La gestione dell`oliveto in agricoltura biologica

Reg. CEE 2081/93
P.O.P. Puglia 94/99
PROGETTO ESECUTIVO DELLA MISURA 4.3.5.
"La gestione dell'oliveto in
agricoltura biologica"
CIHEAM/IAM-B
ISTITUTO AGRONOMICO MEDITERRANEO
Valenzano (Bari)
Indice
Introduzione
pag.
1. La Biocenosi
pag.
1.1. Insetti dannosi
pag.
1.1.1. I fitofagi principali
pag.
1.1.2. I fitofagi secondari dell'olivo
pag.
1.2 Gli insetti utili
pag.
1.2.1 Le prede alternative
pag.
1.3 Le malattie
pag.
1.4 Le piante utili
pag.
2. La gestione della fertilità del terreno
pag.
INTRODUZIONE
In agricoltura biologica la visione d'insieme è fondamentale per una piena
comprensione dei fenomeni naturali: nella complessità degli agroecosistemi tutto
è interconnesso e correlato, e l'insieme è certamente superiore alla semplice
somma delle parti. Ogni più piccola componente dell'ecosistema non può essere
intesa come un'entità a sé stante ma va vista nell'ottica delle sue potenziali o
reali relazioni.
Quale modello di olivicoltura biologica?
Nell'ambito del metodo di produzione biologico è indispensabile individuare un
complesso di strategie adottabili negli ambienti mediterranei.
A tal fine occorre:
 conoscere le relazioni esistenti tra le singole colture arboree con i principali
componenti dell'agroecosistema: ambiente pedoclimatico, flora, fauna,
infrastrutture del paesaggio;
 sviluppare una visione d'insieme per evitare di non capire la realtà e produrre
nella gestione aziendale più effetti negativi che positivi;
 effettuare scelte varietali idonee, opportune consociazioni, lavorazioni
appropriate, corretta gestione della fertilità e del controllo delle infestanti e dei
parassiti, protezione dei nemici naturali.
Agroecosistema oliveto
Come un sistema di relazioni possa influenzare la
gestione agronomica della coltura e il risultato
economico, sociale ed ambientale.
Biocenosi
Sistema
suolo
Sistema
climatico
Agroecosistema
Sistema
acqua
Gestione
agronomica
Infrastrutture
1. LA BIOCENOSI
1. La biocenosi
La biocenosi nell'agroecosistema oliveto è rappresentata dall'insieme della flora
e della fauna che in esso vive. Gli organismi viventi interagiscono tra loro
influenzati dal clima e dal suolo che caratterizzano gli agroecosistemi delle
diverse zone. Le attività agricole esercitate dall'uomo spesso alterano un
equilibrio preesistente ed inevitabilmente interagiscono con l'intera biocenosi.
Spetta all'uomo conoscere i rapporti che intercorrono tra gli organismi dannosi ed
i loro nemici naturali e quanto questi ultimi dipendono dalla disponibilità di prede
alternative.
L'agricoltore biologico, favorendo la complessità dell'agroecosistema, anche
aumentando la presenza di piante utili, deve tendere ad alterare il meno possibile
l'equilibrio a cui tende ogni biocenosi.
1.1. Insetti dannosi
La fauna dell'oliveto è caratterizzata da numerose specie dannose riconducibili
ad insetti, funghi, acari, nematodi, batteri e uccelli. Nell'ambito degli insetti vi
sono alcune specie da considerarsi importanti per l'ampia diffusione territoriale e
per la frequenza di attacco. La "Mosca dell'olivo" rappresenta l'insetto chiave.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
1.1.1. I fitofagi principali
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Mosca dell'olivo
Classificazione
Ordine: Diptera
Famiglia: Tephritidae
Genere e specie: Bactrocera oleae (Gmelin) = Dacus oleae Gmelin
Morfologia
Adulto.
La femmina è lunga 4-5 mm, ad ali aperte 10-12 mm di larghezza. Sul capo,
giallastro, sono evidenti gli occhi verde-bluastri. Il torace è grigio-bluastro con tre
linee nerastre; le ali sono trasparenti con una macchietta apicale brunastra,
l’addome è castano chiaro macchiettato. La femmina si differenzia dal maschio
per l’evidenza dell’ovopositore e le maggiori dimensioni dell’addome.
Uovo.
Inserito nella polpa tramite una puntura di ovideposizione (deposizione
dell’uovo), è difficilmente visibile ad occhio nudo per le piccole dimensioni; ha la
forma affusolata ed è di colore biancastro.
Larva matura.
E’ di colore bianco-giallastro, priva di zampe ed è lunga 6-7 mm. Il capo è quasi
assente ma sono tipiche e ben evidenti le mandibole trasformate in due uncini
neri che la larva utilizza per lacerare la polpa dell’oliva e muoversi nel frutto.
Pupario.
E’ simile ad un barilotto con le estremità arrotondate e lungo 3,5-4,5 mm; di
colore giallo quando è appena formato e successivamente rossastro, nel cui
interno la larva matura si trasforma in adulto.
Diffusione
La mosca dell’olivo è diffusa tipicamente nell’area mediterranea ma è presente
anche in Eritrea, Sud Africa, isole Canarie e Medio Oriente. Nelle aree di
diffusione naturale della mosca ci sono delle zone, dette pandacie, caratterizzate
dal clima mite. In tali zone l’insetto riesce a riprodursi tutto l’anno e tutti gli anni
grazie anche alla presenza di piante di grandi dimensioni che poco si prestano
ad una raccolta totale, quindi l’insetto trova disponibilità di frutti per lunghi periodi;
spesso tale disponibilità è rafforzata dalla presenza di olivi selvatici e cultivar
(varietà coltivata) a diversa epoca di maturazione.
In altre zone, dette merodacie, l’attività della mosca è ostacolata da fattori
climatici spesso sfavorevoli. Tali aree, presenti nella stessa Italia meridionale
sono generalmente zone interne o di alta collina, dove le piante di olivo sono
piuttosto piccole e quindi la raccolta totale riduce la disponibilità di drupe (frutti)
per l’ovodeposizione.
In Puglia, le pianure o le zone costiere offrono buone possibilità allo sviluppo
della mosca, che non sempre riesce a svilupparsi altrettanto bene nelle zone
interne della Murgia e della Daunia.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Piante ospiti
La mosca può compiere il suo ciclo esclusivamente nelle drupe dell’olivo e
dell’olivastro.
Etologia
Adulto
Gli adulti si nutrono di sostanze zuccherine come le melate di cocciniglie e il
nettare di fiori; utilizzano anche succhi di frutti maturi, come ad esempio i fichi.
Se l’adulto ha la possibilità di nutrirsi vive fino a nove mesi. Gli adulti sfarfallati in
autunno, possono trascorrere l’inverno anche lontano dall’oliveto e attendendo
anche oltre il mese di luglio le nuove olive adatte per l’ovideposizione.
Gli adulti volano solo di giorno e in assenza di vento, con temperature oltre i 1415°C; sono lenti volatori in oliveti con drupe disponibili, ma si spostano
abbastanza velocemente se sono alla ricerca di olive recettive (con nocciolo
lignificato).
Nella chioma gli adulti si spostano alla ricerca di un microclima adatto. Nei
periodi più favorevoli all’ovideposizione (settembre–ottobre) mostrano preferenza
per il lato sud, sud-ovest della chioma e per frutti ad oltre 1,5 m di altezza.
Nelle femmine la maturazione delle uova viene accelerata dalla presenza delle
olive in via d’ingrossamento e rallentata o del tutto ostacolata dalle alte
temperature. In condizioni ottimali l’ovideposizione comincia a 7–9 giorni dallo
sfarfallamento, preceduta spesso da punture di ovideposizioni sterili, cioè prive di
uova. La femmina, guidata da stimoli visivi e chimici, predilige per
l’ovideposizione le olive più grosse, ma ancora verdi. Ogni femmina depone in
totale 200-300 uova con il massimo dell’attività a temperature comprese tra i 20
e 27° C, in presenza di elevata umidità (80-90% di umidità relativa) e di drupe
recettive (condizione di fine estate nelle aree mediterranee).
La durata dell’incubazione delle uova è variabile e dura da 2 giorni (a 28-30°C)
fino a quasi tre settimane nella stagione fredda.
Larva
La larva scava una galleria nella polpa e la sua crescita avviene attraverso tre
stadi di sviluppo, dette età, impiegando 10-12 giorni nel periodo agosto–ottobre e
oltre 150 giorni in inverno. La larva, giunta alla terza età, si costruisce una nicchia
a ridosso del nocciolo e apre un foro di 1,5-2 mm verso l’esterno del frutto,
lasciando integra l’epidermide a momentanea chiusura del foro.
Pupa
L’impupamento può avvenire all’interno dell’oliva se il frutto non è maturo
altrimenti la larva tende a lasciarsi cadere al suolo dove impuparsi a breve
profondità. I pupari possono essere rinvenuti anche nei cavi degli alberi o nelle
screpolature della corteccia e nei frantoi al momento della raccolta. Lo stadio di
pupa dura 10 giorni in estate e vari mesi in inverno. Gli adulti possono
fuoriuscire dal terreno anche in pieno inverno in zone pandacie (litorali al Sud)
mentre in zone merodacie (collinari al Sud) si ha una interruzione degli
sfarfallamenti dalla metà di novembre alla metà di marzo.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Andamento delle popolazioni
La mosca delle olive ha un numero di generazioni variabili a seconda delle
regioni olivicole, del clima e della disponibilità di olive. La mosca può compiere 12 generazioni, a partire da marzo fino a maggio-giugno, nelle aree litorali
pandacie con la presenza di frutti non ancora raccolti. In tale epoca sfarfallano i
primi adulti e riprendono l’attività quelli che hanno svernato.
A fine giugno-luglio, se sono disponibili olive da mensa, si compie la prima
generazione della infestazione estiva.
Da agosto a novembre, a seconda della recettività delle olive, si possono avere
altre tre generazioni che si accavallano tra loro.
Dopo annate di scarica o con poche olive e nelle zone merodacie le due
generazioni primaverili sono poco significative e l’incremento della popolazione
avviene con le generazioni estive se le condizioni ambientali sono favorevoli; in
tal caso la durata di una generazione può ridursi a poco più di un mese. Ciò
conduce alla sovrapposizione delle generazioni e ad un aumento della
pericolosità del fitofago.
Considerata la grande variabilità nei tempi di sviluppo del fitofago si rende
indispensabile eseguire monitoraggi e campionamenti per conoscere la reale
presenza e dannosità della mosca.
Danni
La mosca delle olive viene considerato “insetto chiave” della coltura perché
attacca direttamente il frutto.
Il danno diretto consiste in un calo di produzione perché le larve, oltre ad
alimentarsi della polpa delle drupe, ne causano anche una cascola precoce.
I danni indiretti sono dovuti al deterioramento qualitativo dell’olio e sono spesso
sottovalutati. La qualità dell’olio è scadente per l’acidità elevata causata
dall’inquinamento microbico che interviene sulle olive lesionate dal fitofago; tali
processi di degradazione avvengono più velocemente in olive cadute al suolo.
L’olio ottenuto da olive infestate può essere conservato per un tempo inferiore.
I danni qualitativi sono quasi nulli anche con infestazioni del 30% se le olive
vengono molite subito dopo la raccolta. Inoltre anche con infestazioni più elevate,
ma con olive raccolte quando la maggior parte delle larve sono piccole (olive
agrariamente sane) si ottiene un olio ancora di buona qualità. I valori si elevano
fino a 10 volte per olive sottoposte a frangitura dopo un mese dalla perforazione
rispetto a quelle molite presto.
Un danno particolare, solo di tipo estetico, è arrecato dalle punture di
ovideposizione sulle olive da mensa.
Sistema di controllo della mosca delle olive
Ogni azione di controllo della mosca delle olive da parte dell’uomo presuppone
una buona conoscenza dell’insetto e dell’entità della sua popolazione in campo.
L’agricoltore, con l’ausilio delle trappole e per mezzo dei monitoraggi e
campionamenti, può rilevare l’andamento dello sviluppo dell’insetto e valutare i
danni.
In olivicoltura biologica il principale metodo di controllo consiste nella conoscenza
e nello sfruttamento dei fattori naturali di limitazione presenti nell’agroecosistema.
La conoscenza dei fattori climatici aiuta a comprendere quando la mosca delle
olive è ostacolata nel suo sviluppo dall’andamento climatico e in quali ambienti
non può risultare molto dannosa. La presenza dei suoi nemici naturali deve
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
essere sostenuta favorendo la complessità dell’agrosistema soprattutto con la
protezione di aree rifugio e la salvaguardia di specie vegetali ritenute utili.
L’uomo, con una gestione oculata dell’oliveto, può sfruttare a suo vantaggio i
fattori agronomici di limitazione. Spesso in ambiente mediterraneo la mosca delle
olive può assumere incrementi tali di popolazione che si rende necessaria la
messa in atto di fattori artificiali di controllo da parte dell’uomo al fine di limitare i
danni.
Fattori naturali di limitazione
Temperatura
La temperatura è il fattore naturale che influenza maggiormente la biologia della
mosca delle olive, rallentando fino ad impedirne lo sviluppo.
Ripresa dell’attività
dell’adulto
Accoppiamento
Piena attività
Blocco della
produzione di uova
Morte di tutti gli stadi
>6-7°C
>1415°C
>1819°C
>30°C
Al tramonto
Con scarsa umidità
<-9°C e
>42°C
Influenza della temperatura sulla mosca delle olive
In campo, in estate, le temperature all’interno della chioma sono mitigate dal
microclima che in essa si crea. Ma per le drupe esposte al sole la temperatura
interna può arrivare ai 36°C, tale da aversi in certe annate una mortalità di uova
e larve di prima età del 90%.
L’andamento tipico del clima pugliese sfavorisce lo sviluppo della mosca in piena
estate (luglio e inizi di agosto), a seguito del blocco delle ovideposizioni e morte
delle larve giovani.
In genere, con le basse temperature di fine autunno-inizio inverno si allungano i
tempi di sviluppo che consentirebbero di giungere alla raccolta con basse
infestazioni nelle zone interne o di alta collina. Gli effetti delle temperature nel
limitare lo sviluppo dell’insetto possono essere verificati solo con monitoraggi e
campionamenti.
Umidità
In condizioni di umidità relativa modesta e con temperature elevate gli adulti della
mosca bloccano la riproduzione ed aspettano che condizioni favorevoli vengano
ristabilite con le prime piogge di fine estate; le drupe riacquistano turgore e
grossezza tale da indurre l’ovideposizione. In oliveti irrigui tali requisiti possono
essere raggiunti dalle drupe con facilità ed anticipatamente; inoltre il microclima
più umido mitiga gli effetti nocivi delle temperature elevate.
Nelle zone meridionali valori di umidità relativa bassi (inferiori al 50%) sono
abbastanza frequenti. Nell’ambito dello stesso oliveto valori più alti di umidità si
riscontrano all’interno della chioma e in avvallamenti del terreno e ciò deve
essere tenuto presente nei monitoraggi e campionamenti.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Nemici naturali.
Le larve e le pupe nel terreno vengono predate da insetti terricoli come i
coleotteri carabidi e stafilinidi, le formiche e i miriapodi.
Le larve e le pupe di mosca possono essere parassitizzate direttamente nelle
drupe da insetti imenotteri: Eupelmus urozonus Dalm., Pnigalio agraules (Walk.),
Cyrtoptyx latipes Rond., Eurytoma martelli Dom., Dinarmus virescens (Masi),
Opius concolor (Sz.). Il dittero Prolasioptera berlesiana Paoli, pur trasmettendo
un fungo agente del marciume delle olive (Camarosporium dalmaticum Th), è un
nemico della mosca.
Tra i vertebrati alcune specie di uccelli sono attivi predatori di larve della mosca
delle olive. La loro azione si verifica soprattutto quando le larve si lasciano
cadere al suolo per impuparsi.
Fattori agronomici di limitazione
L’agricoltore con le pratiche agronomiche è in grado di influenzare, favorendone
o meno, lo sviluppo della mosca delle olive. L’alternanza di produzione, con le
sue annate di scarica, se si verifica su ampie zone, può determinare l’assenza
delle generazioni primaverili. Ciò condurrebbe successivamente a scarse
popolazioni autunnali e quindi basse infestazioni.
Nella gestione dell’oliveto va tenuto presente fin dall’impianto che la mosca
dell’olivo ha delle aree particolarmente ideali al suo sviluppo che incidono
indirettamente sulla vocazionalità del territorio per la coltura. Nella fase
d’impianto va considerato che la consociazione con cultivar da mensa e precoci
può favorire gli attacchi dei primi mesi estivi con aumento delle popolazioni che
attaccherebbero successivamente le cultivar tardive. Nella gestione dell’oliveto ci
sono pratiche come l’irrigazione, la potatura, la fertilizzazione, le lavorazioni del
terreno, la raccolta, nonché le azioni sull’agroecosistema che favoriscono lo
sviluppo di organismi utili che nell’insieme possono favorire o meno lo sviluppo
della mosca.
Fattori artificiali di limitazione
Controllo biologico
Programmi di controllo biologico contro la mosca dell’olivo con l’impiego del
braconide Opius concolor (Sz.) sono stati sviluppati secondo la metodologia
inondativa (immissione in campo di grandi quantità di insetti utili allevati). L’Opius
è presente in natura, acclimatato, nel Sud della Sardegna e in Sicilia seppur con
bassi livelli di parassitizzazione. L’Opius allevato può essere introdotto in campo
in primavera per limitare le generazioni che andrebbero ad attaccare le olive in
estate, o all’inizio dell’estate per fermare l’infestazione in atto. Sperimentazioni su
vasta scala condotte negli anni ‘60 hanno dimostrato la possibilità di ottenere
olive da olio agrariamente sane con lanci di un centinaio di adulti per pianta in
estate. Purtroppo l’introduzione dell’Opius realizzata finora nelle isole Eolie e in
Toscana, Liguria, Sardegna e Sicilia, ha evidenziato la difficoltà del parassita a
insediarsi stabilmente nel tempo. In Puglia, dopo i lanci effettuati sul Gargano, gli
esemplari si diffondevano con facilità sul territorio senza sopravvivere però ai
rigori invernali. La metodologia inondativa dei lanci di Opius può essere integrata
con l’impiego di trappole attrattive per la cattura massale e con la raccolta
anticipata delle olive.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Controllo con mezzi biotecnici.
La conoscenza di alcuni aspetti del comportamento della mosca dell’olivo viene
sfruttata per impostare metodologie di controllo a basso impatto ambientale.
A tali fini ci si avvale dell’uso delle trappole che, se installate in alto numero
(quasi una per pianta), vengono sfruttate nel metodo della cattura massale
(eliminare il maggior numero possibile di adulti). Le trappole in tal caso possono
essere innescate con attrattivi alimentari o con feromoni e cosparse di colla o
impregnate d’insetticida.
Le trappole installate in numero ridotto (2-10 ad ettaro a seconda del tipo di
trappola) sono utilizzate solo per il monitoraggio.
Controllo con mezzi tecnici.
Il controllo della mosca dell’olivo in agricoltura biologica non può essere diretto
contro le larve viventi nelle olive in quanto i prodotti ammessi non sono in grado
di penetrare nei tessuti. Un metodo di controllo adottato contro gli adulti consiste
nel metodo delle esche avvelenate: irrorazioni con liquidi zuccherini o attrattivi
proteici avvelenati con piretro naturale o con rotenone. Non produce risultati di
rilievo data la notevole capacità di spostamento dell’insetto e la necessità
d’intervento su vaste aree.
Un metodo adottato nella pratica di campo consiste nell’irrorare ripetutamente gli
alberi con prodotti quali il piretro naturale, il rotenone e la Quassia (si ricorda che
il Neem non e più ammesso a tale uso dal Reg. CE 1488/97); l’efficacia del
metodo non è supportata sufficientemente da prove sperimentali.
Un metodo preventivo antideponente ha interessato la ricerca in passato e
consiste nell’utilizzo di sostanze o composti (polisolfuro di calcio, zolfo, poltiglia
bordolese, calce, oli essenziali, ecc.) che dovrebbero rendere meno recettiva o
repellente la drupa per ovideposizione. Il metodo non è applicabile in quanto la
maggior parte di tali sostanze non sono ammesse. Inoltre poco si conosce sulla
possibilità che tali sostanze lascino residui nell’olio.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Tignola dell'Olivo
Classificazione
Ordine: Lepidoptera
Famiglia: Yponomeutidae
Genere e specie: Prays oleae (Bernard) (= Prays oleellus F.)
Morfologia
L’adulto è una farfallina lunga 6-6,5 mm con un'apertura alare di 12-15 mm, di
colore grigio a riflessi argentei con varie macchie nere sulle ali anteriori.
L’uovo è piccolo, circa mezzo millimetro, di forma appiattita. Il colore è
inizialmente bianco e poi giallastro, infine tende al bruno per la presenza della
larva all’interno.
La larva appena nata è lunga 0,6 mm e di colore nocciola. Quella matura è lunga
7-8 mm; sul colore nocciola si evidenziano il capo brunastro, due fasce olivacee
sul dorso e due fasce gialle lateralmente.
La crisalide è lunga circa 5 mm, brunastra e avvolta in un rado bozzolo di colore
bianco sporco.
Diffusione.
La Tignola dell'olivo è una specie diffusa in tutte le aree del bacino del
Mediterraneo e lungo le rive del Mar Nero, ove è coltivato l'olivo.
Piante ospiti.
La pianta ospite preferita dalla Tignola è l'olivo, ma essa può vivere anche su
altre oleacee (Gelsomino, Ligustro, Filirrea) e, sembra, anche a carico di diverse
specie di Anemone.
Etologia
Adulto
Gli adulti della tignola dell’olivo non sono dannosi direttamente in quanto
possono nutrirsi solo sostanze zuccherine. La generazione fillofaga (che si
sviluppa sulle foglie), antofaga (sui fiori) e carpofaga (sui frutti) compaiono
rispettivamente in Marzo-Maggio, Giugno e Settembre. Gli adulti hanno abitudini
crepuscolari, volando preferibilmente al tramonto, e necessitano di almeno 1213°C per essere attivi. Dopo due o tre giorni dall'accoppiamento ha inizio
l'ovideposizione producendo in media 200 uova che impiegano da 6 a 8 giorni
per schiudere.
Le uova vengono deposte generalmente sui diversi organi (foglie, fiori e frutti) a
seconda della generazione ma i fiori sono maggiormente preferiti. Ciò è stato
osservato in Puglia a seguito di un’insolita presenza di fiori contemporaneamente
ad olive allegate.
Larva
Lo sviluppo larvale avviene attraverso cinque età. Le larve si nutrono
preferibilmente di organi vegetali diversi a seconda della generazione cui esse
appartengono. Comunque in annate di particolare carenza di fiori e quindi di
frutti, la specie può svolgere tutte e tre le generazioni a spese delle foglie.
Le larve della generazione antofaga penetrano nei bocci rodendoli dall'interno, in
seguito tessono fili di seta per riunire insieme più bocci e costruire un riparo in cui
incrisalidarsi.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Le larvette della generazione carpofaga penetrano nell'olivina appena fuoriuscite
dall’uovo e raggiungono il nocciolo prima che cominci ad indurirsi, sviluppandosi
esclusivamente a spese della mandorla. Tra agosto e settembre le prime larve
mature cominciano ad uscire dal frutto, praticando un foro nei pressi del
peduncolo, per incrisalidarsi sulla pianta o nel terreno. A seguito della fuoriuscita
delle larve le olive cadono al suolo.
Le larve della generazione fillofaga penetrano nel tessuto fogliare scavando una
galleria sempre più larga e di diversa forma a seconda delle età.
Età della larva fillofaga
1° età
2° età
3° età
4° età
5° età
Sintomatologia sulla foglia
Galleria a forma di S
Galleria a forma di C
Galleria a forma di C allungata
Erosioni a chiazza
Erosioni esterne
Crisalide
Lo stadio di crisalide dura da sei-nove giorni fino a due-tre settimane nei periodi
con temperature più basse. L'incrisalidamento può avvenire tra i residui fiorali nel
caso di crisalidi provenienti dalle larve antofaghe, sulla pianta, o nel terreno nel
caso di quelle provenienti dalle larve carpofaghe, e tra i germogli o le
screpolature della corteccia nelle crisalidi derivanti dalle larve fillofaghe.
Andamento delle popolazioni
Nel bacino del Mediterraneo la Tignola dell’olivo presenta tre generazioni all'anno
che possono essere seguite in campo con l’ausilio delle trappole e per mezzo dei
monitoraggi e campionamenti.
Fin dall’inizio della primavera sfarfallano i primi adulti dell'anno, provenienti da
larve svernanti, che per lungo tempo si sono alimentate di foglie. Questi
ovidepongono sui bocci fiorali e le larve completano velocemente il loro
accrescimento, entro la fine della fioritura, favorite dalle temperature ottimali e
dall'alimento altamente nutritivo. Difatti l’intera generazione antofaga si conclude
al massimo entro l’inizio di luglio. Dalle nuove uova deposte sulle olivine da poco
allegate ha origine la generazione carpofaga le cui larve, vivendo nel nocciolo
della drupa, sfuggono all’osservatore e ai nemici naturali. A fine agostosettembre le larve ormai mature, fuoriuscendo dal nocciolo, causano la caduta
delle olive infestate, fenomeno noto come cascola di settembre. Gli adulti che
derivano da quest'ultima generazione sono presenti nell'oliveto per quasi tutto
settembre e buona parte di ottobre e novembre. Da questi ha origine la
generazione fillofaga destinata a svernare.
Danni
La Tignola dell’olivo è un insetto che solo in alcune regioni ed in alcune annate
può essere preso in considerazione per l'entità dei danni provocati.
