Dietrich Bonhoeffer
Cenni bio-bibliografici
Nato nel 1906 da famiglia numerosa (settimo di otto figli), altolocata e bene
inserita nella cultura anche teologica dell’epoca (A. v. Harnack era spesso loro
ospite), Dietrich Bonhoeffer fu teologo, pastore luterano, libero docente presso
l’Università di Berlino fino al 1936. A Finkenwalde divenne guida del seminario
clandestino della «Chiesa confessante» (che si era scissa nel 1931 dai pastori
«cristiano-tedeschi», docili alle direttive antisemite secondo le quali l’AT doveva
venire «tedeschizzato», depurato cioè dall’elemento ebraico; il seminario venne
chiuso dalla Gestapo nel 1937). Fino al momento dell’arresto (nel marzo 1943,
due mesi dopo il fidanzamento con Maria von Wedemeyer) ebbe il permesso di
soggiornare per impegni pastorali, ma mosso anche dall’interesse ecumenico, in
Inghilterra, Danimarca, Svezia, ma anche negli USA dove si rese conto di quanto
gridasse vendetta la segregazione razziale. Dopo qualche mese volle rientrare in
Germania, quando già incombeva la guerra, nonostante gli amici volessero
trattenerlo con l’offerta di un impiego ecclesiale; fu una scelta fatale, della quale
in seguito mai si pentì. Visitò Roma, il Vaticano, Venezia. Spesso si recò in
Svizzera, dove l’amico K. Barth, a Basilea, cercò di aiutarlo nel proteggere gli ebrei
in fuga da Hitler). Già allo scoppio della guerra egli si trovava inserito nel
controspionaggio tedesco, mentre contemporaneamente era entrato nel complotto
mirante all’uccisione di Hitler. Fu arrestato con l’accusa di alto tradimento, poi
mutata in «demoralizzazione delle truppe». Fino al luglio 1944 fu sottoposto ad
interrogatori nel carcere di Tegel, dal quale tuttavia poterono partire ed essere
ricevute molte delle sue lettere, pubblicate poi in Resistenza e resa. Ciò divenne
impossibile con il suo trasferimento nel carcere di Prinz-Albert-Strasse. Fu
condannato a morte in base alla scoperta di documenti che definitivamente lo
compromettevano con il fallito attentato a Hitler del 20 luglio 1944. Fu giustiziato
mediante impiccagione nella campo di concentramento di Flossenbϋrg il 9 aprile
del 1945. Morì dando esemplare testimonianza di dignità e di fede.
Opere
Le lettere e i suoi scritti divennero famosi nella seconda metà del Novecento,
e sono accessibili in ottima edizione italiana, a cura di A. Gallas, presso l’editrice
Queriniana di Brescia. Per chi è interessato a cogliere in Bonhoeffer la fondazione
cristologica della presenza e dell’agire dei laici nella chiesa sono particolarmente
importanti le seguenti opere:
1) Cristologia, corso tenuto nel 1933, dove viene data risposta alla domanda
sul «posto» di Cristo nel mondo;
2) Sequela, del 1936, frutto del suo insegnamento a Finkenwalde. La prima
parte contiene l’esegesi del Discorso della montagna, la seconda riguarda la
chiesa intesa come «il corpo di Cristo» visibile nella «comunità dei fratelli», e il
ruolo che in questa spetta ai «santi», quelli per i quali nell’oggi del mondo la
sequela di Cristo significa la morte quotidiana «sotto la sua croce»;
3) Vita comune, del 1939, frutto dell’esperienza strutturalmente comunitaria
di Finkenwalde, anche a livello liturgico;
4) Etica, pubblicata postuma. Al momento dell’arresto era rimasta in ampi
frammenti, che furono sottratti alla Gestapo e poi sotterrati in giardino, e così
furono salvati dai bombardamenti. Non è un trattato di etica, ma una serie di
originali riflessioni sul ruolo della chiesa e dei cristiani nella storia dell’occidente
e nella vita familiare e pubblica;
5) Resistenza e resa. Contiene le affermazioni circa la concezione di Dio che
più hanno fatto scalpore nella seconda metà del secolo scorso. Bonhoeffer intende
depurare il cristianesimo da ogni «religiosità», ossia da ogni strumentalizzazione
«troppo umana» del cristianesimo stesso; in tal senso da queste lettere si possono
trarre icastiche risposte cristiane all’ateismo e all’anticristianesimo di Nietzsche.
