5 Una mostra nata da un “lungo sogno”, tra scoperta e commozione di Franco La Cecla e Lucetta Scaraffia Curatori della mostra La mostra Pregare. Un’esperienza umana. L’incontro con il divino nelle culture del mondo è il risultato di un lungo sogno che gli autori condividono da almeno un decennio. È nato dalla scoperta di un filo rosso che collega le pratiche di preghiera in varie parti del mondo e che attraversa fedi e religioni diverse. Nasce dallo stupore di fronte ai grani del rosario fatti di petali di rose dell’Abbazia di Chiaravalle, o a quelli umili di legno o perfino di plastica dei rosario recitati dalle donne nella parte alta di Sciacca, in Sicilia. Di fronte al tesbih islamico sgranato dalle mani di un emigrato marocchino nella metropolitana di Parigi, o a un lama tibetano che ripete i 108 nomi delle passioni da cui liberarsi sul suo mala di semi dell’albero di Buddha. E’ nato anche dalla commozione mentre si segue la processione dell’Epifania tra i sacerdoti di Lalibela che cantano le lodi degli angeli sopra i rosari di legno, oppure tra le folle di Katmandhu che ripetono sui loro japa-mala il mantra dedicato a Shiva. Questo stupore ci ha suscitato molte domande. Come mai tra fedi così diverse c’è un elemento così comune? Un elemento che appartiene alla pietà popolare più che a complicate discussioni teologiche? Questo strumento di preghiera racconta qualcosa di interessante: che quando la gente prega lo fa in un modo che è molto simile nelle pratiche, anche se può essere radicalmente differente nei contenuti. Il rosario di preghiera diffuso nel mondo cristiano, cattolico, copto, ortodosso, siriaco-caldeo, il tesbih islamico che si trova dal Marocco all’Indonesia, dalle tekkè sufi di Istanbul e Konya fino alle lontane isole di Java e Sulawesi, il mala che scandisce i mantra del mondo buddista da Lhasa ad Hanoi, a Tokyo, il japa mala che unisce l’induismo indiano con quello praticato a Bali iscrivono “cerchi” mentali che permettono la ripetizione circolare di un rivolgersi insistente alla divinità. Ovviamente questa divinità è concepita in modo diverso, nell’esterno più assoluto del fedele che le si rivolge o nell’intimo del Sé di chi ripete una formula, una preghiera, una lode. Può essere una pratica ascetica che mira a rendere il fedele più centrato su se stesso e libero dai condizionamenti mentali e fisici, come può essere la richiesta della grazia che la divinità può elargire all’orante. Oppure rivolto alle differenti presenze della divinità e ai suoi molteplici nomi. Ci è sembrato singolare che nessuno si fosse accorto prima di noi (ma possiamo sbagliarci) di questa straordinaria comunanza. Ce ne siamo resi conto a partire dalle nostre esperienze religiose ma anche di ricerca e disciplinari. La storia, le scienze umane, l’antropologia, le religioni comparate ci hanno aiutato a mettere a fuoco la nostra sorpresa. Ed è nato il sogno di fare una mostra che raccontasse i modi comuni di pregare pur tra fedi e geografie lontane, un modo che rendesse conto della ripetizione anche senza corona del rosario, come per gli ebrei. Per ribadire qualcosa che il nostro mondo preoccupato dai conflitti religiosi, ma anche afflitto da una laicità miope ha dimenticato: e cioè che la gente prega, che l’umanità nella sua vastità e babilonica differenza prega. Lo fa perché cerca la divinità nella vita di ogni giorno e perché i fatti della vita devono essere investiti da un senso. La Venaria Reale – Comunicazione e Stampa Piazza della Repubblica 4 – 10078 Venaria Reale (TO) +39 011 4992300 (Centralino Uffici) - +39 011 4992333 (Call Center) [email protected] - www.lavenaria.it La nascita, i legami sociali, il rapporto con gli elementi e le risorse, le fasi di passaggio della vita, la propria e l’altrui morte, il rapporto con i defunti e con gli antenati, e soprattutto il collegamento tra questa esistenza ed un’altra. Basta avere viaggiato un po’ per rendersi conto quanto in paesi che ci siamo abituati a pensare “senza preghiera” essa sia invece presente: è quello che ad esempio accade in Cina o in maniera molto più evidente in paesi come il Vietnam. Pregare non è solo una manifestazione episodica di un’urgenza, ma è una costellazione di gesti, parole, suoni, sguardi, canti, danze, coreografie e scenografie che accompagna tutta la vita. Non è il disperato e spontaneo rivolgersi alla divinità quando tutto è perduto, ma un’arte quotidiana del vivere, un insieme di forme sociali, una cultura nel senso proprio all’antropologia, cioè un sistema cosmologico di corrispondenze e significati. Il sogno di fare una mostra ed un libro su questo profondo interesse ci ha accompagnato per anni e nel nostro libro e nella stessa mostra si è realizzata l’idea che a noi sta a cuore: la quotidianità, la normalità della preghiera come uso e pietà popolare, come pratica che spesso contraddice e sfugge alle teologie superiori e alle autorità religiose. In questo senso abbiamo avuto come riferimento un’idea di universalità dell’esperienza religiosa a cui corrisponde l’intuizione che