I danni causati dalla Tignola all'olivo interessano nello stesso anno prima le
foglie, poi i fiori ed infine i frutti.
La generazione fillofaga forma gallerie più o meno larghe ed erosioni sulla pagina
inferiore delle foglie. Questa generazione è comunque sopportata bene dalla
pianta e solo raramente diviene dannosa, per attacco soprattutto ai germogli in
primavera (attività delle larve di quinta età). In quest'ultimo caso sono possibili
danni solo a carico dei giovani innesti.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
La generazione antofaga provoca abitualmente solo un diradamento dei fiori
dell'olivo che, nella maggior parte dei casi, non comporta diminuzione di
produzione. Difatti l’allegagione nell’olivo è talmente bassa, ed il numero di fiori
così elevato, che la larva potrebbe distruggere tantissimi fiori prima di diminuire
significativamente il numero di frutticini allegati. Peraltro le larve di questa
generazione rappresentano una fonte di cibo importante per i predatori che poi
attaccheranno le uova della generazione successiva ed altri insetti nocivi.
La generazione carpofaga è l’unica che può provocare un danno economico.
Essa causa una debole cascola (precoce) in luglio, insieme alla cascola
fisiologica, a carico dei frutticini delle dimensioni di un acino di pepe per la
penetrazione delle larvette nel seme. Tale perdita viene compensata dal maggior
accrescimento delle olive rimaste. Una seconda cascola in settembre-ottobre,
dovuta alla fuoriuscita delle larve dalle drupe, può causare invece una perdita
notevole di produzione.
Generazione
Fillofaga
Organo
attaccato
Foglia
Antofaga
Fiori
Carpofaga
Frutti
Sintomi
Erosione
della foglia e
a volte di
germogli
Erosione dei
fiori
Cascola delle
olive a
settembre
Danni
Quasi sempre
nulli
Nulli
Elevati solo in
alcune annate
Sistema di controllo del fitofago
Ogni azione di controllo dei fitofagi da parte dell’uomo presuppone una buona
conoscenza dell’insetto e dell’entità della sua popolazione in campo.
L’agricoltore, con l’ausilio di monitoraggi (effettuati principalmente con trappole) e
di campionamenti, può rilevare l’andamento dello sviluppo dell’insetto e valutare i
danni. In olivicoltura biologica si deve tendere a conoscere e sfruttare i fattori
naturali di limitazione presenti nell’agrosistema oliveto in modo da comprendere
quando la Tignola dell’olivo è ostacolata nel suo sviluppo, ad esempio
dall’andamento del clima. La presenza dei suoi nemici naturali deve essere
sostenuta favorendo la complessità dell’agrosistema. L’uomo con una gestione
oculata dell’oliveto deve tendere a sfruttare a suo vantaggio i fattori agronomici di
limitazione. Nei confronti della Tignola dell’olivo i fattori artificiali di controllo
utilizzabili dall’uomo sono limitati, ma di solito è limitata anche la pericolosità
dell’insetto.
Fattori naturali di limitazione
Influenza della temperatura
La temperatura influenza lo sviluppo della tignola dell'olivo in ogni suo stadio di
sviluppo. Per gli adulti la temperatura minima per essere attivi è di 12-13°C
mentre quella ottimale è rappresentata dai 25-30 °C.
L’influenza maggiore della temperatura si verifica soprattutto sull'ovideposizione
e sulla vitalità delle uova. Difatti il numero di uova deposte si riduce molto con
valori inferiori ai 12-15°C. Lo sviluppo ottimale delle uova si ha intorno ai 18°C
mentre temperature superiori a 27-28° C ne rallentano lo sviluppo, causando
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
frequentemente mortalità delle uova della generazione carpofaga.
Le alte temperature pur uccidendo le larve neonate della generazione carpofaga
non ostacolano le larve più grandi ben protette nel nocciolo. Quindi lo sviluppo
delle larve è condizionato prevalentemente dalle temperature minime; la mortalità
invernale delle larve fillofaghe aumenta con l’aumentare del numero di giorni con
temperatura minima uguale o inferiore a zero; in primavera le larve di quinta età
e crisalidi bloccano la loro attività con valori inferiori ai 7-8 °C.
Temperature medie ottimali per lo sviluppo della tignola
Stadio di sviluppo
Temperatura media
ottimale
Adulto
25- 30°C
Uovo e larva
18-22°C
Influenza dell’umidità
L’umidità relativa dell’aria può rappresentare un fattore limitante per uova e larve
se si abbassa oltre certi livelli.
Nelle uova diminuisce la percentuale di schiusura ad umidità inferiore al 60%.
Per le larve di quinta età e le crisalidi il 50% di umidità rappresenta un fattore
limitante.
Per gli adulti un'umidità relativa del 50% rappresenta il valore ottimale.
Nemici naturali
L’olivo è tra le colture arboree quella che più consente all'agricoltore di
mantenere la biodiversità dell’agrosistema. Difatti specialmente negli oliveti più
vecchi è facile notare la presenza di alberi di fico o arbusti della macchia
mediterranea sui muretti di confine. Ciò favorisce un equilibrio più stabile tra
insetti utili e nocivi attenuando i normali picchi di sviluppo dell’insetto dannoso.
Tra gli animali, solo gli uccelli, sedentari o di passaggio, si cibano di larve e adulti
della tignola dell’olivo.
Numerosi sono invece gli insetti predatori e parassiti della tignola. Alcuni si
sviluppano a spese delle uova, come le attivissime larve predatrici di crisope ed
antocoridi, nonchè gli imenotteri tricogrammatidi. Altri attaccano lo stadio larvale
quali le larve dei ditteri sirfidi a carico della generazione antofaga, l'imenottero
calcidoideo Ageniaspis fuscicollis Dalm. var. praysincola Silv., l'imenottero
braconide Chelonus elaeaphilus Silv. e l'imenottero calcidoide Elasmus steffani
Vigg. Le crisalidi vengono parassitizzate dall’imenottero Itoplectis alternans Grav.
Bisogna comunque ricordare che sulla generazione carpofaga l'attività dei
parassitoidi non produce un beneficio economico immediato. Infatti i parassitoidi
se portano a morte la tignola quando ha raggiunto lo stadio di larva matura o di
crisalide non impediscono la cascola prematura delle drupe.
Fattori agronomici di limitazione
Influenza della consociazione
La presenza di alcuni olivi di varietà che fioriscono prima o di cultivar da mensa
(a drupa grande) rende disponibili, subito dopo l’allegagione, drupe più sviluppate
rispetto alle altre. Queste sono preferite dalla tignola costituendo centro
d'attrazione per le prime ovideposizioni. Tali piante potrebbero rivelarsi più
attaccate.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Influenza della potatura
La potatura influendo sul numero di fiori ed olive presenti sulla pianta condiziona
la percentuale di olive su cui viene deposto l’uovo della tignola dell’olivo. Difatti
teoricamente se un adulto di tignola ha a disposizione un numero elevato di olive
su cui ovideporre ci saranno anche olive prive di uovo, mentre se il numero di
olive è limitato le olive senza l’uovo saranno poche fino a giungere a più uova per
oliva. Perciò a parità di condizioni, se ci sono meno olive maggiore è la
percentuale di olive su cui è stato posto l’uovo. Quindi il rischio è maggiore su
alberi potati drasticamente o in scarica specie se posti tra alberi con molte olive.
E’ stato anche osservato che il peso della drupa influenza l’entità della cascola di
settembre. Quindi potature drastiche rispetto alla potenzialità produttiva della
pianta e del terreno, incrementando il peso della drupa, potrebbero aumentare la
cascola di settembre.
Influenza della scelta varietale
Fin dal passato, tra alcune varietà è stata notata una diversa consistenza della
cascola di settembre causata dalla tignola dell’olivo.
In Puglia non risultano ricerche eseguite sulla diversa suscettibilità delle varietà
dell’olivicoltura pugliese.
Recentemente osservazioni eseguite in un campo-collezione della Sardegna
hanno permesso d’individuare delle caratteristiche varietali che influenzano lo
sviluppo della tignola.
Alcune caratteristiche influenzano la preferenza dell’insetto ad ovideporre sulle
olive poco dopo l’allegagione. La caratteristica principale è il maggior peso delle
olive al momento dell’ovideposizione; ne deriva la maggiore preferenza verso le
olive da mensa.
Altre caratteristiche varietali influiscono sulla mortalità della larva penetrata
nell’oliva. Ciò può essere considerato pari alla resistenza della piante nei
confronti della tignola e può essere misurato dall’indice di riduzione.
L’aspetto più evidente è che generalmente le varietà a drupa piccola sono più
resistenti di quelle a drupa grande ma è l’insieme dei seguenti fattori che porta a
questo risultato complessivo:
- intensità della cascola fisiologica
- rapidità di indurimento del seme
- qualità nutritiva del seme
- peso medio delle drupe e del seme alla raccolta.
Fattori artificiali di limitazione
Controllo biologico
Alcuni tentativi di controllo biologico contro la tignola dell'olivo sono stati effettuati
in alcune aree olivicole.
Un esempio di controllo biologico è stata l'introduzione in oliveti della Grecia
dell'imenottero braconide Chelonus eleaphilus Silv. previo allevamento su ospiti
alternativi. Tali lanci inoculativi, effettuati a fine maggio-giugno, hanno
evidenziato una buona capacità dell'insetto a parassitizzare la tignola e a
superare l'inverno.
Altre prove, condotte in Toscana, sono state finalizzate a favorire l'azione di
predatori crisopidi già presenti in campo. Ciò è stato attuato distribuendo sulla
pianta miscele di attrattivi alimentari (saccarosio, lieviti, ecc.) tale da
incrementare la presenza e l'ovideposizione delle crisope poco prima dell'inizio
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
dell'ovideposizione della tignola. Durante la prova è stato registrato un aumento
di adulti presenti e di predazione delle uova.
Controllo con mezzi biotecnici
In base alle conoscenze acquisite sulla biologia ed etologia della tignola si è
cercato di impostare linee di controllo che avessero un basso impatto per
l'ambiente.
A riguardo l'individuazione e la produzione su scala commerciale del feromone
sessuale di questa specie ha permesso l'utilizzo in campo di trappole a
feromone. Al momento queste trappole servono da monitoraggio per seguire
l'andamento dei voli ma sono in corso studi sulla possibilità di utilizzare trappole
a feromoni per le catture massali.
Contro la tignola è disponibile quale mezzo biotecnologico il batterio Bacillus
thuringiensis Berliner., utilizzato come un normale mezzo tecnico contro i
lepidotteri, nella pratica agricola biologica.
Controllo con mezzi tecnici
Contro la tignola dell'olivo sono state realizzate prove di controllo biologico
adoperando diversi formulati di Bacillus thuringiensis Berliner. Tali prove sono
state portate a termine in Puglia, Toscana, Sardegna e Grecia sia contro gli ultimi
stadi larvali della generazione fillofaga che contro gli stadi larvali di quella
antofaga e carpofaga. Circa la generazione più opportuna su cui effettuare
l'intervento si hanno ancora dati discordanti, così come non sempre i risultati
della difesa risultano soddisfacenti per la limitazione del danno economico. In
effetti il Bacillus thuringiensis avrebbe una discreta efficacia contro la tignola ma
non si ottengono buoni risultati contro la generazione carpofaga, l'unica
potenzialmente dannosa. Ciò è dovuto al comportamento della larva neonata che
penetra presto nell'oliva senza alimentarsi in superficie del batterio. Quindi il
controllo deve essere esercitato sulla generazione antofaga con l'obiettivo di
diminuire la successiva popolazione di adulti ovideponenti sulle olivine. Prove di
efficacia di tale metodologia hanno evidenziato una elevata mortalità delle larve a
carico dei fiori e riduzione del grado d'infestazione della generazione successiva.
Risulta importante ripetere l'intervento se si verificano piogge dopo pochi giorni,
non essendo il prodotto assorbito dalla pianta.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Cocciniglia nera dell’olivo
Classificazione
Ordine: Rhynchota
Famiglia: Coccidae o Lecaniidae
Genere e specie: Saissetia oleae (Oliv.) (= Coccus oleae Oliv.)
Morfologia
Adulto.
La femmina ha corpo ovale con un rilievo o carena longitudinale e due
trasversali che la caratterizzano; la lunghezza varia da mm 1,8 a mm 5,5 e la
larghezza da mm 1 a mm 4 a seconda dalla pianta ospite. Il colore inizialmente
grigio giallastro diventa sempre più scuro fino al nero nella femmina in
ovideposizione che assume la forma di “mezzo grano di pepe”.
Uovo.
Lungo mm 0,3 ha forma ovale; di colore rossastro tende al bianco quando è
vicino alla schiusura.
Neanidi.
Le tre età delle forme giovanili hanno il corpo di colore giallo, sempre più scuro e
con carene molto più evidenti nell’ultima età. Le dimensioni alle diverse età sono
di mm 0,3-0,7; mm 0,8-1; mm 1,1-1,6.
Diffusione
Probabilmente originaria del Sud Africa la cocciniglia nera dell’olivo è attualmente
diffusa in gran parte del mondo dove il clima non particolarmente freddo gli
consente di vivere in pieno campo. In regioni a clima rigido sopravvive solo nelle
serre. Il Bacino del Mediterraneo e le coste della California sembrano essere le
aree più favorevoli.
Piante ospiti
La cocciniglia è in grado di attaccare un numero elevato di piante coltivate,
ornamentali, spontanee, arboree, arbustive ed erbacee. Pur essendo l’Olivo, gli
Agrumi e l’Oleandro le piante più attaccate, in Italia è stato riscontrato in piccola
entità sulle seguenti piante: Gardenia, Aralia spp., Cycas revoluta,
Rhincospermum jasminoides, Cerasus avium, Prunus serrulata Shidare,
Rosmarinus officinalis, Pelargonium zonale, Albero di Giuda, Evonimo, Lentisco,
Palme, Pitosporo, Asparagus silvaticus, Erica scoparia, Eryngium campestre,
Myrtus spp..
Più abbondante è stata ritrovata su Cardo saettone (Carduus pycnocephalus L.),
Carlina raggio d’oro, (Carlina corymbosa L.) e Cardogna comune (Scolymus
hispanicus L.).
Etologia
La cocciniglia nera dell’olivo è in grado di svolgere più di una generazione
nell’anno. Essendo influenzata essenzialmente da fattori climatici in Italia riesce a
compiere da 1 a 2 generazioni.
Quindi negli oliveti pugliesi sono presenti popolazioni miste con i diversi stadi
dell’insetto nelle varie proporzioni. In inverno è presente soprattutto allo stadio di
neanide di II e III età anche qualche femmina adulta. In primavera riprendono
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
l’attività rallentata dai rigori invernali e cominciano a rendersi meglio visibili in
quanto le femmine pronte per l’ovideposizione assumono sempre di più la forma
e colore di mezzo grano di pepe. In maggio-giugno ovidepongono, per un
periodo di 10-15 giorni, in genere un migliaio di uova (fino a 2500) che rimangono
protette sotto lo corpo materno per circa 15-20 giorni. I tempi si allungano di
molto per l’ovideposizione della 2° generazione che avviene in settembreottobre. Le neanidi nate scalarmente sostano un po’ sotto lo scudetto materno
ma ben presto fuoriescono e si disperdono sulla pianta alla ricerca di un luogo
poco illuminato per fissarsi e cominciare a succhiare la linfa (solitamente sotto la
foglia al lato della nervatura centrale). Se si solleva lo scudetto in questo periodo
si osservano, sotto il corpo rinsecchito della femmina, delle scagliette bianche
costituite dall’ammasso delle uova schiuse. Oltre a muoversi attivamente sulle
piante, date le loro piccole dimensioni, vengono trasportate dal vento riuscendo
ad infestare altre piante. Le neanidi dopo la prima muta diventano neanidi di II
età e riescono a sopportare meglio le alte temperature estive entrando in
diapausa (stato di resistenza con rallentamento dell’attività). In ottobre lo sviluppo
procede con la III età e già qualche adulto può essere pronto per l’inverno.
In condizioni particolarmente favorevoli (inverni miti, microclima umido, scarsa
illuminazione, piante vigorose, ecc.) l’ovideposizione comincia prima, la diapausa
estiva viene annullata e ad agosto ci sono già le prime femmine che danno il
massimo dell’ovideposizione in settembre-ottobre. Con l’inverno le ultime uova
presenti e le neanidi di I età verranno uccise dal freddo.
Andamento di popolazione
Lo sviluppo della cocciniglia nera dell’olivo è estremamente influenzato da fattori
climatici e colturali.
In Puglia svolge in modo costante un ciclo all’anno a cui si sovrappone una
seconda generazione ove i fattori succitati siano favorevoli. Ne consegue una
presenza in campo di molteplici stadi di sviluppo in proporzioni variabili tra loro.
Danni
La Cocciniglia nera dell’olivo è dannosa alla pianta infestata in ogni suo stadio di
sviluppo eccetto l’uovo. Dalla neanide di prima età alla femmina ovideponente si
nutre sottraendo linfa al vegetale. Tale suzione è irrilevante se compiuta da pochi
individui ma debilita la pianta se la popolazione è elevata e persistente. Il danno
più vistoso è quello provocato indirettamente per lo sviluppo di fumaggine che
ricopre le piante infestate e a volte le infestanti sottostanti. La fumaggine è
costituita da un insieme di funghi normalmente presenti sulle foglie (Capnodium
spp., Cladosporium spp., Alternaria spp., ecc.)e che si sviluppano sulla melata.
Le esigenze di clima caldo umido favoriscono, nell’ambiente pugliese, un primo
sviluppo nel periodo primaverile ma ben presto bloccato dal clima asciutto. In
realtà sono le prime nebbie autunnali che, specie nelle vallate e negli impianti
fitti, favoriscono un rapido sviluppo dei funghi tale da ricoprire gli alberi, prima
luccicanti per la melata, di fumaggine nera. Tali croste scure rivestono la pianta
dalle foglie al tronco impedendone la fotosintesi e la traspirazione. La pianta ne
risulta debilitata con limitato sviluppo dei germogli, caduta delle foglie e scarsa
fruttificazione. Le olive sporche di fumaggine sono più piccole a causa delle
debilitazione generale della pianta. I danni si prolungano nel tempo essendo
l’olivo una pianta che fruttifica sui rami dell’anno precedente.
Il clima secco in estate e il freddo intenso in inverno non favorisce il fungo ma
anche l’attività della cocciniglia è fortemente limitata con riduzione della melata,
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
substrato necessario al fungo. Le gelate seguite dalle piogge dilavanti
contribuiscono a staccare le croste nere dalle foglie.
Premesso che se si controlla bene la cocciniglia, fonte di melata, non si hanno
danni da fumaggine in ogni caso un’azione diretta contro il fungo può essere
fatta con i sali di rame.
Nella pratica di campo si tenta di “ripulire” a fine inverno dopo la potatura gli
alberi anneriti con ripetuti interventi con latte di calce (mezzo tecnico non
ammesso dai regolamenti CE).
Sistema di controllo del fitofago
La cocciniglia nera dell’olivo è sempre presente in oliveti, specie se biologici, ma
lo sviluppo e la dannosità è molto influenzata dal microclima e dalla presenza dei
suoi nemici naturali. Quindi rappresenta per l’olivicoltore biologico l’esempio
migliore di come l’insieme dell’azione dei fattori naturali di limitazione e dei fattori
agronomici di limitazione possa favorire o meno il fitofago.
Pur attuando preliminarmente una gestione oculata dell’oliveto e favorendo
l’azione degli insetti utili, l’agricoltore deve seguire lo sviluppo della cocciniglia
tramite i campionamenti per conoscere il potenziale di dannosità dell’insetto nel
proprio oliveto e se necessario sfruttare i fattori artificiali di limitazione ricorrendo
all’uso dei mezzi tecnici ammessi.
Fattori naturali di limitazione
Influenza della temperatura
Le temperature minime e massime che si verificano in un determinato areale
spesso condizionano la reale dannosità della cocciniglia nera dell’olivo nel lungo
periodo.
Le basse temperature invernali determinano elevata mortalità sia delle rare uova
e neanidi di prima età ma anche delle più resistenti e diffuse neanidi di seconda e
terza età, nonché femmine adulte. Ciò in Puglia si verifica spesso nelle aree
della Murgia e del Gargano in cui dopo le nevicate si ha una notevole riduzione
della popolazione svernante di cocciniglia nera dell’olivo.
Le alte temperature delle estati pugliesi sono in grado di determinare mortalità
delle neanidi di prima età. Quando i valori massimi si verificano nel periodo della
nascita delle neanidi la mortalità raggiunge facilmente il 95% ed anche oltre se
congiuntamente all’azione dell’insolazione diretta e dei venti caldi secchi.
Influenza dell’umidità
In Puglia, l’azione di limitazione esercitata sulla cocciniglia nera dell’olivo dai
bassi valori di umidità relativa è spesso associata a quella delle alte temperature
e quindi non è sufficientemente considerata. Quindi è più semplice valutare la
sua azione osservando quelle situazioni colturali in cui pur con alte temperature il
fitofago non ne risulta sfavorito; alcuni esempi sono microclima umido esistente
nelle chiome rigogliose, negli avvallamenti degli oliveti ed in zone costiere.
La pioggia battente può limitare temporaneamente lo sviluppo facendo cadere al
suolo le neanidi nate da poco, ma il maggior turgore dei germogli e la più alta
umidità relativa che ne deriva favorisce le neanidi sopravvissute.
Nemici naturali della cocciniglia nera dell’olivo.
Nell’agrosistema oliveto la cocciniglia nera dell’olivo possiede numerosi nemici
sia generici che specifici, ma nessuno in grado di contenerne sufficientemente lo
sviluppo se le condizioni climatiche e colturali le sono favorevoli.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Tra i predatori ci sono dei comuni coccinellidi quali il Chilocorus bipustulatus (L.)
e l’Exochomus quadripustulatus (L.); le larve di alcuni imenotteri quali i
calcidoidei Scutellista cyanea Mot. e Moranila californica How. che si nutrono
delle uova. Anche un lepidottero nottuide l’Eublemma scitula Rbr. è un predatore
di uova.
Molti altri imenotteri attaccano direttamente la cocciniglia sviluppandosi
all’interno del suo corpo ed appartengono ai generi Coccophagus West.,
Diversinervus Silv. e Metaphycus Mer.
Tra quest’ultimo genere il Metaphycus lounsburyi (How.)
si è diffuso
naturalmente in Italia mentre altri come il M. swirskii Ann. et Myn., il M. bartletti
Ann. et Myn. e il M. helvolus (Comp.) sono stati introdotti dall’uomo.
Anche dei funghi (Cephalosporium lecanii e specie del genere Isaria) attaccano
la cocciniglia nera dell’olivo causandone la morte in autunno e primavera.
Fattori agronomici di limitazione
Influenza della potatura.
Con una costante ed idonea potatura l’uomo può riequilibrare il vigore delle
piante ma soprattutto può limitare l’ombreggiamento delle parti interne della
chioma e l’umidità relativa che in tali parti è più elevata. Ciò va ad influire
negativamente sullo sviluppo della Cocciniglia nera dell’olivo e della fumaggine in
quanto si va ad alterare il microclima ideale, tipico della chioma degli alberi non
potati da alcuni anni o abbandonati.
Con la potatura si asporta parte delle cocciniglie svernanti e quindi in primavera
la pianta riprende la sua attività con un inoculo inferiore; da non sottovalutare è la
maggior efficacia dei mezzi tecnici che si ottiene trattando alberi potati in quanto
deve essere garantita un’ottima bagnatura.
Influenza della fertilizzazione.
Una concimazione equilibrata che rende le piante ben nutrite le pone nelle
condizioni di sopportare la presenza della cocciniglia e di riprendersi
velocemente dai danni di quest’ultima. Molta attenzione va posta nell’uso delle
concimazioni azotate e dei sovesci in quanto rendendo la linfa più ricca in
sostanze proteiche si fornisce all’insetto un alimento migliore e si induce la pianta
ad un maggior rigoglio vegetativo con conseguente maggior ombreggiamento.
Negli ambienti pugliesi tale situazione consente ala cocciniglia di accrescersi più
velocemente ed effettuare una 2° generazione nell’anno.
Influenza dei sesti d’impianto.
Una distanza e disposizione tale tra le piante di olivo che eviti l’ombreggiamento
reciproco e permetta una buona illuminazione di tutte le piante, comprese le parti
basse, rende meno favorevole lo sviluppo della cocciniglia nera dell’olivo che
preferisce posizionarsi in zone poco illuminate.
Impianti troppo fitti, in cui i rami di piante vicine siano in contatto, agevolano il
propagarsi delle infestazioni da pochi alberi all’intero oliveto; ciò a seguito sia
degli spostamenti delle neanidi di I età che per la dispersione operata dal vento.
Influenza dell’irrigazione.
Le irrigazioni facilitano l’assorbimento delle sostanze nutritive dal terreno e quindi
ne risulta stimolata una costante attività vegetativa della pianta. In Puglia, ciò
induce la pianta a non rallentare la sua attività in estate consentendo alle prime
neanidi sgusciate di completare il ciclo ed ovideporre in autunno. Inoltre la
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
maggiore fluidità della linfa è favorevole alle delicate neanidi di I età che
cominciano a nutrirsi.
Al contrario oliveti non irrigui che rallentano la loro attività nel periodo estivo
inducono la cocciniglia nera dell’olivo ad andare in diapausa ed aspettare la fine
dell’estate per riprendere l’attività. Questo allungamento dei tempi di sviluppo si
traduce nella possibilità per l’insetto di effettuare una sola generazione all’anno.