Fortuna e testi di riferimento
La letteratura su Bonhoeffer continua ad arricchirsi. In Italia per far
conoscere Bonhoeffer molto fece Italo Mancini. La rivista «Hermeneutica», come
annuario del 1996, ha pubblicato il volume Rileggere Bonhoeffer, ove un’ampia
presentazione di A. Gallas illustra l’iniziativa in corso della nuova edizione
italiana delle sue opere.
In Dietrich Bonhoeffer, punta di diamante della resistenza tedesca, Edizioni
dell’Istituto Storico della Resistenza di Parma, a cura di A. Monti, Parma 1995, si
trova un articolo di I. Mancini che contestualizza il suo interesse per Bonhoeffer
nel clima di «sofferenza per la chiesa», che egli condivideva allora con Ernesto
Balducci e Padre D.M. Turoldo.
Dietrich Bonhoeffer. Dalla debolezza di Dio alla responsabilità dell’uomo, a
cura di A. Conci e S. Zucal, Morcelliana, Brescia 1997. Raccoglie gli Atti del
Convegno tenutosi a Trento nell’aprile del 1995, in occasione del cinquantenario
dell’uccisione di Bonhoeffer, con contributi di studiosi di filosofia della religione.
Dietrich Bonhoeffer e la comunità del cuore, a cura di R. Panattoni, Il
Poligrafo, Padova 1999. Contiene gli Atti del Convegno tenutosi a San Polo
d'Enza, dove nel 1944 si trovava E. Bethge, che dalla «linea gotica» riusciva a
corrispondere con l'amico in carcere, e a ricevere e conservare le preziose lettere
di risposta. I saggi contenuti nel volume riguardano il senso del fare politica in
base al «cuore» comunitario della teologia e della vita di Bonhoeffer.
Alessandro Andreini, Bonhoeffer. L’etica come confessione, Paoline, Torino
2001, mostra «l’originalità dell’etica del teologo evangelico tedesco nella fedeltà
all’originario messaggio biblico» (dalla Prefazione di B. Forte).
Frédéric Rognon, Bonhoeffer, un cristiano autentico, Qiqajon, Bose 2013, è la
più recente voce che testimonia l’interesse per Bonhoeffer da parte della
Comunità guidata dal Priore Enzo Bianchi.
Temi di interesse per Viandanti
(con rimandi di pagina agli scritti più pertinenti)
a) La sostituzione vicaria
Il filo conduttore della riflessione di Bonhoeffer è la concezione di Cristo
quale unico e imprescindibile «mediatore»: «Da Cristo in poi l’uomo non ha più
alcun rapporto immediato, né con Dio né con il mondo; egli vuol essere il
mediatore.[…] Idoli e mondo vogliono strappare a Cristo ciò che egli ha tolto loro,
cioè di essere essi soli in rapporto di immediatezza con l’uomo» (Sequela,
Queriniana, Brescia 1997 [= S], pp. 86/87). Su questa base cristologica si
impernia il concetto di «sostituzione vicaria» [Stellvertretung], presente in tutta la
sua produzione. Il cristianesimo apre ad ogni uomo la possibilità di porsi in nome
di Cristo al posto del fratello per portare non solo i pesi ai quali questo non è in
grado di reggere, ma soprattutto per renderlo a sua volta responsabile nei
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confronti di altri fratelli, non ancora in grado di essere uomini adulti pienamente
responsabili (sostituzione vicaria come educazione alla responsabilità). Cristo
convoca tutti gli uomini di tutti i tempi «sotto la sua croce» per poter donarsi al
loro posto, e così incorporarli a sé quale vincitore del peccato e salvatore del
peccatore: «L’amore per il nemico porta il discepolo sulla via della croce e alla
comunione con il crocifisso. […] Di fronte al cammino della croce di Gesù Cristo
anche i discepoli riconoscono che essi stessi appartenevano al numero dei nemici
di Gesù, di quelli che sono stati vinti dal suo amore» (S, p.129). «Lo
“straordinario” [perissòn, cfr. Mt 5, 47] del cristianesimo è la croce, che consente
al cristiano di essere al-di-là-del-mondo e in tal modo gli dà la vittoria sul mondo»
(S, p. 143). Per l’uomo sarebbe impossibile oltrepassare l’orizzonte
dell’immanenza; può farlo se Cristo, con la sua croce, prende il posto dell’uomo
che si pone alla sua sequela: «Paolo riesce ad esprimere il miracolo
dell’incarnazione di Cristo proponendo una serie praticamente inesauribile di
rapporti: Cristo è “per noi” non solo nella parola e nell’intenzione, ma con la sua
vita corporale. […] Egli si è messo al nostro posto […]. Può farlo perché porta la
nostra carne (2 Cor 5, 21; Gal 3, 13; 1, 4; Tt 2, 14; 1 Ts 5, 10 ecc.)» (S, p. 221).
