹𝐸𝑆𝑇 =
𝐼𝑀
+ 𝑑𝐴𝐹𝐸𝑆𝑇.
𝜀
Inoltre, da questa uguaglianza otteniamo:
210
Quando il saldo della bilancia dei pagamenti è in equilibrio, anche la domanda e
l’offerta della valuta nazionale in cambio di valuta estera sono in equilibrio, e il tasso di
cambio nominale (𝐸) è stabile.
Qualora, invece, il saldo della bilancia dei pagamenti fosse in avanzo, la domanda di
valuta nazionale in cambio di valuta estera eccederebbe l’offerta, e il tasso di cambio
nominale si rivaluterebbe:
𝑋 + 𝑑𝑃𝐹𝐸𝑆𝑇 >
𝐼𝑀
+ 𝑑𝐴𝐹𝐸𝑆𝑇 → 𝐸 ↑.
𝜀
Infine, se il saldo della bilancia dei pagamenti è in disavanzo, sarebbe l’offerta di
valuta nazionale in cambio di valuta estera ad eccedere la domanda, e il tasso di cambio
nominale si svaluterebbe:
211
𝑋 + 𝑑𝑃𝐹𝐸𝑆𝑇 <
𝐼𝑀
+ 𝑑𝐴𝐹𝐸𝑆𝑇 → 𝐸 ↓.
𝜀
Il primo fattore che influenza il valore del tasso di cambio nominale (𝐸) è dunque
costituito dal saldo della bilancia dei pagamenti:
se 𝑆𝐵𝑃 = 0 → Domanda di € in cambio di $ = Offerta di € in cambio di $ → 𝐸 è stabile,
se 𝑆𝐵𝑃 > 0 → Domanda di € in cambio di $ > Offerta di € in cambio di $ → 𝐸 si rivaluta ↑,
se 𝑆𝐵𝑃 < 0 → Domanda di € in cambio di $ < Offerta di € in cambio di $ → 𝐸 si svaluta ↓.
Il secondo fattore che influenza il valore del tasso di cambio nominale (𝐸) è invece
rappresentato dal comportamento delle autorità monetarie, ovvero dalle decisioni di
politica monetaria della banca centrale. Infatti, in presenza di uno squilibrio tra la
domanda e l’offerta di valuta nazionale, la banca centrale può decidere di intervenire per
impedire una variazione del tasso di cambio nominale (𝐸).
Nel caso in cui:
𝑆𝐵𝑃 = 0 → Domanda di € in cambio di $ = Offerta di € in cambio di $ → 𝐸 è stabile,
la banca centrale non interviene sul mercato dei cambi.
Viceversa, qualora si presentasse una situazione in cui:
𝑆𝐵𝑃 > 0 → Domanda di € in cambio di $ > Offerta di € in cambio di $ → 𝐸 si rivaluta ↑,
le autorità monetarie possono intervenire sul mercato dei cambi per riequilibrare la
discrepanza tra le quantità di valuta nazionale domandate e offerte, offrendo euro (€) e
acquistando dollari ($). In tal caso avremo:
𝑆𝐵𝑃 = 𝑑𝑅𝑈 → 𝑑𝑀 = 𝑑𝑅𝑈.
212
Cerchiamo di chiarire questa conclusione attraverso un semplice esempio numerico.
Supponiamo, in particolare che:
𝑆𝐵𝑃 = 500 → Domanda di € in cambio di $ > Offerta di € in cambio di $, con
Domanda di € in cambio di $ = 𝑋 + 𝑑𝑃𝐹𝐸𝑆𝑇 = 1.500 €, e
Offerta di € in cambio di $ =
𝐼𝑀
+ 𝑑𝐴𝐹𝐸𝑆𝑇 = 1.000 €.
𝜀
In mancanza di un intervento della banca centrale sul mercato dei cambi, il tasso di
cambio nominale è destinato ad aumentare, ovvero a rivalutarsi (𝐸 ↑). Per evitare
questa variazione del tasso di cambio nominale, le autorità monetarie devono offrire
euro (€) e acquistare dollari ($) in misura pari alla differenza tra la domanda e l’offerta
di euro in cambio di dollari. In altre parole, l’offerta di euro (€) e l’acquisto di dollari
($) deve pareggiare l’avanzo del saldo della bilancia dei pagamenti:
𝑆𝐵𝑃 = 500 = 𝑑𝑅𝑈 = 𝑑𝑀 = 500.
In tal caso, il tasso di cambio nominale (𝐸) rimarrà stabile, anche in presenza di uno
squilibrio nel saldo della bilancia dei pagamenti (𝑆𝐵𝑃 ≠ 0).
Naturalmente, l’intervento delle autorità monetarie sul mercato dei cambi può essere
anche di segno opposto. Infatti, quando il saldo della bilancia dei pagamenti è in
disavanzo:
𝑆𝐵𝑃 < 0 → Domanda di € in cambio di $ < Offerta di € in cambio di $ → 𝐸 si svaluta ↓,
la banca centrale può impedire la svalutazione del tasso di cambio nominale
domandando euro (€) e offrendo dollari ($), ovvero cedendo dollari ($) e acquistando
euro (€), in misura pari al disavanzo del saldo della bilancia dei pagamenti:
𝑆𝐵𝑃 = −500 = 𝑑𝑅𝑈 = 𝑑𝑀 = −500.
Anche in questo caso, il tasso di cambio nominale (𝐸) rimarrà stabile, nonostante
l’esistenza di uno squilibrio nel saldo della bilancia dei pagamenti (𝑆𝐵𝑃 ≠ 0).
5.2.6. I regimi di cambio
Come abbiamo visto poco sopra, il valore del tasso di cambio nominale (𝐸) è funzione:
 del saldo della bilancia dei pagamenti (𝑆𝐵𝑃), e
 delle decisioni di politica monetaria della banca centrale.
213
In base a questi elementi possiamo distinguere tra due cosiddetti regimi di cambio:
1. Il regime di cambi fissi, caratterizzato dal fatto che le banche centrali dei vari paesi
sono vincolate a intervenire per colmare le differenze tra le domande e le offerte che si
presentano sui mercato di cambio, al fine di stabilizzare i tassi di cambio nominali tra le
diverse valute.
2. Il regime di cambi flessibili, invece caratterizzato dal fatto che le autorità monetarie
si astengono dall’intervenire sui mercati di cambio nei casi in cui si manifestano delle
discrepanze tra le domande e le offerte per le varie valute. In altri termini, in presenza di
un regime di cambi flessibili, il valore del tasso di cambio nominale (𝐸) è libero di
fluttuare in funzione della domanda e dell’offerta di valuta, ed eventuali squilibri nel
saldo della bilancia dei pagamenti che si riflettono in uno squilibrio della domanda e
dell’offerta di valuta vengono eliminati attraverso le variazioni del tasso di cambio
nominale (𝐸).
A quest’ultimo proposito, consideriamo il seguente esempio. Immaginiamo una
situazione in cui il saldo della bilancia dei pagamenti è in avanzo:
𝑆𝐵𝑃 > 0 → Domanda di € in cambio di $ > Offerta di € in cambio di $ → 𝐸 si rivaluta ↑.
Che cosa accade al saldo della bilancia dei pagamenti, quando il tasso di cambio
nominale (𝐸) si rivaluta?
𝐸↑ → 𝜀=
𝐸̅ ∙ 𝑃̅
↑ → 𝑁𝑋 ↓ → 𝑆𝐵𝑃 ↓.
̅̅̅
𝑃∗
La rivalutazione del tasso di cambio nominale provoca una rivalutazione del tasso di
cambio reale, e quindi un peggioramento del saldo commerciale che si traduce in una
riduzione dell’avanzo della bilancia dei pagamenti. Questo meccanismo di
aggiustamento si arresta quando il saldo della bilancia dei pagamenti torna in pareggio.
A quel punto, anche lo squilibrio tra la domanda e l’offerta di valuta sul mercato dei
cambi sarà stato eliminato.
𝑆𝐵𝑃 = 0 → Domanda di € in cambio di $ = Offerta di € in cambio di $.
Ovviamente, il meccanismo di aggiustamento funziona anche nel caso di un
disavanzo di bilancia dei pagamenti:
𝑆𝐵𝑃 < 0 → Domanda di € in cambio di $ < Offerta di € in cambio di $ → 𝐸 si svaluta ↓.
214
In conseguenza della svalutazione del tasso di cambio nominale, si svaluta anche il
tasso di cambio reale, determinando così un miglioramento del saldo commerciale, e
quindi una riduzione del disavanzo di bilancia dei pagamenti.
𝐸↓ → 𝜀=
𝐸̅ ∙ 𝑃̅
↓ → 𝑁𝑋 ↑ → 𝑆𝐵𝑃 ↑.
̅̅̅
𝑃∗
Anche in questo caso, il meccanismo di aggiustamento si arresta quando il saldo della
bilancia dei pagamenti torna in pareggio e lo squilibrio tra la domanda e l’offerta di
valuta sul mercato dei cambi è stato eliminato.
𝑆𝐵𝑃 = 0 → Domanda di € in cambio di $ = Offerta di € in cambio di $.
Se consideriamo l’esperienza italiana, nel periodo dal 1945 a oggi si evidenzia una
alternanza di fasi di cambi fissi e di cambi flessibili:
 1945-1972 (fase di cambi fissi)
A seguito della firma degli accordi di Bretton Woods, nel luglio del 1944, nel
secondo dopoguerra venne costituito il sistema monetario internazionale fondato sul
dollaro statunitense ($), unica tra tutte le valute dei vari paesi a poter essere
convertita in oro a un tasso di cambio predeterminato. Per effetto di questi accordi, la
Federal Reserve, la banca centrale statunitense, era dunque vincolata a convertire in
oro le riserve in dollari ($) possedute dalle banche centrali degli altri paesi. Il sistema
di Bretton Woods prevedeva non soltanto un tasso di cambio fisso tra il dollaro
statunitense ($) e l’oncia d’oro, ma anche tassi di cambio nominali bilaterali fissi tra
il dollaro e le valute degli altri paesi.
 1971-1979 (fase di cambi flessibili)
Nell’agosto del 1971, l’allora presidente degli Stati Uniti Richard Nixon annunciò la
sospensione della convertibilità del dollaro americano ($) in oro. Di lì a poco, il
sistema monetario internazionale basato sugli accordi di Bretton Woods avrebbe
quindi cessato di esistere, e i tassi di cambio della lira italiana nei confronti delle
valute degli altri paesi rimasero liberi di fluttuare.
 1979-1992 (fase di cambi fissi nei confronti delle valute dei paesi aderenti al
Sistema monetario europeo (SME))
Nel 1979 l’Italia aderisce al sistema monetario europeo (SME), un accordo di cambio
tra i paesi aderenti alla CEE, che obbligava le banche centrali di tali paesi a
intervenire sul mercato dei cambi per garantire che le oscillazioni dei tassi di cambio
nominali non superassero le bande fissate attorno a una determinata parità centrale.
215
 1992-1996 (fase di cambi flessibili)
Nel 1992 il Sistema monetario europeo entra in crisi. A seguito di una serie di
attacchi speculativi, l’Italia esce dallo SME nel mese di settembre, subendo una
svalutazione della propria valuta nei confronti del marco tedesco di oltre il 30%.
 1996-1998 (nuova fase di cambi fissi nell’ambito dello SME)
Nel novembre del 1996 l’Italia rientrò nello SME, godendo di bande di oscillazione
attorno alle nuove parità centrali fissate nei confronti delle valute degli altri paesi
europei aderenti agli accordi di cambio maggiori di quelle stabilite nel primo periodo
di permanenza. Lo SME cessò di esistere il 31 dicembre del 1998, in conseguenza
dell’entrata in vigore dell’euro all’inizio del 1999.
 1999 ad oggi (fase di adesione all’Unione monetaria europea)
I tassi di cambio tra le valute dei paesi entrati a fare parte dell’Unione economica e
monetaria europea sin dal mese di gennaio del 1999 sono stati determinati dal
Consiglio europeo in base ai loro valori di mercato al 31 dicembre del 1998, in modo
tale che un ECU, l’unità di valuta europea vigente nello SME, fosse pari a un euro. Il
primo gennaio del 1999 l’euro è diventato la nuova moneta ufficiale dell’Italia e di
altri dieci paesi membri dell’Unione europea. Inizialmente, l’euro è stato introdotto
come moneta virtuale per i pagamenti non in contanti e a fini contabili, mentre le
vecchie valute continuavano a essere utilizzate per i pagamenti in contanti e
considerate come “sottounità” dell’euro. Successivamente, dal primo gennaio del
2002, l’euro ha cominciato a circolare anche fisicamente, sotto forma di banconote e
monete metalliche. Attualmente, l’euro è la valuta comune ufficiale dell’Unione
europea (considerata nel suo insieme), e la moneta unica adottata dall’Italia e da altri
18 dei 28 Stati membri dell’Unione aderenti all’Unione economica e monetaria
dell’Unione europea (UEM) (Austria, Belgio, Cipro, Estonia, Finlandia, Francia,
Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi
Bassi, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Spagna).
216
5.3. Gli effetti della politica fiscale e della politica monetaria in una economia
aperta (modello Mundell-Fleming)
5.3.1. Gli effetti della politica fiscale e della politica monetaria in una economia
aperta in regime di cambi fissi
Ricordando che in un regime di cambi fissi:
𝐸 = 𝐸̅ → 𝜀 = 𝜀̅ =
𝐸̅ ∙ 𝑃̅
,
̅̅̅
𝑃∗
possiamo rappresentare il modello IS-LM in una economia aperta in cui le banche
centrali sono vincolate a intervenire per garantire la stabilità dei tassi di cambio
nominali (𝐸) attraverso il seguente sistema di equazioni.
1) 𝑌 = 𝐶(𝑌 − 𝑇̅) + 𝐼(𝜑, 𝑟) + 𝐺̅ + 𝑁𝑋(𝑌 ∗ , 𝑌, 𝜀̅)
2) 𝑆𝐵𝑃 = 𝑁𝑋(𝑌 ∗ , 𝑌, 𝜀̅) + 𝑆𝑀𝐶(𝑟 − 𝑟 ∗ ).
Ipotizzando di essere in presenza di perfetta mobilità dei capitali, ovvero in una
situazione in cui il tasso di interesse interno (𝑟) tende a essere uguale al tasso di
interesse estero (𝑟 ∗ ), e quindi in cui il differenziale di tasso (spread) tende a essere
nullo, avremo:
3) 𝑟 = 𝑟 ∗ .
Il modello è completato con l’introduzione dell’equazione LM che definisce l’equilibrio
sul mercato della moneta:
4)
𝑀
= 𝑓(𝑌, 𝑟).
𝑃̅
Come si può notare, a differenza di quanto abbiamo visto nel caso del modello ISLM in economia chiusa, nella versione del modello IS-LM riferita a una economia
aperta in regime di cambi fissi, la quantità di moneta è determinata in modo
endogeno in funzione dell’obbligo della banca centrale di intervenire sul mercato dei
cambi per stabilizzare il livello del tasso di cambio nominale (𝐸).
Nel paragrafo precedente è stato mostrato che le variazioni della quantità di moneta
indotte dagli interventi delle autorità monetarie ai fini della stabilizzazione del tasso di
cambio nominale (𝐸) dipendono dal saldo della bilancia dei pagamenti. In particolare:
se 𝑆𝐵𝑃 ≠ 0 → 𝑑𝑅𝑈 ≠ 0 → 𝑑𝑀 ≠ 0,
217
se 𝑆𝐵𝑃 > 0 → 𝑑𝑅𝑈 > 0 → 𝑑𝑀 > 0, e
se 𝑆𝐵𝑃 < 0 → 𝑑𝑅𝑈 < 0 → 𝑑𝑀 < 0.
Abbiamo definito un sistema in quattro equazioni e in quattro incognite
(𝑌, 𝑆𝐵𝑃, 𝑟 e 𝑀), che ammette il seguente ordine di soluzione:
dato 𝑟 ∗ , l'equazione 3 → determina 𝑟,
dato 𝑟, l'equazione 1 → determina 𝑌,
dati 𝑟 e 𝑌, l'equazione 2 → determina 𝑆𝐵𝑃, e
dati 𝑟 e 𝑌, l'equazione 4 → determina 𝑀.
Come nel caso dell’economia chiusa, possiamo rappresentare i valori di equilibrio
del reddito e del tasso di interesse tramite un grafico che riporta 𝑌 sull’asse delle ascisse
e 𝑟 sull’asse delle ordinate (figura 81).
Figura 81 – L’equilibrio sul mercato dei beni, sul mercato della moneta e dei conti con
l’estero in ipotesi di cambi fissi e di perfetta mobilità dei capitali
Come sappiamo, per determinare la posizione della curva LM sul piano, è necessario
conoscere la quantità di moneta (𝑀). Sappiamo anche che tale quantità è funzione degli
interventi della banca centrale ai fini della stabilizzazione del tasso di cambio nominale
(𝐸).
218
Si può dimostrare che la quantità di moneta (𝑀) creata dalla banca centrale per
stabilizzare il tasso di cambio nominale (𝐸) è pari alla quantità di moneta che assicura
l’equilibrio sul mercato della moneta in corrispondenza dei valori di 𝑌 = 𝑌0 e di 𝑟 = 𝑟 ∗
(punto 0). In particolare, tale quantità di moneta è pari a 𝑀 = 𝑀0 .
Qualora
𝑀 = 𝑀1 < 𝑀0 ,
l’offerta reale di moneta sarebbe pari a:
𝑀1 𝑀0
<
.
𝑃̅
𝑃̅
Poiché in corrispondenza di una quantità di moneta uguale a 𝑀0 la curva LM passa per
il punto 0, quando la quantità di moneta diminuisce sino al livello 𝑀1 < 𝑀0 , la LM si
sposta verso sinistra (verso l’alto) (figura 82).
Figura 82 – Gli effetti di una riduzione della quantità di moneta in ipotesi
di cambi fissi e perfetta mobilità dei capitali (1)
Come si può notare, in corrispondenza del punto 1:
𝑌1 < 𝑌0 e 𝑟1 > 𝑟 = 𝑟 ∗ .
Ma mentre il punto 1 caratterizza una situazione di equilibrio sia sul mercato dei beni
che sul mercato della moneta, i conti con l’estero non sono in equilibrio. Ricordiamo,
infatti, che tutte le combinazioni di 𝑌 e di 𝑟 che si trovano al di sopra della curva BP
219
contraddistinguono i casi in cui la bilancia dei pagamenti si trova in avanzo, e quindi
una condizione in cui la domanda di euro (€) in cambio di dollari ($) eccede l’offerta:
𝑆𝐵𝑃 (𝑌1 < 𝑌0 , 𝑟1 > 𝑟 = 𝑟 ∗ ) > 0
↓
Domanda di € in cambio di $ > Offerta di € in cambio di $.
Per poter stabilizzare il tasso di cambio nominale (𝐸), la banca centrale si vede
obbligata a intervenire sul mercato dei cambi e a offrire euro (€) in cambio dell’acquisto
di dollari ($). Pertanto, le riserve di valuta della banca centrale tendono ad aumentare:
𝑆𝐵𝑃 = 𝑑𝑅𝑈 > 0 → 𝑑𝑅𝑈 = 𝑑𝑀 > 0 → 𝑀 ↑ , e quindi 𝑀2 > 𝑀1 →
𝑀2 𝑀1
>
.
𝑃̅
𝑃̅
In conseguenza dell’aumento della quantità di moneta, la LM si sposterà verso destra
(verso il basso) sino a intersecare la curva IS nel punto 2 (figura 83).