In condizioni di grave stress idrico nel periodo di sgusciamento delle neanidi si ha
quasi una resistenza indotta della pianta verso l’insetto dovuta all’alta
concentrazione della linfa che non è più agevolmente succhiata dalle delicate
neanidi.
Influenza della consociazione.
La presenza nell’oliveto di piante di fico accresce la disponibilità di alimento per
la Scutellista cyanea, nemico della Cocciniglia nera dell’olivo. Difatti sul fico sui
sviluppa una cocciniglia, il Ceroplaste del fico (Ceroplastes rusci L.), che viene
attivamente attaccata dalla Scutellista.
Fattori artificiali di limitazione
Controllo biologico
La cocciniglia nera dell’olivo, essendo originaria del Sud Africa, possiede nel
bacino del Mediterraneo un complesso di parassitoidi specifici inferiore a quello
presente nella sua area di origine dove non costituisce un problema.
In considerazione di ciò, grandi sforzi si stanno compiendo nell’intero bacino del
Mediterraneo per introdurre e valutarne l’ambientamento di parassitoidi specifici
del genere Metaphycus. I primi risultati sono incoraggianti considerando che il
Metaphycus lounburyi (How.), introdotto accidentalmente in Italia, si è ben
acclimatato e in alcune zone pugliesi raggiunge parassitizzazioni superiori alla
più conosciuta scutellista. Per altri come il Metaphycus bartletti (Ann. et Myn.) e
Metaphycus helvolus (Comp.) sono state messe a punto tecniche di allevamento
che lasciano ben sperare in un loro prossimo utilizzo per il controllo biologico.
Intanto altri parassitoidi vengono introdotti per riuscire ad interessare alla
parassitizzazione tutti gli stadi della cocciniglia.
Ai risultati conseguibili dalla sperimentazione deve seguire l’adozione da parte
dell’agricoltore di tutte quelle pratiche di salvaguardia degli insetti utili. Nel caso
di parassitoidi specifici quale è il Metaphycus sorge la necessità di assicurargli la
presenza costante nell’anno di stadi parassitizzabili della cocciniglia e ciò è
possibile se nell’agroecosistema oliveto sono presenti altre piante ospiti del
fitofago.
Controllo con mezzi tecnici
Dopo aver attuato rimosso le cause favorevoli lo sviluppo della cocciniglia nera
dell’olivo ed attuato le pratiche di protezione dei suoi nemici naturali, potrebbe
rivelarsi necessario ridurre ulteriormente la popolazione del fitofago a livelli
inferiori. Per valutare tale necessità l’agricoltore deve far ricorso al
campionamento, riuscendo in tal modo ad individuare anche il momento migliore
d’intervento.
Accertato ciò il mezzo tecnico migliore da utilizzare è l’olio bianco che possiede
un’ottima efficacia se diretto contro le neanidi di prima età. Particolare cura deve
essere posta nel bagnare uniformemente la pianta specie sulla pagina inferiore
delle foglie.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
1.1.2 I fitofagi secondari dell'olivo
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Oziorrinco
Classificazione
Ordine: Coleoptera
Famiglia: Curculionidae
Sottofamiglia: Otiorrhynchinae
Genere e specie: Otiorrhynchus cribricollis Gyll., O. sulcatus F., O. meridionalis
Gyll., O. corruptor Host, O. armatus Boh., ecc.
Morfologia
Adulto
L’adulto, lungo 6-8 mm, ha il corpo molto robusto e di forma ovale; il rostro è
corto. Le elitre sono saldate tra loro e nascondono le ali membranose ridotte o
atrofizzate; il dorso è striato da tipiche fossette longitudinali spesso imbrattate di
terreno tale da nascondere l’uniforme colore bruno-nero dell’insetto.
Uovo
L’uovo è ovale con dimensioni di circa 0,6 x 0,8 mm. Il colore è inizialmente
bianco, poi diventa giallastro ed infine grigiastro scuro.
Larva
La larva matura è lunga 8-10 mm e larga 2,5-3 mm. Il corpo è piegato ad arco, di
colore bianco sporco con capo rossastro.
Pupa
La pupa ha il corpo di colore bianco cremeo e mostra gli abbozzi di zampe ed ali.
Diffusione
Il grande numero di specie appartenenti al genere Otiorrhynchus ha consentito la
diffusione di quest’insetto in ogni ambiente. In Puglia è uniformemente diffuso in
tutte la zone.
Piante ospiti
La polifagia dell’oziorrinco e la contemporanea presenza di diverse specie,
consente a tale insetto di attaccare un notevole numero di piante sia arboree
(olivo, vite, agrumi, vari fruttiferi) e sia erbacee (colture floricole, ortive e
foraggere).
In Puglia, le piante ospiti maggiormente attaccate sono l’olivo (prevalentemente
dall’O. cribricollis.) e la vite (prevalentemente dall’O. sulcatus).
Etologia
L’Otiorrhynchus cribricollis Gyll. è la specie più comunemente riscontrabile in
Puglia su olivo, ma il ciclo della sua unica generazione annuale ha molto in
comune con quello delle altre specie.
L’adulto ha abitudini notturne e si ricovera di giorno nel terreno, a breve
profondità o sotto le zolle, ai piedi delle piante attaccate; approfondendosi se la
temperatura aumenta. Inoltre, se disturbato si lascia cadere al suolo fingendosi
morto (fenomeno della tanatosi).
L’O. cribricollis, fuoriesce dal terreno a fine maggio-giugno, stimolato da qualche
pioggia.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
L’adulto si nutre del tessuto fogliare, compiendo classiche erosioni semicircolari,
giungendo fino a scheletrizzare i germogli.
In piena estate rallenta la sua attività, resta protetto nel terreno, e riprende a
nutrirsi, sull’olivo, a fine agosto-settembre. A fine estate maturano le uova e
l’ovideposizione avviene, generalmente lasciando cadere al suolo le uova,
durante la notte; la deposizione di uova dura oltre un mese durante il quale
vengono prodotte da 70 a 200 uova. Da metà ottobre gli adulti diventano più rari.
Le giovani larve sgusciano dopo 2-3 settimane e si nutrono sulle radici,
tendenzialmente di piante erbacee. Ai primi di maggio le larve, ormai mature,
s’impupano in una celletta di terra, per dare dopo circa 2-3 settimane i primi
adulti, che fuoriescono scalarmente dal terreno.
Danni
I danni da oziorrinco su olivo sono provocati dagli adulti, che con loro erosioni
semicircolari erodono il parenchima delle foglie tenere; in presenza di alte
popolazioni gli attacchi interessano anche foglie mature di cui rimane solo la
nervatura centrale.
Ben più gravi sono le erosioni ai fusticini e alla tenera corteccia dei giovani
succhioni allevati per sostituire branche esaurite.
Difatti i danni sono maggiori se interessano olivi in fase d’allevamento ed innesti;
tali piante assumono aspetto cespuglioso e vengono impalcate con difficoltà.
I danni sui frutti generalmente sono lievi in quanto rari. A seguito di gravi attacchi,
le erosioni al peduncolo possono far cadere o avvizzire le drupe.
Sistema di controllo del fitofago
L’oziorrinco, essendo un insetto polifago, è spesso presente nei campi senza
provocare danni di rilievo; quindi non richiede solitamente un controllo diretto,
eccetto che in annate e situazioni particolari.
L’attenta osservazione della coltura, con monitoraggi e campionamenti, è quindi
una buona norma da seguire anche contro questo fitofago secondario, al fine
d’individuare presto le zone di nuova infestazione, nonché valutare la necessità
di mettere in atto azioni di difesa.
Poco si conosce sul complesso dei fattori naturali di limitazione dello sviluppo
dell’oziorrinco, ma l’adozione di alcuni fattori agronomici di limitazione consente
di limitare i danni. In presenza di elevate popolazioni del fitofago, in cui si rende
necessario adottare i fattori artificiali di limitazione, semplici accorgimenti
eliminano il problema anche senza il ricorso a mezzi tecnici.
Fattori naturali di limitazione
Nemici naturali
L’oziorrinco ha pochi nemici naturali; si può in ogni modo ipotizzare che esistano
nemici generici, tipici di insetti terricoli, che si nutrono anche dell’oziorrinco. Gli
adulti avendo abitudini crepuscolari possono rientrare nella dieta di piccoli
mammiferi come topi e ricci. Tra gli insetti la Forficula sp. appare in grado di
predare gli adulti, ma soprattutto le uova, sebbene il grado di predazione sia
scarso.
In terreni sufficientemente umidi, sono soprattutto i nematodi entomopatogeni i
principali nemici delle larve. Inoltre queste possono essere attaccate da funghi
entomopatogeni tra cui la Bauveria sp. sembra essere la più attiva.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Fattori agronomici di limitazione
Potatura
Una tecnica, adottata dagli olivicoltori, per limitare i danni da oziorrinco è quella
di non eliminare con la potatura verde i polloni ai piedi degli olivi.
L’oziorrinco si nutrirà su di essi, attaccando meno e più tardi il resto della pianta.
Poco prima della raccolta i polloni potranno essere eliminati.
Accorgimento simile è stato adottato da alcuni viticoltori che con la potatura
verde lasciano i germogli lungo il fusto per poi sopprimerli in un secondo
momento.
Fattori artificiali di limitazione
Controllo biologico
Il controllo biologico dell’oziorrinco sarebbe attuabile solo contro le larve,
utilizzando nematodi entomopatogeni.
In pratica in olivicoltura, il ricorso al controllo biologico non è economicamente
conveniente data la possibilità di utilizzare altri fattori artificiali di limitazione a
minor costo e maggiore efficacia.
Controllo con mezzi biotecnici
L’incapacità dell’adulto di oziorrinco a volare e la tendenza a rifugiarsi di giorno ai
piedi degli alberi attaccati, per poi risalirne il tronco di notte, ha reso molto
efficace l’applicazione di barriere o fasce protettive al tronco a salvaguardia della
chioma.
Barriere o Fasce protettive
Nella messa in opera di fasce protettive, bisogna accertarsi che tra la corteccia e
la fascia non restino passaggi (meglio applicare la barriera su corteccia liscia) e
che i polloni o piante infestanti non facciano da ponte oltre la barriera; per tale
motivo è necessario fasciare anche i pali tutori.
In Puglia, in modo particolare sull’olivo, sono state adottate nel tempo diversi tipi
di fasce: di plastica, di colla, di lana sintetica.
Le fasce in plastica
Azione: gli adulti di oziorrinco non riescono ad oltrepassare la fascia in quanto
scivolano sulla superficie liscia.
Costo: il costo del materiale impiegato è praticamente nullo in quanto si possono
riciclare sacchi in plastica; modesta è la spesa per la messa in opera.
Svantaggi: applicabile solo su corteccia molto liscia; il microclima caldo-umido
che si crea sotto la fascia modifica i tessuti corticali.
Le fasce collose
Le barriere collose, installate quando si notano le prime erosioni fogliari, restano
sufficientemente efficaci con una sola applicazione annuale. Inoltre non
necessitano di corteccia perfettamente liscia ed è sufficiente una fascia alta solo
1 cm purché continua.
Azione: gli adulti avvertono l’ostacolo e tornano indietro, raramente restano
invischiati.
Costo: normalmente si utilizza la colla per insetti (in alternativa quella per topi)
dal costo modesto; la messa in opera è più veloce rispetto all’applicazione di
altre fasce.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Svantaggi: eccessiva quantità di colla sulla delicata corteccia delle piante giovani
provoca fitotossicità; la colla applicata sul palo tutore si asciuga precocemente,
consentendo il passaggio del fitofago; sulle fasce collose restano intrappolati
molti insetti utili come sirfidi, coccinelle e crisope.
Fasce in lana sintetica
Molto recentemente, si sta diffondendo l’utilizzo di fasce di lana sintetica o
resinato di lana, utilizzata normalmente per le imbottiture nel settore della
tappezzeria. Sono sufficienti fasce alte 15-20 cm.
Azione: gli adulti di oziorrinco hanno difficoltà a camminare su tale tessuto e la
fascia si rivela una vera e propria trappola, restando il fitofago imbrigliato tra le
fibre.
Costo: il materiale ha un costo accettabile e la spesa per la messa in opera è
equivalente all’utilizzo delle fasce in plastica.
Svantaggi: il recente utilizzo di tale materiale non ha ancora evidenziato
svantaggi.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Margaronia o Piralide dell’olivo
Classificazione
Ordine: Lepidoptera
Famiglia: Pyraustidae
Genere e specie: Palpita unionalis (Hb.) = (Margaronia unionalis Hb.)
Morfologia
Adulto
L’adulto è una farfalla con apertura alare di 25-32 mm; il corpo è uniformemente
bianco madreperlaceo, ad eccezione del bordo anteriore delle ali che è di colore
nocciola chiaro.
Uovo
L’uovo ha forma ellissoidale (dimensioni 1 x 0,7 mm), molto schiacciato, con
superficie reticolata; il colore è variabile dal bianco giallastro all’arancione.
Larva
La larva matura è lunga 20-22 mm. Il colore verde chiaro del corpo diventa più
intenso, e con riflessi vinosi, con la crescita; il capo è giallo e i tubercoli piliferi
sono neri. Poco prima dell’incrisalidamento la larva assume una colorazione
marrone.
Crisalide
La crisalide è lunga 12-16 mm. Il colore è inizialmente verdastro, poi marrone.
Diffusione
La margaronia è presente in tutte le aree tropicali e sub-tropicali temperate. E’
diffusa in tutto il bacino del Mediterraneo ed in Puglia sull’intero territorio
regionale.
Piante ospiti
Le piante ospiti della margaronia appartengono prevalentemente alla famiglia
delle Oleacee, e tra queste all’olivo preferisce soprattutto il gelsomino, meno il
ligustro. Sporadiche segnalazioni si hanno a carico di erica.
Etologia
I primi adulti di margaronia, in Puglia, sfarfallano a fine marzo-inizio aprile. Di
giorno restano in riposo sulla pagina inferiore delle foglie e al tramonto
riprendono la loro attività; si nutrono esclusivamente di sostanze zuccherine dei
fiori e di melata.
L’ovideposizione avviene, preferibilmente, accanto alla nervatura principale delle
foglie apicali dei polloni; le uova vengono incollate isolatamente o a gruppi di 35. La schiusura avviene dopo un periodo variabile da 3-4 giorni fino a un
massimo di 15-22, se l’ovideposizione avviene con temperature basse.
La giovane larva si dirige verso l’apice del germoglio e costruisce con fili di seta
un riparo sulla superficie inferiore della foglia, rodendola rispettando la pagina
superiore, specialmente se è poco tenera.
Le larve più grandi uniscono, con fili di seta, 2-3 foglie e restando all’interno le
erodono completamente; a volte troncano anche l’apice del germoglio. Anche se
sporadicamente, le erosioni possono interessare anche la polpa delle drupe. La
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
larva, raggiunta la maturità, forma un riparo unendo 2-3 foglie ed in esso
s’incrisalida in un rado bozzolo bianco.
In Puglia, in un anno, si possono avere 4-5 generazioni con una contemporanea
presenza di tutti gli stadi di sviluppo per gran parte dell’anno. Solo in inverno,
l’attività dell’insetto rallenta e gli stadi presenti sono le larve, prevalentemente di
seconda e terza età, e le crisalidi.
Danni
Il danno consiste nella distruzione di germogli e polloni, ma può essere grave
solo in caso di massicci attacchi alla nuova vegetazione. Più spesso la dannosità
della margaronia è limitata a carico di innesti, piante in allevamento, polloni e
germogli allevati per sostituire branche esaurite.
Il danno alle olive può ritenersi pressoché inesistente, considerata la rarità delle
erosioni alle drupe.
Sistema di controllo del fitofago
La margaronia è un insetto secondario nell’oliveto ma, avendo molte generazioni
in Puglia, può essere necessario il suo controllo, in situazioni particolari.
Negli oliveti in conversione e nei nuovi impianti deve essere posta maggiore
attenzione verso il fitofago, con monitoraggi e campionamenti, in quanto tali
ambienti sono caratterizzati da una minore presenza di nemici naturali; quindi in
tali campi è necessario favorire il ripristino dell'entomofauna utile, quale fattore
naturale di limitazione, costituendo per tempo aree rifugio.
Il ricorso ai fattori artificiali di limitazione, spesso indispensabile su innesti, si
rivela scarsamente efficace.
Fattori naturali di limitazione
Influenza della temperatura
La margaronia trova in Puglia il clima adatto al suo sviluppo. Difatti il fitofago è
molto resistente alle alte temperature; solo le basse temperature possono
rappresentare un ostacolo alla sua attività essendo il limite termico inferiore di
sviluppo pari a 9-10 °C.
Nemici naturali
La margaronia viene predata da ragni, ditteri sirfidi e neurotteri crisopidi. L’azione
di controllo esercitata da tali predatori generici è difficilmente quantificabile, ma è
sicuramente agevolata negli oliveti con una biocenosi più complessa.
Ricerche condotte in Puglia hanno evidenziato la presenza di due parassitoidi:
l’imenottero braconide Apanteles xanthostigmus Hal. ed il dittero larvevoride
Nemorilla maculosa Meig.
Fattori artificiali di limitazione
Controllo con mezzi tecnici
L'applicazione di mezzi tecnici, nel controllo della margaronia, è spesso
necessario contro infestazioni su innesti e piante in allevamento. Purtroppo i
risultati conseguibili, pur utilizzando prodotti specifici come il Bacillus
thuringiensis, sono scarsi.
Ciò è dovuto a:
 contemporanea presenza di tutti gli stadi dell'insetto (le larve di I età sono le
più vulnerabili)
 preferenza alimentare delle larve verso gli apici vegetativi (la nuova
vegetazione non è protetta dal trattamento).
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Zeuzera o Rodilegno giallo
Classificazione
Ordine: Lepidoptera
Famiglia: Cossidae
Genere e specie: Zeuzera pyrina L.
Morfologia
Adulto
La femmina è una farfalla, con apertura alare di 70 mm, di colore bianco con
piccole macchie blu scuro sulle ali e sul torace. Le antenne sono filiformi e
l’ovidepositore è lungo ed estroflettibile. Il maschio si differenzia dalla femmina
per le dimensioni inferiori (apertura alare di 50 mm) e le caratteristiche antenne
bipettinate alla base.
Uovo
L’uovo è ovale con dimensioni di circa 1,2 x 2 mm. Il colore è tendenzialmente
roseo.
Larva
La larva sgusciata da poco è lunga 1,5-2 mm, mentre a maturità raggiunge i 4050 mm. Il corpo è di colore giallo su cui spiccano i tubercoli piliferi scuri, come il
capo e lo scudetto ad esso retrostante.
Crisalide
La crisalide è lunga da 25 a 40 mm ed il colore è bruno giallastro.
Diffusione
La zeuzera è diffusa nel bacino del Mediterraneo ed in tutte le aree con clima
temperato.
In Puglia, sebbene il fitofago sia diffuso sull’intero territorio regionale, il suo
areale di dannosità sull’olivo recentemente si sta ampliando; in un primo
momento, dannoso solo nel Salento, l’areale si sta ora espandendo verso nord,
avendo già interessato parte della provincia di Bari.
Piante ospiti
La polifagia della zeuzera consente al fitofago di attaccare un notevole numero di
piante arboree. Nel territorio pugliese le piante ospiti maggiormente attaccate
sono olivo, cotogno, melo, pero, melograno, nespolo del Giappone e noce; inoltre
è stato rilevato anche su agrumi, fico, giuggiolo, viburno, platano e acero.
Etologia
Ricerche condotte sulla zeuzera, in oliveti pugliesi, hanno accertato la presenza
di un’unica generazione annuale del fitofago. I primi adulti sfarfallano in aprile,
ma il periodo di volo si prolunga fino ad ottobre. In tale lungo periodo, le catture
di adulti mostrano due picchi di cui il primo tra maggio e giugno ed il secondo tra
agosto e settembre.
L’adulto di giorno è quasi inattivo e resta nascosto sulla pianta, riprendendo la
sua attività al tramonto. Dopo l’accoppiamento vengono prodotte circa 200-300
uova che vengono deposte al riparo tra l’anfrattuosità della corteccia, grazie al
lungo ovidepositore.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
La larva neonata raggiunge la nuova vegetazione e, penetrando all’ascella della
foglia, scava una galleria che segue l’asse del rametto. I primi rami interessati
sono sottili, ma durante lo sviluppo, la larva abbandona le vecchie gallerie ed
attacca rami sempre più grandi giungendo ad interessare perfino il tronco.
L’attività della larva è messa in evidenza dalla fuoriuscita, dalle gallerie, di
cilindretti giallastri costituiti da rosura mista ad escrementi. Tali fori vengono
chiusi, con un diaframma di seta ed escrementi, quando la larva è inattiva o si sta
incrisalidando.
Le larve svernano, a vario stadio si sviluppo, per incrisalidarsi in primavera e
dare scalarmente i nuovi adulti.
Danni
I danni provocati da larve di zeuzera sono notevoli e particolarmente gravi su
piante in allevamento. A seguito delle gallerie scavate dalle larve, le branche
appaiono debilitate e poi disseccano.
Anche il danno alla produzione è cospicuo, registrandosi perdite anche del 43%
(specialmente su olivi da mensa).
Sistema di controllo del fitofago
La zeuzera, essendo un insetto polifago, è spesso presente negli
agroecosistemi, attaccando spesso fruttiferi suscettibili e coltivati per uso
familiare negli oliveti.
Ma la recente e sempre più dannosa presenza del fitofago su colture diffusissime
come l’olivo, rende necessario l’adozione di un sistema di controllo, che integri
tutte le metodologie possibili al fine di conseguire i migliori risultati.
L’attenta osservazione degli oliveti, con monitoraggi e campionamenti, è quindi la
prima norma da seguire anche contro questo fitofago secondario, al fine
d’individuare presto i focolai d’infestazione, nonché valutare la necessità di
mettere in atto le diverse azioni di difesa.
Poco si conosce sull’influenza dei fattori naturali di limitazione sullo sviluppo della
zeuzera, quindi la contemporanea adozione di alcuni fattori agronomici di
limitazione e dei fattori artificiali di limitazione è l’unica risposta da parte
dell’olivicoltore biologico per limitare i danni.
Fattori naturali di limitazione
Reazione della pianta
E’ stato osservato che piante vigorose possono reagire agli attacchi di zeuzera,
producendo essudati dal foro d’entrata della larva. Alcune volte l’essudato
seccandosi, fino a diventare cristallino, può inglobare la piccola larva
uccidendola.
Nemici naturali
La zeuzera ha pochissimi nemici naturali. Tra i predatori importante è l’azione
degli uccelli sugli adulti e sulle larve durante gli spostamenti. Le larvette neonate
vengono attivamente predate dalle formiche.
Gli insetti utili rilevati in Puglia a carico di larve di zeuzera sono parassitoidi
imenotteri di cui i braconidi Apanteles sp e Microdus conspicuus Wesmael;
l’icneumonide Pristomerus vulnerator (Panzer) ed il pteromalidae Rhaphitelus
maculatus (Walker). Anche alcuni funghi hanno causato la morte di larve ed in
particolare il Verticillium lecanii Viègas e la Beauveria bassiana Bals. Vuill.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
In ogni caso l’azione di controllo esercitato dal complesso dei nemici naturali è
scarso.
Fattori agronomici di limitazione
Potatura
L’accurata potatura annuale dell’olivo è una pratica agronomica che può limitare
le infestazioni da zeuzera. A seguito dell’asportazione dei rami attaccati e la loro
bruciatura, si ottiene la riduzione della popolazione larvale svernante.
Molto utile può risultare l’eliminazione, durante la potatura verde o spollonatura,
dei rami sottili attaccati dalle larvette prima che queste penetrino nei rami più
grossi e branche.
Irrigazione
Gli oliveti irrigui sembrano essere più suscettibili agli attacchi della zeuzera;
inoltre in essi il periodo di volo degli adulti comincia 10-20 giorni prima e termina
10-20 giorni dopo rispetto agli oliveti in asciutto.
Scelta varietale
Prime osservazioni, condotte in Puglia, indicano come più suscettibili le cultivar di
olive da mensa rispetto alle cultivar di olive da olio. Inoltre, tra le cultivar da
mensa la Nocellara etnea pare meno suscettibile, confrontata con le cultivar
Oliva ciliegia, Termite di Bitetto e Sant’Agostno.
Fattori artificiali di limitazione
Controllo biologico
Per il controllo biologico della zeuzera, è stato provato l’utilizzo dei nematodi
entomopatogeni contro le larve. I nematodi, introdotti nella galleria tramite un
cotton fiocs, riescono ad attaccare le larva, ma il metodo risulta antieconomico in
olivicoltura.
Una vecchia pratica, nota come “uncinatura”, è stata rivalutata e consiste
nell’introdurre nella galleria un sottile filo di ferro, avente la punta uncinata, in
modo da raggiungere ed uccidere la larva. Tale metodo è il più utilizzato per
contenere le infestazioni su fruttiferi ad uso familiare, mentre può risultare troppo
costoso in olivicoltura, pur restando una valida pratica complementare nel piano
di controllo della zeuzera su olivo.
Controllo con mezzi biotecnici
La sintesi del feromone sessuale della zeuzera ha facilitato la rilevazione dei voli
utilizzando le trappole per il monitoraggio.
Interessante per il controllo diretto è l’utilizzo di trappole (Mastrap-L) per la
cattura massale dei maschi di zeuzera. Tale tecnica, adottata per il controllo
della zeuzera in meleti, è oggetto di sperimentazione in Puglia per valutarne la
validità negli oliveti infestati. A seguito delle prime osservazioni, viene consigliata
l’installazione delle trappole a 2-3 metri dal suolo ed in numero che può giungere
sino a 10 trappole/ettaro.