Gesù chiama a seguirlo i Dodici, esercita su di loro piena autorità, ma dando
loro anche gli stessi poteri che egli ha ricevuto dal Padre (Mt 10, 1-4): «In questo
incarico gli apostoli sono divenuti uguali a Cristo. Essi compiono le opere di
Cristo. […] L’opera di Cristo, che devono svolgere, obbliga i messaggeri ad aderire
totalmente alla volontà di Gesù. Felici loro, che hanno questo comando per lo
svolgimento del loro ufficio, che li rende liberi dalla loro discrezione e dal proprio
calcolo» (S, pp. 188-189). Il loro lavoro consiste anzitutto nel chiamare i pochi
che, data l’urgenza, hanno potuto ascoltare la loro viva voce, e nel delegarli a
estendere la Buona Novella a tutti quelli che non hanno potuto ascoltarli
direttamente: «Un piccolo gruppo sta vicariamente al posto dell’intera comunità
(cfr. Mt 10, 11-15)» (S, p. 193).
Il lavoro apostolico non può prescindere dalla sostituzione vicaria. Questa
trova in Bonhoeffer una singolare applicazione anche sul piano ermeneutico. Non
si può prendere il posto di un altro se si prende la Parola a proprio piacere, ad
esempio scegliendo Paolo oppure i Sinottici; né si può fare di un asserto isolato
dei Vangeli una verità «ontologica», vera di per sé. Tutta la comunità deve sentirsi
impegnata al fine di evitare la pigrizia nell’ascolto della Parola e la sua
conseguente strumentalizzazione. Tutta la Scrittura dovrà essere tenuta presente
tenendo fermo da una parte che «il linguaggio di Dio è sufficientemente chiaro» (S,
p. 194), e dall’altra «che a partire dalla parola i messaggeri raggiungeranno anche
la giusta conoscenza dell’uomo» (S, p. 197).
b) Dal dio della «religione» al Dio che è «essere per gli altri»
«Chi è Dio? Anzitutto, non una fede generica in Dio nella sua onnipotenza,
ecc. Questa non è autentica esperienza di Dio, ma un pezzo di mondo prolungato.
Incontro con Gesù Cristo. Esperienza del fatto che qui è dato un rovesciamento
completo dell’essere dell’uomo per il fatto che Gesù “esiste per altri”,
esclusivamente. L’“esserci-per-altri” [für-andere-da-sein] di Gesù è l’esperienza
della trascendenza [Transzendenzerfahrung]! Solo dalla libertà da se stessi, solo
dall’“esserci-per-altri” fino alla morte nasce l’onnipotenza, l’onniscienza,
l’onnipresenza. Fede è partecipare a questo essere di Gesù. (Incarnazione, croce,
resurrezione). Il nostro rapporto a Dio non è un rapporto “religioso” con un
essere, il più alto, il più potente, il migliore che si possa pensare — questa non è
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autentica trascendenza — bensì è una nuova vita nell’“esserci-per-altri”, nel
partecipare all’essere di Gesù. Il trascendente non è l’impegno infinito,
irraggiungibile, ma il prossimo che è dato di volta in volta, che è raggiungibile.
Dio in forma umana [Menschengestalt]! non il mostruoso, il caotico, il lontano,
l’orribile in forma di animale, come nelle religioni orientali; ma neppure nelle
forme concettuali dell’assoluto, del metafisico, dell’infinito, ecc.; e neppure la
greca forma divino-umana dell’“uomo in sé”, bensì “l’uomo per altri” [der Mensch
für andere]!, e perciò il crocifisso. L’uomo che vive a partire dal trascendente» (D.
Bonhoeffer, Resistenza e resa, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1988 [= RR], p.