Figura 83 – Gli effetti di una riduzione della quantità di moneta in ipotesi
di cambi fissi e perfetta mobilità dei capitali (2)
In corrispondenza del punto 2:
𝑌0 > 𝑌2 > 𝑌1 e 𝑟2 > 𝑟 = 𝑟 ∗ .
Anche in questo caso, il sistema è caratterizzato da situazione di equilibrio sul mercato
dei beni e sul mercato della moneta, ma da uno squilibrio nei conti con l’estero, perché
220
il punto 2 si trova al di sopra della curva BP. Pertanto, la bilancia dei pagamenti si trova
ancora in avanzo, e la domanda di euro (€) in cambio di dollari ($) continua a eccedere
l’offerta:
𝑆𝐵𝑃 (𝑌2 < 𝑌0 , 𝑟1 > 𝑟 = 𝑟 ∗ ) > 0
↓
Domanda di € in cambio di $ > Offerta di € in cambio di $.
La banca centrale prosegue quindi nella sua politica di stabilizzazione del tasso di
cambio nominale (𝐸), offrendo euro (€) e domandando (acquistando) dollari ($) sul
mercato dei cambi. Per effetto di questi interventi, le riserve di valuta della banca
centrale crescono ulteriormente:
𝑆𝐵𝑃 = 𝑑𝑅𝑈 > 0 → 𝑑𝑅𝑈 = 𝑑𝑀 > 0 𝑀 ↑ ,
mentre l’aumento della quantità di moneta provoca un nuovo spostamento verso il basso
(verso destra) della curva LM.
Questo meccanismo di aggiustamento si arresta, quando la curva LM interseca le curve
IS e BP in corrispondenza del punto 0 (figura 83), contraddistinto dalla combinazione
(𝑌 = 𝑌0 e 𝑟 = 𝑟 ∗ ), in cui:
𝑆𝐵𝑃 (𝑌 = 𝑌0 , 𝑟 = 𝑟 ∗ ) = 0 → 𝑑𝑅𝑈 = 𝑑𝑀 = 0.
La quantità di moneta creata dalle autorità monetarie ai fini della stabilizzazione del
tasso di cambio nominale (𝐸) è uguale alla quantità di moneta che assicura l’equilibrio
sul mercato della moneta quando i livelli del reddito e del tasso dell’interesse sono pari,
rispettivamente, a 𝑌 = 𝑌0 e a 𝑟 = 𝑟 ∗ .
In conclusione, abbiamo mostrato che, nel caso di una economia aperta in regime di
cambi fissi, esistono dei meccanismi di aggiustamento che determinano la convergenza
del sistema verso una condizione di equilibrio non solo sul mercato dei beni e sul
mercato della moneta, ma anche nei conti con l’estero.
Tuttavia, come evidenzia la figura 84, tale condizione di equilibrio non corrisponde
necessariamente a un equilibrio di piena occupazione. Infatti, nella figura 84:
𝑌0 ≠ 𝑌𝑃𝑂.
Dobbiamo quindi chiederci, se le autorità di politica economica possono guidare il
sistema verso una situazione di piena occupazione della forza lavoro disponibile, in cui
𝑌 = 𝑌𝑃𝑂 , attraverso l’uso degli strumenti di politica fiscale e politica monetaria.
221
Figura 84 - L’equilibrio del modello IS-LM in economia aperta (in ipotesi di cambi fissi e
di perfetta mobilità dei capitali) e l’equilibrio di piena occupazione
Iniziamo la nostra analisi dagli effetti prodotti dalla politica fiscale. In particolare,
consideriamo gli esiti prodotti da una politica fiscale espansiva consistente in un
aumento della spesa pubblica (𝐺):
𝑑𝐺 > 0 con 𝐺1̅ > 𝐺̅0 .
Figura 85 - Gli effetti di un aumento della spesa pubblica in una economia aperta
in ipotesi di cambi fissi e di perfetta mobilità dei capitali (1)
222
Come si evince dalla figura 85, quando:
𝐺 ↑ → 𝐷𝐴 ↑ → (a parità di 𝑟) 𝑌 ↑ → la IS si sposta verso l'alto (verso destra).
In corrispondenza del punto 1:
𝑌1 > 𝑌0 e 𝑟1 > 𝑟 = 𝑟 ∗ .
Il punto 1 caratterizza una situazione di equilibrio sul mercato dei beni e sul mercato
della moneta, ma di squilibrio dei conti con l’estero, perché esso si trova al di sopra
della curva BP. Di conseguenza, la bilancia dei pagamenti si trova in avanzo, e la
domanda di euro (€) in cambio di dollari ($) eccede l’offerta:
𝑆𝐵𝑃 (𝑌1 > 𝑌0 , 𝑟1 > 𝑟 = 𝑟 ∗ ) > 0
↓
Domanda di € in cambio di $ > Offerta di € in cambio di $.
Anche in questo caso, dunque, la banca centrale si vede obbligata a intervenire sul
mercato dei cambi e a offrire euro (€) in cambio dell’acquisto di dollari ($).
Figura 86 - Gli effetti di un aumento della spesa pubblica in una economia aperta
in ipotesi di cambi fissi e di perfetta mobilità dei capitali (2)
223
Queste operazioni sul mercato dei cambi determinano un aumento delle riserve di valuta
della banca centrale, che si traducono in un aumento della quantità reale di moneta, e
quindi in uno spostamento verso il basso (verso destra) della curva LM (figura 86):
𝑆𝐵𝑃 = 𝑑𝑅𝑈 > 0 → 𝑑𝑅𝑈 = 𝑑𝑀 > 0 → 𝑀 ↑ , e quindi 𝑀1 > 𝑀0 →
𝑀1 𝑀0
>
.
𝑃̅
𝑃̅
Di conseguenza, in corrispondenza del punto 2 avremo:
𝑌2 > 𝑌1 > 𝑌0 e 𝑟2 > 𝑟 = 𝑟 ∗ .
Anche il punto 2 individua una situazione di equilibrio sul mercato dei beni e sul
mercato della moneta, ma di squilibrio nei conti con l’estero. Infatti, esso si trova ancora
al di sopra della curva BP. Pertanto, la bilancia dei pagamenti continua a trovarsi in
avanzo, e la domanda di euro (€) in cambio di dollari ($) supera ancora l’offerta:
𝑆𝐵𝑃 (𝑌2 > 𝑌1 , 𝑟2 > 𝑟 = 𝑟 ∗ ) > 0
↓
Domanda di € in cambio di $ > Offerta di € in cambio di $.
Figura 87 - Gli effetti di un aumento della spesa pubblica in una economia aperta
in ipotesi di cambi fissi e di perfetta mobilità dei capitali (3)
Per stabilizzare il tasso di cambio nominale (𝐸), la banca centrale prosegue i suoi
interventi sul mercato dei cambi, offrendo euro (€) in cambio di dollari ($). Per effetto
224
di queste operazioni le riserve di valuta della banca centrale continuano ad aumentare,
così come la quantità di moneta.
𝑆𝐵𝑃 = 𝑑𝑅𝑈 > 0 → 𝑑𝑅𝑈 = 𝑑𝑀 > 0 → 𝑀 ↑ → 𝑀2 > 𝑀1 →
𝑀2 𝑀1
>
.
𝑃̅
𝑃̅
L’aumento della quantità reale di moneta provoca un ulteriore spostamento verso il
basso (verso destra) della curva LM, che si arresta quando essa interseca le curve IS e
BP in corrispondenza del punto3 (figura 87).
Il punto 3, caratterizzato dalla combinazione di valori del reddito e del tasso di
interesse (𝑌 = 𝑌𝑃𝑂 e 𝑟 = 𝑟 ∗ ), rappresenta una situazione di equilibrio stabile, in cui
all’equilibrio sul mercato dei beni e sul mercato della moneta corrisponde anche
l’equilibrio dei conti con l’estero. Infatti:
𝑆𝐵𝑃 (𝑌 = 𝑌𝑃𝑂 , 𝑟 = 𝑟 ∗ ) = 0 → 𝑑𝑅𝑈 = 𝑑𝑀 = 0.
La prima conclusione della nostra analisi sui risultati prodotti dalla politica
economica in una economia aperta è quindi questa: in regime di cambi fissi, la politica
fiscale è uno strumento efficace per aumentare il livello del reddito e il numero di
lavoratori occupati.
Passiamo ora agli effetti indotti dalla politica monetaria. Come sappiamo,
nell’ambito del modello IS-LM, il meccanismo di trasmissione della politica monetaria
è il seguente:
𝑀 ↑ → 𝑟 ↓ → 𝐼 ↑ → 𝑌 ↑.
Supponiamo che la banca centrale decida di porre in atto una politica monetaria
espansiva, e quindi di aumentare la quantità di moneta.
All’aumento della quantità nominale di moneta corrisponde l’incremento della quantità
reale di moneta:
𝑑𝑀 > 0 →
𝑀1 𝑀0
>
.
𝑃̅
𝑃̅
Di conseguenza, la curva LM si sposta verso il basso (verso destra) sino a intersecare la
curva IS in coincidenza del punto 1 della figura 88, in cui:
𝑌 = 𝑌𝑃𝑂 e 𝑟1 < 𝑟 = 𝑟 ∗ .
225
Figura 88 - Gli effetti di un aumento della quantità di moneta in una economia aperta
in ipotesi di cambi fissi e di perfetta mobilità dei capitali (1)
Nel punto 1 il mercato dei beni e il mercato della moneta sono in equilibrio in
corrispondenza di un livello del reddito compatibile con la piena occupazione della
forza lavoro (𝑌𝑃𝑂 ). Tuttavia, si registra un disavanzo della bilancia dei pagamenti.
Infatti, il punto 1 si trova al di sotto della curva BP, e sul mercato della moneta l’offerta
di euro (€) in cambio di dollari ($) eccede la domanda:
𝑆𝐵𝑃 (𝑌 = 𝑌𝑃𝑂 , 𝑟1 < 𝑟 = 𝑟 ∗ ) < 0
↓
Domanda di € in cambio di $ < Offerta di € in cambio di $.
Ai fini della stabilizzazione del tasso di cambio nominale (𝐸), in questo caso la banca
centrale interviene sul mercato dei cambi offrendo dollari ($) in cambio di euro (€).
L’intervento delle autorità monetarie si traduce in una diminuzione delle riserve di
valuta, e quindi in una diminuzione della quantità nominale e reale della moneta:
𝑆𝐵𝑃 = 𝑑𝑅𝑈 < 0 → 𝑑𝑅𝑈 = 𝑑𝑀 < 0 → 𝑀 ↓ → 𝑀2 < 𝑀1 →
𝑀2 𝑀1
<
.
𝑃̅
𝑃̅
La riduzione della quantità reale di moneta determina uno spostamento verso l’alto
(verso sinistra) della curva LM, sino a quando essa interseca la curva IS in
corrispondenza del punto 2 (figura 89), in cui:
𝑌2 < 𝑌𝑃𝑂 e 𝑟2 < 𝑟 = 𝑟 ∗ .
226
Anche nel punto 2 il mercato dei beni e il mercato della moneta sono in equilibrio.
Ma il saldo della bilancia dei pagamenti continua a essere negativo, perché anche il
punto 2 si trova al di sotto della curva BP. Pertanto, sul mercato della moneta si registra
ancora un eccesso dell’offerta di euro (€) in cambio di dollari ($) rispetto alla domanda:
𝑆𝐵𝑃 (𝑌2 < 𝑌𝑃𝑂 , 𝑟2 < 𝑟 = 𝑟 ∗ ) < 0
↓
Domanda di € in cambio di $ < Offerta di € in cambio di $.
Figura 89 - Gli effetti di un aumento della quantità di moneta in una economia aperta
in ipotesi di cambi fissi e di perfetta mobilità dei capitali (2)
La ripetuta vendita di dollari ($) in cambio di euro (€) da parte della banca centrale
provoca una ulteriore contrazione del livello delle riserve di valuta, e quindi una
riduzione della quantità nominale e reale della moneta, sino a quando quest’ultima torna
al livello compatibile non solo con l’equilibrio sui mercati dei beni e della moneta, ma
anche con quello dei conti con l’estero:
𝑆𝐵𝑃 = 𝑑𝑅𝑈 < 0 → 𝑑𝑅𝑈 = 𝑑𝑀 < 0 → 𝑀 ↓ → 𝑀2 < 𝑀1 →
𝑀3 𝑀0 𝑀1
=
<
.
𝑃̅
𝑃̅
𝑃̅
Ciò significa che lo spostamento della curva LM verso l’alto (verso sinistra) si arresta in
corrispondenza del punto 0, in cui la LM interseca sia la curva IS che la curva BP
(figura 90).
227
In particolare, nel punto 0:
𝑌 = 𝑌𝑃𝑂 e 𝑟 = 𝑟 ∗ .
Figura 90 - Gli effetti di un aumento della quantità di moneta in una economia aperta
in ipotesi di cambi fissi e di perfetta mobilità dei capitali (3)
Inoltre, l’equilibrio definito dalla combinazione di 𝑌 e di 𝑟 che contraddistingue il punto
0 è un equilibrio stabile, perché:
𝑆𝐵𝑃 (𝑌 = 𝑌0 , 𝑟 = 𝑟 ∗ ) = 0 → 𝑑𝑅𝑈 = 𝑑𝑀 = 0.
La seconda conclusione della nostra analisi sugli effetti prodotti dagli interventi di
politica economica in una economia aperta agli scambi con l’estero è quindi che, in
regime di cambi fissi, la politica monetaria non è uno strumento efficace ai fini
dell’aumento del livello del reddito e del numero di lavoratori occupati.
228
5.3.2. Gli effetti della politica fiscale e della politica monetaria in una economia
aperta in regime di cambi flessibili
Rappresentiamo il modello IS-LM per una economia aperta in regime di cambi flessibili
attraverso le seguenti equazioni:
1) 𝑌 = 𝐶(𝑌 − 𝑇̅) + 𝐼(𝜑, 𝑟) + 𝐺̅ + 𝑁𝑋(𝑌 ∗ , 𝑌, 𝜀)
2) 𝑆𝐵𝑃 = 𝑁𝑋(𝑌 ∗ , 𝑌, 𝜀) + 𝑆𝑀𝐶(𝑟 − 𝑟 ∗ ).
Anche in questo caso, ipotizziamo di essere in presenza di perfetta mobilità dei capitali,
ovvero in una situazione in cui il tasso di interesse interno (𝑟) tende a essere uguale al
tasso di interesse estero (𝑟 ∗ ), e quindi in cui il differenziale di tasso (spread) tende a
essere nullo. Pertanto, avremo:
3) 𝑟 = 𝑟 ∗ .
Per completare il modello, introduciamo l’equazione LM che definisce l’equilibrio sul
mercato della moneta:
4)
̅
𝑀
= 𝑓(𝑌, 𝑟).
𝑃̅
Quando i tassi di cambio sono flessibili, la quantità di moneta è esogena. Essa,
cioè, è funzione delle autonome determinazioni delle autorità monetarie, come nel caso
del modello IS-LM per una economia chiusa agli scambi con l’estero.
Siamo dunque nuovamente in presenza di un sistema di quattro equazioni in quattro
incognite (𝑌, 𝑆𝐵𝑃, 𝑟 e 𝜀).
Inoltre, anche in questo caso possiamo rappresentare i valori di equilibrio del reddito
(𝑌) e del tasso di interesse (𝑟) tramite un grafico che riporta i livelli di 𝑟 sull’asse delle
ordinate e quelli di 𝑌 sull’asse delle ascisse (figura 91).
Come si può notare, nella figura 91, in corrispondenza del punto 1, caratterizzato
dalla coppia di valori (𝑌 = 𝑌1 e 𝑟1 > 𝑟 = 𝑟 ∗ ), l’equilibrio sul mercato dei beni e sul
mercato della moneta non è accompagnato dall’equilibrio nei conti con l’estero, perché
il saldo della bilancia dei pagamenti è positivo. Infatti, il punto 1 si trova al di sopra
della curva BP. Di conseguenza, la domanda di euro (€) in cambio di dollari ($) eccede
l’offerta:
𝑆𝐵𝑃 (𝑌 = 𝑌1 , 𝑟1 > 𝑟 = 𝑟 ∗ ) > 0
↓
Domanda di € in cambio di $ > Offerta di € in cambio di $.
229
Figura 91 - Il processo di aggiustamento verso l’equilibrio in una economia aperta
in ipotesi di cambi flessibili e di perfetta mobilità dei capitali (1)
Questo squilibrio determina una rivalutazione del tasso di cambio nominale (𝐸) che si
traduce in un aumento del tasso di cambio reale (𝜀), e quindi in una perdita di
competitività dei prodotti nazionali. Il conseguente peggioramento del saldo delle
partite correnti (del saldo commerciale) conduce a una riduzione dell’avanzo nel saldo
della bilancia dei pagamenti:
𝐸 ↑ → 𝜀 ↑ → 𝑁𝑋 ↓ → 𝑆𝐵𝑃 ↓ .
A seguito dell’aumento del tasso di cambio reale da 𝜀1 a 𝜀2 (𝜀2 > 𝜀1 ), la curva IS si
sposta verso il basso (verso sinistra), sino a quando interseca la curva LM in
corrispondenza del punto 2 (figura 92).
Nel punto 2:
𝑌2 < 𝑌1 e 𝑟2 > 𝑟 = 𝑟 ∗ .
Anche il punto 2 si trova al di sopra della curva BP. Quindi, al nuovo equilibrio sul
mercato dei beni e sul mercato della moneta continua a corrispondere una situazione di
avanzo della bilancia dei pagamenti, che si riflette in un eccesso di domanda di euro (€)
in cambio di dollari ($):
𝑆𝐵𝑃 (𝑌 = 𝑌2 , 𝑟2 > 𝑟 = 𝑟 ∗ ) > 0
↓
Domanda di € in cambio di $ > Offerta di € in cambio di $.
230
Figura 92 – Il processo di aggiustamento verso l’equilibrio in una economia aperta
in ipotesi di cambi flessibili e di perfetta mobilità dei capitali (2)
Pertanto, il processo di aggiustamento dello squilibrio nei conti con l’estero prosegue.
Alla rivalutazione del tasso di cambio nominale (𝐸) fa seguito un altro aumento del
tasso di cambio reale (𝜀), che determina una ulteriore perdita di competitività dei
prodotti nazionali. Il saldo delle partite correnti (del saldo commerciale) continua a
peggiorare, sino a quando l’avanzo nel saldo della bilancia dei pagamenti viene
completamente eliminato:
𝐸 ↑ → 𝜀 ↑ → 𝑁𝑋 ↓ → 𝑆𝐵𝑃 ↓ → 𝑆𝐵𝑃 = 0 .
Graficamente, il ripristino dell’equilibrio nei conti con l’estero è raggiunto quando la IS
termina di spostarsi verso il basso (verso sinistra), cioè quando essa interseca la curva
LM e la curva BP in corrispondenza del punto 0 (figura 93).
Nel punto 0:
𝑌 = 𝑌0 e 𝑟 = 𝑟 ∗ .
In corrispondenza di questa combinazione dei valori di 𝑌 e di 𝑟, il sistema si trova in
una situazione di equilibrio stabile, perché il saldo della bilancia dei pagamenti è pari a
zero e non ci sono spinte in direzione di una variazione del livello del tasso di cambio
reale (𝜀):
𝑆𝐵𝑃 (𝑌 = 𝑌0 , 𝑟 = 𝑟 ∗ ) = 0 → 𝜀0 stabile.