Tale metodologia deve essere ripetuta per più anni per ottenere una discreta
riduzione della popolazione del fitofago.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
1.2 Gli insetti utili
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Ageniaspis fuscicollis var. praysincola
Classificazione
Ordine: Imenotteri
Famiglia: Encirtidi
Genere e specie: Ageniaspis fuscicollis Dalm.
Morfologia
L'adulto è lungo circa 1 mm ha il corpo nerastro con riflessi bluastri sul capo; le
zampe sono giallastre. Il maschio leggermente più piccolo ha antenne più lunghe
della femmina.
Le ali sono trasparenti.
L'uovo è molto piccolo e ha la forma di un fiasco allungato.
La larva è biancastra più assottigliata posteriormente, nell'ultimo stadio
raggiunge le dimensioni di 1 mm.
Bioetologia
L'Ageniaspis fuscicollis è noto in varie regioni d'Europa: Svezia, Inghilterra,
Germania, Francia, Svizzera, Austria, Italia. L'Ageniaspis fuscicollis var.
praysincola è stato fino ad oggi ritrovato in Calabria, Puglia, Marche, Umbria,
Liguria, Toscana, Sardegna e Sicilia.
L'Ageniaspis fuscicollis var. praysincola è il solo parassitoide specifico di Prays
oleae che compie tre generazioni perfettamente sincronizzate con quelle
dell'ospite ed è risultato anche il più attivo.
L'Ageniaspis ovidepone nell'uovo della Tignola; le giovani larve del parassitoide
prima si alimentano a spese delle sostanze nutritive presenti nell'uovo e poi
passano nella cavità del corpo dell'ospite divorandone i tessuti. Il processo di
sviluppo dell'Imenottero non impedisce lo sviluppo del fitofago il quale raggiunge
uno stadio larvale avanzato o anche quello di crisalide. Da ogni larva di Prays
sfarfallano 10-15 adulti di Ageniaspis.
Da studi effettuati in Toscana l'Ageniaspis è risultato il parassitoide più presente
con incidenze notevoli (tasso di parassitizzazione del 50%) in particolare a carico
della generazione antofaga mentre nella provincia di Catanzaro ha raggiunto
livelli di parassitizzazzione anche del 90%.
Le larve di Ageniaspis possono essere a loro volta parassitizzate dall'Elasmus
flabellatus o dall'Apanteles xanthostigmus i quali sono parassiti della Tignola.
Ospiti alternativi
L'Ageniaspis fuscicollis praysincola non si può distinguere in base ai soli caratteri
morfologici dall'Ageniaspis fuscicollis parassita di varie specie di Hyponomeuta,
però dal punto di vista biologico esso é del tutto differente. Infatti il primo di
regola non parassitizza le uova di Hyponomeuta come il secondo non
parassitizza le uova di Prays.
L'Ageniaspis fuscicollis può parassitizzare anche la Mill., altro lepidotero che si
sviluppa a spese dell'olivo.
Piante utili
Poiché l'unico ospite alternativo menzionato per l'Ageniaspis é rappresentato da
un lepidottero che vive sull'olivo non si hanno piante utili su cui si sviluppino
ospiti alternativi di questo parassita della Tignola.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Chelonus eleaphilus
Classificazione
Ordine: Imenoptera
Famiglia: Braconidae, Chelonine
Genere e specie: Chelonus eleaphilus Silv.
Morfologia
L'adulto è lungo circa 3 mm, il corpo è di colore nero e di solito presenta una
macchia subcircolare di colore bianco giallastro sulla parte anteriore e dorsale
dell'addome. Il maschio è poco più piccolo della femmina e ha antenne lunghe
quasi quanto il corpo.
Le ali sono opache con nervature castane.
L'uovo bianco translucido è allungato e leggermente arcuato e misura circa 0,2
mm.
La larva matura, priva di zampe, presenta una capsula cefalica molto sclerificata
e grandi mandibole.
Bioetologia
Questo insetto utile è presente nella maggior parte del bacino mediterraneo ad
eccezione della Grecia dove è stato introdotto solo in alcune zone, della Turchia
e del Marocco.
Esso svolge il suo ciclo su pochi lepidotteri che hanno 2-3 generazioni all'anno
ed è considerato uno dei parassitoidi specifici della Tignola dell'olivo sulla cui
generazione carpofaga raggiunge tassi di parassitizzazione anche del 95%.
Gli adulti si nutrono di sostanze zuccherine mentre le larve vivono a spese delle
uova e delle larve della Tignola dell'Olivo.
La femmina di Chelonus ovidepone nell'uovo della Tignola. Lo sviluppo avviene
attraverso tre stadi larvali e uno stadio di pupa. La larva matura abbandona il
corpo dell'ospite, si alimenta ancora per qualche tempo da ectofaga quindi tesse
un bozzolo biancastro e si trasforma in pupa dalla quale dopo 5-6 giorni
sfarffallano gli adulti.
Al fine di una distribuzione in campo del Chelonus si é cercato di mettere a punto
tecniche di allevamento su ospiti di sostituzione cosi' come sono stati realizzati
fruttuosi tentativi di introduzione del parassitoide in Grecia.
Ospiti alternativi
Il Chelonus pur mostrando una spiccata specificità nei confronti della Tignola vive
anche a spese di altri Lepidotteri come il Tortice del Cappero (Cydia capparidana
Zel.) e la Tignola Ochromolopis staintonella. Anche la Tignola grigia della farina
(Anagasta kühniella Zell.), la Tignola del Tabacco (Ephestia elutella Huebn.) e la
Tignola delle derrate (Plodia interpunctella Huebn.) possono essere considerati
ospiti alternativi in quanto utilizzati per l'allevamento del Chelonus.
Piante utili
Il limitato numero di prede alternative comporta un basso numero di specie
vegetali ritenute utili perché infestate da tali ospiti. Tra queste ricordiamo il
Cappero (Capparis spinosa L.) e la Ginestrella (Osyris alba).
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Chilocorus bipustulatus L.
Classificazione
Ordine: Coleoptera
Famiglia: Coccinellidae
Genere e specie: Chilocorus bipustulatus L.
Morfologia
L'adulto semigloboso è lungo mm 3-4. Il corpo è nero o rossastro lucente con
espansioni laterali di forma appiattita, a livello della testa, che ricoprono in parte
gli occhi e le antenne che sono fulve.
Ciascuna elitra (ali più esterne con funzione di protezione) presenta, nella parte
centrale, tre macchie rossastre quasi circolari e contigue delle quali due possono
fondersi in una sola.
L'uovo è di forma più o meno affusolata.
La larva matura, lunga mm 5-5,5 e di forma ovoidale, è di colore bruno-fuliginoso
con capo nero e corpo provvisto di numerose spine anch'esse nere. Presenta
subito dopo il capo due macchie nere localizzate ai lati della fascia centrale che
percorre tutta la lughezza del dorso.
La pupa lunga mm 3,5-4 e rivestita di peli, è inizialmente di colore giallo solforeo,
poi si imbrunisce mantenendo delle strette linee gialle trasversali e sulla parte
mediana dorsale.
Bioetologia
I predatori della famiglia dei Coccinellidi non sono mai monofagi. Sino al 60%
della loro dieta è rappresentato da afidi o cocciniglie, il resto da altri insetti, spore
di funghi, nettare ed anche residui vegetali. Questo consente una sopravvivenza
più o meno prolungata degli adulti, sessualmente inattivi, anche in assenza
dell'alimento essenziale, cioè che consente loro di riprodursi.
In particolare il Chilocorus bipustulatus è un predatore di numerose cocciniglie
Coccoidei, Lecanidi e Dispididi (Saissetia oleae, Ceroplastes, Parlatoria,
Pseudalacaspis, Diaspis, Targionia ect.). Inoltre questo coccinellide si nutre, sia
da adulto che allo stadio di larva, a spese delle femmine immature di Saissetia
oleae.
Il suo sviluppo avviene attraverso quattro stadi larvali con morfologia simile. Le
prime larve compaiono già nella seconda decade di maggio, ma sono più
numerose nel mese di giugno e ai primi di luglio. Dopo 18-20 giorni le larve
mature si impupano sulla pagina inferiore delle foglie e dalle pupe dopo circa 20
giorni si avranno gli adulti.
La femmina ovidepone su diverse parti della pianta. Molto spesso vicino a
femmine di S. oleae ovideponenti o anche sotto i resti del corpo di una cocciniglia
per mezzo del foro praticato dalla Scutellista cyanea per fuoriuscire dall'ospite.
Lo svernamento avviene come adulto con ripresa dell'attività riproduttiva in
primavera. Il Chilocorus presenta in genere più generazioni all'anno ma in Puglia
si è ottenuta una sola generazione.
Il Chilocorus le cui larve possono divorare in un giorno fino a 500 uova di
Saissetia e altrettante neanidi, è risultato il predatore più comune ed attivo di
questa cocciniglia sia nell'isola di Corfù che in Puglia. La sua presenza è
notevole in estate e si prolunga fino ad ottobre. Su popolazioni di S. oleae che si
sviluppano su piante erbacee durante settembre-ottobre non è stata notata la
presenza di questo predatore. Probabilmente lo sviluppo della cocciniglia che su
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
questi ospiti inizia nel periodo estivo, è piuttosto rapido e non consente un
adeguato insediamento del Coccinellide.
Tra i nemici naturali del Chilocorus dobbiamo ricordare uccelli come il
Rampichino e la Cinciallegra, acari che ne distruggono le uova e parassiti
endofagi come il Tetrastichus epilachnae (Giard.) e l'Homalotylus flaminius
(Dalm.).
Ospiti alternativi
Il Chilocorus è un predatore polifago di cocciniglie per cui numerose sono le sue
prede. Tra queste ricordiamo la Cocciniglia cotonosa dell'Olivo (Lichtensia viburni
Sign. =Philippia oleae Costa) e la Cocciniglia tubercolata dell'Olivo (Pollinia
pollini Costa). Queste pur risultando occasionalmente dannose all’olivosi rivelano
molto importanti per permettere lo sviluppo completo del coccinellide, quando
infestano piante della macchia mediterranea.
Piante utili
Tra le piante spontanee ritenute utili perché infestate da specie predate dal
Chilocorus, ricordiamo il Mirto (Myrtus communis L.) e il su cui si sviluppa la
cocciniglia cotonosa dell'Olivo.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Metaphycus lounsburyi (How.)
Classificazione
Ordine: Hymenoptera
Famiglia: Encirtidae
Genere e specie: Metaphycus lounsburyi (How.)
Morfologia
E' un piccolo imenottero lungo circa 1,5 mm con corpo di colore giallastro o
arancione bruno e il dorso dell'addome nerastro. Le zampe presentano due
tipiche macchie ad anello.
Bioetologia
Il Metaphycus lounsburyi (How.) è una specie africana che è stata introdotta,
allevata e distribuita negli Stati Uniti e in Australia agli inizi del 1900 per il
controllo della Saissetia oleae Oliv.
In Italia, Grecia, Spagna e Marocco ne è stata recentemente accertata la
presenza, probabilmente dovuta a introduzioni accidentali. Attualmente in Italia,
la specie è presente nelle zone della fascia costiera meridionale della Puglia,
Campania, Calabria, Basilicata, Sicilia, Sardegna e Toscana. In particolare in
Puglia il Metaphycus lounsburyi è localizzato nelle zone costiere, mentre è raro o
assente nelle zone interne come pure alla quota di 200-300 metri.
Si tratta di un parassita endofago della cocciniglia nera dell'olivo. Gli stadi
suscettibili della cocciniglia sono rappresentati dalle neanidi di III età, verso la
fine dello sviluppo, e dalle femmine mature anche in corso di ovideposizione.
Gli adulti di Metaphycus si nutrono della melata che trovano sulle piante o che
prelevano direttamente dalle cocciniglie stimolandone l'emissione con le
antenne.
Gli stadi di larva e di pupa si sviluppano all'interno del corpo dell'ospite. In
particolare la cocciniglia parassitizzata dal Metaphycus, presenta la regione
ventrale tesa e un foro di sfarfallamento sul dorso (anche più di uno). Negli
esemplari piccoli di cocciniglia si sviluppa un solo esemplare del parassitoide, in
quelli grandi si possono sviluppare anche una decina di individui. In genere
ciascun adulto a maturità sfarfalla aprendo un foro indipendente.
Non mancano casi in cui sullo stesso esemplare di Saissetia si abbia la presenza
contemporanea del predatore oofago Scutellista cyanea, sotto il corpo della
cocciniglia, e degli stadi larvali di Metaphycus all'interno del corpo della
cocciniglia stessa. In tal caso si avranno scudetti di Saissetia con più fori di
sfarfallamento, uno grande (della Scutellista) e uno o diversi piccoli (del
Metaphycus).
Lo svernamento del parassitoide avviene parte allo stato di pupa e parte allo
stato di larva matura. I primi sfarfallamenti in Puglia avvengono verso fine aprileinizio maggio.
Ciascuna femmina di Metaphycus può dare origine ad una discendenza di un
centinaio di individui. Nel periodo estivo una generazione (da uovo ad adulto), si
compie in 20-30 giorni, mentre in inverno occorrono da 30-35 giorni a 3 mesi. Il
numero massimo di generazioni ottenuto in laboratorio in un anno è stato di
nove, si ritiene comunque che in media si svolgano 6-8 generazioni in ambiente
naturale.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Il Metaphycus lounsburyi è un parassitoide molto frequente in alcuni ambienti
dell'Italia meridionale sì da considerarsi anche più attivo della Scutellista cyanea
rispetto alla quale ha una ripresa anticipata dell'attività primaverile.
L'insetto è attivo dalla primavera al tardo autunno. In particolare stadi di Saissetia
adatti al suo sviluppo si rinvengono su olivo durante la primavera e parte
dell'estate. A fine estate e durante tutto l'autunno, quando normalmente la
popolazione di adulti di Saissetia su olivo è ridotta, il Metaphycus può essere
trovato su alcune piante spontanee (Cardo, Carlina, Calcatreppola) dove rinviene
un abbondante numero di cocciniglie nello stadio di ovideposizione Ciò consente
al parassitoide di continuare attivamente a riprodursi fino all'autunno.
Al momento si prospettano buone possibilità di utilizzo di questo parassitoide che
in alcune regioni della Grecia (Corfù) può raggiungere tassi di parassitizzazione
del 20-30%. L'introduzione del Metaphycus può essere realizzata allorquando un
controllo della popolazione di Saissetia, effettuato a fine marzo, abbia constatato
una densità di popolazione della cocciniglia che tende a superare o abbia
superato la soglia di intervento. Le distribuzioni del parassitoide vanno fatte
disponendo sugli olivi dei rami di Oleandro fortemente infestati da Saissetia
precedentemente parassitizzata.
Nell'utilizzo del Metaphycus per il controllo della Saissetia, bisogna considerare
che si tratta di una specie molto sedentaria e strettamente legata all'ambiente
dell'ospite e che, probabilmente, in natura non ha grandi capacità di dispersione,
almeno in tempi brevi. Inoltre durante l'inverno si verifica una forte mortalità di
questo imenottero, il che spiegherebbe anche la sua maggiore diffusione nelle
zone costiere nonché fluttuazioni, anche notevoli, della densità di popolazione
che si possono avere da un anno all'altro. Infine la sua attività può essere
limitata, in natura, dalla mancanza o scarsità di ospiti in alcuni periodi dell'anno,
specialmente in quelle aree con monocolture o popolazioni omogenee di
Saissetia.
Tra i nemici naturali di Metaphycus lounsburyi, bisogna segnalare il Pachyneuron
concolor Foerster. ottenuto da esemplari provenienti dai dintorni di Bari. Il
Pachyneuron depone l'uovo sul corpo della larva del Metaphycus, comportandosi
quindi da parassita ectofago e raggiungendo tassi di parassitizzazione del 3-5%.
Ospiti alternativi
Il Metaphycus lounsburyi è un parassitoide specifico della Saissetia oleae, per
cui non si segnalano prede alternative.
Piante utili
Specie vegetali ritenute utili allo sviluppo del Metaphycus sono il Cardo (Cardus
sp.), la Carlina e il Calcatreppola (Eryngium) sulle quali, a fine estate e durante
tutto l'autunno, si trovano stadi di Saissetia oleae parassitizzabili da parte del
Metaphycus che può così riprodursi attivamente.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Opius concolor
Classificazione
Ordine: Hymenoptera
Famiglia: Braconidae
Sottofamiglia: Opiinae
Genere e specie: Opius concolor Szepl.
Morfologia
L’adulto ha il corpo lungo 3-4 mm, di colore castano chiaro con antenne fulvobrune. Le ali sono trasparenti.
La larva matura si presenta molto ingrossata e curva, senza zampe, e si
trasforma in una pupa in cui s’intravedono gli abbozzi delle appendici degli adulti.
Bioetologia
La specie ha pochi ospiti tra cui la larva di terza età della mosca delle olive in cui
la femmina depone le uova; il parassita consente a questa d’impuparsi. L’adulto
dell’Opius sfarfallerà infatti dalle pupe della mosca delle olive.
Tale comportamento ha stimolato in passato la sua introduzione in nuovi
ambienti, dai paesi del Nord-Africa, ed il suo allevamento per la distribuzione in
campo.
Studi condotti nell’Italia meridionale e nelle isole hanno evidenziato che la
popolazione di Opius acclimatato, in rapporto a quella della mosca, è
estremamente variabile da un anno all’altro e non sempre in rapporto
all’andamento delle popolazioni di mosca.
La popolazione dell’Opius è, in genere, molto ridotta dall'inverno all'estate, per
incrementarsi poi, in alcune annate, a fine estate e soprattutto nel tardo autunno,
quando la popolazione di mosca raggiunge livelli più alti.
Diversi autori hanno accertato che col sopraggiungere del freddo e col verificarsi
di giornate piovose in novembre e in dicembre, gli adulti dell'Opius diventano
inattivi, stazionando di solito sotto le foglie, talora in assoluta immobilità. In
condizioni particolarmente favorevoli, alcuni adulti di Opius sono attivi nei primi
mesi dell’inverno e si riscontrano in campo tutti gli stadi di svilppo.
In Sicilia l'Opius passa l'inverno allo stato di larva o di pupa dentro l'ospite.
L’attività dell’Opius può essere limitata dalla presenza di altri parassiti della
mosca, in particolare dall’Eupelmus urozonus Dalm. che deponendo le uova
nelle larve della mosca contenenti l’Opius determina la morte di entrambe le
larve.
In Puglia, dopo i lanci effettuati nel 1968-69 in alcuni oliveti del Gargano, l’Opius
si è disperso verso sud ma non si è acclimatato.
Prede alternative
Tra gli ospiti dell’Opius, oltre la Bactrocera oleae (Dacus oleae) Gmelin, sono
state segnalate poche specie di ditteri tefritidi: mosca del cappero (Capparimyia
savastanoi Mart.), Carpomyia incompleta Beck., Dacus spp.
La mosca della frutta (Ceratitis capitata Wied.) rappresenta un ospite di
sostituzione in quanto viene utilizzata negli allevamenti di Opius.
Piante utili
La limitata varietà di prede alternative si ripercuote sul basso numero di specie
vegetali ritenute utili perchè infestate da tali ospiti. Tra queste si segnalano il
Giuggiolo (Ziziphus sativa Gaertn.) ed il Cappero spinoso (Capparis spinosa L.).
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Eupelmus urozonus
Classificazione
Ordine: Hymenoptera
Superfamiglia: Chalcidoidea
Famiglia: Eupelmidae
Genere e specie: Eupelmus urozonus Dalm.
Morfologia
La femmina ha il corpo lungo 2,5 – 5 mm, di colore verdastro; le antenne sono
nerastre e le zampe giallo scuro. Le ali sono trasparenti.
Il maschio ha il corpo lungo 1,5 – 3 mm, di colore più scuro della femmina.
Bioetologia
La specie è polifaga in quanto compie il suo sviluppo larvale su larve e pupe dei
vari ospiti; in alcuni casi parassitizza anche individui della sua stessa specie.
L’adulto può compiere una sua azione secondaria, contro fitofagi anche galligeni,
nutrendosi di emolinfa che fa fuoriuscire dopo aver punto la preda. Attivo nei
mesi di agosto e settembre sulla mosca delle olive, riesce a compiere fino a tre
generazioni sulle sue larve e pupe nelle zone litoranee e due nelle altre zone. E’
uno dei più attivi nemici naturali delle larve di mosca in estate, mentre svolge un
controllo limitato sulle pupe.
Poiché l’insetto può vivere su diversi ospiti la sua popolazione può essere
indipendente dalla densità di presenza della mosca. Tuttavia nel periodo estivo
(agosto-settembre), quando vive a spese della mosca, l’andamento della sua
popolazione tende a seguire quella dell’ospite. La parassitizzazione risulta non
soddisfacente dalla metà di ottobre e ciò può essere dovuto alla preferenza per
ospiti alternativi ed all’abbassarsi della temperatura.
Il rapporto con ospiti alternativi è stato studiato sul dittero Myopites stylata Fabr.,
sul quale, a partire dal mese di settembre, trascorre l’inverno per poi attaccare in
primavera altri Myopites o altri ospiti e poi passare sulla mosca in agosto.
Studi di laboratorio hanno definito la durata media del ciclo dell’Eupelmus pari a
32 giorni a 20°C; può essere allevato sulla mosca della frutta quale ospite di
sostituzione.
Prede alternative
La mosca delle olive è considerata, per i nostri scopi, ospite primario ma in realtà
l’Eupelmus è stato rinvenuto su molte prede alternative viventi in tessuti vegetali
o in galle.
Lepidotteri: Pieride del biancospino; Verme o Carpocapsa delle mele; Verme o
Carpocapsa del susino; Tignola della vite; Bombice del pino; Piralide dei baccelli;
Tignoletta della vite; Tignola dell’olivo; Tortrice della vite.
Coleotteri: Scolitidi; Fleotribo dell’olivo; Scolitide del mandorlo; Tonchi;
Imenotteri: Cinipidi; Diprionidi; Euritoma (Eurytoma martelli Dom.); Pnigalio
(Pnigalio agraules Wolk.).
Ditteri: Agromizidi; Cecidomia della quercia; Cecidomia del faggio; Miopite
(Myopites stylata Fabr.); Cecidomia dell’acacia spinosa (Dasyneura gleditchiae
(O. S.)
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Piante utili
Alcune piante essendo infestate da insetti ospiti dell’Eupelmus possono ritenersi
utili per l’incremento della sua popolazione. Tra queste assumono importanza
l’Acacia spinosa (Gleditschia triacanthos L.) e l’Inula (Inula viscosa (L.));
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Pnigalio agraules
Classificazione
Ordine: Hymenoptera
Superfamiglia: Chalcidoidea
Famiglia: Eulophidae
Genere e specie: Pnigalio agraules (Walk)(= P. mediterraneus Ferr. e Del.)
Morfologia
La femmina ha il corpo lungo 2,5-3,5 mm, di colore verdastro con ovopositore
evidente; le antenne sono nere e le zampe bruno-verdastre e giallognole. Le ali
sono trasparenti.
Il maschio ha il corpo lungo 1,5-2,5 mm, di colore nero violaceo su cui spicca una
fascia gialla sull’addome. Le antenne hanno gli ultimi tre articoli flabellati (forniti di
ulteriori filamenti).
Bioetologia
Il Pnigalio è un insetto utile che si sviluppa prevalentemente a spese delle larve
della mosca delle olive e di lepidotteri fillominatori (le cui larve vivono nei tessuti
fogliari). A volte attacca larve già parassitizzate da altri insetti utili o da individui
della sua stessa specie. Come altre specie può nutrirsi del liquido che fuoriesce
dalle larve viventi nei tessuti, dopo averle punte con l’ovopositore.
In giugno-luglio sfarfalla da lepidotteri fillominatori per attaccare altre prede tra
cui soprattutto le larve di mosca delle olive, se già presenti. In ambiente
mediterraneo il Pnigalio si sviluppa sulle larve della mosca delle olive per tutto
agosto con un ulteriore picco di attività verso ottobre-novembre risultando in
questo periodo il principale nemico della mosca delle olive. In laboratorio il ciclo
biologico dell’insetto si completa in 23 giorni a 20°C; in pieno campo, al Sud
Italia, sono sufficienti 15 giorni in estate con la possibilità di effettuare due-quattro
generazioni in estate-autunno.
Prede alternative
L’ospite principale del Pnigalio in estate è la mosca delle olive ma è stato trovato
come entomofago di numerosi altri insetti, soprattutto su larve di lepidotteri
viventi nei tessuti fogliari.
Tra i lepidotteri diffusi in ambiente mediterraneo si segnala la Minatrice a disco
bianco della quercia (Tischeria ekebladella (Bjer.)), l’Ecofillembio dell’olivo
(Metriochroa latifoliella (Mill.)), la Minatrice serpentina degli agrumi (Phyllocnistis
citrella St.), la Litocollete inferiore delle pomacee (Phyllonorycter blancardella (F)
e la Litocollete del Bagolaro (Phyllonorycter millierella Stgr.). Infine tra i coleotteri
è citato il curculionide Apion croceifemoratum Gyllenhal. Delle specie citate
alcune sono presenti sulle colture pugliesi; in agricoltura convenzionale l’uso di
esteri fosforici riduce notevolmente la loro presenza mentre in agricoltura
biologica queste prede alternative sono più diffuse.
Piante utili
Alcune piante, dando ricovero ad insetti ospiti del Pnigalio, possono ritenersi utili
per l’incremento della sua popolazione. Tra queste assumono importanza la
Quercia (Quercus spp.), l’Olivo (Olea spp.), gli Agrumi (Citrus spp.), il Melo
(Malus spp.), il Bagolaro (Celtis australis L.) ed il Legno-puzzo (Anagyris foetida
L.)