462).
c) Grazia a caro prezzo
La croce di Cristo indica il luogo fisico in cui accade la sostituzione vicaria:
«Sotto la croce c’erano tutti, nemici e credenti, dubbiosi e paurosi, schernitori e
sconfitti, e per tutti, per i loro peccati, si è levata la preghiera di perdono di Gesù
in quel momento. L’amore misericordioso di Dio vive in mezzo ai suoi nemici» (S,
p. 22). Ma questo amore può venir accolto solo se con esso viene incorporata la
stessa croce, se cioè l’amore di Cristo è quello «straordinario» amore che perviene
ad amare il nemico in quanto nemico proprio. Ogni altro amore è ciò di cui sono
«capaci anche i pagani». Cristo si mette al posto di tutti i peccatori, ma ciò è
possibile solo a caro prezzo: «È a caro prezzo, perché costa all’uomo il prezzo della
vita, è grazia, perché proprio in tal modo gli dona la vita; è a caro prezzo, perché
condanna il peccato, è grazia, perché giustifica il peccatore. La grazia è a caro
prezzo soprattutto perché è costata cara a Dio, perché gli è costata la vita di suo
Figlio» (S, p. 29). Ma proprio per questo essa non è a disposizione di tutti quei
cosiddetti cristiani che strumentalizzano il sacrificio del Figlio di Dio: «Grazia a
buon mercato è predicazione della remissione senza penitenza, è battesimo senza
disciplina comunitaria, è Cena senza confessione dei peccati, è assoluzione senza
confessione personale. La grazia a buon mercato è grazia senza sequela, grazia
senza croce, grazia senza Gesù Cristo vivo, incarnato» (S, p. 28).
d) Sacramenti comunitari
La sostituzione vicaria è responsabilizzante su ogni piano. Gesù si è fatto
uomo in tutto, come attesta la sua imprescindibile corporeità: «Poiché c’è il corpo
di Cristo, per questa unica ragione ci sono i sacramenti. Non è la parola della
predicazione a produrre la nostra comunione con il corpo di Gesù Cristo; deve
aggiungersi il sacramento. Il battesimo è inserzione nell’unità del corpo di Cristo
come sue membra, la Cena è il mantenimento della comunione (koinonìa) con
questo corpo» (S, p. 220).
Proprio in vista della Cena eucaristica grande importanza deve essere data al
«sacramento» della confessione. Essa deve avvenire come dichiarazione e
pentimento dei propri peccati davanti a un fratello che si riconosce ugualmente
peccatore. Non ci si può confessare solo mentalmente davanti a Dio, giacché si
resterebbe fatalmente chiusi in sé stessi; la barriera dell’egoismo e della grazia a
buon mercato può essere rotta solo davanti a un altro appartenente alla
comunità in cui si incarna il corpo sofferente di Cristo: «A chi dobbiamo
confessare i nostri peccati? Ogni fratello cristiano, secondo la promessa di Gesù,
può accogliere la confessione dell’altro. Ma mi capirà? […] Il più esperto
conoscitore dell’umanità sa infinitamente meno circa il cuore umano di quanto
non sappia il più semplice cristiano nel suo vivere sotto la croce» (S, pp. 89-90).
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Per un certo periodo, quello di Finkenwalde, pare che Bonhoeffer abbia
desiderato per sé il celibato come dedizione completa a quel corpo di Cristo
costituito allora dalla comunità che dirigeva. Analogamente egli considerò il
matrimonio cristiano come fondato nel corpo di Cristo, e per questo voluto da
Gesù come indissolubile: «Egli santifica il matrimonio secondo la legge nel
dichiararlo indissolubile […]. In tal modo chi è nella sequela dovrà mantenere
anche nel matrimonio quel vincolo esclusivo che lo unisce a Cristo […]. Il fatto
che in tal modo esso sia qualcosa di diverso dal matrimonio civile non si risolve
nel disprezzo del matrimonio, bensì proprio nella sua santificazione» (S, p. 124).
Ciò accade proprio perché «il cristiano con il suo corpo rende servizio
esclusivamente all’edificazione del corpo di Cristo, la comunità. Agisce in questo
modo anche nel matrimonio, facendo così di sé stesso una parte del corpo di
Cristo» (S, p. 266). In occasione del matrimonio della sorella Renate con l’amico e
discepolo Eberhard Bethge, Bonhoeffer inviò dal carcere, nel maggio 1943, un
sermone di nozze in cui il matrimonio cristiano viene equiparato a un «ministero»,
nel senso che Dio stesso lo sottrae a tutto ciò che vi può essere di individualistico
nell’amore degli sposi: «L’amore viene da voi, mentre il matrimonio viene dall’alto,
da Dio. […] Non è il vostro amore a sostenere il matrimonio, ma d’ora innanzi è il
matrimonio che sostiene il vostro amore» (RR, p. 103). La sostituzione vicaria
opera nel matrimonio in modo liberante anche quando essa assume i tratti del
proibire l’adulterio: «Il matrimonio salvaguardato e liberamente accettato, cioè il
lasciarsi dietro le spalle il divieto dell’adulterio, è piuttosto la condizione
dell’assolvimento del compito divino del matrimonio. Il comandamento divino è
divenuto qui la permissione di vivere liberi e sicuri nel matrimonio. Il
comandamento di Dio è la permissione di vivere come uomini davanti a lui» (Etica,
Queriniana, Brescia 1995 [= E], p. 338).
