osteosarcoma

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OSTEOSARCOMA
L’Osteosarcoma (sarcoma osteogenico) è il più comune tipo di tumore osseo nel bambino e
nell’adolescente. E' un tumore maligno che colpisce le cellule ossee immature le quali,
normalmente, formano nuovo tessuto osseo; raramente insorge come tumore dei tessuti molli, al di
fuori dell’osso. Nella maggior parte dei casi interessa le estremità ossee in prossimità
dell’articolazione del ginocchio; altra sede di localizzazione abbastanza frequente è l’estremità
dell’arto superiore prossima alla spalla. Comunque, l’ Osteosarcoma può insorgere in qualsiasi osso
del corpo.
L’Osteosarcoma è, dunque, un tumore osseo primitivo, cioè uno dei pochi tipi di tumore che
effettivamente origina nell’osso e, qualche volta, diffonde in altre parti del corpo ( sono più
frequenti, infatti, i tumori che originano in altre sedi ed interessano l’osso come localizzazione
secondaria). L’Osteosarcoma comprende diverse varianti, anche a basso grado di malignità, ma
quella che ricorre più frequentemente é la forma ad alto grado di malignità, che costituisce circa
l’80% di tutti i casi di Osteosarcoma.
Nella stadiazione di malattia, le usuali tecniche diagnostiche utilizzate (scintigrafia scheletrica,
tomografia computerizzata, risonanza magnetica nucleare) consentono di evidenziare lesioni
metastatiche in circa il 20% dei nuovi casi. Questa patologia è tra quelle che negli ultimi 20 anni
hanno maggiormente beneficiato dei trattamenti integrati, facendo registrare un aumento della
sopravvivenza da meno del 20% a più del 60%, e consentendo di acquisire la guarigione con una
buona funzione del segmento scheletrico interessato.
INCIDENZA
L’Osteosarcoma costituisce circa il 3% di tutti i tumori pediatrici. In Italia ci sono circa 100 nuovi
casi l’anno. E’ quasi due volte più frequente nel sesso maschile e gli adolescenti .E' una patologia
che, come età d’incidenza, si pone tra le neoplasie trattate sia dagli oncologi pediatri che dagli
oncologi medici degli adulti, ma non esistono assolutamente dati che giustifichino trattamenti
separati in base all'età.
Le possibilità di guarigione dipendono dal sottotipo tumorale, dalla risposta del tumore alla terapia
e dal grado di sviluppo tumorale all’esordio.
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FATTORI DI RISCHIO
La causa dell’osteosarcoma è sconosciuta; la maggior parte di essi insorge sporadicamente, cioè
colpisce persone che non hanno storie familiari di tumori ossei o di altre malattie.
Comunque, certe condizioni genetiche (anche se rare) o acquisite predispongono allo sviluppo di
osteosarcoma:
- bambini con una forma ereditaria di Retinoblastoma (un tumore dell’occhio che, nella sua
forma ereditaria, spesso colpisce entrambi gli occhi e che, in genere, insorge in bimbi di età
inferiore a 2 anni). Il gene RB è un gene oncosoppressore che, normalmente, controlla la
crescita delle cellule. Quando questo gene presenta delle mutazioni, non può più controllare
la crescita cellulare e si può formare il tumore.
- bambini con la Sindrome di Li-Fraumeni, in cui vi è una rara alterazione del gene p53
(gene responsabile dell’eliminazione delle cellule alterate). I soggetti con questa sindrome
hanno un aumentato rischio di sviluppare tumori in altre sedi;
- bambini che hanno ricevuto radiazioni per il trattamento di altri tipi di cancro, sviluppano
più facilmente Osteosarcoma. L’intervallo tra l’irradiazione e la comparsa
dell’Osteosarcoma varia tra 4 e più di 40 anni.
La maggior parte degli Osteosarcomi, comunque, si sviluppano a partire da una mutazione non
ereditaria che insorge nel DNA delle cellule ossee in crescita. Poiché questi errori si verificano
casualmente ed in modo imprevedibile, attualmente non esiste un metodo pratico per prevenire
questo tipo di tumore.
SINTOMI
La sintomatologia dipende dall’osso interessato e dalle dimensioni del tumore, e talvolta persiste
per molti mesi prima che venga fatta la diagnosi. I sintomi più frequenti sono i seguenti:
- Dolore osseo ( soprattutto ossa lunghe o a livello dell’articolazione), che peggiora nel
tempo, aumenta durante l’esercizio o durante la notte. Questo è il sintomo più comune.