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
La stessa consociazione olivo-agrumi, diffusa in alcune aree pugliesi, è da
ritenersi favorevole al persistere del Pnigalio in quegli agrosistemi.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Scutellista cyanea Motsch
Classificazione
Ordine: Hymenoptera
Famiglia: Pteromalidae
Genere e specie: Scutellista cyanea Motsch.
Morfologia
La femmina è lunga circa 1,5-2 mm, ha il corpo tozzo di colore blu-scuro con
antenne giallo-ruggine. Il maschio è leggermente più piccolo (1,3-1,4 mm) ed ha
antenne più lunghe.
L'uovo è lungo 0,6 mm, di colore bianco, a forma di fiasco.
La larva mature è lunga circa 3 mm di colore bianco tendente al roseo, affusolata
e sempre piegata ad arco.
La pupa è lunga 2-2,5 mm, nerastra con corpo tozzo ed arcuato.
Bioetologia
La Scutellista cyanea è una specie ormai presente in tutti i continenti, essendo
stata anche introdotta, come negli Stati Uniti per il controllo del Ceroplastes e
della Saissetia.
La Scutellista è predatore-parassita di gran parte delle specie di cocciniglie
Lecanidi; in Puglia, Campania, Toscana, Liguria ed in Grecia, la rappresenta il
più attivo e diffuso nemico delle uova della Saissetia oleae su cui può
raggiungere in tasso di parassitizzazione del 70-90 per cento.
Gli adulti si nutrono di varie sostanze zuccherine anche se possono provocare
delle "ferite di alimentazione" sul corpo delle cocciniglie.
La femmina di Scutellista depone uno o più uova sotto il corpo delle femmine
mature o giovani della cocciniglia. In genere al momento dell'ovideposizione della
Scutellista, le cocciniglie presentano già delle uova sotto il corpo. In tale
situazione le uova della Scutellista si trovano tra quelle dell'ospite e la larva che
ne fuoriesce si comporta da predatore nutrendosi a spese delle uova della
cocciniglia fino a maturità.
Ciascuna larva, per completare il suo sviluppo, può consumare circa 500-600
uova di cocciniglia nera dell’olivo, numero che corrisponde pressapoco alla
produzione di uova di una femmina di cocciniglia di medie dimensioni. Qualora
l'uovo di Scutellista venga deposto sotto il corpo di femmine giovani di cocciniglie
o comunque la larva fuoriesca dall'uovo prima che la Saissetia cominci ad
ovideporre, la larva può cominciare a nutrirsi del corpo della cocciniglia
portandola a morte e se questa è ancora nello stadio di neanide di II o III età.
La larva matura di Scutellista si impupa tra i residui del corpo della cocciniglia e
quelli delle uova consumate. L'adulto fuoriesce provocando un foro
rotondeggiante sullo scudetto della cocciniglia stessa.
L'ospite di qualunque stadio, che sotto il suo corpo presenta la larvetta di
Scutellista, non presenta alcuna alterazione evidente ma conserva tutti i caratteri
degli esemplari sani.
Lo svernamento della Scutellista non avviene in uno stadio ben definito; ma
nell'Italia meridionale sverna prevalentemente da larva neonata o pupa.
In natura il ciclo della Scutellista è in rapporto a quello delle specie ospiti
disponibili. Essa può compiere cinque generazioni all'anno di cui la prima da
giugno ai primi di luglio su cocciniglia del fico o Ceroplastes, la II-III-IV e V da
luglio ad ottobre su Saissetia, Ceroplastes e Philippia. Il periodo di maggiore
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
attività della Scutellista è compreso tra giugno e ottobre in cui la durata del ciclo,
dall'ovideposizione allo stadio di adulto, varia da 20 a 45 giorni.
La Scutellista pur essendo il più valido nemico naturale della Saissetia oleae, non
è in grado di controllare completamente questa cocciniglia. Infatti per svilupparsi
la larva consuma una parte delle uova deposte da una sola femmina di Saissetia,
inoltre spesso una parte delle uova è già schiusa per cui molte neanidi sfuggono
all'azione del parassita.
Tra i nemici naturali della Scutellista cyanea sono da annoverarsi gli Imenotteri
Eupelmus urozonus Dalm. e Tetrastichus spp., i Coleotteri Coccinellidi
Chilocorus bipustulatus L. e Exochomus quadri-pustulatus L. e l'acaro Pyemotes
ventricosus Newpt. che in alcuni casi può determinare la morte del 50% delle
larve o pupe di Scutellista.
Ospiti alternativi
La Scutellista cyanea è un predatore-parassita di varie cocciniglie, preferendo
comunque oltre la Saissetia oleae Bern., la Cocciniglia del Fico (Ceroplastes
rusci L.), la Cocciniglia cotonosa dell'Olivo (Lichtensia viburni Sign. =Philippia
oleae Costa)
Piante utili
Tra le piante spontanee ritenute utili perché infestate da cocciniglie ospiti della
Scutellista, ricordiamo il Mirto (Myrtus communis L.) e il Lentisco (Pistacia
lentiscus L.) su cui si sviluppa la cocciniglia cotonosa dell'Olivo.
Il Fico ed il Lentisco si rivelano utili in quanto su di essi si rinviene la cocciniglia
del Fico (Ceroplastes rusci L.).
Importante risulta il Cardo selvatico, la Carlina e l’Eringio avendo osservato,
nell'isola di Corfù durante l'autunno, una notevole attività dell'Imenottero su
queste piante spontanee con femmine mature ovideponenti di cocciniglia nera
dell’olivo; infestate dalla Saissetia sono anche l'Asparago selvatico e il
Convolvolo.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
1.3 Le malattie fungine
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Occhio di pavone o Cicloconio
Classificazione
Ordine: Hyphales
Famiglia: Dematiaceae
Genere e specie: Spilocea oleagina (Cast.) Hugh.
Caratteri morfologici
Micelio
Il fungo resta a lungo nello strato più esterno dell’epidermide delle foglie,
formando colonie immediatamente sotto la cuticola. Tali colonie sono appiattite,
parallele alla superficie fogliare e di forma regolare. Solo a seguito del
decadimento della foglia si approfondisce nei tessuti fogliari.
Corpi fruttiferi
Dalle colonie hanno origine ife che perforano la cuticola e danno origine a
conidiofori liberi, semplici, unicellulari, a forma di fiasco o globosi e di colore
bruno chiaro. Da questi sporgono singoli conidi bicellulari, di colore bruno chiaro,
misuranti 14-27 x 9-15 m.
Diffusione
Il patogeno è presente in tutte le aree pugliesi di coltivazione dell’olivo. Nelle aree
olivicole meridionali è meno dannoso rispetto all’Italia del Nord; solo particolari
zone del Sud Italia, con estati umide, mostrano una maggiore diffusione del
cicloconio
Nell’ambito della coltura, la malattia è diffusa maggiormente nella parte inferiore
della chioma, negli impianti fitti e poco potati.
Piante ospiti
Il patogeno è insediato sull’olivo ma alcune sue forme speciali sono state trovate
su Phillyrea (la forma speciale Phillyreae) e su leccio (la forma speciale Ilicis).
Ciclo biologico
Il fungo generalmente presenta nell’anno due cicli di infezione, uno autunnale ed
uno primaverile. In Puglia resta sulla pianta, protetto nelle foglie infette, durante il
periodo estivo. La distinzione tra i due cicli è netta durante l’estate, mentre in
inverno, nelle aree mediterranee, le temperature miti e le piogge permettono una
maggiore continuità delle infezioni.
Il periodo di incubazione può essere di soli 15-20 giorni o estendersi anche a
parecchi mesi in relazione all’andamento climatico successivo all’infezione e
dalla suscettibilità dell’ospite.
Quando le condizioni di temperatura e umidità tornano favorevoli (in Puglia a fine
estate-autunno) il fungo riprende lo sviluppo attivo, causando la comparsa di
lesioni visibili e producendo conidi. Questi costituiscono l’inoculo per le infezioni
autunnali.
Sintomatologia
I sintomi del cicloconio si manifestano prevalentemente sulle foglie; possono,
tuttavia, risultare colpiti i rametti verdi dell’anno, i piccioli, i peduncoli e i frutti.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Foglie
Sulla pagina superiore delle foglie si hanno piccole macchie brune,
rotondeggianti, solitarie ma talora confluenti. Durante i mesi estivi, intorno a tali
macchie, si formano uno o più aloni ben netti o sfumati, di colorazione rossastra,
giallastra, violacea o bruno verde, ben evidenti sullo sfondo clorotico della foglia.
Tali macchie ricordano i disegni presenti nelle penne caudali del pavone, da cui
uno dei nomi alla malattia: occhio di pavone.
Sulla pagina inferiore fogliare raramente i sintomi sono visibili, eccetto che sulla
nervatura centrale.
Le foglie più vecchie, prima di cadere ingialliscono e, nelle regioni aride
mediterranee, segue una colorazione rosso cuoio che prelude al disseccamento
completo.
Sul picciolo i sintomi sono poco evidenti ad occhio nudo, ma possono portare a
rapide filloptosi non attribuibili con certezza alla malattia.
Rami
I giovani rametti dell’annata, seppure raramente, possono presentare infezioni
che si manifestano con macchie brune a contorno indeterminato, simili a quelle
delle foglie.
Frutti
La malattia si manifesta ancora più raramente sulle drupe, sulle quali si formano
piccole macchie irregolari, leggermente infossate, ricoperte da una efflorescenza
grigia.
Sui peduncoli l’infezione è piuttosto frequente; si presenta con macchie brune
allungate che possono circondare l’asse del peduncolo.
Danni
I danni più frequenti del cicloconio si hanno a carico delle foglie che, se infette,
cadono prematuramente.
Le piante che subiscono precoci defogliazioni, prima che si sia avuta la
differenziazione delle gemme (in Puglia generalmente a gennaio), riducono la
formazione di gemme a fiore con decrementi di produzione fino al 20 per cento.
A volte si può giungere ad avere disseccamento di rami in relazione a ripetute e
gravi defogliazioni.
Le rare infezioni ai frutti possono risultare dannose per le olive da tavola non
altrettanto per quelle da olio, di cui non pare sia compromessa la qualità.
Eccezionalmente, gli attacchi al peduncolo possono provocare cascola delle
drupe.
Le piante in vivaio risultano molto colpite, con deprezzamento della qualità delle
piantine.
Sistema di controllo del patogeno
La coltivazione biologica dell’olivo non presenta in Puglia problemi patologici di
rilievo. Il cicloconio rappresenta l’unico fungo che necessita dell’attenzione
costante dell’olivicoltore in quanto condizioni climatiche idonee lo rendono in
grado di ridurre la produttività della coltura.
Applicando tecniche di prevenzione fin dall’impianto e con una buona gestione
agronomica dell’oliveto è possibile sfruttare a proprio vantaggio i fattori naturali
ed agronomici di limitazione.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Il ricorso al controllo diretto tramite i fattori artificiali di limitazione consegue
ottimi risultati ma deve comunque essere condotto con oculatezza per evitare
inutili apporti di mezzi tecnici. Ciò è possibile ricorrendo alla diagnosi precoce
che individua le infezioni latenti e consente la valutazione della diffusione in
campo.
Fattori naturali di limitazione
Influenza della temperatura
La temperatura superiore a 25°C o inferiore a 5-10°C rappresenta un limite per
l’avvio delle infezioni; la temperatura ottimale per lo sviluppo del parassita è di
18-20 °C. In Puglia, le alte temperature hanno una maggiore azione limitante
sulle infezioni e sulla manifestazione dei sintomi rispetto alle basse temperature.
Inoltre, nelle lunghe estati caldo-aride del clima mediterraneo, l’olivo presenta
una abbondante defogliazione fisiologica con cui cadono buona parte delle foglie
infette, in modo particolare di quelle con sintomi manifesti. Ciò riduce l’inoculo
presente sulla pianta.
Influenza dell’umidità
L’elevata umidità e la pioggia sono indispensabili per il patogeno. L’umidità
relativa prossima alla saturazione è necessaria per la germinazione dei conidi e
le infezioni si verificano solo in presenza di un elevato numero di ore di
bagnatura delle foglie.
La pioggia è il fattore principale nella diffusione dei conidi, trasportandoli
soprattutto verso il basso della chioma.
Tali elementi indicano la maggiore suscettibilità alla malattia degli oliveti
impiantati in fondovalli o con sesti d’impianto troppo stretti.
Nemici naturali
Non sono noti microrganismi antagonisti o micoparassiti viventi a spese del
cicloconio
Fattori agronomici di limitazione
Potatura
Potature poliennali sono da evitare, in quanto le chiome dense favoriscono i
ristagni di umidità che rendono la malattia più grave; in ambienti particolarmente
favorevoli alla malattia e con cultivar suscettibili, tale pratica incrementa lo
sviluppo del patogeno.
Scelta varietale
L’utilizzazione di cultivar meno suscettibili influisce notevolmente nel controllo del
cicloconio. Tutavia, tale scelta è attualmente poco praticabile in quanto le cultivar
meno suscettibili sono anche le meno pregiate. Peraltro, la suscettibilità varietale
al patogeno è spesso influenzata dall’ambiente di coltivazione. Sarebbe pertanto
auspicabile il miglioramento della resistenza alla malattia, particolarmente nelle
cultivar più pregiate. Per l’ambiente olivicolo pugliese la varietà Cellina di Nardò
sembra essere poco suscettibile.
Irrigazioni
Sebbene nelle aree olivicole pugliesi l’irrigazione per aspersione sovrachioma
non sia diffusa, è bene ricordare che tale tipo d’irrigazione (a volte attuata per
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
l’irrigazione di soccorso sfruttando attrezzature d’emergenza) favorisce la
dispersione dei conidi e la diffusione della malattia.
Sesti d’impianto
I sesti d’impianto troppo stretti favoriscono i ristagni di umidità atmosferica
nell’oliveto, aumentando la probabilità di infezioni da cicloconio.
Fattori artificiali di limitazione
Controllo con mezzi tecnici.
Qualora dovesse rendersi necessaria la protezione delle piante con mezzi tecnici
è possibile fare ricorso ai derivati rameici.
Trattando le piante di olivo con prodotti rameici, le foglie con infezioni manifeste
cadono e non costituiscono inoculo valido. Quindi l’intervento è finalizzato ad
eliminare l’inoculo dalla pianta prima che possano avvenire nuove infezioni.
L’azione cascolante selettiva sulle foglie infette è da attribuire alla tossicità del
rame, che entra nelle foglie attraverso le aperture della cuticola provocate dalla
sporificazione del patogeno.
Il momento più opportuno per l’applicazione del rame coincide con l’inizio del
risveglio vegetativo dell’olivo, quando riprendono a vegetare le gemme a legno.
Una applicazione di rame in questa fase fenologica permette di sfruttare l’attività
eradicante del composto.
Per qualsiasi ambiente si suggerisce pertanto un trattamento al risveglio
primaverile. Un secondo intervento può essere necessario a fine estate qualora
la diagnosi precoce ha evidenziato infezioni latenti e si realizzano condizioni
molto favorevoli alla malattia.
Diagnosi precoce del cicloconio
Il notevole significato epidemiologico delle infezioni latenti del cicloconio ha
spinto alla messa a punto di una tecnica di diagnosi precoce idonea ad
evidenziarle. Difatti, l’individuazione estiva delle infezioni consente di
programmare in anticipo l’intervento autunnale e determinarne l’effettiva
necessità.
La diagnosi precoce per il cicloconio consiste nell’immergere un campione di 100
foglie, per 2-3 minuti, in una soluzione di idrato sodico o potassico al 5% alla
temperatura di 50-60°C (20°C per foglie giovani). Le infezioni latenti si
evidenziano come piccole macchie scure.
A ciò potrebbe anche seguire la valutazione della diffusione in campo del
patogeno.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Fumaggine
Agenti fungini
La fumaggine non è da intendersi una malattia delle piante, in quanto gli agenti
fungini che la sostengono non sono organismi patogeni ma saprofitari. Tali
organismi sono sempre presenti sulla pianta e si sviluppano su sostanze
zuccherine come la melata di insetti.
I funghi che costituiscono la fumaggine appartengono a vari generi: Capnodium,
Cladosporium, Alternaria, Peyronellaea, Torula, Ulocladium, Pleosphaeria,
Aureobasidium, Ceratocarpia.
L’insieme delle colonie appare come un ammasso di micelio scuro che
inizialmente appare polveroso, ma in seguito s’infittisce sempre di più fino a
formare croste molto aderenti al substrato.
La fumaggine può interessare ogni specie vegetale infestata da insetti produttori
di melata (cocciniglie, afidi, psillidi, aleurodidi). Sebbene in Puglia sia più
facilmente riscontrabile su olivi infestati da cocciniglia mezzo grano di pepe, è
anche rilevabile su viti attaccate da cocciniglie cotonose e fruttiferi infestati da
afidi. In caso di forti attacchi di cocciniglia su olivo, è possibile osservare la
fumaggine anche sulle infestanti e addirittura sul terreno nudo, sotto la proiezione
della chioma, a dimostrazione che può svilupparsi ovunque sia presente melata.
Danni
Le piante ricoperte da fumaggine, vanno incontro ad una progressiva
debilitazione, quale conseguenza della presenza di croste nere sulle foglie che
ne limita la fotosintesi e gli scambi gassosi. Il permanere della fumaggine
provoca defogliazioni, accorciamento di germogli e scarsa fruttificazione, ma in
realtà ciò è il risultato della contemporanea presenza di insetti (es. cocciniglie) e
fumaggine, non consentendo di definire il danno provocato da ognuno.
Il danno alla produzione può essere notevole, in quanto i frutti imbrattati di
fumaggine subiscono un grave deprezzamento commerciale.
Fattori favorevoli lo sviluppo di fumaggine
Per lo sviluppo della fumaggine è essenziale la presenza di melata e quindi degli
insetti che la producono. Conseguentemente i fattori favorevoli allo sviluppo della
fumaggine sono gli stessi che favoriscono le infestazioni dell’insetto.
Nell’olivicoltura pugliese, ci sono situazioni in cui la coltura è più suscettibile alla
fumaggine. Un’attenta analisi di tali oliveti rivelerà la presenza di uno o più dei
seguenti fattori: potature saltuarie o poliennali, impianti con sesti stretti, oliveti
posizionati in fondovalli, eccessivo rigoglio vegetativo dovuto ad abbondanti
fertilizzazioni ed irrigazioni, zone con inverni miti ed estati umide.
Inoltre, in Puglia, la fumaggine spesso appare improvvisamente con le prime
nebbie autunnali. In realtà, le infestazioni di cocciniglia sono in atto già da tempo,
ma il clima estivo caldo e secco ne rallenta l'attività ed impedisce lo sviluppo
della fumaggine, favorita invece dalle condizioni di clima autunnale caldo-umido.
Controllo
Un piano di controllo della fumaggine deve mirare innanzi tutto all’eliminazione
della fonte di melata.
Contemporaneamente è necessario individuare, per ogni singolo oliveto, i fattori
che ne hanno favorito lo sviluppo di fumaggine e quindi mettere in atto le idonee
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
pratiche agronomiche che ne limitano lo sviluppo.
Procedendo in tal modo, gli interventi a basi di prodotti rameici, pur utili per limitare lo
sviluppo della fumaggine, e quelli a base di sapone molle di potassio, che aiutano a
dilavare la melata, sono da ritenersi complementari.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
1.2.1 Le prede alternative
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Myopites stylata Fabr.
Dittero tripetide. Mosca dal labbro inferiore molto lungo e dalle ali maculate.
L’ovideposizione del Miopite avviene nei fiori dell’Inula viscosa (L.) che vengono
trasformati in galle, tipiche per la presenza di protuberanze dette camini. In esse
le larve si sviluppano e possono rimanere fino alla fioritura dell’anno successivo.
Il Myopites viene parassitizzato dall’Eupelmus a cominciare dalla fine di
settembre, periodo in cui le galle non sono completamente lignificate. Ciò può
proseguire per tutto l’inverno sulle galle secche a carico delle larve svernanti. In
tali galle, cadute al suolo, sverna anche l’Eupelmus che in primavera
riparassitizzerà il Miopites o altri ospiti disponibili. Nel mese di luglio l’Eupelmus
attacca la larva della mosca delle olive sviluppandosi su di essa al massimo fino
a ottobre-primi di novembre, periodo in cui l’abbandona per dirigersi sulle galle
dell’Inula.
Carpomyia incompleta Becker
L'adulto è una piccola mosca (dittero tefritide) lunga 4-5 mm, di colore nocciola
chiaro con ali trasparenti eccetto tre fasce trasversali scure. La larva è lunga 7
mm di colore bianchiccio.
La Carpomyia incompleta Becker è presente in Italia con una generazione
all'anno, riuscendo a completarne due in Sicilia. Gli adulti compaiono in giugnoluglio; si nutrono di sostanze zuccherine e depongono le uova nei frutti del
Giuggiolo (Ziziphus sativa Gaertn.) poco sotto l'epidermide. La larva neonata si
dirige verso il nocciolo nutrendosi a spese della polpa (e del nocciolo se non
lignificato) scavando una galleria molto irregolare. Alla fine dello sviluppo si dirige
fin sotto l'epidermide, poi la rompe ed abbandona il frutto per impuparsi nel
terreno. La pupa resta nel terreno da un estate al principio della successiva.
Dai frutti infestati sono stati ottenuti alcuni insetti utili quali l’Eupelmus urozonus
Dalm. e l’Opius concolor Szepl., entrambi parassiti della mosca delle olive.
Apion croceifemoratum Gyllenhal.
Coleottero curculionide. La femmina è lunga 2,5-2,8 mm escluso il rostro di cui è
provvista; il colore grigiastro deriva dalla presenza della piccola peluria bianca sul
corpo scuro. La larva matura, lunga 2-2,5 mm, è di colore giallo-arancione con il
capo bruno. Diffuso nel bacino del Mediterraneo si sviluppa solo sul Legno-puzzo
(Anagyris foetida L.).
L’adulto fuoriesce dalle foglie da ottobre a giugno, con maggior frequenza dopo
l’inverno, e si nutre delle foglie provocando tipiche erosioni. Da settembre a
maggio depone le uova in cellette scavate nel tessuto della foglia. Le larve si
sviluppano nutrendosi nella foglia e costruendosi una tipica celletta nel tessuto
all’interno del quale s’impupano per trasformarsi in adulto. Quest’ultimo riprende
il ciclo fuoriuscendo dalla foglia tramite un foro nella parete.
La specie in Grecia è risultata parassitizzata fino al 20% da parte del Pnigalio
agraules (Walk.)
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Ceroplastes rusci L (Cocciniglia del fico)
Cocciniglia appartenente alla famiglia dei Lecanidi è presente in tutta la regione
del Mediterraneo ma segnalata anche in Australia ed in Giappone dove è stata
probabilmente introdotta.
In Italia è diffusa soprattutto nell’area meridionale, in quella litoranea centrale e
settentrionale, meno nelle zone litoranee occidentali.
Il Ceroplastes è una specie polifaga che vive a spese soprattutto di piante di fico,
ma attacca anche agrumi, vite e piante di interesse ornamentale come il falso
pepe (Schinus molle L.), l'alloro (Laurus nobilis L.), il terebinto (Pistacia
terebinthus L.), il lentisco (P. lentiscus L.), l'oleandro (Nerium oleander L.),
l'agrifoglio (Ilex aquifolium L.), il pungitopo (Ruscus aculeatus L.), il mirto (Myrtus
communis L.), la rosa (Rosa sp.), il pittosporo (Pittosporum toriba Thunb.), il
gelso (Morus sp.), il pioppo (Populus sp.), il platano (Platanus sp.) e le palme.
Data la sua polifagia può essere considerato insetto dannoso oppure utile, come
preda alternativa, a seconda dell’utilità economica delle piante infestate.
Le femmine adulte presentano uno scudo di cera molto rigonfio, di colore scuro e
lungo circa 4 mm. Lo scudo si screpola e si stacca dal corpo della femmina che
muore dopo la deposizione delle uova.
L'uovo è ellittico prima color ruggine, poi cannella.
La neanide di I età, subito dopo la nascita, cerca un posto adatto su cui fissarsi e
comincia a nutrirsi e a produrre cera per costruire lo scudo dorsale. Quest'ultimo
diventa sempre più grande con lo sviluppo dei quattro stadi neanidali.
Il Ceroplastes sverna come femmina immatura o come neanide di III età e
comincia a produrre uova in maggio. Generalmente presenta una sola
generazione all'anno ma negli ambienti più favorevoli può compierne una
seconda.
Generalmente le neanidi si fissano sulla pagina superiore delle foglie, in
corrispondenza delle nervature secondarie e terziarie. Pertanto la foglia mostra
tante piccole macchie ovali ferruginose. Dopo pochi giorni dette macchie
assumono l'aspetto di piccolissime stelle a raggi bianchi. Le neanidi possono
fissarsi anche sulla pagina inferiore della foglia o sul tenero frutto. Alla fine di
ottobre o primi di novembre le femmine si portano sui rametti ove svolgono il
resto del loro ciclo. Spesso sui rametti è possibile trovare gruppi di cocciniglie
addossate le une alle altre.
Il Ceroplastes sottraendo linfa provoca un deperimento della vegetazione. Inoltre
l'abbondante melata prodotta, imbratta la vegetazione e costituisce un substrato
ideale per lo sviluppo della fumaggine.
Questa cocciniglia viene a svilupparsi soprattutto in località calde ed umide e su
alberi con chioma molto fitta.
Nonostante il numero elevato di uova prodotte da una femmina, accade spesso
però che il Ceroplastes non si sviluppi intensamente per vari anni di seguito
avendo forti infestazioni solo per uno o due anni. Questo fenomeno dipende da
fattori biotici ed abiotici che regolano lo sviluppo della cocciniglia.