231
Anche in regime di cambi flessibili esistono dunque dei meccanismi di aggiustamento
che determinano la convergenza di un sistema economico aperto agli scambi con
l’estero verso una condizione caratterizzata dall’equilibrio sia sul mercato dei beni che
sul mercato della moneta e nei conti con l’estero.
Figura 93 – Il processo di aggiustamento verso l’equilibrio in una economia aperta
in ipotesi di cambi flessibili e di perfetta mobilità dei capitali (3)
Tuttavia, come nel caso di un regime di cambi fissi, anche in quello di un regime di
cambi flessibili, non è detto che l’equilibrio sul mercato dei beni, sul mercato della
moneta e nei conti con l’estero corrisponda a un equilibrio di piena occupazione della
forza lavoro disponibile (figura 94).
232
Figura 94 - L’equilibrio del modello IS-LM in economia aperta (in ipotesi di cambi
flessibili e di perfetta mobilità dei capitali) e l’equilibrio di piena occupazione
Consideriamo quindi le opzioni a disposizione delle autorità di governo per cercare
di spostare il sistema verso una situazione di equilibrio stabile contraddistinta da un
livello del reddito corrispondente alla piena occupazione (𝑌𝑃𝑂 ). A tal fine, iniziamo ad
analizzare gli effetti prodotti da una politica fiscale espansiva consistente in un aumento
della spesa pubblica (𝐺):
̅ >𝐺
̅ .
𝑑𝐺 > 0 con 𝐺
1
0
Come si evince dalla figura 95, quando:
𝐺 ↑ → 𝐷𝐴 ↑ → (a parità di 𝑟) 𝑌 ↑ → la IS si sposta verso l'alto (verso destra).
Il nuovo punto di intersezione tra la curva IS e la curva LM (punto 1) corrisponde a
una situazione di equilibrio sul mercato dei beni e sul mercato della moneta in cui:
𝑌1 > 𝑌0 e 𝑟1 > 𝑟 = 𝑟 ∗ .
Tuttavia, trovandosi sopra la curva BP, il punto 1individua una combinazione di valori
di 𝑌 e di 𝑟 che non è compatibile con l’equilibrio nei conti con l’estero. Infatti, il saldo
della bilancia dei pagamenti è in attivo:
233
𝑆𝐵𝑃 (𝑌 = 𝑌1 , 𝑟1 > 𝑟 = 𝑟 ∗ ) > 0
↓
Domanda di € in cambio di $ > Offerta di € in cambio di $.
Figura 95 - Gli effetti di un aumento della spesa pubblica in una economia aperta
in ipotesi di cambi flessibili e di perfetta mobilità dei capitali (1)
Il conseguente eccesso di domanda di € in cambio di $ determina una rivalutazione del
tasso di cambio nominale (𝐸) che si traduce in un aumento del tasso di cambio reale
(𝜀), e quindi in una perdita di competitività dei prodotti nazionali, cui fa seguito un
peggioramento del saldo delle partite correnti (del saldo commerciale) accompagnato da
una riduzione dell’avanzo nel saldo della bilancia dei pagamenti:
𝐸 ↑ → 𝜀 ↑ → 𝑁𝑋 ↓ → 𝑆𝐵𝑃 ↓ .
La crescita del tasso di cambio reale da 𝜀0 a 𝜀1 (𝜀1 > 𝜀0 ), provoca uno spostamento
della curva IS verso il basso (verso sinistra), sino a quando essa interseca la curva LM
in corrispondenza del punto 2 (figura 96):
Nel punto 2:
𝑌2 < 𝑌1 e 𝑟2 > 𝑟 = 𝑟 ∗ .
Anche il punto 2 si trova al di sopra della curva BP. Al nuovo equilibrio sul mercato dei
beni e sul mercato della moneta continua quindi a corrispondere una situazione di
234
avanzo della bilancia dei pagamenti, che si riflette in un eccesso di domanda di euro (€)
in cambio di dollari ($):
𝑆𝐵𝑃 (𝑌 = 𝑌2 , 𝑟2 > 𝑟 = 𝑟 ∗ ) > 0
↓
Domanda di € in cambio di $ > Offerta di € in cambio di $.
Figura 96 - Gli effetti di un aumento della spesa pubblica in una economia aperta
in ipotesi di cambi flessibili e di perfetta mobilità dei capitali (2)
Pertanto, il processo di aggiustamento dello squilibrio nei conti con l’estero non si
ferma. Alla rivalutazione del tasso di cambio nominale (𝐸) fa seguito un altro aumento
del tasso di cambio reale (𝜀), che determina una ulteriore perdita di competitività dei
prodotti nazionali. Il saldo delle partite correnti (del saldo commerciale) continua a
peggiorare sino a quando l’avanzo nel saldo della bilancia dei pagamenti si annulla:
𝐸 ↑ → 𝜀 ↑ → 𝑁𝑋 ↓ → 𝑆𝐵𝑃 ↓ → 𝑆𝐵𝑃 = 0 .
Come si evince dalla figura 97, i conti con l’estero tornano in equilibrio quando la IS
termina di spostarsi verso il basso (verso sinistra), cioè quando essa interseca la curva
LM e la curva BP in corrispondenza del punto 0.
235
Figura 97 - Gli effetti di un aumento della spesa pubblica in una economia aperta
in ipotesi di cambi flessibili e di perfetta mobilità dei capitali (3)
Nel punto 0:
𝑌 = 𝑌0 e 𝑟 = 𝑟 ∗ .
In corrispondenza di questa combinazione dei valori di 𝑌 e di 𝑟, il sistema si trova in
una situazione di equilibrio stabile, perché il saldo della bilancia dei pagamenti è in
equilibrio, e quindi non ci sono spinte in direzione di una variazione del livello del tasso
di cambio reale (𝜀).
𝑆𝐵𝑃 (𝑌 = 𝑌0 , 𝑟 = 𝑟 ∗ ) = 0 → 𝜀0 stabile.
In base alle considerazioni precedenti, la nostra prima conclusione riferita al caso di
una economia aperta in cui i cambi sono flessibili, è che la politica fiscale non è in
grado di determinare un incremento permanente del reddito che sposti il sistema in una
condizione di piena occupazione della forza lavoro disponibile.
Consideriamo ora il caso di una politica monetaria espansiva consistente in un
aumento della quantità di moneta creata dalla banca centrale.
All’aumento della quantità nominale di moneta corrisponde l’incremento della quantità
reale di moneta:
𝑑𝑀 > 0 →
236
̅1 𝑀
̅0
𝑀
>
.
𝑃̅
𝑃̅
Di conseguenza, la curva LM si sposta verso il basso (verso destra) sino a intersecare la
curva IS in coincidenza del punto 1 (figura 98), in cui:
𝑌 = 𝑌1 e 𝑟1 < 𝑟 = 𝑟 ∗ .
Figura 98 - Gli effetti di un aumento della quantità di moneta in una economia aperta
in ipotesi di cambi flessibili e di perfetta mobilità dei capitali (1)
Nel punto 1 il mercato dei beni e il mercato della moneta sono in equilibrio. Tuttavia,
si registra un disavanzo della bilancia dei pagamenti. Infatti, il punto 1 si trova al di
sotto della curva BP. Pertanto, sul mercato della moneta l’offerta di euro (€) in cambio
di dollari ($) eccede la domanda:
𝑆𝐵𝑃 (𝑌 = 𝑌𝑃𝑂 , 𝑟1 < 𝑟 = 𝑟 ∗ ) < 0
↓
Domanda di € in cambio di $ < Offerta di € in cambio di $.
Per effetto dell’eccesso di offerta di € in cambio di $ il tasso di cambio nominale (𝐸) si
svaluta, determinando così una diminuzione del tasso di cambio reale (𝜀), e quindi un
aumento di competitività dei prodotti nazionali, cui fa seguito un miglioramento del
saldo delle partite correnti (del saldo commerciale) accompagnato da una riduzione del
disavanzo nel saldo della bilancia dei pagamenti:
𝐸 ↓ → 𝜀 ↓ → 𝑁𝑋 ↑ → 𝑆𝐵𝑃 ↑ .
237
A seguito della riduzione del tasso di cambio reale da 𝜀0 a 𝜀1 (𝜀1 < 𝜀0 ), la curva IS si
sposta verso l’alto (verso destra), sino a quando interseca la curva LM in corrispondenza
del punto 2 (figura 99):
Figura 99 - Gli effetti di un aumento della quantità di moneta in una economia aperta
in ipotesi di cambi flessibili e di perfetta mobilità dei capitali (2)
Nel punto 2:
𝑌2 > 𝑌1 e 𝑟2 < 𝑟 = 𝑟 ∗ .
Anche il punto 2 si trova al di sotto della curva BP. Quindi, al nuovo equilibrio sul
mercato dei beni e sul mercato della moneta continua a corrispondere una situazione di
disavanzo della bilancia dei pagamenti, che si riflette in un eccesso di offerta di euro (€)
in cambio di dollari ($):
𝑆𝐵𝑃 (𝑌 = 𝑌2 , 𝑟2 < 𝑟 = 𝑟 ∗ ) < 0
↓
Domanda di € in cambio di $ < Offerta di € in cambio di $.
Di conseguenza, il processo di aggiustamento dello squilibrio nei conti con l’estero
continua. In particolare, il tasso di cambio nominale (𝐸) prosegue la sua discesa,
causando una ulteriore riduzione del tasso di cambio reale (𝜀), e quindi un continuo
incremento del grado di competitività dei prodotti nazionali. Il saldo delle partite
correnti (il saldo commerciale) migliora ancora, sino a quando il disavanzo nel saldo
della bilancia dei pagamenti viene completamente eliminato:
238
𝐸 ↓ → 𝜀 ↓ → 𝑁𝑋 ↑ → 𝑆𝐵𝑃 ↑ → 𝑆𝐵𝑃 = 0 .
Come si evince dalla figura 100, il processo di aggiustamento termina quando la IS
interseca la curva LM e la curva BP in corrispondenza del punto 3.
Figura 100 - Gli effetti di un aumento della quantità di moneta in una economia aperta
in ipotesi di cambi flessibili e di perfetta mobilità dei capitali (2)
Nel punto 3:
𝑌 = 𝑌𝑃𝑂 e 𝑟 = 𝑟 ∗ .
A questa combinazione dei valori di 𝑌 e di 𝑟 corrisponde una situazione di equilibrio
stabile, perché il saldo della bilancia dei pagamenti è in equilibrio e non ci sono spinte
verso una variazione del livello del tasso di cambio nominale (𝐸), e quindi di quello
reale (𝜀).
𝑆𝐵𝑃 (𝑌 = 𝑌𝑃𝑂 , 𝑟 = 𝑟 ∗ ) = 0 → 𝜀 = 𝜀2 < 𝜀1 stabile.
Pertanto, con riferimento al caso di una economia aperta in cui i cambi sono
flessibili, la nostra seconda conclusione è che la politica monetaria rappresenta uno
strumento molto efficace ai fini del conseguimento di un incremento permanente del
reddito che sposti il sistema in una condizione di piena occupazione della forza lavoro
disponibile.
Possiamo chiudere l’analisi relativa agli effetti della politica fiscale e della politica
monetaria nel contesto di una economia aperta agli scambi con l’estero, sottolineando
239
come i risultati prodotti da questi interventi di politica economica sui livelli del reddito
e dell’occupazione dipendano dal regime di cambio vigente. Riassumendo:
Regime di cambi fissi
 la politica fiscale è efficace, mentre
 la politica monetaria è inefficace;
Regime di cambi flessibili
 la politica fiscale è inefficace, mentre
 la politica monetaria è efficace.
Queste differenze dipendono dai differenti meccanismi di aggiustamento degli squilibri
della bilancia dei pagamenti.
Nel caso dei cambi fissi, un saldo della bilancia dei pagamenti diverso da zero dà
origine a una variazione delle riserve ufficiali, e quindi a una variazione della quantità
nominale e reale della moneta, che incide sulla posizione della curva LM:
𝑆𝐵𝑃 ≠ 0 → 𝑑𝑅𝑈 ≠ 0 → 𝑑𝑀 ≠ 0.
Nel caso dei cambi flessibili, invece, un saldo della bilancia dei pagamenti diverso da
zero determina una variazione del tasso di cambio nominale, e quindi del tasso di
cambio reale, che influenza la posizione della curva IS:
𝑆𝐵𝑃 ≠ 0 → 𝑑𝐸 → 𝑑𝜀.
6. La teoria keynesiana dell’inflazione: la curva di Phillips
6.1. Introduzione
Nelle due versioni del modello IS-LM analizzate finora, quella relativa a una economia
chiusa e quella invece relativa a una economia aperta agli scambi con l’estero, i prezzi e
̅ ). Di conseguenza, in entrambi i
i salari erano fissati esogenamente (𝑃 = 𝑃̅ 𝑒 𝑊 = 𝑊
modelli il fenomeno dell’inflazione viene trascurato. Tuttavia, negli anni ’60 del secolo
scorso è stata elaborata una versione del modello IS-LM che includeva una relazione
nota come curva di Phillips, in base alla quale era possibile dare una spiegazione
dell’inflazione. La curva di Phillips deve il suo nome all’economista che, nel 1958,
pubblicò un lavoro contenente una analisi empirica sulla relazione tra il tasso di
variazione dei salari monetari e il tasso di disoccupazione osservata in Gran
240
Bretagna nell’arco di un periodo di tempo lungo circa un secolo, che andava dalla metà
dell’800 alla metà del ’900.
Il tasso di variazione dei salari monetari (𝑊̇ 𝑡 ) può essere definito come il rapporto
tra la differenza tra:
 il salario monetario al tempo 𝑡 (𝑊𝑡 ), e il livello del salario monetario al tempo 𝑡 − 1
(𝑊𝑡−1 ), e
 il livello del salario monetario al tempo 𝑡 − 1 (𝑊𝑡−1 ), ovvero
𝑊̇ 𝑡 =
𝑊𝑡 − 𝑊𝑡−1
.
𝑊𝑡−1
Il tasso di disoccupazione (𝑢) corrisponde invece al rapporto tra il numero dei
disoccupati e quello della forza lavoro:
𝑢𝑡 =
𝑈𝑡 𝐿𝑡 − 𝑁𝑡 𝐿𝑡 𝑁𝑡
𝑁𝑡
=
= −
= 1−
,
𝐿
𝐿𝑡
𝐿𝑡 𝐿𝑡
𝐿𝑡
con:
𝐿 = forza lavoro
𝑁 = lavoratori occupati
𝑈 = lavoratori disoccupati e
𝐿 = 𝑁 + 𝑈.
In base ai dati relativi alla Gran Bretagna, Phillips individuò una relazione statistica
tra queste due variabili, rappresentata nella figura 101, successivamente divenuta
famosa in letteratura come curva di Phillips. Questa relazione ha due caratteristiche
rilevanti:
1. Essa è inclinata negativamente:
𝑊̇ 𝑡 = 𝑓(𝑢𝑡 ) con 𝑓 ′ < 0.
In altri termini, il tasso di variazione dei salari monetari cresce al diminuire del tasso di
disoccupazione.
2. Esiste un valore del tasso di disoccupazione (pari a 𝑢0 ) in corrispondenza del quale il
tasso di variazione dei salari monetari è pari a zero. In particolare, nel lavoro di Phillips
sui dati relativi alla Gran Bretagna questo valore era uguale al 5,5%. A valori del tasso
di disoccupazione superiori al 5,5% corrispondevano tassi di variazione dei salari
monetari negativi e viceversa.
241
Nel corso degli anni ‘60 sono stati pubblicati lavori simili, nei quali si dimostrava
che la relazione individuata da Phillips era valida anche per paesi diversi dalla Gran
Bretagna, come, per esempio, gli Stati Uniti.
Figura 101 – La curva di Phillips
Queste analisi empiriche hanno spinto gli economisti a inserire la relazione
individuata da Phillips nel modello IS-LM, che, come abbiamo osservato poco sopra,
fino ad allora era basato sull’ipotesi che i prezzi e i salari fossero fissi. Infatti, nei
modelli IS-LM visti sino ad ora, al variare del reddito (𝑌), dell’occupazione (𝑁) e del
tasso di disoccupazione (𝑢) i prezzi e i salari rimanevano costanti. Il lavoro di Phillips e
quello di altri economisti mostrava invece che i salari monetari variano in funzione del
livello del tasso di disoccupazione, e quindi dei livelli del reddito e dell’occupazione.
Effettivamente, dalla espressione analitica della curva di Phillips
𝑊̇ 𝑡 = 𝑓(𝑢𝑡 ) con 𝑓 ′ < 0.
è possibile ricavare le seguenti due relazioni:
1.
𝑢𝑡 ↓ → 𝑊̇ 𝑡 ↑ ,
da cui, ipotizzando che la forza lavoro (𝐿) sia data,
242
𝑢𝑡 ↓ → 𝑁 ↑ → 𝑌 ↑.
2.
𝑢𝑡 ↓ = 1 −
𝑁𝑡 ↑
,
𝐿𝑡
e quindi
𝑁𝑡 ↑ → 𝑌𝑡 ↑ → 𝑊𝑡̇ .
Il significato economico della relazione empirica tra 𝑢𝑡 e 𝑊̇ 𝑡 può essere spiegato
considerando le caratteristiche del mercato del lavoro. Come si ricorderà,
presentando la teoria neoclassica abbiamo ipotizzato che il mercato del lavoro fosse
perfettamente concorrenziale, ovvero che in esso si confrontassero lavoratori tra loro
omogenei e un numero molto elevato di imprese anch’esse tra loro omogenee. In un
contesto di questo genere, né le decisioni della singola impresa né le decisioni di un
singolo lavoratore possono influenzare il prezzo del lavoro, vale a dire il salario di
equilibrio che si determina per effetto della interazione tra la domanda e l’offerta di
lavoro.
Abbandoniamo ora l’ipotesi di mercati perfettamente concorrenziali, e supponiamo
che sul mercato del lavoro il livello del salario monetario (𝑊𝑡 ) sia determinato dalla
contrattazione tra i rappresentanti dei lavoratori (i sindacati) da un lato e i rappresentanti
delle imprese (per esempio la Confindustria) dall’altro.
In tal caso, il livello dei salari monetari (𝑊𝑡 ) dipende dalla forza contrattuale dei
sindacati e delle imprese, ovvero dalla capacità di ciascuna di queste due istituzioni di
ottenere il livello di salario monetario coerente con i propri obiettivi.
Negli anni ’60, la relazione tra il tasso di variazione dei salari monetari e il tasso di
disoccupazione individuata da Phillips ha indotto gli economisti a concludere che la
forza contrattuale dei lavoratori dipendesse dal tasso di disoccupazione. Alti tassi di
disoccupazione inducono i lavoratori a rinunciare a chiedere salari monetari più elevati,
perché la loro preoccupazione fondamentale è quella di conservare il posto di lavoro,
mentre, al contrario, bassi tassi di disoccupazione li spingono a domandare aumenti
salariali.
6.2. Il modello IS-LM con curva di Phillips
Per tenere conto della relazione descritta dalla curva di Phillips è quindi necessario
elaborare una nuova versione del modello IS-LM in cui i salari monetari (𝑊) e i prezzi
(𝑃) sono trattati come variabili endogene.
Le seguenti equazioni 1) e 2) corrispondono alle tradizionali equazioni IS-LM con
due importanti differenze. In primo luogo, introduciamo il tempo (𝑡), perché i salari e i
243
prezzi non sono costanti, ma variano con l’andare del tempo in funzione dei valori del
reddito, del numero dei lavoratori occupati e del tasso di disoccupazione. In secondo
luogo, 𝑃𝑡 diventa una variabile endogena al modello e non una grandezza esogena.