- Gonfiore senza dolore o evidenza di una massa a livello di una gamba o di un braccio.
- Frattura ossea “patologica”, senza cioè un urto così consistente da poterla spiegare. Il
tumore osseo, infatti, può interferire con i normali movimenti ed indebolire l’osso, portando
talvolta al verificarsi di fratture per urti che, in condizioni normali, non avrebbero
danneggiato l’osso. In alcuni casi, questa può essere la presentazione iniziale del tumore.
- Andatura zoppicante, in alcuni casi di interessamento dell’arto inferiore.
Altri sintomi possono includere astenia, febbre, perdita di peso ed anemia. Nessuno di essi,
comunque, è segno certo di cancro, dato che possono essere causati da altre condizioni, meno serie.
Come per altri tumori del bambino, i genitori spesso si sorprendono che loro stessi o il pediatra non
se ne siano accorti prima, ma bisogna tener presente che i tumori sono un’evenienza rara nei
pazienti pediatrici e, purtroppo, i sintomi sono spesso vaghi e simulano altre malattie, anche banali,
assai più frequenti. In alcuni casi, la scoperta del tumore può essere del tutto casuale, ad esempio
durante una visita di controllo o nel corso di indagini eseguite per il sospetto di altre malattie.
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DIAGNOSI
La valutazione iniziale di un paziente con un sospetto Osteosarcoma dell’osso include un’accurata
anamnesi ed un attento esame obiettivo.
Nessun esame di laboratorio è un indicatore certo di tumore osseo.
Una radiografia può mostrare la localizzazione, le dimensioni e la forma del tumore osseo;
l’Osteosarcoma, in genere, ha un aspetto abbastanza caratteristico ai raggi X. La buona qualità delle
radiografie è indispensabile per la diagnosi differenziale e per valutare l’aggressività del tumore nei
confronti dell’osso ospite. Il quadro radiografico è una guida per la biopsia ed un completamento
essenziale dell’esame istologico.
In caso di evidenza di lesione esami più approfonditi e complementari, come una TC, una RM,
un'angiografia o una scintigrafia ossea andranno eseguiti presso centri specialistici.
La Tomografia computerizzata (TC) è un esame in cui, tramite computers e raggi X, si crea
un’immagine tridimensionale delle parti interne del nostro corpo. E' utile per la stadiazione e la
pianificazione pre-operatoria. Deve essere eseguita iniettando una particolare sostanza, il mezzo di
contrasto, per avere più dettagli, visualizzare i vasi principali e localizzare l’esatta posizione del
tumore. La TC può anche aiutare a determinare la zona migliore ove fare la biopsia.
La Risonanza magnetica (RM), invece, ricorre alle onde elettromagnetiche per creare al computer
le immagini tridimensionali della zona interessata; è un esame più dettagliato della TC e può esser
in grado di determinare lesioni piccole, non ben visibili con altri esami.
La RM, eseguita prima e dopo il trattamento chemioterapico, può documentare la risposta della
neoplasia alla terapia, quindi essere utilizzata dal chirurgo ortopedico per pianificare l’intervento.
La Scintigrafia ossea può individuare aree anormali nell’osso. Si inietta una piccola quantità di
materiale radioattivo nelle vene del bambino; la sostanza si accumula nell’osso che,
successivamente, viene “fotografato” con una speciale apparecchiatura. Questa tecnica è utile
nell’Osteosarcoma perché con un unico esame si esplora tutto lo scheletro, essendo quindi
importante per la stadiazione.
Per confermare la diagnosi, comunque, l’esame dirimente è la biopsia ossea, consistente nella
rimozione di tessuto osseo o di porzioni di tessuti molli vicini invasi dal tumore, da analizzare in
laboratorio. Quest’esame istologico è l’accertamento più importante per formulare la diagnosi. Si
può praticare un’agobiopsia o una biopsia incisionale, a cielo aperto. L’agobiopsia si pratica in
anestesia locale, effettuando un piccolo buco nell’osso e rimuovendo un campione di tessuto
tumorale usando un lungo ago cavo. È indicata nei tumori ossei con caratteristiche clinicoradiografiche classiche, come si verifica per gran parte degli Osteosarcomi, per i quali non è
necessario un'indagine istologica estesa o con tecniche speciali. Risulta particolarmente utile, sotto
guida TC, nelle lesioni vertebrali e del bacino, dove una biopsia incisionale sarebbe troppo invasiva.
