NO Al DRUGSTORE Perché i farmaci devono stare in farmacia DAVIDE CAPPELLETTI a scorsa settimana in un trasmissione televisiva L l'onorevole Bersani se ne usciva così: «Fate una normetta che, invece di cancellare la mia, lasci vendere i farmaci qhe non sono sotto prescrizione medica ai giovani farmacisti». Ora, da giovane farmacista, 31 anni e diversi anni di esperienza, delle considerazioni escono spontanee. CONTINUA A PAGINA £fl È indubbio che le norme che regolamentano la farmacia ed in generale la vendita dei farmaci siano rigide, datate, e appaiano molte volte anche agli addetti ai lavori dei retaggi che si potrebbe tranquillamente definire medioevali. Si vuole procedere quindi verso la strada della liberalizzazione, parola tanto cara a un paese quale l'Italia stretto tra mille corporazioni? Bene, da farmacista non proprietario di una farmacia sarei il primo, se potessi, domattina ad aprirne una. Ma adesso vorrei spiegare perché quello che ha e aveva in mente Bersani, va nella direzione esattamente opposta. Al tempo del cosiddetto decreto Bersani l'idea era quella di far sì che i medicinali, all'inizio tutti, poi solo quelli senza obbligo di prescrizione (meglio conosciuti come medicinali da banco), potessero essere venduti anche al di fuori della sola farmacia, in nome del libero mercato e per abbattere quello che viene e veniva visto esclusivamente come un privilegio della farmacie. Questo secondo molti avrebbe permesso uno snellimento del sistema che avrebbe avvantaggiato sia i giovani farmacisti in cerca dì lavoro, sìa i consumatori. Premesso che, specialmente in provincia di Trento, la disoccupazione per i farmacisti è praticamente nulla, e anche a livello nazionale non è sicuramente un dato preoccupante, a distanza di qualche anno la situazione che si è delineata è questa: la maggior parte delle parafarmacie è in mano alla grande distribuzione (Coop e Auchan in testa), quelle invece aperte dal singolo e quindi con meno possibilità economiche e organizzative, dopo un boom iniziale sono quantomeno al Nordest calate e di fatto sono poche quelle che si sono consolidate. Quale sarebbe lo scenario se il passo successivo fosse di deregolamentare tout court il sistema? Si andrebbe probabilmente incontro ad un sistema anglosassone di drugstore, dove chi è maggiormente organizzato con le risorse necessarie andrebbe avanti, ovvero grandi catene gestite dalla grande distribuzione: si può capire, come per un giovane farmacista passare dal lavorare in un oligopolio di farmacie, comunque di proprietà di farmacisti, ad un monopolio in mano semplicemente a grossi gruppi commerciali, non sia certamente un salto di qualità. Certo, esisterebbe comunque la libertà di iniziativa, ma in un contesto basato esclusivamente sulle leggi di mercato si verificherebbe quello che sta accadendo per i piccoli negozi alimentari: pochi e specializzati in realtà urbane, specie da proteggere in periferia. E se per una volta si prendesse coscienza che il mercato dei medicinali è legato alla salute e quindi più delicato di una qualsiasi altra realtà commerciale non sarebbe la soluzione migliore. Ad oggi, con un sistema perfettibile, comunque la capillarità del servizio delle farmacie è garantito, e si accede agli stessi servizi con le stesse garanzie a Trento come negli ultimi paesi delle valli. Quale dunque la soluzione? Sicuramente non quella di cui Bersani si fa promotore, dove in nome di una presunta liberalizzazione si vuole buttar via il neonato con l'acqua sporca. Si prenda per una volta in mano tutto il sistema, ovvero con una riforma organica e non con norme estemporanee che più che altro generano facili entusiasmi e consensi, e che non risolvono certamente i problemi alla base. In Germania per esempio ci si è già arrivati, con un sistema che permette ai farmacisti di aggregarsi e aprire la loro attività, e con norme chiare che fanno sì che il sistema sia effettivamente capillare, di qualità, e slegato sia da un irrigidimento corporativo sia dalla mera logica del mercato. Sicuramente non sarà qualcosa che realisticamente si può creare dall'oggi al domani, ma già la cosiddetta farmacia dei servizi è sicuramente un primo passo tentato verso una vera sfida riformatrice. E a proposito di mercato: da quando ai tempi del decreto Bersani sembrava che l'unico problema fosse il prezzo dei medicinali è il farmacista che non consigliava abbastanza il corrispondente medicinale generico (termine improprio, ma ormai entrato nel lessico comune), abbiamo fatto caso alla situazione attuale? Le statistiche dicono che effettivamente c'è stata una diminuzione media del prezzo dei farmaci da banco più utilizzati, ma da addetto ai lavori, e fa specie anche a me notarlo, la gente tende per la maggior parte (per abitudine, convinzione, idiosincrasia: ci sarebbe da fare un lungo discorso a parte) a preferire i nomi e le marche più conosciute e le assicuro paradossalmente oggi spesso il farmacista viene visto con sospetto a consigliare il generico, quasi volesse, proponendo un'alternativa, speculare sulla salute del consumatore. Questo esemplifica quanto affermato prima, ovvero che molte considerazioni sul mondo farmacia vengono fatte sull'onda emotiva del momento, senza mai andare oltre la superficie del problema: un peccato, quando il contesto in cui si opera è quello delicato della salute. Davide Cappelletti Farmacista in Arco