Pertanto, il sistema costituito dalle equazioni 1) e 2) che descrive il modello IS-LM
contiene non più due sole incognite (il livello del reddito e quello del tasso di interesse),
bensì tre incognite date da 𝑌𝑡 , 𝑟𝑡 e 𝑃𝑡 .
1) 𝑌𝑡 = 𝐶(𝑌𝑡 − 𝑇) + 𝐼(𝜑, 𝑟) + 𝐺 (equazione IS)
̅
𝑀
2)
= 𝑀𝑑 (𝑌𝑡 , 𝑟𝑡 ) (equazione LM).
𝑃𝑡
Supponiamo che le imprese fissino il livello dei prezzi (𝑃𝑡 ) in funzione dei costi di
produzione rappresentati dal costo del lavoro. Indichiamo con 𝑊𝑡 il salario monetario
unitario e con 𝐴 la produttività di un singolo lavoratore, ovvero la quantità di prodotto
che, data la tecnologia, viene realizzata dal singolo lavoratore.
Per semplicità, ipotizziamo inoltre che la produttività marginale di ogni lavoratore
sia costante. In altre parole, abbandoniamo l’ipotesi che la produttività marginale del
lavoro sia decrescente. Il costo del lavoro per unità di prodotto diventa quindi:
𝑊𝑡
.
𝐴
Presumiamo, per esempio, che risulti:
𝑊𝑡 = 100 unità di moneta
𝐴 = 20 unità di prodotto.
Avremo quindi:
𝑊𝑡 100
=
= 5.
𝐴
20
Indichiamo poi con 𝑃𝑡 il prezzo di una unità di prodotto. Questo prezzo viene fissato
dalle imprese in funzione del costo del lavoro per unità di prodotto:
𝑃𝑡 = 𝑓 (
𝑊𝑡
)
𝐴
con 𝑓 ′ > 0.
Possiamo scrivere questa relazione in forma lineare nel modo seguente:
3) 𝑃𝑡 = (1 + 𝜇) ∙
𝑊𝑡
𝐴
con
𝜇 > 0.
244
L’espressione (1 + 𝜇) rappresenta il margine (mark-up) che serve a coprire le altre voci
di costo dell’impresa e ad assicurarle un determinato profitto. Dati 𝜇 e 𝐴, il livello dei
prezzi (𝑃𝑡 ) dipende dal livello del salario nominale (𝑊𝑡 ). Pertanto, l’equazione 3)
definisce il livello dei prezzi in funzione dei salari monetari pagati ai lavoratori.
Per completare il modello, è quindi necessario specificare il livello di questi ultimi. A
tal fine, facciamo ricorso alla relazione descritta dalla curva di Phillips e che trova
espressione nell’equazione 4):
4) 𝑊̇ 𝑡 = 𝑓(𝑢𝑡 )
con
𝑓 ′ < 0.
L’equazione 5) definisce il livello dei salari monetari al tempo 𝑡 in funzione del
salario del periodo precedente (𝑊𝑡−1 ) e del tasso di variazione dei salari monetari
determinato dall’equazione 4):
5) 𝑊𝑡 = 𝑊𝑡−1 ∙ (1 + 𝑊̇ 𝑡 ).
L’equazione 6), invece, esplicita la relazione tra il tasso di disoccupazione e il
numero di lavoratori occupati (𝑁𝑡 ):
6) 𝑢𝑡 = 1 −
𝑁𝑡
.
𝐿𝑡
Sappiamo che esiste una relazione tra 𝑁 e 𝑌 definita dalla funzione di produzione:
𝑌 = 𝑓(𝑁, 𝐾),
con
𝑁 = occupazione e
𝐾 = stock di capitale.
Poiché 𝐾 è dato, possiamo scrivere:
𝑌 = 𝑓(𝑁).
Inoltre, ricavando la relazione inversa, è possibile ottenere il valore di 𝑁 in funzione di
quello di 𝑌, come nella equazione 7):
7) 𝑁𝑡 = 𝑔(𝑌𝑡 ).
245
Abbiamo quindi ottenuto un sistema di sette equazioni in sette incognite
(𝑌𝑡 , 𝑟𝑡 , 𝑃𝑡 , 𝑊𝑡 , 𝑊̇ 𝑡 , 𝑢𝑡 e 𝑁𝑡 ). Per illustrare le caratteristiche di questa nuova versione del
modello IS-LM, supponiamo che nel sistema si registri quel particolare valore del tasso
di disoccupazione che, in base alla relazione definita dalla curva di Phillips, corrisponde
a un tasso di variazione dei salari monetari pari a zero:
𝑊̇ 𝑡 = 0.
Pertanto, risulterà:
𝑢𝑡 = 𝑢0 .
Si noti che nel lavoro originale di Phillips 𝑢0 era pari al 5,5%.
Se 𝑢𝑡 = 𝑢0 :
𝑁𝑡 = 𝑁0 → 𝑢0 = 1 −
𝑁0
.
𝐿𝑡
Indichiamo con 𝑌𝑡 = 𝑌0 il livello di reddito coerente con 𝑁0 .
Figura 102 – La condizione di equilibrio del modello IS-LM con curva di Phillips
Inoltre, se:
𝑊̇ 𝑡 = 0 → 𝑊𝑡 = 𝑊𝑡−1 = 𝑊𝑡−2,
246
allora il livello del salario monetario è stabile (𝑊 = 𝑊0 ), e anche i prezzi sono stabili.
Questa situazione di equilibrio è rappresentata nella figura 102 di cui sopra.
6.3. Il ‘real balance effect’ e l’efficacia solo temporanea di una politica fiscale
espansiva
Supponiamo che le autorità di governo decidano di attuare una politica fiscale espansiva
per incrementare il livello del reddito. In particolare, consideriamo il caso di un
aumento della spesa pubblica:
𝑑𝐺 > 0
𝑐𝑜𝑛 𝐺1̅ > 𝐺̅0
La politica fiscale espansiva determina un spostamento della curva IS verso destra
come mostrato nella figura 103, in cui la nuova situazione di equilibrio è caratterizzata
dalla combinazione di valori del reddito e del tasso di interesse (𝑌1 > 𝑌0 , 𝑟1 > 𝑟0 ).
Figura 103 - Gli effetti di un aumento della spesa pubblica
nel modello IS-LM con curva di Phillips (1)
La combinazione di valori corrispondente al punto 1 rappresenta la nuova posizione
di equilibrio che il sistema raggiungerebbe nella versione tradizionale del modello ISLM, quella cioè in cui i livelli dei prezzi e dei salari sono stabili, e quindi non variano al
crescere del reddito e dell’occupazione.
Tuttavia, se si considera la relazione tra salari, prezzi, occupazione e reddito definita
dalla curva di Phillips, questa conclusione non è più valida. Infatti, la combinazione 1
non rappresenta una posizione di equilibrio stabile, perché l’incremento del reddito e
dell’occupazione, e la corrispettiva riduzione del tasso di disoccupazione, aumentano la
247
forza contrattuale dei lavoratori. Pertanto, in corrispondenza di un livello del reddito
pari a 𝑌1 il tasso di crescita dei salari monetari è superiore a zero, determinando un
equivalente aumento del tasso di variazione dei prezzi, come mostrato nella seguente
tabella 1:
Equilibrio 0
Equilibrio 1
𝑌 = 𝑌0
𝑌 = 𝑌1 > 𝑌0
𝑁 = 𝑁0
𝑁1 > 𝑁0
𝑢 = 𝑢0
𝑢0 → 𝑊̇ 𝑡 = 0
𝑢𝑡+1 < 𝑢0
𝑢𝑡+1 → 𝑊̇𝑡+1 > 0
𝑃𝑡̇ = 0
̇
𝑃𝑡+1
>0
Supponiamo che, per effetto della riduzione del tasso di disoccupazione, in
corrispondenza di 𝑌1 si abbia un aumento dei salari monetari del 10%:
𝑊̇𝑡+1 = 𝑓(𝑢𝑡+1 < 𝑢0 ) = 10%.
Quindi risulterà:
𝑊𝑡+1 = 𝑊𝑡 ∙ (1 + 0,1).
L’aumento dei salari monetari provocherà un aumento dei prezzi. Infatti:
̇
𝑃𝑡+1
> 0, con
𝑃̇𝑡+1 =
𝑃𝑡+1 − 𝑃𝑡
,e
𝑃𝑡
𝑃𝑡+1 = (1 + 𝜇) ∙
𝑊𝑡+1
.
𝐴
Di conseguenza:
̇
𝑃𝑡+1
(1 + 𝜇)
(1 + 𝜇)
∙
𝑊
−
𝑡+1
𝐴
𝐴 ∙ 𝑊𝑡 = 𝑊𝑡+1 − 𝑊𝑡 = 𝑊̇
=
𝑡+1 = 10%.
(1 + 𝜇)
𝑊𝑡
𝐴 ∙ 𝑊𝑡
248
In definitiva, avremo:
𝑃𝑡+1 = 𝑃0 ∙ (1 + 𝑃̇𝑡+1 ) = 1,1 ∙ 𝑃0 .
L’aumento del livello dei prezzi modifica l’equilibrio IS-LM, perché provoca una
riduzione della quantità reale di moneta:
̅0
𝑀
(quantità reale di moneta al tempo 𝑡 + 1), e
𝑃𝑡+1
̅0
𝑀
(quantità reale di moneta al tempo 𝑡).
𝑃0
E poiché
𝑃𝑡+1 > 𝑃0 ,
si avrà:
̅0
̅0
𝑀
𝑀
<
= 𝑀𝑑 (𝑌1 , 𝑟1 )
𝑃𝑡+1
𝑃0
(eccesso di domanda di moneta).
A parità della quantità nominale di moneta immessa nel sistema dalle autorità
monetarie (𝑀0 ), l’aumento dei prezzi provocato dall’aumento del reddito determina una
riduzione dell’offerta reale di moneta. In corrispondenza della combinazione di valori
(𝑌1 , 𝑟1 ), gli operatori economici esprimono una domanda reale di moneta che eccede
l’offerta reale di moneta. Pertanto, si registrerà un eccesso di domanda di moneta, cui,
come sappiamo, corrisponde un eccesso di offerta di titoli, perché il pubblico cede titoli
per procurarsi la moneta di cui ha bisogno:
eccesso di offerta di titoli → 𝑃𝐵 ↓ → 𝑟 ↑.
In termini di equilibrio IS-LM, la riduzione dell’offerta reale di moneta determinata
dall’aumento dei prezzi provoca uno spostamento della LM verso l’alto (verso sinistra).
Di conseguenza, il sistema raggiungerà la posizione corrispondente al punto 2 (figura
104):
249
Figura 104 - Gli effetti di un aumento della spesa pubblica
nel modello IS-LM con curva di Phillips (2)
Anche la posizione di equilibrio corrispondente alla combinazione 2 non è stabile,
perché 𝑌2 > 𝑌0, e quindi 𝑢2 < 𝑢0 . Ciò significa che nel periodo 𝑡 + 2, il tasso di
variazione dei salari monetari (𝑊̇𝑡+2 ) sarà ancora maggiore di zero, come pure il tasso
̇ ) (tabella 2):
di inflazione (𝑃𝑡+2
Equilibrio 0
Equilibrio 1
Equilibrio 2
𝑌 = 𝑌0
𝑌 = 𝑌1 > 𝑌0
𝑌 = 𝑌2 > 𝑌0
𝑁 = 𝑁0
𝑁1 > 𝑁0
𝑁0 < 𝑁2 < 𝑁1
𝑢 = 𝑢0
𝑢0 → 𝑊̇ 𝑡 = 0
𝑢𝑡+1 < 𝑢0
𝑢𝑡+1 → 𝑊̇𝑡+1 > 0
𝑢𝑡+2 < 𝑢0
𝑢𝑡+2 → 𝑊̇𝑡+2 > 0
𝑃𝑡̇ = 0
̇
𝑃𝑡+1
>0
̇
𝑃𝑡+2
>0
L’aumento dei prezzi determina una nuova riduzione dell’offerta reale di moneta, e
quindi un nuovo spostamento della curva LM verso l’alto (verso sinistra). Il processo di
aumento dei salari e dei prezzi, che provoca un progressivo spostamento verso l’alto
della curva LM termina quando il sistema raggiunge il punto 𝐸, caratterizzato da un
livello del reddito pari a 𝑌0 (figura 105). Come sappiamo, in corrispondenza di questo
250
livello del reddito il valore del tasso di disoccupazione (𝑢0 ) è tale da garantire la
stabilità del livello dei salari monetari (il tasso di variazione dei salari monetari è nullo),
e quindi la stabilità del livello generale dei prezzi. Pertanto, il punto 𝐸 rappresenta un
punto di equilibrio stabile, perché:
𝑌 = 𝑌0 ↔ 𝑢 = 𝑢0
→
𝑊̇ = 0
→
𝑃̇ = 0.
Figura 105 - Gli effetti di un aumento della spesa pubblica
nel modello IS-LM con curva di Phillips (3)
La specificazione della relazione tra salari monetari, prezzi, reddito, occupazione e
tasso di disoccupazione definita dalla curva di Phillips modifica sensibilmente le
conclusioni circa gli effetti della politica fiscale cui portava il tradizionale modello ISLM. Infatti, secondo la versione tradizionale di tale modello una politica fiscale
espansiva produce un effetto permanente sul livello del reddito. Al contrario,
l’incorporazione delle relazioni evidenziate dalla curva di Phillips nel modello IS-LM
induce a concludere che una politica fiscale espansiva può incidere soltanto
temporaneamente sul livello di reddito, perché la manovra fiscale espansiva provoca un
aumento del livello generale dei prezzi che retroagisce sui livelli del reddito e
dell’occupazione attraverso l’impatto sull’offerta reale di moneta:
𝑃↑
̅
𝑀
↓ → 𝑟 ↑ → 𝐼 ↓ → 𝑌 ↓.
𝑃
251
6.4. Il ‘trade-off’ tra reddito e inflazione
Gli economisti dell’ortodossia keynesiana degli anni ‘60 del secolo scorso avevano
individuato una strategia che consentiva di espandere in modo permanente il livello del
reddito anche in un sistema economico in cui valevano le relazioni rappresentate
attraverso la curva di Phillips. Per poter ottenere un livello del reddito costantemente
pari a 𝑌1 era necessario annullare gli effetti dell’aumento dei prezzi sull’offerta reale di
moneta attraverso un incremento della quantità nominale di moneta proporzionale
all’aumento dei prezzi.
Se la crescita del livello del reddito da 𝑌0 a 𝑌1 determina un aumento del tasso di
inflazione del 10% (nella fattispecie dallo 0% al 10%), al fine di mantenere un livello
del reddito costantemente pari a 𝑌1 , di periodo in periodo, le autorità monetarie devono
aumentare la quantità di moneta del 10% e accettare un tasso di inflazione del 10%.
In particolare, se in 𝑡 + 1
̇
𝑃𝑡+1
= 10%,
per lasciare invariata l’offerta reale di moneta è necessario che il tasso di variazione
della quantità nominale di moneta (𝑀̇𝑡+1 ) sia pari al 10%:
̅𝑡+1 = 𝑀
̅0 ∙ (1 + 0,1),
𝑀
𝑃𝑡+1 = 𝑃0 ∙ (1 + 0,1), con
̅𝑡+1 𝑀
̅0
𝑀
=
.
𝑃𝑡+1
𝑃0
Nel periodo 𝑡 + 2, invece, in corrispondenza d un livello del reddito pari a 𝑌1 :
𝑊̇𝑡+2 = 10% → 𝑃̇𝑡+2 = 10% → 𝑀̇𝑡+2 = 10%.
Di conseguenza:
̅𝑡+2 𝑀
̅0
𝑀
=
.
𝑃𝑡+2
𝑃0
E così via per tutti periodi successivi. In questo modo, la posizione della curva LM
non cambia, perché:
̅0 𝑀
̅𝑡+1 𝑀
̅𝑡+2
𝑀
=
=
= etc. ,
𝑃0
𝑃𝑡+1
𝑃𝑡+2
252
e il sistema rimane in equilibrio in corrispondenza del punto 1, con 𝑌 = 𝑌1 > 𝑌0 .
Nel modello IS-LM con curva di Phillips le autorità di politica economica possono
quindi aumentare in maniera permanente il livello del reddito, portandolo oltre il livello
coerente con la stabilità dei prezzi (𝑌0 ), a condizione che esse siano disposte ad
accettare un tasso di inflazione maggiore di 0. Nell’esempio appena esposto, le autorità
di politica economica possono ottenere un reddito pari a 𝑌1 > 𝑌0 , se accettano un tasso
di inflazione del 10%.
E’ possibile individuare due distinte versioni della curva di Phillips. La prima di
̇ e
queste versioni specifica la relazione tra il tasso di variazione dei salari monetari (𝑊)
il tasso di disoccupazione (𝑢) vista poco sopra. La seconda versione, invece, mette in
evidenza la relazione tra il tasso di inflazione al tempo 𝑡 (𝑃𝑡̇ ) e il livello del reddito
reale (𝑌𝑡 ).
La combinazione 0 del grafico di sinistra della figura 106 corrisponde alla
combinazione 0 del grafico di destra della medesima figura:
Figura 106 – Due distinte versioni della curva di Phillips
Quando:
𝑢 = 𝑢0 → 𝑊̇ (𝑢0 ) = 0 (punto 0).
Se:
𝑢 = 𝑢1 < 𝑢0 → 𝑊̇ (𝑢1 ) > 𝑊̇ (𝑢0 ) = 0 (punto 1).
253
Individuiamo le combinazioni dei valori di 𝑃̇ e 𝑌 che corrispondono alle
combinazioni di 𝑊̇ e 𝑢 relative ai punti 0 e 1 sul grafico di sinistra della figura 106.
Se:
𝑢 = 𝑢0 → 𝑁 = 𝑁0 → 𝑢0 = 1 −
𝑁0
.
𝐿̅
Quindi, quando:
𝑁 = 𝑁0 → 𝑌 = 𝑌0 .
In corrispondenza di 𝑌0 , il tasso di inflazione (𝑃)̇ è pari a zero, perché anche il tasso di
variazione dei salari monetari è nullo:
𝑊̇ (𝑢0 , 𝑁0 ) = 0 (punto 0).
Viceversa, quando:
𝑢 = 𝑢1 < 𝑢0 → 𝑁 = 𝑁1 > 𝑁0 → 𝑌1 (𝑁1 ) > 𝑌0 .
In corrispondenza di 𝑌1 , il tasso di inflazione (𝑃)̇ è maggiore di zero e pari al tasso di
variazione dei salari monetari (𝑊̇ ) associato a 𝑌1 . Infatti, se:
𝑌 = 𝑌1 → 𝑊̇ (𝑌1 , 𝑢1 ) > 0 → 𝑃1̇ (𝑌1 ) = 𝑊̇ (𝑌1 , 𝑢1 ) > 0.
In particolare, se:
𝑊̇ (𝑌1 , 𝑢1 ) = 10% → 𝑃1̇ (𝑌1 ) = 10% (punto 1).
Il modello IS-LM con curva di Phillips presenta 2 caratteristiche fondamentali che lo
differenziano dal modello IS-LM tradizionale con prezzi e salari fissi.