Il vantaggio è di essere poco traumatizzante per il paziente; viene usualmente eseguita in anestesia
locale, in regime ambulatoriale o di Day Surgery e l’escissione del tragitto bioptico in continuità
con il tumore sottostante è più semplice rispetto ad una biopsia incisionale. Lo svantaggio è che il
prelievo (carota) è di modesta quantità e quando eseguito alla “cieca” nelle sedi profonde può non
essere rappresentativo.
In caso di biopsia a cielo aperto, una porzione di tumore è rimossa dal chirurgo in sala operatoria
in anestesia generale.
Il patologo esamina al microscopio i tessuti e le cellule prelevate, per determinare se si tratta
effettivamente di tumore. Si possono anche analizzare i geni delle cellule tumorali per distinguere
l’osteosarcoma da altri tumori.
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STADIAZIONE
Innanzitutto, è opportuno tenere presente questa terminologia:
Tumore localizzato: la neoplasia è limitata all’osso interessato ed ai tessuti vicini, e non si è
diffuso in altre parti del corpo. La sopravvivenza di questi pazienti è di circa il 70% (paragonato al
20% all’inizio degli anni ‘60).
Tumore metastatico: in circa il 20% dei bambini che sviluppano osteosarcoma, la diagnosi è
effettuata ad uno stadio avanzato di malattia, cioè quando il tumore si è diffuso ad altre parti del
corpo. Le cellule che si propagano dal tumore primitivo nel resto dell’organismo si chiamano
metastasi. Le sedi più interessate da metastasi da osteosarcoma sono i polmoni, il cervello o altre
ossa. La sopravvivenza per i pazienti con malattia metastatica alla diagnosi è circa il 30%.
Tumore recidivante: il tumore ritorna dopo la fine del trattamento. Può recidivare nella stessa sede
da cui ha preso origine o in un’altra parte del corpo. I polmoni e le ossa sono le sedi più frequenti di
recidiva di malattia.
Lo scopo della stadiazione è quello d'ipotizzare una prognosi per il paziente e dare una guida al
trattamento. Essa si basa sulla sede e l'estensione della neoplasia.
TRATTAMENTO
La rarità di queste neoplasie e la complessità della terapia rendono indispensabile il trattamento
presso centri altamente specializzati, con competenze multispecialistiche. E’ prevista, dunque, la
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cooperazione tra specialisti oncologi dell’adulto e pediatrici, chirurghi ortopedici, esperti in
oncologia ossea, chirurghi generali e toracici, anatomo-patologi esperti in sarcomi, radioterapisti,
esperti in riabilitazione, psicologi, personale infermieristico dedicato ed altri specialisti in grado di
garantire trattamento e riabilitazione ottimali, al fine di migliorare la sopravvivenza e la qualità di
vita dei pazienti.
Le neoplasie maligne sono suddivise, in base ai criteri istologici, in lesioni a basso e ad alto grado di
malignità.
L'utilizzo combinato di chemioterapia e chirurgia rappresenta il trattamento elettivo per tutte le
forme ad alto grado di malignità.
Per le forme a basso grado di malignità, è previsto solo il trattamento chirurgico.
Altre modalità terapeutiche (radioterapia, perfusione degli arti) hanno indicazione solo in casi
estremamente particolari e selezionati.
CHIRURGIA
Malattia localizzata delle estremità
Tutta la letteratura mondiale riporta che la chirurgia riveste un ruolo fondamentale nel trattamento
dell’Osteosarcoma. Nei pazienti trattati con la sola chemioterapia si osserva regolarmente una
recidiva locale del tumore. L'intervento chirurgico può essere conservativo (resezione) o demolitivo
(amputazione). Attualmente è possibile eseguire interventi conservativi nel 90% dei pazienti affetti
da Osteosarcoma; la frequenza di recidiva locale (5%) è leggermente superiore a quella osservata in
pazienti sottoposti ad un intervento demolitivo, quale l'amputazione. Tuttavia, la sopravvivenza a
lungo termine non cambia.
La percentuale di recidiva locale nei pazienti con Osteosarcoma è strettamente correlata ai margini
di resezione ed alla risposta alla chemioterapia. La chirurgia deve essere eseguita con il fine di
asportare il tumore con margini chirurgici ampi o radicali, non contaminati.
In caso di margini chirurgici inadeguati, il rischio di una recidiva locale del tumore è molto alto e,
se quest’ultima si verificasse, peggiorerebbe sensibilmente la prognosi del paziente.