e) Chiesa come forma di Cristo nel mondo
Sotto la sua croce Gesù, come vicario del mondo, ha aperto lo spazio in cui
questo ha cominciato a liberarsi dall’idolatria, e dunque a prendere atto della sua
stessa realtà di mondo. La chiesa è apertura spaziosa al mondo: «Lo spazio della
chiesa non esiste per contendere al mondo un pezzo del suo ambito, ma per
testimoniare al mondo che esso rimane mondo, cioè il mondo amato e riconciliato
da Dio. […] Essa può difendere il proprio spazio solo lottando non per esso, ma
per la salvezza del mondo» (E, pp. 42-43). Ai suoi membri è dato di assumere
funzione vicaria nei confronti di tutti gli uomini e così di estendere in prospettiva
al mondo tutto la forma di Cristo: «Nel caso della chiesa non si tratta di religione,
ma della forma di Cristo e del suo prender forma in un gruppo di uomini» (E, p.
73). Si tratta di un gruppo che la forma di Cristo potenzia dinamicamente in
direzione ecumenica: «Esiste una sola chiesa, e cioè la chiesa della fede governata
soltanto dalla parola di Gesù Cristo. Essa è la vera chiesa cattolica che non è mai
scomparsa e che è ancora nascostamente presente anche nella chiesa di Roma.
Essa è il corpo di Cristo - corpus Christi, è la vera unità dell'Occidente» (E, p. 89).
f) Il realismo cristologico dell’etica cristiana e il ruolo dei laici
Per Bonhoeffer nessuna norma è come tale deducibile dalla forma che Cristo,
tramite la sua chiesa, dà al mondo. Certo c’è bisogno di norme, ma queste non
possono essere oggettivate come tali, bensì tratte dal rapporto fra ciò che per
l’esistenza cristiana è «ultimo», ossia il rapporto a Cristo che dà «conformazione»
[Gestaltung] al mondo, e ciò che invece è e deve restare «penultimo», e che proprio
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così viene sottratto ad ogni idolatria, acquisendo con ciò stesso tutta la realtà che
gli spetta, anche in prospettiva escatologica. Ad esempio dare da mangiare
all’affamato è qualcosa di penultimo, ma «procurare il pane all'affamato significa
preparare la via alla venuta della grazia. […]. Per colui che lo fa per amore
dell'ultimo, questo penultimo sta in relazione con l'ultimo. Esso è qualcosa di preultimo [ein Vor-Letztes]» (E, p. 136). In Cristo non vi è più contrasto fra la legge e
l'uomo perché egli consente all'uomo di interpretare la legge dal punto di vista
della vita, nell'assoluta e irripetibile concretezza di ogni singola situazione umana.
Cristo non è l'umanità in generale, ma "il" reale, colui che smaschera e vince ogni
astrazione: «La realtà è in primo e ultimo luogo non un qualcosa di neutro, ma
una persona reale, cioè il Dio divenuto uomo. Tutto il fattuale ha nel reale, il cui
nome è Gesù Cristo, il suo ultimo fondamento e il suo ultimo superamento, ha in
lui la sua ultima giustificazione e la sua ultima confutazione» (E, p. 228). Ciò che
è di per sé, astrattamente considerato, qualcosa di «penultimo» è chiamato, se
posto in relazione con l’ultimo, ad assumere ruoli decisivi sia sul piano critico sia
su quello profetico, proprio perché sapersi penultimo presuppone il rapporto con
l’Ultimo nel mantenimento dell’irriducibile trascendenza di Dio. I quattro
«mandati» della vita cristiana (un luogo tipico della teologia morale luterana, ma
non solo): lavoro, famiglia, autorità, chiesa, possono così diventare compiti di
reale responsabilità nel mondo solo nella prospettiva critica e profetica che viene
ad essi conferita dalla loro «conformazione» al corpo di Cristo, che è la comunità
raccolta sotto la croce di Cristo.