1. In primo luogo, questo modello contiene una spiegazione dell’inflazione che dipende
da due fattori:
a) dal meccanismo di determinazione del livello dei salari monetari. Come abbiamo
visto in precedenza, i salari monetari vengono determinati attraverso la contrattazione
tra lavoratori e imprese. Il loro livello dipende quindi dalla forza contrattuale dei
lavoratori, che, a sua volta, è funzione del tasso di disoccupazione. Pertanto, i prezzi e i
salari non sono stabili, ma variano al variare del reddito reale e dell’occupazione.
254
b) dal comportamento delle autorità monetarie. Affinché si possa mantenere nel tempo
un livello di reddito pari a 𝑌1 , di anno in anno la banca centrale deve incrementare la
quantità nominale di moneta del 10% per compensare gli effetti prodotti da un aumento
dei prezzi del 10% sull’offerta reale di moneta.
2) In secondo luogo, nel modello IS-LM con curva di Phillips cambia la specificazione
degli obiettivi delle autorità di politica economica.
Se consideriamo il modello IS-LM tradizionale relativo a una economia chiusa agli
scambi con l’estero, in cui i prezzi e i salari sono fissi, possiamo affermare che le
autorità di politica economica perseguono un unico obiettivo, ovvero quello di garantire
un livello del reddito reale coerente con la piena occupazione della forza lavoro. Il
conseguimento di determinati livelli del reddito e dell’occupazione rappresenta un unico
obiettivo, perché queste due grandezze sono tra loro legate, secondo la relazione:
𝑌 → 𝑁.
Nel modello IS-LM tradizionale è quindi possibile espandere il livello del reddito a
parità di prezzi e di salari.
Invece, nel caso del modello IS-LM con curva di Phillips non è possibile espandere il
reddito mantenendo costante il livello dei prezzi. Il livello del reddito può essere
aumentato in maniera costante, ma soltanto se in cambio si accetta un incremento del
tasso di inflazione (trade-off tra reddito e inflazione). Pertanto, quando si considera il
modello IS-LM che incorpora le relazioni individuate dalla curva di Phillips, le autorità
fiscali e monetarie perseguono due fondamentali obiettivi di politica economica, dati, da
un lato, dal livello del reddito reale (𝑌) e, dall’altro, dal livello del tasso di inflazione
(𝑃̇). Tra questi due obiettivi esiste una relazione definita dalla curva di Phillips, che
assume il ruolo di una sorta di menu per le decisioni adottate dalle autorità di politica
economica. La curva di Phillips, infatti, indica tutte le combinazioni di 𝑌 e di 𝑃̇ che
possono essere scelte dalle autorità fiscali e monetarie. Le autorità di politica economica
possono quindi scegliere la combinazione 0 (𝑌0 , 𝑃̇ = 0), oppure la combinazione 1
(𝑌1 , 𝑃̇ = 10% > 0). Tuttavia, esse non possono scegliere la combinazione 𝐴 (𝑌1 >
𝑌0 ), 𝑃̇ = 0) (figura 106).
255
256
PARTE TERZA
La controrivoluzione monetarista e il ritorno
alle conclusioni della teoria neoclassica
1. Introduzione
Il modello IS-LM con curva di Phillips riassumeva i punti fondamentali della teoria
macroeconomica dominante negli anni ‘60 del secolo scorso e rappresentava il modello
generalmente accettato dagli economisti in quel periodo storico.
Questa situazione cambiò radicalmente nel corso degli anni ‘70. Come nel caso della
Grande Depressione degli anni ‘30, anche durante gli anni ‘70 la nuova ‘rivoluzione’
teorica trovava fondamento in un evento economico incoerente con il modello teorico
dominante.
Infatti, nel corso degli anni ‘70 si registrarono valori del tasso di inflazione e del
tasso di disoccupazione che contrastavano con la teoria economica coerente con la curva
di Phillips. L’esistenza di una relazione stabile tra tasso di variazione dei salari nominali
e tasso di disoccupazione (o, equivalentemente, tra tasso di inflazione e livello del
reddito reale) definita dalla curva di Phillips venne messa in forte dubbio dalla
manifestazione di un fenomeno, mai osservato sino ad allora, definito stagflazione,
consistente in una combinazione tra stagnazione economica (basso livello del reddito
reale e alta disoccupazione) e inflazione. Si trattava, con tutta evidenza, di una
combinazione che non era coerente con la relazione descritta dalla curva di Phillips,
che, come abbiamo visto in precedenza, associa la stagnazione economica a bassi tassi
di inflazione, e alti valori del tasso di inflazione a bassa disoccupazione (figura 107).
Figura 107 – La stagflazione
L’apparizione di questo nuovo fenomeno indusse gli economisti, come già nel corso
degli anni ’30 a seguito dello scoppio della Grande Depressione, a mettere in dubbio la
validità della teoria macroeconomica allora dominante. Questi dubbi furono alimentati
257
in particolare dall’analisi condotta da Milton Friedman, il quale tra la fine degli anni ‘60
e l’inizio degli anni ’70 elaborò una critica molto efficace nei confronti del modello
elaborato dalla ortodossia keynesiana dell’epoca, ovvero la versione del modello IS-LM
che incorporava la curva di Phillips.
2. La critica di Friedman alla curva di Phillips
2.1. L’introduzione delle aspettative inflazionistiche e l’ipotesi di illusione monetaria
Milton Friedman ha messo in rilievo una lacuna fondamentale del modello IS-LM con
curva di Phillips, dimostrando che la relazione tra inflazione e tasso di disoccupazione
che caratterizza la curva di Phillips è valida soltanto se si ipotizza che i lavoratori si
comportino in modo irrazionale. Il modello macroeconomico della ortodossia
keynesiana degli anni ’60 non si fondava quindi su solide basi teoriche, perché era
basato sull’assunzione che i lavoratori fossero agenti economici irrazionali.
Possiamo renderci conto del significato della critica di Friedman al modello IS-LM
con curva di Phillips ricordando le caratteristiche salienti di questo modello. In partenza
abbiamo considerato una situazione in cui:
𝑢 = 𝑢0 → 𝑁 = 𝑁0 → 𝑊̇ (𝑢0 , 𝑁0 ) = 0
Successivamente abbiamo descritto gli effetti di una politica fiscale espansiva,
definendo le condizioni necessarie affinché si possa ottenere un livello di reddito pari a
𝑌1 > 𝑌0 . La nostra conclusione è stata che, per mantenere un livello di reddito pari a 𝑌1
al tempo 𝑡 + 1, al tempo 𝑡 + 2, etc., le autorità di politica economica dovevano
accettare un tasso di inflazione superiore a zero. Nel nostro esempio numerico il valore
del tasso di inflazione coerente con il mantenimento nel tempo di un livello del reddito
pari a 𝑌1 era uguale al 10%, cui corrispondeva un tasso di variazione dei salari monetari
anch’esso uguale al 10%. In ogni periodo, il livello di reddito sarebbe stato pari a 𝑌1 , ma
soltanto a condizione che fosse:
𝑊̇𝑡+1 = 𝑊̇𝑡+2 = ⋯ ⋯ ⋯ = 10%, e che
̇
𝑃𝑡+1
= 𝑃̇𝑡+1 = ⋯ ⋯ ⋯ = 10%.
A giudizio di Friedman, questo risultato implica un comportamento irrazionale da
parte dei lavoratori. Infatti, in corrispondenza del nuovo equilibrio caratterizzato da un
livello del reddito pari a 𝑌1 , i salari monetari e i prezzi crescono nella stessa misura (del
10%). Ciò significa che i salari reali (𝑊/𝑃) rimangono costanti, e quindi che i
lavoratori richiedono aumenti dei salari monetari che non hanno alcun effetto sui salari
reali percepiti. Friedman sottolinea che questo comportamento dei lavoratori è
258
irrazionale, perché l’unica ragione che li può spingere a chiedere aumenti dei salari
monetari è quella di ottenere un aumento del loro reddito reale.
Pertanto, non è ragionevole ipotizzare che i lavoratori chiedano continuamente,
periodo dopo periodo, aumenti dei salari monetari che non hanno alcun effetto sui loro
salari reali. Se, dopo aver chiesto e ottenuto un aumento dei salari monetari del 10%, i
lavoratori osservano che i prezzi sono aumentati del 10%, e che i loro salari reali sono
rimasti invariati, essi cercheranno di reagire a questa situazione. Di conseguenza, nel
periodo successivo essi non saranno disposti ad accettare un aumento dei salari del
10%, i cui effetti sono destinati a essere annullati da un aumento del tasso di inflazione
anch’esso pari al 10%.
Per ovviare a queste incoerenze, Friedman ha quindi elaborato un modello
alternativo, introducendo ipotesi più solide relative al comportamento dei lavoratori. In
particolare, egli parte dall’assunzione che i lavoratori chiedano incrementi dei salari
monetari allo scopo di poter accrescere il loro potere d’acquisto, e che essi non accettino
una situazione in cui gli effetti dell’aumento dei salari monetari siano continuamente
annullati dall’aumento del livello dei prezzi.
Friedman descrive il comportamento dei lavoratori Friedman, ipotizzando che i salari
monetari (𝑊) e i prezzi (𝑃) vengano fissati in istanti temporali diversi. Per illustrare il
pensiero di Friedman consideriamo un intervallo di tempo 𝑡, e supponiamo che esso
corrisponda a un anno:
Assumiamo che nell’istante 0 lavoratori e imprese contrattino il salario monetario
(𝑊𝑡 ). Il livello dei prezzi (𝑃𝑡 ) viene invece determinato dalle sole imprese durante il
periodo 𝑡, quando i salari monetari sono già stati fissati. Si tratta di una ipotesi
realistica, perché, di norma, i contratti di lavoro vengono rinnovati ogni due o tre anni,
con la fissazione dei salari monetari che verranno pagati nel corso del periodo della
contrattazione.
Questa ipotesi relativa alle modalità di determinazione dei salari monetari e dei
prezzi ha importanti implicazioni per quanto riguarda la costruzione della funzione di
offerta di lavoro. Finora, infatti, abbiamo considerato la funzione neoclassica di offerta
di lavoro, in base alla quale:
𝑊
𝑊𝑡
𝑁𝑠 = 𝑓 ( ) → 𝑁𝑠𝑡 = 𝑓 ( ).
𝑃
𝑃𝑡
259
La funzione neoclassica di offerta di lavoro si fonda sull’ipotesi che, nel momento in
cui si contrattano i salari monetari (𝑊𝑡 ), sia noto anche il livello dei prezzi (𝑃𝑡 ).
Pertanto, se si assume che i prezzi e i salari vengano fissati in istanti temporali diversi,
questa funzione non può più essere valida.
Per questo motivo, Friedman descrive il comportamento dei lavoratori introducendo
il concetto di aspettative inflazionistiche. In particolare, egli indica con 𝑃𝑡𝑒 il livello
dei prezzi atteso dai lavoratori per il periodo 𝑡, specificando la seguente funzione di
offerta di lavoro:
1) 𝑁𝑠 𝑡 = 𝑓 (
𝑊𝑡
)
𝑃𝑡𝑒
con
𝑊𝑡
salario reale atteso dai lavoratori.
𝑃𝑡𝑒
Poiché all’istante 0 i lavoratori non conoscono 𝑃𝑡 , nella costruzione di Friedman
l’offerta di lavoro è funzione del salario reale atteso (𝑊𝑡 ⁄𝑃𝑡𝑒 ) e non del salario reale
effettivo (𝑊𝑡 ⁄𝑃𝑡 ) (figura 108):
Figura 108 – L’offerta di lavoro in funzione del salario reale atteso
Per completare la descrizione del mercato del lavoro dobbiamo specificare la
funzione di domanda di lavoro che, come sappiamo, sintetizza il comportamento delle
imprese. In precedenza abbiamo osservato che, all’istante 0, le imprese contrattano con i
lavoratori i salari monetari (𝑊𝑡 ), e che solo successivamente, nel corso del periodo 𝑡,
esse fissano il livello dei prezzi (𝑃𝑡 ). Dal momento che le imprese determinano i prezzi
di vendita quando i salari monetari sono già noti, esse sono in grado di controllare i
salari reali (𝑊𝑡 /𝑃𝑡 ). In altri termini, le imprese sono in grado di fissare il livello dei
prezzi in funzione dei loro obiettivi di profitto.
260
Al fine di specificare le caratteristiche della funzione di domanda di lavoro,
assumiamo che la forza lavoro disponibile sia pari a 𝐿 e che la produttività marginale di
ogni lavoratore sia costante e uguale ad 𝐴. Di conseguenza, 𝑊𝑡 ⁄𝐴 rappresenta il costo
del lavoro per unità di prodotto. Inoltre, come abbiamo già visto in precedenza, in
occasione dell’illustrazione delle caratteristiche del modello IS-LM con curva di
Phillips, ipotizziamo che le imprese fissino il livello dei prezzi (𝑃𝑡 ) applicando un
mark-up al costo del lavoro che è commisurato ai loro obiettivi di profitto. Otteniamo
quindi la seguente equazione dei prezzi:
2) 𝑃𝑡 = (1 + 𝜇) ∙
𝑊𝑡
𝐴
con 𝐴 produttività del lavoro costante.
Possiamo illustrare questa relazione attraverso un semplice esempio numerico.
Supponiamo che risulti:
𝐴 = 100 (una unità di lavoro produce 100 unità di prodotto)
𝑊𝑡 = 100 unità di moneta
𝜇=1
100
𝑃𝑡 = (1 + 1) ∙
= 2 ∙ 1 = 2.
100
Dall’equazione 2) è possibile ricavare il valore del salario reale coerente con gli
obiettivi di profitto delle imprese. Infatti, otteniamo
𝑃𝑡 ∙ 𝐴 = (1 + 𝜇) ∙ 𝑊𝑡 ,
da cui ricaviamo:
3)
𝑊𝑡
𝐴
=
.
𝑃𝑡
(1 + 𝜇)
Con riferimento al nostro esempio numerico abbiamo che:
𝑊𝑡
100
=
= 50.
𝑃𝑡
1+1
Dall’equazione 3) possiamo inoltre ottenere l’espressione della funzione di domanda di
lavoro. Infatti, se vale
𝑊𝑡
𝐴
=
,
𝑃𝑡
(1 + 𝜇)
261
allora le imprese saranno disposte ad assumere tutti i lavoratori disponibili, perché il
salario reale (𝑊𝑡 ⁄𝑃𝑡 = 50) è inferiore alla produttività di ciascun lavoratore, che
sappiamo essere pari ad 𝐴 = 100. Per livelli del salario reale superiori a 𝑊𝑡 ⁄𝑃𝑡 = 50 la
domanda di lavoro sarà invece pari a zero, poiché tali livelli del salario reale non sono
coerenti con gli obiettivi di profitto perseguiti dalle imprese (figura 109):
Figura 109 - La domanda di lavoro delle imprese nell’ipotesi che i prezzi vengano
determinati applicando un mark-up al costo del lavoro per unità di prodotto
Siamo ora in grado di rappresentare il mercato del lavoro disegnando su un unico
grafico sia la funzione di domanda che quella di offerta di lavoro (figura 110):
262
Figura 110 – L’equilibrio sul mercato del lavoro di Friedman
Il mercato del lavoro che trova rappresentazione nella figura 110 presenta due
caratteristiche che differiscono da quelle del mercato del lavoro descritto dalla
tradizione neoclassica.
1. Possiamo osservare che le funzioni di domanda e di offerta di lavoro dipendono da
variabili differenti:
𝑁𝑠 = 𝑓 (
𝑊𝑡
)
𝑃𝑡𝑒
↔
𝑁𝑑 = 𝑔 (
𝑊𝑡
).
𝑃𝑡
Il punto di intersezione tra le due curve indica quel particolare valore di 𝑁 (𝑁 = 𝑁0 ), in
corrispondenza del quale il salario reale atteso dai lavoratori (𝑊𝑡 ⁄𝑃𝑡𝑒 ) è uguale al
salario reale effettivamente pagato dalle imprese (𝑊𝑡 /𝑃𝑡 ). Verifichiamo le
caratteristiche di 𝑁0 :
263
Per 𝑁 = 𝑁0 quindi avremo:
𝑊𝑡 𝑊𝑡
𝐴
=
= 𝛼.
𝑒 =
𝑃𝑡
𝑃𝑡
(1 + 𝜇)
Di conseguenza, deve essere:
𝑃𝑡𝑒 = 𝑃𝑡 .
2. Il livello di occupazione che corrisponde al punto di intersezione delle due curve
riportate nella figura 110 non costituisce l’unico livello di occupazione possibile. Nel
caso del mercato del lavoro tradizionale rappresentato nella figura 111 riportata sotto,
non si può invece ottenere un valore di 𝑁 > 𝑁0 . Infatti, per ottenere 𝑁1 devono valere le
seguenti condizioni:
264
Poiché:
𝑊𝑡
= 𝛽(𝑁𝑠 = 𝑁1 ) ≠ 𝛾(𝑁𝑑 = 𝑁1 ),
𝑃𝑡
un livello di occupazione pari a 𝑁1 non può essere ottenuto.
Figura 111 – L’equilibrio sul mercato del lavoro tradizionale
Se si introducono le aspettative inflazionistiche e si assume che la domanda e
l’offerta di lavoro dipendano da variabili differenti, il sistema può invece convergere
verso una situazione caratterizzata da un livello di occupazione 𝑁1 > 𝑁0 (figura 112).
A tal fine, devono valere le seguenti condizioni:
E’ quindi possibile ottenere un livello di occupazione pari a 𝑁1 , a condizione che si
abbia
265
𝑊𝑡
𝑊𝑡
= 𝛼,
𝑒 =𝛽 >
𝑃𝑡
𝑃𝑡
ovvero a condizione che valga la seguente disuguaglianza:
𝑃𝑡𝑒 < 𝑃𝑡 .
Figura 112 - La possibilità di ottenere un aumento del livello di occupazione
nel mercato del lavoro di Friedman
In conclusione, la condizione necessaria affinché si ottenga un livello di occupazione
superiore a 𝑁0 è che i lavoratori commettano un errore di previsione e si aspettino un
livello dei prezzi (𝑃𝑡𝑒 ) inferiore a quello effettivo (𝑃).
Possiamo illustrare questo risultato con un esempio numerico. Supponiamo che nel
periodo 𝑡 si abbia un livello di occupazione pari a 𝑁0 , in corrispondenza del quale i
lavoratori non commettono errori di previsione:
266
Calcoliamo il valore del salario nominale (𝑊𝑡 ) che induce i lavoratori a offrire 𝑁0 unità
di lavoro:
𝑊𝑡
= 𝛼 = 50 → 𝑊𝑡 = 50 ∙ 𝑃𝑡𝑒 .
𝑃𝑡𝑒
Al fine di determinare 𝑊𝑡 è quindi necessario conoscere 𝑃𝑡𝑒 . Friedman assume che i
lavoratori elaborino le loro aspettative circa i prezzi futuri sulla base dell’osservazione
dei prezzi passati. Ipotizziamo che in passato si siano registrati prezzi stabili, ovvero
che:
𝑃𝑡−1 = 𝑃𝑡−2 = ⋯ ⋯ ⋯ = 2.
In tal caso, i lavoratori si aspettano che i prezzi rimangano stabili anche nel periodo 𝑡:
𝑃𝑡𝑒 = 𝑃𝑡−1 = 𝑃𝑡−2 = 2.
Pertanto, avremo:
𝑊𝑡 = 50 ∙ 𝑃𝑡𝑒 = 50 ∙ 2 = 100.
I lavoratori offriranno 𝑁0 unità di lavoro a condizione che il salario monetario (𝑊𝑡 ) sia
pari a 100. Dato un livello di prezzi atteso pari a 2, ciò equivale a un salario reale atteso
pari a 50.