Il tipo di intervento chirurgico dipende da:
• sede
• estensione del tumore
• interessamento o meno di vasi principali
• interessamento o meno di nervi
• invasione o meno dello spazio articolare
• presenza di metastasi
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Il chirurgo deve rimuovere il tumore e parte del tessuto sano intorno. Prima del 1970, l’unico
approccio chirurgico consisteva nell’amputazione dell’arto. Attualmente, invece, nel 95% dei
pazienti con osteosarcoma localizzato delle estremità si può effettuare una chirurgia conservativa
dell’arto, salvo pochi casi quali tumore di grosse dimensioni o condizioni di progressione
neoplastica locale. Quando l’osteosarcoma è trattato solo con la chirurgia, la sua storia naturale è
proprio la recidiva; infatti più dell’80% dei pazienti, in questi casi, sviluppano una recidiva locale.
La chemioterapia e, talvolta, la terapia radiante, sono usate assieme alla chirurgia per non amputare
il braccio o la gamba. Nella chirurgia conservativa, si fa ricorso a tecniche chirurgiche come innesti
d’osso e chirurgia ricostruttiva per aiutare il giovane paziente a conservare l’uso dell’arto e per dare
a quest’ultimo un aspetto il più normale possibile. In questi casi è asportato solo l’osteosarcoma, al
posto del quale è posizionato un innesto d’osso o una protesi, un congegno artificiale. Nei pazienti
in crescita possono essere usate protesi cosiddette “allungabili”, soprattutto nelle resezioni di
femore distale, per recuperare il mancato accrescimento, dovuto al sacrificio delle cartilagini fertili.
Talvolta un intervento aggressivo, volto a rendere l’arto il più funzionale e resistente possibile, non
sempre è accompagnato da un buon risultato estetico; l’obiettivo, invece, per quanto possibile, è
quello di ottenere entrambi i risultati.
L’amputazione (cioè la rimozione di parte dell’arto assieme al tumore), invece, è spesso l’unica
possibilità a disposizione quando il tumore si è diffuso al di là dell’osso, invadendo strutture
importanti quali nervi e vasi sanguigni. In questi casi, l’amputazione è necessaria per essere certi
che il tumore sia stato rimosso del tutto; infatti, l’asportazione della neoplasia con margini adeguati,
quand'anche tecnicamente eseguibile, comporterebbe il sacrificio di più compartimenti, con la
conseguenza di un arto funzionalmente inutilizzabile. L'amputazione deve essere presa in
considerazione anche in caso di recidiva locale e nei casi di complicazioni importanti (come
un’infezione) secondarie ad intervento conservativo, le quali potrebbero ritardare o far sospendere il
trattamento chemioterapico, quindi compromettere la prognosi del paziente.
Se viene amputato l’arto, importante sarà la successiva fase di riabilitazione, per insegnare al
paziente a muoversi con l'uso di una protesi sostitutiva.
In caso di osteosarcoma metastatico, con interessamento dei polmoni o di altri siti, si può pensare di
praticare un intervento chirurgico per rimuovere queste localizzazioni del tumore a distanza.
CHEMIOTERAPIA
Risalgono a 30 anni fa le prime segnalazioni sull’impiego di chemioterapia in pazienti con
Osteosarcoma, e vi è attualmente consenso nel considerare l’associazione di chirurgia e
chemioterapia come procedura standard nel trattamento dell’OS di alto grado.
Vi sono ancora numerosissime problematiche aperte, per cui non vi è unanime consenso su quale
possa essere considerato il trattamento chemioterapico standard.
La carenza di conoscenza in questo campo deriva dalla rarità della malattia, dalle sue numerose
varianti anatomo-cliniche e dalle sue diverse modalità di presentazione
Nei bambini con Osteosarcoma ad alto grado di malignità la chirurgia ha sicuramente un ruolo di
primaria importanza, e la chemioterapia (ed, eventualmente, la radioterapia) è usata sia prima
dell’operazione, per ridurre le dimensioni del tumore e diminuire il rischio di un intervento
demolitivo , sia dopo, per eliminare gli eventuali residui tumorali.
I farmaci chemioterapici esplicano il massimo della loro azione nei confronti di cellule in fase di
rapida crescita, cioè proprio verso quel tipo di cellule che caratterizzano le neoplasie pediatriche.