Il Dio cristiano viene a collocarsi al "centro della vita", là dove la "sostituzione
vicaria" chiama tutti ugualmente in causa: «Dio non è un tappabuchi; Dio non
deve essere riconosciuto solamente ai limiti delle nostre possibilità, ma al centro
della vita; Dio vuol essere riconosciuto nella vita, e non solamente nel morire;
nella salute e nella forza, e non solamente nella sofferenza; nell'agire e non
solamente nel peccato. La ragione di tutto questo sta nella rivelazione di Dio in
Gesù Cristo. Egli è il centro della vita, e non è affatto "venuto apposta" per
rispondere a questioni irrisolte» (RR, pp. 382-383).
Riconoscere Dio al centro della vita vuol dire non più ricorrere a idoli per
riuscire ad affrontarne i problemi. Ma proprio l’autonomia quale valore della
modernità, raggiunta dopo millenni nel campo del sapere e dell’agire (un
contributo che Bonhoeffer apprezza e in cui anzi vede un frutto dello stesso
cristianesimo) potrebbe indurre l’uomo di oggi a divinizzare se stesso. Viene in
aiuto la croce di Cristo: «Non possiamo essere onesti senza riconoscere che
dobbiamo vivere nel mondo - “etsi deus non daretur”. E appunto questo
riconosciamo – davanti a Dio! Dio stesso ci obbliga a questo riconoscimento. Così
il nostro diventare adulti ci conduce a riconoscere in modo più veritiero la nostra
condizione davanti a Dio. Dio ci dà a conoscere che dobbiamo vivere come uomini
capaci di far fronte alla vita senza Dio. Il Dio che è con noi è il Dio che ci
abbandona (Mc 15, 34)! Il Dio che ci fa vivere nel mondo senza l'ipotesi di lavoro
Dio è il Dio davanti al quale permanentemente stiamo. Davanti e con Dio viviamo
senza Dio. Dio si lascia cacciare fuori del mondo sulla croce, Dio è impotente e
debole nel mondo e appunto solo così egli ci sta al fianco e ci aiuta. È
assolutamente evidente, in Mt 8, 17, che Cristo non aiuta in forza della sua
onnipotenza, ma in forza della sua debolezza, della sua sofferenza!» (RR, p. 440).
Lo «stare davanti a Dio» è l’unico modo di aver a che fare con Dio senza fare di lui,
o di sé stessi, un idolo.
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f) Uomo adulto, uomo nuovo, bambino escatologico
In una poesia che gli era molta cara, "Cristiani e pagani ", Bonhoeffer scrive:
«I cristiani stanno vicino a Dio nella sua sofferenza». Anche i cristiani, non
diversamente dai pagani, ricorrono a Dio nel bisogno, ma accade ai cristiani di
incontrare un Dio che pretende da loro ciò che nessun Dio pagano ha mai
richiesto ai propri adoratori: di stargli vicino come Dio nonostante lo vedano
«consunto da peccati, debolezza e morte». Il Dio cristiano ha bisogno di un uomo
talmente maggiorenne da risultare in grado addirittura di porgere effettivamente
aiuto al Dio che muore in croce.
Un tale Dio pretende molto dall'uomo perché lo ama molto: non vuole che
egli resti un minorenne, sotto tutela, ma che senta invece subito il dovere di
essere adulto, nella pienezza delle proprie forze, capace di aiutare Dio in croce.
Questo è il senso che Bonhoeffer, già a partire da Atto e essere, dà al «diventare
come bambini» indicato da Gesù (cfr. Mt 18, 3). Il Dio «tappabuchi» è un prodotto
dell'ipocrisia e della disonestà intellettuale; cristiano è il bambino escatologico che
la comunità dei cristiani si propone di essere quando chiede il battesimo già per i
bambini: «Il bambino è prossimo agli éschata. Anche questo è un fatto che solo la
fede che supera sé stessa davanti alla rivelazione può pensare. Essa può tener
fermo il battesimo intendendolo come l’incrollabile parola di Dio, la fondazione
escatologica della propria vita» (Atto e essere, Queriniana, Brescia 1993, pp. 147148). Non c’è trascendenza e intimità più grande di quella del Dio in croce che si
mette dalla parte dell’uomo sino a renderlo talmente adulto da consentirgli di
«stare a lui vicino nella sua sofferenza» (RR, p. 427), e talmente bambino da
sentirsi in lui un "ri-nato".
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