𝑃𝑡𝑒 = 2 →
𝑊𝑡 100
=
= 50 → 𝑁𝑠 = 𝑁0 .
𝑃𝑡𝑒
2
Le imprese assumeranno gli 𝑁0 lavoratori a condizione che il salario reale effettivo sia
pari a:
𝑊𝑡
𝐴
=
=𝛼.
𝑃𝑡
(1 + 𝜇)
267
Le imprese sono in grado di determinare questo livello del salario reale fissando i prezzi
secondo l’equazione:
𝑃𝑡 = (1 + 𝜇) ∙
𝑊𝑡
100
→ 𝑃𝑡 = (1 + 1) ∙
=2.
𝐴
100
Di conseguenza avremo:
𝑊𝑡 100 𝑊𝑡
=
= 𝑒 = 50 .
𝑃𝑡
2
𝑃𝑡
In corrispondenza di 𝑁0 i lavoratori non commettono errori di previsione. Infatti:
𝑃𝑡 = 𝑃𝑡𝑒 = 2.
Come sappiamo, in 𝑡 + 1 è possibile ottenere un livello di occupazione pari a 𝑁1 > 𝑁0
purché i lavoratori commettano un errore di previsione e si aspettino un livello futuro
del salario reale superiore a quello effettivo:
𝑊𝑡
𝑊𝑡
=𝛼.
𝑒 =𝛽 >
𝑃𝑡+1
𝑃𝑡+1
In tal caso:
𝑒
𝑃𝑡+1
< 𝑃𝑡+1 .
Affinché in 𝑡 + 1 si possa avere un livello di occupazione pari a 𝑁1 si devono realizzare
le seguenti condizioni:
Possiamo calcolare il salario nominale (𝑊𝑡+1 ) necessario a indurre i lavoratori a offrire
𝑁1 unità di lavoro. Poiché
268
𝑊𝑡+1
= 𝛽 = 55,
𝑒
𝑃𝑡+1
otteniamo:
𝑒
𝑊𝑡+1 = 55 ∙ 𝑃𝑡+1
.
Supponiamo che i lavoratori elaborino le loro previsioni circa i prezzi futuri sulla
base dell’osservazione dei valori assunti nei periodi precedenti, e che in passato i prezzi
fossero stabili:
𝑃𝑡 = 𝑃𝑡−1 = 𝑃𝑡−2 = ⋯ ⋯ ⋯ = 2
In questo caso, risulterà:
𝑒
𝑃𝑡+1
= 𝑃𝑡 = 2.
Pertanto, il salario monetario necessario affinché i lavoratori offrano 𝑁1 unità di lavoro
sarà pari a:
𝑊𝑡+1 = 55 ∙ 2 = 110.
𝑒
𝑃𝑡+1
=2 →
𝑊𝑡+1
= 55 → 𝑁𝑠 = 𝑁1 > 0 .
𝑒
𝑃𝑡+1
La seconda condizione necessaria perché si realizzi un livello di occupazione pari a
𝑁1 riguarda le imprese. Queste ultime assumeranno 𝑁1 lavoratori, se il salario reale
effettivo è pari ad 𝛼:
𝑁𝑑 = 𝑁1 se
𝑊𝑡+1
= 𝛼 = 50.
𝑃𝑡+1
Le imprese riusciranno a ottenere questo valore del salario reale fissando i prezzi in base
alla solita equazione, ovvero:
269
𝑃𝑡+1 = (1 + 𝜇) ∙
𝑊𝑡+1
110
= (1 + 1) ∙
= 2 ∙ 1,1 = 2,2.
𝐴
100
In corrispondenza di un livello di prezzi pari a
𝑃𝑡+1 = 2,2
si otterrà:
𝑊𝑡+1 110
=
= 50.
𝑃𝑡+1
2,2
Il salario reale effettivo sarà quindi uguale a 50, e sarà minore del salario reale atteso dai
lavoratori, che, come abbiamo visto poco sopra è pari a 55. Questa discrepanza
corrisponde all’errore di previsione commesso dai lavoratori, che si attendevano un
livello dei prezzi uguale a 2, mentre quello effettivamente registrato è pari a 2,2:
𝑊𝑡+1
𝑊𝑡+1
𝑒
= 𝛽 = 55 >
= 𝛼 = 50 ↔ 𝑃𝑡+1
= 2 < 𝑃𝑡+1 = 2,2 .
𝑒
𝑃𝑡+1
𝑃𝑡+1
L’errore di previsione commesso dai lavoratori può essere espresso anche in termini
𝑒
di tasso di inflazione. Infatti, dato 𝑃𝑡+1
(ovvero il livello dei prezzi atteso dai lavoratori
per il periodo 𝑡 + 1), è possibile calcolare il tasso di inflazione atteso dai lavoratori
̇ 𝑒 ):
(𝑃𝑡+1
𝑒
𝑃̇𝑡+1
=
𝑒
𝑃𝑡+1
− 𝑃𝑡
.
𝑃𝑡
Con riferimento al nostro esempio numerico abbiamo che:
𝑒
𝑃𝑡+1
= 2 e 𝑃𝑡 = 2
→
𝑒
𝑃̇𝑡+1
=
Il tasso di inflazione effettivo è invece pari a:
𝑃̇𝑡+1 =
𝑃𝑡+1 − 𝑃𝑡
.
𝑃𝑡
E poiché
𝑃𝑡+1 = 2,2 e 𝑃𝑡 = 2,
270
2−2
= 0.
2
otteniamo:
̇
𝑃𝑡+1
=
2,2 − 2
= 10% .
2
L’errore di previsione compiuto dai lavoratori può quindi essere definito sia in termini
di livelli dei prezzi che in termini di tassi di inflazione:
𝑒
𝑃
⏟
⏟
𝑡+1 > 𝑃
𝑡+1
2,2
̇
̇𝑒
𝑃
⏟
⏟
𝑡+1 > 𝑃
𝑡+1
10%
(livelli di prezzo)
2
(tassi di inflazione)
0%
2.2. L’instabilità della relazione tra il livello del reddito e il tasso di inflazione
descritta dalla curva di Phillips
L’analisi di Friedman porta a due importanti conclusioni. In primo luogo, egli ha
evidenziato che è possibile ottenere un livello di occupazione superiore a 𝑁0 , a
condizione che si crei una discrepanza tra il salario reale atteso dai lavoratori e il salario
reale effettivamente pagato dalle imprese. Questa circostanza si determina quando i
lavoratori commettono un errore di previsione circa il tasso di inflazione dei periodi
futuri.
In secondo luogo, Friedman ha mostrato che l’equilibrio corrispondente a un livello
di occupazione pari a 𝑁1 > 𝑁0 può essere soltanto un equilibrio temporaneo, e che
l’unico equilibrio stabile è quello caratterizzato da un livello di occupazione pari a 𝑁0 .
Intuitivamente, ciò si spiega col fatto che per mantenere il sistema al livello di
occupazione 𝑁1 i lavoratori devono continuare a commettere sempre lo stesso errore di
previsione. In altri termini, occorre che essi persistano nel prevedere un tasso di
inflazione uguale a 0, quando, in realtà, il tasso di inflazione effettivamente registrato in
ogni periodo è invece pari al 10%. Evidentemente non si tratta di un comportamento
razionale. Pertanto, è presumibile che i lavoratori modificheranno le loro aspettative,
cercando di eliminare l’errore di previsione. Nel lungo periodo, quindi, il sistema dovrà
convergere verso l’unico valore di 𝑁 in corrispondenza del quale i lavoratori non
commettono alcun errore di previsione.
Per dimostrare questo risultato, proviamo a definire le condizioni che si devono
realizzare nel periodo 𝑡 + 2 affinché il livello di occupazione sia pari a 𝑁 = 𝑁1 .
A tal fine, ricordiamo che in 𝑡 + 1 si è ottenuto 𝑁 = 𝑁1 , con un errore di previsione
dato da
𝑒
̇ (10%) > 𝑃̇𝑡+1
𝑃𝑡+1
(0%),
271
che ha provocato una discrepanza tra il salario reale atteso dai lavoratori (𝛽) e il salario
reale effettivamente pagato dalle imprese (𝛼).
Per ottenere lo stesso livello di occupazione in 𝑡 + 2, il divario tra il salario atteso dai
lavoratori e il salario reale effettivamente pagato dalle imprese deve essere uguale a
quello osservato nel periodo precedente. Pertanto:
Condizione necessaria perché anche in 𝑡 + 2 venga impiegato un numero di lavoratori
pari a 𝑁1 è dunque che:
𝑊𝑡+2
𝑊𝑡+2
= 𝛽 = 55 >
= 𝛼 = 50 .
𝑒
𝑃𝑡+2
𝑃𝑡+2
Ciò avverrà, se in 𝑡 + 2 i lavoratori commettono il medesimo errore di previsione già
commesso nel periodo precedente. In altre parole, dovrà risultare che:
𝑒
̇
̇ 𝑒 = 10%.
𝑃̇𝑡+2 − 𝑃̇𝑡+2
= 𝑃𝑡+1
− 𝑃𝑡+1
Per poter determinare il valore del tasso di inflazione che si dovrà registrare in 𝑡 + 2
̇ ) affinché il livello di occupazione possa essere pari a 𝑁 = 𝑁1 , è necessario
(𝑃𝑡+2
̇ 𝑒 ). Friedman ipotizza che i
specificare il valore del tasso di inflazione atteso (𝑃𝑡+2
lavoratori elaborino le loro previsioni relative al tasso di inflazione sulla base di un
meccanismo di aspettative adattive. Questo meccanismo implica che, in ogni periodo,
i lavoratori modifichino le loro aspettative inflazionistiche rispetto al passato basandosi
sull’errore di previsione commesso nel periodo precedente. Vale quindi la seguente
relazione:
𝑒
̇𝑒 + 𝜆 ∙
𝑃̇𝑡+2
= 𝑃𝑡+1
̇
̇𝑒 )
(𝑃𝑡+1
− 𝑃𝑡+1
⏟
𝐸𝑟𝑟𝑜𝑟𝑒 𝑑𝑖 𝑝𝑟𝑒𝑣𝑖𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑖𝑛 𝑡+1
Se l’errore di previsione fosse pari a 0, si avrebbe:
272
con
0 < 𝜆 ≤ 1.
𝑒
̇𝑒 .
𝑃̇𝑡+2
= 𝑃𝑡+1
Qualora, invece, l’errore di previsione fosse uguale a
𝑒
̇
𝑃𝑡+1
− 𝑃̇𝑡+1
> 0,
si avrebbe
𝑒
̇𝑒 .
𝑃̇𝑡+2
> 𝑃𝑡+1
Infatti, risulterebbe:
𝑒
𝑒
𝑒
̇𝑒 .
𝑃̇𝑡+2
= 𝑃̇𝑡+1
+ 𝜆 ∙ (𝑃̇𝑡+1 − 𝑃̇𝑡+1
) > 𝑃𝑡+1
Inoltre, possiamo osservare che, essendo
𝑒
𝑒
̇ 𝑒 − 𝑃̇𝑡+1
̇
𝑃𝑡+2
= 𝜆 ∙ (𝑃𝑡+1
− 𝑃̇𝑡+1
),
la differenza tra la previsione al tempo 𝑡 + 2 e la previsione al tempo 𝑡 + 1 dipende
dall’errore di previsione commesso.
Per semplicità, assumiamo che sia 𝜆 = 1. Avremo quindi:
𝑒
𝑒
̇ 𝑒 + 1 ∙ (𝑃̇𝑡+1 − 𝑃𝑡+1
̇ 𝑒 ) = 𝑃𝑡+1
̇ 𝑒 + 𝑃𝑡+1
̇
𝑃̇𝑡+2
= 𝑃𝑡+1
− 𝑃̇𝑡+1
= 𝑃̇𝑡+1 .
In questo caso, il meccanismo di formazione delle aspettative è molto semplice, perché
il tasso di inflazione atteso per un dato periodo è pari al tasso di inflazione
effettivamente registrato nel periodo precedente. Pertanto, se consideriamo i valori
numerici utilizzati nel nostro esempio, si avrà:
𝑒
̇
𝑃̇𝑡+2
= 𝑃𝑡+1
= 10%.
𝑒
Una volta determinato 𝑃̇𝑡+2
possiamo calcolare il valore del tasso di inflazione che si
deve registrare in 𝑡 + 2 per mantenere un livello di occupazione pari a 𝑁 = 𝑁1 . Questo
valore dovrà essere tale da provocare lo stesso errore di previsione già registrato nel
periodo 𝑡 + 1, ovvero un errore di previsione pari a 10 punti percentuali. In 𝑡 + 1 il
tasso di inflazione atteso dai lavoratori era pari a 0, mentre il valore del tasso di
inflazione effettivo era uguale al 10%. Poiché nel periodo 𝑡 + 2 il tasso di inflazione
atteso dai lavoratori è pari al 10%, il tasso di inflazione effettivo che assicura un errore
di10 punti percentuali dovrà essere uguale al 20%:
𝑒
̇
̇ 𝑒 = 10% ↔ (20% − 10%) = (10% − 0%) = 10%.
𝑃̇𝑡+2 − 𝑃̇𝑡+2
= 𝑃𝑡+1
− 𝑃𝑡+1
273
Verifichiamo questo risultato usando il solito esempio e considerando il periodo
𝑡 + 2. Come abbiamo visto sopra, per ottenere anche nel periodo 𝑡 + 2 un livello di
occupazione pari a 𝑁1 , è necessario che si crei una discrepanza tra il salario reale atteso
dai lavoratori e il salario effettivo pari a (𝛽 – 𝛼):
Pertanto, il salario monetario necessario a indurre i lavoratori a offrire 𝑁1 unità di lavoro
è uguale a:
𝑒
𝑊𝑡+2 = 𝛽 ∙ 𝑃𝑡+2
.
̇ 𝑒 . Possiamo determinare il livello
Per calcolare 𝑊𝑡+2 è quindi necessario conoscere 𝑃𝑡+2
atteso dei prezzi facendo ricorso al meccanismo delle aspettative adattive, ricordando
che:
𝑒
𝑒
̇𝑒 ) .
𝑃𝑡+2
= 𝑃𝑡+1
∙ (1 + 𝑃𝑡+2
Sappiamo che
𝑃𝑡+1 = 2,2 ,
e che in base al meccanismo delle aspettative adattive (con 𝜆 = 1), risulta:
𝑒
̇
𝑃̇𝑡+2
= 𝑃𝑡+1
= 10% .
Pertanto, avremo:
𝑒
𝑃𝑡+2
= 2,2 ∙ (1 + 0,1) = 2,2 ∙ 1,1 = 2,42 .
A questo punto, possiamo finalmente calcolare il valore di 𝑊𝑡+2:
274
𝑒
𝑊𝑡+2 = 𝛽 ∙ 𝑃𝑡+2
= 55 ∙ 2,42 = 132.
Il tassodi variazione dei salari monetari è quindi pari a:
𝑊̇𝑡+2 =
𝑊𝑡+2 − 𝑊𝑡+1 132 − 110
=
= 20% .
𝑊𝑡+1
110
La seconda condizione perché si realizzi un livello di occupazione uguale a 𝑁1 è che
le imprese domandino proprio 𝑁1 unità di lavoro. Come sappiamo, 𝑁𝑑 = 𝑁1 se:
𝑊𝑡+2
𝐴
=
= 𝛼 = 50 .
𝑃𝑡+2 (1 + 𝜇)
Da questa espressione è possibile ricavare il livello dei prezzi che consente alle imprese
di pagare un salario reale pari a 𝛼. Infatti:
𝑃𝑡+2 = (1 + 𝜇) ∙
𝑊𝑡+2
.
𝐴
Con:
𝜆=1
𝑊𝑡+2 = 132
𝐴 = 100
si ottiene
𝑃𝑡+2 = (1 + 1) ∙
132
= 2 ∙ 1,32 = 2,64 .
100
Il tasso di inflazione effettivo relativo al periodo 𝑡 + 2 sarà quindi pari a:
̇
𝑃𝑡+2
=
𝑃𝑡+2 − 𝑃𝑡+1 2,64 − 2,2
=
= 20% .
𝑃𝑡+1
2,2
Possiamo seguire lo stesso procedimento per specificare le condizioni che si devono
realizzare in 𝑡 + 3 per ottenere 𝑁 = 𝑁1 . Anche in questo caso, il divario tra il salario
reale atteso (𝛽) e il salario reale effettivo (𝛼) deve restare immutato. Di conseguenza:
275
Dovrà quindi risultare:
𝑊𝑡+3 𝑊𝑡+3
𝑒
̇ 𝑒 < 𝑃̇𝑡+3 .
>
→ 𝑃𝑡+3
< 𝑃𝑡+3 → 𝑃𝑡+3
𝑒
𝑃𝑡+3
𝑃𝑡+3
In altri termini, i lavoratori devono commettere lo stesso errore di previsione già
registrato nei periodi 𝑡 + 1 e 𝑡 + 2:
𝑒
𝑃
⏟̇𝑡+3 − 𝑃̇𝑡+3
𝐸𝑟𝑟𝑜𝑟𝑒 𝑑𝑖 𝑝𝑟𝑒𝑣𝑖𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑖𝑛 𝑡+3
=
̇
̇𝑒
𝑃
− 𝑃𝑡+2
⏟𝑡+2
𝐸𝑟𝑟𝑜𝑟𝑒 𝑑𝑖 𝑝𝑟𝑒𝑣𝑖𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑖𝑛 𝑡+2
=
̇𝑒
𝑃
⏟̇𝑡+1 − 𝑃𝑡+1
.
𝐸𝑟𝑟𝑜𝑟𝑒 𝑑𝑖 𝑝𝑟𝑒𝑣𝑖𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑖𝑛 𝑡+1
𝑒
̇ 𝑒 = 0 → 𝑃𝑡+1
̇
̇
Con 𝑃𝑡+1
= 10% e con 𝑃̇𝑡+2
= 𝑃𝑡+1
= 10% → 𝑃̇𝑡+2 = 20% .
𝑒
Pertanto, il valore di 𝑃̇𝑡+3 dipende da 𝑃̇𝑡+3
, che è definito in base al meccanismo delle
aspettative adattive visto sopra:
𝑒
̇
𝑃̇𝑡+3
= 𝑃𝑡+2
= 20%.
̇
In definitiva, il valore di 𝑃𝑡+3
è quindi pari a:
̇ 𝑒 = 30% .
𝑃𝑡+3
Sulla base dello stesso ragionamento possiamo calcolare anche il tasso di inflazione
effettivo che si deve realizzare in 𝑡 + 4 affinché il livello di occupazione rimanga
costante in corrispondenza di 𝑁 = 𝑁1 . Poiché risulta:
̇ 𝑒 = 𝑃̇𝑡+3 = 30% ,
𝑃𝑡+4
si avrà
̇
𝑃𝑡+4
= 40%.
276
La conclusione raggiunta da Friedman è che nei periodi 𝑡 + 1, 𝑡 + 2, 𝑡 + 3 etc. è
possibile raggiungere e mantenere un livello di occupazione pari a 𝑁1 > 𝑁0 , ma solo a
condizione che il tasso di inflazione aumenti costantemente nel tempo secondo la
sequenza:
𝑡+1
𝑡+2
𝑡+3
𝑡+4
⏟
⋮
⋮
→
→
→
→
̇
𝑃𝑡+1
̇
𝑃𝑡+2
̇
𝑃𝑡+3
̇
𝑃𝑡+4
⏟
⋮
⋮
→
→
→
→
10%
20%
30%
⏟
40%.