L'efficacia della chemioterapia nelle neoplasie del bambino è maggiore rispetto all'adulto. I farmaci
chemioterapici sono detti anche antiblastici; questa parola deriva dal greco anti (contro) blasto
(germogliare), proprio per indicare che queste sostanze impediscono alle cellule di "germogliare",
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cioè di riprodursi. Gli antiblastici, perciò, attraverso vari meccanismi agiscono direttamente solo su
cellule capaci di riprodursi. Essi, una volta somministrati, entrano nel circolo sanguigno e vanno a
colpire il cancro nelle parti del corpo ove si è localizzato; si parla, infatti, di terapia sistemica. In
genere, i farmaci antiblastici sono somministrati per via endovenosa. Per evitare ripetute punture
venose, ma soprattutto per evitare che questi farmaci possano creare lesioni delle vene periferiche e,
nel caso di rottura del vaso, ai tessuti circostanti, si preferisce somministrarli attraverso un catetere
venoso centrale, piuttosto che tramite puntura venosa periferica. Il catetere venoso centrale è un
tubicino sottile e morbido, di materiale anallergico, che viene introdotto chirurgicamente, in
anestesia generale, in un grosso vaso venoso del collo. Una delle sue estremità seguirà il percorso di
questo grosso vaso fino al suo sbocco nell'atrio destro del cuore e sarà posizionato sotto guida
radiografica, in modo tale da non creare inconvenienti. Nel tipo di catetere più frequentemente
usato, l'altra estremità è posizionata per un tratto sotto la cute della parte alta del torace attraverso
un "tunnel", il cui sbocco sarà al centro del torace, tramite un piccolo foro cutaneo destinato a
cicatrizzarsi in breve tempo attorno al tubicino. Dal torace del bambino questo tubicino sporgerà per
una decina di centimetri; a questa estremità è applicato un dispositivo che consente di mantenere
chiuso il catetere quando non è utilizzato e di raccordare, poi, gli strumenti che consentono la
somministrazione della terapia ed il prelievo del sangue. Il catetere permette, quindi, di avere
sempre a disposizione una via di accesso venoso, cosa importantissima in caso di emergenza e,
nello stesso tempo, consente di non obbligare il piccolo paziente all'immobilità di un arto, data la
prolungata durata di alcune infusioni. Nella maggior parte dei casi, infatti, per diminuire gli effetti
tossici dei farmaci senza ridurne gli effetti terapeutici, viene eseguito una sorta di "lavaggio"con
infusioni di notevoli quantità di liquidi, e queste durano anche più di 24 ore.
Farmaci di dimostrata efficacia e largamente utilizzati sono:
 il metotrexate ad alte dosi (HDMTX)
 l’adriamicina (ADM)
 il cisplatino (CDDP)
 l’ifosfamide (IFO)
Non vi sono, attualmente, evidenze cliniche relative all'efficacia di nuovi farmaci nei confronti
dell'Osteosarcoma, così come non vi sono evidenze di fattori prognostici all'esordio che permettano
di trattare i pazienti in modo differente in base a diversi livelli di rischio.
I trials clinici sono studi di ricerca che mettono a confronto la miglior terapia disponibile al
momento per quel tipo di tumore (trattamento standard) con terapie nuove, che potrebbero
funzionare meglio. Il cancro nel bambino è raro, per questo è difficile per i medici pianificare
protocolli di trattamento senza sapere come vengono trattati gli altri bambini affetti dallo stesso tipo
di patologia. Attualmente, circa il 75% dei pazienti pediatrici affetti da neoplasia sono trattati
secondo un trial clinico. Dal momento che queste terapie sono nuove, questi bambini vengono
monitorati con molta attenzione.
Gli studi che vengono proposti a volte pongono a confronto due protocolli di trattamento che
presentano, sulla base di precedenti esperienze, medesime probabilità di essere un' efficace terapia
della neoplasia, ma che possono differire per durata, modalità di somministrazione dei farmaci e
numero dei farmaci impiegati. Nel caso si decida di partecipare allo studio, il paziente verrà
sottoposto a chemioterapia secondo uno dei due protocolli in questione, cui verrà casualmente
assegnato (processo di randomizzazione). Se non si vuole partecipare allo studio, il paziente
riceverà comunque tutte le terapie standard previste per la sua patologia ed i medici continueranno a
seguirlo con la dovuta attenzione assistenziale.
In caso di ricaduta, indipendentemente dalla randomizzazione, i pazienti verranno avviati ad un
trattamento di II linea che vede nella chirurgia (delle metastasi e/o della recidiva locale) l'elemento
fondamentale.