Tra questi certamente di fondamentale importanza è la temperatura come
testimoniato dal fatto che il Ceroplastes sia assente o raro, in Italia, nelle regioni
ad inverni rigidi mentre prospera in quelle meridionali e litoranee settentrionali.
Anche il vento e l'acqua, pur avendo un'importante ruolo nella dispersione della
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
specie, svolgono anche un'azione di distruzione e dilavamento delle giovani
neanidi. Infine va ricordata anche la riduzione numerica che può aversi, nelle
popolazioni di Ceroplastes, al momento della caduta delle foglie allorché non tutti
gli individui siano andati a fissarsi sui rametti.
Tra le cause biotiche di controllo del Ceroplastes, abbiamo alcuni nemici naturali
come i Coleotteri Chilocorus bipustulatus L., Exochomus quadri-pustulatus L., gli
Imenotteri Scutellista cyanea Motsch., Coccophagus flavoscutellum Ashm.,
Cerapterocerus corniger Walk., Comys albitarsis (Zett.) e tre specie di
Tetrastichus, il Lepidottero Thalpochares scitula (Rbr.) e il Neurottero Semidalis
aleurodiformis (Steph.).
Zelleria oleastrella MILL. (Tignola media dell'olivo)
L'adulto è una piccola farfallina di colore grigio con ali fortemente lanceolate.
L'uovo è ellittico, convesso superiormente prima verde giallo-verdognolo poi si
colora in giallo. La larva matura è lunga 8-12 mm, fusiforme (cioé ristretta
anteriormente e posteriormente) di colore verde scuro al dorso e più chiara ai lati.
La crisalide verde è racchiusa all'interno di un bozzolo bianco, ovale costituito da
tessuto molto fitto.
Questa specie può compiere almeno 5 generazioni all'anno da aprile a dicembre.
Gli adulti compaiono in marzo-aprile, hanno abitudini crepuscolari e si nutrono di
sostanze zuccherine. La femmina depone le uova, in numero di 1-2, sulla pagina
superiore od inferiore delle foglie più o meno coriacee dell'Olivo. La larva
danneggia gli apici vegetativi dei polloni di olivo minandoli e sforacchiandoli nel
corso di parecchie generazioni. Lo svernamento ha luogo come larva.
Da quanto è stato detto circa le abitudini alimentari della larva, questa può
risultare dannosa per le nuove gettate di piante di olivo capitozzate, per le
piantine messe a dimora e quelle dei vivai.
Le larve che hanno già tessuto il bozzolo e stanno per trasformarsi in crisalide
possono essere attaccate dall'Imenottero Encirtide Ageniaspis fuscicollis,
parassita della Tignola dell'Olivo. Da una larva di Zelleria si possono ottenere da
10 a 26 adulti di Ageniaspis.
Ochromolopis (Epermenia) staintonella Stainton
Lepidottero Epermenide. L'adulto è una farfalla di piccole dimensioni dal colore
grigiastro. La larva è verde con tonalità più scure sul dorso; nella crisalide il verde
tende al giallastro. Diffusa nel bacino del Mediterraneo si sviluppa sulla
ginestrella (Osyris alba L.) pianta molto comune nella macchia mediterranea. In
primavera si nutre delle foglie ma più tardi, in estate-autunno, si sviluppa a spese
delle drupe ancora verdi e prosegue lo sviluppo su quelle mature,
distruggendone il seme. Completato lo sviluppo fuoriesce dalla drupa per tessere
il bozzolo in un luogo riparato e trasformarsi in crisalide da cui sfarfallerà l'adulto
della nuova generazione.
Le larve della Ochromolopis vengono parassitizzate dall'Imenottero Braconide
Chelonus eleaphilus Silv., nemico della Tignola dell'Olivo. Indagini effettuate in
Puglia ,presso Cassano delle Murge e la Foresta Mercadante, hanno evidenziato
una parassitizzazione delle larve di Ochromolopis da parte del Chelonus dal 15
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
al 60%. Parassitizzazioni inferiori, pari al 15-20% sono state provocate da un
altro nemico della Tignola dell'Olivo, l'Imenottero Braconide Bracon laetus Wesm.
Dasyneura gleditchiae (O. S.)
Dittero cecidomide. Segnalato in Italia nel 1985, è stato rinvenuto in Toscana su
piante di Gleditschia triacanthos L., nota come Acacia spinosa, dove la sua
presenza è rivelata dalla formazione di galle rosse sulle foglie. In tale regione si
ha un accavallarsi di generazioni da maggio a settembre, sebbene possano
continuare fino a novembre su piante dotate di nuovi germogli. La durata media
di ogni generazione è poco più di due settimane. L’ovideposizione avviene di
preferenza sugli apici vegetativi dove si riscontrano gruppi di uova arancione
lunghe 0,3 mm. La larva matura, di colore arancione e lunga 4 mm, s’impupa
nella stessa galla o nel terreno per svernare. Tale dittero risulta parassitizzato
dall’Eupelmus nel periodo di Agosto e Settembre.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
1.4 Le piante utili
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
ANAGIRIDE
NOME SCIENTIFICO: Anagyris foetida
NOME VOLGARE: Anagiride, Legno-puzzo,
Carrubbazzo
FAMIGLIA: Leguminoseae
PROVENIENZA: Mediterraneo
HABITAT: Macchie e dirupi (calcarei)
CARATTERISTICHE BOTANICHE:
FORMA
BIOLOGICA
Arbusto/albero
ZONA
ALTIMETRICA
0 - 1100 m
ALTEZZA
EPOCA DI FIORITURA
1-4m
CARATTERISTICHE ECOLOGICHE:
AREA DI
TIPO DI
ESIGENZE
RIFUGIO
SUBSTRATO IRRIGUE
Xerofila
Sciolto
Minime
I - IV
PROPAGAZIONE
EPOCA DI
FRUTTIFICAZIONE
VI - VII
LUCE
Seme
Pieno sole
CARATTERISTICHE ECONOMICHE:
Specie utile
per la fauna
selvatica
no
Specie utile
per gli insetti
utili ed
impollinatori
Si per
impollinatori
Specie
Specie
produttrice officinale
di frutti
eduli
no
si
Specie
Specie
ornamentale adatta per
siepi
no
no
Specie
produttrice
di legno
no
DESCRIZIONE DELLA PIANTA
E' una pianta arbustiva, che ricorda nel suo aspetto il maggiociondolo ed il suo
nome indica lo sgradevole odore che emana. Tuttavia, la sua fioritura nel corso del mite
inverno mediterraneo, è molto piacevole ad ammirarsi.
Le foglie sono alterne e munite alla base di due stipole saldate in una guaina
bidentata; sono inoltre picciolate e ternate, divise cioè in tre foglioline ellittico-lanceolate,
brevemente mucronate all'apice, peloso-sericee sulla pagina inferiore.
I fiori sono disposti in infiorescenze brevemente racemose, a volte glomeruliformi,
con corolla gialla e spesso ornata di macchie puntiformi, nere sul vessillo. La fioritura si
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
protrae fino ad aprile, mentre i frutti maturano in estate. Questi ultimi sono legumi lunghi
da 10 a 15 centimetri, un poco arcuati, carnosi e di colore giallo.
L'Anagiride è distribuita in tutto il bacino mediterraneo, ad Oriente si spinge fino
all'Armenia e verso sud sino all'Arabia e al Sahara centrale, preferendo macchie, pendici
pietrose, siepi ai margini dei campi.
E' comune nell'Italia meridionale, in Sicilia, Sardegna e Corsica; verso nord è presente, sul
versante adriatico, sino alle Marche, sul versante tirrenico fino ai Colli Albani, in Toscana
fino a Follonica e Magliano, in Liguria Varigotti.
TECNICHE DI IMPIANTO
La propagazione dell'Anagiride deve essere effettuata attraverso l'uso dei suoi
semi, poiché difficilmente radica per talea o margotta.
La semina può essere realizzata direttamente a dimora o al massimo in contenitore
alveolato, per poi procedere al trapianto quando le piantine abbiano raggiunto le
dimensioni di alcuni centimetri.
Prima di effettuare il trapianto o la semina diretta a dimora, sarebbe opportuno ripulire il
terreno dalle erbe infestanti attraverso delle lavorazioni più o meno profonde a seconda
del tipo di terreno.
I terreni che la pianta preferisce sono substrati sciolti, meglio se ricchi di sostanza
organica e il suo attecchimento e soprattutto la sua crescita, sono favoriti da un apporto, in
pre-impianto, di letame maturo.
L'esposizione ottimale della pianta è in pieno sole.
PRIME CURE E TECNICHE COLTURALI
Le cure da assicurare alle piantine, soprattutto nelle prime fasi dell'impianto, sono
l'eliminazione delle malerbe e l'apporto di acqua, sebbene le esigenze irrigue siano
minime.
La lotta alle infestanti può essere effettuata mediante leggere sarchiature in prossimità
della pianta o ricorrendo alla pacciamatura con film plastici o materiale vegetale quale
paglia o foglie secche.
UTILITA' NEL BIOLOGICO
L'utilità dell'Anagiride nell'azienda biologica consiste principalmente nell'attirare
insetti pronubi in un periodo in cui la presenza di piante fiorite in campo è piuttosto bassa.
Il periodo della sua fioritura, infatti, si protrae da gennaio ad aprile.
Inoltre, essendo una specie officinale, può essere impiegata nell'industria farmaceutica o
in erboristeria.
BIBLIOGRAFIA:
- Fenaroli L., 1985 - Flora Mediterranea. Ed. Giunti Martello (Firenze).
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
CAPPERO
NOME SCIENTIFICO: Capparis spinosa
NOME VOLGARE: Cappero comune
FAMIGLIA: Capparidaceae
PROVENIENZA: Euroasiatica subtropicale
HABITAT: Rupi, marittime, muri.
CARATTERISTICHE BOTANICHE:
FORMA
BIOLOGICA
Arbusto
ZONA
ALTIMETRICA
0 - 1000 m
ALTEZZA
EPOCA DI FIORITURA
40 - 80 cm
CARATTERISTICHE ECOLOGICHE:
AREA DI
TIPO DI
ESIGENZE
RIFUGIO
SUBSTRATO IRRIGUE
Xerofila
Roccioso
Minime
V - VII
PROPAGAZIONE
EPOCA DI
FRUTTIFICAZIONE
VII - IX
LUCE
Talea/Seme
Pieno sole
CARATTERISTICHE ECONOMICHE:
Specie utile
per la fauna
selvatica
no
Specie utile
per gli insetti
utili ed
impollinatori
Si per
impollinatori
Specie
Specie
produttrice officinale
di frutti
eduli
no
si
Specie
Specie
ornamentale adatta per
siepi
si
no
Specie
produttrice
di legno
no
DESCRIZIONE DELLA PIANTA
E' una specie di inconfondibile aspetto per i suoi numerosi fusti sarmentosi, lunghi
anche più di un metro, che pendono in lunghi festoni dalle rupi o dai muri monumentali
delle stazioni più calde. Vistosi sono i suoi fiori, inseriti singolarmente con un lungo
peduncolo all'ascella delle foglia, con quattro petali molto grandi di colore bianco puro,
mentre dal centro si irradiano numerosi stami lunghi e di colore rosso-violaceo. Il frutto è
una bacca non carnosa, ovale-oblunga, dapprima verde, poi rossa a maturità, che si apre
anteriormente e contiene numerosi semi reniformi di colore nero. Sembra, infatti, che la
specie, già nota ai greci ed ai romani, derivi il proprio nome dal greco per la forma dei suoi
semi a capitello. L'areale del cappero comprende tutto il bacino del Mediterraneo, si
spinge fino al vicino Oriente ed all'India; risulta ovunque coltivato perciò si è largamente
naturalizzato oltre i limiti del suo areale originario, soprattutto nell'Italia meridionale e
centrale, verso nord in Liguria ed Abruzzi, mentre risulta subspontaneo nel resto del
paese. Nella corteccia delle radici e nei boccioli, sono contenuti principi attivi quali
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
bioflavonoidi, oli essenziali, resine, glucosidi, pectine che conferiscono alla pianta
proprietà diuretiche e stimolatrici le funzioni digestive. La porzione edule delle piante sono
i boccioli ed anche i giovani frutti acerbi.
TECNICHE DI IMPIANTO
Il Cappero è una pianta che spesso si ritrova nelle aziende agricole provviste di
vecchi casolari, masserie o antichi muri. In passato gli agricoltori erano infatti soliti allevare
qualche pianta allo scopo di raccogliere i boccioli fiorali che venivano poi messi in
salamoia e conservati sotto aceto. Oggi le varietà particolarmente floribunde,
caratterizzate da lungo periodo di fioritura, sono particolarmente ricercate anche come
piante ornamentali data anche la loro rusticità e la loro facilità di coltivazione.
La propagazione del cappero non è però tanto semplice quanto la sua coltivazione.
Si può scegliere di propagarlo gamicamente, raccogliendo i semi e seminandoli nella
primavera successiva in un miscuglio di sabbia, calcinacci e terriccio, preferibilmente in
contenitori alveolati o in fitocelle, posti in ambiente caldo. Poiché le prime fasi della
crescita sono le più difficili, per ottenere risultati positivi dopo il trapianto, sarebbe
opportuno allevare le piantine in serra per i primi due anni, e poi trapiantarle all'aperto
durante l'inverno, quando sono ancora in dormienza. Comunque, se le piante sono
provviste di pane di terra, anche trapiantandole in primavera si otterranno ottimi risultati.
Per ottenere piante di dimensioni discrete anche dopo breve tempo, si può ricorrere alla
propagazione agamica per talea o per margotta. Poiché però, l'emissione delle radici non
è tanto semplice, conviene porre a radicare un elevato numero di talee.
Il trapianto viene effettuato su terreno appositamente preparato, anche di qualità
non ottimale, purché dotato di una buona capacità di drenaggio. L'esposizione da preferire
è quella di pieno sole, sebbene le piante si sviluppino discretamente anche in ambienti
ombreggiati.
Per ciò che riguarda l'apporto di elementi nutritivi, una concimazione di base con
letame maturo è sufficiente per assicurare un'ottimale crescita e produzione delle piante
per un buon biennio.
Le esigenze idriche delle piante sono minime soprattutto quando le piante sono
adulte ed hanno ben radicato.
PRIME CURE E TECNICHE COLTURALI
Le cure consistono nell'eliminazione delle malerbe che potrebbero competere con
le piantine, soprattutto nelle fasi giovanili. La rusticità del cappero lo rende particolarmente
resistente all'attacco di insetti e crittogame.
Ciò che dovrebbe essere assicurata, invece, è una potatura invernale dei rami di un
anno fino alla ceppaia, per favorire un vigoroso sviluppo vegetativo nella primavera
successiva.
UTILITA' NEL BIOLOGICO
L'utilità che il cappero può svolgere nell'azienda biologica è principalmente quella di
offrire un prodotto facilmente commerciabile sia allo stato fresco che semitrasformato.
Nell'area di rifugio, l'unica funzione che esso possa svolgere è quella di
incrementare la presenza di insetti pronubi essendo, i suoi fiori particolarmente appetiti
agli insetti impollinatori.
Spesso, soprattutto in quelle aziende dove si pratica l'attività agrituristica, caratterizzate
dalla presenza di vecchie costruzioni, masserie o casolari, il cappero viene utilizzato come
pianta di indiscutibile effetto ornamentale.
BIBLIOGRAFIA:
- Fenaroli L., 1985 - Flora Mediterranea. Ed. Giunti Martello (Firenze)
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
CARDO SAETTONE
NOME SCIENTIFICO: Carduus
pycnocephalus
NOME VOLGARE: Cardo saettone
FAMIGLIA: Composite
PROVENIENZA: Mediterranea
HABITAT: Incolti, bordi di strade
CARATTERISTICHE BOTANICHE:
FORMA
BIOLOGICA
ALTEZZA
ZONA
ALTIMETRICA
Erbacea biennale 20 - 60 cm
EPOCA DI
FIORITURA
0 - 1000 m
CARATTERISTICHE ECOLOGICHE:
AREA DI
TIPO DI
ESIGENZE
RIFUGIO
SUBSTRATO IRRIGUE
Xerofila
Indifferente
Minime
EPOCA DI
FRUTTIFICAZIONE
IV - VII
PROPAGAZIONE
VII - IX
LUCE
Seme
Pieno sole
CARATTERISTICHE ECONOMICHE:
Specie utile
per la fauna
selvatica
si
Specie utile
per gli insetti
utili ed
impollinatori
si
Specie
Specie
produttrice officinale
di frutti
eduli
no
no
Specie
Specie
ornamentale adatta per
siepi
no
no
Specie
produttrice
di legno
no
DIDASCALIA DELLA PAGINA INIZIALE .©
E' una specie non coltivata, frequente in ambienti ruderali, in prossimita' di muri a
secco, sentieri. E' diffusa su tutto il territorio regionale particolarmente nell'intera provincia
barese, nel Gargano, in tutta la provincia di Lecce e nella zona di Leucaspide in provincia
di Taranto. Predilige ambienti caldo - aridi.
DESCRIZIONE DELLA PIANTA
Specie erbacea annuale o biennale, con fusto eretto, ramificato in alto, spinoso.
Le foglie sono lunghe mediamente 5 - 12 centimetri con bordo variamente frastagliato,
spinescente e lembo lanuginoso nella pagina inferiore. I capolini hanno un diametro di 1,5
- 2 centimetri, isolati e rosei. I semi sono rappresentati da acheni con pappo piumoso.
TECNICHE DI IMPIANTO
La propagazione di questa specie è molto semplice come anche la sua coltivazione.
I semi devono essere raccolti a maggio, quando hanno raggiunto la fase di maturazione
ottimale, ed interrati immediatamente in terrine, vassoi o direttamente a dimora. In
entrambi i casi il letto di semina va preparato predisponendo una miscela di terriccio,
sabbia e torba. I semi devono essere posti in gruppetti di 3 - 4, e ricoperti con lo stesso
substrato per 2 -3 centimetri. In pien'aria la distanza di semina e' di 40 centimetri per 40
centimetri. Il trapianto viene effettuato a radice nuda dopo circa un mese in qualunque tipo
di terreno, meglio se di medio impasto, ben drenato e ricco di sostanza organica. Se si
effettua la semina direttamente a dimora e' necessario diradare successivamente le
piantine eliminando quelle più deboli.
PRIME CURE E TECNICHE COLTURALI
Le cure di cui necessitano le piante sono minime trattandosi di specie rustica. Per
agevolare
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
il superamento dello stress da trapianto, e' utile irrigare le piantine nelle prime fasi,
predisponendo degli impianti irrigui a pioggia o a microportata. La presenza di acqua puo'
favorire lo sviluppo di infestanti che sarebbe opportuno eliminare per evitare competizioni
con le piante di Cardo.
BIBLIOGRAFIA:
- Fenaroli L., 1985 - Flora Mediterranea. Ed. Giunti Martello (Firenze)
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
CORBEZZOLO
NOME SCIENTIFICO: Arbutus unedo
NOME VOLGARE: Corbezzolo
FAMIGLIA: Eridaceae
PROVENIENZA: Regione Mediterranea
HABITAT: Macchie, Leccete (silice)
CARATTERISTICHE BOTANICHE:
FORMA
BIOLOGICA
Arbusto
sempreverde
ZONA
ALTIMETRICA
O-800 m
ALTEZZA
EPOCA DI FIORITURA
1-8m
CARATTERISTICHE ECOLOGICHE:
AREA DI
TIPO DI
ESIGENZE
RIFUGIO
SUBSTRATO IRRIGUE
Xerofila
Sciolto
Minime
X - III
PROPAGAZIONE
EPOCA DI
FRUTTIFICAZIONE
X- XI
LUCE
Talea/seme
Pieno sole
CARATTERISTICHE ECONOMICHE:
Specie utile
per la fauna
selvatica
si
Specie utile
per gli insetti
impollinatori
si
Specie
Specie
produttrice officinale
di frutti
eduli
si
si
Specie
Specie
ornamentale adatta per
siepi
si
si
Specie
produttrice
di legno
si
DESCRIZIONE DELLA PIANTA.
Tra gli elementi più decorativi della macchia mediterranea, il Corbezzolo è un
arbusto sempreverde che, come molte specie tipiche dei paesi caldi, durante molti mesi
dell’anno presenta contemporaneamente sia i fiori che i frutti. E’ una sclerofilla laurifoglia
che, a volte, forma associazioni in cui è predominante, tende però a rarefarsi, quando si
trova in una lecceta chiusa. Il Corbezzolo può raggiungere un’altezza che varia da 1 a 8
metri, ma in condizioni favorevoli si eleva anche fino a 12 metri. I fiori, di colore bianco
candido, dalla corolla a forma di orciolo con cinque denticini, sono disposti in racemi
penduli; si possono sviluppare in ogni periodo dell’anno, ma l’epoca più copiosa di fioritura
va da ottobre a marzo. I frutti, sono delle bacche globose, densamente granulosoIstituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
tubercolate, di un bel rosso-cocciniglia a maturità, dal sapore dolciastro e perciò
commestibili.
Il corbezzolo predilige i terreni acidi e ricchi di humus e le stazioni riparate dai venti.
Il suo areale comprende tutto il bacino mediterraneo, ma gravita soprattutto nel settore
occidentale. Nei boschi o macchie, distrutti da un incendio, grazie alla sua capacità di
emettere vigorosi polloni, il Corbezzolo è una delle prime specie legnose che riprende a
vegetare. Il suo legno rossastro si presta bene per piccoli lavori artigianali ed è un
eccellente carbone. La corteccia, che negli individui adulti si sfalda in sottili placche
rossastre, viene impiegata nella concia delle pelli, perché ricca di tannini, cosi pure le
foglie. Quest’ultime hanno proprietà medicinali astringenti intestinali e antidiarroiche e la
presenza di un principio attivo, l’arbutoside, conferisce loro proprietà diuretiche e
disinfettanti del tratto uro-genitale.
TECNICHE DI IMPIANTO
Essendo una pianta tipicamente mediterranea il Corbezzolo non dovrebbe dare
grossi problemi di attecchimento in fase di impianto. Chiaramente la tecnica varia in
funzione del contesto in cui le piantine devono essere inserite: nel caso l’area di impianto
sia già investita da altre specie botaniche è opportuno ripulire il terreno, quindi scavare
una buca di dimensioni variabili in proporzione alla grandezza dell’apparato radicale della
pianta. E’ necessario, comunque che il colletto sia a livello della superficie del terreno. Se
invece il terreno è nudo e l’impianto è ex novo, per agevolare l’attecchimento e la crescita
della pianta conviene utilizzare uno strato pacciamante di materiale organico o plastico,
sia allo scopo di impedire la crescita di malerbe, sia per trattenere l’umidità e riscaldare
leggermente il terreno, assicurando un migliore assorbimento degli elementi nutritivi.
Anche in questo caso la buca deve essere scavata in relazione alla dimensione
dell’apparato radicale o del pane di terra che lo avvolge. Comunque avvenga l’impianto, è
sempre utile prevedere una concimazione di fondo meglio se a base di letame.
Volendo utilizzare film plastici per eseguire la pacciamatura, è opportuno
predisporre al di sotto del film l’impianto di irrigazione a goccia. E’ preferibile effettuare
l’impianto nei mesi autunnali o primaverili quando le condizioni climatiche non sono né
troppo rigide né caratterizzate da caldo eccessivo.
Le piante, preferibilmente giovani, sia che provengano da seme, sia che
provengano da talea, a radice nuda o con pane di terra che siano, devono essere sane,
ovvero esenti da virus o da altre malattie fungine o provocate da insetti: cosa molto
importante ai fini di un buon attecchimento.
PRIME CURE E TECNICHE COLTURALI
Le cure che devono essere assicurate alle piantine sono necessarie per una
crescita rapida e vigorosa.
Se successivamente all'impianto si susseguono giorni siccitosi è necessario irrigare le
piantine. Quando possibile, sarebbe opportuno anche distribuire del concime. Soprattutto
occorre fare attenzione allo sviluppo di erbe infestanti, quando si opera in assenza di
pacciamatura, sarchiando il terreno in prossimità delle piantine.
Per avere in azienda una buona siepe che svolga in modo ottimale tutte le sue
funzioni, è necessario effettuare periodicamente delle potature per evitare un eccessivo
inselvatichimento delle piante. In questo modo, infatti, effettuando dei piccoli interventi, si
riescono a mantenere in salute le piante e si riesce ad ottenere tutta una serie di prodotti
secondari che il Corbezzolo può offrire.
UTILITA’ NEL BIOLOGICO
Non è stata finora riscontrata la presenza abituale di insetti
sull'arbusto.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
entomofagi utili
Rev. 00 del 03/11/98
Al contrario data l'epoca di fioritura tipicamente estivo-autunnale, la pianta può risultare
utile per incrementare la presenza di pronubi, necessari in questo periodo per garantire
l'impollinazione di piante ortive tardive quali pomodoro, peperone, melanzana, zucchina,
coltivate sia in pieno campo che in ambiente protetto.
La produzione di frutti minori, comunque, lo rende una specie interessante
soprattutto nelle aziende biologiche che usano vendere i propri prodotti in loco o in quelle
che praticano attività agrituristica. Inoltre il suo legname può essere utilizzato come legna
da ardere o per la produzione di paletti, recinzioni ecc.