⋮
⋮
Il risultato dell’analisi di Friedman si distacca quindi nettamente da quello emerso
dall’esame del modello keynesiano con curva di Phillips, secondo cui è possibile
ottenere un livello di occupazione pari a 𝑁1 in presenza di un tasso di inflazione
costante (figura 113).
Figura 113 – L’instabilità della relazione tra reddito e tasso di inflazione
Il grafico di sinistra della figura 113 illustra il mercato del lavoro, mentre quello di
destra rappresenta la curva di Phillips nella versione riferita alla relazione tra il reddito
reale e il tasso di inflazione. Il punto 0 sul grafico di sinistra indica il valore
dell’occupazione coerente con la stabilità dei prezzi e corrisponde al punto 0 sulla curva
di Phillips. Un livello di occupazione pari a 𝑁1 > 𝑁0 corrisponde a un livello di reddito
pari a 𝑌1 > 𝑌0 . Secondo il modello keynesiano con curva di Phillips è possibile ottenere
277
un livello di occupazione pari a 𝑁1 e un livello di reddito pari a 𝑌1 con un tasso di
inflazione costante, come, ad esempio, quello pari al 10% indicato nel punto 1del
grafico di sinistra della figura 113.
A giudizio di Friedman, invece, è possibile mantenere un livello di occupazione
uguale a 𝑁1 soltanto con un tasso di inflazione crescente. Egli ha mostrato che un
risultato compatibile con la curva di Phillips può essere ottenuto soltanto ipotizzando
che i lavoratori si comportino in modo irrazionale. Poco sopra abbiamo visto che è
possibile ottenere un livello di occupazione pari a 𝑁1 solo se si manifesta una
discrepanza tra il salario reale atteso dai lavoratori (𝛽) e quello effettivo (𝛼). Questa
discrepanza si realizza quando i lavoratori commettono un errore di previsione che, nel
nostro esempio numerico, è dato da una differenza tra il tasso di inflazione effettivo e
quello atteso pari a 10 punti percentuali.
Infatti, affinché si abbia 𝑁1 nei periodi 𝑡 + 1, 𝑡 + 2 e 𝑡 + 3 occorre che:
𝑒
̇𝑡+1 − 𝑃
̇𝑡+1
𝑃
= 10%
⏟
⏟
10%
0
𝑒
̇𝑡+2 − 𝑃
̇𝑡+2
𝑃
= 10%
⏟
⏟
10%
0
̇
̇𝑒
𝑃
⏟
⏟
𝑡+3 − 𝑃
𝑡+3 = 10% .
10%
0
Si può quindi osservare che, nei diversi periodi presi in considerazione, a un errore di
previsione costantemente pari al 10% corrisponde un tasso di inflazione anch’esso pari
al 10% a condizione che il tasso di inflazione atteso non vari nel tempo. In altri termini,
affinché nei periodi 𝑡 + 1, 𝑡 + 2 e 𝑡 + 3 si abbia un errore di previsione pari a 10 punti
percentuali e un tasso di inflazione costante di pari entità, è necessario che il tasso di
inflazione atteso sia sempre uguale a zero:
𝑒
𝑒
̇ 𝑒 = 𝑃̇𝑡+2
𝑃𝑡+1
= 𝑃̇𝑡+3
= 0.
Occorre, cioè, che, durante una successione di periodi in cui si registra un tasso di
inflazione uguale del 10%, i lavoratori continuino a prevedere un tasso di inflazione
nullo. Con tutta evidenza, si tratta di un comportamento irrazionale. I lavoratori, infatti,
si accorgeranno dell’errore di previsione commesso, e cercheranno quindi di
correggerlo nei periodi di tempo successivi a quello in cui si è manifestata la
discrepanza tra aspettativa di inflazione e tasso di inflazione effettivo. Friedman ipotizza
che questa correzione avvenga in base al meccanismo delle aspettative adattive.
Se 𝜆 = 1, i lavoratori si aspettano un tasso di inflazione uguale all’ultimo tasso di
inflazione osservato. Come abbiamo visto poco sopra, in questo caso un livello di
278
occupazione pari a 𝑁1 e un livello di reddito pari a 𝑌1 potranno essere ottenuti soltanto
in corrispondenza di un tasso di inflazione crescente.
Friedman ha quindi concluso che la relazione tra reddito reale e tasso di inflazione
definita da Phillips, ovvero
1) 𝑌 = 𝑓(𝑃̇)
debba essere sostituita dalla relazione seguente:
2) 𝑌 = 𝑔(𝑃̇ − 𝑃̇𝑒 ).
Pertanto, secondo Friedman il livello del reddito non è funzione del tasso di inflazione,
bensì dell’errore di previsione commesso dai lavoratori: non esiste alcuna relazione tra
il tasso di inflazione e il reddito reale. Quest’ultimo, invece, dipende esclusivamente
dall’errore commesso dai lavoratori in sede di stima del livello futuro del tasso di
inflazione. Di conseguenza, la relazione individuata dalla curva di Phillips vale soltanto
quando, in ogni periodo, 𝑃̇𝑒 = 0, ovvero quando i lavoratori persistono nell’attendersi
un tasso di inflazione nullo nonostante quello effettivo sia maggiore di zero. La
precedente relazione 2) può anche essere espressa in termini lineari:
3) 𝑌 = 𝑌0 + 𝑔(𝑃̇ − 𝑃̇𝑒 ) con 𝑔 > 0.
Quando:
𝑃̇ − 𝑃̇𝑒 = 0 → 𝑌 = 𝑌0 con 𝑌0 = 𝑌(𝑁0 ).
Soltanto se:
𝑃̇ − 𝑃̇𝑒 > 0 → 𝑌 > 𝑌0 .
Con riferimento al nostro esempio numerico avremo che:
𝑌 = 𝑌1 → 𝑌1 = 𝑌(𝑁1 ) se 𝑃̇ − 𝑃̇ 𝑒 = 10% .
La relazione 3) può essere rappresentata graficamente sul piano (𝑌, 𝑃̇) utilizzato in
precedenza per descrivere la curva di Phillips, tenendo conto del fatto che ora la
relazione tra 𝑌 e 𝑃̇ dipende dal valore del tasso di inflazione atteso (𝑃̇𝑒 ) (figura 114).
279
Figura 114 - Gli spostamenti della curva di Phillips in funzione
delle variazioni delle aspettative di inflazione (1)
Abbiamo visto che per ottenere 𝑁1 e 𝑌1 , nel periodo 𝑡 + 1 è necessario che si abbia:
̇
̇ 𝑒 = 10%.
𝑃𝑡+1
− 𝑃𝑡+1
In particolare, se:
̇ 𝑒 = 0 → 𝑃𝑡+1
̇
𝑃𝑡+1
= 10% (punto 1 nella figura 114) .
Tuttavia, la relazione tra 𝑃̇ e 𝑌 non e stabile, perché, nel tempo, il valore del tasso di
inflazione atteso (𝑃̇𝑒 ) si modifica.
In 𝑡 + 2 il tasso di inflazione coerente con 𝑌1 è uguale al 10% soltanto se i lavoratori
𝑒
continuano a prevedere un tasso di inflazione pari a zero (𝑃̇𝑡+2
= 0). Ma se le
aspettative di inflazione variano secondo il meccanismo delle aspettative adattive
descritto nelle pagine precedenti, in 𝑡 + 2si avrebbe:
̇ 𝑒 = 𝑃̇𝑡+1 = 10% → 𝑃𝑡+2
̇
𝑃𝑡+2
= 20% .
In questo caso, in corrispondenza di un livello del reddito uguale a 𝑌1 il tasso di
inflazione non sarebbe più pari al 10%, bensì al 20% (punto 2 della figura 115).
280
Figura 115 - Gli spostamenti della curva di Phillips in funzione
delle variazioni delle aspettative di inflazione (2)
Poiché in ogni periodo il tasso di inflazione atteso varia in funzione dell’errore di
previsione commesso nel periodo precedente, in 𝑡 + 3 avremo che:
𝑒
̇
𝑃̇𝑡+3
= 𝑃𝑡+2
= 20% .
Pertanto, in 𝑡 + 3 il tasso di inflazione coerente con un livello del reddito uguale a 𝑌1
̇
sarà pari a 𝑃𝑡+3
= 30% (punto 3 della figura 116).
281
Figura 116 - Gli spostamenti della curva di Phillips in funzione
delle variazioni delle aspettative di inflazione (3)
2.3. La curva di Phillips di lungo periodo e la riaffermazione di validità della teoria
quantitativa della moneta
Concludiamo l’analisi della critica di Friedman alla curva di Phillips, ricordando gli
effetti di un aumento dei prezzi sull’offerta reale di moneta. Come abbiamo visto in
precedenza, quando il livello generale dei prezzi aumenta, a parità di offerta di moneta
nominale, l’offerta di moneta reale diminuisce:
𝑃↑ →
̅0
𝑀
↓.
𝑃
La riduzione dell’offerta reale di moneta produce un effetto restrittivo sul reddito.
Infatti, sul mercato della moneta si registra un eccesso di domanda di moneta che, in
base ai meccanismi descritti dal modello IS-LM, si traduce in un rialzo del valore del
tasso di interesse, cui fa seguito una caduta degli investimenti e del reddito:
̅0
𝑀
↓ → 𝑟 ↑ → 𝐼 ↓ → 𝐷𝐴 ↓ → 𝑌 ↓ .
𝑃
Per mantenere un livello di occupazione pari a 𝑁1 e un livello del reddito uguale a 𝑌1 , le
autorità monetarie devono annullare gli effetti restrittivi prodotti dall’aumento dei prezzi
attraverso un aumento della quantità di moneta nominale pari al tasso di inflazione. Nel
282
tempo, esse devono quindi essere disposte ad accettare un tasso di inflazione crescente,
e quindi ad aumentare continuamente il tasso di crescita della quantità di moneta.
Nell’esempio numerico utilizzato in precedenza, l’incremento dell’offerta nominale di
moneta avviene secondo la seguente progressione:
̇
̇
in 𝑡 + 1: 𝑁 = 𝑁1 se 𝑃𝑡+1
= 10% → 𝑀̇𝑡+1 = 𝑃𝑡+1
= 10% ,
̇
̇
in 𝑡 + 2: 𝑁 = 𝑁1 se 𝑃𝑡+2
= 20% → 𝑀̇𝑡+2 = 𝑃𝑡+2
= 20% , e
̇
̇
in 𝑡 + 3: 𝑁 = 𝑁1 se 𝑃𝑡+3
= 30% → 𝑀̇𝑡+3 = 𝑃𝑡+3
= 30%.
Tuttavia, un comportamento di questo tipo da parte delle autorità monetarie non è
realisticamente ipotizzabile. Infatti, nessun sistema economico può sopportare un tasso
di inflazione costantemente crescente. Milton Friedman è perciò giunto alla conclusione
che è possibile raggiungere livelli di occupazione maggiori di 𝑁0 e livelli di reddito
superiori a 𝑌0 soltanto nel breve periodo, e che gli unici valori di equilibrio di lungo
periodo sono proprio 𝑌0 e 𝑁0 .
Abbiamo appena visto che, a parità di reddito e di occupazione, la presenza di un
tasso di inflazione crescente richiede la disponibilità delle autorità monetarie a
espandere la quantità di moneta a un tasso anch’esso via via crescente. Proviamo ora a
valutare gli effetti prodotti dalla decisione delle autorità monetarie di espandere la
quantità di moneta a un tasso costante, pari, per esempio, al 10%:
𝑀̇ = 10% → 𝑀̇𝑡 = 𝑀̇𝑡+1 = 𝑀̇𝑡+2 = 𝑀̇𝑡+3 = ⋯ ⋯ ⋯ = 10%
Possiamo specificare gli effetti prodotti da questa decisione in base alle seguenti
considerazioni:
1. In primo luogo, osserviamo che, nel caso di un tasso di crescita della quantità di
moneta nominale costante, il tasso di inflazione non può aumentare all’infinito, perché
ciò avviene soltanto quando le autorità monetarie decidono di espandere la quantità di
moneta a un tasso crescente.
2. Se il tasso di inflazione tende a un valore finito, allora l’errore di previsione
commesso dai lavoratori tenderà a zero. Infatti, poiché, di periodo in periodo, i
lavoratori elaborano le loro stime sulla base di un meccanismo di aspettative adattive,
essi correggeranno continuamente i loro errori di previsione, avvicinandosi così
progressivamente al valore effettivo del tasso di inflazione.
3. Se l’errore di previsione tende a zero, allora il reddito converge a 𝑌0 . Vale infatti la
relazione:
283
𝑌 = 𝑌0 + 𝑔(𝑃̇ − 𝑃̇𝑒 ).
Pertanto, se 𝑃̇ − 𝑃̇ 𝑒 = 0, si avrà:
𝑌 = 𝑌0 e 𝑁 = 𝑁0 .
4. Se il livello del reddito converge a 𝑌0 , l’unico effetto permanente prodotto dalla
variazione della quantità di moneta a un tasso costante riguarda l’inflazione. Tale effetto
può essere misurato facendo riferimento all’equazione degli scambi di Fisher:
𝑀∙𝑉 =𝑃∙𝑌.
Questa equazione può essere riscritta in termini di tasso di variazione. Avremo quindi:
𝑀
⏟̇ + 𝑉
⏟̇ ≅ 𝑃
⏟̇ + ⏟
𝑌̇ .
10%
0
10%
0
Assumendo che la velocità di circolazione della moneta sia indipendente dalla quantità
di moneta, avremo 𝑉̇ = 0. Inoltre, 𝑌̇ = 0. Pertanto, l’unico effetto permanente di una
variazione della massa monetaria è quello di determinare un tasso di inflazione uguale
al tasso di variazione della quantità di moneta.
In definitiva, la decisione di espandere la quantità di moneta a un tasso costante può
produrre soltanto un effetto temporaneo sul reddito reale e sull’occupazione. Nel lungo
periodo, gli unici effetti riguarderanno il tasso di inflazione. Per sottolineare questo
punto, Friedman distingue tra gli effetti di breve periodo e di lungo periodo di una
politica monetaria espansiva. Nel breve periodo, una politica monetaria espansiva può
produrre degli effetti sul reddito reale e sull’occupazione in quanto induce i lavoratori a
commettere degli errori di previsione. Ma nel lungo periodo, l’aumento della quantità di
moneta non avrà alcun effetto sul reddito e sull’occupazione. Possiamo quindi
distinguere tra una curva di Phillips di breve periodo inclinata positivamente sul piano
(𝑌, 𝑃̇), e una curva di Phillips di lungo periodo verticale in corrispondenza di un livello
del reddito pari a 𝑌0 . Scegliendo il tasso di crescita della quantità di moneta, nel lungo
periodo le autorità monetarie determinano il tasso di inflazione coerente con 𝑌0 . Se, per
esempio, scegliessero di non far crescere affatto la quantità nominale di moneta
(𝑀̇ = 0), il tasso di inflazione sarebbe nullo. Viceversa, se scegliessero un tasso di
espansione della quantità di moneta uguale a 𝑀̇ = 10%, nel lungo periodo il tasso di
inflazione sarebbe pari al 10% (punto 𝐸 figura 117).
284
Figura 117 – Le curve di Phillips di breve e di lungo periodo
3. La spiegazione della stagflazione nell’ambito del quadro teorico descritto da
Friedman
L’analisi di Friedman, oltre ad aver messo in rilievo i limiti del modello keynesiano con
la curva di Phillips, ha anche consentito di elaborare una spiegazione del fenomeno
della stagflazione. Come accennato in precedenza, questo fenomeno è emerso nel corso
degli anni ’70 del secolo scorso, quando entrò in crisi il modello di sviluppo che si era
affermato negli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale, e che, nel
trentennio 1945-1975, aveva consentito una forte crescita dell’economia mondiale. Tale
modello di sviluppo si basava su tre punti (GB, capitolo 8, paragrafo 2.4, pp.171-174).
In primo luogo, esso era caratterizzato da una significativa presenza del settore pubblico
nell’economia. Tale presenza garantiva il sostegno al livello domanda aggregata e la
produzione di tutta una serie di servizi che davano vita al sistema di welfare. In secondo
luogo, il modello di sviluppo del secondo dopoguerra era contraddistinto da un patto
sociale tra imprese e lavoratori che, da un lato, consentiva alle imprese di dare vita a un
sistema industriale basato sulla creazione di fabbriche di grandi dimensioni, allo scopo
di poter sfruttare gli effetti delle economie di scala relativi alla produzione di beni di
largo consumo e, dall’altro, assicurava ai lavoratori salari che crescevano in funzione
dei guadagni di produttività. Infine, il trentennio successivo alla fine della seconda
guerra mondiale è stato caratterizzato dall’esistenza del sistema monetario
internazionale definito dagli accordi di Bretton Woods stipulati nel mese di luglio del
1944. Questo sistema era centrato sull’impiego del dollaro statunitense come mezzo di
285
pagamento internazionale. Inoltre, il dollaro era l’unica valuta internazionale a poter
essere convertita in oro, mentre tutte le altre valute erano legate alla divisa statunitense
attraverso un sistema di cambi fissi.
A partire dalla seconda metà degli anni ’60, il modello di sviluppo della cosiddetta
golden age cominciò a entrare in crisi. Il segnale di crisi più evidente venne dal forte
aumento della conflittualità relativa alla distribuzione del reddito, che ebbe una doppia
dimensione:
 la conflittualità relativa alla distribuzione del reddito all’interno dei paesi
industrializzati, e
 la conflittualità tra paesi esportatori e importatori di petrolio.
Per quanto riguarda la crescente conflittualità per la distribuzione del reddito
all’interno dei paesi industrializzati, è bene rammentare come il periodo compreso tra
gli anni ’50 e ’70 del secolo scorso sia stato un periodo di forte crescita per l’economia
mondiale, tanto che in molti paesi si era raggiunta una condizione di sostanziale piena
occupazione che aveva fortemente accresciuto il potere contrattuale dei lavoratori:
Forte crescita dell'economia
↓
Piena occupazione
↓
Crescita del potere contrattuale dei lavoratori.
Questo fenomeno è stato particolarmente intenso in Italia. Gli anni ’50 e ‘60 sono infatti
stati caratterizzati dal cosiddetto Miracolo economico. Con questa espressione si indica
la profonda trasformazione subita in quegli anni dall’economia italiana, che da
economia tipicamente agricola diventò una delle maggiori economie industriali
dell’Occidente.
Tuttavia, il processo di trasformazione dell’economia italiana non fu indolore, ma
comportò degli ingenti costi sociali. A questo proposito, basta ricordare come gli anni
del Miracolo economico furono caratterizzati dalla migrazione di milioni di persone che
si spostarono dalle aree più arretrate delle regioni meridionali e orientali del paese verso
quelle industriali del Nord Ovest. Queste ultime non erano attrezzate per accogliere i
nuovi arrivati, perché mancavano case, scuole, ospedali, etc. . Accanto alla creazione di
milioni di posti di lavoro nelle grandi fabbriche del Nord Ovest, lo sviluppo industriale
italiano fu quindi accompagnato da condizioni di lavoro e di vita fuori dalle fabbriche
molto pesanti. Questo aspetto del processo di sviluppo del nostro paese è alla radice
della fase di conflittualità iniziata alla fine degli anni ‘60 del secolo scorso e dell’ondata
di rivendicazioni da parte dei sindacati dei lavoratori, che chiedevano un significativo
miglioramento delle condizioni di lavoro all’interno delle fabbriche e anche di quelle di
vita esterne alle fabbriche stesse. Questa fase di rivendicazioni non riguardò soltanto
286
l’Italia, ma coinvolse anche tutti i paesi industriali che nel trentennio successivo alla
fine della seconda guerra mondiale registrarono uno straordinario periodo di crescita
economica.