In considerazione della giovane età della maggioranza dei pazienti è necessario, prima del
trattamento, informare quelli di sesso maschile in età puberale o successiva del rischio di un danno
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all'apparato produttore degli spermatozoi, con possibilità d' infertilità anche permanente. Pertanto è
possibile effettuare, prima del trattamento chemioterapico, una raccolta di liquido seminale, che
potrà essere conservato presso una banca del seme. Invece, nelle persone di sesso femminile che
ricevono chemioterapia in epoca successiva al menarca non si instaurano, di norma, danni che
provocano infertilità.
EFFETTI TOSSICI DA CHEMIOTERAPIA
I farmaci antitumorali attualmente in uso non agiscono selettivamente sulle cellule tumorali, ma su
tutte le cellule proliferanti,determinando così effetti tossici, che si manifestano durante e/o nei
giorni immediatamente successivi alla loro somministrazione (tossicità precoce), o a distanza di
mesi o anni (tossicità tardiva).
La chemioterapia attacca, dunque, le cellule che si dividono rapidamente, includendo cellule di
tessuti normali quali cute ed annessi cutanei (capelli), mucose (del cavo orale, ad esempio, dando
mucositi), midollo osseo ed organi emuntori (fegato e rene).
Ogni farmaco presenta effetti tossici specifici, che dipendono dalla dose, dalla via di eliminazione,
dalle caratteristiche farmacologiche.
 Tossicità midollare: si ha una diminuzione delle cellule del sangue con anemia, piastrinopenia
(che comporta un aumentato rischio di emorragie), neutropenia ( cioè diminuzione delle cellule
deputate alla difesa dalle infezioni, il cui rischio dunque aumenta). La durata ed entità della tossicità
dipende dal farmaco somministrato. Durante questa fase vanno evitati traumi, ambienti affollati ed
il contatto con persone che possono trasmettere infezioni. In caso di febbre, il bambino va
indirizzato tempestivamente ad un Centro competente. In caso di eccessiva anemia o piastrinopenia
il paziente, naturalmente, verrà supportato con trasfusioni. Alcuni cicli di terapia prevedono la
stimolazione del midollo osseo con un fattore di crescita (G-CSF) a partire da 48 ore dopo il
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termine della chemioterapia, per ridurre la durata della neutropenia; l’efficacia di ciò, tuttavia, non è
dimostrata.
 Alopecia: si tratta di uno degli effetti collaterali più evidenti di alcuni farmaci chemioterapici e
della radioterapia, se effettuata sul cranio. Pur trattandosi di un problema temporaneo e reversibile,
la calvizie dura alcuni mesi, ovvero per tutto il periodo del trattamento. Una volta terminata la
somministrazione dei farmaci, i capelli ricrescono come prima. La perdita dei capelli può,
comunque, essere psicologicamente difficile da sopportare per i bambini e, soprattutto, per gli
adolescenti, dato che costituisce un segno evidente di uno stato di malessere. Inoltre la caduta dei
capelli è inizialmente disomogenea e a chiazze, e la mattina il bambino troverà ciocche sparse sul
cuscino; non essendo ciò molto piacevole, è meglio tagliare i capelli completamente prima che ne
cominci la caduta, sia per un aspetto igienico sia dal punto di vista estetico.
I bambini sotto i 7 - 8 anni in genere soffrono questo problema meno dei loro genitori, che talvolta
si sentono quasi "imbarazzati" a mostrare in pubblico il figlio calvo (atteggiamento non corretto),
mentre quest'ultimo e gli altri bambini possono non dare molto peso alla cosa, se non all'inizio. I
bambini possono magari tagliare i capelli alla loro bambola o scegliere bambolotti senza capelli.
La calvizie può risultare più demoralizzante per le bambine, soprattutto se avevano una chioma
fluente; esse si possono coprire la testa con un foulard o con un cappello. La soluzione parrucca ha
alcuni aspetti negativi e va quindi considerata bene. Se i genitori accettano la calvizie del figlio, la
accetterà anche il bambino; è importante rassicurare il piccolo paziente che si tratta di un fenomeno
temporaneo, connesso alle terapie, e non di una menomazione, anche se a volte l'atteggiamento
della gente, che può dimostrare una curiosità morbosa o una compassione non richiesta, non aiuta.
E' importante, comunque, avvertire in anticipo il piccolo paziente che perderà i capelli, in modo da
dargli il tempo di abituarsi all'idea. La decisione di indossare un cappello, un foulard o una parrucca
deve essere sua: se preferisce mostrarsi senza capelli, è una decisione che va rispettata: spesso i
ragazzi sono meno inibiti degli adulti!
 Vomito: si presenta durante la somministrazione del farmaco e talora persiste per 24-48 ore dopo.