BIBLIOGRAFIA:
- Ferioli E., 1987 - Atlante degli alberi d'Italia. Ed. Mondadori (Milano)
- Fenaroli L. , 1967 - Gli alberi d'Italia. Ed. Martello (Firenze)
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
ENULA CEPITTONI
NOME SCIENTIFICO: Inula viscosa
NOME VOLGARE: Enula cepittoni, prucara
FAMIGLIA: Composite
PROVENIENZA: Mediterranea
HABITAT: Ruderi, greti dei torrenti, spiaggie,
incolti umidi
CARATTERISTICHE BOTANICHE:
FORMA
BIOLOGICA
Erbacea perenne
ZONA
ALTIMETRICA
0-800 m
ALTEZZA EPOCA DI FIORITURA
0.5 - 1m
CARATTERISTICHE ECOLOGICHE:
AREA DI
TIPO DI
ESIGENZE
RIFUGIO
SUBSTRATO IRRIGUE
Xerofila
Sciolto
Minime
VIII - X
PROPAGAZIONE
EPOCA DI
FRUTTIFICAZIONE
XI - XII
LUCE
Semi
Pieno sole
CARATTERISTICHE ECONOMICHE:
Specie utile
per la fauna
selvatica
no
Specie utile
per gli insetti
utili ed
impollinatori
Si per insetti
utili
Specie
Specie
produttrice officinale
di frutti
eduli
no
no
Specie
Specie
ornamentale adatta per
siepi
no
no
Specie
produttrice
di legno
no
DESCRIZIONE DELLA PIANTA.
E' una pianta vischiosa, che si presenta come un suffrutice di fusto eretto, legnoso
alla base, ispido all'apice. Spesso forma ampi cespugli, con i fusti densamente rivestiti di
foglie e ramificati in alto. Le foglie sono generalmente intere, lineari-lanceolate, con dentelli
acuti; sono sessili e si distribuiscono su tutto il caule: quelle inferiori sono a base
attenuata, le intermedie semiabbraccianti o orecchiuto-amplessicauli, le superiori
progressivamente ridotte. La pagina inferiore delle foglie è glutinoso-lucida. Numerosi
sono i capolini dai fiori giallo dorati che formano una pannocchia densa, bislungopiramidata. L'involucro di ciascun capolino è provvisto di parecchie serie di squame.
TECNICHE DI IMPIANTO
L'Enula è una pianta facile da propagare sia per via gamica, utilizzando i semi
quando hanno raggiunto lo stato di maturazione ottimale, sia per via agamica, attraverso
la divisione del cespo.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
E' preferibile effettuare la semina in primavera, in semenzaio o in contenitore alveolato,
trapiantando successivamente le piantine; discreti risultati si possono ottenere con la
semina direttamente a dimora.
Prima del trapianto o della semina, sarebbe opportuno preparare il terreno
zappettandolo e miscelandolo con piccoli quantitativi di letame maturo, facendo attenzione
ad eliminare le erbe infestanti in prossimità del posto di semina o di trapianto.
Poiché la pianta preferisce substrati sciolti e ben drenati, in caso di terreni eccessivamente
argillosi converrebbe integrare con piccoli quantitativi di sabbia o terriccio e torba.
PRIME CURE E TECNICHE COLTURALI
Le cure che occorre assicurare alle piantine consistono nell'eliminazione delle
infestanti, attraverso leggere sarchiature, e nel somministrare almeno nelle prime fasi di
crescita acqua in prossimità degli apparati radicali. Se si tratta di poche piante si può
procedere con i metodi classici di irrigazione (irrigazione per solchi o per conche),
altrimenti conviene predisporre un semplice impianto irriguo a goccia.
UTILITA' NEL BIOLOGICO
L'utilità nella lotta biologica di questa erbacea perenne si estrinseca maggiormente
nelle aziende olivicole. Infatti l'Enula cepittoni viene attaccata da un dittero, il miopite
(MYOPITES STYLATA ), che determina sul capolino la produzione di galle all'interno delle
quali si sviluppano le larve dell'insetto.
Il miopite viene parassitizzato dall' eupelmus (EUPELMUS UROZONUS), un insetto
entomofago utile poiché si sviluppa su varie larve, comprese quelle della mosca dell'olivo
(BACTROCERA OLEAE).
Più precisamente le larve della Bactrocera, vengono parassitizzate nel periodo
compreso tra luglio ed ottobre, successivamente, infatti, l'eupelmus abbandona l'olivo
preparandosi a svernare sulle galle dell'Inula viscosa. Di conseguenza la presenza
dell'Inula, garantisce la conservazione dell'insetto utile, nell'agroecosistema olivetato.
BIBLIOGRAFIA:
- Fenaroli L., 1985, Flora mediterranea., Ed. Giunti Martello (Firenze).
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
GIUGGIOLO
NOME SCIENTIFICO: Ziziphus sativus
NOME VOLGARE: Giuggiolo comune
FAMIGLIA: Rhamnaceae
PROVENIENZA: Est-Asiatico
HABITAT: Coltivato per i frutti commestibili
CARATTERISTICHE BOTANICHE:
FORMA
BIOLOGICA
Arbusto/albero
ZONA
ALTIMETRICA
0 - 600 m
ALTEZZA
EPOCA DI FIORITURA
1-8m
CARATTERISTICHE ECOLOGICHE:
AREA DI
TIPO DI
ESIGENZE
RIFUGIO
SUBSTRATO IRRIGUE
Xerofila
Sciolto
Moderate
V - VII
PROPAGAZIONE
EPOCA DI
FRUTTIFICAZIONE
X - XI
LUCE
Seme/talea
Pieno sole
CARATTERISTICHE ECONOMICHE:
Specie utile
per la fauna
selvatica
no
Specie utile
per gli insetti
utili ed
impollinatori
no
Specie
Specie
produttrice officinale
di frutti
eduli
si
si
Specie
Specie
ornamentale adatta per
siepi
si
si
Specie
produttrice
di legno
si
DESCRIZIONE DELLA PIANTA:
Il Giuggiolo si presenta come un arbusto o alberello dai rami numerosi, flessuosi,
spinosi e zigzaganti. Originario della Cina, dove viene abbondantemente coltivato, è noto
in Europa sin dall'epoca romana. Risulta inselvatichito in Liguria, in Sicilia ed in molte parti
della penisola italiana. Ha portamento piramidale, con legno duro e contorto, di lento
accrescimento e sviluppo limitato. Le foglie sono regolarmente alterne, piccole e lucenti,
con lamina obovata e seghettata sul bordo, con due aculei stipolari , uno lungo e diritto,
l'altro breve ed uncinato.
Il Giuggiolo spoglia in autunno inoltrato ed il risveglio primaverile è tardivo. I fiori
sono piccoli, verdini, con corolla quasi invisibile, portati da germogli che nel successivo
autunno, dopo la fruttificazione, si autoelidono, per cui l'accrescimento effettivo dei rami è
limitato.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
I frutti sono drupe ovali, ellittiche o rotondeggianti, con epidermide di colore marrone
scuro, con nocciolo legnoso e polpa carnosa e dolce-acidula a maturità; la loro
maturazione è tardiva (ottobre - novembre) e rimangono a lungo sull'albero cominciando
ad appassire senza cadere. I frutti vengono consumati freschi o secchi, canditi, oppure
vengono trasformati in confetture, sciroppi e marmellate; grazie al loro contenuto in
zuccheri e mucillagini, acido citrico e tartarico, i frutti hanno proprietà medicamentose, tra
le quali le più importanti sono quella espettorante, lassativa, diuretica, lenitiva ed
antinfiammatoria ad uso esterno.
Il legno del Giuggiolo ha un colore rosso, è molto ricercato per la sua omogeneità
ed è pregiato nei lavori di scultura, ebanisteria, ecc.
TECNICHE DI IMPIANTO
Nell'azienda biologica la funzione del Giuggiolo è limitata alla produzione di frutti
minori e di legname, anche se il suo habitus compatto lo rende grazioso e utilizzabile
come specie ornamentale per quelle aziende che praticano l'attività agrituristica.
Le tecniche di impianto non sono diverse da quelle adottate per le altre piante
arbustive o arboree, con la peculiarità di scegliere posti soleggiati, se si vogliono ottenere
produzioni abbondanti e qualitativamente ottimali.
Scelto il sito di impianto, sarebbe opportuno preparare il terreno ripulendolo dalle
erbe infestanti, lavorandolo in profondità, ed apportandovi sostanza organica (foglie
secche, terriccio, ecc.) o letame maturo. Le esigenze pedologiche, comunque non sono
particolari, dato che la pianta si adatta a vivere bene anche in suoli acidi, sassosi e poveri.
Le piantine possono essere ottenute per seme o per pollone radicale; altre tecniche
agamiche di propagazione sono l'innesto "a spacco" dei tronchetti, oppure a gemma, in
estate. La semina è preferibile effettuarla in semenzaio o in contenitore alveolato, e prima
di trapiantare le piantine sarebbe opportuno aspettare che abbiano raggiunto una
dimensione discreta. Il metoto più rapido di propagazione rimane comunque quello per
polloni, ma anche in questo caso i polloni si tengono in piantonaia sino ad un'altezza di 1,5
metri. Per garantire un buon attecchimento delle piante si può ricorrere alla
"inzaffardatura" (immersione delle radici in una soluzione formata da 1/3 di acqua, 1/3 di
terreno ed 1/3 di letame fresco). Sebbene la pianta non abbia particolari esigenze irrigue,
sarebbe comunque utile predisporre un impianto di irrigazione a microportata al piede
delle piante ed eventualmente ricorrere alla pacciamatura con materiale organico (paglia,
foglie secche) o materiale plastico nero.
PRIME CURE E TECNICHE COLTURALI
Le cure necessarie alle piante sono l'eliminazione delle erbe infestanti e minimi
interventi cesori da effettuare periodicamente.
In assenza di pacciamatura, l'abbattimento delle malerbe viene effettuato mediante
leggere sarchiature, soprattutto in prossimità delle piante; per quanto riguarda le potature,
invece, i tagli hanno la funzione di eliminare o accorciare i rami superflui o eccessivamente
espansi lateralmente.
Le irrigazioni possono essere sporadiche evitando stress idrici.
Le giuggiole coltivate sono autofertili, perciò non necessitano di impollinazione
entomofila.
UTILITA' NEL BIOLOGICO
Nell'azienda biologica il Giuggiolo svolge una moltepilicità di funzioni che spaziano
dall'incremento della biodiversità, all'utilità nel controllo biologico dei parassiti, per finire
alla produzione di frutti minori e sottoprodotti.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Probabilmente la funzione più importante può essere individuata nel controllo
biologico della mosca olearia che si esplica principalmente negli agroecosistemi olivetati;
infatti nei frutti del giuggiolo si sviluppano le larve di una mosca, la CARPOMYA
(Carpomia incompleta Beckev), che viene parassitizzata dall'OPIUS (Opius concolor Sz
ep) noto parassita specializzato della MOSCA OLEARIA (Bactrocera oleae). La carpomya
rappresenta una dei pochissimi ospiti alternativi dell'opius, pertanto l'arbusto ospitandola
nei suoi frutti assicura la presenza dell'opius anche in annate di scarica dell'oliveto o
durante i periodi in cui non si riscontra la mosca olearia.
Il Giuggiolo, anche se non è una specie autoctona, ha subito un lungo processo di
adattamento, tale da instaurare rapporti funzionali complessi con altre componenti
ambientali. Pertanto nell'area di rifugio svolge un ruolo importante nell'incrementare la
diversità biologica, grazie ai suoi frutti appetiti da uccelli e numerose specie di insetti.
Inoltre, attualmente la pianta sta assumendo importanza come specie ornamentale dato il
suo aspetto gradevole e la sua capacità di adattarsi ad una moltitudine di condizioni
pedoclimatiche.
Un'ulteriore utilità del giuggiolo nell'azienda biologica, consiste nella produzione di
frutti minori, utilizzabili come prodotto commestibile e quindi da commerciare direttamente,
o nell'industria conserviera per la produzione di confetture; infine le loro funzioni
espettoranti, lassative, diuretiche, lenitive ed antinfiammatorie sono spesso sfruttate
dall'industria farmaceutica.
Tra i prodotti secondari forniti dalla pianta rientra il suo legno apprezzato in ebanisteria per
la sua attitudine ad essere scolpito e lavorato.
BIBLIOGRAFIA:
- Lieutagni P., 1982 - Il libro degli alberi e degli arbusti. Ed. Rizzoli (Milano)
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
LENTISCO
NOME SCIENTIFICO: Pistacia lentiscus
NOME VOLGARE: Lentisco
FAMIGLIA: Anacardiaceae
PROVENIENZA: Area mediterranea
HABITAT: Macchie e boschi
CARATTERISTICHE BOTANICHE:
FORMA
BIOLOGICA
Arbusto
ALTEZZA
ZONA
ALTIMETRICA
70 - 150 cm
0 - 700 m
CARATTERISTICHE ECOLOGICHE:
AREA DI
TIPO DI
ESIGENZE
RIFUGIO
SUBSTRATO IRRIGUE
Xerofila
calcareo
Minime
EPOCA DI
FIORITURA
III - IV
PROPAGAZIONE
EPOCA DI
FRUTTIFICAZIONE
IX - XII
LUCE
Seme
Pieno sole
CARATTERISTICHE ECONOMICHE:
Specie utile
per la fauna
selvatica
si
Specie utile
per gli insetti
utili ed
impollinatori
no
Specie
Specie
produttrice officinale
di frutti
eduli
no
si
Specie
Specie
ornamentale adatta per
siepi
si
si
Specie
produttrice
di legno
si
DIDASCALIA DELLA PAGINA INIZIALE .©
Il Lentisco è considerata una delle specie piu' pregevoli della macchia mediterranea
per i prodotti utili che fornisce all'uomo. In Puglia e' comunissimo in tutta la regione ad
eccezione delle aree al di sopra dei 700 metri. Lo si ritrova in associazione ad altre piante
tipiche della macchia, principalmente Corbezzolo, Mirto, Alloro, e Leccio. In agricoltura
biologica è utilizzato come indicatore di fertilita' dei suoli. Infatti, la presenza di vegetazione
vigorosa e' indice di terreni di buona fertilita', vocati per la coltivazione dei cereali.
DESCRIZIONE DELLA PIANTA
E' un arbusto cespuglioso, molto folto e ramoso, dotato di un robusto apparato radicale
che gli permette di vegetare indisturbato anche nella piu' calda estate quando tutte le altre
piante appaiono sofferenti e ingiallite. Le sue dimensioni variano in base alla profondita' ed
alla fertilita' del terreno. In condizioni ottimali puo' raggiungere l'altezza di un piccolo albero
(4 - 6 metri), mentre con profondita' ridotte si riduce ad arbusti nani, intrecciando i rami
contorti tra le anfrattuosita' del terreno roccioso.
Le foglie sono sempreverdi, lucide, persistenti, alterne dall'odore resinoso e di colore
verde lucente.
La fioritura, caratterizzata da fiori piccoli e privi di petali, e' primaverile.
I frutti sono drupe rossastre, quasi nere in piena maturita'. Contengono fino al 22 % di un
olio usato in passato per l'illuminazione.
TECNICHE DI IMPIANTO
E' una pianta piuttosto rustica che prospera bene in vario tipo di terreni.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Il metodo di propagazione piu' usato è per seme essendo molto difficile la radicazione di
talee. I semi devono essere raccolti quando i frutti sono ben maturi e devono essere
interrati immediatamente dato che perdono ben presto il loro potere germinativo. La
semina puo' avvenire direttamente a dimora, oppure, preferibilmente in cassette di
germinazione riempite con sabbia, terriccio e torba per un'altezza di 5 - 6 centimetri.
Quando le piantine avranno raggiunto lo stadio di quarta quinta fogliolina possono essere
trapiantate in piena terra o in vasetto di plastica. Nel primo caso e' necessario preparare il
letto di trapianto ripulendolo accuratamente dalle erbe infestanti e aggiungendo piccoli
quantitativi di terriccio mescolato a letame maturo o compost di ottima qualita'; cio' per
limitare lo stress da trapianto e favorire lo sviluppo rapido dell'apparato radicale. Se si
sceglie di allevare per qualche anno le piante in vaso, allo scopo di metterle a dimora
quando avranno raggiunto dimensioni ragguardevoli, e' importante preparare con qualche
mese di anticipo una miscela di terriccio e letame o compost, con la quale verranno
riempiti i vasetti. Il trapianto in questo caso avverra' con pane di terra e sara' molto piu'
sicuro con minima perdita di piante.
PRIME CURE E TECNICHE COLTURALI
Il lentisco resiste in modo eccellente a lunghi periodi di siccita'. Tuttavia nelle prime
fasi dopo l'impianto è necessario assistere le piantine per agevolarle nel superare lo stress
post - trapianto e per favorire una crescita rapida dell'apparato radicale. Le irrigazioni
possono essere localizzate, predisponendo conche o canali in prossimita' delle piante,
oppure effettuate mediante impianti idrico a microportata, ponendo uno o due gocciolatori
per pianta.
Le malerbe devono essere abbattute con frequenti ma leggere sarchiature, oppure
ponendo della paglia alla base di ciascuna pianta, che ne impedisca la nascita. La
pacciamatura organica ha anche lo scopo di trattenere piu' a lungo l'umidita' del terreno
creando un microclima ideale per lo sviluppo della radice.
UTILITA' NEL BIOLOGICO
Nell'azienda biologica svolge una molteplicita' di funzioni che spaziano
dall'incremento della biodiversita', alla produzione di sottoprodotti di vario tipo, fino
all'ospitare insetti utili nel controllo biologico dei parassiti.
Le foglie sono ricche in tannino (11- 14 %) e vengono usate nella concia; i frutti
contengono un olio di colore verde, d'uso commestibile. Il tronco ed i rami, incisi,
trasudano una resina di gradevole odore, detta Mastce di Chio, usata nei paesi del
Mediterraneo orientale come pasta masticatoria per rafforzare le gengive e profumare
l'alito, nonche' per vernici e mastici.
Il legno trova impiego in lavori artigianali quando raggiunga sufficienti dimensioni e
fornisce un eccellente combustibile e carbone di legna.
Le ceneri, ricche di potassio, possono essere utilizzate come fertilizzante.
Infine il lentisco viene utilizzato come portainnesto per il Pistacchio.
BIBLIOGRAFIA:
- Fenaroli L., 1985 - Flora Mediterranea. Ed. Giunti Martello (Firenze)
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
MIRTO
NOME SCIENTIFICO: Mirtus communis
NOME VOLGARE: Mirto comune
FAMIGLIA: Mirtaceae
PROVENIENZA: Area mediterranea
HABITAT: Macchie e boschi
CARATTERISTICHE BOTANICHE:
FORMA
BIOLOGICA
Arbusto
ALTEZZA
70 - 200 cm
ZONA
ALTIMETRICA
0 - 400 m
CARATTERISTICHE ECOLOGICHE:
AREA DI
TIPO DI
ESIGENZE
RIFUGIO
SUBSTRATO IRRIGUE
Xerofila
calcareo
Minime
EPOCA DI
FIORITURA
VI - IX
PROPAGAZIONE
EPOCA DI
FRUTTIFICAZIONE
X - XII
LUCE
Seme
indifferente
CARATTERISTICHE ECONOMICHE:
Specie utile
per la fauna
selvatica
si
Specie utile
per gli insetti
utili ed
impollinatori
si
Specie
Specie
produttrice officinale
di frutti
eduli
no
si
Specie
Specie
ornamentale adatta per
siepi
si
si
Specie
produttrice
di legno
si
DIDASCALIA PAGINA INIZIALE
E' una pianta mediterranea che vive nelle associazioni di macchia insieme ad altri
elementi caratteristici quali Lentisco, Carrubo, Cisti, Alloro. Quando si allontana dai litorali
si accompagna spesso alla vegetazione alveale, per esempio con l'Oleandro e l'Agnocasto
nelle fiumare.
Il suo areale comprende tutto il Bacino del Mediterraneo. In Puglia e' comunissimo nel
Salento e nelle aree costiere di tutta la regione. Meno comune e' nelle aree interne del
Gargano e delle Murge, raro e' nel Tavoliere di Foggia, pressocche' assente nel Sub
Appennino Dauno.
Fu pianta sacra per i Persiani che con il suo legno alimentavano i fuochi sacrificali,
simbolo di pace per gli Ebrei che ne intrecciavano corone funerarie, emblema di bellezza e
di verginita' nella mitologia greco - romana dai cui riti traggono origine sopravvissute
usanze e costumi popolari.©
DESCRIZIONE DELLA PIANTA
Si tratta di un arbusto sempreverde folto e ramificato, molto aromatico per l'elevato
contenuto in terpeni delle sue foglie. Queste sono coriacee, persistenti, generalmente
opposte oppure raramente ternate, di forma ovoidale, con pagina superiore lucida.
I fiori, portati da lunghi peduncoli, sono isolati, di 5 - 8 petali biancastri, molto odorosi.
I frutti, molto abbondanti, sono bacche nerastre sormontate dal calice persistente, che
spiccano in autunno tra il verde del fogliame.
Il legno ha un colore grigio rossastro, chiaro, un po' violaceo, pesante.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
TECNICHE DI IMPIANTO
Il Mirto e' una pianta rustica che si adatta a vivere in vario tipo di terreni purche' non
eccessivamente calcarei.
Si propaga per seme raccogliendo le bacche in piena maturita' (Ottobre Novembre) e lasciandole essiccare in ambiente fresco e secco. In primavera si separano i
numerosi semi dai frutti ormai secchi e si seminano in cassette, con o senza alveoli,
riempite di un miscuglio di sabbia, torba e terriccio. La germinabilita' dei semi e'
solitamente elevata. Per aumentare la percentuale di emergenza dei semi, i seminatoi
devono essere tenuti in serra o sotto piccoli tunnel.
Il trapianto verra' effettuato alla terza quarta fogliolina prodotta dalle piante, in pieno
campo o, meglio, in vasetto di 14 - 15 centimetri, riempito con un miscuglio di terriccio,
sabbia e piccoli quantitativi di letame o compost maturo. Sarebbe opportuno preparare
questo miscuglio con vari mesi di anticipo, se si vuole una crescita veloce dopo il
trapianto. Per evitare che le piante entrino in riposo vegetativo durante l'inverno, i vasi
possono essere tenuti in serra ad una temperatura di 4 - 5 gradi. Nella primavera
successiva è necessario il trapianto in vasi piu' grandi o direttamente in pieno campo. La
cimatura delle piante ad un'altezza di 5 centimetri garantisce un ottimale accestimento.
PRIME CURE E TECNICHE COLTURALI
Pur essendo una specie rustica necessita di cure perlomeno nelle prime fasi
dell'impianto.
Le irrigazioni devono essere frequenti soprattutto nei mesi piu' caldi e possono essere
realizzate con il metodo classico a conca o per solchi, o piu' velocemente predisponendo
degli impianti irrigui a microportata.
La concimazione di fondo nel momento dell'impianto con letame maturo o compost di
ottima qualita' sara' sufficiente ad assicurare la presenza di macro e micro elementi nei
primi anni, quando l'apparato radicale delle piante non si e' ancora esteso ed approfondito
notevolmente.
La lotta alle malerbe e' di estrema importanza se si vogliono evitare inutili competizioni a
danno del mirto. Si puo' procedere con ripetute sarchiature, senza scendere troppo in
profondita', o ricorrendo alla pacciamatura organica, con paglia o qualunque tipo di
materiale vegetale, che ha anche la funzione di limitare le perdite di umidita' dal terreno.
UTILITA' NEL BIOLOGICO
Le utilita' del mirto nell'azienda biologica sono molteplici. L'incremento della
biodiversita' e' legato alle sue bacche frequentemente mangiate dagli uccelli e dalla
nidificazione di diverse specie mediterranee tra i suoi rami.
Il legno, che fornisce un ottimo carbone, puo' essere impiegato per la costruzione di piccoli
oggetti al tornio o intagliati.
Le bacche, che hanno proprieta' astringenti e rinfrescanti, si utilizzano per aromatizzare
carni insaccate oppure olive o per ricavare un olio da ardere.
Infine e' una pianta ornamentale ed anche se cresce molto lentamente puo' essere
allevata a siepe o a cespuglio per apprezzare la sua fioritura ed il suo inconfondibile
profumo.
BIBLIOGRAFIA:
- Fenaroli L., 1985 - Flora Mediterranea. Ed. Giunti Martello (Firenze)
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
SPINO DI GIUDA
NOME SCIENTIFICO: Gleditschia
triacanthos
NOME VOLGARE: Spino di giuda, acacia
spinosa
FAMIGLIA: Leguminoseae
PROVENIENZA: Nord America
HABITAT: Coltivato nelle siepi e nei giardini,
subspontaneo presso gli abitati
CARATTERISTICHE BOTANICHE:
FORMA
BIOLOGICA
Arbusto/albero
ZONA
ALTIMETRICA
0 - 500 m
ALTEZZA
EPOCA DI FIORITURA
1-7m
CARATTERISTICHE ECOLOGICHE:
AREA DI
TIPO DI
ESIGENZE
RIFUGIO
SUBSTRATO IRRIGUE
Xerofila
Sciolto
Minime
V
PROPAGAZIONE
EPOCA DI
FRUTTIFICAZIONE
VII - VIII
LUCE
Semi
Pieno sole
CARATTERISTICHE ECONOMICHE:
Specie utile
per la fauna
selvatica
si
Specie utile
per gli insetti
utili ed
impollinatori
Si per insetti
utili
Specie
Specie
produttrice officinale
di frutti
eduli
no
no
Specie
Specie
ornamentale adatta per
siepi
si
si
Specie
produttrice
di legno
no
DESCRIZIONE DELLA PIANTA.