c’è una forma di “risonanza” in chi prega che fa sì che anche chi appartiene ad un’altra religione si renda conto dall’esterno che “qualcuno sta pregando”, che nell’intensità, il raccoglimento, la comunanza delle parole e dei gesti ed il senso di comunità del pregare siano qualcosa di “comprensibile”, di “sensibile” anche per chi non fa parte di quella fede e di quel mondo. Questo tipo di approccio corrisponde ad una attenzione alla “fenomenologia” del pregare nelle più differenti latitudini. Questo ci separa dal passato delle “scienze religiose” che avevano rispetto ad oggi accesso ad un patrimonio molto più scarso di fenomeni. In più, viviamo in un mondo in cui la mobilità e le enormi diaspore hanno fatto sì che culti e fedi lontane si ritrovino a convivere negli stessi territori. Da un lato si assiste ad un radicalizzarsi dei conflitti religiosi, dall’altro, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, dove aumenta la compresenza di fedi diverse, nasce una nuova curiosità. Non avremmo investito tanto tempo ed energie in questo progetto se entrambi non avessimo avuto un’esperienza religiosa. In maniera diversa questa cosa ci sostanzia e ci rende rispettosi di ogni esperienza e soprattutto sospettosi nei confronti di confusioni e tentativi di facili sintesi. Le religioni sono mondi paralleli che raramente si possono tradurre gli uni negli altri. Sono come lingue o culture complesse e radicate, e presentano tutti i problemi di malintesi e impossibilità di traduzioni integrali e “fedeli” tra mondi diversi. Questa mostra -come il libro che la accompagna- sono, per forza di cose, parziali e incompleti. Le fedi, le pratiche religiose sono centinaia di migliaia e perfino quelle praticate da milioni di persone qui sono rappresentate in modo molto parziale. È un difetto, ma è anche, lo dichiariamo, un primo tentativo di offrire al pubblico degli spunti di sorpresa e di riflessione. Non vogliamo rappresentare qui e nella mostra tutta la gamma del “pregare” nel mondo, ma vogliamo soltanto che una nuova attenzione a questa fenomenologia prenda piede. La Venaria Reale – Comunicazione e Stampa Piazza della Repubblica 4 – 10078 Venaria Reale (TO) +39 011 4992300 (Centralino Uffici) - +39 011 4992333 (Call Center) [email protected] - www.lavenaria.it 2 Franco La Cecla. Antropologo, architetto, regista, scrittore. Ha insegnato Antropologia culturale all'Università di Milano, Bologna, Barcellona, Parigi, Berkeley, Losanna. Il suo documentario "In altro mare" ha vinto il San Francisco Film Festival 2010. Il suo libro "Indian Kiss"(Obarra O) ha vinto il premio Palestrina per la letteratura di viaggio nel 2012. Tra le sue pubblicazioni: "Perdersi" (Laterza 2008), "Il malinteso" (Laterza 2010), "Modi Bruschi, antropologia della mascolinità" (Eleuthera 2009), "Lasciarsi" (Eleuthera 2015), "Andare per la Sicilia dei Greci" (Il Mulino 2015), "Contro l'Architettura" (Bollati Boringhieri 2007), "Contro l'Urbanistica" (Einaudi 2015) e il romanzo "Falsomiele" (Duepunti 2014). Ha organizzato varie mostre tra cui "Perfetti e Invisibili, i bambini nella condizione postmoderna", Pitti Bimbo, Ospedale degli Innocenti 1997, "Bambini per strada", IUAV, Venezia 2000, "Bruce Chatwin in Afghanistan", Bologna 2001, "Il Tibet è lontano", Palermo 1996. Lucetta Scaraffia (Torino 1948). Docente di Storia contemporanea all’Università di Roma La Sapienza, si è occupata soprattutto di storia delle donne e di storia del cristianesimo, con particolare attenzione alla religiosità femminile. Le sue opere più recenti: Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia, con M. Pelaja, Laterza 2008; insieme con Marta Dell’Asta La vita in uno sguardo, Le vittime del Grande Terrore staliniano, Lindau, 2012. Ha scritto Per una storia dell’eugenetica. Il pericolo delle buone intenzioni, Morcelliana, 2012. E’ membro del Comitato nazionale di bioetica e Consultore del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione. Insieme con monsignor Thimoty Verdon e Andrea Gianni fa parte del direttivo dell’Associazione Sant’Anselmo Imago Veritatis - l’arte come via spirituale che ha organizzato la mostra presso la Venaria Reale (Torino) Il Volto e il corpo di Cristo. Ha scritto un saggio introduttivo in Invito alla lettura delle opera omnia di Benedetto XVI, Libreria editrice vaticana, 2010. Le sue opere più recenti sono la cura e la scrittura di due saggi in La grande meretrice. Dieci luoghi comuni sulla storia della Chiesa, LEV, 2013; la cura e la scrittura di un saggio nell’opera che ha scritto con Giulia Galeotti Papa Francesco e le donne, IlSole24Ore, 2014; cura e introduzione di Donne chiesa teologia, Vita e Pensiero, 2015. E’ editorialista de Il Messaggero e dell’Osservatore Romano per cui coordina il mensile Donne, Chiesa, Mondo dal maggio 2012; collabora a IlSole24Ore ed a diverse riviste. La Venaria Reale – Comunicazione e Stampa Piazza della Repubblica 4 – 10078 Venaria Reale (TO) +39 011 4992300 (Centralino Uffici) - +39 011 4992333 (Call Center) [email protected] - www.lavenaria.it 3