Oggi si riesce a controllare abbastanza bene questo effetto collaterale mediante la somministrazione
di uno o più farmaci antiemetici (ondansetron, corticosteroidi, H1-antagonisti) a partire da 30
minuti prima e fino al termine della somministrazione dei farmaci antiblastici.
 Mucosite: l’esfoliazione delle mucose, soprattutto del cavo orale, è frequente, anche se la sua
gravità varia da farmaco a farmaco. Occorre provvedere ad un adeguato supporto nutrizionale e a
terapia antidolorifica, se necessaria. Le ulcerazioni della bocca e delle gengive, così come le micosi,
possono essere prevenute facendo regolarmente gli sciacqui disinfettanti che verranno prescritti. E’
importante che convinciate vostro figlio a pulirsi regolarmente la bocca con queste soluzioni, per
cercare di limitare lo sviluppo delle stomatiti (infiammazioni della mucosa del cavo orale), che
incidono sulla possibilità del bambino di ingerire cibo.
I principali effetti tossici “specifici” dei chemioterapici utilizzati nel trattamento dell'osteosarcoma
sono:
- Metotrexate: tossicità epatica
- Ifosfamide: cistite emorragica; la tossicità vescicale è prevenibile utilizzando un
uroprotettore (il MESNA) e somministrando liquidi in abbondanza.
- Cisplatino: tossicità renale ed acustica.
- Adriamicina: cardiotossicità.
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RADIOTERAPIA
La radioterapia ha un ruolo assai limitato nel trattamento dell’Osteosarcoma scheletrico, in
considerazione sia dell’eccellente controllo locale che l’associazione chemioterapia preoperatoria chirurgia è in grado di ottenere, sia della necessità di somministrare dosi spesso incompatibili con la
tolleranza dei tessuti sani per ottenere delle risposte significative. Infatti, numerose esperienze
hanno dimostrato l’elevata radioresistenza di questo istotipo per cui, per ottenere una sostanziale
necrosi della neoplasia, sono necessarie alte dosi di radioterapia.
Nell’Osteosarcoma localizzato, il cui trattamento standard prevede un approccio combinato
chemioterapia- chirurgia- chemioterapia, la radioterapia può trovare indicazione come:
trattamento radicale, in pazienti che rifiutano l’intervento chirurgico, che presentino
controindicazioni mediche alla chirurgia o nelle forme non resecabili per sede d’esordio, dove la
chirurgia comporterebbe margini inadeguati e/o risultati funzionali invalidanti (vertebre, sacro, ileo,
ossa base cranica). Sono raccomandate dosi molto elevate sul tumore;
trattamento post-operatorio, dopo una prima chirurgia aggressiva, ma non completa. In questi casi
l’atto terapeutico di scelta è un secondo intervento chirurgico; tuttavia, in pazienti che rifiutano una
seconda exeresi (spesso mutilante) o nei casi in cui, per sede anatomica, una nuova chirurgia non è
proponibile, perché difficilmente radicale o perché non scevra di gravi sequele post-operatorie
(sacro, vertebre, massiccio facciale), si può pensare ad un trattamento con la radioterapia;
a scopo palliativo decompressivo, in pazienti con Osteosarcoma vertebrale e sindrome da
compressione del midollo spinale. In tali situazioni, data la scarsa radioresponsività di questa
neoplasia, l'intervento chirurgico costituisce il trattamento di scelta almeno come primo atto
terapeutico, in particolare in presenza di rapida progressione del quadro neurologico, di paraplegia,
di frattura ossea. La radioterapia, sempre associata a trattamento cortisonico, più o meno
chemioterapia, può essere somministrata dopo la chirurgia (raramente si ricorre ad essa come unico
atto terapeutico).
Nell’Osteosarcoma metastatico, il cui trattamento prevede la chemioterapia, la chirurgia del tumore
primitivo e delle metastasi polmonari, la radioterapia può essere utilizzata con finalità palliativa
antalgica sulla lesione primitiva o sulle lesioni secondarie scheletriche.
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MALATTIA METASTATICA ALL'ESORDIO
La percentuale di sopravvivenza di pazienti con OS metastatico all’esordio è di gran lunga inferiore
a quella di pazienti con malattia localizzata. Il ruolo del chirurgo ortopedico dipende dalla sede e
dal numero di metastasi. Vi è indicazione ad un trattamento chemioterapico associato, ove possibile,
alla chirurgia radicale della lesione primitiva e di quelle metastatiche.