Arbusto o albero dalla chioma vaporosa e leggera, lo Spino di Giuda si presenta
con rami giovani, lucidi, dal colore bruno-chiaro, striati longitudinalmente e un po’ a zig
zag. E' provvisto, sul tronco e sui rami, di spine porporine e ramificate che spesso
presentano due spine più brevi e divergenti alla base. Le foglie sono alterne, bipennato
composte, (nei rami fioriferi sono pennate e con una fogliolina impari), con foglioline che si
assottigliano verso l'apice; i fiori maschili e quelli femminili crescono in racemi ascellari
diversi, ma sullo stesso albero: i primi sono numerosissimi e formano racemi densi, i
secondi sono più radi e formano racemi piuttosto lassi, entrambi hanno un colore verdiccio
ed una corolla rudimentale a 4 - 5 petali, il legume falcato è lungo fino a 40 cm e contiene
semi appiattiti e spesso ritorti.
Originaria dell'America settentrionale, nel secolo diciassettesimo venne introdotta in
Europa insieme con la Robinia e coltivata a scopo ornamentale o per il consolidamento dei
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
terreni. In alcune zone dell'Italia settentrionale si è naturalizzata, sfuggendo alle colture; è
comune anche nelle Marche, nel Lazio ed in Sicilia.
Le spine acuminate che armano il suo tronco ed i rami, impediscono agli animali di
divorarne i legumi e le foglie, per cui la specie si presta bene alla realizzazione di
recinzioni che impediscano l'accesso a vario tipo di bestie. Sono state selezionate cultivar
prive di spine, che vengono utilizzate per alberature stradali, per l'arredo dei parchi e dei
giardini.
Lo Spino di Giuda cresce bene su gran parte dei terreni, ma preferisce quelli fertili o
profondi, ben drenati, ove si sviluppa rapidamente. Resistente all'inquinamento
atmosferico, può tollerare anche una certa ombra e non viene danneggiato dalle gelate
invernali. I suoi rami sono molto fragili, per cui vengono facilmente spezzati dal vento.
TECNICHE DI IMPIANTO.
Sebbene non originario delle nostre zone, lo Spino di Giuda viene consigliato nella
realizzazione di "aree di rifugio", per la sua tolleranza alle basse temperature invernali ai
diversi tipi di terreno e per la sua capacità di vivere in consociazione con altre specie
arboree, arbustive o erbacee.
La sua propagazione avviene attraverso i semi, caratterizzati, però, da un
tegumento molto duro, che ostacola una rapida germinazione. E' necessario, pertanto,
prima di procedere alla semina, immergerli in acido per un certo tempo.
Per evitare che i semi posti direttamente a dimora non germinino, sarebbe opportuno
effettuare la semina in contenitori alveolati, per poi procedere al trapianto delle giovani
piantine. Allo scopo di garantire un ottimale attecchimento ed una crescita rapida,
converrebbe preparare anzitempo le buche ed eventualmente distribuire all'interno piccole
quantità di letame maturo.
Dopo il trapianto si potrebbe pacciamare il terreno, in prossimità della piantina, con
materiale organico (paglia, foglie secche) o con teli plastici, per impedire che le malerbe
spinte dalla concimazione e dalla somministrazione di acqua, soffochino le piantine.
La somministrazione di acqua deve avvenire con regolarità, soprattutto nelle prime fasi
dopo il trapianto.
Le piante possono essere acquistate sia presso i comuni vivai di piante e fiori, sia
possono essere prodotte in azienda raccogliendo i semi da piante spontanee.
PRIME CURE E TECNICHE COLTURALI
Le cure che è necessario garantire durante le prime fasi di crescita sono
un'irrigazione regolare, un apporto di sostanze nutritive in prossimità degli apparati radicali
e l'eliminazione delle infestanti in prossimità della pianta.
Il metodo irriguo ottimale può variare in funzione del numero di piante trapiantate ed
in funzione della superficie investita. Se si tratta di poche piante si può procedere con una
irrigazione a solchi o buche, se invece si tratta di siepi lunghe e consistenti sarebbe
opportuno predisporre un impianto di irrigazione a goccia.
Per quanto riguarda la fertilizzazione, se in fase di impianto si è già effettuata una
somministrazione di concime organico quale letame maturo, non è necessario effettuare
altri interventi, almeno per le prime fasi, ma anche successivamente, poiché si ha a che
fare con piante che vivono nel contesto di una siepe o comunque di un'area di rifugio,
dove l'apporto di sostanza organica è assicurato. Se comunque si dovessero osservare
sintomi di carenza di elementi nutritivi si può procedere con una concimazione organica a
base di sangue.
Se al momento dell'impianto il terreno è stato pacciamato, non si dovrebbero avere
grossi problemi di erbe infestanti, in assenza di pacciamatura, la lotta alle malerbe verrà
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
realizzata con leggere sarchiature in prossimità della pianta, almeno per le prime fasi di
crescita.
E necessario effettuare subito con una potatura di impostazione per poi procedere con
degli interventi regolari allo scopo di contenere le piante e conferire loro sempre una
struttura ordinata.
UTILITA' NEL BIOLOGICO
L'utilità dello spino di Giuda nell'azienda biologica si estrinseca nella lotta contro la
mosca dell'olivo (BACTROCERA OLEAE). Pertanto le aziende biologiche che si
avvantaggiano maggiormente della presenza di questo arbusto, sono quelle ad
orientamento olivicolo, soprattutto se caratterizzate dalla presenza di cultivar
particolarmente suscettibili agli attacchi della mosca.
L'azione positiva dello spino di Giuda si articola nel modo seguente: questa pianta
viene infestata da un dittero cecidomide, la Cecidomia dell'acacia spinosa (DASYNEURA
GLEDITCHIAE), che produce tipiche galle rossastre sulle foglie.
A causa della presenza di questo insetto, particolarmente nel periodo di agosto settembre,
in prossimità delle piante infestate di Spino di Giuda, si osserva la presenza dell'Eupelmus
(EUPELMUS UROZONUS), un insetto entomofago, molto utile perché oltre che
parassitizzare la cecidomia dell'acacia spinosa, attacca anche la mosca dell'olivo,
abbassandone la presenza nell'agrosistema olivetato, soprattutto nel periodo estivoautunnale, durante il quale vengono prodotti i danni maggiori.
L'utilità dello Spino di Giuda non si esaurisce soltanto in questa azione positiva
diretta.
Infatti la sua presenza assicura la permanenza delle popolazioni di eupelmus,
nell'agroecosistema olivetato, anche nelle annate di scarica delle piante di olivo, o in
generale, in quei periodi in cui non si osserva una massiccia presenza di mosca.
BIBLIOGRAFIA:
- Marris E., 1983 - Guida pratica agli alberi ed arbusti in Italia - Ed. Selezione dal
Readers Digest (Milano).
- Mecker U., 1985 - Latifoglie. Piante legnose spontanee dell'Europa continentale.
Zanichelli (Bologna).
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
2. LA GESTIONE DELLA
FERTILITA'DEL TERRENO
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
2. La gestione della fertilità nell'oliveto
Nell'ambito del metodo di produzione biologico, la gestione della fertilità
dell'oliveto presuppone la messa a punto di un sistema colturale sostenibile che
combini tecniche di gestione del terreno (sovesci, coperture vegetali,
pacciamature) irrigazione e gestione dei residui vegetali in funzione delle
caratteristiche climatiche, pedologiche e varietali. Gli obiettivi principali sono
quelli di ridurre al minimo input energetici dall’esterno contemporaneamente
assicurando alla pianta gli elementi nutritivi per le diverse fasi fenologiche.
Un corretto piano di fertilizzazione deve essere fondato innanzi tutto sull’adozione
di pratiche agronomiche conservative come l’impiego di coperture vegetali, le
lavorazioni ridotte, l’impiego di materiale organico di origine vegetale o animale.
In casi di constatata carenza di alcuni elementi nutritivi potrà essere consentita la
somministrazione di fertilizzanti ausiliari di origine minerale.
Le lavorazioni ridotte
Queste lavorazioni debbono essere eseguite utilizzando mezzi e modalità che
limitino gli effetti degradativi a carico della struttura del terreno.
Negli oliveti condotti in asciutto e insediati in zone caratterizzate da clima caldoarido con precipitazioni scarse e mal distribuite, si adottano tecniche riconducibili
a quelle dell'aridocoltura. Tali tecniche, hanno l'obiettivo di valorizzare le
precipitazioni con il fine di immagazzinare la maggiore quantità di pioggia, di
evitare o ridurre al minimo le perdite per evaporazione e nel contempo di limitare
la mineralizzazione della sostanza organica presente nel terreno. Nell'arco del
ciclo colturale si possono prevedere una ripuntatura autunno-vernina per favorire
l'infiltrazione dell'acqua piovana e successive lavorazioni superficiali primaveriliestive per contenere lo sviluppo delle infestanti e ridurre l’entità dei fenomeni di
evapotraspirazione.
Nell'olivicoltura irrigua é possibile attuare la non lavorazione. Adottando tale
tecnica le radici degli alberi si sviluppano nello strato più superficiale dove
trovano maggiore disponibilità di aria, di acqua, di residui organici e dove è più
intensa l’attività microbica.
Coperture vegetali
In olivicoltura, l'utilizzo delle coperture vegetali può essere realizzato rivalutando
sistemi colturali che prevedono la presenza di piante erbacee da destinare a
sovescio totale o parziale. Per sovescio totale si intende l'interramento di una
pianta erbacea coltivata appositamente; per sovescio parziale si intende invece
l'interramento di residui di piante coltivate per realizzare altri tipi di produzioni. In
tal modo si arricchisce lo strato di terreno esplorato dalle radici di materia
organica e sostanze nutritive. Attraverso il sovescio si apporta al terreno una
massa verde, facilmente aggredibile dai microrganismi, che determina il
miglioramento delle caratteristiche chimiche, fisiche e chimico-fisiche del terreno.
In particolare, migliorano in misura sensibile i rapporti terreno-aria e terrenoacqua.
Il sovescio permette l’apporto di sostanza organica nel caso dei terreni dei paesi
con clima caldo-arido nei quali l’impiego del letame risulta limitato dai costi di
trasporto o nei casi stessi in cui non è reperibile.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Negli ambienti meridionali ad estate lunga ed inverno mite, il sovescio risulta
praticabile con numerose specie erbacee (leguminose, graminacee, crucifere,
ecc.) seminate in coltura singola o in miscuglio.
- Possibili obiettivi di una concimazione verde ed interventi corrispondenti
Problema o obiettivo principale
Scelta della specie/interventi
Fissazione di azoto
Organicazione dell'azoto residuo nel terreno
Sbriciolamento ed aerazione del terreno
Rapida copertura del suolo
Risparmio di acqua
Lotta alle infestanti
Offerta di fiori per api in autunno-inverno
Produzione aggiuntiva di foraggio
Leguminose.
Crucifere, Graminacee.
Graminacee, favino.
Colza, rafano, senape.
Sovescio autunno-vernino.
Crucifere.
Trifogli, senape gialla, favino.
Miscugli graminacee-leguminose.
Fonte: FIBL, 1988
Il miscuglio di piante per la costituzione di una copertura verde da destinare a
sovescio può risultare positivo per l'effetto complementare offerto dalle diverse
piante. Combinando una leguminosa a radice fittonante con una graminacea a
radice fascicolata si realizza un miglioramento della fertilità sia in termini chimici
che strutturali.
Una pratica ben radicata negli ambienti semi-aridi, qual è quello pugliese,
prevede la presenza nell’oliveto di piante erbacee a ciclo autunno-vernino da
sovesciare in marzo o aprile. Le quantità media di elementi nutritivi e di humus
apportati con un sovescio sono funzione della specie scelta e delle condizioni in
atto nel terreno.
- Biomassa di alcune colture erbacee da sovescio e relativi apporti di azoto
al terreno
Specie
Biomassa verde (q.li/ha)
Azoto (kg/ha)
Favino
Lupino
Veccia
Trifoglio incarnato
350-450
300-350
250-300
150-250
220-250
190-220
230-290
100-150
Fonte: Baldini,1986
Nell'ambito delle leguminose, le specie più indicate per i sovesci nell'oliveto sono
il lupino, il favino, la veccia, il trifoglio, il fieno greco, la cicerchia, i mochi, e i
dolichi da soli o in miscuglio con senape, avena, orzo ed altre specie.
Criteri di scelta delle piante da sovescio
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Le caratteristiche da preferire nella scelta della pianta da sovescio per l’oliveto
sono le seguenti (vedi Tab. 3):
- la pianta deve crescere e svilupparsi rapidamente in modo da produrre una
grande massa verde;
- la pianta deve richiedere pochi lavori preparatori e risultare poco esigente in
termini colturali;
- le radici devono essere numerose e profonde per poter esplorare una grande
quantità di terra;
- la pianta non deve determinare intralcio alla coltura olivicola durante le
operazioni di raccolta e potatura (resistenza al calpestamento);
- adattamento all'ambiente pedoclimatico ed alla stagione in cui si vuole
seminare;
- il seme deve essere poco costoso;
- una volta sotterrata la pianta deve subire velocemente la decomposizione e non
deve ricacciare;
- appartenere possibilmente alle leguminose in quanto arricchiscono il terreno in
azoto.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Tab 3- Principali caratteristiche di alcune piante da sovescio
Specie botanica
e nome comune
Tipo di
Terreno
Reazione
Radice
Lupino bianco
(Lupinus albus)
Favino
(Vicia faba minor)
Povero,
sciolto
Tutti
Acida
Profonda
Quantità di
seme kg/ha o
hl/ha
100-130
Alcalina
Media
75-80
Veccia comune
(Vicia sativa)
Veccia villosa
(Vicia villosa)
Trifoglio incarnato
(Trifoglium
incarnatum)
Trifoglio
alessandrino
(T. alexandrinum)
Trifoglio
squarroso
(T. squarrosum)
Fieno greco
(Trigonella
phoenum
graecum)
Cicerchia
(Lathyrus sativus)
Tutti
"
Media
100-120
Sabbioso
argilloso
Poco
calcareo
"
Media
80-90
Acida
Profonda
50-60
Argilloso
Alcalina
Profonda
25-30
Tutti
"
Profonda
15
Pesante
"
Media
30-60
Tutti
Neutri
Media
2 hl
Tutti
“
“
2 hl
Tutti
“
“
2 hl
Argilloso
Media
“
100-120
Argilloso
"
Media
110
Calcare,
sabbioso
Alcalina
Media
12-14
Moco o piccola
cicerchia
(Lathyrus cicera)
Dolica (Lathyrus
clymenum)
Avena (Avena
sativa)
Orzo
(Hordeum
vulgare)
Senape bianca
(Sinapis alba)
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Profili sintetici di alcune piante da sovescio**
Lupino bianco
(Lupinus album)
- leguminosa annuale a ciclo autunno-vernino
- originario dell’Europa e Medio Oriente
- epoca di fioritura aprile-maggio
- biomassa prodotta 5.600 – 11200 kg/ha
- contenuto in azoto della pianta 2 per cento
- le radici producono essudati contenenti acido citrico e malico che rendono il
fosforo presente nel terreno più disponibile alle piante consociate
- si adatta ai diversi tipi di terreno
- i fiori attirano api e insetti utili
Favino
(Vicia faba minor)
- leguminosa annuale a ciclo autunno-vernino
- originario delle regioni Mediterranee
- fiorisce 40-60 gg dopo la semina
- biomassa prodotta 5.500-9.100 kg/ha; le cv con seme più piccolo producono
più biomassa
- contenuto in azoto della pianta 1.2 per cento
- predilige terreni fertili e ben drenati
- ospita afidi e relativi predatori
Veccia comune
(Vicia sativa)
- leguminosa annuale a ciclo autunno-vernino
- fiorisce in marzo-aprile
- biomassa prodotta 6.700 kg/ha
- contenuto in azoto della pianta 4.2 per cento
- si sviluppa in terreni poco fertili, leggeri o pesanti
- i residui colturali si decompongono velocemente
- è una specie rampicante
Veccia villosa
(Vicia villosa)
- leguminosa annuale a ciclo autunno-vernino
- originario dell’Europa e dell’Asia
- fiorisce in marzo-aprile
- biomassa prodotta 4.800-7.800 kg/ha
- contenuto in azoto della pianta 4.0 per cento
- si sviluppa in terreni poco fertili, leggeri o pesanti
- i residui colturali si decompongono velocemente
- è una specie rampicante
- ospita afidi e relativi predatori; i fiori ospitano tripidi come la Frankliniella spp. e
insetti utili come l’Orius tristicolor
- utilizzata nei miscugli con altre leguminose e graminacee
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Trifoglio incarnato
(Trifoglium incarnatum)
- leguminosa annuale a ciclo autunno-vernino
- originario dell’Europa meridionale
- fiorisce in aprile-maggio
- biomassa prodotta 5.000-5.600 kg/ha
- contenuto in azoto della pianta 2.4 per cento
- i fiori attirano api e insetti utili
- utilizzata nei miscugli con altri trifogli
Trifoglio alessandrino
(T. alexandrinum)
- leguminosa annuale a ciclo autunno-vernino
- originario del bacino del Mediterraneo
- fiorisce in maggio-giugno
- biomassa prodotta 16.800 kg/ha
- contenuto in azoto della pianta 2.6 per cento
- tollera terreni alcalini e salini e si sviluppa bene in quelli profondi e di origine
alluvionale
- ospita insetti utili
- utilizzata nei miscugli con altri trifogli
Trifoglio subterraneo
(T. subterraneum)
- leguminosa annuale a ciclo autunno-vernino
- fiorisce da marzo a maggio
- biomassa prodotta 5.500-10.000 kg/ha
- contenuto in azoto della pianta 2.3 per cento
- si sviluppa anche in terreni poco fertili
- tollera l’ombra degli alberi più della veccia
Avena
(Avena sativa)
- graminacea annuale a ciclo autunno-vernino
- fiorisce da aprile a maggio
- biomassa prodotta 9.000-13.400 kg/ha
- contenuto in azoto della pianta 1.2 per cento
- sviluppa un apparato radicale affastellato
- si sviluppa anche in terreni pesanti
- protegge dall’erosione, sopprime le malerbe e apporta materia organica al
terreno
Orzo
(Hordeum vulgare)
- graminacea annuale a ciclo autunno-vernino
- fiorisce da aprile a luglio
- biomassa prodotta 7.600-13.400 kg/ha
- contenuto in azoto della pianta 1.2 per cento
- sviluppa un apparato radicale affastellato
- molte cv resistono alla salinità
- predilige terreni ben drenati
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
- utilizzata nei miscugli con altre leguminose e graminacee
- protegge dall’erosione e aggiunge materia organica al terreno
- migliora la capacità di infiltrazione dell’acqua nel terreno
Senape bianca
(Sinapis alba)
- brassicacea annuale a ciclo autunno-vernino
- fiorisce da febbraio a maggio
- biomassa prodotta circa 13.400 kg/ha
- contenuto in azoto della pianta 3.5 per cento
- ha effetto rinettante
- utilizzata nei miscugli con graminacee e veccie
- la decomposizione della massa verde produce composti solforati che riducono
gli effetti negativi di alcuni patogeni
- i fiori sono attrattivi per le api e altri insetti utili (sirfidi)
**Fonte: University of California – Sustainable Agricultural Research and
Education Program
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Pratica del sovescio
Scelta la specie o le specie da utilizzare per il sovescio é buona pratica preparare
il terreno sia dal punto di vista fisico che chimico per far prosperare la coltura
erbacea. Le leguminose possono crescere e svilupparsi anche in terreni poveri di
azoto purchè dispongano di fosforo, potassio e calcio, quest'ultimo non
indispensabile al lupino. Nei terreni meridionali il calcio ed il potassio sono
elementi nutritivi ben rappresentati mentre si rende necessario somministrare
fosforo attraverso l'uso di fosfati naturali. La pianta da sovescio deve essere
seminata fitta, come si fà per ottenere foraggio, in tal modo la produzione di
massa verde è notevole e facilmente decomponibile. Infatti, l'alta densità di
piantagione, determina tra le piante, la competizione per la luce; di conseguenza
esse crescono alte, esili e con più foglie. Il periodo ottimale per mandare ad
effetto il sovescio é quello in cui la pianta ha raggiunto il massimo sviluppo, ha
assimilato tutte le sostanze nutritive ed i tessuti sono ancora verdi e facilmente
degradabili nel terreno. Tale periodo coincide con la piena fioritura.
La massa verde viene prima sfalciata e lasciata uniformente distribuita sul
terreno, a questa operazione segue l'interramento con l'aratura.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
3. Impiego di materiale organico
Nei programmi di fertilizzazione delle aziende olivicole, condotte con il metodo di
agricoltura biologica, l’obiettivo principale è quello di incrementare la fertilità
fisica, organica e microbiologica del terreno. Vengono somministrati a questo
scopo diversi tipi di materiale organico di origine vegetale o animale. Fra i
concimi organici sono indicati il letame bovino, lo stallatico pecorino o equino,
i reflui zootecnici, la pollina i ritagli di cuoio, i residui della lavorazione delle
ossa, dei peli della lana i terricciati, i residui di potatura e il sovescio di
piante.
La scelta del tipo di fertilizzante da usare segue le esigenze nutrizionali dell’olivo
che richiede concimazioni blande e frequenti con preferenza per quelle ad azione
lenta.
Fra le sostanze elencate, il letame, è il fertilizzante che svolge sia la funzione di
ammendante e correttivo che quella nutrizionale.
La somministrazione di concimi organici di origine animale o vegetale è
caratterizzata da una bassa concentrazione di sostznze nutritive e da un elevato
contenuto di sostanza organica e di flora batterica.
Un buon letame esplica effetti benefici a carico di terreni difettosi di tipo argilloso
o sabbioso, correggendoli. Con l’apporto di sostanza organica si favorisce la
formazione della struttura glomerulare del terreno nonché una migliore
permeabilità all’acqua e all’aria. In sintesi si migliora la capacità di assorbimento,
la ritenzione idrica, la fissazione degli elementi chimici e il substrato per l’attività
microbica del terreno.
In un oliveto in fase di piena produzione si consiglia la somministrazione di 200250 quintali di letame per ettaro da distribuire nel periodo autunnale sull’intera
superficie dell’impianto.
Oltre al letame i materiali inpiegati sono quelli facilmente reperibili in zona,
tenendo sempre presente il rapporto costi-benefici di questi interventi alternativi.
In un contesto di riduzione degli input esterni, e quindi di valorizzazione delle
risorse interne all’azienda, è valutabile una tecnica di fertilizzazione che utilizzi
meglio i residui del ciclo colturale dell’olivo come: il materiale di potatura, la
sansa vergine e le acque reflue.
L’interramento dei materiali solidi è un’operazione spesso eseguita
contemporaneamente alla semina delle piante da sovescio e viene effettuata su
tutta la superficie. Per i materiali liquidi come le acque di vegetazione o i reflui
zootecnici è opportuno rispettare tutte quelle regole previste per un corretto
spargimento sul terreno.
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98
Bibliografia
AA. VV. Agricoltura Biologica 1994 - supplemento al n 2.
Bonciarelli F. et al., 1989 – Coltivare conservando. Edagricole edizioni.
Bonifazi L., 1998 - Olivo, tutti i vantaggi della concimazione. Terra e vita 2,
Edagricole Bologna.
Caruso G., 1989 - Agronomia. Unione Tipografico-Editrice Torino.
Corleto A., 1985 – Lezioni di foraggicoltura. Edizioni Quadrifoglio, Bari.
Del Fabro A., 1992 – Coltivare l’olivo. La casa verde editrice.
Di Marco A., 1995 - L'oliveto biologico è una realtà agronomica. Terra e vita n°50,
Edagricole Bologna.
Garofoli A., 1915 – Foraggi meridionali. Casa editrice Fratelli Ottavi Casale
Monferrato.
Giannetti P. L., 1988 – Il sovescio. Demetra, 8: 24-26.
Giardini L., 1982 – Agronomia generale. Patron Editore.
Gregg R. B., Philbrick ., 1988 – Le consociazioni vegetali e loro impiego. Editrice
Antroposofica Milano.
Kabourakis M., 1995 - Corrette pratiche di olivicoltura ecologica a Creta. Cretan
Enviromental Group.
Lunetta M., 1997 – Olivicoltura biologica Tecniche di coltivazione. Assolivo Sicilia.
Marro M., Corso generale di Agronomia volume I e II. Paravia editrice.
Palese A. M. et al., 1997 – Inf. Agr. 44:35-40.
Pantanelli E., 1960 - Agronomia generale. Edizioni Agricole Bologna.
Pantanelli E., 1960 – Coltivazioni erbacee. Edizioni Agricole Bologna.
Salvemini C.,1926 - La coltura dell'olivo in provincia di Bari con speciale riguardo
all' agro Molfettese. Stazione agraria sperimentale di Bari, Pubblicazione n°9.
UC SAREP Online Cover Crop Database indirizzo web:
http://www.sarep.ucdavis.edu/sarep/ccrop/crops/crop24.htm
Vitetta G., Manuale di olivicoltura pratica. Casa Editrice Fratelli Marescalchi
Casale Monferrato.
Wistinghausen von A., 1988 – Leguminose. Editrice Antroposofica Milano.
Fabbri A.,1997 – Note tecniche per un olivicoltura sostenibile. Seminario
Internazionale Agricoltura Biologica e Sostenibile nel mediterraneo.CISS-AIAB
Sicilia – IFOAM
Bonifazi L., 1998 – Olivo, tutti i vantaggi della concimazione . Terra e vita 2,
Edagricole Bologna
Vizioli V., 1997 – Esperienze di olivicoltura biologica in Umbria. Seminario
Internazionale Agricoltura Biologica e Sostenibile nel mediterraneo.CISS-AIAB
Sicilia – IFOAM
Istituto Agronomico Mediterraneo - Progetto Biopuglia
Area Tecnico-Agronomica
Rev. 00 del 03/11/98