L’intensificazione della conflittualità relativa alla distribuzione del reddito all’interno
delle economie industrializzate permette di illustrare il fenomeno della stagflazione. A
questo scopo, supponiamo che il sistema si trovi nella condizione di equilibrio di lungo
periodo descritta da Friedman, cui corrisponde il punto 0 nella figura 118. L’aumento
della conflittualità relativa alla distribuzione del reddito, dovuto all’aumento della forza
contrattuale dei lavoratori, può essere rappresentato attraverso uno spostamento verso
l’alto (verso sinistra) della funzione di offerta di lavoro. Infatti, questo spostamento
segnala che, a parità di offerta di lavoro, i lavoratori chiedono un salario reale atteso più
elevato. In particolare, nella figura 118 la nuova curva di offerta di lavoro diventa
𝑁𝑠′ (𝑊 ⁄𝑃𝑒 ).
Figura 118 – Gli effetti di un aumento della conflittualità relativa alla distribuzione del
reddito sugli equilibri del mercato del lavoro descritto da Friedman
In questo caso, 𝑁0 non rappresenta più un equilibrio stabile, perché il salario reale atteso
che i lavoratori chiedono per offrire 𝑁0 unità di lavoro è pari a 𝛽 ed è maggiore di
quello (𝛼) che le imprese sono disposte a pagare per assumere proprio quel numero di
lavoratori. Questa discrepanza implica che per mantenere un livello di occupazione pari
a 𝑁0 si dovrà registrare un tasso di inflazione crescente. Tuttavia, abbiamo visto che nel
lungo periodo ciò non è possibile. Pertanto, il sistema convergerà verso il punto 1
caratterizzato da un minor livello di occupazione e di reddito. Questa fase di recessione
sarà accompagnata da un incremento dell’inflazione, poiché fino a quando 𝑁 > 𝑁1 il
salario reale atteso dai lavoratori sarà maggiore del salario effettivamente pagato dalle
287
imprese. Come sappiamo, questo è possibile a condizione che i lavoratori commettano
un errore di previsione, e che il tasso di inflazione effettivo sia superiore a quello atteso.
Infine, osserviamo che il processo che spinge il sistema dalla posizione di equilibrio
0 alla posizione 1 è contraddistinto dalla combinazione di stagnazione economica
(caduta dei livelli del reddito e dell’occupazione) e di inflazione, una combinazione di
fenomeni divenuta nota per l’appunto con il termine di stagflazione.
In secondo luogo, l’aumento di conflittualità relativo alla distribuzione del reddito
registrato all’inizio degli anni ‘70 del secolo scorso ebbe per oggetto la
contrapposizione tra paesi importatori e paesi produttori di petrolio. Infatti, tra il 1973 e
il 1974 il cartello dei paesi produttori di petrolio aumentò il prezzo del petrolio di
quattro volte.
Per definire gli effetti di questa crisi petrolifera prendiamo come riferimento
l’equazione dei prezzi vista in precedenza:
𝑃𝑡 = (1 + 𝜇) ∙
𝑊𝑡
.
𝐴
Come sappiamo, il termine (1 + 𝜇) corrisponde al mark-up che le imprese applicano al
costo del lavoro, al fine di coprire gli altri costi di produzione e di garantirsi un margine
di profitto. Possiamo quindi ipotizzare che 𝜇 copra anche i costi per l’acquisto del
petrolio, e che un aumento del prezzo del greggio induca le imprese ad aumentare il
valore di 𝜇.
Di conseguenza, indichiamo con (1 + 𝜇0 ) il valore del mark-up prima di una crisi
petrolifera, mentre il valore del mark-up dopo l’inizio di una crisi petrolifera è dato da:
(1 + 𝜇1 ) > (1 + 𝜇0 ).
Tenendo conto di queste considerazioni, il nuovo livello dei prezzi sarà quindi pari a:
𝑃𝑡′ = (1 + 𝜇1 ) ∙
𝑊𝑡
𝑊𝑡
> 𝑃𝑡 = (1 + 𝜇0 ) ∙
.
𝐴
𝐴
Partendo da questa espressione, possiamo ricavare il valore del salario reale effettivo
che le imprese sono disposte a pagare per assumere la forza lavoro disponibile:
𝑊𝑡
𝐴
𝑊𝑡
𝐴
<
=
.
′ =
𝑃𝑡
(1 + 𝜇1 ) 𝑃𝑡
(1 + 𝜇0 )
Gli effetti di un aumento del prezzo del petrolio possono essere illustrati con l’aiuto
della figura 119. Il punto 0 rappresenta la condizione di equilibrio prima dello scoppio
della crisi petrolifera. L’aumento del prezzo del petrolio determina una riduzione del
salario reale effettivo che le imprese sono disposte a pagare ai lavoratori.
288
Ne consegue, che la funzione di domanda di lavoro si sposta verso il basso in
corrispondenza di un valore del salario reale effettivo pari a:
𝑊
=𝛾.
𝑃′
Figura 119 - Gli effetti dell’aumento del prezzo del petrolio sugli equilibri
del mercato del lavoro descritto da Friedman
Il livello di occupazione 𝑁0 non rappresenta più una posizione di equilibrio stabile e
può essere mantenuto soltanto nel breve periodo, ma a costo di una inflazione crescente.
Nel lungo periodo il sistema si sposterà dalla posizione 0 alla posizione 1. Anche in
questo caso, quindi, si registrerà una fase di recessione accompagnata da inflazione,
perché in corrispondenza dei valori compresi tra 𝑁0 e 𝑁1 , si registra una discrepanza tra
il salario reale atteso dai lavoratori e quello pagato dalle imprese. Questa discrepanza
corrisponde a un errore di previsione dei lavoratori dovuto al fatto che il tasso di
inflazione effettivo è maggiore di quello atteso. In conclusione, pure il processo di
aggiustamento che si mette in moto dopo una crisi petrolifera è caratterizzato dalla
presenza di stagflazione.
289
4. Friedman, la Nuova Macroeconomia Classica e il ritorno alle conclusioni della
teoria neoclassica
Nel corso degli anni ’70, l’impatto del lavoro di Friedman sulla comunità degli
economisti fu molto forte. La sua analisi, infatti, presentava due punti di forza che
indussero gli economisti ad abbandonare il modello teorico di ispirazione keynesiana
elaborato negli anni precedenti. In primo luogo, Friedman mostrò i limiti della relazione
descritta dalla curva di Phillips, una relazione implicitamente basata sulla assunzione
che i lavoratori continuano a prevedere un tasso di inflazione pari a zero anche nei
periodi in cui l’inflazione è maggiore di zero. In secondo luogo, il lavoro di Friedman
permetteva di spiegare un fenomeno che sembrava incompatibile con le conclusioni
dedotte dalla curva di Phillips: la stagflazione.
La teoria sviluppata da Friedman prese il nome di monetarismo. Nel corso degli
anni ’80 e ’90, l’analisi di Friedman venne rielaborata e ulteriormente sviluppata grazie,
in particolare, al fondamentale contributo di Robert Lucas. Il lavoro di Lucas e dei suoi
coautori ha dato origine a un nuovo filone di letteratura macroeconomica divenuto noto
con il termine di Nuova Macroeconomia Classica (NMC).
In realtà, quella iniziata da Friedman e poi proseguita da Lucas non rappresentò una
vera e propria rivoluzione teorica, quanto piuttosto una controrivoluzione, perché,
ponendo fine al periodo dominato dalla ortodossia della ‘sintesi neoclassica’
keynesiana, il monetarismo e la Nuova Macroeconomia Classica, riproposero le
conclusioni fondamentali della teoria neoclassica sviluppata tra la fine dell’800 e i primi
decenni del ‘900.
A questo proposito, possiamo individuare tre punti fondamentali che accomunano la
Nuova Macroeconomia Classica e la teoria neoclassica.
1. Entrambi gli approcci accettano la teoria quantitativa della moneta
Friedman ha riaffermato il principio della neutralità della moneta elaborando una nuova
versione della teoria quantitativa della moneta che distingue tra gli effetti di breve e di
lungo periodo prodotti da una variazione della quantità nominale di moneta.
Nel breve periodo, una politica monetaria espansiva può avere effetti sul reddito e
sull’occupazione, perché può provocare un errore di previsione da parte dei lavoratori. I
lavoratori, infatti, formulano le loro aspettative circa il valore futuro del tasso di
inflazione sulla base dei valori osservati in passato, mentre una politica monetaria
espansiva determina un incremento dell’inflazione corrente. Nel breve periodo, quindi,
una politica espansiva può provocare un errore di previsione:
𝑀̇ ↑ → 𝑃̇ → (𝑃̇ − 𝑃̇𝑒 ) > 0 → 𝑁 > 𝑁0 → 𝑌 > 𝑌0 .
Tuttavia, questi effetti sono soltanto temporanei, perché le autorità monetarie non
possono accettare di espandere la quantità di moneta a un tasso continuamente crescente
290
che determinerebbe una dinamica esplosiva dell’inflazione. Inoltre, come abbiamo visto
in precedenza, nel lungo periodo la decisione di aumentare la quantità di moneta a un
tasso costante causa unicamente un equivalente aumento del tasso di inflazione.
2. L’inefficacia delle politiche economiche di ispirazione keynesiana
Friedman ha dimostrato che, in un mondo in cui l’offerta di lavoro è una funzione
crescente del salario reale atteso, le politiche fiscali e monetarie keynesiane sono
inefficaci. Nel lungo periodo, infatti, il sistema converge verso la posizione di equilibrio
definita dall’intersezione tra le curve di domanda e di offerta di lavoro. L’analisi di
Friedman ha indotto gli economisti a riabilitare le conclusioni della teoria neoclassica
sulla base di un ragionamento apparentemente semplice: se le politiche keynesiane non
sono in grado di influenzare i valori del reddito e dell’occupazione, allora si deve
concludere che questi valori dipendono dalle sole forze del mercato, le cui dinamiche
trovano sintetica espressione nelle funzioni di domanda e di offerta, anche nel caso del
mercato del lavoro.
Figura 120 - La disoccupazione naturale nel mercato del lavoro descritto da Friedman
In particolare, Friedman ha definito il livello di occupazione corrispondente al punto
0 nella figura 120 con l’aggettivo naturale, per sottolineare che:
a) il livello dell’occupazione dipende esclusivamente dalla interazione tra la domanda e
l’offerta di lavoro;
b) il livello naturale è l’unico livello di occupazione in corrispondenza del quale i
lavoratori non commettono errori di previsione;
c) esso è coerente con prezzi stabili e un tasso di inflazione pari a zero, e
291
d) esso non è influenzato dalle politiche keynesiane di espansione della domanda
aggregata.
Friedman ha associato l’aggettivo naturale anche al livello di reddito (𝑌0 )
corrispondente a un livello di occupazione pari a 𝑁0 . Inoltre, egli ha definito tasso
naturale di disoccupazione il tasso di disoccupazione coerente con i livello di
occupazione 𝑁0 . Con riferimento alla figura 120, data la forza di lavoro (𝐿̅), 𝐿̅ − 𝑁0
coincide con la disoccupazione cosiddetta naturale, mentre 𝑢0 = (𝐿̅ − 𝑁0 )/𝐿̅
rappresenta il tasso naturale di disoccupazione.
Il concetto di tasso naturale di disoccupazione può sembrare strano, perché quando
abbiamo presentato la teoria neoclassica abbiamo usato l’espressione equilibrio di
piena occupazione per indicare il livello di occupazione individuato dal punto di
intersezione tra le funzioni di domanda e di offerta di lavoro. In quel caso, la
disoccupazione registrata sul mercato del lavoro è volontaria, perché costituita dai
lavoratori che scelgono deliberatamente di non lavorare alle condizioni di mercato
(figura 121).
Figura 121 - La disoccupazione volontaria nel mercato del lavoro
della tradizione neoclassica
Come sappiamo, nella teoria neoclassica il mercato del lavoro è considerato
perfettamente concorrenziale, perché composto da imprese omogenee e da lavoratori
omogenei, che differiscono soltanto in relazione alle preferenze circa il tempo di lavoro
e il reddito. Il concetto di tasso naturale di disoccupazione si applica invece a un
mercato del lavoro che non ha caratteristiche perfettamente concorrenziali. In un
mercato del lavoro di questo tipo è possibile definire la forza di lavoro (𝐿̅) come
l’insieme degli individui che devono lavorare per poter vivere, e assume rilevanza il
292
concetto di forza contrattuale dei lavoratori, perché sia le condizioni di lavoro che il
livello del salario derivano dalla contrattazione tra le istituzioni che rappresentano i
lavoratori e quelle che rappresentano le imprese. In questo caso, la funzione di offerta di
lavoro riflette le scelte contrattuali dei sindacati e dei lavoratori, e Friedman e i
sostenitori della Nuova Macroeconomia Classica possono concludere che il tasso
naturale di disoccupazione è una conseguenza del comportamento dei sindacati che
chiedono salari incoerenti con un tasso di disoccupazione naturale pari a zero (si veda il
punto A della figura 122, cui corrisponde un livello del salario reale atteso pari a 𝛽, e si
confronti la citazione di Luigi Zingales a p. 194 GB).
Figura 122 - Gli effetti della moderazione salariale sul livello della disoccupazione naturale
nel mercato del lavoro descritto da Friedman
L’ovvio corollario di questa conclusione è che, se i salari fossero perfettamente
flessibili e i sindacati fossero disposti ad accettare un livello del salario reale coerente
con un tasso di disoccupazione naturale pari a zero, si arriverebbe ad azzerare la
disoccupazione. Come si evince dalla figura 122, in tal caso la curva di offerta di lavoro
si sposterebbe verso destra (verso il basso) passando per il punto 𝐸. Nel punto E il
sistema raggiungerebbe un nuovo equilibrio caratterizzato da un tasso di disoccupazione
pari a zero, in cui tutta la forza di lavoro disponibile sarebbe occupata (sui limiti di
questa analisi si veda GB, appendice 3, pp. 247-252, e appendice 4, pp. 253-258).
293
3. Sia per il monetarismo che per la Nuova Macroeconomia Classica vale la legge di
Say
In altri termini, sia per Friedman che per Lucas e i loro epigoni le decisioni di
produzione determinano le condizioni che assicurano la presenza di un livello di
domanda aggregata tale da consentire l’assorbimento di tutti i beni e servizi prodotti.
Come abbiamo visto in precedenza, secondo la teoria neoclassica il meccanismo che
assicura la validità della legge di Say è dato dalla flessibilità del tasso di interesse. A
giudizio dei sostenitori della scuola neoclassica esiste sempre un valore positivo del
tasso di interesse che spinge le imprese a realizzare un flusso di investimenti tale da
assorbire i risparmi di piena occupazione.
Anche gli economisti che si riconoscono nel filone di pensiero della Nuova
Macroeconomia Classica assumono che esista questo valore del tasso di interesse.
Tuttavia, nella Nuova Macroeconomia Classica il meccanismo che assicura il
raggiungimento di questo particolare valore del tasso di interesse viene specificato in
modo diverso. Nel caso della teoria neoclassica, infatti, il tasso di interesse viene
considerato come la remunerazione del risparmio, e quindi come il prezzo che mette in
equilibrio il mercato dei capitali, ovvero il mercato nel quale si scambiano le risorse
risparmiate. Nel caso della Nuova Macroeconomia Classica, invece, il meccanismo di
convergenza del tasso di interesse verso il valore coerente con le conclusioni della legge
di Say viene definito considerando la relazione tra il livello dei prezzi (𝑃), la quantità
reale di moneta (𝑊 ⁄𝑃) e il tasso di interesse (𝑟) che caratterizza il modello teorico
keynesiano:
se 𝑃 ↑ →
̅0
𝑀
↓ → 𝑟 ↑ → 𝐼 ↓ → 𝑌 ↓ , mentre
𝑃
se 𝑃 ↓ →
̅0
𝑀
↑ → 𝑟 ↓ → 𝐼 ↑ → 𝑌 ↑.
𝑃
294
Figura 123 - La flessibilità dei prezzi alla base del meccanismo di
aggiustamento automatico verso l’equilibrio naturale (1)
I sostenitori della NMC osservano che quando 𝑁 ≠ 𝑁0 e il sistema si trova al di fuori
del suo equilibrio naturale, si registra una variazione del livello dei prezzi che determina
il ritorno alla situazione di equilibrio naturale. Supponiamo che sia 𝑁1 > 𝑁0 (figura
123). Come abbiamo visto in precedenza, nel breve periodo ciò è possibile a condizione
che si registri un tasso di inflazione crescente:
𝑊 𝑊
>
→ 𝑃̇ > 𝑃̇ 𝑒 .
𝑃𝑒
𝑃
L’aumento dei prezzi spinge il sistema verso l’equilibrio naturale, perché provoca una
riduzione dell’offerta reale di moneta che ha un effetto restrittivo sul tasso di interesse, e
quindi sul livello della domanda aggregata:
𝑃↑ →
̅0
𝑀
↓ → 𝑟 ↑ → 𝐼 ↓ → 𝑌 ↓ → 𝑁 ↓ sino ad arrivare a 𝑁0 .
𝑃
Il processo di aggiustamento si arresta quando l’occupazione raggiunge il suo livello
cosiddetto naturale (𝑁0 ).
Naturalmente, questo meccanismo funziona anche nel caso opposto, quando il
sistema si trova in una condizione in cui il livello di occupazione è inferiore a quello
naturale (𝑁2 < 𝑁0 ) (figura 124).
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Figura 124 - La flessibilità dei prezzi alla base del meccanismo di
aggiustamento automatico verso l’equilibrio naturale (2)
In questo caso, la presenza di un elevato livello di disoccupazione provoca una
riduzione dei salari monetari (𝑊), e quindi dei prezzi (𝑃), che produce un effetto
espansivo legato all’aumento dell’offerta reale di moneta e alla conseguente riduzione
del valore del tasso di interesse:
𝑊↓ → 𝑃↓ →
̅0
𝑀
↑ → 𝑟 ↓ → 𝐼 ↑ → 𝑌 ↑ → 𝑁 ↑ sino ad arrivare a 𝑁0 .
𝑃
Pertanto, la flessibilità dei prezzi garantisce che il tasso di interesse raggiunga il valore
coerente con l’equilibrio naturale e il rispetto della legge di Say.
Come è stato sottolineato in precedenza, l’ipotesi che esista un valore positivo del
tasso di interesse capace di spingere le imprese a realizzare un livello di investimenti
coerente con la piena occupazione (o con il livello naturale di occupazione) vale
all’interno di una economia grano, in cui le decisioni di investimento vengono prese in
condizioni di certezza. Questa ipotesi non è valida se, invece, si considera l’economia
monetaria di Keynes o l’economia capitalista di Schumpeter. Secondo Keynes e
Schumpeter le moderne economie di mercato sono intrinsecamente instabili, e quindi
soggette a fluttuazioni anche molto forti dei livelli dell’occupazione e del reddito.
Inoltre, non esistono meccanismi automatici di aggiustamento che assicurano la
presenza di un flusso di domanda aggregata capace di assorbire il livello di reddito
coerente con una occupazione pari a 𝑁0 (a questo proposito si veda GB, capitolo 7,
paragrafi 1.2 e 1.3, pp. 142-150, e le appendici 3 e 4).
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