Nelle localizzazioni polmonari, chirurgicamente aggredibili e poco numerose, vi è l’indicazione
all’intervento contemporaneo di asportazione del tumore primitivo e delle metastasi.
Ben diverso è quando il paziente si presenta con lesioni metastatiche allo scheletro. In questo caso,
l’indicazione ad eseguire un trattamento chirurgico locale dipende dal numero delle lesioni, sede,
estensione e dall’età del paziente.
Le metastasi linfonodali loco-regionali vengono asportate contemporaneamente alla resezione del
tumore primitivo. Va sottolineato che, ancor più che nelle forme localizzate, in caso di metastasi a
distanza è necessario valutare caso per caso la possibilità di eseguire l’exeresi chirurgica
oncologicamente adeguata di tutte le sedi interessate dal tumore.
FOLLOW-UP
FOLLOW-UP ONCOLOGICO
L’obiettivo del follow-up sarà quello di identificare l'eventuale ripresa di malattia il più
precocemente possibile, così da favorirne il trattamento chirurgico, dal momento che la resezione
completa delle metastasi rappresenta il principale fattore condizionante la prognosi dei pazienti con
Osteosarcoma in ripresa.
L’80% delle recidive si ha nei primi tre anni ed in circa il 90% dei casi la ripresa di malattia
coinvolge i polmoni.
La ripresa di malattia oltre il quinto anno è un evento raro e rappresenta il 5% di tutte le recidive; è
comunque necessario informare il paziente di tale possibilità. È importante proseguire il follow-up
per monitorare le sequele del trattamento.
I controlli più importanti da effettuare, in relazione al tipo di farmaci antiblastici che vengono
utilizzati nell’Osteosarcoma, sono quello cardiologico, con ecocardiogramma e valutazione della
frazione di accorciamento, quello della funzione uditiva, quello endocrinologico e quello della
fertilità. Infine, pur se meno evidente rispetto ad altre neoplasie, il rischio di secondo tumore in
pazienti lungo-sopravviventi curati per Osteosarcoma rimane notevolmente superiore rispetto alla
popolazione generale. Per questi motivi, il follow-up dei pazienti deve essere mantenuto a lungo
termine, ossia almeno per i 10 anni successivi alla diagnosi.
FOLLOW-UP ORTOPEDICO
La valutazione nel tempo dei pazienti operati serve non solo per diagnosticare l’eventuale ripresa di
malattia, recidiva locale o metastasi, ma anche per valutare l’insorgenza di complicazioni locali,
meccaniche o infettive dell’impianto effettuato per la ricostruzione.
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DIREZIONI FUTURE
La ricerca clinica di nuovi approcci farmacologici per il trattamento dell’Osteosarcoma si è mossa
in diverse direzioni: ricerca di nuovi farmaci, intensificazione del trattamento, immunoterapia,
terapia genica.
La ricerca di nuovi agenti attivi contro l’Osteosarcoma risente particolarmente della rarità della
patologia e del limitato interesse delle case farmaceutiche, in generale, verso le malattie rare.
Gli studi biologici volti ad identificare fattori prognostici per l’Osteosarcoma ad alto grado hanno
identificato nella sovraespressione della Glicoproteina P170 (al momento della diagnosi) il fattore
sfavorevole più importante.
Si può prevedere che, in un futuro più o meno prossimo, si potrà disporre di farmaci in grado di
superare la resistenza mediata dalla Glicoproteina P170. Alcuni di questi nuovi farmaci sono al
momento in fase di studio preclinico per verificarne l’efficacia e le possibili interazioni con i
farmaci convenzionalmente utilizzati nei protocolli chemioterapici per l’Osteosarcoma ad alto
grado.
Oltre a questo, è prevedibile che la sempre più ampia diffusione di tecniche di laboratorio avanzate
consentirà, nei prossimi anni, un significativo avanzamento nel processo di caratterizzazione
genetica dei tumori solidi e, in particolare, di quelle neoplasie per le quali (come nel caso
dell’Osteosarcoma) gli studi genetici sono stati a lungo ostacolati dalla mancanza di tecniche
adeguate per un’analisi delle alterazioni presenti nelle cellule tumorali a livello genomico.
L’identificazione di fattori genetici responsabili o quantomeno coinvolti nell’istogenesi
dell’Osteosarcoma, assieme ad una corretta valutazione del loro effettivo valore prognostico, potrà
inoltre costituire la base per la pianificazione di trattamenti mirati ad interagire con specifici
bersagli molecolari, di importanza chiave per la crescita e la progressione di queste cellule tumorali.
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